OLIO NOBEL: la storia di un uomo e della sua terra pag. 15
RUBRICA: la libertà della diversità pag. 32
LESS IS MORE: non un cliché ma uno stile di vita pag. 27
BIMESTRALE N. 15 USCITA DEL 01/23
DIREZIONE:
Debora Bizzi
REDAZIONE:
Martina Campanelli
Simone Facchinetti
Sergio Grifoni
Margherita Ingoglia
Silvia Mariani
Valeria Savoia
Leonardo Tiene
Davide Tremante
Michela Viola
ART DIRECTION E IMPAGINAZIONE GRAFICA:
Giuseppe Di Benedetto
vi augura un 2023 ricco di MAGIA! Sei un insegnante della scuola primaria? Scopri le guide digitali Didattica Facile!
EDITORIALE
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I NUOVI INIZI di Debora Bizzi
Abbiamo appena salutato il 2022 e, speranzosi, brindato al nuovo anno, augurandoci felicità e nuove avventure. Personalmente, il 2022 è stato un anno difficile, pieno di ostacoli e intoppi, e spero davvero che questo 2023 mi riservi un po’ di serenità. D’altronde, noi di Atlas Magazine - Il mondo sulle nostre spalle siamo da sempre affascinati dalle nuove sfide e i nuovi inizi, malgrado la sensazione di paura, data da ogni nuova avventura, poiché comporta non sapere esattamente cosa aspettarsi. Ma questa sensazione di spavento è, al contempo, qualcosa di elettrizzante, se affrontata con il giusto atteggiamento. Apertura, consapevolezza e flessibilità. E una giusta dose di speranza verso le novità che ci attendono. Noi, soprattutto, ci siamo impegnati sullo stabilire dei nuovi obiettivi. Nel nostro quotidiano, spesso, il nuovo anno rappresenta nuovi propositi… io, però, ho scelto di depennare la lista dei nuovi propositi e di farmi una sola promessa, giusto perché il 2022 mi ha davvero messa a dura prova: prendermi cura di me stessa!
Ma in molti sono da sempre legati alla lista dei buoni propositi, buoni obiettivi per migliorare la nostra vita. Eccone alcuni, giusto per darvi qualche suggerimento:
• impara a dare il giusto peso alle situazioni/persone/cose
• elimina ciò che non ti serve, e chi non ti fa bene
• porta a termine un progetto già iniziato lo scorso anno
• ricontatta dei vecchi amici
• fai qualcosa che pensavi non avresti mai fatto
• prenditi cura di te stesso, prima ancora dei tuoi cari
• prenditi cura del luogo che abitiamo
• smettila di criticarti
• agisci!
Questi nell’elenco puntato sono solo alcuni esempi.., in realtà, la lista dei buoni propositi è qualcosa di estremamente personale, nonché qualcosa che spesso ci impegniamo a scrivere ma non a realizzare. Pertanto, un altro consiglio per il 2023 è proprio quello di impegnarci a portare a termine i buoni propositi stabiliti a dicembre del vecchio anno (o gennaio del nuovo!). Cerchiamo di dare vita lunga alle nostre buone intenzioni. Credendoci, non ponendo obiettivi troppo vaghi, attivando delle strategie personali per il loro raggiungimento.
D’altronde, l’inizio di un nuovo anno è da sempre un momento che affrontiamo tutti con voglia di rinnovamento e di piccoli grandi cambiamenti. Per ripartire alla grande, con voglia di fare e carichi al massimo. Prendete carta e penna e scrivete almeno una lista di 5 buoni propositi. Ed affrontiamo questo nuovo anno come una nuova sfida, senza paura, con coraggio e con amore verso noi stessi e verso la vita stessa.
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INDICE IL FUTURO SOSTENIBILE: LA TRANSIZIONE ENERGETICA COME CHIAVE DEL CAMBIAMENTO 7 L’INTERVISTA. FRANCESCO BRIGUGLIO, PRESIDENTE DI ENERGY ACADEMY 8 MOVIMENTO INTERNAZIONALE DI CROCE ROSSA 10 NASA: MISSIONE GEDI 12 OLIO NOBEL: LA STORIA DI UN UOMO E DELLA SUA TERRA 15 STEPHEN RITZ E IL PROGETTO EDUCATIVO GREEN BRONX MACHINE 17 EDUCAZIONE ALLA SOSTENIBILITÀ NEL MONDO DISNEY 19 YUKA – ANALIZZARE LA NOSTRA SPESA PER LA NOSTRA VITA 23 RUBRICA - PILLOLE DELL’AVVOCATO LEGGE DI BILANCIO 2023: I PRINCIPALI PUNTI IN MATERIA FISCALE 24 LESS IS MORE – NON UN CLICHÉ MA UNO STILE DI VITA 27 RUBRICA - DETTO TRA NOI... NON TOGLIETE QUELLA MASCHERINA 30 RUBRICA - LA LIBERTÀ DELLA DIVERSITÀ 32 GIARDINI IDROPONICI: INNOVAZIONE NEL SETTORE AGROALIMENTARE 33 LEGENDA SANO SOSTENIBILE SOCIALE
SOSTENIBILE: LA TRANSIZIONE ENERGETICA COME CHIAVE DEL CAMBIAMENTO di Margherita Ingoglia
Un antico proverbio dei nativi americani dice: “Non ereditiamo la Terra dai nostri avi; la prendiamo a prestito dai nostri figli. Nostro è il dovere di restituirgliela.”
È proprio su questo principio che si basa il processo di transizione energetica verso il quale tutto il mondo si sta muovendo, con l’obiettivo di passare gradualmente dal consumo di fonti di energia tradizionali, come il petrolio e il carbone, a fonti di energia rinnovabile, come l’energia solare, eolica e idroelettrica, riducendo così le emissioni di gas serra e promuovendo al contempo l’efficienza energetica e la sostenibilità.
Si tratta di un processo complesso e graduale, che richiede un approccio multidimensionale e che coinvolge numerosi ambiti. A livello tecnico, per esempio, esistono alcuni aspetti fondamentali che devono essere affrontati per rendere le fonti rinnovabili una realtà applicabile nella pratica.
In primis, la promozione delle fonti di energia rinnovabile necessita la creazione e l’ottimizzazione di infrastrutture e tecnologie che ne consentano un consumo efficiente: essendo l’energia solare una fonte intermittente, che dipende dalle condizioni meteorologiche e dall’alternarsi del giorno e della notte, si rende necessario lo sviluppo di sistemi di stoccaggio sempre più avanzati, che consentano di accumulare l’energia prodotta per l’utilizzo in momenti in cui l’impianto fotovoltaico non è in funzione. In secondo luogo, in affiancamento alla produzione di energia rinnovabile, è fondamentale l’adozione di tecnologie e pratiche che riducano il consumo energetico, come l’isolamento termico degli edifici, l’uso di elettrodomestici a basso consumo e la riduzione delle perdite di energia durante la trasmissione e la distribuzione della stessa.
L’economia è un altro fattore importante da considerare, in quanto costi derivanti dalla produzione e dal consumo di energia
rinnovabile, inizialmente molto alti, stanno diminuendo gradualmente, diventando sempre più accessibili e competitivi rispetto ai combustibili fossili.
Inoltre, la transizione energetica può influire sulla crescita economica, portando a una maggior efficienza e innovazione, creando nuove opportunità di lavoro e stimolando la crescita economica. D’altro canto, però, ancora molti sono gli investimenti necessari per sviluppare le infrastrutture e le tecnologie sopra menzionate, che possano effettivamente supportare una transizione completa verso le fonti rinnovabili. Le scelte politiche dei nostri governi hanno una fondamentale rilevanza in tal senso.
Proprio per questo, l’Italia, tramite il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), prevede una serie di interventi volti a favorire la transizione energetica del Paese. In particolare, per queste linee di intervento sono stati stanziati 1,25 miliardi, al fine di rafforzare gli investimenti sulle principali filiere della transizione ecologica, raggiungendo così i tre obiettivi prefissati: la decarbonizzazione del sistema energetico, l’aumento dell’efficienza energetica e lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile.
Tutto però parte dalle singole persone ed è proprio la società a giocare il ruolo più importante in questo cambiamento. Solo attraverso la corretta diffusione di una cultura sostenibile sarà infatti possibile proteggere l’ambiente e ridurre l’impatto dell’umanità sull’ecosistema.
La transizione energetica è quindi un processo cruciale per la lotta contro il cambiamento climatico; è una sfida enorme che dobbiamo affrontare, non solo per evitare conseguenze disastrose per il pianeta a cui sempre più spesso assistiamo, come la perdita di biodiversità, la siccità e le catastrofi naturali, ma anche e soprattutto per creare un’economia più equa e sostenibile, preservando il pianeta per il benessere delle future generazioni.
IL FUTURO
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L’INTERVISTA. FRANCESCO BRIGUGLIO, PRESIDENTE DI ENERGY ACADEMY di Katia La Rosa
Francesco Briguglio, Presidente di Energy Academy, Trainer tra i più conosciuti in Italia per la gestione e formazione di reti commerciali, ha maturato oltre 25 anni di esperienza formativa collaborando con Aziende tra le più importanti a carattere nazionale, oltre 20.000 partecipanti ai suoi corsi attitudinali e comportamentali, specializzato in ”Tecniche sulla comunicazione” in particolare, nelle tecniche di approccio e nei meccanismi di pensiero dei processi decisionali. Lo abbiamo intervistato essendo uno dei prossimi candidati al prestigioso premio “Italia del merito”, che celebra l’eccellenza del genio italiano nelle diverse categorie e che si terrà al Campidoglio.
K. Oggi quanto conta puntare sulla formazione?
F. Le risorse umane, con il loro talento, costituiscono il vantaggio competitivo di un’azienda. È quindi doveroso puntare al potenziamento di quel patrimonio umano, che in una società fa la differenza. Scegliere un accurato programma formativo può contribuire in termini di rendimento per la stessa società. Desidero fare una riflessione. Come comportarsi di fronte al cambiamento in corso? Oggi noi predisponiamo i più adeguati mezzi formativi e culturali per leggere la realtà ed interpretarla in termini di poten-
ziamento della conoscenza, della cultura e della formazione. Si dice che la conoscenza è potere. Bene. Esercitiamolo.
K. Quali sono i programmi formativi che suggerisce alle aziende?
F. Per gli Operatori della formazione è fondamentale ampliare le competenze “core”, di ruolo, attitudinali, considerando i molteplici aspetti della professionalità per migliorare le prestazioni aziendali e del capitale umano. La nostra proposta si basa sullo studio e la personalizzazione dell’offerta formativa. È importante per un’azienda accrescere competenze e talenti del proprio personale, sugli obiettivi che si vogliono raggiungere.
K. Oggi lei ha investito e svolto un importante ruolo nella formazione di società che si occupano di energie rinnovabili. Quanto è importante per una società dotarsi di questi strumenti?
F. Credo fortemente nella possibilità di migliorare il nostro futuro. “La Terra non è un’eredità ricevuta dai nostri Padri, ma un prestito da restituire ai nostri figli”. Partendo da questo concetto, ho deciso di investire nella sostenibilità e nel green essendo uno dei soci
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fondatori di Energy Italy Spa, insieme al Presidente in carica Sergio Grifoni al Presidente della Energy Holding Roberto Ingoglia e all’Amministratrice Piera Civello, bisogna agire e bisogna farlo adesso. I cambiamenti climatici sono un pericolo per il nostro pianeta. L’azienda Energy Italy rappresenta oggi un vero e proprio punto di riferimento per quanto riguarda la transizione ecologica. Parliamo infatti di un’azienda leader nel settore delle energie rinnovabili e in particolare del fotovoltaico, in grado di proporre soluzioni su misura anche per i privati e le famiglie. Il mio compito è stato anche quello di formare le autorevoli figure dei Manager societari, che oggi rappresentano una delle società leader del settore. Negli anni sono stati formati più di 800 collaboratori. “È ciò che pensiamo già di sapere che ci impedisce di imparare cose nuove. È stata proprio questa la leva che mi ha consentito di rafforzare il patrimonio umano della società. Lasciarsi alle spalle, ciò che si crede di sapere, è un passo necessario per elevarsi ad un altro e alto grado di istruzione formativa. La cultura e la conoscenza di sé sono le migliori armi per combattere con la sapienza e contribuire alla tutela del nostro territorio e al mantenimento degli equilibri economici – sociali.
K. Qual è il messaggio che vuole dare?
F. “Insegnare è imparare due volte”, diceva Joseph Joubert (filosofo francese). Così io ho imparato, che c’è un’altra dimensione, che si basa sulla luce della conoscenza, capace di guidare le nostre scelte in qualsiasi cammino di vita. La migliore preparazione per domani è imparare meglio oggi
Chi è Francesco Briguglio?
nasce a Messina nel 1958, dopo aver intrapreso una carriera sanitaria all’ospedale Piemonte decide di puntare al settore comunicativo, come leva di crescita personale.
La sua filosofia? “Il carattere è la metà del destino”. Su questo principio ha continuato i suoi studi attraverso master internazionali specializandosi in ”Tecniche sulla comunicazione” e, in particolare, nelle tecniche di approccio e nei meccanismi di pensiero dei processi decisionali maturando oltre 20 anni di esperienza corporate in qualità di General Manager per Aziende tra le più importanti a carattere nazionale nella gestione e formazione di reti commerciali, con oltre 20.000 partecipanti ai suoi corsi attitudinali e comportamentali. Attualmente è Presidente di Energy Academy società di formazione manageriale con sede sociale a Verona. In tutti questi anni di lavoro è sempre prevalso in lui il grande desiderio di sviluppare capacità e potenzialità di persone e aziende, spinto dalla consapevolezza che i grandi progetti non sono realizzati da macchine o da computer ma da persone, crede infatti che per poter attuare una crescita aziendale sostenibile nel tempo ci debba essere una solida organizzazione composta da individui motivati e preparati.
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MOVIMENTO INTERNAZIONALE DI CROCE ROSSA di Davide Tremante
Croce Rossa è un’organizzazione internazionale che ormai siamo abituati a vedere e riconoscere, ma quanto la conosciamo davvero? Molti la limitano alla sola ambulanza o al solo ambito sanitario quando in realtà è una realtà dalle mille sfaccettature che coprono una vastissima gamma di temi e realtà.
Il movimento nasce nella seconda metà del 1800, dall’idea di Henry Dunant che il 24 giugno 1859 si reca a Solferino per discutere di affari con Napoleone III. Qui assiste alla battaglia di Solferino, una delle più violente del secolo e di fronte a quello scenario Dunant decide di aiutare e coordinare gli abitanti locali nel soccorso dei feriti lasciati sul campo, indipendentemente dal loro schieramento.
In seguito, da quell’idea, con la conferenza di Ginevra del 1863 nascerà il movimento che vedrà la sua consolidazione con la firma della prima convenzione di Ginevra nel 1864.
Il movimento si è poi evoluto, e continua ad evolversi, per mantenere il passo con le sfide sorte nel tempo e nonostante gli innumerevoli cambiamenti Croce Rossa è sempre rimasta fedele ai suoi principi e alla sua natura.
Il movimento guida le sue scelte e le sue attività sulla base di sette principi:
Umanità: Il movimento si adopera per prevenire e lenire in ogni circostanza le sofferenze degli uomini, per far rispettare la persona umana e proteggerne la vita e la salute; favorisce la comprensione reciproca, l’amicizia, la cooperazione e la pace duratura fra tutti i popoli.
Imparzialità: Il Movimento non fa alcuna distinzione di nazionalità, razza, religione, classe o opinioni politiche. Si sforza di alleviare le sofferenze delle persone unicamente in base ai loro bisogni, dando la priorità ai casi più urgenti.
Neutralità: Al fine di continuare a godere della fiducia di tutti, il Movimento si astiene dal partecipare alle ostilità di qualsiasi genere e alle controversie di ordine politico e religioso.
Indipendenza: Il Movimento è indipendente. Le Società Nazionali, quali ausiliari dei servizi umanitari dei loro governi e soggetti alle leggi dei rispettivi Paesi, devono sempre mantenere la loro autonomia in modo che possano essere in grado in ogni momento di agire in conformità con i principi del Movimento.
Volontarietà: Il Movimento è un’istituzione di soccorso volontario non guidato dal desiderio di guadagno.
Unità: Nel territorio nazionale ci può essere una sola associazione di Croce Rossa, aperta a tutti e con estensione della sua azione umanitaria all’intero territorio nazionale.
Universalità: Il Movimento internazionale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, in seno al quale tutte le società nazionali hanno uguali diritti e il dovere di aiutarsi reciprocamente.
Ma quindi, cosa fa Croce Rossa? Questa è una domanda che in pochi si pongono perché in molti pensano di conoscerne già la risposta. Potremmo dire “un po’ di tutto” perché dove c’è bisogno, c’è Croce Rossa. Essa, infatti, spazia dal soccorso agli sportelli di ascolto ed ogni comitato ha la possibilità di scegliere quali attività e quali progetti proporre e in che modo sulla base delle necessità
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e delle risorse del caso. Quindi il volontario di Croce Rossa avrà modo di scegliere le attività che gli sono più affini e le cause che gli stanno più a cuore.
La Croce Rossa organizza decine di attività e servizi in vari ambiti, come gli sportelli digitali che aiutano le persone meno avvezze con la tecnologia a sbrigare le pratiche online, o le misurazioni gratuite di parametri come glicemia, pressione e colesterolo; la spesa per persone che hanno difficoltà negli spostamenti, l’accompagnamento di persone con esigenze particolari; interventi in caso di calamità, il classico servizio di ambulanza, supporto ad iniziative e progetti locali, centri antiviolenza, sportelli di ascolto e molto altro! Di certo non ci si annoia!
Seppure io faccia da poco parte di questo mondo ho avuto già il piacere di prendere parte ad alcuni progetti, per esempio nel comitato di Valpolicella (in provincia di Verona) è stato avviato il progetto “Rigiochiamo CRI” che ha come obiettivo quello di raccogliere giocattoli e libri da donare ai bambini che purtroppo si trovano in condizioni difficili. E potrebbe sembrare una cosa semplice ma no, non lo è. La parte più semplice è la raccolta delle donazioni ma poi ci si ritrova con migliaia di giocattoli nelle condizioni più disparate! E così devi pulire i giochi (e buona fortuna con le costruzioni, da sanificare una ad una!) controllare che siano integri, che siano funzionanti e che siano ancora utilizzabili. Una volta che il giocattolo passa la valutazione va smistato e inserito nell’inventario: Si deve capire la fascia di età a cui potrebbe piacere, il tipo di giocattolo e riporlo nella scatola dei giochi di quel tipo e per quell’età. Questo con tutti i giocattoli. Poi arriva la lista dei bambini che beneficeranno dei regali e così bisogna scegliere un giocattolo tenendo conto dell’età e dei possibili interessi del bambino o della bambina che lo riceveranno. Il dono va impac-
chettato e finché si tratta di fare un pacchetto per un libro, tutto ok, ma il bello viene quando devi impacchettare quel giocattolo che ha una forma improbabile e fai il pacchetto più brutto mai visto sulla faccia della Terra (fino a quel momento).
Nonostante tutto i giochi sono impacchettati (qualcuno un po’ meglio degli altri) e pronti alla consegna, entri con la divisa nel reparto di pediatria e li vedi. Sono piccoli. Ammetto che la prima reazione sia un misto fra tristezza e incredulità e ti blocchi per un secondo, poi però pensi al motivo per cui sei lì e tiri fuori il sorriso migliore che tu possa fare in quel momento. Tutto cambia quando li vedi sorridere, vedi le facce dei genitori che per un attimo si rilassano, capisci che in quel momento non c’è più niente se non il bambino che è felice di ricevere un giocattolo, sorride e capisci di averli distratti per un po’. E ti senti bene, molto bene.
Ma entrare in Croce Rossa non significa solo fare volontariato, significa anche investire su sé stessi perché grazie alla formazione che CRI mette a disposizione si ha sempre modo di imparare qualcosa di nuovo e non solo sotto al profilo sanitario, perché esistono corsi di diverso tipo e diverso livello, così che ognuno possa specializzarsi nell’ambito che preferisce!
In fin dei conti entrare a far parte di Croce Rossa è un’esperienza unica che consente di conoscere gente, imparare cose e fare esperienze che solo un ambiente come questo può vantare. E richiederà sacrifici, non c’è dubbio, ma sono sacrifici che farai sempre con un sorriso e in ottima compagnia. Provare è semplice, basta collegarsi al portale online, iscriversi al primo corso base disponibile e fare una prova; già con le prime lezioni ti renderai conto del potenziale che questo movimento ha e sono pronto a scommettere che anche tu, come me, una volta provata questa esperienza, non vorrai più smettere.
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NASA: MISSIONE GEDI di Michela Viola
La Global Ecosystem Dynamics Investigation (GEDI) è una missione della Nasa iniziata nel 2018, il cui obiettivo è quello di mappare il pianeta monitorando variazioni nei vari habitat naturali (come deforestazione, variazione del ciclo dell’acqua o del carbonio), mutazioni riconducibili all’attività incontrollata dell’uomo che compromette il delicato equilibrio degli ecosistemi terrestri.
Nello specifico, la missione GEDI si ripropone di quantificare la distribuzione della biomassa globale delle foreste, oltre a fornire preziose stime sulla quantità di carbonio che questa è in grado di assorbire.
Come funziona GEDI?
GEDI è formato da un sistema di tre laser installati sulla Stazione Spaziale Internazionale nel 2018, per una missione che durerà fino a gennaio 2023; ciascun laser si accende 242 volte al secondo, in grado di illuminare, e quindi mappare, una porzione di circa 25 metri della superficie da ricostruire poi in 3D (fonte: ww.gedi.umd.edu).
Questi laser fanno parte di un sistema di tecnologie di telerilevamento che utilizzano gli impulsi di luce laser per misurazioni di oggetti tridimensionali.
In aggiunta a questo, un sistema GPS integrato nella strumentazione permette agli scienziati della NASA di sapere la posizione esatta di GEDI, sia all’interno della propria orbita sia rispetto alla
Terra.
Quando GEDI si trova al di sopra di una foresta, la tecnologia di cui è composto permette di ricostruirne la struttura, questo sia in verticale che in orizzontale. Ciò permette agli scienziati di calcolare sia la quantità di biomassa di una determinata porzione di foresta, sia la quantità di carbonio che è essa in grado di catturare.
GEDI: gli obiettivi
GEDI è in grado di effettuare osservazioni in alta risoluzione della Terra, elaborando poi un modello 3D della sua superficie. Le misurazioni in questione riguardano soprattutto l’altezza delle foreste e l’estensione in altezza della chioma di una determinata foresta.
I dati raccolti sono fondamentali per poter acquisire importanti informazioni sia sulla biomassa che sulla biodiversità delle foreste.
Per quanto riguarda la biomassa, basando i propri studi su una mappatura globale della massa della pianta (presente in tronchi, rami e foglie), i ricercatori sono in grado di stimare la quantità di carbonio presente in una determinata porzione di foresta. Combinando poi le informazioni raccolte con altri dati satellitari, è possibile ipotizzare come si presentasse la biomassa forestale in passato, e come potrebbe essere in futuro.
La metà circa della biomassa vegetale è costituita da carbonio: questo permetterà agli scienziati di poter effettuare una stima
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della concentrazione totale di CO2 che la flora terrestre è in grado di immagazzinare; questi dati sono di fondamentale importanza, considerando quanto la concentrazione in atmosfera di anidride carbonica possa essere considerata come principale protagonista del cambiamento climatico.
La missione GEDI è poi funzionale anche a un altro importante obiettivo, legato alla tutela della biodiversità. Un’altra funzione essenziale svolta dalla vegetazione è infatti quella di offrire dimora ad altri organismi viventi; grazie quindi alle informazioni raccolte sulla struttura delle foreste, è possibile stimare anche la qualità di un determinato habitat, contribuendo in questo modo alla tutela e alla conservazione della biodiversità.
Grazie ai dati raccolti, è possibile definire con precisione anche processi complessi, come il ciclo dell’acqua o del carbonio, ma anche acquisire importanti informazioni sugli effetti della deforestazione.
Le domande di ricerca
Il sistema GEDI vuole dare risposta, mediante la raccolta di dati sulla struttura forestale, a tre domande fondamentali:
• Qual è la quantità di carbonio che le foreste sono in grado di assorbire?
• In che modo la superficie terrestre attenuerà le concentrazioni di CO2 nell’atmosfera in futuro?
• In che modo la struttura delle foreste influisce sulla qualità dell’habitat e sulla biodiversità?
La risposta alla prima domanda si basa sull’assunto che le foreste assorbono CO2 dall’atmosfera; il carbonio viene poi utilizzato dalle piante per la propria crescita, e quindi immagazzinato sotto forma di biomassa (si pensi che circa il 50% della biomassa di un albero è costituito da carbonio). A causa però di deforestazione e incedi, le piante rilasciano nell’aria il carbonio immagazzinato, e questo rappresenta la seconda fonte di CO2 nell’atmosfera (dopo le emissioni causate dai combustibili fossili).
I dati GEDI mirano a incrementare le nostre conoscenze in merito agli impatti del rilascio di carbonio causato dalla distruzione delle
foreste, ma anche a rilevare quello immagazzinato poi grazie alla loro ricrescita, questo quantificando l’attuale biomassa delle foreste presenti sulla Terra.
Per quanto riguarda invece il secondo punto, è stato dimostrato che le foreste giovani, in fase di crescita, assorbono più carbonio rispetto a quelle mature. GEDI mira quindi a stimare gli impatti di deforestazione e rimboschimento sulla concentrazione di CO2 nell’aria nel tempo.
Grazie al rilevamento di dati accurati riguardo allo stato attuale della biomassa delle foreste, è possibile poi cercare di acquisire importanti informazioni circa il processo di assorbimento del carbonio, che permettano di valutare le migliori strategie di conservazione e sviluppo da attuare per la salvaguardia del pianeta.
Il terzo interrogativo, infine, parte dalla consapevolezza di quanto deforestazione e quindi riduzione degli habitat naturali, sia una delle cause principali di estinzione delle specie; le previsioni ci dicono che questo triste fenomeno tenderà ad aumentare nel corso di questo secolo, a meno che non vengano attuate importanti politiche di tutela e conservazione.
Grazie alla tecnologia GEDI, è possibile ottenere importanti informazioni circa la struttura delle chiome delle foreste, il che è di fondamentale importanza per poter comprendere lo stato della loro biodiversità.
Per esempio, è stato dimostrato che la presenza di molte specie di uccelli in una determinata area forestale, dipende dalla sua disposizione verticale dei rami e delle foglie.
GEDI ci permette quindi di ottenere una mappatura dei vari habitat, che possa costituire una base su cui strutturare poi modelli predittivi di biodiversità, che ci aiutino a comprendere gli impatti dei cambiamenti climatici sulla qualità degli ecosistemi e sulla relativa abbondanza di specie che li abitano.
Grazie a questa tecnologia è possibile acquisire importanti dati su come la biomassa delle foreste è distribuita, in modo da poter attuare politiche per la loro tutela, ma anche di sviluppo sostenibile.
La mappa mostra l’altezza delle foreste della Terra, dai cespugli agli alberi alti più di 50 metri
Fonte: NASA Earth Observatory images by Joshua Stevens, using data courtesy of Lang, N. et al. (2022). Story by Kathryn Hansen)
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OLIO NOBEL: LA STORIA DI UN UOMO E DELLA SUA TERRA di Martina Campanelli
Dentro una bottiglia di olio extravergine di oliva c’è lavoro, fatica, pazienza, passione, cura ed amore.
Lo sa bene Antonino Catania che da 80 anni si dedica alla coltivazione dei suoi uliveti e alla produzione del suo olio, Olio Nobel Una vita dedicata alla famiglia ed alla terra, di lavoro costante e quotidiano, di premure e sacrifici; una vita che però gli ha regalato la riconoscenza dei suoi cari e dei suoi uliveti che producono un olio eccezionale, un olio da Nobel!
Olio Nobel rappresenta il passato che si intreccia con il futuro, un olio che onorando il passato guarda all’avvenire, con Giovanni ed Antonino Catania i quali, figlio e nipote di Antonino (Senior), portano avanti la tradizione, facendo tesoro degli insegnamenti del capostipite e dandogli il tributo che merita.
Dietro ogni cosa c’è una storia ma spesso non si riesce a raccontare la verità di ciò che non si riesce a vedere. La verità di Olio Nobel non è necessario raccontarla attraverso le parole ma si racconta da sé all’assaggio: un olio che sa di autenticità, come un abbraccio.
L’Olio Nobel è un olio extravergine di oliva prodotto con la No-
cellara del Belice, una varietà molto diffusa in Sicilia che nel 1988 ha ottenuto la certificazione DOP e considerata come una tra le più pregiate dell’isola, sua eccellenza gastronomica prodotta principalmente nella valle del Belice, un’area compresa tra le province di Trapani, Palermo ed Agrigento (nel caso specifico di Olio Nobel a Partanna).
La storia di questa coltivazione ha origini molto antiche: i primi documenti che ne attestano la presenza risalgono ai tempi dei Greci. Il ritrovamento di antiche macine di frantoio dimostra come la produzione di olive Nocellara è diffusa nell’area di Selinunte fin dal V secolo a.C. e che venivano commercializzate con tutti i popoli della Magna Grecia. I Romani, che attribuivano grande importanza all’ulivo, hanno contribuito a diffondere la sua cultura al punto di favorirne lo sviluppo in ogni nuovo territorio conquistato, escogitando nuovi attrezzi per migliorarne spremitura e conservazione.
Gli ulivi della Nocellara del Belice, nonostante quello che si potrebbe pensare per la poca maestosità e la chioma di media gran-
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dezza, sono tra gli ulivi più resistenti e capaci di adattarsi ad ogni terreno ed a qualsiasi condizione.
La raccolta avviene tra ottobre e novembre ed entro un giorno dalla raccolta, quando le olive sono ancora fresche, inizia la lavorazione; durante la molitura si diffonde un profumo intenso, un profumo di aromi fruttati tipici delle campagne di provenienza.
Perché scegliere Olio Nobel?
Risponderei a questa domanda con due cose che spesso, ma non in questo caso, sono in contraddizione: golosità e benessere! Il sapore è fruttato, appena lievemente amaro e piccante con un retrogusto di mandorla, ineguagliabile al palato. Il leggero pizzicore che si avverte è una caratteristica di pregio dell’olio Nocellara, specie se appena prodotto. Esso esalta i sapori di ogni ricetta: può essere utilizzato a crudo per condire verdure, insalate, minestre e minestroni, carne e pesce ma si presta anche ad essere utilizzato in tutte quelle ricette in cui l’olio deve raggiungere temperature elevate come arrosti e fritture (in quest’ultimo caso il suo utilizzo lo considero un sacrilegio!). Possiede infatti un punto di fumo particolarmente alto; impossibile bruciare questo olio, così che ogni ricetta possa essere valorizzata dal suo utilizzo.
L’Olio Nobel, con le proprietà organolettiche della Nocellara, risulta prezioso anche per il nostro benessere:
• ricco di polifenoli, utili per ridurre il rischio di incorrere in malattie cardiovascolari. Essi sono degli antiossidanti, sostanze che consentono di mantenere il nostro organismo più a lungo giovane e in salute.
• ricco di fibra dietetica che permette il corretto funzionamento dell’intero apparato digerente (per questa presenza sembra utile nella prevenzione del tumore al colon)
• ricco di sali minerali quali calcio e magnesio
• ricco di grassi monosaturi ad alta digeribilità (comunemente detti buoni) che favoriscono la riduzione del colesterolo
• caratterizzato da bassa percentuale di carboidrati e zuccheri (quindi può essere consumato da chi deve prestare attenzione alla dieta come chi soffre di diabete o di altre patologie).
Olio Nobel, “parla” di un uomo che, superando le difficoltà tipiche del piccolo produttore in un mondo dove è la quantità più che la qualità principio guida della produzione, ha forgiato (e per lui i suoi successori) il proprio prodotto con i principi guida non del business ma della propria vita: integrità, amore, passione e duro lavoro.
Olio Nobel parla di un uomo e del legame con la sua terra: una storia che consiglio di assaporare.
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STEPHEN RITZ E IL PROGETTO EDUCATIVO GREEN BRONX MACHINE di Leonardo Tiene
L’educazione delle generazioni future è una delle chiavi per poter garantire il successo delle grandi campagne politiche per salvaguardare il pianeta (come l’accordo di Parigi e la tanto discussa Agenda 2030). Riciclare, riutilizzare, risparmiare, tre pilastri da cui partire e insegnare in maniera concreta come esprimere questi concetti fondamentali da cui passa la corretta convivenza con la Terra.
Abbiamo detto educazione all’inizio, un termine che potrebbe assumere il carattere passivo o tradizionale della lezione unidirezionale o frontale ma che può tranquillamente essere intesa come momento attivo, stimolante per le menti, bidirezionale, caratterizzata da progetti, esperimenti, gite o viaggi. Tutti modi diversi per instillare un pensiero o un concetto e farlo maturare, rendendolo saldo nelle menti dei ragazzi e condividerlo al prossimo.
Stephen Ritz lo sa e ha sfruttato a pieno la sua personalità e questo nostro meccanismo di metabolizzazione per mettere in pratica ciò che impariamo dagli altri (anzi imparare mettendo in pratica se vogliamo) con il suo progetto Green Bronx Machine
Di che cosa parliamo?
Green Bronx Machine è un’organizzazione no-profit che ha come obiettivo quello di trasformare le comunità svantaggiate
attraverso l’educazione all’agricoltura urbana, l’educazione finanziaria, l’educazione alla salute e l’impegno sociale.
Fondata nel 2012 da Stephen Ritz, un ex insegnante di scuola pubblica, Green Bronx Machine ha trasformato le vite di centinaia di studenti, famiglie e comunità del quartiere del Bronx di New York.
Chi è Stephen?
Stephen Ritz è un educatore, imprenditore sociale e leader comunitario che ha trasformato la vita di centinaia di studenti e famiglie svantaggiate. È stato un insegnante di scuola pubblica per più di 30 anni, durante i quali ha lavorato con studenti che provenivano da famiglie a basso reddito e con problemi sociali. Nel 2012, ha fondato Green Bronx Machine, un’organizzazione no-profit che si è impegnata a trasformare le comunità svantaggiate. L’organizzazione ha sviluppato programmi di educazione all’agricoltura urbana che hanno aiutato i bambini a imparare come coltivare ortaggi e frutta nelle loro scuole. Inoltre, ha anche lavorato con le scuole per fornire programmi di educazione finanziaria, in modo che i bambini possano imparare come gestire il loro denaro. Grazie all’impegno di Stephen Ritz e all’organizzazione Green Bronx Machine, centinaia di studenti e famiglie
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del Bronx sono stati in grado di trarre beneficio dai loro programmi. Gli studenti hanno imparato a coltivare i loro ortaggi e frutta, a gestire i loro soldi e a prendersi cura della loro salute. Non solo però, i programmi di Green Bronx Machine hanno anche incoraggiato i bambini a rimanere a scuola e hanno fornito loro un senso di appartenenza e di speranza. Un ruolo sociale non indifferente, dunque, perché oltre ad assumere un ruolo di mentore, diventa anche simbolo di ripresa per quelle fasce di popolazione ormai lasciate nel dimenticatoio, rendendole consapevoli di avere delle mani e lo spirito in grado di fare grandi cose per loro e per la stessa società che li ha discriminati.
Nel 2015 è stato nominato uno dei “100 Global Teacher Prize” dalla Varkey Foundation mentre nel 2017 è stato nominato uno dei “CNN Heroes” per i suoi sforzi nel dare ai bambini del Bronx la possibilità di cambiare la propria vita, scegliendo di coltivare la formazione piuttosto che la criminalità.
L ‘importanza di questo progetto
Stephen Ritz con la sua Green Bronx Machine ha dimostrato che la lotta contro la povertà può essere vinta con l’educazione. Attraverso l’educazione all’agricoltura urbana, l’educazione finanziaria, l’educazione alla salute e l’impegno sociale, i bambini e le famiglie del Bronx sono stati in grado di trarre beneficio dai loro programmi. Stephen Ritz e Green Bronx Machine sono un esempio di come le persone possano fare la differenza nella lotta contro le difficoltà sociali.
E in Italia?
L’idea di educazione tramite la pratica e il divertimento non è cosa nuova, come potremmo pensare. Esistono infatti diverse iniziative che coinvolgono le scuole, ad esempio gli “orti didattici”, ossia veri e propri giardini o spazi educativi per dar voce al pollice verde degli studenti italiani.
Bisogna anche dire che tutto questo è nato anche diverso tempo dopo la Green Bronx Machine che ricordiamo aver fatto la prima apparizione nel lontano 2012.
Quello che più deve colpirci è che la direzione sembrerebbe essere giusta per educare verso un argomento delicato come la sostenibilità, in cui ognuno ha il potere di riportare sui binari giusti la quotidianità.
Forse però l’elemento mancante in questa equazione non è la sostenibilità, questo articolo rientra nella vena sociale di Atlas. Quello che manca in tutto questo è la natura sociale inclusiva dell’organizzazione Green Bronx Machine, che l’ha resa famosa in tutto il mondo assieme al suo fondatore.
In Italia non manca purtroppo la differenza sociale nata dalle disparità economiche o anche semplicemente dal colore della pelle, un’attività che aiuti quindi a dare consapevolezza delle nostre capacità a prescindere da come ci vedono tutti renderebbe il nostro vivere più sereno, che non è tutto finito o meglio che non deve continuare per sempre nella maniera di sempre ma c’è sempre il modo per rialzarsi se si fa assieme, con una guida sapiente e paziente.
Un’altra idea che secondo me vale la pena sottolineare è l’analogia della coltivazione con la ripresa sociale: coltivare valori e non pregiudizi, mettere le radici su terreni fertili di buone azioni e risorse preziose per rendere il futuro meno amaro e forse più radioso, far sbocciare nuove culture basate sulle inclusioni e non sui confini.
Noi stessi abbiamo creato dei paletti fatti di regole e determinazioni, perché ci rende più ordinati o abbiamo paura del confronto. Ma non è incredibile quanto in realtà l’umanità, il rapporto tra individui siano legati in maniera indissolubile alla natura circostante non solo per il luogo che condividiamo ma anche per le caratteristiche che renderebbe armoniosa la convivenza?
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EDUCAZIONE ALLA SOSTENIBILITÀ NEL MONDO DISNEY
di Silvia Mariani
Iclassici Disney sono stati da più parti definiti come “tesori senza età”.
Questi cartoni animati hanno la capacità di farci emozionare, ridere, commuovere, coinvolgere e riflettere.
E ciò non vale solo per i bambini, per lo più incantati e meravigliati davanti alle diverse situazioni rappresentate dalla Disney. Gli adulti, che si trovano a guardare, magari dopo anni, gli stessi film d’animazione, colgono dettagli e morali “nascoste” invisibili e impercettibili, almeno in buona parte, agli occhi dei bambini, senza peraltro mai annoiarsi
La scoperta infinita dei messaggi lanciati dall’animazione Disney, si verifica perché cambia la prospettiva? Oppure perché, per dirla con le parole di Walt Disney, “anche il peggiore di noi ha in sé dell’innocenza, per quanto possa essere sepolta nel suo profondo”?
Non so quale sia la risposta.
Certo è che riguardare i classici Disney con una dose di maturità alle spalle, consente di enucleare una infinita ricchezza di insegnamenti che non sono mai né banali né scontati.
Pure dai fatti più tragici raccontati da queste opere d’arte è possi-
bile percepire sentimenti positivi: basti pensare alla morte di un genitore, spesso riportata nei cartoni animati Disney, rispetto alla quale emerge sicuramente un momento drammatico ma che, dall’altro lato, impartisce la profonda lezione della giostra della vita che segue (e deve seguire) il suo corso, nonostante il passato possa far male, senza mai dimenticare le proprie responsabilità e le proprie radici.
Ma i messaggi nascosti della casa d’animazione più famosa al mondo sono anche di altro tenore: andare oltre le apparenze, come insegna Belle ne “La bella e la bestia”, cercando la vera bellezza nel cuore; la capacità di superare i propri limiti, anche rischiando un po’ di più, per ottenere risultati che sembrano irraggiungibili, come accade al minuto Semola ne “La spada nella roccia”.
Come non ricordare, poi, i valori dell’accoglienza, dell’aiuto e della collaborazione trasmessi dai piccoli e grandi 101 dalmata de “La carica dei 101”.
Insomma, i film d’animazione Disney sono in grado di coinvolgere e di appassionare tutte le fasce d’età della società civile, tramandando messaggi di enorme impatto sociale idonei a influen-
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zare le generazioni future, fungendo da moderni filosofi anche per i più piccoli.
A tal riguardo, non può sfuggire il grande impegno che la casa Disney ha messo in campo con riferimento alla sostenibilità e alla tutela dell’ambiente e degli ecosistemi, sia pure in maniera diversa e più o meno esplicita.
Secondo il professore dell’Università di Cambridge, David Whitley, la produzione disneyana è intrisa, sin dalle origini, di forti messaggi ecologici. Nella sua pubblicazione “The idea of Nature in Disney Animation”, infatti, il professor Whitley sostiene che i classici della più celebre casa d’animazione al mondo abbiano provato a trasmetterci l’amore per l’ambiente, inviandoci messaggi fondamentali sul rapporto uomo-natura.
Il metodo seguito dalla Disney a tal fine non sembra, però, potersi inquadrare tra i classici sistemi educativi che puntano allo sviluppo e all’investimento tecnologico. L’obiettivo pare, piuttosto, quello di cambiare il modo in cui l’uomo si rapporta al mondo naturale e agli altri organismi. Non viene, infatti, mai elaborata una sceneggiatura focalizzata direttamente sul tema.
In ogni rappresentazione in cui si affronta, anche sullo sfondo, la problematica della sostenibilità e della tutela dell’ambiente, sono proprio le caratteristiche e le storie dei singoli personaggi, raccontate in chiave quasi sempre ironica e divertente, e le emozioni che riescono a comunicare gli stessi, a fornire l’input per modificare la prospettiva nelle relazioni con il mondo che ci circonda. In buona sostanza, la struttura dei cartoni animati Disney permette di affrontare argomenti complessi e sui quali difficilmente intendono esporsi (anche politicamente) registi e autori vari, concedendo una lettura più leggera, senza tuttavia mai rinunciare a uno spazio per profonde riflessioni. Detto diversamente: con gli strumenti che ha a disposizione, la Disney riesce a smuovere la sensibilità dell’osservatore, innescando nel medesimo un meccanismo che lascia il segno.
Esaminando quattro dei cartoni animati che più hanno attirato la mia attenzione sul punto, mi sono resa conto di quanto siano diverse persino le finalità perseguite dagli autori della Disney. Partendo dal primo, “Bambi”, il piccolo cerbiatto deve affrontare
la perdita della madre in tenera età, in un contesto dove viene messo fortemente in evidenza l’impatto dell’uomo sull’ambiente naturale. Senza espliciti riferimenti, infatti, Bambi e tutti gli altri abitanti della foresta risultano essere costantemente minacciati dall’uomo – cacciatore, che invade un mondo dove regna armonia e gioia.
Il cerbiatto è costretto a fuggire più volte, insieme all’intera comunità del bosco, a causa dell’uomo – cacciatore che colpisce e uccide la sua mamma e che appicca l’incendio nella foresta, disinteressandosi completamente degli effetti dirompenti sui suoi abitanti.
“Bambi” non lascia indifferente il pubblico, soprattutto per il modo, a tratti violento, di palesare la perenne lotta tra uomo e natura, da sempre alla ricerca di un equilibrio.
Equilibrio che, invece, è ben presente nel messaggio che intende lasciare “Il re leone” nel quale è centrale il rispetto della posizione di ogni creatura vivente nella catena alimentare. Chi si occupa di vigilare affinché questo delicato equilibrio venga rispettato è il leone, da sempre considerato indiscusso sovrano della foresta e degli animali.
Estremamente significativo sotto tale profilo è il discorso inziale che Mufasa, il re, padre di Simba, fa a suo figlio:
Mufasa: “Tutto ciò che vedi coesiste grazie a un delicato equilibrio. Come re, devi capire questo equilibrio e rispettare tutte le creature, dalla piccola formica alla saltellante antilope”.
Simba: “Ma papà, noi non la mangiamo l’antilope?”
Mufasa: “Sì, Simba, ma lascia che ti spieghi: quando moriamo i nostri corpi diventano erba, e le antilopi mangiano l’erba. E così siamo tutti collegati, nel grande cerchio della vita”
Dalle parole di Mufasa emerge una lezione al figlio di educazione alla sostenibilità; emblematico è il riferimento al cerchio della vita, richiamato dalla colonna sonora del cartoon nella canzone composta da Elton John e Tim Rice, interpretata nella versione italiana da Ivana Spagna.
Il messaggio ecologico della Disney ne “Il re leone” è veicolato attraverso la celebrazione dell’equilibrio naturale, distrutto, non a caso, da un altro leone, Scar, fratello di Mufasa che, per bramosia
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di potere, uccide Mufasa costringendo Simba a fuggire, impadronendosi del regno dei Leoni con l’aiuto delle iene.
È da questo passaggio del cartoon Disney che emerge la netta contrapposizione tra il regno di Mufasa, in cui si conservano le risorse permettendogli di rigenerarsi e quello delle iene, che mettono in atto uno sfruttamento brutale e indiscriminato dell’ambiente.
Dunque, “Il re leone” non colpisce soltanto per la tenerezza di Simba che, ritrovato il coraggio e cresciuto con Pumbaa e Timon (che, in linea con la politica Disney, con ironia e leggerezza trasmettono un profondo rispetto per la struttura della catena alimentare), torna a ristabilire l’ordine nel proprio naturale e originario regno, ma anche per la ricchezza di significati sulla tematica dello sviluppo sostenibile, rappresentando la perfetta dicotomia tra chi è in grado di mantenere le risorse ambientali e chi, al contrario, intende soltanto sfruttarle per il proprio tornaconto, disinteressandosi delle devastanti conseguenze per le generazioni future.
L’etica dell’ambiente e i riferimenti più diretti all’azione umana che impatta negativamente sulla natura sono, invece, evidenti nei cartoni animati più moderni, “Alla ricerca di Nemo” e “WALL•E”.
Nel primo, la casa Disney decide di rappresentare la bellezza del mondo subacqueo e dei viaggi migratori degli animali nell’oceano, interrotti da diverse intrusioni del turismo contemporaneo. L’uomo descritto nel cartoon “Alla ricerca di Nemo”, meno violento ma probabilmente più provocatorio dell’uomo-cacciatore nella foresta di Bambi, riveste i panni del pescatore, dell’amante degli sport subacquei e del turista.
Le scene più rilevanti sono infatti: quella che rappresenta i pesci catturati nella rete dei pescatori impegnati a nuotare tutti insieme verso il fondo (in ossequio alla lezione impartita da Branchia a Nemo, il protagonista) per liberarsi, quella del sub che, convinto di salvare un pesce, lo rinchiude in un acquario – privandolo del suo habitat naturale – e quella del turista che utilizza il flash della macchina fotografica che spaventa e stordisce Marlin, papà di Nemo.
Insomma, senza alcuna aspra critica o aperta denuncia, gli autori con tale opera hanno evidenziato come la presenza dell’uomo (nelle particolari vesti individuate nel cartone animato), ormai connaturata alla realtà dell’oceano, diventi ingombrante in alcune situazioni. Senza rendersene conto e senza alcuna mala fede, l’ignoranza umana finisce per diventare una delle minacce più evidenti per l’oceano e per i suoi abitanti.
Una critica meno velata ed estremamente realistica emerge, invece, nel più moderno dei film d’animazione presi in considerazione in questa mia breve analisi.
Il protagonista WALL•E è, infatti, un robot che, inserito in un’epoca futura altamente tecnologica, viene lasciato quasi completamente solo a ripulire il pianeta Terra, ormai invaso dai rifiuti e divenuto inospitale proprio per colpa della spazzatura accumulata dagli uomini.
Tramite un’amara quanto sottile ironia sulla società moderna, WALL•E, in un contesto in cui gli uomini risultano incapaci a essere autonomi poiché integralmente dipendenti da robot multifunzione, che risparmiano ai medesimi la “fatica” anche di camminare, intende fornire il quadro che ci attende senza uno sviluppo sostenibile delle risorse, sempre più sfruttate in maniera selvaggia.
In conclusione, al contrario di chi tende a sminuire la grandezza dei cartoni animati della Disney considerandoli scontati, ritengo che gli stessi abbiano il merito di aver notevolmente inciso sulla nostra educazione ambientale.
A suo modo, ogni rappresentazione Disney contribuisce a spiegare ai bambini il concetto di sviluppo sostenibile e induce, al contempo, gli adulti a riflettere, in maniera sempre più approfondita, sugli obiettivi fissati nell’Agenda 2030 dell’ONU (definita da Ban Ki-moon, Segretario Generale delle Nazioni Unite dal 2007 al 2016, come un’agenda “per le persone, per sradicare la povertà in tutte le sue forme, un’Agenda per il Pianeta, la nostra casa”) che rendono urgente il confronto su temi centrali, quali la lotta contro il cambiamento climatico, la tutela della biodiversità, il consumo responsabile e le energie pulite.
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YUKA – ANALIZZARE LA NOSTRA SPESA PER LA NOSTRA VITA di Leonardo Tiene
Ormai da quando lo smartphone esiste, le app all’interno ci hanno permesso di rendere sempre più versatile il nostro modo di vivere la tecnologia, il sapere e la vita stessa.
Ci sono infinite applicazioni in grado di intrattenerci, capaci di darci nuove visioni del mondo o addirittura farci accedere in maniera semplice e veloce a intere librerie, ampliando la nostra conoscenza o, spesso, confonderla con informazioni poco chiare o per nulla complete. Ma quest’ultimo è un altro discorso.
Oggi parliamo di un “nuova” app, creata nel 2017 da due fratelli e che ad oggi ha raggiunto più di 10 milioni di download. Stiamo parlando di YUKA, il sistema smart e gratuito che nel caso non siate tra i tanti ad averlo scaricato, cambierà la quotidianità delle vostre giornate.
Ma andiamo con ordine: che cosa ci permette di fare l’app?
Fondamentalmente possiamo scannerizzare il codice a barre di milioni di prodotti e in pochi secondi l’app ci fornirà informazioni sulla composizione, tossicità e sostenibilità dell’alimento.
Recentemente hanno anche inserito un database sui cosmetici o per la cura personale del proprio corpo, sempre in grado di rispondere alle informazioni più importanti sulla bontà dei prodotti.
Il tutto viene sempre riassunto con un voto finale che va dallo 0 al 100 e le informazioni precedenti vengono sempre riportate con le fonti scientifiche più attuali.
Inoltre, ciascun prodotto non può essere “sponsorizzato”, ossia che nessun brand può spingere per rendersi appetibile con voti più generosi nei suoi confronti per posizionarsi meglio rispetto ai competitors.
Una delle domande che però potrebbero venire a minare tutto questo potrebbe essere: quanto è attendibile quello che ci comunica? Perché ad un certo punto della nostra vita, invece che basarci sulla nostra esperienza o educazione, dovremmo fare affidamento ad un programma nato solo nel 2017?
L’applicazione Yuka fa della sua attendibilità la sua ragion d’essere, la precisione con cui i dati vengono analizzati è il principale valore che può essere offerto agli utenti.
Spesso ci viene chiesto, “su cosa si basa l’app Yuka?”: la risposta è più semplice di quanto possa sembrare, perché tutto il lavoro svolto dall’App si basa sull’analisi oggettiva del contenuto dei diversi prodotti, partendo dagli ingredienti, passando per gli additivi e tutti gli altri elementi che compongono il prodotto finale. Un’altra curiosità che è stata spesso espressa è “chi c’è dietro Yuka App?”: anche in questo caso, la risposta è più banale di quanto si possa immaginare, perché questa applicazione è stata fondata nel 2017 due fratelli, Benoit and François Martin, insieme all’amica Julie Chapon, partendo da un’esigenza di chiarezza personale. Nel giro di pochi anni l’applicazione è riuscita ad ottenere una distribuzione molto più rilevante, conquistando anche molti altri paesi europei.
L’applicazione Yuka viene considerata una delle migliori in assoluto sul mercato per recuperare questo tipo di informazioni e per poter fare una valutazione oggettiva di ciò che si compra.
Con oltre tre milioni di scansioni di codici a barre ogni giorno Yuka ha sicuramente riscosso in breve tempo grande successo. Un successo a nostro parere meritato visto l’utilità del servizio, l’affidabilità delle valutazioni, e la semplicità dell’interfaccia.
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LEGGE DI BILANCIO 2023: I PRINCIPALI PUNTI IN MATERIA FISCALE dell’Avv. Simone Facchinetti
La Legge di Bilancio prevede per il 2023 misure economiche per 35 miliardi di euro. Al netto dell’ammontare complessivo della manovra, 21 miliardi di euro sono stati stanziati per interventi contro il caro energia (circa il 60%) e ulteriori 4 miliardi di euro per finanziare il taglio del cuneo fiscale (circa il 12%); i restanti 10 miliardi sono stati predisposti al fine di sostenere ulteriori interventi economico-finanziari, tra cui la Flat tax per il lavoro autonomo e la tregua fiscale.
Nello specifico, per quanto riguarda i privati cittadini, la Legge di Bilancio 2023 innalza all’80% l’indennità per il congedo parentale ad entrambi i genitori e, sul fronte pensioni, conferma la possibilità di accedere alla pensione anticipatamente con 41 anni di contributi e 62 anni di età anagrafica (cd. Quota 103). Altresì, per i lavoratori dipendenti, è stato previsto uno sgravio fiscale (con aliquota al 5%) in ordine ai premi produttività fino a 3.000 euro e, come anticipato ampiamente dagli organi di stampa, dal 1° gennaio scorso è stata innalzata la soglia per l’uso del contante (da 1.000 a 5.000 euro). Da ultimo, al fine di favorire l’acquisto di immobili da parte dei giovani, è stata prorogata anche per il 2023 l’agevolazione per l’acquisto della prima casa per gli under 36. Per quanto riguarda le imprese, invece, è stata rifinanziata la misura riguardante l’acquisto di beni strumentali (cd. “Nuova Sabatini”), ovvero quell’agevolazione già messa a disposizione
nelle annualità precedenti con l’obiettivo di facilitare l’accesso al credito delle imprese e accrescere la competitività del sistema produttivo del Paese. Tale agevolazione per le imprese sostiene gli investimenti per acquistare o acquisire in leasing macchinari, attrezzature, impianti, beni strumentali ad uso produttivo e hardware, nonché software e tecnologie digitali. Sono state altresì prorogate al 2023 le agevolazioni in favore delle imprese localizzate nel Mezzogiorno e nelle Zone economiche speciali. In ordine alla tanto discussa misura economica del cd. Superbonus, invece, a decorrere dal 1° gennaio 2023, il bonus sarà rimodulato dal 110% al 90%.
Per ciò che attiene alle misure fiscali, la Legge de quo prevede plurime misure di sostegno ai contribuenti, tra le quali spicca indubbiamente la cd. tregua fiscale, la quale si pone, tuttavia, in netta contraddizione con la parte strutturale delle raccomandazioni sulle quali si fondavano le precedenti Leggi di Bilancio (così come il predetto innalzamento del tetto del contante). Ciò nonostante, a partire dal 31 marzo 2023 è concessa la cancellazione delle cartelle esattoriali che presentino importi non superiori a 1.000 euro, risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2015. Parimenti, i contribuenti potranno accedere alla rateizzazione quinquennale dei pagamenti fiscali non effettuati nel 2022 senza aggravio di
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sanzioni e interessi. Prevista, da ultimo, una sanzione ridotta del 3% sui debiti del biennio 2019-2020. Di particolare importanza risulta poi essere l’inserimento di una Flat tax incrementale (al 15%) per i lavoratori autonomi con una franchigia del 5% e un tetto massimo di 40.000 euro. A livello pratico, tale misura permetterà ai lavoratori autonomi e titolari di partita Iva di pagare per il 2023 un’aliquota fissa (il 15%) sull’incremento dei propri ricavi, cioè sui ricavi in più rispetto agli anni precedenti. Nello specifico, infatti, i contribuenti (non appartenenti al regime forfetario) potranno applicare un’imposta sostitutiva del 15% su una base imponibile, pari alla differenza tra il reddito d’impresa e di lavoro autonomo determinato nel 2023 e il maggiore reddito dichiarato nei tre anni precedenti, ridotta di un importo pari al 5% di tale ultimo ammontare. Riducendo ai minimi termini la misura analizzata, fornendo così un esempio pratico della sua applicazione concreta, si consideri un lavoratore autonomo che abbia realizzato nel 2020 un reddito di 50mila euro, nel 2021 di 100mila euro e 75mila nel 2022. Qualora nel 2023 realizzerà un fatturato di 125mila euro, pagherà una tassa ridotta sull’incremento di fatturato realizzato, determinato tenendo conto della differenza tra il fatturato 2023 (125mila euro) e il più alto dei fatturati realizzato nei tre anni precedenti (nel caso in esempio, i 100mila euro del 2021). La differenza (base imponibile) sul quale dovrà essere calcolato l’importo della Flat tax incre-
mentale è di 25mila euro. Sempre in tema di Flat tax, in tal caso con specifico riguardo ai contribuenti aderenti al regime forfettario, è stata prevista l’estensione della soglia di tale regime a 85mila euro con una tolleranza estesa fino ai 100mila euro. Tuttavia, in caso di superamento del precedente tetto massimo è prevista l’immediata cessazione degli effetti dell’agevolazione (cd. Clausola antielusione).
Di assoluta novità e di estrema importanza, soprattutto per i numerosi investitori del settore, nasce la tanto auspicata disciplina fiscale per le criptoattività, che permette di eliminare quel velo di incertezza che aleggiava intorno a dette attività di investimento. Con l’inizio del nuovo anno, dunque, le plusvalenze e i proventi realizzati tramite criptovalute, che presentino un valore non inferiore complessivamente a 2mila euro, sono ricondotte, a livello di dichiarazione fiscale, alla categoria dei redditi diversi. Tuttavia, è stato parimenti previsto che le componenti positive e negative, frutto dalla valutazione delle cripto-attività, non concorrano alla formazione del reddito ai fini IRES e IRAP. Più nel dettaglio, per ciò che attiene al calcolo inerente alla tassazione delle operazioni su cripto-attività, deve essere considerato il valore di acquisto di quest’ultime possedute alla data del 1° gennaio 2023 a condizione che il predetto valore sia assoggettato ad una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, nella misura del 14 per cento.
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A sx: l’Avvocato Simone Facchinetti
In basso: lo staff dello Studio Legale Facchinetti
LESS IS MORE – NON UN CLICHÉ MA UNO STILE DI VITA di Valeria Savoia
Quando parliamo di minimalismo come stile di vita parliamo di un modo di intendere l’esistenza in maniera profonda e significativa, tralasciando tutto il superfluo. La società odierna è orientata al consumo, alla fruizione di beni materiali, spesso non essenziali; l’apparire vale più dell’essere e i social sono lo strumento per eccellenza per ostentare ciò che si pensa possa essere un comune oggetto del desiderio: piatti gourmet, vacanze, divertimenti. Il minimalismo come filosofia di vita comporta andare oltre le apparenze per cogliere i valori che rendono autentica la nostra esistenza e soprattutto il nostro vissuto; significa andare oltre la superficialità dell’apparire per individuare ciò che davvero conta, senza condizionamenti. Il minimalismo, infatti, non si applica solo agli oggetti materiali, ma agli impegni che assumiamo, alle persone che frequentiamo, al modo in cui trascorriamo il tempo libero. Essere minimalisti significa vivere in maniera consapevole, ponderando accuratamente le scelte e selezionando in modo oculato ciò che merita di far parte della propria vita e cosa no.
La vita, che dir si voglia, è fatta di routine, di piccoli gesti quotidiani che si susseguono. Acquisire delle abitudini minimaliste e salutari migliora considerevolmente la propria vita perché semplifica il modo in cui viviamo. Nel partico, però, quali sono le abitudini di una vita minimalista?
1. Praticare decluttering, sia mentale che pratico. Innanzitutto, per uno stile di vita sereno, è necessario il declutte-
ring mentale. Ogni giorno siamo infatti esposti a una marea di pensieri continui: problemi e preoccupazioni che ci attanagliano e ci impediscono di vivere una vita semplice. Quello che le abitudini minimaliste consentono di fare è di evitare i pensieri nocivi e futili, lasciando spazio a ciò che conta veramente. A volte è necessario fare decluttering dei pensieri e buttare ciò che va buttato. Fondamentale poi è anche il decluttering pratico, in particolare si consiglia quello semestrale. Bastano un paio di volte all’anno per fare il punto della situazione e lasciar andare le cose e gli oggetti inutili in modo da semplificare il proprio stile di vita e sapere quali sono le cose che contano davvero e quali quelle di cui si può iniziare a fare a meno.
2. Non dipendere dall’opinione altrui.
Fare quello che si vuole – quello che si giudica essere meglio per sé – ignorando il pensiero comune o di altre persone che magari nemmeno si conoscono realmente, rende felici e appagati di se stessi senza stress inutili. Questa abitudine cambia la vita in modo sorprendente poiché non appena si impara a non pensare all’opinione altrui si riesce a vivere una vita autentica ed a fare scelte dettate dalle preferenze e dai bisogni personali. Quante volte vi è capitato, dinanzi ad una decisione, di avere davanti mille persone a dirvi “No, sarebbe meglio questo, quello, quest’altro…”, ognuno con la propria idea, la propria esperienza ed un’opinione non richiesta pronta a mettervi confusione? La voglia di urlare un sonoro “Ma chi te lo ha chiesto?” in situazioni simili è molto
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forte; tuttavia, l’arma più potente alla fine è proprio la capacità di ignorare tali osservazioni e di rimanere impassibili davanti ad esse. Ricordate: i fatti della pentola, li sa solo il cucchiaio. Solo voi sapete cosa è meglio per voi stessi. Una cosa è accettare consigli (richiesti), un’altra è soccombere all’altrui opinione. Siate padroni di poter dire che è stata colpa vostra se avete sbagliato e merito vostro in caso di successo. Decidete per voi stessi e per la vostra vita.
3. Possedere pochi vestiti.
Quante volte vi siete trovati davanti all’armadio aperto a chiedervi cosa mettere? In realtà questa è una vera e propria perdita di tempo oltre che di energie. Pensare meno ai vestiti, ad acquistarli e a come cercare la combinazione migliore semplifica la vita. Avere troppi abiti significa occupare non solo uno spazio fisico ma anche uno spazio mentale. Piuttosto optate per pochi capi basic da poter abbinare in più modi, aumentando il tempo ed il denaro disponibili e diminuendo lo stress. In sintesi, si tratta di scegliere una sorta di “uniforme” e avere un dress code minimale da poter intercambiare. La cosa importante è scegliere degli abiti che siano comodi e adatti a più occasioni, creando così un guardaroba funzionale. Capsule wardrobe significa infatti avere un numero (limitato) di vestiti facilmente abbinabili tra loro e intercambiabili appartenenti ad una palette di colori – con i quali poter creare un certo numero di outfit
4. Restare in silenzio
Può sembrare strano da dire ma risparmiare sulle parole è importante. Fare troppi discorsi per riempire il vuoto non porta a nulla. Restare in silenzio di tanto in tanto e ascoltare è invece un’abitudine proficua e piacevole. Se si adotta questa abitudine con semplicità sarà possibile scoprire che le persone hanno piacere di passare il tempo con voi e ne potrete guadagnare in salute mentale e relax.
5. Interrogarsi.
Dialogare con se stessi, farsi domande circa le proprie azioni ed emozioni è incredibilmente benefico e dovrebbe essere alla base di una vita sana ed equilibrata per la propria mente. Spesso ci si trova a compiere delle azioni senza pensare a quello che si sta facendo o ai motivi per i quali si fanno. Può capitare per esempio quando si mangia per abitudine e non per vera fame, oppure quando si sta acquistando un abito senza che ve ne sia bisogno e ci piaccia. Fermarsi a chiedere ogni tanto perché compiamo certi gesti può migliorare sensibilmente la nostra attitudine nei confronti della vita. Questo atteggiamento consente di uscire dalle abitudini che non ci piacciono o che sono malsane semplificando la propria vita. Attenzione: non si tratta di giudicarsi, di dirsi “Non dovresti fare/provare questo ma quell’altro”, semplicemente si tratta di capire se stessi e le motivazioni che stanno dietro al modo in cui affrontiamo la vita. Comprese le motivazioni, comprenderemo anche come cambiarle nel caso in cui alcuni lati del nostro essere non ci piacciano e non ci facciano stare bene. Lavorare su se stessi non è solo possibile ma essenziale.
6. Fare to-do list.
Quest’abitudine è un must per aumentare la propria produttività e liberare la mente. Stilare una lista delle cose da fare la sera prima per il giorno dopo, oppure per la nuova settimana aiuta a or-
ganizzarsi, non perdere tempo e sapere sempre cosa c’è da aspettarsi. La to-do list aiuta anche a capire quante attività si possono portare avanti e a prendere dei nuovi impegni in base all’agenda.
7. Iniziare a dire NO.
Semplificare la vita e stare bene è anche sinonimo di dover rinunciare a qualcosa. Dire di no a incontri o appuntamenti in cui non si ha veramente interesse, dire dei no a delle collaborazioni o richieste di lavoro, anche se questo vuol dire perdere alcune opportunità. Tra le abitudini minimaliste migliori vi è sicuramente quella di imparare a selezionare le priorità dalle cose.
Ma veniamo ora a parlare dei benefici di questo stile di vita, che cercheremo di sintetizzare di seguito.
Innanzitutto, si è circondati da cose belle che ti piacciono veramente. Quando si fa decluttering e si lasciano andare cose superflue, ciò che resta è ciò che piace veramente. Avete presente quando un cassetto è sempre in disordine e per quanto lo mettiate a posto è comunque tutto sotto sopra? Questo accade perché ci sono troppe cose in quel cassetto e non importa quanto tempo si passi ad ordinarlo, non sarà mai realmente in ordine perché appena avrai bisogno di una cosa diventerà di nuovo un caos. Lo stesso vale per la vita in generale: meno cose abbiamo, meno problemi abbiamo e da qui risulta più tempo per la nostra vita vera, per goderci i nostri spazi, le persone vicino e la vita stessa senza perderci tra un oggetto e un altro. Avere meno per vivere meglio – per questo – Less is More
Conseguentemente a quanto appena detto, in una vita minimalista si utilizza veramente tutto ciò che si ha e lo si apprezza maggiormente. Con il minimalismo, infatti, si comprende che la felicità non dipende da ciò che possiedi, poiché i soldi possono comprare la comodità, ma non la felicità.
Ancora, non si percepisce più il bisogno smanioso di avere sempre qualcosa e quando accade ci si interroga domandandosi se davvero quella cosa sia necessaria (spoiler: spesso non lo è affatto).
Queste “rinunce” salutari fanno sì che si abbia molto più spazio libero in casa. Chi ha detto che dobbiamo per forza mettere qualcosa in ogni angolo, su ogni mensola, in ogni cassetto, su ogni parete vuota? Lo spazio libero è bello – ed è una cosa a sé – non è spazio vuoto, è spazio libero, e non dev’essere riempito con nulla. Conseguentemente, la casa e gli spazi sono ordinati senza troppa fatica e lo spazio libero attorno a noi crea spazio libero anche all’interno della nostra mente e ci rende più rilassati.
Infine, ma non per importanza, il minimalismo aiuta a risparmiare. Saper calibrare le entrate e le uscite è essenziale per riuscire a vivere bene, ma non basta: è necessario assumere un atteggiamento mentale specifico, poiché ogni cambiamento parte innanzitutto dalla nostra mente. Quando si parla di minimalismo si parla anche di un approccio al denaro e alla vita completamente diverso dal consueto, che permette di aiutarci a mettere da parte qualcosa senza dover fare sacrifici pesanti. Minimalismo, infatti, vuol dire non confondere i bisogni con i desideri, godere di ciò che si ha, informarsi ed eliminare gli acquisti impulsivi. È facile calcolare quanto beneficio abbia sul nostro risparmio un simile atteggiamento.
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NON TOGLIETE QUELLA MASCHERINA
Un vecchio detto ricorda come la fretta non possa mai andare d’accordo con la precisione. Subito e bene sono eccezioni legate ad una bravura straordinaria o alla casualità. Tale assioma lo possiamo abbinare a tante abitudini o azioni della nostra quotidianità. Per esempio, la parola fretta non sempre può stare in perfetta armonia con sana alimentazione. E quando parliamo di sana, ci riferiamo alla nostra salute. Oggi però noi siamo donne ed uomini moderni, impegnati sistematicamente a non “perdere tempo” nel porci interrogativi sulla qualità di ciò che mangiamo. Spesso ci accontentiamo di cibi pronti o facili da preparare. Ci siamo scrollati cioè di dosso la naturale esigenza di guardare scrupolosamente sotto al piatto dove mangiamo o all’interno dei cartocci di carta oliata che avvolgono i nostri panini occasionali. A volte nemmeno il prezzo riesce ad averla vinta sul tempo di consumazione. L’abbondanza poi e la ricchezza di sapori fanno la differenza. Le mense, gli snak bar, le cosiddette “Tavole Calde”, che di caldo hanno solo il fumo acre ed acidulo che fuoriesce da improvvisati cucinotti, sono il palcoscenico dei nostri fugaci consumi. Nelle maneggevoli e meno impegnative bustine, falsamente stipate con olio, aceto, zucchero, sale e pepe, ma vuote di romantica ed atavica gestualità, va visivamente a materializzarsi l’altezzoso desiderio della concisione e della sinteticità. E in questo palcoscenico di modernità, destreggiano come istrioni da oscar, i vassoi e le posate di plastica, i tovaglioli e i bicchieri di carta, le alterazioni microbiche, le contaminazioni, i microrga-
DETTO TRA NOI... di Sergio Grifoni
nismi patogeni. Abitudini e cibi privi di vita, che portano alla opportunità di fare una inversione rispetto alla generalizzata cultura alimentare. Occorre cioè ritagliarsi il tempo necessario per prestare più attenzione alle diverse qualità e proprietà dei prodotti che consumiamo, che non significa ricercatezza, ma genuinità. Se nel serbatoio della nostra automobile, ogni giorno versiamo carburante sporco, prima o poi il motore ne risentirà. Anche se è quello di una Ferrari o di una Porsche. Inoltre non possiamo immettere carburante nel serbatoio di un auto in movimento perché, non potendocene versare una giusta quantità, prima o poi, l’auto si fermerà. Ecco perché le nostre cattive abitudini alimentari possono portare a malattie, anche croniche. Non sono un medico, non sono un dietista, non sono un fanatico della giusta alimentazione (anzi!!!) e quindi, non sono nelle condizioni di dare lezioni ad alcuno. Anche perché mi capita spesso di vivere in prima persona le situazioni su descritte. Sono però un inguaribile ficcanaso, che è la caratteristica più gretta della curiosità.
Il curioso cerca la risposta; il ficcanaso se la va a cercare. Mentre scrivo, sono rilegato in quarantena per via del Covid. Devo seguire un ferreo regime alimentare e lo farò, perché ho già in me l’unico integratore che non mi è stato prescritto: la paura. Non ho nemmeno fretta, visto che, nelle mie condizioni, non è il tempo che passa, ma sono io che devo passare il tempo. Ed allora
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sono andato a “ficcanasare” fra le righe di coloro che ti dicono, per mestiere e capacità, quali sono gli alimenti più appropriati per non far fermare o rallentare il motore della vita. I più semplici, sono quelli più idonei. L’ho sempre saputo, ma non ne ero consapevole.
Vi riporto alcune curiosità legate alle loro proprietà che, magari, non tutti conoscono.
Partiamo dai cereali, nome che deriva da Cerere, dea latina delle messi. Pensate, da soli potrebbero fornire un terzo dell’alimentazione necessaria. Prendete per esempio il grano. Produce farina per il 75% e cento kg. di farina producono 130 kg. di pane. La proteina del grano è il glutine che abbonda in quello duro, insieme alle proteine, ai lipidi, ai carboidrati. Se il frumento viene macinato a pietra, queste qualità restano invariate perché la farina non si surriscalda. Si ottiene così farina integrale che, dietro particolari manipolazioni di setacciamento, si sbianca. Non meno importante è l’orzo, per le sue proprietà utili all’igiene intestinale, digerente ed urinario. Poi c’è il farro. I legionari romani portavano con se dei sacchetti di questo cereale nelle lunghe campagne di guerra. Era l’alimento protetto da Cerere e, per questo, era ritenuto il chicco della potenza.
Lo stesso Reinhold Messner se n’è portato dietro una scorta durante la traversata a piedi dell’Antartide. Contiene calcio, fosforo, ferro, vitamina B, magnesio. Infine c’è l’avena. Immagino che iniziate subito a pensare al cibo per cavalli. I suoi fiocchi, invece, se regolarmente consumati, stimolano il metabolismo, la funzione tiroidea e aumentano la resistenza al freddo, contenendo l’8% di sostanze grasse. Diventeremo purosangue!
Altra categoria degli alimenti semplici e sani, sono certamente i legumi. Si chiamano così perché appartengono alla famiglia delle papillionacee (dal francese papillon) grazie al loro fiore che ricorda la forma di una farfalla. Il primo legume della storia, è stato il “pisello odoroso”, coltivato inizialmente nell’Estremo Oriente, prototipo ardimentoso dell’intera categoria, ovvero: fagioli, ceci, cicerchie, fave e lenticchie. Queste ultime sono entrate anche nel versetto 34 della Genesi, con Giacobbe che per un loro piatto ven-
dette addirittura la primogenitura al fratello minore. Hanno un tasso elevato di proteina, che arriva al 23%; abbondano di ferro e fosforo, e possono facilmente sostituire la carne. Ne bastano un chilo per sfamare dodici persone. Un pastore saggio delle mie montagne, diceva che si può sopravvivere per un lungo periodo avendo solo due alimenti: pane e olio. L’olio può essere di oliva o di semi. Sul primo ritengo che tutti siano sufficientemente informati, mentre per quanto riguarda il secondo, bisogna risalire al tempo dell’ultima guerra mondiale per trovare le prime pratiche di estrazione di olio da semi. Lo si può fare a freddo, con resa del 30% circa, oppure a caldo con il raddoppio di resa. La qualità di quello estratto a freddo è però di gran lunga maggiore dell’altro, e questo perché le vitamine sono termolabili, ovvero scompaiono già a temperatura di quaranta gradi.
E per finire, ci sono le verdure o gli ortaggi. La cipolla, fa piangere per il suo olio volatile, ma aumenta la diuresi; l’aglio, è inodore ma, se lo apri, produce la caratteristica allicina dall’azione vermifuga e batteriostatica; il pomodoro maturo, ricco di vitamine, acido citrico e potassio; la patata, da non consumare insieme ai cereali, contiene vitamina C quasi come le arance; le carote, ricche di vitamina A; il carciofo, giunto in Italia nel 300, grazie alla sostanza amara chiamata Cynarina (da cui prese il nome un famoso amaro), agisce sulla secrezione della bile.
Ecco, potrei andare avanti ancora molto nella elencazione dei cibi cosiddetti sani e salutari, quelli cioè non manipolati con il preciso scopo di influenzare il nostro olfatto con l’ammiccante profumo, a discapito della genuinità. Qualcuno però mi chiederà: ma come faccio se tutto intorno a me è tavola calda e fast food? Semplice: cercate di selezionare il più possibile ciò che mangiate, mettetevi seduti per farlo e lasciate la fretta fuori dal locale.
Però, detto fra noi: se pensate di non avere questa volontà e questa determinazione, c’è un sistema estremo che funzionerà a perfezione.
Entrate con la mascherina messa e non toglietela per mangiare!
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LA LIBERTÀ DELLA DIVERSITÀ di Martina Campanelli
Le migliori risposte alle domande più difficili spesso arrivano dalla letteratura e alcuni dei temi sociali più attuali trovano proprio una rappresentazione incisiva e che suscita riflessione nella stessa, tra le pagine delle grandi opere del patrimonio letterario italiano e non; la letteratura ha permesso infatti all’uomo di trattare un’infinità di argomenti. Attraverso essa si ha la possibilità di ampliare la propria esperienza esistenziale acquisendo nuovi strumenti per far fronte alle sfide della vita reale: il fine delle opere letterarie è un po’ quello di aiutarci a vivere. Abbiamo deciso di affrontare quindi alcune tematiche sociali importanti e tipiche del nostro tempo, attraverso il colore del racconto letterario, senza cronaca di notizie specifiche dei nostri giorni ma con la loro rappresentazione data in alcuni testi e da cui si possono trarre spunti di confronto con il nostro presente e di riflessione.
In questo primo numero dell’anno parleremo del “diverso”, dal latino diversus, divertere cioè che non rientra in quelli che sono i canoni della normalità stabiliti dalla società.
“Ogni uomo è fatto in un modo diverso, dico nella sua struttura fisica. È fatto in un modo diverso anche nella sua combinazione spirituale.” Questo il pensiero espresso da Ungaretti ma molto spesso la Storia non guarda benevolmente alla diversità, forse perché difficile da gestire.
La diversità è un concetto che da un lato suscita timore e pregiudizio, dall’ altro presenta ricchezza e crescita. Viviamo in un mondo che ama definirsi tollerante ed egualitario nonostante aumenti sempre più la paura verso chi, per lingua, cultura religione e pelle è diverso e dove l’individuo tende ad uniformarsi alla massa, escludendo coloro che si differenziano.
La saggezza popolare sostiene che “le apparenze ingannano” eppure nel presente, come anche nel passato, le apparenze sono spesso il parametro di giudizio per etichettare una persona.
La paura che le differenze possono generare e il metro di giudizio delle apparenze sono impersonificate nel famoso personaggio nato dalla penna di Verga che però ha fatto della sua diversità la sua libertà. Rosso Malpelo aveva la gravissima colpa di essere nato con i capelli rossi, visti quasi come segno del demonio, di un’indole incontrollabile e pericolosa. I suoi capelli simboleggiano la sua estraneità e sembrano legittimare la persecuzione
sociale di cui ne è vittima; la sua diversità si riconosce in un particolare fisico, i suoi capelli rossi, in cui il popolo vede un segno di malvagità con la conseguenza della sua emarginazione sociale. Ma Malpelo ha compreso che la diversità può essere un valore, una lente attraverso cui guardare il mondo; come scrive Verga, «era avvezzo a tutto lui, agli scapaccioni, alle pedate, ai colpi di manico di badile, o di cinghia da basto, a vedersi ingiuriato e beffato da tutti, a dormire sui sassi, colle braccia e la schiena rotta da quattordici ore di lavoro […] Non si lamentava però». Anzi, con una profondità sconvolgente, diceva: «A che serve? Sono malpelo!» Dopo la scomparsa nell’oscurità della miniera in cui lavorava, una leggenda rimane a turbare le vite dei lavoratori della cava: che Malpelo risalga ogni tanto dalle profondità e mostri i suoi “capelli rossi e occhiacci grigi”. Non è un caso: la diversità fa estremamente paura e la superstizione è un efficace modo per non affrontarla.
Ma la vera libertà non risiede nel rifuggirla e nel rifugiarci nelle nostre convinzioni. Chi sperimenta la libertà autentica è proprio Malpelo che rimane saldo nella sua unicità. E anche nel momento più tragico, quello della morte, Malpelo sembra rifiutare di consegnarsi ai suoi carnefici, scomparendo nel nulla e lasciando di sé soltanto un ricordo, che prende vita come un monito verso un mondo che non lo ha mai piegato del tutto e che non ha saputo annullare la sua specificità.
Ma a volte la diversità può essere vissuta come una prigione, proprio come la corazza dello scarafaggio in cui si trasforma Gregor Samsa ne “Le Metamorfosi” di Kafka.
L’insetto in cui si trasforma Gregor e che lo imprigiona è una metamorfosi sia fisica che interiore; è la storia del diverso che vive nell’ isolamento in cui coloro che gli stanno intorno l’hanno relegato, un isolamento esteriore ed umano. È la storia di chi cerca affetto e calore da una comunità che lo respinge (rappresentata nel caso specifico dalla famiglia che lo ritiene responsabile, a causa della sua diversità, di tutte le sue disgrazie).
Solo il rispetto dell’altro permette a tutti gli uomini di sentirsi tali e di uscire dalle prigioni in cui sono confinati, siano esse ideologiche, concrete o esistenziali.
Nell’era dell’omologazione, vista come soluzione dell’esclusione, è invece l’accettazione della nostra ed altrui diversità a renderci liberi.
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GIARDINI IDROPONICI: INNOVAZIONE NEL SETTORE AGROALIMENTARE di
Davide Tremante
L’idroponica è una delle ultime innovazioni nel settore agroalimentare, si tratta di coltivazioni che non necessitano di terreno ma solo di acqua e soluzioni nutritive. Questo nuovo metodo risulta molto più sostenibile ed efficiente rispetto alle coltivazioni tradizionali in termini di spazio e rendita, ma non solo: non essendo coltivate a terra queste piante non necessitano di pesticidi o fertilizzanti e sì, avete capito bene, non sono coltivate a terra! Di fatti cresceranno con le radici immerse in acqua (acqua che viene arricchita con i nutrienti di cui la pianta necessita). Non tutte le piante si prestano a questo tipo di coltivazione alberi ed altre piante di grandi dimensioni, purtroppo, non possono beneficiare di questa tecnica innovativa ma finché si tratta di piccole piante questa tecnica consente di ottenere risultati incredibili, con tempi e sforzi di gran lunga inferiori rispetto alle classiche coltivazioni. Ma in che modo ci permette di risparmiare spazio? Semplicemente ci permette di coltivare in verticale, di fatto il tipico impianto idroponico si presenta sotto forma di “colonna” o a parete permettendo di coltivare fino a 25 piante (di piccole dimensioni) in un solo metro quadro.
Quali sono i vantaggi e le possibilità che offre nel concreto? Que-
sto nuovo metodo consente a chiunque, con una spesa minima, di cominciare a coltivare piccoli ortaggi a casa (ed è adatto anche a chi, come me, non ha esattamente il pollice verde) perché dovunque viviate, sia essa una regga o un monolocale, potrete munirvi di un impianto idroponico e cominciare a coltivare le vostre verdure in casa. Tra l’altro non necessitando di fertilizzanti, pesticidi o si tratta di prodotti biologici, privi di nichel e di altre sostanze derivanti dal suolo il che si traduce in una soluzione ottimale per tutte quelle persone che soffrono di allergie o intolleranze! In ogni caso quest’innovazione torna particolarmente utile a chi vive in luoghi come le città, dove lo spazio è limitato ma non vuole privarsi della possibilità di autoprodurre parte del suo consumo. Inoltre, i sistemi idroponici sono in grado di fornire una maggiore qualità dei prodotti agricoli poiché le piante crescono più velocemente e in modo più uniforme. Avrete quindi la possibilità di coltivare piccoli ortaggi ed erbe direttamente nel vostro salotto, tra l’altro alcuni modelli di impianti idroponici sono particolarmente gradevoli dal punto di vista estetico, diventando così anche un bell’elemento di design.
Esistono diversi tipi di sistemi idroponici, tra i più comuni trovia-
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mo sono i seguenti:
• Sistemi a circolazione forzata: in questo sistema, l’acqua nutritiva viene pompata costantemente attraverso un sistema di tubazioni per nutrire le piante. Questo è uno dei sistemi più efficienti in termini di consumo di acqua.
• Sistemi a goccia: in questo sistema, l’acqua nutritiva viene trasportata direttamente alle radici delle piante attraverso un sistema di tubazioni. Questo sistema è ideale per le piante che hanno una grande necessità di acqua.
• Sistemi a nebulizzazione: in questo sistema, l’acqua nutritiva viene nebulizzata sulla superficie delle piante. Questo sistema è particolarmente utile per le piante che non hanno bisogno di grandi quantità di acqua.
• Sistemi di flusso e riflusso: in questo sistema, l’acqua nutritiva viene pompata nella vasca e poi rifluisce nella vasca dopo essere stata utilizzata per nutrire le piante. Questo sistema consente di massimizzare l’efficienza della soluzione nutritiva. Ma come si compone un impianto di questo genere? Molto semplicemente avremo tre elementi: serbatoio dell’acqua, sistema di circolo e alloggi per le piante: Il primo ovviamente servirà ad immagazzinare l’acqua arricchita dai nutrienti prima che venga rimessa in circolo, il secondo a mettere l’acqua in circolazione tramite l’uso di una pompa mentre il terzo può avere forme diverse a seconda del dove e del come deve essere installato ma in genere è una struttura con dei “buchi” che andranno ad accogliere i vasi con le piante. Ovviamente non es-
sendoci terreno le piante necessiteranno comunque di una base in cui mettere radici, saranno quindi adagiate nella fibra di cocco o nell’argilla espansa che permetteranno alla pianta di assorbire tutti i nutrimenti di cui necessita.
Questa soluzione si dimostra veramente alla portata di tutti anche in termini di “competenza” non potrete dimenticarvi di annaffiare le piante, sbagliare terriccio o altro, dovrete solo occuparvi di mantenere il serbatoio pieno e, ogni tanto, aggiungere le sostanze nutritive e avrete i vostri prodotti direttamente in casa!
In conclusione, potremmo dire che questo metodo di coltivazione potrebbe aiutarci a risolvere innumerevoli problemi che purtroppo oggi sono all’ordine del giorno come lo sfruttamento delle risorse e del terreno; se riuscissimo a sfruttare questa nuova tecnica potremmo diminuire sensibilmente la superficie destinata al consumo alimentare e le risorse impiegate per mantenere le vaste aree agricole costantemente fertili e ricche di sostanze nutritive. Inoltre, seppure le piante siano coltivate in acqua, la quantità di quest’ultima necessaria è di gran lunga minore rispetto alle tradizionali tecniche per via della minore dispersione nell’ambiente. Tutto questo senza calcolare che potremmo coltivare anche in casa, autoproducendo una parte di quel che ci serve come piante aromatiche o altro e tutto con un costo iniziale decisamente contenuto se si punta ad una soluzione fai-da-te.
Ricapitolando, produrremmo di più, ovunque, in minor tempo, con meno risorse, in modo sano ed in meno spazio, meglio di così, non si può!
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