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Arte e Letture
Estasi di santa Cecilia L’«Estasi di santa Cecilia» rientra nel genere noto come “Sacra Conversazione” ossia un’invenzione iconografica sorta nella prima metà del Quattrocento. L’autore, Raffaello, si immette in questa tradizione iconografica, ma per rilanciarla in maniera del tutto innovativa, poiché trasforma quella che solitamente era una scena immobile e puramente contemplativa, di cui i santi laterali erano i puri “gregari” di quello centrale, in una vera e propria azione in corso. di Sara Magister
C In queste pagine proponiamo l’opera integrale ed alcuni particolari di Raffaello, Estasi di santa Cecilia.
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he questa pala sia uno dei capolavori assoluti di Raffaello lo sapevano bene anche i francesi, quando nel 1796 la misero nella lista delle opere da sottrarre alla loro sede originaria, per portarla forzatamente al museo del Louvre. Tornata in Italia nel 1816, non venne tuttavia restituita al luogo per cui venne realizzata, ma finì in una sede più protetta e istituzionale, la Pinacoteca Nazionale di Bologna. E così noi ora possiamo apprezzare solo la metà della sua bellezza e potenza comunicativa, perché, tolta dal luogo sacro per cui era stata pensata, pur guadagnando una migliore facilità di lettura formale, ha perso di fatto la sua funzione sacrale, pastorale e di aiuto alla fede. Che è poi il motivo per cui il capolavoro era stato compiuto. È, d’altra parte, lo stesso destino che accomuna tutte le opere sottratte agli altari delle chiese per cui erano state fatte e alle preghiere dei fedeli con lo scopo di essere musealizzate.
Una committente beata L’opera fu commissionata a Raffaello da una nobildonna bolognese, poi divenuta beata, Elena Duglioli, moglie di Benedetto dell’Oglio, per la sua cappella funeraria dedicata a santa Cecilia nella chiesa bolognese di San Giovanni in Monte. La Duglioli era particolarmente legata alla santa vergine e martire romana, della quale aveva voluto imitare il voto di castità coniugale e di cui possedeva una reliquia. Non sappiamo la data esatta di commissione del quadro, forse attorno al 1513-14, ma la scelta di Raffaello, che all’epoca era a Roma, fu probabilmente mediata da due alti prelati della corte di Leone X. Siamo, infatti, nell’ultima fase della breve carriera dell’artista, ma quella più gloriosa, durante la quale, grazie al pontefice e a molti altri committenti, l’urbinate porrà definitivamente le basi di una gloriosa fama, destinata a durare nei secoli fino a oggi. Se la dovessimo classificare in qualche modo, la scena rientra in quel genere noto come “Sacra Conversazione” ossia un’invenzione iconografica sorta nella prima metà del Quattrocento, in particolare grazie al Beato Angelico e a Piero della Francesca. Il fine di tale composizione era quello di superare la concezione tipicamente medioevale di riservare ad ogni santo uno spazio indipendente, separato dalle cornici che dividevano l’opera in più scomparti. Si giunse quindi alla soluzione di concentrare invece in uno spazio ed in un contesto comuni tutti i personaggi sacri, che andavano raffigurati. R A D I C I
C R I S T I A N E