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Un prodigio che si rinnova di Elena Bianchini Braglia

Un prodigio che si rinnova

Costruito nel XIII secolo per accogliere la figlia del marchese d’Este e le giovani che intendevano seguire la regola benedettina, Sant’Antonio in Polesine è ancora oggi un monastero di clausura.

Prima l’acqua con cui per secoli le monache hanno lavato il corpo della defunta, la beata Beatrice d’Este. Poi, dissoltisi i suoi resti mortali, videro acqua miracolosa sgorgare dalla pietra dell’altare. Acqua, che produsse e produce ancora numerose guarigioni, inspiegabili per la scienza, nonostante le numerose analisi effettuate e le molte ricerche compiute. Beatrice d’Este, come aveva promesso, è rimasta con la sua gente attraverso i secoli, ha accresciuto la devozione di molti e questo è senza dubbio il suo miracolo più grande.

di Elena Bianchini Braglia

Il nome sembra evocare un luogo sperduto, ma conduce nel cuore di Ferrara. Costruito nel XIII secolo per accogliere la figlia del marchese d’Este e le giovani che intendevano seguire la regola benedettina, Sant’Antonio in Polesine è ancora oggi un monastero di clausura. Nei giorni feriali i visitatori sono ammessi, una suora guida alla scoperta dei molti tesori, che vi sono custoditi. Affreschi di scuola giottesca, un rarissimo dipinto di Gesù che sale sulla Croce con una scala a pioli: generalmente chi bussa a quella porta vuole vedere questo, senza sapere che troverà molto altro.

Prima dalla Beata

«Prima andiamo a salutare la Beata», sussurra la monaca. E il visitatore si trova in una stanza spoglia, intonacata di bianco. Ma non resta deluso. Appena entrati si avverte qualcosa di straordinario. Una teca custodisce il profilo di una donna, nell’angolo una pietra attrae l’attenzione, si capisce che non è un marmo come tanti. Se si è nel periodo giusto, si può vedere il miracolo. Le lacrime della Beata. Grosse gocce si staccano dal marmo e rotolano sul fondo, convogliate in un catino. È acqua preziosa che verrà distribuita agli ammalati, spiega la suora. Lo sguardo torna alla donna nell’urna. Si percepisce la sua santità. Qualcuno ne sente il profumo. Beatrice d’Este ha fondato il monastero e vi è morta il 18 gennaio 1262, dopo aver promesso alle consorelle che sarebbe rimasta al loro fianco e per sempre avrebbe protetto Ferrara. Fino al 1512 il corpo di Beatrice si conserva intatto. Ogni 18 gennaio le monache lo lavano e distribuiscono l’acqua utilizzata ai fedeli, che ne ottengono «una pioggia di grazie». All’inizio del Cinquecento l’usanza viene so-

Affreschi di scuola giottesca sono conservati all’interno del monastero di Sant’Antonio in Polesine, tra cui un rarissimo dipinto di Gesù che sale sulla Croce con una scala a pioli: generalmente chi bussa a quella porta vuole vedere questo, senza sapere che troverà molto altro.

In una stanza spoglia, intonacata di bianco, una teca custodisce il profilo di una donna, la beata Beatrice d’Este. spesa per un interdetto e quando finalmente, il 21 dicembre 1512, le suore possono riaprire il sepolcro, ritrovano la loro fondatrice «bella e vivace», ma solo per un istante, poi il corpo si dissolve, lasciando un profumo intenso e persistente. I ferraresi aspettano l’acqua, ma non c’è più un corpo da lavare. Le monache allora si riuniscono in preghiera davanti al sepolcro «ed ecco che mentre oravano videro la pietra dell’altare a copiosamente grondare d’un’acqua limpidissima». Acqua che viene subito raccolta e distribuita, «con gran vantaggio del culto della Beata, giacché quanti infermi ne facevano uso, tanti ne ricevevano la salute».

Stille rugiadose

Inizia così il fenomeno dello stillicidio, che ancora oggi continua. La pietra in sé non ha nulla di particolare: nel 1725 il marmista Angelo di Putti la riconosce come marmo bianco di Verona e si meraviglia di quelle stille rugiadose mai viste prima, pur avendo lavorato tante pietre.

L’acqua comincia a stillare tra la festa di san Placido, il 5 ottobre, e la festa di tutti i monaci benedettini, il 13 novembre. Dapprima lenta, aumenta fino a raggiungere l’apice il 18 gennaio, poi cala per interrompersi entro la festa di san. Benedetto, il 21 marzo. Osservando il fenomeno si comprende bene che non può esser attribuito alla naturale umidità: le pareti del muretto non ne presentano infatti traccia e la pietra stessa è asciutta nella parte superiore, ai lati e perfino tra goccia e goccia.

La scienza senza risposte

Nel corso dei secoli acqua e pietra vengono studiate da diversi scienziati.

Francesco Nigrisoli, medico, lettore all’Università e autore di numerose pubblicazioni, nel 1725 esamina il fenomeno e lo definisce «oltre le forze della natura». Nel 1764 un opuscolo edito dal tipografo Barbieri di Ferrara raccoglie le analisi fatte da Jacopo Agnelli, professore di Scienze all’Università

di Ferrara, il quale ammette di non aver trovato spiegazioni scientifiche. Nel 1935 Elena Roi e Giuseppe Bragarolo dell’Istituto di Chimica dell’Università di Ferrara sottopongono il liquido a lunghe analisi, i cui risultati vengono pubblicati negli Atti dell’Accademia delle Scienze Mediche. Un’ulteriore analisi viene condotta nel 1961, sempre dall’Istituto di Chimica. Entrambi gli studi rilevano che i componenti chimici sono quelli di tutte le acque non distillate. Nulla di naturale giustifica gli effetti del liquido, le guarigioni documentate negli archivi e testimoniate dai numerosissimi ex voto.

Gli eventi miracolosi

Girolamo Baruffaldi, arciprete di Cento nel XVII secolo, nella sua biografia di Beatrice d’Este, riporta un elenco di prodigi. Margherita Andreoli, in coma per febbre maligna, si solleva in perfetta salute, quando i familiari le bagnano le labbra con l’acqua della Beata. Il sacerdote ferrarese Andrea Pighetti, in fin di vita con febbre altissima, si raccomanda a Beatrice, beve il liquore e guarisce. Nel 1719 suor Margherita Bertazzoli, dopo aver riportato, cadendo, una profonda ferita alla testa, rifiuta ogni cura e applica sulla parte lesa solo il liquore della Beata. Il medico si dice certo che in tal modo morirà, ma il giorno successivo deve constatare non esservi più traccia della contusione. Il caso più celebre è quello di Giuseppe Menegatti, il pittore che ha affrescato la chiesa di Sant’Antonio in Polesine. Proprio adempiendo quest’opera, cade dal ponte e rimane a terra privo di sensi. Le monache gli bagnano le labbra col liquore, lui si alza, torna a casa e pochi giorni dopo riprende i lavori, come se nulla fosse successo. Tra tutte le grazie concesse per intercessione di Beatrice, questa è forse la più eclatante. Sia per l’altezza dalla quale l’uomo è caduto – «per la quale dovea restar morto e sfracellato» – sia perché, secondo la traiettoria naturale, sarebbe dovuto cadere sull’altare, dove un candeliere lo avrebbe dilaniato, invece ha riferito di essersi sentito spingere via da ignota forza.

Sempre con la sua gente

Nel Sommario del processo per la Canonizzazione si trovano molte testimonianze, guarigioni prodigiose che continuano a verificarsi, nonostante il clima d’incredulità del nostro tempo. Ancora oggi la pietra viene osservata, spesso da scettici che vanno a cercare ove sia “l’inganno”. «Tanto non trovano niente», sorride la Madre superiora. E scuote le spalle, come a dire che tutte quelle intromissioni non si possono evitare. «Se poi trovassero qualcosa, per noi non cambierebbe niente», aggiunge. A una fede vera, niente in fondo si può aggiungere o togliere. Beatrice d’Este, come aveva promesso, è rimasta con la sua gente attraverso i secoli, ha accresciuto la devozione di molti e questo è senza dubbio il suo miracolo più grande, che resterà sempre, indipendentemente e a prescindere da qualsiasi prova scientifica.

Nell’angolo della stanza, una pietra (nella foto) attrae l’attenzione, si capisce che non è un marmo come tanti. Se si è nel periodo giusto, si può vedere il miracolo. Le lacrime della Beata. Grosse gocce si staccano dal marmo e rotolano sul fondo, convogliate in un catino. È acqua preziosa che verrà distribuita agli ammalati.

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