Fashion Magazine N 2 2023

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IN BALLO CON LA CRISI

Perché l'Italia cresce quando gli altri arrancano

EDIZIONI ECOMARKET SPA Poste Italiane S.P.A. –Spedizione in abbonamento postale –D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 N.46) Art. 1, Comma 1 Lom/Mi/1769 GENERATIVE AI La rivoluzione è appena iniziata 40 DOLCE&GABBANA Il ceo spiega come correre oltre il guardaroba 6 INDIA Un'eterna promessa torna di tendenza 67 TOP MANAGER Le nuove carriere dei chief financial officer 23
ANNO 54 - N° 2 - 12 EURO Estate 2023
Cover: ROBERTO CAVALLI
´ STRATEGI A, INNOVAZIONE E MERCATI

Features Contents

5 EDITORIALE

INTERVISTE

6 ALFONSO DOLCE

«Cresciamo oltre il guardaroba, guardando a beauty, casa e real estate»

9 GIOVANNI ZOPPAS

«Oltre l’inverno e lo sport i brand di Tecnica piacciono ai giovani tutto l’anno»

12 VESTIAIRE COLLECTIVE

Il ceo Bittner: «Resale e lusso, il potenziale inesplorato è enorme»

DOLCE&GABBANA

UN MONDO IN ESPANSIONE

«Nei prossimi mesi succederanno molte cose, che definiranno la nuova era del gruppo», racconta Alfonso Dolce

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CFO SEMPRE PIÙ DESIDERATI

Sono professionisti che hanno visibilità su tutte le attività aziendali: a loro il compito di massimizzare le potenzialità dei brand

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L'AI AL SERVIZIO DELLA CREATIVITÀ

C'è chi dice che chiunque potrà diventare stilista di se stesso. Ma sarà così? Di sicuro è in atto un cambiamento epocale

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RETAILER: VENDITE

UOMO SOTTO LA LENTE

La moda maschile in tenuta nella primavera-estate 2023, ma è il momento di intercettare nuove fasce di clientela

I NUOVI TOOL IRROMPONO NELLA MODA

L’onda innovativa della generative AI si propaga velocemente sull'intera catena del valore. Limiti e opportunità 85

LA SPRING-SUMMER 2024 PREMIA IL BEL VESTIRE

Si impone uno stile impeccabile, fatto di giacche sartoriali, tessuti ricercati e accessori minimal. Con un occhio all'eros

STRATEGIA

14 CEO ROUNDTABLE ON BUSINESS ACUMEN Moda e digitale insieme per creare valore durevole

23 COSA FANNO E QUANTO GUADAGNANO

Cfo: in azienda è il nuovo co-pilota. Gestione del rischio e analisi dei dati le nuove priorità

26 CAREERS

Direzioni creative in modalità shuffle: pesano più i quarter che i trend di stagione

29 ETICHETTE AMBIENTALI

L'Ue dichiara guerra al greenwashing: pericolo boomerang

INNOVAZIONE

33 LA MATEMATICA NELL'UFFICIO STILE Design data driven e human driven: prove tecniche di collaborazione

40 GENERATIVE AI ChatGpt & Co., la rivoluzione è appena iniziata

46 CIRCULAR ECONOMY

Fashion as a service: con il noleggio la moda copia Netflix

51 DESIGNER TO WATCH Artlab factory

MERCATI

55 BUYERS' SURVEY La sfida è far innamorare ancora gli uomini della moda

67 UN MERCATO PROMETTENTE Nel lusso è scattato l’India-moment ma l’anno spartiacque sarà il 2030

75 IL RISIKO DEI SALONI

Tra anticipi, resort e pre-collezioni crescono gli interrogativi sui calendari

85 TENDENZE SPRING-SUMMER 2024 Unveiled

113 ALICE MORASCHINI

«Una moda relaxed cool e post-streetwear. Così Halfboy ha fatto centro»

114 MARGHERITA MACCAPANI MISSONI «Maccapani parte dalle donne e dal concetto di libertà che piaceva tanto a nonno Ottavio»

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ESTATE 2023

Un posizionamento perfetto

Afronte di un andamento delle maggiori economie europee che potremmo definire altalenante, la performance del prodotto interno lordo italiano desta a dir poco stupore. Mentre la Germania, non da ieri traino industriale del Vecchio Continente, nel primo trimestre del 2023 è entrata, con una seconda flessione consecutiva, nell’ordine di grandezza dello 0,3%, tecnicamente in recessione, l’Italia ha ulteriormente puntellato la propria posizione, salendo addirittura in vetta alla classifica dei Paesi europei a maggior crescita e facendo segnare un +1,9%. Si tratta di un risultato a tutti gli effetti considerevole, visto anche il quadro generale di rallentamento in atto a livello mondiale, con i Paesi emergenti alle prese con una fiacca delle loro economie, priva di precedenti nel più recente passato. A che cosa è dunque dovuta la resilienza del Belpaese, in un momento di palese difficoltà dell’Eurozona e più genericamente dell’economia planetaria? Per quanto possa basire chi segue da sempre le sorti del nostro settore, è proprio nella filiera del made in Italy, e più specificatamente dell’alto di gamma, che si cela la risposta all’interrogativo di cui sopra. Mentre, ad esempio, il settore automobilistico tedesco ha esternalizzato gran parte della propria catena del valore, appoggiandosi vieppiù a produzioni interne alla Cina e servendo poi una domanda che vira sempre più verso l’elettrico - ben al di là delle proprie capacità di adattamento -, la produzione mondiale dei beni di lusso è profondamente radicata e concentrata nel sistema artigianal-industriale italiano. Per quanto siamo oggettivamente disorganizzati, incapaci di cogliere l’alto valore aggiunto dell’ultimo miglio e terra di conquista societaria da parte di predatori stranieri, il vantaggio competitivo costituito da una filiera tuttora esistente integralmente sul nostro

territorio non fa che aumentare. Si tratta, ora, di dare a questo capolavoro di inventiva e di tenacia uno sbocco strategicamente sensato, che permetta di convogliare all’interno dei confini nazionali una fetta maggiore degli esorbitanti utili che con queste manifatture, di fatto insostituibili, si realizzano. È infatti incredibile constatare come i quattro più grandi gruppi del lusso francese siano ormai, in termini di redditività, al di sopra dei giganti della Silicon Valley, Microsoft in testa, avendo recentemente alzato massicciamente i prezzi senza particolari ricadute su una domanda che, composta dagli ultra-abbienti del Pianeta, non ne sembra affatto impressionata. È allora il caso di fare un duplice salto di qualità. Da un lato aumentando, dove possibile, il potere negoziale vis-àvis dei propri committenti d’Oltralpe. Dall’altro modernizzando il modello di business, rendendolo più dirompente e più remunerativo. Basta con il vecchio modello sfilata-centrico, inventato dalle nostre parti negli anni Ottanta ma ormai perfezionato alle plance di comando dei palazzi parigini. Sviluppiamo invece un savoir faire digitale, fondato sul direct-to-consumer, che permetta di schivare intermediari neo-colonialistici per approdare a un esito che non sia solo high luxury, ma anche high tech. E che faccia sognare le nostre eccellenti nuove leve: siano esse stilistiche, artigianali o ingegneristiche. Le abbiamo già tutte. Forniamo loro il capitale necessario.

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Marc Sondermann m.sondermann@fashionmagazine.it
EDITORIALE

INTERVISTA

La diversificazione è fondamentale nel futuro della maison fondata da Domenico Dolce e Stefano Gabbana: l’abbigliamento continua a crescere (bimbo incluso), ma gli investimenti oltre la moda in sé danno la possibilità ai clienti di interagire con la marca. «Abbiamo una visione e una mission di lungo periodo», assicura il ceo, impegnato in prima linea nel progetto bellezza, ma che promette di non trascurare le attività core. «È un buon momento - dice - specie nell’area Latam e in Medio Oriente. La nostra forza è il made in Italy»

La gestione diretta del business della bellezza, operativo da inizio 2023, è un punto di svolta per Dolce&Gabbana. Ma nei prossimi mesi succederanno molte altre cose, a ben guardare non meno importanti, che definiranno la nuova era del gruppo fondato nel 1985 da Domenico Dolce e Stefano Gabbana, impegnato in un’espansione al di fuori del guardaroba propriamente detto e alle prese con mercati che tornano a espandersi. «Continueremo a evolvere», preannuncia il ceo Alfonso Dolce, convinto che il made in Italy crescerà, in particolare nei segmenti dell'artigianato e del lusso. «Difficilmente - sottolinea Dolce - la nostra qualità e l’esperienza potranno essere sostituite con quelle di altri Paesi. Questo mi fa pensare che, in termini di numeri, l'Italia potrà sempre contare sul settore».

Dal primo gennaio siete completamente autonomi nella gestione del beauty. Per l’azienda è il progetto più importante dell’anno… È un piano ambizioso, in cui crediamo molto e a cui abbiamo dato credibilità creando una legal entity dedicata, dandole una sede con personale qualificato e attivando collaborazioni strategiche sia con partner nell’area della supply chain, sia in quella distributiva. Essere focalizzati sul nostro marchio ci permette di velocizzare tutti i processi, a differenza di quello che succedeva avendo un licenziatario che lavorava su più fronti. Lavoriamo su un piano strategico centrato che vede l’Italia protagonista.

Il primo lancio è avvenuto in tempi record: la fragranza donna Q. Cosa c’è ora in pipeline?

A settembre lanceremo un altro blockbuster, sempre femminile, strettamente legato al

nel corso degli anni incarichi di primaria responsabilità, fino a ricoprire il ruolo di

sviluppo che vede due lanci prodotto nel segmento fragranze, una pianificazione ambiziosa per il settore.

A livello distributivo quali sono gli investimenti previsti?

Stiamo inserendo corner di forte visibilità nelle principali boutique Dolce&Gabbana nel mondo, ma l’obiettivo è l’apertura di negozi dedicati.

A questo si aggiungono una distribuzione nei principali rivenditori specializzati e partnership con importanti department store. È attivo l’e-commerce diretto e stiamo lavorando a un piano di potenziamento del canale sia diretto che indiretto.

Il marchio è molto focalizzato sui progetti “extra” fashion. L’anno scorso c’è stato il lancio della linea casa: cosa vi attira di questo asset?

«Investiremo sul wholesale con una logica selettiva, sviluppando progetti tailor made e di estrema visibilità»

mondo della moda. Abbiamo un piano lanci fragranze impegnativo per l'anno in corso, che continuerà nel 2024 con l’obiettivo di lavorare al restyling di quasi l’80% del catalogo esistente. Sempre nel 2024 rilanceremo totalmente la linea make-up e il 2025 sarà l’anno della skincare, che approcceremo con prodotti lifestyle. Gli obiettivi di fine 2023 sono una crescita nei fatturati delle linee esistenti e la conquista di nuove quote di mercato attraverso un piano di

La collezione Casa è un ulteriore esempio di come il lifestyle Dolce&Gabbana, incentrato sul made in Italy, possa vivere anche al di fuori del guardaroba: un’esperienza realizzata su misura per rispondere ai desideri e alla personalità del cliente. È un progetto in evoluzione: consolidando le linee esistenti, l’obiettivo è quello di ampliare la gamma. Stiamo investendo in modo programmato con un approccio strategico di vision e mission di lungo periodo, ma con occhi vigili sulla quotidianità.

Quali sono le attese per il living, ora che entrerete nel mondo dell’immobiliare?

Direi che la nostra linea Casa vivrà naturalmente all’interno delle operazioni Real Estate a cui stiamo lavorando con partner sviluppatori. Abbiamo avuto molte sollecitazioni e deciso di dare corso a diverse opportunità che, al momento, interessano America, Europa e Asia. Rafforzando la vocazione lifestyle insita nel nostro dna, stiamo sviluppando due grandi progetti di residenzialità a Miami e Marbella, e uno di hospitality alle Maldive.

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«Cresciamo senza limiti oltre il guardaroba. Il nostro lifestyle è credibile nel beauty e nella casa: funzionerà anche nel real estate»
Alfonso Dolce è il fratello di Domenico Dolce, fondatore insieme a Stefano Gabbana della Dolce&Gabbana. Da sempre in azienda, ha esercitato ceo

Alle ultime sfilate la maison è tornata al suo dna: capi sartoriali, dal taglio perfetto. La stampa ha gradito, col commerciale come è andata?

Siamo contenti del feedback dei giornalisti e, allo stesso tempo, dei risultati commerciali che stiamo raggiungendo rispetto ai budget previsti. Se parliamo della moda, possiamo affermare che il ready-to-wear traina ancora le nostre vendite. Allo stesso tempo, siamo contenti dei risultati degli accessori: orologi e gioielli e, tra le borse, le famiglie della Sicily e della Logo Bag; su quest’ultimo modello abbiamo investito molto anche lato comunicazione.

Quali mercati si stanno rivelando più dinamici in questa fase?

In generale è un momento positivo e siamo soddisfatti a livello globale dell’andamento dei mercati. Medio Oriente e America Latina sono le region che performano meglio. Siamo fiduciosi verso il mercato cinese e asiatico che, oggi, stimola interesse e attenzione e rappresenta quote di mercato sempre più significative.

La moda bimbo resta un focus per voi?

Anche quest’anno abbiamo avuto un riscontro positivo dal business del bambino: siamo sopra la double digit di crescita. Il mercato di riferimento resta l’Europa, ma ci sitamo sviluppando sia Medio Oriente - considerati i nuovi flussi migratori e turistici che interessano l’area, specialmente Dubai - sia in Asia.

Da parte dei big brand del lusso è in atto in forte ridimensionamento del wholesale.

Per voi che rilevanza ha?

È un canale che rappresenta ancora un’opportunità, se vogliamo una vetrina in mercati e segmenti specifici. A questo livello, abbiamo collaborazioni mirate che ci permettono una distribuzione puntuale e d’immagine. Nonostante i super-flag rappresentino la nostra visione, credo

che il wholesale sia un’opportunità democratica per il cliente che, all’interno di queste realtà, ha una maggiore possibilità di scelta. E poi essere presenti in questo canale è sempre segno di una forte riconoscibilità.

C’è un tema caldo per il made in Italy, la difficoltà nel reperire manodopera. Voi come affrontate questa emergenza? Siamo coscienti di questa problematica ed è per questo che dal 2012 è attivo in azienda il progetto Botteghe di Mestiere, un percorso di formazione professionale che ha come obiettivi la valorizzazione dell'artigianato, inteso come arte nobile del fatto a mano, e l’attenzione alle nuove generazioni di talenti, ai quali trasmettere knowhow e offrire un'opportunità di lavoro.

In questo scenario molte aziende per garantirsi forniture strategiche hanno optato per acquisire i loro fornitori...

È un percorso utile, a volte indispensabile, e sostenibile. Assorbire realtà di filiera rappresenta non solo un passaggio importante di know-how e competenze specifiche generazionale, ma anche la difesa di posti di lavoro e professionalità che altrimenti rischierebbero di andare perse.

Gabbana e Domenico Dolce

«Per carattere e per il mestiere che facciamo tendiamo a guardare avanti». Una filosofia che ha portato i due stilisti a investire

nel 1985 tutti i risparmi nel lancio del loro marchio, che a quasi 40 anni di distanza fattura

1,3 miliardi di euro

In quest’ottica, nel 2016 abbiamo acquisito dal Gruppo Zegna lo stabilimento di Sarmeola di Rubano (Pd) nel quale realizziamo le collezioni formali maschili e femminili. Stiamo lavorando ad altre operazioni di questo tipo e appena possibile ne condivideremo i dettagli.

Dopo beauty e arredo, Dolce&Gabbana pensa a estendersi in altre categorie?

Per noi è una sfida entusiasmante: continueremo ad assecondare l’ampliamento della nostra offerta e a puntare sulle migliori competenze tecniche e gestionali. Questo vale a tutti i livelli, inclusa la divisione Casa e Bellezza, così come il settore Gioielli e Orologi: a metà aprile abbiamo aperto a Milano la prima boutique diretta dedicata alla categoria e stiamo lavorando a un ambizioso sviluppo wholesale.

Il brand guarda da sempre al futuro con curiosità: cosa succederà con l’intelligenza artificiale? State pensando a come impiegarla?

Ogni impresa ha bisogno di raggiungere un’economia di scala, ma danneggerebbe se stessa se applicasse indistintamente una tecnologia, come l’Intelligenza Artificiale, per riuscirci. Nella moda, in particolare, credo che l'AI non debba guidare ma accompagnare il lavoro, dare più tempo e più spazio all’uomo, affinché possa applicarsi a cose che possono essere fatte in maniera innovativa. In altri termini, deve togliere in parte la fatica del lavoro, certo non quella dell’educazione, dell’esperienza e della crescita.

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1. Il profumo Q è il primo lancio curato da Dolce&Gabbana Beauty. 2. La sfilata FW 23/24 parla dei codici definiti della femminilità del brand interpretata da Kim Kardashian, ospite dello show e protagonista della campagna SS 23. 3. Il successo della Sicily bag ha contribuito a rafforzare il business (in crescita) degli accessori Stefano
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INTERVISTA

«Oltre la nicchia dell’inverno e dello sport i nostri brand piacciono ai giovani tutto l’anno»

Moon Boot che, grazie alle collaborazioni con i marchi del lusso, in due anni è passato da 10 a 40 milioni di fatturato; le calzature Lowa che compiono 100 anni; la linea Outdoor di Tecnica: sono questi gli asset sui cui il gruppo poggia la sua strategia di espansione, sempre meno legata al business delle attrezzature tecniche. «Il 2022 è stato un anno record. Puntiamo a crescere anche nel 2023 e a conquistare un pubblico sempre più giovane e femminile», racconta il ceo

«Oggi più che mai il nostro gruppo vive di contaminazioni. Abbiamo grandi ambizioni in ambito outdoor e lifestyle e sappiamo che in futuro i nostri prodotti saranno indossati anche in contesti più urbani». Con queste parole Giovanni Zoppas ha illustrato i piani di sviluppo di Tecnica Group di cui è amministratore delegato dal 2021 e che racchiude i brand “invernali” Tecnica, Blizzard e Nordica, ma anche Moon Boot, Lowa e Rollerblade. Archiviato il bilancio 2022 con i migliori risultati della storia dell'azienda, Zoppas evidenzia come il fatturato record di 561 milioni di euro sia frutto del superamento dello “status” di realtà leader nelle attrezzature per sport invernali, per creare link con i segmenti dell’outdoor-lifestyle e del fashion. La nuova strategia del brand si basa su una visione all’insegna della diversificazione di prodotto a cavallo tra sport, outdoor e, in alcuni casi, fashion: «Combinazioni uniche, attraverso le quali, raggiungeremo un pubblico molto più vasto e diversificato». Tre sono le priorità che l’azienda - che fa capo alla famiglia Zanatta e con la Italimobiliare di Carlo Pesenti come socio di minoranza - si pone davanti: lo sviluppo di nuove categorie di prodotto, l’ampliamento dei nuovi mercati e gli investimenti in digitalizzazione.

Avete chiuso un 2022 da record grazie alla voglia del consumatore di outdoor in città. Pensa che il trend continuerà?

Mi aspetto che questa ondata proseguirà anche nel 2023, anche se a tassi decisamente meno esplosivi. Sarà probabilmente un anno caratterizzato da una crescita low single digit, anche perché i nostri clienti hanno fatto scorte l’anno passato e prevediamo che saranno più tranquilli sugli ordini. Una crescita condizionata principalmente dalla vendita dell’estivo, mentre il mondo invernale vivrà probabilmente un momento di stabilizzazione.

La percezione che l’azienda lavori principalmente con l’invernale è quindi superata…

Assolutamente. Non dipendiamo più dall’invernale, che oggi pesa per circa un 40% dei

ricavi, mentre il 45% arriva dall’outdoor, un segmento focalizzato principalmente sulla vendita di collezioni legate alla primaveraestate. C’è poi Rollerblade, che da solo contribuisce per quasi il 10% al nostro business globale. Anche in questo caso il marchio registra un picco di vendite proprio durante la bella stagione.

Questo bilanciamento è presente anche a livello di porfolio?

I nostri brand vanno tutti molto bene. La volontà di affermarci nel mondo dell’outdoor in senso lato ci ha portato a investire in modo importante sul marchio Tecnica outdoor, che oggi vende già per 15 milioni di euro e sta migrando verso una collezione dal design più

TECNICA GROUP IN CIFRE

Fatturato

561 mln euro

Ebitda

94,5 mln euro

49 % Ricavi provenienti dalle calzature

OLTRE 80 Mercati di esportazione

+64 % sul 2021 Crescita Italia

contemporaneo e accattivante, vicina al gusto delle nuove generazioni e di una clientela femminile. Il comparto delle brevi camminate viene dato in decisa crescita nei prossimi anni e noi vogliamo giocare un ruolo da protagonisti in questo segmento, legato alle calzature e alla stagione primavera-estate. Poi ci sono le calzature Lowa, che proprio quest’anno compiono 100 anni. Si tratta di una realtà tedesca, per il momento ancora poco nota in Italia, anche se in realtà è a livello globale il nostro brand best seller, che da solo rappresenta quasi il 43% delle vendite globali di gruppo. Per Lowa vedo un grande potenziale di sviluppo, visto che è ancora poco presente in Nord America, per noi un mercato importate e attualmente in significativa espansione è

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pressoché assente. I margini di miglioramento sono quindi ampi e per questo intendiamo investire al massimo su questo marchio. Attualizzeremo il prodotto ma senza tradirne la storia, che è costellata di premi e riconoscimenti legati alle sue performance. Anche in questo caso vireremo su un’immagine più giovane, perché anche le calzature Lowa sono destinate a scendere dalla montagna e arrivare in città, diventando un player del mondo outdoor inteso in senso esteso. Non intendiamo però forzare le tappe: si tratta di un progetto di trasformazione che richiede tempo, ma da cui ci aspettiamo ancora una crescita importante.

Anche Moon Boot sta vivendo una fase di trasformazione, ma a cavallo tra sport e fashion… Siamo molto soddisfatti del lavoro di riposizionamento attuato sul Moon Boot, che nel giro di due anni ha più che triplicato le sue vendite, passando da 10 a 40 milioni di fatturato circa. È un marchio esclusivo, molto ben identificato. Pur restando ancora legato al mondo della montagna è sempre più declinato in chiave cittadina, lifestyle e giovane, anche grazie a un ampliamento della gamma dei prodotti, su cui stiamo lavorando. La priorità che ci siamo dati per far crescere ancora il marchio è di sviluppare delle community nuove.

Come ci riuscirete?

Principalmente attraverso un’attività di branding che ci sta appassionando, che passa attraverso la comunicazione social, su media come Tik Tok, e progetti sviluppati in collaborazioni come quelle più recenti con Alanui Chloé e Gucci Vault, che proseguiranno in futuro.

Anche la distribuzione ha avuto un ruolo nel trasformare Moon Boot in un brand icona?

È stata determinante, senza una distribuzione premium e selettiva, diversa da quella adottata dai marchi del nostro gruppo, non avremmo

mai ottenuto i risultati conseguiti fin qui. Moon Boot ha un’unica collezione, ma divisa in due drop per intercettare i momenti di campagna vendita tipico dei fashion buyer. Siamo in punti vendita come LuisaViaRoma e Antonia e in department store come Harrods e Saks. La presenza in vetrine di tale prestigio ci ha spinto a investire sul merchandising e su progetti di pop up. Anche per quanto riguarda le vendite online, che valgono circa il 10% del totale, gestiamo Moon Boot come una griffe del lusso e collaboriamo con Farfetch, che non solo ci ospita sulla sua piattaforma, ma supporta il nostro motore diretto di vendita.

L’attività di diversificazione intrapresa per tutti i marchi potrebbe arrivare fino al lancio dell’abbigliamento?

È vero che siamo molto impegnati nello sviluppo di nuove categorie di prodotto. In generale c’è un certo interesse al tema

di una maggiore “accessorizzazione” delle nostre collezioni un po’ per tutti i brand e in particolare per Moon Boot, che è il nostro brand più versatile, mentre al momento non abbiamo in programma di entrare nel settore dell’abbigliamento.

L’apertura al retail è tra le opzioni?

Siamo un gruppo wholesale e tali vogliamo restare. Certo, ci interessa il contatto diretto con i nostri clienti e per questo vogliamo investire per tutti i nostri marchi sul canale online. Abbiamo spinto su digitalizzazione e infrastrutture tecnologiche, portando il fatturato generato dall’online a toccare il 10% del totale di gruppo. Rollerblade è tra i nostri marchi quello più avanti in materia di vendite online, che già valgono il 40% del totale principalmente grazie alla piattaforma di Amazon. Ma personalmente ritengo che anche Lowa e Tecnica outdoor abbiano tutte le caratteristiche per generare numeri interessanti. Vogliamo investire per controllare direttamente questo canale di vendita attraverso un’unica piattaforma di proprietà su cui si appoggeranno tutti i nostri marchi. Si tratta di un progetto che portaremo a termine entro il 2025.

L'equilibrio raggiunto nell'offerta e nella stagionalità si ritrova anche nelle vendite per aree geografiche? Assolutamente. Non c’è una singola area da cui dipendiamo. Il Nord America (Usa più Canada) cresce e vale già il 30% dei ricavi, e dall’area Dach arriva quasi il 40% delle vendite. Il resto è generato tra Italia e Francia, entrambre in forte espansione.

Nell’ottica di ampliare i mercati arriverete anche in Cina?

In Cina il mercato invernale non ha mai decollato, nonostante il trampolino offerto dalle Olimpiadi, ma sicuramente tutti i nostri nuovi progetti legati al trail running ci danno grosse opportunità per sviluppare tutte le nostre collezioni outdoor. 

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MOON BOOT-GUCCI VAULT TECNICA LOWA SEDE TECNICA

INTERVISTA

«Resale e lusso, il potenziale inesplorato è enorme»

No alla moda usa e getta, sì alla circolarità e al riuso. Quello portato avanti da Maximilian Bittner, ceo di Vestiaire Collective dal 2018, non è solo un business dai numeri in crescita (nel 2022 i ricavi sono cresciuti di oltre il 50%), ma anche una battaglia culturale contro il sovraconsumo e lo spreco, a favore di prodotti pre-loved di alta gamma, rigorosamente autenticati e candidati a una lunga vita.A Fashion racconta gli obiettivi raggiunti e quelli ancora da raggiungere

Da quando è arrivato come ceo cinque anni fa,Vestiaire ha fatto molta strada. Nei prossimi cinque a cosa punta?

Fin dal primo giorno, il mio obiettivo principale è stato migliorare l’esperienza dei clienti. Abbiamo già ottenuto grandi successi, destinando la maggior parte degli investimenti alla tecnologia, tanto che 200 dei nostri impiegati lavorano oggi in questo settore. La nostra app è sempre più centralizzata, coinvolgente e personalizzata e, nonostante questo, il potenziale inesplorato resta enorme. La penetrazione del second hand nel lusso rimane molto bassa. Per noi non è che l’inizio. Nei prossimi cinque anni vogliamo migliorare il nostro prodotto e ambire a diventare una certezza per tutti gli amanti della moda.

Vestiaire Collective è stata la prima azienda second hand a diventare BCorp: il prossimo step?

Con un punteggio di 89.4, abbiamo dimostrato la nostra solida dedizione e il nostro impegno nei confronti delle questioni sociali e ambientali. Ma non vogliamo fermarci qui. Abbiamo creato una strategia di forte impatto, basata su quattro pilastri, per aumentare le prestazioni nel campo della sostenibilità: definire gli standard, perché siamo un’azienda esemplare e ci assicuriamo di mettere in atto le best practice; migliorare l'impronta di carbonio, riducendo

le emissioni; responsabilizzare la nostra community, sensibilizzandola e fornendole gli strumenti per guidarla sulla piattaforma (ne sono un esempio i consigli che appaiono quando si clicca sulla fogliolina verde presente sul sito); innescare un cambiamento sistemico, facendoci portavoce della circolarità e della durabilità nella moda e aumentando le possibilità di lavoro delle donne nel settore tecnologico.

In che misura fare shopping su Vestiaire Collective riduce l'impatto ambientale?

Comprare sulla piattaforma ha un impatto del 90% inferiore rispetto all’acquisto di un prodotto nuovo, in quanto evitiamo i danni ambientali legati alla produzione dei capi. Questo riguarda tutti i tipi di impatto (emissioni di gas a effetto serra, biodiversità, spreco, acqua, utilizzo del suolo, ecc.). La nostra ricerca di mercato condotta con PwC mostra che il 70% degli articoli acquistati su Vestiaire Collective rimpiazza un acquisto tradizionale: questo significa che stiamo anche modificando le abitudini dei consumatori, che desiderano sempre meno acquistare prodotti di prima mano.

Quali invece gli obiettivi di business?

Vestiaire si sta avvicinando a un valore commerciale lordo di 1 miliardo di euro. Nel 2022 il nostro fatturato è cresciuto di oltre il

50%. Già nel 2009, quando è stata fondata, l’azienda era all’avanguardia nel settore della rivendita online di articoli moda di lusso. Ma non è che l’inizio. Il nostro business model è molto forte: mette la fiducia e la sostenibilità al centro di tutto quello che facciamo. Siamo decisamente ottimisti per il futuro.

Avete bandito il fast fashion dalla vostra piattaforma. Quali gli effetti?

Il divieto è arrivato nello stesso periodo in cui abbiamo cominciato a collaborare con la Or Foundation, che ci ha aperto gli occhi sugli effetti negativi che il fast fashion ha sulla società e sul pianeta. Il 5% dei nostri annunci era composto da pezzi appartenenti a questa categoria, a cui gli utenti non hanno più avuto accesso a partire dal 22 novembre 2022. Da allora, ogni volta che un venditore prova a creare un annuncio con un brand presente nella “lista nera”, riceve un messaggio educativo da parte del nostro team di autenticazione. Il nostro l'obiettivo è Zero Fast Fashion entro il Black Friday 2024. Questa decisione ha amplificato nei nostri utenti la percezione di Vestiaire Collective quale servizio di fascia alta. Come indicato nel nostro Impact Report del 2022, l'85% degli acquirenti di second hand partecipa alla riduzione del sovraconsumo, in quanto preferisce un numero inferiore di pezzi di alta qualità e di lunga durata ad articoli di fast fashion di qualità inferiore.

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La spedizione resta uno degli aspetti più impattanti per il vostro tipo di business: come pensate di ridurre le emissioni?

Ci stiamo soprattutto concentrando sulla diminuzione delle distanze di spedizione e sul passaggio al trasporto su ruote. Abbiamo aumentato del 65% il numero di utenti che si spediscono gli articoli direttamente, da un punto A a un punto B. Negli ultimi due anni abbiamo anche ridotto l’utilizzo del trasporto aereo, privilegiando quello su ruote e affidandoci maggiormente a corrieri locali in Europa, Asia e Australia. Con cinque depositi ubicati in tutto il mondo (Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Hong Kong e Corea del Sud), siamo ora in grado di dare la priorità e promuovere la spedizione locale. Abbiamo inoltre ridotto considerevolmente l’impatto del nostro packaging attraverso tre iniziative: la riduzione del suo volume, il suo miglioramento (che lo ha reso riutilizzabile, riciclato, riciclabile e privo di plastica vergine) e la prioritizzazione di fornitori locali.

Le piattaforme di rivendita si stanno moltiplicando. Cosa offre Vestiaire Collective di diverso?

Ciò che rende Vestiaire Collective una piattaforma degna di fiducia è il suo rigoroso processo di autenticazione e controllo qualità. Abbiamo 89 esperti nell’autenticazione digitale e fisica, che provengono da brand di lusso, da rinomate case d’asta, dal mondo

della vendita al dettaglio, dal settore della gemmologia e dall’industria dello streetwear. Ogni esperto esamina oltre 40mila articoli ogni anno. Nel 2019, per esempio, il numero totale superava gli 1,5 milioni di pezzi. È grazie a questa cura del dettaglio e alle nostre competenze settoriali (che aggiorniamo continuamente e che ci hanno permesso di raggiungere una percentuale di accuratezza del 99%) che siamo riusciti a guadagnare la fiducia di acquirenti e venditori, come dimostra il nostro recente Trust Report: il 92% degli utenti ci considera affidabili e il 91% ritiene che il nostro processo di autenticazione sia attendibile. Inoltre, offriamo tre milioni di pezzi unici provenienti dagli amanti della moda di tutto il mondo e abbiamo una community di Fashion Activist, come amiamo chiamarli, che conta milioni di utenti in tutto il mondo, impegnati a promuovere e sposare la causa della moda di seconda mano.

Quali sono le vostre strategie dal punto di vista dell'espansione internazionale?

Attualmente operiamo in 80 Paesi e abbiamo cinque centri di autenticazione, strategicamente ubicati in Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Hong Kong e Corea del Sud. Il recente ingresso in questo Paese ha segnato un momento importantissimo per Vestiaire Collective. Nonostante tutto ciò, ci rendiamo conto che la nostra quota di mercato

1. Uno scorcio degli uffici di Vestiaire Collective

2. Un momento della fase di autenticazione

3. Una cliente intenta a fotografare un articolo prima di metterlo in vendita sulla piattaforma

4. Una recente affissione nella città di Milano

all’interno del settore della moda è ancora piuttosto bassa, anche nelle aree geografiche in cui siamo presenti da diversi anni. Ecco perché l’obiettivo principale è accrescere la nostra presenza sui mercati già esistenti, invece di cercare di avere accesso a nuovi. Si tratta di una mossa logica, considerato che già operiamo in Europa, negli Stati Uniti e in Asia.

Come vede il mercato del resale nei prossimi anni? Sarà in grado di superare il fast fashion?

Una ricerca congiunta, realizzata da Boston Consulting Group e da Vestiaire Collective, ha mostrato che il valore stimato del mercato della rivendita globale si attesta tra 100 e 120 miliardi di dollari, ossia più di tre volte la sua dimensione nel 2020, e che questa cifra è destinata a subire un incremento annuo intorno al +20-30%. Sebbene attualmente rappresenti il 3-5% del settore complessivo, proiezioni simili dimostrano che il segmento della rivendita ha il potenziale per espandersi fino al 40%. La crescita di questo mercato si evince inoltre dai dati rilevati, secondo i quali il 25% degli armadi degli acquirenti di seconda mano è composto da articoli used, una percentuale prevista in aumento. Inoltre, va considerato che la Gen Z e i Millennial già comprano e vendono attivamente pezzi pre-loved, dimostrando di essere consumatori sempre più interessati a questo modello. Con un’attenzione crescente su convenienza, varietà dell’offerta e sostenibilità, il mercato della rivendita offre senza dubbio un’interessante alternativa, che contribuisce a prolungare la durata di vita degli articoli e a ridurre il consumo eccessivo. E che potrebbe davvero sfidare il settore del fast fashion. 

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Moda e digitale insieme per creare valori durevoli

Sette panel, una trentina di relatori, un pubblico di circa 300 addetti ai lavori: la Ceo Roundtable di Fashion a Palazzo Parigi ha fotografato un mercato che richiede velocità supersonica e, al tempo stesso, profondità nel comprendere dinamiche dove nulla si deve mai dare per scontato

In una fase come quella che stiamo attraversando non basta parlare genericamente di valore. Il vero tema è il valore durevole, che resiste alle tempeste e ai cambiamenti imprevedibili perché intorno all’heritage - una forza della moda e del lusso made in Italy - ha saputo costruire un ecosistema multiforme, fatto di tante sfaccettature appartenenti non più solo al mondo fisico, ma anche e sempre di più a quello digitale. Per questo la 13esima edizione della Ceo Roundtable di Fashion magazine, con il nostro direttore e ceo Marc Sondermann a moderare tutti i panel, è stata dedicata al cosiddetto business acumen, la capacità di cogliere l’attimo, seppur complesso, e tradurne gli input in una crescita a lungo termine. Come ha ribadito Sondermann a margine del convegno, che ha portato sul palco di Palazzo Parigi a Milano relatori di alto livello della moda e della tecnologia, gli ultimi dieci anni sono stati per il fashion e il lusso di vertiginosa accelerazione in tutti gli aspetti - gestionale, creativo, strategico e di tempistiche -, grazie soprattutto a una tecnologia che ha acceso la miccia del cambiamento, alimentandolo giorno dopo giorno, sfida dopo sfida. Se all’inizio abbracciare il digitale e assorbirlo nella quotidianità aziendale e distributiva sembrava un’impresa da visionari, oggi si tratta di una necessità a cui nessun brand può sottrarsi. Indicativo il fatto che, anche questa volta, la platea del nostro summit sia stata numerosa e partecipe: di tecnologia e digitale si deve parlare e tanto, per capire, immagazzinare informazioni, trovare le risposte alle domande ancora aperte. Il treno (o sarebbe meglio dire astronave?) è in viaggio, ma anziché una stazione d’arrivo esistono affascinanti tappe ancora da raggiungere: i passeggeri sono gli imprenditori, che viaggiano nello stesso vagone dei partner tecnologici. Il confronto costruttivo è tutto e il successo della Ceo Roundtable, nel suo iter ormai pluriennale, ne è la riprova.

L’ECCELLENZA DEL PRODOTTO CONTA, MA NON BASTA Innovazione e made in Italy: tempo di grandi ambizioni

Il saper fare è molto, ma non è tutto. Servono intuizione, flessibilità e, a volte, fare un passo di lato per dare spazio al nuovo. Il punto di vista di Claudio Marenzi (Herno), Mario Filippi Coccetta (Fabiana Filippi), Irene Rossetto (BigCommerce) e Luca Cassina (Planet)

DI ANDREA BIGOZZI

Si amplia la schiera di estimatori del made in Italy a livello internazionale, con Stati Uniti e Cina in testa, ma per tenere saldo il podio occorrono strategie mirate ad ampio raggio. «Il prodotto non basta più e per crescere occorre valorizzare le caratteristiche distintive di un’azienda, avendo il coraggio di farle conoscere al mondo esterno», ha esordito nel panel di apertura Claudio Marenzi, presidente di Herno. «C’è voglia e bisogno del nostro saper fare e dello stile di vita italiano - ha aggiunto - e questo è un enorme vantaggio competitivo, che ci fa superare le inefficienze della burocrazia. Ma su alcuni fronti, come la tecnologia che è sempre più al centro della scena, non possiamo rimanere indietro». In quest’ottica anche i capi azienda devono porsi delle domande e, se necessario, saper fare un passo di lato. «Essere al centro di ogni decisione non è efficiente», ha osservato Marenzi, condividendo con la platea del summit la decisione di aver ceduto al suo braccio destro Gabriele Baldinotti la carica di ceo di Herno, mantenendo quella di presidente, per concentrarsi sullo sviluppo di Montura, brand acquisito due anni fa. «Adottando un modello di leader assoluto - ha sottolineato - difficilmente si riescono a portare a bordo manager importanti, specie nei settori high tech e innovazione». «Il mercato non è semplice, ma l’importante è avere un posizionamento alto e onesto.

Michael Kliger:

«Il nostro faro è il lusso aspirazionale di clienti fidelizzati»

Kliger ha paragonato Mytheresa a un hotel superlusso, dove tutto deve essere perfetto per far sì che i clienti scelgano sempre questa destinazione e non altre

Il 3% dei consumatori più ricchi copre il 35% delle vendite totali di Mytheresa, comunque collocate nell’alto di gamma: una clientela che paga molto ma che pretende molto. Da queste considerazioni è partito Michael Kliger, ceo della realtà nata nel 2006 sulla base di un negozio fisico tuttora attivo a Monaco di Baviera, nel suo intervento alla Ceo Roundtable. «Il cliente è al centro di tutto - ha ribadito - e per lui dobbiamo essere di costante aspirazione, attraverso marchi forti e un servizio

14 STRATEGIA FASHION TECH
13ESIMA EDIZIONE A PALAZZO PARIGI PARLA L’A.D. DI MYTHERESA
ROUNDTABLE
BUSINESS ACUMEN
CEO
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Solo così le opportunità non mancheranno mai»: questa la riflessione di Mario Filippi Coccetta, presidente e fondatore di Fabiana Filippi, che recentemente si è fatto affiancare da un ceo, Aldo Gotti. «Aziende come la nostra - ha aggiunto - devono essere riconosciute per un prodotto di altissima qualità, in grado di durare in uno scenario che cambia continuamente. In parallelo, il Covid prima e la guerra in Ucraina poi hanno insegnato a noi imprenditori a essere più aperti e flessibili. Se il conflitto ha interrotto il dialogo con la Russia, abbiamo seguito i consumatori russi a Dubai, dove molti di loro si sono trasferiti». Anche Filippi Coccetta si è riallacciato al discorso innovazione: «Il prodotto va valorizzato attraverso l’experience, fortemente condizionata dagli strumenti tecnologici». Su

Irene Rossetto BigCommerce

questo tema è intervenuta Irene Rossetto, country director di BigCommerce, piattaforma open SaaS per brand B2C e B2B: «Per vincere in competitività - ha affermato - occorre saper attrarre in azienda nuovi talenti. I migliori, in area tech e oltre, non andranno dove la tecnologia è vissuta dal management come un campo di battaglia e questo va tenuto in considerazione per proiettarsi nel futuro». Inoltre, tornando al discorso sul ruolo del capo azienda, la country director di BigCommerce ha osservatp che «è una figura che deve fare business, lavorare sul prodotto, esplorare i mercati. Non può venire risucchiato dalla tecnologia e quello che deve fare è stare al

«In un’era in cui gli orizzonti sono molto vasti funziona la strategia “alla Lego”, mattoncino su mattoncino: a ogni cliente la sua soluzione»

Luca Cassina Planet «Per essere davvero competitivi occorre attrarre in azienda nuovi talenti. Il capo azienda non può essere risucchiato dalla tecnologia»

passo con le novità. Al resto ci pensiamo noi, in un’ottica di semplificazione». Fondamentale, fra le tante priorità, individuare il partner giusto per le vendite online: «Chi sceglie BigCommerce - ha puntualizzato la manager - sa di poter contare su una realtà agile e flessibile. In un momento sfidante come l’attuale è impensabile che certe aziende spendano gran parte del loro budget IT solo per tenere in piedi la macchina. Consigliamo ai clienti di investire in innovazione in maniera mirata: solo così si crea valore». A nome di Planet (azienda che fornisce soluzioni integrate per i pagamenti, inclusi i servizi per il rimborso Iva) ha parlato il president retail Luca Cassina. «Anche se forniamo soluzioni completeha spiegato il manager - i nostri clienti devono poter scegliere anche quelle singole. In un’era in cui ci si muove su orizzonti molto vasti la strategia giusta è quella “alla Lego”: costruire un business credibile e sostenibile, mattoncino su mattoncino». Ma quali potrebbero essere le leve di sviluppo futuro del made in Italy? «Da un lato il revenge tourism, con i cinesi in testa, che tornano a comprare con un basket di spesa molto superiore alla media e al passato - ha risposto Cassina -. Dall’altro la tecnologia, capace di creare collegamenti indispensabili tra online e negozio fisico. Generare emozioni e, al contempo, moltiplicare i servizi, a partire dalle opzioni di pagamento, è un’opportunità unica». 

di altissimo livello». Kliger ha paragonato MyTheresa a un hotel cinque stelle, in cui tutto deve funzionare alla perfezione. «Acquisire nuovi clienti costa e l’investimento deve essere ripagato dalla fidelizzazione. Il business non si fa con chi compra un paio di volte - ha precisato -. Non è con gli acquisti occasionali o con il successo a breve termine che si costruisce la crescita». Da notare che a dare slancio ai numeri dell’ultimo quarter sono stati appunto i top client, aumentati di oltre il 28%, con un incremento del gmv (gross merchandise value) per top customer del 6,7%. «Abbiamo a che fare con persone spesso molto occupate - ha proseguito Kliger - che non hanno tempo da perdere e cercano un acquisto gratificante, esperienziale, semplice e veloce. Il customer journey non deve avere intoppi, dall’inizio alla consegna. Occorre essere sia emozionali, sia efficienti». Un approccio favorito dal fatto che Mytheresa è nato nel retail fisico, dove la relazione è

fondamentale. «Non a caso - ha affermato il ceo - spesso organizziamo focus group e customer meeting per raccogliere in diretta dati e informazioni preziose sugli utenti». Quanto al presunto divario tra canali - negozio fisico vs negozio virtuale -, «a mio parere non esiste. Semplicemente vince chi sa fare bene il proprio mestiere, in una fase in cui è il consumatore che decide cosa, dove e come comprare». Il top manager ha concluso il suo intervento facendo il punto sull’ultimo trienno, gli strascichi che ha lasciato e le prospettive future: «La pandemia - ha detto - è stata un’enorme sfida, hanno chiuso parecchi negozi fisici e l’e-commerce ha avuto un’impennata. Siamo entrati in una fase diversa, di crescita che definirei regolare». Per il fiscal year 2023 MyTheresa prevede un gmv nella forbice tra gli 845 e gli 860 milioni di euro, in aumento tra il 13% e il 15%, e vendite nette che dovrebbero salire a 750/765 milioni di euro (tra il +9% e il +11%). (a.b.)

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«Nel mercato cross-border, mentre alcuni mercati sono in stallo se ne aprono altri: bisogna saperli sfruttare al meglio»

VINCERE IN SCENARI CAMALEONTICI

Dna forte, visione, empatia: così si affrontano mutamenti epocali

Kiton e Missoni, due modi di essere made in Italy guardando sempre avanti. Accanto alle testimonianze di Antonio De Matteis e Livio Proli, l’evoluzione di Veepee raccontata da Valentina Corbetta e gli scenari internazionali dell’e-commerce analizzati da Joeri Groenewoud di Global-E

DI ALESSANDRA BIGOTTA

Due storie emblematiche del made in Italy si sono incrociate sul palco della nostra Ceo Roundtable: da un lato Kiton, marchio fondato da Ciro Paone negli anni Sessanta, e dall’altro Missoni, al 70esimo anno di attività. A nome del brand napoletano, che nel biennio post pandemia è cresciuto del 60% superando i 160 milioni di euro di ricavi, è intervenuto il presidente Antonio De Matteis, da poco eletto ai vertici di Pitti Immagine, mentre Livio

Proli, a.d. di Missoni, ha fatto il punto sulla maison che dirige da tre anni, dopo essere stato direttore generale di Giorgio

Armani. Accanto a loro Valentina Corbetta, country manager dell’e-tailer Veepee, e Joeri

«Con i brand partner adottiamo strategie a quattro mani, fornendo un patrimonio dati per loro utile anche al di fuori della nostra piattaforma»

Groenewoud, che in qualità di vicepresidente of Sales Emea della piattaforma Global-e ha analizzato uno scenario internazionale che somiglia a un campo minato, ma in realtà è ricco di prospettive per chi sa muovere le pedine giuste. L’iter di Kiton e Missoni è per certi versi speculare: entrambi i brand sono frutto della passione e visione di due grandi famiglie italiane, anche se nel

caso della griffe di Sumirago nel 2018 il 41,2% della società è passato nelle mani di Fsi-Fondo Strategico Italiano. «Siamo arrivati alla terza generazione - ha detto De Matteis - cui vogliamo lasciare un’impresa ben strutturata, valutando anche il mercato azionario, ma con calma». «La nostra strategia - ha continuato - è seguire i clienti molto da vicino, magari organizzando a casa loro eventi all’insegna della vera italianità e napoletanità. Succede anche il contrario, cioè che siano i clienti a venire da noi per conoscerci da vicino, e devo dire che non li deludiamo mai. Si tratta di persone che non comprano per bisogno, ma perché credono nel brand. Per noi i loro consigli e osservazioni sono di vitale importanza». Mai fermarsi è la regola: se in casa Kiton il lavoro sul formale ha portato a studiate contaminazioni con l’informale e, alla voce mercati, si sono aperte nuove opportunità in aree come Usa ed Emirati, essendosene bruscamente chiuse altre in Russia e Ucraina, anche da Missoni la sfida è stata, ed è, proiettare nel futuro un iter lungo e

fruttuoso. «Il punto di partenza - ha sottolineato Livio Proli - è stata una famiglia di imprenditori unica nel suo genere, che ha dato vita non a vestiti ma a opere d’arte. Occorreva proiettare su Missoni una luce di modernità nel rispetto del marchio, regalando bellezza, ma anche fashion fun. Un’alchimia che ci ha permesso di uscire molto bene dal Covid». In cabina di regia sono stati cambiati schemi decisionali “top down”, «trasmettendo a ogni dipendente, e non solo ai vertici, il concetto che ognuno può e deve decidere», ha precisato il manager, che scherzando ha rivelato che con i suoi 57 anni si sente un po’ il “dinosauro” della situazione, essendo l’età dei manager intorno ai 40 anni. Di svolte ha parlato anche Valentina Corbetta di Veepee, azienda nata 20 anni fa con le flash sale di moda online, con un miliardo di prodotti venduti finora e 66 milioni di iscritti. «Oggi - ha informato Corbetta - le vendite flash sono una parte di un tutto, nel contesto di un upgrading generale dell’offerta e di un ampliamento del range di proposte. Non più solo fashion ma anche lifestyle, arrivando ad abbracciare anche il resale». «Teniamo moltissimo ai nostri brand partner, selezionati attentamente e con cui elaboriamo strategie a quattro mani, basandoci su un approccio che definirei consulenziale - ha aggiunto -. Non dimentichiamo che il patrimonio dati che forniamo ai marchi è per loro prezioso anche al di fuori di Veepee, per veicolare i clienti verso i propri canali distributivi». Rendere la vendita internazionale semplice ed efficace come quella domestica è, sintetizzando, la mission di Global-e, piattaforma di spicco a livello mondiale con headquarters a Londra e 20 sedi sparse per il pianeta, il cui compito è gestire e accelerare un e-commerce globale, cross-border e direct-to-consumer. Con clienti come Adidas, Hugo Boss, Versace e Disney, solo per fare alcuni nomi, Global-e affronta il mercato globale con i vantaggi della localizzazione, in quanto i singoli Paesi vengono gestiti con un approccio tailor-made da ogni punto di vista, dal pricing in più di 100 valute agli oltre 150 metodi di pagamento, fino al checkout in 30 lingue. «Empower brands è il nostro motto - ha ricordato Groenewoud - anche affiancandoli nel cambiare il loro focus. Mai come ora questa capacità risulta strategica, perché con Russia e Ucraina in stallo bisogna andare oltre le destinazioni tradizionali sondando aree in crescita, una per tutte il Messico. Le potenzialità ci sono e i rischi anche, ma siamo qui proprio per agganciare le prime ed evitare i secondi». 

16 STRATEGIA FASHION TECH
Valentina Corbetta Veepee
CEO ROUNDTABLE ON BUSINESS ACUMEN

CEO ROUNDTABLE ON BUSINESS ACUMEN

IL

DEL

PERVADE L’AZIENDA, IL MANAGEMENT E I NEGOZI

La tecnologia: da rivoluzione dirompente a rivoluzione permanente

Alessandro Varisco (Twinset), Alberto Racca (Gruppo Miroglio), Mario Davalli (Cegid) e Julian Beccari (Alpenite) a confronto su uno strumento imprescindibile per velocizzarsi, ricalibrarsi e passare ai raggi x le abitudini del consumatore per vendere di più

Una rivoluzione permanente sta attraversando e trasformando l’intera filiera della moda, da monte a valle: il suo nome è tecnologia. Lo ha ribadito Alessandro Varisco, ceo di Twinset, nel suo intervento alla Ceo Roundtable. «Grazie alla tecnologia - ha precisato il manager - le nostre imprese, finora molto verticali, stanno diventando lineari, per assecondare un mercato che premia chi è agile. Non dimentichiamo che oggi l’azienda più veloce, e non necessariamente la più grande, può divorare la più lenta». Velocità significa seguire passo passo un consumatore le cui scelte possono rivelarsi imprevedibili. «Occorre una segmentazione evoluta e continua della customer base, anche servendosi di dati di terze parti - ha osservato Alberto Racca (ceo del Gruppo Miroglio) -. Una regola assoluta per una realtà come la nostra, con 800 negozi in Italia nei centri commerciali e il 90% dei ricavi provenienti dalle clienti fidelizzate». Clienti che vanno conquistate unendo la tecnologia all’empatia: «Con il brand Fiorella Rubino - ha precisato Racca - abbiamo creato una community passata in breve da zero a 4mila donne, con un tasso di ingaggio pazzesco e zero investimenti in advertising. Un luogo dove non si parla di offerte, coupon e voucher ma di cucina, look e stili di vita». Leader nelle soluzioni software di business management per la trasformazione digitale e omnichannel delle aziende retail di moda

«Una regola aurea è che la customer experience passa attraverso la sales experience. Al cliente bisogna essere in grado di rispondere sempre di sì»

Mario Davalli Cegid

e lusso in una settantina di Paesi, Cegid monitora costantemente e su tutti i canali distributivi le abitudini della clientela, «alla quale bisogna essere in grado di rispondere sempre di sì - ha spiegato il country manager Mario Davalli - anche perché grazie allo scaffale infinito non si può dire che il prodotto non c’è. Prima di finalizzare un acquisto il cliente fa parecchie domande e il sales assistant non può deluderlo, immagazzinando informazioni su aspetti come stock, prodotto, tipo di customer, segmentazione e abitudini dai device, dal Crm e dall’e-commerce». «La customer experience - ha precisato Davalli - passa attraverso la sales experience. Da dicembre 2022 a gennaio 2023 noi di Cegid abbiamo notato che, a fronte di 12 milioni di scontrini emessi sulle nostre piattaforme, sono state richieste ai nostri sistemi oltre 95 milioni di informazioni complementari: cifre che si commentano da sole». «Fino a qualche anno fa determinate abitudini della clientela non venivano analizzate, ma ora riusciamo a sfruttare questo patrimonio», ha osservato Julian Beccari, business developer di Alpenite, società di consulenza che progetta esperienze e processi digitali dedicati ai clienti, adottando le tecnologie più innovative. Solo per fare un

«Monitorare le persone in negozio significa studiare le loro reazioni nel minimo dettaglio, compreso il battito cardiaco»

esempio, la persona che entra in un negozio e subito esce fa pensare che la vetrina sia più accattivante dell’interno. Da non trascurare il fattore social: un’esperienza negativa rischia di diventare virale. «Prima del lancio di una nuova stagione - ha precisato Beccari - mostriamo 10-15 vetrine ai consumatori per vedere come reagiscono, anche monitorando il battito cardiaco o la sudorazione. Ciò aiuta i marchi a portare fino al 15% in più di persone in store». Alberto Racca del Gruppo Miroglio ha citato tre regole da non perdere di vista: «Testare, misurare, imparare». Alessandro Varisco di Twinset ne ha aggiunta una quarta: «Saper usare la tecnologia a volte anche “a rilascio lento”, senza esagerare. Mai perdere di vista il fatto che il cliente, in fondo, cerca un vestito». Mario Davalli ha infine parlato dell’esperienza di Cegid con Benetton, che si avvale di un sistema messo a punto dall’azienda francese nel processo di digitalizzazione dei suoi store: «In dieci mesi siamo andati live con 1.000 negozi e ogni mese si raccolgono 10mila nuovi clienti. Questi ultimi portano in azienda dati importanti, da cui scaturiscono operazioni mirate. Risultato, una crescita a doppia cifra delle vendite». «Ma attenzioneha concluso il country manager di Cegid -. Un’azienda deve riuscire a ripagare in 6-12 mesi l’investimento in tecnologia, altrimenti la scommessa è persa». 

STRATEGIA FASHION TECH 18

La sfida dell’eccellenza responsabile corre su tutti i touchpoint

Dal prodotto ai negozi, fino al marketing: la sostenibilità non è un’operazione di facciata ma un asset aziendale. Questo impegno va comunicato al consumatore con un’operazione a tappeto sui canali di comunicazione. Impresa complessa ma possibile, secondo Claudio Orrea (Patrizia Pepe), Enrico Moretti Polegato (Diadora), Massimo Marconi (Centric Software) e Uwe Fricke (CoreMedia)

Intorno al concetto di eccellenza responsabile, che si esprime lungo l’intera catena del valore, si sono sviluppati a Palazzo Parigi gli interventi di Claudio Orrea (presidente e a.d. di Patrizia Pepe), Enrico Moretti Polegato (presidente di Diadora), Massimo Marconi (regional geo leader Euromed di Centric Software) e Uwe Fricke (vp Retail, Fashion, Beauty, Luxury di CoreMedia).

Per il marchio di womenswear Patrizia Pepe moda responsabile significa, per esempio, realizzare un negozio super agile e a basso impatto, che privilegia materiali riciclabili e che si pone come un Concept Hub (questo il suo nome) facilmente modulabile. «Il primo Hub è nato lo scorso anno - ha detto Claudio Orrea - e già siamo a quota 12, che si affiancano alle boutique tradizionali». Un format perfetto anche in location fuori dai centri storici e ideale per uno sviluppo franchising, «visto che non richiede investimenti onerosi». Ancora di più che nei punti vendita classici, ha spiegato il presidente e a.d. del brand, servono formazione del personale, storytelling ed empatia. A livello di prodotto, Diadora ha realizzato con la linea 2030 una versione “a basso impatto” di alcune sue sneaker iconiche. «Nonostante un prezzo più alto di circa il 15% - ha sottolineato Enrico Moretti Polegato - la collezione è quella che al momento ha il migliore sell-through». Il cliente compra perché facendolo si sente parte attiva di un cambiamento importante: «Per noi - ha proseguito Moretti Polegato - sostenibilità significa anche prossimità con chi ci sceglie». Secondo Massimo Marconi di Centric Sof-

tware (realtà specializzata in soluzioni per il planning, il PlmProduct Lifecycle Management e il pricing, con un’approfondita esperienza nella moda) «la sostenibilità, tema del momento, va immaginata prima, pianificata e gestita poi, prima di portarla sul mercato». Bisogna dunque elaborare un “design della sostenibilità” che tenga conto di fattori come il packaging, il riuso e il riciclo del prodotto e dove uno degli elementi chiave è il tracciamento, nell’ottica di stilare un corretto Bilancio di sostenibilità. «La tecnologia - ha precisato Marconi - semplifica le procedure. Con la gestione corretta delle informazioni legate al comportamento virtuoso di un’azienda si può arrivare al profitto “sostenibile”». Ma come comunicare questo impegno al pubblico finale? Attraverso la coerenza nello storytelling sui vari canali, come ha ribadito Uwe Fricke di CoreMedia, azienda tedesca che si occupa di content management ed esperienze digitali per il B2B e il B2C, con il CoreMedia Content Cloud come fiore all’occhiello: un tool che combina informazioni sui prodotti in real time con contenuti di marketing multimediali, fornendo al consumatore un’esperienza coerente su tutti i canali. Fricke ha ricordato che la competizione sui social si può vincere producendo contenuti che cambiano ogni minuto o anche ogni secondo, in base a un content management evoluto. Fondamentale, secondo il manager, «fare in modo che ogni touchpoint si trasformi in una concreta chance di acquisto per il proprio target, combinando contenuti e visione aziendale». 

Tone of voice: per definirlo anche Jung dà una mano

Persino gli archetipi junghiani tornano utili per creare messaggi incisivi e un senso di appartenenza al mondo del brand. Ne hanno parlato Arianna Casadei (Casadei), Alessandro Pescara (Borbonese), Nicola Meneghello (Thron) e Diego Caldognetto (Fashion Words)

DI ANGELA TOVAZZI

Clienti consolidati, clienti nuovi: con quali strumenti si riesce a trattenere i primi e conquistare i secondi? Questa la domanda che Marc Sondermann ha rivolto ai relatori del panel composto da Arianna Casadei (general manager di Casadei), Alessandro Pescara (ceo di Borbonese), Nicola Meneghello (ceo di Thron) e Diego Caldognetto (co-founder e managing director di Fashion Words). Le risposte sono tante, ma una regola che vale in tutti i target è saper individuare il corretto tone of voice.

ESSERE PIONIERI SEMPRE

Da icone a changemaker nel prodotto e nel servizio

Costruendo intorno al dna un concetto avanzato di servizio si ottiene la fiducia della propria community e la si rafforza: il punto con Francesca Toninato (7 For All Mankind), Alessandro Santamaria (La Martina), Davide Albanesi (Dhl Supply Chain) e Davide Loro (Onestock)

DI CRISTIANA BONZI

In uno scenario globale e multicanale, brand consolidati come 7 For All Mankind e La Martina devono saper difendere e valorizzare con strumenti nuovi la propria forte identità. Nel caso di 7 For All Mankind le radici sono a Los Angeles, dove il marchio è nato nel Duemila su iniziativa di Michael Glasse, Peter Koral e Jérôme Dahan, costruendo il proprio successo sul “red carpet denim”, ossia il jeanswear non più associato al casual, ma a un target super premium. Una scelta strategica che ha funzionato, vi-

STRATEGIA FASHION TECH 20
UN TEMA CENTRALE PER LA MODA
DI ELISABETTA FABBRI
CEO ROUNDTABLE
BUSINESS ACUMEN
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«La sostenibilità va immaginata, pianificata, gestita e infine portata sul mercato. La tecnologia semplifica l’iter»
Massimo Marconi Centric Software

Lo ha ribadito Arianna Casadei: nominata general manager dell’azienda calzaturiera di famiglia, basata a San Mauro Pascoli in provincia di Forlì-Cesena e di cui rappresenta la terza generazione, è stata investita della responsabilità di fare da custode a una storia lunga 65 anni e di raccontarla attraverso il retail, il wholesale, l’e-commerce, i social e le nuove piattaforme Web3. «Canali diversi ma un unico messaggio - ha esordito - focalizzato sulla passione e la dedizione che stanno dietro a ogni singolo prodotto, oltre che sull’autenticità garantita dall’heritage familiare». «Come nelle classiche orchestre romagnole - ha detto - componiamo una melodia che ha un solo direttore d’orchestra, il prodotto, frutto di circa 200 passaggi. Un punto fermo intorno a cui costruiamo la nostra

comunicazione». «Non c’è fidelizzazione se non si riesce a trasferire in modo efficace il patrimonio distintivo del brand - ha osservato Alessandro Pescara di Borbonese -. Patrimonio che, nel nostro caso, è fatto di eleganza, femminilità, calore, sensualità ma anche italianità, artigianalità e utilizzo di distretti di prossimità». «Le leve tecnologiche e il Crm sono importanti - ha aggiunto Pescara - ma prima viene l’engagement dato dal senso di appartenenza a una griffe». La molteplicità e complessità dei canali rischia però di annacquare il potere comunicativo di un marchio. È qui che entra in campo la tecnologia, come ha sottolineato Antonio Comelli di Thron, realtà veneta di

«Partendo dal prodotto si arriva a costruire il suo digital twin, l’insieme di contenuti digitali che fa da perno all’experience»

riferimento nel mercato del Dam (Digital Asset Management). «Partendo dal prodotto - ha spiegato - si arriva a costruire il suo digital twin, ossia l’insieme di contenuti digitali corredati di informazioni, che fa da perno alla parte esperienziale e informativa». «Thron - ha continuato - offre alle aziende due plus: la consistenza e uniformità delle informazioni sui diversi punti di contatto da un lato e, dall’altro, la performance, vale a dire un’experience adeguata e in sintonia con l’immagine che il marchio vuole veicolare». Le parole sono importanti quanto i contenuti visivi. Su questo si è focalizzato Diego Caldognetto, a capo di Fashion Words, azienda che si occupa di traduzioni e copywriting per la moda online. «Occorre costruire messaggi in grado di distinguere i brand dai competitor - ha precisato - e per farlo stiamo lanciando un progetto basato sulla classificazione dei marchi in base a 12 archetipi junghiani. Riusciamo così a individuare le caratteristiche che un testo deve avere per essere davvero rappresentativo della label. Non basta la creatività: servono basi “scientifiche” per dare una marcia in più a quello che un cliente vuole comunicare». 

sto che 7 For All Mankind è attualmente distribuito in un’ottantina di Paesi. «Progettando una collezione - ha spiegato la ceo Francesca Toninato - la domanda è sempre la stessa: “What the brand stands for?”. Ci chiediamo se il prodotto risponde ancora a quello originario, ma in una reinterpretazione più coerente con i gusti di oggi». «Il punto fermo e distintivo - ha proseguito - sono tessuti di altissimo livello (storico quello di Candiani), un fit superior che trova nel bootcut il suo emblema e un finishing confortevole, morbido al tatto. Un capo 7 For All Mankind è emblema di self expression e self realization». In modo analogo, anche se con presupposti diversi, dietro La Martina c’è un mondo, quello del polo argentino che si è fatto lifestyle e che si esprime sia tramite l’omnichannel, sia con un approccio locale e “touchable”. Non a caso, il flagship aperto in corso Garibaldi a Milano si connota come un palcoscenico esperienziale e anche la presenza fisica alla fashion week milanese ha avuto un riscontro positivo. «Tutto nasce dalla consapevolezza che è il consumatore a decidere come e dove approcciare il marchio - ha sintetizzato Alessandro Santamaria, vice president di La Martina -. Abbiamo riorganizzato il business lavorando sul ritorno

nell’universo del polo, rileggendo il prodotto in questa chiave stilistica e facendoci promotori del nuovo campionato mondiale. In parallelo, non ci siamo tirati indietro sul fronte della digitalizzazione, anche B2B, visto che i wholesaler hanno accesso immediato a tutti i nostri magazzini». Sì, perché esperienzialità significa anche non deludere le aspettative dal punto di vista del servizio. «In tema di logistica - ha affermato Davide Albanesi, BD director e board member di Dhl Supply Chain - la regola è mai arrivare al cliente finale in ritardo, gestendo impeccabilmente l’intero processo e-commerce, dal prelievo in magazzino alla gestione del reso. Abbiamo istituito una rete di 30 magazzini e-commerce multicliente in Europa, il Dhl

Fulfillment Network, che grazie a procedure operative standard, facilmente scalabili, garantisce agilità e flessibilità». «Partendo dal presupposto che il luogo d’acquisto lo decide il cliente omnicanale, occorre un software dall’architettura aperta e componibile che garantisca di evadere efficacemente l’ordine e che, in una logica di prossimità, integri punti di stock come wholesaler o vetrine del franchising che non usano gli stessi strumenti del brand», ha spiegato Davide Loro, sales director Italia di Onestock, piattaforma componibile per la gestione degli ordini, di recente entrata nella Mach Alliance. Concludendo, si può dire che la promessa di valore fatta da un marchio alla propria community di riferimento passa attraverso un lavoro profondo e collettivo con un obiettivo, rendere possibile una fidelizzazione duratura. 

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«Con la rete di magazzini multicliente Dhl Fulfillment Center garantiamo una gestione impeccabile del processo e-commerce»
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COSA FA E QUANTO GUADAGNA

Anche marketing, gestione ed etica aziendale nella formazione

È il pensiero di emergenza l’asso nella manica

Cfo: in azienda è il nuovo co-pilota. Gestione del rischio e analisi dei dati le nuove priorità

Quasi 50 aziende della fashion industry hanno nominato nuovi direttori finanziari negli ultimi 12 mesi.

Obiettivo: massimizzare le potenzialità dei brand attraverso una pianificazione visionaria sul lungo periodo, un’approfondita analisi dei dati e una gestione del rischio, che deve garantire flussi di cassa anche in una fase di forte incertezza

Da un anno a questa parte l’industria del la moda è in forte fermento, desiderosa di affrontare nel modo migliore le sfide impo ste da scenari geopolitici in trasformazione, nuove tecnologie, incertezze legate ai costi dell’energia e delle materie prime, inflazio ne elevata e aumento dei tassi di interesse, ripresa dell’attività di M&A. E di farlo con le persone giuste. La voglia di cavalcare nume ri in rimbalzo, o in alcuni casi, di invertirne il trend si riflette anche sui diversi cambi di poltrona in una delle posizioni manageriale attualmente più strategiche per il fashionsy stem, quella del chief financial officer. Negli ultimi 12 mesi, infatti, circa 50 importanti società del settore, tra cui Matchesfashion Swarovski, Guess, Prada e Design Hol ding, hanno nominato nuovi direttori finan ziari. A completare il quadro, proliferano i rapporti di società di recruiting che certifica no la crescente richiesta di questi professio nisti, che hanno visibilità su tutte le attività aziendali. «Il cfo è diventato uno dei ruoli più ricercati nel settore della moda», conferma Giulia Iuticone, executive search and leadership advisory di Heidrick & Struggles - ma con l’evolversi del settore anche il suo ruolo si è evoluto ed è responsabile di un’ampia gamma di compiti, dall’analisi delle prestazioni finanziarie allo sviluppo di strategie a lungo termine. Di fatto il direttore finanziario sta diventando un partner fondamentale per proprietari delle aziende, ceo e manager, le cui skill sono cresciute gradualmente». In passato, i cfo si concentravano sull’attività rendicontazione finanziaria, ma per queste figure oggi far quadrare i conti non è più l’obiettivo ultimo, ma il modo per supportare le strategie di sviluppo aziendale che loro stessi contribuiscono a definire, individuando le risorse per realizzarle anche in periodi di incertezza. «Un tempo per svolgere al meglio le loro funzioni - prosegue Iuticone - bastava studiare dei file excel, ora invece devono guardare al

GUIDA ALLE NUOVE NOMINE

Dall’Europa agli Usa i vertici della finanza sono ad alta rotazione

Nome Azienda Società di provenienza

Markus Neubrand GUESS Mcm

Alberto Toni DESIGN HOLDING Bata

Kate Ferry BURBERRY McLaren Group

David Wielemans SWAROVSKI EssilorLuxottica

Jessica Holscott AUTHENTIC BRANDS GROUP Warner Media

Andrea Bonini PRADA

Sean Glithero ASOS

Dave Murray MATCHESFASHION

Nick Hotchki CONDÉ NAST

Cathy R. Smith NORDSTROM

Goldman Sachs

Matchesfashion

Farfetch

WW International

Target

Stephanie Plaines J.C. PENNEY CO JLL

Annie Mitchell ALLBIRDS

Gymshark

David Aufderhaar STITCH FIX Promozione interna

Andy Muir SKIMS

Nike

Tiffany Smith LULU’S Promozione interna

675mila

Lo stipendio annuo della nuova ceo di Burberry, a cui andranno a sommarsi i bonus. In Italia cachet partono da 180mila euro

le attività e operation aziendali e soprattutto una visibilità maggiore in termini di comunicazione e relazioni esterne». In molte realtà di primo piano, i cfo sono dei “decisori”, come dimostrano i casi di Jean-Jacques Guiony e Jean-Marc Duplaix, rispettivamente cfo di Lvmh e Kering, bersagli durante le conference call delle domande di analisti, stampa e investitori più dei patron Arnault e Pinault. Una metamorfosi, quella da “ragioniere” a “copilota” aziendale al fianco del ceo, confermata anche dai rappresentati della categoria stessa. «La percezione di questa figura è cambiata non solo agli occhi dei ceo, ma dell’intera azienda – racconta Paola Andreolli, di Andaf- Associazione Nazionale Diret-

pire come si muovono i numeri, quali sono gli investimenti su cui puntare e i tempi in cui farlo». «Agilità e velocità sono diventate dunque essenziali per il suo lavoro - prosegue -: le sue analisi devono essere disponibili rapidamente e i dati su cui si basano devono essere immediatamente fruibili».

Un altro segno di cambiamento è che sempre più spesso i cfo provengono da background di analisti, dove la formazione non è puramente finanziaria ma spazia attraverso finanza e contabilità oltre a marketing, gestione ed etica aziendale. Il curriculum del nuovo cfo di Burberry, Kate Ferry, ad esempio, comprende una lunga esperienza come capo del team di ricerca di general retail per Merrill Lynch. Prima di diventare il cfo di Prada Andrea Bonini ha fatto parte del consumer retail group di Goldman Sachs, assumendo la responsabilità in Europa per

23 STRATEGIA L’EVOLUZIONE DI UN RUOLO
£

8,1% Cfo che diventano ceo: un trend che dal 2017 a oggi è passato dal 6% all’8,1% e che riguarda le aziende inserite nella Fortune500 e S&P500

il settore del lusso. «Non c’è dubbio che in questo momento avere una visione ad ampio raggio paghi - conferma Iuticone -. Il knowhow finanziario è dato per scontato, poi le conoscenze dirette del settore fashion e del prodotto sono apprezzate, ma non determinanti. Spesso le aziende di moda assumono cfo provenienti da settori diversi anche perché vogliono scongiurare l’effetto “miopia”, ovvero che il nuovo incaricato porti con sé le stesse logiche di pianificazione adottate in precedenza. Invece oggi le aziende chiedono ai cfo innovazione e agilità per adattarsi al nuovo panorama dei consumi che si è venuto a creare». Perché, secondo la cacciatrice di teste, il settore fashion è tra quelli che hanno vissuto il maggior cambiamento negli ultimi anni ed è tutt’ora in evoluzione. «Quello che nel 2019 sembrava strategico e finanziariamente vantaggioso - sottolinea - improvvisamente non lo è stato più. Per questo nelle ultime stagioni, segnate dalla ripartenza, le aziende hanno puntato su nuovi cfo per mitigare i rischi di questi continui cambiamenti e assicurarsi di avere il giusto business partner, in modo da pianificare in maniera visionaria i prossimi anni». Tra le diverse tendenze che spiegano l’ascesa della figura del cfo c’è sicuramente l’evoluzione dei sistemi informativi per l’analisi e il controllo dei dati, che permettono loro di avere una panoramica completa in tempo reale di ciò che sta accadendo in azienda. «L’applicazione delle nuove tecnologie nelle attività più ripetitive - riassume Iuticone - migliora da subito l’efficienza del cfo, che può concentrarsi sulle sua capacitò di visione strategica». Diversamente, una trasformazione più olistica della funzione dovuta all’introduzione di strumenti come l’intelligenza artificiale è più difficile da prevedere. «Non penso che l’avvento dell’AI ridurrà i posti di lavoro - si dice certa Andreolli -. Piuttosto aumenterà la specializzazione dei professionisti, né tantomeno cancellerà la figura del cfo: avere un pensiero di emergenza è la sua caratteristica fondamentale e il pensiero di emergenza,

per definizione, non è mai quello già sperimentato che la macchina può conoscere». Il crescente potere del cfo è remunerato di conseguenza. All’interno dei gruppi internazionali del lusso il compenso medio secondo le stime si aggira intorno ai 350mila euro annui, fino a raggiungere cifre più significative come quella che pagherà Burberry per Kate Ferry: 675mila sterline all’anno più bonus. A fronte un raggio d’azione sempre più vasto, anche in Italia i direttori finanziari vedono impennarsi le loro retribuzioni, che mediamente sono comprese tra i 150 e i 180mila euro di ral «ma crescono sensibilmente per posizioni all’interno di società da oltre 500milioni di ricavi», specifica Iuticone.

In generale (fonte Salary Survey 2023 di PageGroup) un cfo con meno di 5 anni di esperienza guadagna 80-90 mila euro, importo che può salire sopra i 100mila euro in presenza di una seniority di 10 anni. Anzianità di servizio che, nel caso del cfo, è vista come un valore aggiunto nel fashionsystem.

Il cfo over 40 sembra non avere diretti concorrenti tra i Millennials più giovani, al contrario di figure come quella del direttore creativo o del capo comunicazione e marketing,

Da cfo a ceo di Jd.com

Le aziende si affidano sempre più ai cfo per la fiducia, la sicurezza e la visione strategica

le cui carriere ventennali sono state messe talvolta in discussione a causa della mancata conoscenza diretta delle giovani generazioni. «Questo - fa notare Andreolli - accade perché a differenza di mestieri, dove creatività ed entusiasmo prevalgono, nell’attività di cfo entrano in gioco aspetti come la gestione delle relazioni con i diversi stakeholder dell’azienda, dagli azionisti al board e agli organismi di controllo, che si imparano col tempo e sul campo».

Ma fin dove può arrivare all’interno dell’azienda il potere crescente del cfo? La risposta è semplice: verso la poltrona di ceo. Non un percorso obbligato, ma come indica un report della società di executive search Crist Kolder Associates, è un trend. Ultimo caso in ordine di tempo la promozione di Sandy Ran Xu da cfo e ceo di Jd.com. Un’escalation riservata a chi lavora nelle big company o che toccherà anche realtà più piccole, come quelle del made in Italy? «Possibile - conclude - Andreolli di Andaf -.Sempre più spesso il cfo assume le caratteristiche di un managing director, occupandosi di risorse umane e ufficio acquisti, talvolta persino dell’IT». Non sarà un po’ troppo per un co-pilota?

STRATEGIA L’EVOLUZIONE DI UN RUOLO 24
3 Nel settore retail i cfo mantengono più a lungo l’incarico 0.0 1.0 2.0 3.0 4.0 5.0 6.0
Fonte: Crist Kolder Associates Retail CFO Tenure Financial Industrial Technology Healthcare Energy Consumer Services 5.5 5.5 5.3 5.3 1.7 4.6 3.9 3.9 Media mandato 4,9 anni Media mandato 5 anni fa: 5,3 anni
SANDY RAN XU

Direzioni creative in modalità shuffle: sui cambi pesano più i quarter finanziari che i trend di stagione

Alla base delle frequenti separazioni lampo tra griffe e designer c’è una questione di business: le case di moda, più che per cercare una nuova visione del proprio marchio, utilizzano i direttori creativi come strumento economico

Quanto ancora è destinato a durare il risiko dei divorzi tra maison e creative director? E soprattutto, l’andirivieni di stilisti nelle fila di marchi storici giova realmente al business? Gli interrogativi sono attuali, dopo mesi segnati da separazioni eclatanti nelle fila di marchi storici. Nomi come Jeremy Scott da Moschino, Bruno Sialelli da Lanvin, Rhuigi Villaseñor da Bally (prontamente sostituito da Simone Bellotti), Ludovic de Saint Sernin da Ann Demeulemeester (ora affidato a Stefano Gallici), Charles de Vilmorin da Rochas o il duo Gmbh da Trussardi. Una frenesia che rischia di trasformare gli stilisti in pure commodity usa e getta, escludendo naturalmente le case history di Jeremy Scott, al timone creativo di Moschino

da ben dieci anni e di Sialelli, che in Lanvin era entrato quattro anni fa, sacrificato in nome di una nuova strategia creativa. Negli altri casi parliamo di astri nascenti della creatività internazionale, scelti per intercettare una clientela più giovane, assicurare buzz sui social e garantire l’effetto sorpresa che tanta eco ha sui media. Liaison consumate nel giro di uno o due anni (sei mesi addirittura per Ludovic de Saint Sernin da Demeulemeester), spesso a causa dell’inesperienza dei designer. Purtroppo il genio creativo da solo non basta per affrontare sfide complesse all’interno di maison blasonate, in cui entrano in ballo aspetti come la giusta sensibilità per interpretare il dna del brand, la conoscenza approfondita del mercato e la capacità

di coglierne e addirittura anticiparne le esigenze. Ed è per questo che alchimie magiche, come quella creatasi tra Alessandro Michele e Gucci, non possono nascere con facilità. Miraggi spesso inseguiti dalle maison; le stesse che non fanno altro che parlare di sostenibilità, eppure imbarcate in giri di valzer infruttuosi. Nel dubbio, meglio forse affidarsi a progetti one shot, coinvolgendo il creativo di turno in esperimenti stagionali utili a tastare il terreno e capire da che parte tira l’aria. Perché alla fine, alla base di tutto e dietro al nome blasonato, ci devono essere team creativi consolidati e strutturati, in grado di garantire continuità e coerenza all’heritage dei marchi. E se poi il vero genio arriva davvero, guai a lasciarselo scappare.

LUCA LO CURZIO

ALLA GUIDA DI JIL SANDER

Dopo circa due anni di gestione da parte di Ubaldo Minelli, il ruolo di a.d. di Jil Sander passa nelle mani di Luca Lo Curzio. Comincia dunque a delinearsi il nuovo corso della griffe, entrata nella galassia di Otb nel 2021 e finora guidata dal ceo del polo della moda veneta, che detiene anche i marchi Diesel, Maison Margiela, Marni e Viktor&Rolf, oltre a controllare Staff International, Brave Kid e una partecipazione del marchio americano

Amiri. Dal 2016 in Ermenegildo Zegna Group, Lo Curzio ha in curriculum anche esperienze nel Gruppo Luxottica, Bain&Company, Danone e L’Oréal

Dopo 15 anni passati all’interno di Gucci con ruoli di responsabilità crescente, fino a quella di ceo della divisione Vault and Metaverse Ventures e senior executive president, corporate and brand strategy, Robert Triefus ha lasciato la griffe di Kering per approdare nel gruppo Moncler, dove dal primo giugno ha preso le redini di Sportswear Company, l’azienda che sviluppa, produce e distribuisce Stone Island. Avviandosi a conclusione la prima fase di sviluppo del brand, con il controllo diretto dei mercati in cui opera, il top manager avrà il compito di guidare la seconda fase, dedicata all’evoluzione strategica e alla

SLOWEAR APRE UN NUOVO

CAPITOLO CON PIERO BRAGA

Slowear, azienda attiva con i brand Incotex, Zanone, Montedoro e Glanshirt fondata da Roberto Compagno (scomparso nel 2021 a 62 anni), ha nominato Piero Braga amministratore delegato. Una carica che da maggio 2022 a oggi è stata detenuta ad interim dal cfo e coo Marco Bernardini. Braga ha alle spalle una carriera in Gucci, culminata nel ruolo di Evp Strategic Advisor & Board Member. Dopo un aumento di capitale da parte di Nuo Capital - che dal 2018 ha una quota di minoranza della società - l’assemblea dei soci ha confermato nel cda il presidente Paolo Ferrin, Giorgio Delpiano e Stefano Sassi. New entry, oltre a Braga, Monica Marsilli

crescita della rilevanza internazionale del marchio. Con l’ingresso di Triefus si rafforza il team management di Stone Island (oltre 400 milioni di euro di fatturato nel 2022), che attualmente vede impegnati, tra gli altri, Romeo Ruffini (secondogenito di Remo) e Francesco Omodei Salè. L’uscita da Gucci del dirigente, che in passato ha lavorato anche per Giorgio Armani e Calvin Klein, arriva in un momento delicato per la griffe, che dopo le dimissioni di Alessandro Michele lo scorso novembre sta preparando il debutto in passerella del nuovo direttore creativo Sabato De Sarno, che si è insediato in azienda lo scorso 18 maggio.

26 A CURA
STRATEGIA CAREERS
DI CARLA MERCURIO E ANGELA TOVAZZI
Il top manager Robert Triefus passa da Gucci al timone di Stone Island Ludovic de Saint Sernin Charles de Vilmorin Rhuigi Villaseñor
MADE
tessuti
MADE TO LAST
FOR YOU

ETICHETTE AMBIENTALI

Verso una direttiva contro le affermazioni false La parola ai consulenti

L’Ue dichiara guerra al greenwashing: pericolo boomerang

In Europa si contano 230 diversi marchi di sostenibilità. Troppi per proteggere i consumatori dalle false affermazioni. La Commissione propone una direttiva ma senza chiarire come mettersi in regola

DI ELISABETTA FABBRI

“100% Eco”, “Ecofriendly”, “Packaging con il 30% di plastica riciclata”: slogan di questo tipo, in futuro, non dovrebbero più circolare con leggerezza insieme ai prodotti venduti in Unione europea. In marzo la Commissione europea ha pubblicato una proposta di Direttiva sui Green Claim (affermazioni o slogan ambientali), che punta a «impedire alle aziende di fare affermazioni fuorvianti sui meriti ambientali dei loro prodotti e servizi». Il presupposto è che per i consumatori è sempre più complesso dare un senso alle numerose etichette sulle prestazioni ambientali di prodotti (sia beni che servizi) e aziende. Solo in Europa si contano 230 marchi di sostenibilità con livelli di trasparenza molto diversi fra loro, alcune dichiarazioni ambientali non sono affidabili e «la fiducia dei consumatori - si legge - è estremamente bassa».

Chi acquista rischia di essere ingannato, mentre i produttori possono dare una falsa impressione dei loro impatti o benefici ambientali, pratica nota come greenwashing. La proposta di una nuova normativa sulle indicazioni ecologiche vuole quindi proteggere gli acquirenti e l’ambiente, ma ambisce anche ad accelerare la competitività delle imprese «che si sforzano di innalzare la sostenibilità ambientale dei loro prodotti e delle loro attività».

Il documento prende in considerazione le dichiarazioni esplicite, «fatte su base volontaria dalle imprese nei confronti dei consumatori, che riguardano gli impatti, gli aspetti o le prestazioni ambientali di un prodotto o del commerciante stesso e che non sono attualmente coperte da altre norme dell’Ue». Al momento, come precisa la

Commissione Ue, le label già regolamentate sono Eu Ecolabel, marchio volontario ufficiale dell’Unione europea nato nel 1992, che identifica l’eccellenza ambientale dei prodotti, ed Emas-Eco-management and audit scheme, indicativo del sistema ufficiale di ecogestione e audit dell’Ue, per migliorare le prestazioni ambientali delle aziende. Entrambe, tuttavia, sono scarsamente utilizzate dalle aziende del tessile-abbigliamento.

Dopo la presentazione della proposta antigreenwashing, il Parlamento europeo e il Consiglio europeo ne valuteranno l’adozione attraverso la procedura legislativa ordinaria e la bozza di testo potrà essere oggetto di ulteriori modifiche. Intanto c’è già chi auspica che, quanto meno, venga fatta chiarezza su alcuni aspetti, pensando ai possibili impatti sulla filiera della moda. «L’industria del tessilemoda è direttamente chiamata in causa, nelle relazioni sia B2B che B2C», afferma Aurora Magni, presidente e cofondatrice di Blumine, società di consulenza con la missione di creare valore nelle filiere della moda e del design, applicando i principi della sostenibilità. «Le aziendeaggiunge - devono usare materiali con una storia documentata di sostenibilità, privilegiando quelli ottenuti almeno in parte da riciclo, e pensare al loro fine vita, evitando di produrre scarti di processo. Inoltre i capi devono durare di più ed essere riparabili».

La comunicazione documentata delle caratteristiche tecniche del materiale diventa quindi un aspetto chiave, nonché il punto su cui si concentrano dubbi e perplessità.

«I claim ambientali - spiega Magni - sono solitamente certificazioni volontarie che l’azienda ottiene a fronte di test, audit o compilazioni di questionari, con lo scopo

di descrivere e documentare aspetti specifici di un dato prodotto, come la sicurezza chimica, la percentuale di materia prima da riciclo, l’origine biologica delle fibre e così via. Sono anche utilizzate le asserzioni autodichiarate (che fanno riferimento alla iso 14021) e in alcuni casi le aziende ottengono, a seguito di una Lca-Life cycle assessment, la dichiarazione ambientale di prodotto Epd. La Commissione ha indicato due possibilità: utilizzare Ecolabel oppure procedere misurando l’impatto ambientale con non meglio precisati “metodi scientifici”». Potrebbe trattarsi della metodologia internazionale Lca, è meglio la Pef-Product environmental footprint o altro? «La Lca è una metodologia robusta, che misura l’impatto ambientale di un prodotto in base a confini di analisi definiti - risponde Magni -. Ma prima di determinare quanta CO2 equivalente pesa una camicia di cotone occorre decidere se considerare nel calcolo, oltre ai processi produttivi, fattori come la coltivazione della fibra, la logistica e il fine vita, che influiscono sul risultato finale e che l’azienda, di solito, non ha direttamente a disposizione». Le modalità di rilevamento e calcolo dei dati «andrebbero condivise, per consentire le comparazioni e servono data base affidabili a cui riferirsi, per colmare le possibili lacune nel flusso di informazioni». Tutto questo non è facile in un mercato complesso e globale come quello della moda, composto soprattutto da Pmi che realizzano prodotti non standardizzabili, diversi in ogni collezione, con molteplici varianti. Quanto alla Pef, nata nel 2013 per favorire la comparazione tra materiali e prodotti, si è dimostrata uno strumento più snello ma ha generato dubbi, specie tra i produttori di fibre naturali come lana

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STRATEGIA MODA ECOFRIENDLY
AURORA MAGNI BLUMINE La proposta di Green Claim Directive dovrà essere valutata dal Parlamento europeo e dal Consiglio

e cotone, che si sono viste penalizzate dal confronto con quelle man made. «Forse è per questo - osserva Aurora Magni - che la Ue sembra un po’ sfuggente sulla Pef, mentre ribadisce la necessità di dare rilevanza scientifica alle etichette ambientali. Ma se dobbiamo misurare gli impatti, deve dirci come e aiutarci a farlo». La Green Claim Directive pone anche un secondo problema. «Si sta passando da un approccio volontaristico - spiega la fondatrice di Blumine - a un sistema normato attraverso le direttive Ue e gli interventi legislativi dei singoli Stati membri, che dovranno regolamentare la verifica e la penalizzazione del ‘greenwashing’, inteso non solo come pubblicità false ma anche come dichiarazioni non adeguatamente sostenute da prove scientifiche». Allo stato attuale risulta difficile immaginare come ciò potrà essere fatto, senza generare danni o panico tra le imprese. «Non sottovaluto il ruolo di indirizzo di un approccio normativo - prosegue Magni - ma preferisco pensare che il mercato sia in grado di regolare se stesso, premiando le imprese virtuose ed escludendo chi fa greenwashing o socialwashing».

I 10 anni trascorsi a ridurre la criticità dei prodotti chimici nella filiera tessile rappresentano, a suo avviso, una buona pratica a cui può essere utile fare riferimento. «Sotto la pressione di Ong e movimenti di opinione - ricorda - i brand ma anche le tessiture, le tintorie e le filature hanno iniziato a dare visibilità ai propri sforzi di controllo dei materiali, dei processi, dei risultati ottenuti e hanno chiesto ai fornitori, da contratto, garanzie sui prodotti chimici utilizzati. Questo

ha spinto i produttori chimici a investire in ricerca, per eliminare le sostanze che, seppur ammesse dal regolamento Reach, rappresentavano criticità. Esperienze come Detox e Zdhc confermano la condivisione di obiettivi di un’intera filiera con risultati tangibili, benché restino dei problemi da risolvere». «Una politica troppo restrittiva e stringente - prefigura l’esperta - potrebbe indurre le imprese, specie i brand globali, a non comunicare i propri progressi in termini di sostenibilità, per evitare di subire attacchi e contestazioni lesivi della loro reputazione. Forse è una visione estrema, ma tra una governance che punta sulla regolazione, calando norme dall’alto, e un sistema industriale che, grazie al dialogo con gli stakeholder, controlla se stesso, preferisco di gran lunga il secondo».

A sollevare dei dubbi è anche Giusy Bettoni, esperta di marketing e comunicazione nel tessile, che nel 2007 ha fondato l’ecohub C.L.A.S.S. (Creativity Lifestyle And Sustainable Synergy), con l’obiettivo di rivoluzionare la percezione della moda sostenibile. «Muoversi nella direzione anti-greenwashing è corretto ed è giusto mettere dei paletti, ma occorrono delle regole chiare - afferma -. Vorremmo capire chi detterà le definizioni, quali sono i parametri, chi si occuperà di controllare. Perché, viene poi da chiedersi, la direttiva considera solo l’ambiente e non l’etica, che invece dovrebbe occupare il primo posto?». «Anche generalizzare troppo - continua - è sbagliato. Se si parla di rispetto dell’ambiente, come pure di etica, entrano in gioco parametri molto diversi fra loro. Basti pensare alle fibre riciclate: si può trattare di rici-

clo meccanico, chimico o di altro. Inoltre la ricerca nel tessile continua a sperimentare e, con il sostegno dei grandi brand, potrà fare anche molto di più. Si stanno sviluppando bio-materiali come la pelle ottenuta dai miceli e siamo già arrivati ai materiali bio-fabbricati, prodotti da cellule viventi e microrganismi come batteri e lieviti, con i quali si può persino “coltivare” un certo colore. Sul mercato sono presenti anche fibre sintetiche con polimeri degradabili nel fine vita o pensati già per avere un secondo utilizzo, dopo essere stati un capo di abbigliamento». Scrivere che le dichiarazioni green devono essere provate scientificamente è un buon inizio «ma non basta, bisogna entrare nel merito». «A monte - nota Bettoni - c’è un problema di comunicazione da parte

Le società europee rischiano di essere penalizzate due volte, se le regole non varranno anche per le imprese extra-Ue

delle aziende, anche per quelle che stanno facendo molti progressi sul fronte della moda responsabile: devono essere più consapevoli che storytelling è diverso da storymaking. Speriamo che d’ora in avanti siano motivate da un discorso di reputazione, dal voler emergere come le migliori della classe». Non è nemmeno chiaro come saranno regolati i claim “verdi” delle aziende non europee. «Ci si aspetta che l’Ue prenda posizione in tal senso, perché - conclude la ceo di C.L.A.S.S. - se regolamenta in modo rigoroso le imprese europee, ma le regole non vengono estese alle società estere, le realtà domestiche rischiano di essere penalizzate due volte».

STRATEGIA 30
GIUSY BETTONI C.L.A.S.S. Sono i marchi di sostenibilità in Ue, con livelli di trasparenza molto differenti tra loro Dietro metà delle green label ci sono deboli o inesistenti verifiche La percentuale di slogan verdi che non sono supportati dll’evidenza
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La quota di green claim in Europa che danno informazioni vaghe, ingannevoli o infondate
In cifre
Fonte: Commissione europea PITTI UOMO - Padiglione Centrale - Stand T/1-3

LA MATEMATICA NELL’UFFICIO STILE

Una questione di sensibilità

Parlano designer ed esperti di dati

Design data driven e human driven: prove tecniche di collaborazione

Valorizzare l’archivio storico, analizzare corsi e ricorsi con fini predittivi, recepire il tam tam della Rete, familiarizzare con la propria audience, mandare in produzione riducendo il rischio di overstock: l’intelligenza artificiale si sta mettendo al servizio della creatività dimostrandosi versatile. Per la moda forse è il momento di superare ogni forma di diffidenza

Sempre più oggetto di sperimentazione nell’arte e nell’industria della creatività, l’intelligenza artificiale (IA o AI, all’americana) continua a dividere. Il suo impiego nel cinema è «un’oscenità umana», ha detto l’attore e regista Sean Penn al recente Festival di Cannes, manifestando il suo sostegno agli sceneggiatori e agli attori in sciopero a Hollywood, di cui l’industria cinematografica si starebbe «prendendo gioco». Più aperte le posizioni di Tom Hanks, per un uso volto a ridare vita agli attori che non ci sono più, e di Harrison Ford, ringiovanito di decenni, grazie all’AI, nelle sequenze iniziali di Indiana Jones e il quadrante del destino. Per il regista e produttore Joe Russo (tra gli altri, ha co-diretto due capitoli della saga The Avengers) le intelligenze artificiali rivoluzioneranno tutto l’intrattenimento, fino al punto

che lo spettatore sarà il regista, il produttore e lo sceneggiatore di storie aperte, di cui l’AI fornirà i contorni. Nella moda questo scenario potrebbe essere più vicino di quanto si possa pensare. C’è già chi dice che con

l’AI chiunque potrà diventare stilista di se stesso (forse anche “sarto”, visti i passi in avanti delle stampanati 3D). Un modello di business da tenere sotto osservazione è quello della californiana Finesse: una startup dell’abbigliamento partita ufficialmente

nel 2021 con 4,5 milioni di dollari di capitali da sette investitori, diventati 16,2 milioni con il più recente fund rising, circa un anno fa. Il suo fondatore, Ramin Ahmari, l’ha definita «l’incontro fra Zara e Netflix» in un’intervista a Forbes, perché crea prodotti che piacciono al suo target - la Generazione Zeta - nel momento in cui ne hanno bisogno ed esattamente nelle quantità richieste (quindi il problema dell’overstock, in conflitto con il concetto di sostenibilità, non esiste). Lui è un giovane laureato in computer science, con esperienza in una banca di investimenti, da cui ha tratto spunto per il suo progetto di casa di moda AI-led. Infatti si è reso conto che le istituzioni finanziarie usano algoritmi Nlp-Natural language processing (elaborazione del linguaggio naturale) per analizzare un vasto numero di

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INNOVAZIONE DEEP TECH
C’è chi pensa già che con l’AI chiunque possa diventare stilista di se stesso

dati online, tra cui Twitter, e prevedere il mercato e i movimenti dei prezzi delle azioni. Applicando questo concetto alla moda, dalle interazioni nella community della Gen Z sul web (cosa fanno, indossano e desiderano) si possono estrapolare diverse informazioni in merito alle preferenze su certi prodotti e altri fattori, che possono andare a definire i trend futuri. Finesse fa leva sull’uso del deep tech in modo non convenzionale, combinando l’analisi delle serie storiche, l’Nlp, l’elaborazione dei dati visuali con gli algoritmi di machine learning (quelli che apprendono informazioni direttamente dai dati e incrementano le proprie prestazioni in modo automatico e adattivo). Dietro le proposte di moda di questo marchio non c’è uno stilista e nemmeno una musa ispiratrice, ma una sorta di distillato, derivante dalla Rete, di cosa fanno, indossano e desiderano i post-Millennials. La prototipia è solo virtuale, realizzata da un disegnatore tecnico in 3D, utilizzando tessuti digitalizzati. Ogni settimana tre outfit digitali, generati dall’analisi dei dati, vengono presentati sul sito di Finesse e sottoposti al giudizio degli utenti. Solo quello che riceverà più click diventerà un campionario fisico. Lo realizzerà un partner produttivo in Cina, per poi prepararsi alla produzione ondemand, sulla base dei pre-ordini. Questo sistema si presta a ulteriori sviluppi: il fondatore Ahmari pensa già a una maggiore interazione fra il sito e gli utenti, che porterà questi ultimi a visualizzare solo i modelli rilevanti per loro.

Con la primavera-estate 2023 la maison Anteprima ha lanciato la sua prima capsule collection creata con AiDA, assistente per il fashion design interattivo basato sull’intelligenza artificiale sviluppato da AiDLab, piattaforma di ricerca istituita dalla Hong Kong Polytechnic University con il Royal College of Art. La giapponese Izumi Ogino, fondatrice e direttrice creativa di Anteprima, racconta come è andata: «Per prima cosa abbiamo inserito in AiDA tutti i look iconici di Anteprima del passato, poi abbiamo inserito il concept della primavera-estate 2023 e i colori. Il sistema ha quindi prodotto una serie di suggerimenti per il design. Un risultato inaspettato, soprattutto per quanto riguarda i modelli: erano del tutto Anteprima, ma con una nuova prospettiva». «La tecnologia ci ha dato sicuramente più scelta tra i modelli e opzioni fuori dagli schemi ma i designerpuntualizza la stilista - devono comunque apportare le proprie competenze, oltre a imparare a utilizzare la piattaforma. Anche il primo stadio del design concept deve essere opera

del creativo. Ispirato alla natura, all’arte, ai viaggi, dovrebbe nascere dall’interazione umana, dall’esperienza e dal cuore». Di positivo c’è che AiDA non genera uno stile qualsiasi, ma studia e assume i dati, per generare un prodotto da personalizzare. «La nostra filosofia è “Smart, precious, with love” da 30 anni - precisa Izumi Ogino -. Non facciamo minigonne sexy o stili folli di avanguardia. Abbiamo sempre avuto un gusto sofisticato e AiDA ha mantenuto questa filosofia». La fondatrice di Anteprima pensa che l’intelligenza artificiale ridurrà significativamente le barriere d’ingresso per i nuovi designer e darà ai veterani un modo per superare gli ostacoli creativi. Moda e AI, a suo parere possono coesistere: «L’AI può aiutare nel ridurre parti inutili del carico di lavoro, come quando genera varianti del design, anche se nulla di tecnologico potrà mai sostituire l’artigianalità umana, indispensabile per produrre articoli di lunga durata e sostenibili».

Invece cosa ne pensa del design data driven Veronica Leoni, che con il suo marchio Quira fa parte della nuova generazione di stilisti italiani indipendenti? «Non mi è mai capitato di sperimentare tecnologie di questo tipo o che mi venissero proposterisponde Leoni, sotto i riflettori come finalista all’Lvmh Prize 2023 -. La mia vita professionale è piuttosto analogica ma sono curiosa per natura e se succedesse certamente le proverei». «L’impiego che mi sembra più interessante è nello sviluppo prodotto - aggiunge -. Poter visualizzare in via preliminare è un’opportunità straordinaria, che aiuta il processo di elaborazione creativa. Essere editor di sé stessi è senza dubbio un momento cruciale, difficilissimo nel concepimento di una collezione. I livelli di realismo raggiunti dalla tecnologia, tra l’altro, sono incredibili». In merito alle potenzialità dell’AI nella previsione dei trend, la designer di Quira solleva invece dei dubbi: «I trend non esistono, o comunque non riguardano il segmento alto dell’industria. Si può certamente analizzare i consumi e i comportamenti del mercato, ma i dati saranno sempre relativi all’oggi o a un pattern riconoscibile. Il lavoro del designer riguarda invece il futuro. C’è un qualcosa di intangibile nel nostro mestiere. Si lavora attorno a qualcosa di cui il cliente è ancora inconsapevole. Lì sta la magia e la sfida più grande». Quindi non è vero che tutti, con l’AI possono diventare stilisti? «Ci sono diversi modi di praticare la professione di designer - risponde Veronica Leoni -. Di certo sarà più facile costruire una collezione che risponda a esigenze dettate dal mercato, visualizzando il tutto su uno schermo e

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IZUMI OGINO ANTEPRIMA VERONICA LEONI
QUIRA

1. Un modello della capsule collection creata da Anteprima con AiDA, assistente per il design basato sull’AI, frutto della piattaforma di ricerca AiDLab

2. Un outfit Quira per il prossimo autunno-inverno

3. Ogni settimana Finesse propone tre modelli generati dall’AI: il più cliccato va in produzione sulla base dei pre-ordini

velocizzando il lungo e travagliato processo creativo. Però non sono certa che questo possa riguardare il segmento più alto del prêt- à-porter e il lusso, dove l’artigianalità, il plusvalore artistico e l’azione della mano fanno la differenza». In merito a una possibile collaborazione proficua tra intelligenza umana e artificiale, la fondatrice di Quira dice: «Mi diverte pensare di poter amplificare la mia esperienza rispetto al rapporto con il mercato. Il successo di un progetto oggi è molto connesso al senso di community e appartenenza. Rendere accessibile e diffusa la partecipazione al brand aiuterebbe senza dubbio a creare quel legame affettivo e umano, che potrebbe in seguito indurre al desiderio e all’acquisto». Ammagamma - dinamica società di data science con sede a Modena e ad Haifa, in Israele, che conta circa 90 professionisti (dai 70 nel 2022) - collabora da anni con aziende di vari settori su diversi tipi di processi, ma l’interesse delle imprese per l’AI riguarda soprattutto applicazioni nelle vendite e nel marketing. «La moda è un settore conservatore, ostico da intercettare, poiché lascia molto alla creatività - osserva il suo sales solutions manager, Andrea Mordenti -. Invece l’intelligenza artificiale può dare un supporto al design nell’analisi delle tendenze e nel forecasting. Si può fare uno studio dei trend storici e analizzare le stagionalità: dall’esame dei dati si è visto, per esempio, che sono lunghe per gli occhiali a goccia, più brevi per il piumino. Nel caso dell’AI generativa, invece, è possibile spingersi oltre, non solo studiando lo storico, ma generando anche qualcosa di nuovo, partendo dal passato, come una montatura a goccia ma leggermente rivista. Si tratta di uno strumento di supporto a chi si occupa di design, che da solo non basta, ma necessita della creatività umana». Si possono utilizzare anche dati esterni all’azienda, dai social, dai post degli influencer, da telefonate o video. «Sono informazioni destrutturate, che possono risultare utili a chi progetta, per farsi un’idea di ciò che accade online - spiega Mordenti -. Aiutano anche a capire il sentiment di una certa fascia di età, dove mette più like, le personalità o celebrity che segue». «L’AI - continua - ha come assunto di base quello di ridurre al mini-

ANDREA MORDENTI AMMAGAMMA

mo le attività a basso valore aggiunto, come nel caso della raccolta dati da fonti diverse, che viene automatizzata. I dati vengo poi sottoposti a un processo di “pulizia”, divisi in categorie, resi analizzabili e visualizzabili. La tecnologia velocizza il tutto, permettendo agli umani di concentrarsi sulle attività che fanno veramente la differenza. Dà suggerimenti quantitativi, non si sostituisce al lavoro delle persone». L’attività dell’intelligenza artificiale ha anche un aspetto green. «Permette previsioni migliori - conferma Mordenti - per far sì che a valle si posano fare scelte consapevoli a più livelli, dall’approvvigionamento della materia prima alla progettazione senza sprechi, dalla produzione fino all’invenduto: sono tutte sequenze che possono essere ottimizzate». Quanto alla possibilità che la macchina commetta errori, specie nel caso del forecasting, l’esperto di Ammagamma afferma: «L’errore c’è stato e sempre ci sarà, ma i modelli sono periodicamente “allenati” e valutati: questo fa contenere le probabilità che accada. Ridurlo a zero è impossibile, ma tendenzialmente è di entità ridotta, a meno di non trovarsi in situazioni del tutto fuori dagli schemi, come nel caso della pandemia da Covid-19».

L’intelligenza artificiale non è alla portata solo delle grandi aziende. «Noi - spiega Mordenti - lavoriamo molto con le Pmi, che possono partire con progetti di AI piccoli, per poi espanderli a moduli. Possonodecidere per soluzioni meno personalizzate e più di mercato. In Ammagamma portiamo l’AI anche nelle imprese che operano in mercati mediamente stabili, fornendo nel tempo servizi di manutenzione, per migliorare gli applicativi e riallinearli ai modelli. Prima di iniziare qualsiasi progetto, però,

affianchiamo i clienti nella preparazione dei dati, che in primis vanno messi in sicurezza e poi ordinati». In merito alle competenze in azienda, in vista di un investimento in innovazione, afferma: «Avvalersi delle competenze di un team di data scientist è possibile mediante due modalità: esternalizzando a società di consulenza specializzate, oppure investendo internamente in percorsi di crescita data-driven. Quanto allo stilista, dovrebbe avere alle spalle un dipartimento IT preparato sull’integrazione delle informazioni, con dati di valore su cui ragionare. I creativi dovrebbero essere consapevoli e avere cognizione delle informazioni presenti nei sistemi aziendali. Un approccio critico al dato può fare gioco: non occorre avere competenze tecniche, ma coltivare una certa sensibilità. Grazie alle potenzialità del digitale, è fondamen-

I designer non devono avere competenze tecniche ma coltivare una certa sensibilità al dato

tale saper cambiare mentalità all’occorrenza, per esempio pensando: “Ho una nuova idea per la testa, magari esistono dei dati aziendali utili per realizzarla. Quali informazioni posso estrarre da essi, che portino valore alla mia idea?”». «Oggi si fa tanto allarmismo per niente riguardo l’intelligenza artificiale - sottolinea il manager di Ammagamma -. Pensiamo soltanto alle immagini dell’automa che circolano: a nostro parere allontanano l’uomo dalla tecnologia, creano una dicotomia. Un algoritmo non può sostituire in toto il lavoro di uno stilista o del personale commerciale. La realtà è che queste figure possono lavorare meglio con l’aiuto dell’algoritmo. I più recenti allarmi

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su ChatGpt (vedi a pag.40) non fanno altro che ampliare ulteriormente le distanze, forse troppo».

«Il fashion design data driven al momento è un argomento di frontiera», dice Maurizio Sanarico, chief data scientist di SDG Group, società di consulenza manageriale basata sugli analytics a 360 gradi, con sede centrale a Milano. «Il lusso lo vede a fatica, il fashion intermedio lo guarda più da vicino - precisa -. Le grandi maison, che hanno già in tutto o in parte digitalizzato l’archivio, con l’AI potrebbero esplorarlo per riprendere dei concetti: valorizzerebbero il patrimonio storico, pur lasciando in capo allo stilista l’innovazione spinta». Oc-

tive web per lanciare un certo prodotto sono state efficaci oppure no - risponde l’esperto di Sdg -. L’intelligenza artificiale aiuta non nel caso delle proposte stagionali e sperimentali, che non hanno uno storico, ma con i prodotti evergreen. Possono emergere delle analogie, nel tempo, per i prodotti di successo, utili all’ottimizzazione della produzione, che deve essere decisa un anno prima. Se a queste informazioni se ne aggiungono altre derivanti dall’inizio della campagna vendite, come i pre-ordini wholesale, si arriva a ridurre anche del 45% gli errori nelle quantità da realizzare».

1. L’opera in 3D Quantum Memories del Refik Anadol Studio, che indaga gli esperimenti di “supremazia quantistica” di Google Quantum AI, il machine learning e l’estetica della probabilità. Per questo progetto l’AI ha elaborato 200 milioni di immagini fra natura e di paesaggi. Inoltre Quantum Memories evolve in continuazione, perché tiene traccia dei movimenti del pubblico in tempo reale 2. Un look del marchio Besfxxk, disegnato dagli stilisti coreani Bona Kim e Jae Hyuk Lim con AiDA e presentato in dicembre a Hong Kong, al Fashion X AI 2022-2023 International Salon

correrebbe però una visione più olistica, a suo parere, dove si mettono insieme il data base del design, i dati delle vendite e altri derivanti dal web. «Dai numeri delle vendite fisiche e online - spiega Sanarico - si può ricavare il profilo di acquisto del consumatore e la sua attitudine rispetto a diverse tipologie di prodotto, utili anche per organizzare l’assortimento in negozio e la logistica». Ma le analisi di dati provenienti dal web (tra cui blog e social di influencer e vip, che già indossano ciò che i marchi vorrebbero far diventare un must have), in che modo possono far prevedere una tendenza? «La raccolta di informazioni dai canali social e dai siti degli influencer non serve tanto per dare input agli stilisti, ma per capire se le inizia-

«Il creativo prescinde da tutto questo - prosegue -. Ma sarebbe bene che percepisse l’intelligenza artificiale come un aiuto, non un’imposizione. Anche una piccola realtà aziendale se ha un archivio può beneficiarne. Non è tanto un problema di investimenti ma di approccio culturale. Da parte nostra riconosciamo però che è necessario attivarsi per un linguaggio comune e per creare più sinergie, che problemi tecnologici: le tecnologie esistono, si tratta di farle percepire come un valore». In ogni caso la situazione sta migliorando e il livello di consapevolezza sta aumentando. «Oggi - osserva Sanarico - la fase di tanti brand è quella sperimentale, dell’avvio di un progetto pilota dove si identifica il problema e il livello a cui si vuole arrivare, per poi eventualmente andare avanti. A frenare sono i “silos” aziendali, dove ciascuno ha la propria area, difende il proprio territorio con scarse interazioni e vorrebbe evitare un sovraccarico di lavoro». «Si parla tanto di data mesh, un approccio moderno alla gestione dei dati attraverso un’architettura decentralizzata - conclude -. Che si concretizzi o meno è soprattutto un problema di persone».

UN’INDAGINE DI LENOVO Strategie data driven: le adotta solo il 15% delle imprese italiane

Poche aziende oggi possono definirsi data leader, cioè in grado di estrarre valore dai dati e utilizzarli per migliorare il business. In Italia si tratta del 15% appena, come emerge dal report Data for Humanity, dell’azienda informatica Lenovo, basato sulle interviste a 600 executive di società con ricavi pari o superiori a 500 milioni di dollari in cinque Paesi diversi. Le imprese data leader si basano su data management, data analytics e data security, con vantaggi che vanno dall’aumentato dei ricavi a una maggiore soddisfazione dei clienti. Il 51% delle italiane del campione dice di non possedere le competenze informatiche, in particolare quelle per condividere i dati con partner e organizzazioni esterne. Il 90% intende investire, nel giro di un anno, almeno 1 milione di euro in tecnologia e iniziative data driven. Il 55% prevede più investimenti in strumenti di archiviazione e automazione dei dati.

36 INNOVAZIONE DEEP TECH
L’intelligenza artificiale andrebbe percepita come un aiuto, non come un’imposizione
MAURIZIO SANARICO SDG GROUP
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GENERATIVE AI

I nuovi tool irrompono nella moda Opportunità e limiti

ChatGpt & Co., la rivoluzione è appena iniziata

Non solo un cambio di passo per design e produzione. L’onda innovativa dei modelli di intelligenza artificiale generativa si propaga su tutta la catena del valore, per ottimizzare la customer experience e creare nuove narrative nel marketing e nella comunicazione. Capirne le (straordinarie) potenzialità, senza ignorarne le distorsioni, è d’obbligo, perché di sicuro il genio di ChatGpt & Co. non tornerà nella lampada

In un recente intervento durante il Fashion Tech Forum, l’ex numero uno di Burberry e Apple, Angela Ahrendts, ha paragonato il 2023 al 2007, quando Steve Jobs presentò l’iPhone: «Credo che nei prossimi 5-10 anni ci guarderemo indietro e parleremo del 2023 come di un anno di trasformazione - ha dichiarato -. Dobbiamo essere aperti e flessibili, perché le innovazioni portate da intelligenza artificiale e nuovi chatbot saranno diverse da quelle che abbiamo visto sino ad ora». Le aziende, anche quelle della moda, ormai da anni si affidano agli algoritmi ed esplorano le abilità analitiche e sintetiche dell’AI per snellire processi, velocizzare procedure e ottimizzare performance, tanto che nel 2022 questo mercato in Italia ha raggiunto i 500 milioni di euro, +32% rispetto al 2021 secondo i dati del Politecnico. Ma a partire da fine 2022 a shakerare le carte in tavola è stato il big bang, anche mediatico, provocato da nuovi tool, come gli ormai popolari ChapGpt, Midjourney e Dall-E2, sviluppati dalla startup Usa OpenAI. Che cosa hanno di diverso queste tecnologie, basate sulla cosiddetta intelligenza artificiale “generativa”? Il fatto appunto di saper generare. Produrre qualcosa di inedito, e dunque creativo, come frutto di una sapiente rielaborazione. Basta ci sia un input (in gergo “prompt”) umano e questi

Gli outfit digitali di Atlantis Luminescence, la collezione del marchio Chu, che il designer Rayshaun Smith ha presentato alla prima AI Fashion Week a New York lo scorso aprile: una rassegna dedicata a creator e stilisti che sviluppano le loro creazioni mediante l’utilizzo della Intelligenza Artificiale Generativa

strumenti attingono a tutto lo scibile assorbito fino a quel momento, frutto naturalmente di addestramento, per mappare i risultati, trovare correlazioni statistiche e sfornare, a una velocità irraggiungibile anche per il più erudito degli homo sapiens, contenuti che prima non esistevano, siano essi testi, immagini o video. La foto fake ribattezzata “Monclero” e realizzata attraverso il software Midjourney, con Papa Francesco vestito con un piumino Moncler, o il più recente scatto “sintetico” di un’esplosione al Pentagono sono esempi eloquenti della potenza (anche manipolatrice) di queste app, che pur negli inciam-

Da un prompt i software attingono al loro dataset, trovano correlazioni statistiche e creano contenuti inediti

pi causati dalle loro “allucinazioni” (le cantonate in cui incorre spesso ChatGpt) hanno in fieri una portata rivoluzionaria anche a valle della filiera, in particolare nel marketing e nel dialogo online con il consumatore finale. Facciamo un esempio pratico proprio con ChatGpt, come suggerisce Andrea Boscaro, esperto tech e founder della società di consulenza e for-

40 INNOVAZIONE INTELLIGENZA ARTIFICIALE

mazione The Vortex: «A partire dalla descrizione di un prodotto, come una borsa, si può ottenere un articolo per il blog, un post per i social media, materiale per le campagne pubblicitarie, schede differenti per i siti di e-commerce di ogni rivenditore e domande e risposte con cui arricchire i canali di customer service». Con unafondamentale - accortezza: tenere alta la consapevolezza che ogni “creazione” dell’intelligenza artificiale generativa proviene dal serbatoio di dati da cui attinge e che il suo valore aggiunto sta nella sua straordinaria capacità combinatoria, non certo demiurgica. «ChatGpt - precisa Boscaro - non deve essere considerato come un motore di ricerca, né tanto meno come una sfera di cristallo. Per via degli errori in cui incappa non è affidabile come strumento a cui consegnare il reperimento di informazioni di cui non si è a conoscenza. Al contrario, è una potente tecnologia utile per rielaborare contenuti di cui si è certi». Gli usi dell’intelligenza artificiale gene-

rativa, dicevamo, sono innumerevoli anche per il marketing, la comunicazione e la distribuzione, con un possibile upgrading dell’operatività dell’e-commerce. Come?

Grazie a una incredibile erudizione (sempre in progress, perché quello dell’AI è un learning by doing) e all’abilità nell’orga-

L'AI generativa potrebbe migliorare l'operatività dell'e-commerce e il dialogo con il consumatore finale

nizzare e catalogare i dati (destinata a diventare progressivamente più sofisticata), ChatGpt e Midjourney, o tool analoghi come Stable Diffusion, Copy.ai, Rytr. me o Chatsonic possono contribuire a una iper-personalizzazione dei messaggi pubblicitari, delle campagne di advertising, delle raccomandazioni prodotto, delle promozioni e, soprattutto, dell’assisten-

1. Un’immagine tratta da Freepick 2. Zalando è pronto a lanciare la prima versione beta di un assistente moda sviluppato da ChatGpt e integrato sulle sue piattaforme app e web per migliorare l’esperienza di scoperta e acquisto online 3. L'advertising campaign di Monnalisa, realizzata con il contributo di Midjourney, algoritmo di intelligenza artificiale "text to image", che permette di creare immagini inedite partendo da descrizioni testuali

SHOPPING REVOLUTION

Google pronta a sviluppare l’anti ChatGpt

Si chiamerà Sge-Search Generative Experience e ha l’obiettivo di sviluppare ulteriormente lo shopping verticale di Google. Di fronte a una domanda dell’utente, il motore di ricerca fornirà una panoramica di considerazioni utili ai fini dell’acquisto, tenendo conto anche di recensioni pertinenti e aggiornate: dall’elenco delle caratteristiche del prodotto ai venditori che lo commercializzano, dai negozi in cui è disponibile fino a una comparazione con articoli simili. Non resta che attendere: se il test avrà successo, l’AI generativa diventerà parte integrante della sezione acquisti di Google.

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za pre e post vendita. Operazioni, queste ultime, che richiedono tempo e risorse non indifferenti e che invece verrebbero automatizzate. È come se online a relazionarsi con ogni consumatore ci fosse un premuroso, empatico, super informato addetto in carne e ossa, che si dedica nel soddisfare richieste ad personam. Una customizzazione del servizio fatta per il singolo, ma - e qui sta il valore aggiunto per le aziende - su vasta scala. Zalando è uno tra i primi ad averci scommesso con la pri-

Nel giro di 3-5 anni l'AI generativa potrebbe incrementare i profitti del settore moda fino a 275 mld di dollari

ma versione beta del suo assistente moda sviluppato da ChatGpt, che sarà a brevissimo disponibile in Germania, Irlanda, Regno Unito e Austria. Se un cliente chiede: «Che cosa posso indossare per un matrimonio a Madrid a maggio?», l’assistente-robot incrocia diverse informazioni - il fatto che si tratta di un evento formale e le condizioni meteo previste in quel luogo in quel dato momento - e offre una serie di consigli bespoke tra il vasto catalogo del marketplace. «Ma questo è solo l’inizioavverte Tian Su, vp Personalization and Reccomandation di Zalando -. Siamo im-

La taglia perfetta? Te lo dice l'AI Triumph ha lanciato il primo tool di bra fitting in Europa basato sull’intelligenza artificiale, in collaborazione con Sizer, azienda leader nel mondo del digital sizing: uno strumento pratico e funzionale che permette alle donne di selezionare la taglia perfetta di reggiseno in totale autonomia.

pegnati a comprendere sempre meglio le esigenze dei nostri clienti e ansiosi di esplorare il potenziale che ChatGpt potrà apportare al loro percorso di shopping». In futuro infatti, come anticipa l’e-tailer berlinese, «le risposte della app potrebbero essere combinate con le preferenze degli utenti, come i brand da loro seguiti e i prodotti disponibili nelle loro taglie, per offrire una selezione ancora più custom made». Monnalisa si è invece affidata a Midjourney, con un “text to image” indirizzato dalla direzione creativa, per la campagna pubblicitaria del prossimo au-

Gli algoritmi al servizio di diversity&inclusion

I modelli sono di per sé figure aspirazionali, spesso lontane dalle persone reali. Se invece fossero a nostra immagine e somiglianza, con la nostra corporatura, la nostra taglia, la nostra età e il nostro colore della pelle cambierebbe qualcosa nella shopping experience? Il marchio Levi’s ne è convinto, tanto che con l’aiuto di Lalaland ha creato avatar virtuali generati dall’intelligenza artificiale. Nessuna intenzione di soppiantare i modelli in carne ed ossa, né tanto meno la fotografia tradizionale, ha assicurato Amy Gershkoff, global head of digital di Levi Strauss & Co., ma solo di garantire «maggiore diversità e inclusione».

tunno-inverno, con «un immediato miglioramento nell’efficienza dei processi e nell’impatto ambientale ed economico rispetto agli shooting tradizionali», sottolineano i vertici dell’azienda del childrenswear. Creare dunque messaggisiano essi testi descrittivi, immagini promozionali o altro - mirati, incisivi e customizzati, con minor spreco di tempo e risorse, è la scommessa di questi strumenti, che promettono di aumentare engagement e tasso di conversione. Secondo gli analisti di McKinsey, i modelli di intelligenza generativa potrebbero garantire da 150 a 275 miliardi di dollari di profitti operativi supplementari per il settore abbigliamento, che grazie all’automazione avrebbe la possibilità di stornare l’intelligenza umana su compiti che richiedono giocoforza il suo intervento. E qui si apre un capitolo controverso, perché l’incremento di produttività reso possibile dall’AI non può essere disgiunto dalle sue ricadute occupazionali. I robot fino a che punto potranno emulare il nostro pensiero? Ruberanno posti di lavoro? Va sottolineato che per quanto prodigiosa, l’intelligenza artificiale non è così intelligente. Come dicevamo, è una stupefacente macchina di calcolo, ma è priva di coscienza, incapace di autonome inferenze semantiche e dunque potenzialmente fuorviante quando si devono prendere decisioni, soprattutto di tipo etico. Un controllo uma-

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Il look avveniristico del creator Opé Style Star, realizzato con il contributo di Midjourney

Uno scatto della nuova campagna di Dan John per la SS 2023, realizzata dall'artista AI.S.A.M. con l'ausilio dell'intelligenza artificiale

no sarà sempre d’obbligo, anche se per sfruttare al meglio queste novità tech saranno imprescindibili interventi formativi di upskilling. Alessandro Zonta, Lead machine learning engineer da Lalaland, startup olandese specializzata nella creazione di modelle e modelli virtuali generati dall’intelligenza artificiale, utilizzati per la pubblicità, fa notare che «con ogni nuova implementazione tecnologica si aprono discussioni sulle implicazioni occupazionali e questo perché l’AI e l’automazione hanno il potenziale di sostituire determinate attività umane per renderle

Con l'AI il conversion rate ci guadagna Benetton Group ha scelto le soluzioni AI di Google Cloud per fornire raccomandazioni personalizzate ai clienti online e costruire una shopping experience omnichannel e data-driven: una strategia che ha permesso «un aumento medio delle vendite del 7% e un tasso di conversione sei volte superiore».

lavoro, nel settore tech». Di sicuro, oltre a un training ad hoc per gestire questi tool, serviranno nuovi strumenti di governance e trasparenza per arginare le criticità derivanti da un loro possibile uso improprio.

«Il patrimonio informativo che sta alla base di tali tecnologie - spiega Andrea Boscaro di The Vortex - deriva da contenuti reperiti online e molte sono già le cause in essere per l’uso che è stato fatto di immagini protette da copyright al fine dell’addestramento degli algoritmi». Non solo: «Se teniamo presente che, al momento, non esistono software in grado di ricono-

scere un contenuto creato con l’intelligenza artificiale - aggiunge - capiamo che a trarne beneficio possono essere anche soggetti coinvolti in attività illecite come la contraffazione, la creazione di recensioni false, o crimini informatici». Insomma, siamo ancora nella fase di decollo di queste nuove tecnologie, accompagnate da un misto di esaltazione e timore. L’importante è usarle in modo consapevole e costruttivo, evitando derive distopiche (con i robot che prenderanno il nostro posto), ma anche illusioni utopiche, attribuendo loro un eccesso di potere. 

più efficienti». «Tuttavia - evidenzia - è importante sottolineare che la tecnologia ha anche creato nuovi posti di lavoro e industrie che prima non esistevano. Sono convinto che le AI simili a ChatGpt saranno fondamentali per migliorare alcune funzioni lavorative anziché rimpiazzarle, specialmente quelle che implicano mansioni di routine o noiose». Una maggiore produttività ed efficienza aziendale potrebbero anzi portare secondo Zonta a «una crescita complessiva dell’occupazione e nuovi investimenti, e dunque posti di

Un’immagine di FindMine. La realtà francese, al debutto in Italia, utilizza l’AI per migliorare la shopping experience multicanale, fornendo ai clienti contenuti pertinenti e customizzati, sotto forma di “Shop the look” e “Complete the look”, con l'obiettivo di fornire lo stesso livello di personalizzazione e ispirazione che potrebbero ricevere in un negozio fisico

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Il controllo umano resta fondamentale sui nuovi tool, per scongiurare possibili "allucinazioni"
CANADIANCLASSICS.IT

CIRCULAR ECONOMY

Fashion as a service: con il noleggio la moda copia Netflix

Soddisfa la voglia di shopping, senza derive iperconsumistiche, e tutela l’ambiente, allungando la vita del prodotto. Decollato sulle piattaforme dall’offerta multibrand, il fashion rental sta iniziando a fare proseliti anche tra le aziende e a evolversi in formule ibride, che includono il resale. Ma per trasformarlo in business ci vogliono risorse e competenze ad hoc

Immaginate di aprire un armadio infinito, con capi e accessori per tutte le occasioni, tanto da poter cambiare look ogni volta che lo desiderate, ma senza abbuffate di shopping asciuga-portafoglio. Praticamente il sogno di tutti. Sarà per questo che, soprattutto tra i giovanissimi, sta prendendo sempre più piede la pratica del fashion rental, principalmente in abbonamento ma anche con altre formule innovative. Una soluzione a basso impatto ambientale e di spesa, che trasla nella moda modelli di sharing economy già testati con successo nei settori del cinema (pensiamo a Netflix), dell’automotive (Uber), della musica (Spotify) o

del turismo (Airbnb). E che rappresenta un valore aggiunto non solo per i consumatori, ma anche per aziende e negozi, che attraverso il noleggio possono offrire una valida soluzione per sfruttare al massimo il potenziale di vita di un prodotto, in una logica circolare e maggiormente sostenibile, e in taluni casi risolvere in chiave green

il problema delle rimanenze. Avviare gli ingranaggi di una macchina adibita alla moda in affitto non è però un’operazione alla portata di tutti, perché la gestione richiede risorse e, soprattutto, competenze specifiche. Negli ultimi anni sul mercato italiano sono comparse diverse startupcome DressYouCan e DrexCode - che sulla falsariga del big americano Rent the Runway sono riuscite ad accendere i riflettori su un nuovo modo di vivere la moda, intesa come servizio e non come bene di proprietà, contribuendo a creare una matrice per nuovi business model. Uno è quello messo a punto da Hesse, giovane realtà

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Nuovi business model Hesse, Pinko Play, Pleasedontbuy
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La moda in affitto sfrutta al massimo il potenziale di ogni capo e offre una soluzione per gestire le rimanenze

milanese gestita da sei soci, che ha introdotto il “noleggio con possibilità di riscatto”, grazie a una formula ibrida che mescola rental e resale. Basta scaricare la app e registrarsi gratuitamente e si ha accesso a brand per molti consumatori off-limits, come Gucci, Bottega Veneta, Miu Miu e Jacquemus. Il noleggio ha una durata standard di un mese, al termine del quale l’utente può decidere se restituire il capo o prolungare il noleggio per altri 30 giorni, o riscattarlo semplicemente tenendolo per un minimo di tre e un massimo di sei mensilità a seconda del prodotto. «Lavoriamo con selezionati retailer multimarca,

che in questo modo riescono a gestire l’invenduto», spiega Marcello Gamberale, la cui ambizione è «portare il noleggio nella quotidianità, non solo come pratica one shot in occasione di un evento speciale».

Per gli utenti il vantaggio è duplice: avere la possibilità di indossare capi high-end e di acquistare quelli di cui «si innamora», trattenendoli fino alla fine del periodo di riscatto, aggiudicandoseli per una piccola frazione di prezzo del loro valore retail. «Circa un quinto per un abito, un quarto per una felpa, un sesto per una borsa», precisa l’imprenditore. Tra un noleggio e l’altro, a occuparsi del lavaggio e dell’igie-

1. Un’immagine di Hesse, giovane realtà milanese che ha messo a punto un business model incentrato sul “noleggio con riscatto”

2. Lo stile di Pinko Play, progetto nato circa un anno e mezzo fa 3. Una foto di H&M Rental

SHOPPING REVOLUTION

Attenti a Gen Alpha e Zeta: noleggio e second hand in curva di sorpasso

La strada è tracciata. Il noleggio di moda online è uno dei trend che cambieranno il futuro dello shopping. Secondo le proiezioni di Future Market Insight, questo mercato ha ormai raggiunto dimensioni di tutto riguardo, pari a 2,3 miliardi di dollari nel 2023 ed entro il 2033 arriverà a toccare il traguardo dei 6,2 miliardi. A trainare la crescita, sottolinea il report, è il fiorente e-commerce, ma anche le abitudini di acquisto adottate dalle nuove generazioni, che da un lato vogliono impegnarsi in prima persona nel sostegno di pratiche sostenibili e, dall’altro, sono indipendenti dal concetto tradizionale di proprietà, preferendo un consumo in modalità sharing. Una tendenza confermata anche dall’ultimo report di Bloomberg Intelligence, secondo il quale il mercato del second hand (nella foto uno scatto di Vinted) e del rental è candidato a quintuplicarsi entro il 2025, superando nettamente il tasso di crescita previsto per i capi di abbigliamento di prima mano. Nel loro insieme questi business model volti ad allungare la vita dei prodotti hanno il potenziale per crescere fino al 23% del mercato globale della moda entro il 2030, spinti certo dalla maggiore consapevolezza dei consumatori in materia di sostenibilità, ma anche dalla pressione inflazionistica, che comprime la capacità di spesa. L’indagine, basata sulle stime di GlobalData, sottolinea che noleggio e rivendita costituiscono un’opportunità soprattutto per i brand di fascia alta, che potrebbero acquisire nuovi flussi di entrate e nuovi clienti che non possono permettersi acquisti luxury.

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IL FASHION RENTING? ANDRÀ SEMPRE PIÙ DI MODA 2,3 mld $ nel 2023 6,2 mld $ nel 2033 2 3 Fonte: Future Market Insight

nizzazione è il partner Mama Clean, la più grande lavanderia a domicilio in Italia, anche se, come tiene a precisare Gamberale, sono più i capi riscattati che quelli restituiti: «Più che una società di renting - spiega - ci consideriamo un nuovo modello di e-commerce, con formule di pagamento rateale, una specie di leasing». Una modalità di consumo che sta fidelizzando soprattutto i giovani “nativi ecologici”, paladini dell’antispreco. Lo conferma Marco Ruffa, digital transformation director and Esg Lead di Pinko, che a circa un anno e mezzo di distanza dal lancio di Pinko Play, una delle aziende pioniere nel fashion rental, fornisce numeri eclatanti: 200 abbonamenti attivi e

1.600 capi noleggiati, destinati per il 40% alla fascia d’età 18-25 anni. Tra i brand leader dell’entry-to-luxury, Pinko si è avvicinato a questa tipologia di business nel 2021, affidandosi all’expertise di una startup, The Paac, che si occupa della parte di “reverse logistics”. «Tutto il processo parte dal nostro magazzino - spiega Ruffa - ma una volta che i capi prendono la strada del noleggio, tutte le fasi successive sono gestite dal nostro partner: dal refresh con lavaggio e stiratura, fino alla loro re-immissione sul “mercato”». La consumatrice può

Anche i marchi debuttano

nel noleggio: chi en solitaire, chi con l’aiuto di startup specializzate

scegliere quattro pezzi, che riceve in una speciale box, da indossare per un massimo di 30 giorni, scegliendo fra tre diversi tipi di abbonamento: 99 euro al mese per 4 pezzi dal valore di circa 1.000 euro, 179 euro per quattro articoli dal valore di circa 2.000 euro, oppure il più classico noleggio spot da cerimonia o evento speciale, con un esborso da 129 euro. «Per ogni articolo abbiamo fissato un limite massimo di cinque cicli di noleggio - informa il manager -. Passato questo tempo viene venduto come pezzo pre-loved, naturalmente a un prezzo

1. Un outfit proposto da Mango Renting

2. Un’immagine di Pleasedontbuy, il progetto dedicato al noleggio dell’azienda Twinset

3. Il marchio francese Petit Bateau ha recentemente lanciato in madrepatria il servizio noleggio, atteso a breve anche in Italia

super conveniente, anche se molti capi vengono acquistati già dopo la prima tornata». Una strada differente è invece quella scelta da Twinset, altra realtà che ha deciso di scendere nell’arena del fashion renting con il progetto Pleasedontbuy, lanciato circa due anni fa. Diversamente da altri player, l’azienda emiliana gestisce il processo al 100% in-house, con lavanderia e sartoria interne per il ripristino dei capi. «I risultati sono ottimi, con il 10-15% delle nostre clienti che si affidano al servizio, soprattutto giovanissime, ma non solo», racconta il ceo Alessandro Varisco. Ogni capo può arrivare fino al limite di 10-12 noleggi, per un costo che per l’utente non oltrepassa mai i 150 euro, anche se si tratta di pezzi deluxe, pensati soprattutto per i momenti speciali. I margini? «Sono secondari rispetto al servizio che offriamo e all’obiettivo di fidelizzare nuove clienti», risponde l’a.d., che per il futuro ha intenzione di tirare dritto su questa strada: «Puntiamo ad ampliare il servizio ad altre categorie merceologiche, come scarpe e borse e - aggiunge - stiamo studiando altre soluzioni da integrare, come il second hand». 

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ARTLAB FACTORY

Tra le infinite possibilità per parlare del futuro abbiamo scelto la chiave di una creatività dal sapore etico-sartoriale, selezionando alcuni racconti immersi nel flusso energetico del nostro tempo. Con un’intensa forza di attrazione, capace di incantare

DI ALBERTO CORRADO

LIVE NATURALLY

Il nome Càpe deriva da un'esclamazione dialettale di stupore, in uso a Verona fino a inizio Novecento. I prodotti - dai capispalla all’abbigliamento outdoor, dal sapore etico sartoriale - sono ideati, progettati e cuciti utilizzando fibre rigenerate e organiche, evitando l'introduzione di nuovi materiali nella filiera industriale. Il mondo etico di Càpe parte da questo per allargarsi al packaging sostenibile, realizzato con tagli di tessuti avanzati e scarti, alle etichette che descrivono le pratiche corrette per il lavaggio e lo smaltimento, e alla tracciabilità degli articoli.

www.capeconcept.it

DANDY RINASCIMENTALE

Un marchio ibrido dove la moda incontra l’arredamento e il design, nato da un’idea di Luke Edward Hall, brillante illustratore inglese che collabora da diversi anni con il marchio di alta gamma Ginori 1735. La collezione presenta maglioni, cardigan, polo e gilet in maglia, tutti con motivi creati sugli sketch del designer. Un brand squisitamente genderless, che evoca un senso di pace, ispirandosi ai fiori che crescono nei giardini, agli animali domestici della nostra infanzia e ai luoghi in cui abbiamo consumato piccoli piaceri quotidiani, come una cena a due.

CHATEAU ORLANDO

Designer

www.chateauorlando.com

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CÀPE Designer Nicoletta Baldo
INNOVAZIONE DESIGNER TO WATCH

L’APPARENTE FRAGILITÀ FEMMINILE

Nihan Buruk ha studiato Fashion and Textile Design presso la Facoltà di Belle Arti dell’Università Yeditepe di Istanbul. Dopo essersi laureata ha creato il proprio marchio, realizzando diverse collezioni incentrate su vari aspetti sociali, culturali ed ecologici, come il diritto all’acqua e l’abolizione della violenza sulle donne. Uno stile riconoscibile e no gender, attento al design e alla cura dei materiali, amante dei ricami in perle di vetro e dei giochi di luce di cristalli e strass, che rendono ogni capo qualcosa di unico.

LA QUALITÀ VINCE SULLA QUANTITÀ

Tutto è possibile quando ci si trova a Biella, la capitale della lana: la prima area manifatturiera mondiale nel distretto tessile delle valli prealpine italiane.

Alessandro Lovisetto, giovane imprenditore biellese, ha fondato Artknit nel 2018 con l'obiettivo di fare leva sulla produzione e distribuzione di maglieria di lusso eco-sostenibile, con il supporto del digitale. Il suo progetto si distingue dai competitor per la capacità di valorizzare il made in Italy e creare meno prodotti, ma più resistenti e al miglior costo.

ARTKNIT

Designer Team interno

www.artknit-studios. com/it

NIAN Designer Nihan Buruk www.stnian.com

Designer Christian Mignanello

www.love-lava.it

ENERGIA MAGNETICA

La parola "lava" deriva dal latino labes, che significa caduta, scivolamento, ma anche roccia allo stato fuso. È proprio dalla forza di Christian Mignanello, founder e direttore creativo, che nasce questo brand di sneaker, che guarda al mondo del basket e non disdegna lo skater style. Un racconto di uno stile identitario capace di accompagnare la metamorfosi di una generazione pragmatica, eclettica e incontenibile.

INNOVAZIONE DESIGNER TO WATCH

LA PAROLA AI MULTIBRAND

Il menswear sotto la lente

Alla conquista di nuove fasce di clienti

La sfida è far innamorare ancora gli uomini della moda

Quali i brand e gli stili a cui non si rinuncia? I rialzi dei prezzi sono o non sono un problema per i clienti?

E i giovani come si comportano? A questi e altri interrogativi risponde una nuova puntata del nostro sondaggio

DI ALESSANDRA BIGOTTA

Dai best seller di stagione ai trend vincenti del menswear, allargando l’obiettivo ad altre tematiche: il ruolo dei clienti giovani e giovanissimi in negozio, l'importanza dell'omnicanalità, la battaglia dei prezzi, le nuove scommesse. Ma prima di tutto, le vendite. Dal nostro sondaggio sulla primavera-estate 2023, realizzato con oltre 40 selezionati retailer italiani, emerge un andamento a corrente alternata. Se un terzo degli intervistati segnala crescite del sell out anche a doppia cifra, quasi la metàcomplici anche le condizioni climatiche di maggio e, per alcuni, l'alluvione in EmiliaRomagna - indica una stabilità ed è più o meno la stessa percentuale di quanti un anno fa parlavano invece di un aumento. Il calo riguarda un non trascurabile 24%.

Sopra, modelli della collezione primavera-estate 2023 di Stone Island, marchio che ancora una volta è stato indicato dai dettaglianti come il best seller di stagione nel menswear

Come sono andate le VENDITE UOMO della primavera-estate 2023?

«I soldi ci sono ma, soprattutto tra i giovani, spesso vengono spesi in modo diverso - osserva Gino Cuccuini, retailer cui fanno capo diversi punti vendita tra la Toscana e la Sardegna -. A volte attira di più farsi un selfie a Ibiza che comprare un abito». A proposito di giovani, dalla Buyers’ Survey emerge comunque che in molti casi hanno un peso crescente in negozio e, inaspettatamente, non disdegnano marchi già noti: vengono segnalati tra gli altri Stone Island, C.P. Company, Ralph Lauren, Tagliatore, Lardini e, tra le griffe, Armani, Prada, Gucci e Cucinelli, accanto alle più trendy Palm Angels e Gcds e a nomi che rileggono in modo originale lo stile urban-sporty-street, come Casablanca, Drole de Monsieur, Amiri, Barrow e il coreano Andersson Bell. «Tra le nuove generazioni noto meno omologazionecommenta Giulio Felloni

46% HANNO MANTENUTO GLI STESSI LIVELLI DI UN ANNO FA

30% SONO CRESCIUTE

24% SONO CALATE

(Segue a pag. 58)

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MERCATI BUYERS' SURVEY
Tutti i dati sono aggiornati al 22 maggio 2023
COLOGNESE - Montebelluna (Tv) PORRINI MODA E CASA - Besozzo (Va) CLAN UPSTAIRS - Milano 10 CORSO COMO - Milano

LA PAROLA AI RETAILER MULTIBRAND

Qual è stato il marchio di menswear

BEST SELLER nella SS23?

1 Stone Island

2 Tagliatore

3 Gucci

E il brand che nell’ONLINE ha venduto di più?

1 Stone Island, Moncler

2 Gucci

3 Golden Goose, Autry

Tra gli ACCESSORI maschili chi ha vinto?

1 Autry

2 New Balance

3 Fendi, Gucci, Dior, Orciani

C’è un marchio uomo OLTRE AI GRANDI NOMI da segnalare?

Tra gli altri Magliano, Chateau Orlando, Erl, Drole de Monsieur, Represent, Enfants Riches Déprimés, Alessandro Enriquez, Bazist, Rrd, Flower Mountain

MERCEOLOGIE in pole position: piace l'informale, ma il fascino della giacca sartoriale resiste *

56 MERCATI BUYERS' SURVEY
Autry Chateau Orlando Moncler
New Balance Slowear
48 % 39 % 25 % 38 % 23 % 38 % 30 % 64 % Sneaker Pantaloni T-shirt e polo Giacche informali Giacche sartoriali Abiti
Giubbotti Camicie Felpe Pelletteria e
Parka,
Giacche eleganti Trench e soprabiti Mocassini e calzature classiche Sandali 18 % 10 % 10 % 10 % 8 % 5% 3% 3% * Risposte multiple Tagliatore
Pullover e cardigan leggeri
cinture
blouson e capispalla sportivi
Il punto di riferimento in Italia per l’outsourcing Tessile - Abbigliamento Scan the QR CODE with your UNAHOTELS Expo Fiera Milano Pero (Milano) Per informazioni: readytoshowmilano@gmail.com +39 328 7447088 www.readytoshow.it Selezione di espositori da 15 paesi produttori “Area Italia” per proposte Made in Italy +

GIOVANI e GIOVANISSIMI: che ruolo hanno in negozio?

67% IN CRESCITA

33% NON RILEVANTE

1 Brand noti italiani

2 Brand noti esteri

3 Griffe

4 Nuovi brand esteri

5 Nuovi brand italiani

6 Marchi di ispirazione vintage

di Felloni - e la voglia di andare oltre il cappellino o la felpa di tendenza. La cosa più trasgressiva che si è vista al Festival di Sanremo in fondo è stato Fedez con la cravatta». «Capita che Loro Piana abbia a sorpresa una sua nicchia di estimatori in questo segmento - afferma Gino Cuccuinia scapito delle griffe trasgressive». Il retailer ha aperto ad aprile un multimarca a Forte dei Marmi, che ha come vicini di casa due pezzi da novanta come Dior e Vuitton. «Bisogna differenziarsi - dice -. Ho voluto dare voce a nomi di ricerca e lusso accessibile, magari realizzati nei sempre più rari laboratori che ancora non sono stati cooptati dai big brand». Ancora in Toscana, a Montecatini Terme, Andrea Bonvicini illustra la sua formula: «Non solo prodotti di lusso ma anche aree dedicate a marchi che offrono innovazione, soprattutto nei materiali e nei modelli». In generale, l'offerta si fa più multisfaccettata e infatti alla domanda sul marchio best seller di stagione fioccano le segnalazioni, che coprono vari stili e fasce di prezzo. Un vincitore assoluto c'è (Stone Island), ma giù dal podio i comprimari sono tanti. Inevitabile poi un approfondimento sulla tecnologia: è significativo che gli investimenti in questo campo privilegino allo stesso modo l'omnicanalità

e i social (i pagamenti, per esempio, sono molto più in basso in classifica) e che al secondo posto si piazzi la personalizzazione del servizio attraverso chat e Whatsapp. I dettaglianti non si stancano di ribadire che uno dei loro plus è l'empatia con il cliente, ora anche grazie ai mezzi digitali. «Una volta alla settimana - spiega Didi Corbetta di Valtellini - mi collego sui social con la mia community, una consuetudine che rafforza

Tra le nuove generazioni sembra esserci meno omologazione e a volte le loro scelte sorprendono

l'engagement». E l’intelligenza artificiale? «Troppo presto per parlarne», è la convinzione dei più, ma alcuni si sbilanciano. «Immagino clienti che indossano e creano outfit virtuali», afferma Sabina Zabberoni di Julian Fashion. «Leggere le nuove tendenze moda su scala globale tramite l’AI aiuterebbe», interviene Enrico Balatresi di 10 Corso Como. Da Modes l’AI viene considerata «uno strumento utile per l’automazione delle attività time-consuming e operative. Ma alla creatività umana non si

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DEFLORIO DAL 1948 - Noicattaro (Ba) CANEPPELE - Trento BONVICINI FASHION GALLERY & STORES Montecatini Terme (Pt) ZERO - Verbier MACCIOCU - Sassari
Cosa CERCANO?
PAOLO PESSINA - Monza
MERCATI
BUYERS' SURVEY

rinuncia». A proposito di Modes, se ne parla parecchio ultimamente: lo store milanese di piazza Risorgimento è stato ampliato a 1.000 metri quadri, nella boutique di Parigi la piattaforma StockX ha inaugurato il primo spazio di vendita fisico ed è allo studio l'apertura di una piccola quota ai fondi. Ai dettaglianti abbiamo anche chiesto un parere sui prezzi, sempre più alti: cosa ne pensano? «I luxury brand (e solo alcuni) possono permettersi questi rialzi in virtù di un micromondo di altospendenti che li sceglie comunque - osserva Marco Cassina di Peter Ci a Como -. Nei nostri trunk show di capi su misura all'estero riscontriamo un trend assimilabile al settore lusso, con il 5% dei clienti che realizza il 40% delle vendite. Ma si tratta di contesti speciali, poco paragonabili alla vendita diretta in negozio e con un prodotto personalizzato al 100%». «Questo trend incide sul sell out - interviene Carlo Cellamare di Nugnes - tranne nel caso dei pezzi con maggior hype». «Si tratta di un fenomeno che può rallentare le vendite in store a favore di quelle online», riflette Claudio Betti di Spinnaker, mentre Cesare Tadolini de L'Incontro pensa che gli aumenti possono essere un deterrente per i giovani. Roberto Orecchia di Vestil chiosa: «Alzare i prezzi

senza alzare la qualità non ha senso». Un altro dettagliante non usa mezzi termini: «Ai marchi del lusso ormai poco importa di noi multimarca». «Anche chi ha buone possibilità economiche presta più attenzione al cartellino - constata Sabina Zabberoni di Julian Fashion -. A volte, e lo notiamo sui carryover, lo stesso articolo da una stagione all'altra subisce incrementi di 100-150 euro ed è difficile darne ragione ai clienti». «Gli aumenti non si verificano solo nel lusso -

Anche i clienti con buone possibilità economiche prestano più attenzione ai prezzi

sostiene Fabio Bisogno di Clan Upstairs -. Per quanto ci riguarda, non facciamo i nostri acquisti pensando al marchio in sé ma alla sua manifattura e qualità, in grado di giustificare il prezzo». Clan Upstairs ha lanciato da non molto la sua private label e così ha fatto Histores: in piena pandemia questa associazione di boutique multibrand, che conta una cinquantina di insegne tra cui la stessa Valtellini ed è presente a Pitti Uomo, ha messo a punto Hin-

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*
TECNOLOGIA e DIGITALE: in che ambito investite di più?
MERCATI BUYERS' SURVEY
GAUDENZI - Riccione (Rn) e altre sedi EDWARD UOMO - Trani (Bt) MICHELE INZERILLO - Palermo NOHA - Brindisi PROGETTO MODA - Tavagnacco (Ud)
* Risposte multiple 43% Social 43% Omnicanalità 36% Servizio attraverso chat, Whatsapp etc. 31% Visual merchandising 18% Servizio instore alla clientela 5% Pagamenti 3% Esperienze immersive
L'INCONTRO - Modena -

Come sarà il vostro BUDGET di moda maschile per la SS24?

53% STABILE 25% IN CALO 22% IN AUMENTO

dustrie, marchio nato nella FW21 con la maglieria ma in crescita, anche grazie a un direttore creativo appena nominato.

«Un progetto frutto di un lavoro di filiera made in Italy - spiega Didi Corbetta - che garantisce al cliente listini competitivi e a noi più marginalità». Giulio Felloni torna a parlare di prezzi: da una parte i rincari, dall’altra l'eterna guerra degli sconti soprattutto online, con il Black Friday ormai anche in primavera. «Lo ripeto ancora una volta - conclude -. Se non c’è una vera collaborazione tra noi e i brand non si va da nessuna parte».

RINGRAZIAMO PER IL CONTRIBUTO

10 Corso Como Milano - Biffi Boutiques Milano, Bergamo - Bonvicini Fashion Gallery & Stores Montecatini Terme (Pt) - Boutique

Stella Asiago (Vi) - Caneppele Trento - Clan

Upstairs Milano - Colognese 1882 Montebelluna (Tv) - Cuccuini Livorno, Massa Carrara, Forte dei Marmi (Lu), Punta Ala (Gr), Porto Cervo (Ss), Madrid

- Deflorio dal 1948 Noicattaro (Ba) - Edward Uomo Trani (Bt) - Esa Boutique San Benedetto del Tronto (Ap) - Felloni Uomo Ferrara - Filippo Marchesani-Marchesani Unlike-Elysium Vasto e Cupello (Ch) - Gaudenzi Boutique Riccione (Rn), Ravenna, Cattolica (Rn) - Galiano Napoli e Sorrento (Na) - Giglio Palermo - Giordano Boutique Pompei (Na) - Guarino Boutique Roma e Porto Cervo (Ss) - Julian Fashion Milano Marittima (Ra), Lido degli Estensi (Fe), Rimini, San Marino

- L’Incontro Modena - Leam Roma - Mantovani San Giovanni Valdarno (Ar) - Macciocu SassariMarcos Mondovì e Prato Nevoso (Cn) - Michele Inzerillo Palermo - Modamica Boutique Vimodrone (Mi) - Modes Milano, Portofino (Ge), Forte dei Marmi (Lu), Porto Cervo (Ss), Forte Village-Santa Margherita di Pula (Ca), Cagliari, Trapani, Favignana (Tp), St. Moritz, Parigi - Moras Boutique Intimiano (Co) - Noha (Brindisi) - Nugnes Trani (Bt)

- Panarelli Raffaele L’Aquila - Paolo Pessina Monza - Papillon Corigliano Calabro (Cs) - Peter Ci Como - Porrini Moda e Casa Besozzo (Va)

- Progetto Moda Tavagnacco (Ud) - Sir Andrew’s Carpi (Mo) - Spinnaker Sanremo (Im), Alassio (Sv), Portofino (Ge), Santa Margherita Ligure (Ge) - Tufano Moda Pompei (Na) e Scafati (Sa)

- Valtellini Rovato in Franciacorta (Bs) - Vestil Torino - Zero Verbier (Svizzera)

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MODAMICA BOUTIQUE - Vimodrone (Mi) LEAM - Roma MODES - Milano e altre sedi MORAS BOUTIQUE - Intimiano (Co) FILIPPO MARCHESANI - Vasto e Cupello (Ch) SIR ANDREW'S - Carpi (Mo) MERCATI BUYERS' SURVEY

APPROCCIO OMNICHANNEL E COMMUNITY ESCLUSIVA: COSÌ DOPPELGÄNGER REINVENTA IL PROGRAMMA FEDELTÀ INSIEME A COMARCH

La catena italiana di abbigliamento maschile, cui fanno capo un centinaio di monomarca, ha messo a punto insieme alla software house Comarch Italia un loyalty program di ultima generazione, che oltre a fornire punti e sconti premierà gli utenti con eventi in-store e offerte personalizzate, incrementando l’engagement e allargando la fascia clienti. Un nuovo tassello di una più ampia strategia customer centrica, sintetizzata dal payoff «il lusso più economico al mondo»

Sempre più proiettata all’omnicanalità, la catena italiana di abbigliamento maschile Doppelgänger ha siglato una partnership con Comarch Italia per sviluppare un programma fedeltà esclusivo per i clienti sia dell’e-commerce, sia dei 100 monomarca fisici che distribuiscono il marchio. Un progetto rivolto in fase di startup a tutta la base utenti, composta da circa 200mila persone, con diversi obiettivi: rafforzare un customer journey di alto livello, aumentare la frequenza di acquisto e la spesa media e, non ultimo, ampliare la community, restando comunque nel segno

dell’esclusività. «Anche se il touchpoint principale del programma loyalty di Doppelgänger è una app, attraverso la quale i clienti possono accumulare punti e progressivamente ottenere sconti e premi - spiega Federico Dezi, E-commerce Manager dell’insegna di menswearera fondamentale per noi creare un programma omnichannel con alla base l’idea di appartenenza a una comunità esclusiva». In altri termini, «la priorità è stata coniugare gli obiettivi generici di un programma fedeltà, come l’aumento della frequenza di acquisto dei clienti o le occasioni di referral, con un incremento

della visibilità nei nostri punti vendita, che si trovino al centro di una grande città o in un piccolo paese». Si parte dunque con sconti e offerte, ma è solo l’inizio di un progetto a più ampio raggio, destinato a offrire ai membri delle fasce più elevate servizi di sartoria su misura e inviti a eventi all’interno dei negozi Doppelgänger, che non a caso sceglie il payoff «il lusso più economico al mondo». Negli store, per ora prevalentemente italiani ma con la prospettiva di espandere la presenza all’estero, l’esperienza di shopping è infatti sempre di alto livello: questo non solo grazie a prodotti di qualità a

DOPPELGÄNGER for

prezzo competitivo, ma anche perché l’assistenza non ha nulla da invidiare a quella delle boutique luxury. L’approccio all’e-commerce - che riguarda il 10% dei ricavi, con la prospettiva di raddoppiare la quota in cinque anni - è lo stesso e anche in questo caso l’impostazione customer centrica paga, con un tasso di soddisfazione del 99%. Federico Dezi si sofferma sulla sinergia con Comarch Italia: «Si è rivelato il partner giusto per le nostre esigenze - sottolinea -. Il team non si è limitato a sviluppare gli strumenti strettamente necessari lato software, ma ci ha sostenuto e consigliato nel percorso

che ha trasformato la nostra visione del programma loyalty in realtà». «L’intesa con Doppelgänger - aggiunge Andrea Piccirelli, Loyalty & Marketing Solutions Manager di Comarch Italia - riflette pienamente i nostri valori come brand. In Comarch crediamo nello sviluppo di soluzioni in grado di assecondare la crescita dei nostri clienti. Abbiamo messo a disposizione del brand una suite di prodotti che lo aiuterà a costruire una relazione con la propria clientela: dallo sviluppo dell’app come touchpoint principale agli strumenti di loyalty management e marketing automation,

fino a quelli di analytics per monitorare i risultati delle attività. Ora aspettiamo di raccogliere i frutti di questo lavoro congiunto, che arriveranno tra qualche mese». Doppelgänger è stato tra i primi nel suo settore a capire l’importanza del digitale come leva per il business, anche fisico. «Una delle ultime attività - rivela Federico Dezi - è stata una live shopping experience. Inoltre, l’intelligenza artificiale supporta costantemente gli store assistant nei punti vendita». Un impegno che è valso a Doppelgänger vari riconoscimenti, tra cui il premio Best Customer Service da parte di Statista nel 2023.

FALL WINTER 2023-24

È IL MOMENTO DI CREARE UN ECOSISTEMA DEL FASHION

Per l’alta gamma la spinta arriva dai Sophisticated Rich Le stime di consulenti e di imprenditori locali e stranieri

Nel lusso è scattato l’India-moment ma la sfida con la Cina può attendere. L’anno spartiacque sarà il 2030

La sfilata di Dior, ma anche lo sbarco sul mercato di Apple e i nuovi investimenti immobiliari-commerciali dei principali gruppi che aiutano i marchi occidentali ad approdare nel Paese (Reliance Brands e Aditya Birla Group), hanno creato una crescente consapevolezza verso un mercato del lusso ancora piccolo (vale circa 8 miliardi) ma che promette di entrare in una nuova fase, dove non ci sarà spazio solo per i designer locali o i big brand, ma anche per prodotti di qualità e con una storia

ANDREA BIGOZZI

Entro la fine dell’anno l’India supererà la Cina nella classifica dei Paesi più popolosi al mondo: 1,428 miliardi di abitanti contro 1,425. La crescita economica e demografica, accompagnata dalla riduzione della povertà e dalla conseguente espansione della classe media, sempre più disponibile a spendere, hanno determinato negli ultimi anni un forte aumento della domanda di beni di consumo, anche di lusso. Esiste dunque un margine di sviluppo enorme per un mercato considerato ancora troppo piccolo - con un valore intorno ai 8 miliardi di euro - ma che potrebbe raggiungere i 25-30 miliardi di euro entro il 2030, spinto da un crescente interesse e dall’evoluzione dei comportamenti dei clienti Millenial, che

ammontano a oltre 500 milioni. Di queste opportunità se ne sono accorti in parecchi: da Dior, protagonista il 31 marzo scorso di un maxi evento andato in scena sotto il Gateway of India, a Valentino, che meno di un anno fa è sbarcato per la prima volta sul mercato, fino a Gucci che ha da poche settimane scelto la sua prima ambassador indiana. Per non parlare di Tim Cook, ceo di Apple, fresco protagonista di un breve tour indiano costellato di appuntamenti con autorità e istituzioni, compreso il primo ministro Narendra Modi e dedicato all’inaugurazione dei primi due Apple Store del subcontinente indiano, a Mumbai e New Delhi. «L’India è un mercato estremamente interessante per noi - ha dichiarato agli

analisti il numero uno del gruppo di Cupertino, che a pieno titolo rientra nel segmento del lusso, visti i prezzi delle sue apparecchiature -. In sostanza, stiamo prendendo ciò che abbiamo imparato in Cina anni fa e lo stiamo mettendo in pratica». Tra i sostenitori dell’India (e delle sue opportunità) c’è Stefano Canali, che a giugno volerà a Mumbai, dove è in programma l’inaugurazione della settima boutique monomarca Canali. «Il potenziale di crescita economico è davvero importante, con una popolazione immensa, un’età media di 28 anni e il reddito pro capite in aumento», conferma il ceo e presidente dell’azienda italiana specializzata in abbigliamento maschile. «Appena entrati nel mercato indiano, all’inizio della decade

67 MERCATI INDIA
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Studenti con Maria Grazia Chiuri all’evento di Istituto Marangoni Mumbai prima della sfilata di Dior

«15 anni fa a un cliente sarebbe bastato sapere che un capo era made in Italy per acquistarlo. Oggi anche altri aspetti condizionano sulle sue scelte: il contenuto di artigianalità e la filosofia che c’è dietro un brand»

1. Le Mill è un luxury concept store nato nel 2011 a Mumbai. Attivo anche online, continua a portare nuovi brand in India

2. Alia Bhatt è la Global Ambassador di Gucci, la prima indiana per il brand

3,5 volte

Le dimensioni attuali del mercato indiano del lusso potrebbero più che triplicare entro il 2030

scorsa - ricorda - reinterpretammo il loro abito tradizionale (il bangdala), prevalentemente da cerimonia, in una versione più sportiva e articolata: un successo immediato. Oggi il mercato sta evolvendo e richiede sempre più total look, che noi forniamo con crescente soddisfazione».

L’India sta chiaramente guadagnando slancio nel mercato del lusso, grazie alla “iperpremiumizzazione” del mercato, alla maggior penetrazione dell’e-commerce e all’ingresso di nuovi marchi internazionali, benché i risultati non siano ancora minimamente paragonabili con quelli non solo dell’altro gigante asiatico, la Cina, ma neppure di altri mercati maturi del lusso. A confermarlo sono i dati (il Giappone attualmente vale il triplo dell’India) e le previsioni degli esperti. «Anche se non ci sarà mai un’altra Cina in termini di crescita e di contributo al settore, l’India e i Paesi emergenti del Sud-est asiatico hanno comunque un potenziale significativo, pur necessitando ancora di infrastrutture indispensabili per l’espansione locale», hanno spiegato Claudia D’Arpizio e Federica Levato di Bain & Company durante la presentazione dell’ultimo Luxury goods worldwide market monitor in collaborazione con Fondazione Altagamma. Ma sono in tanti anche a sostenere che - almeno per il momento - la sfida dell’India alla Cina sia più sui titoli dei giornali che nei negozi.

Lo pensano anche gli operatori del settore, pur senza statistiche a portata di mano. «È un mercato su cui già in passato si è puntato molto, ma i ritorni sono sempre stati al di sotto delle aspettative», sottolinea uno scettico Riccardo Grassi, titolare dell’omonima showroom multimarca di Milano, dove - dice - i buyer indiani arrivano, ma in scala ridotta. «Le occasioni maggiori - precisa Grassi - almeno fin qui le hanno avute le aziende dell’abbigliamento formale maschile e credo sarà ancora così. Per la moda donna i margini sono più ridotti: l’abbigliamento è schiacciato dall’abitudine di indos-

L’ascesa della classe media porterà il mercato del lusso a quota 25-30 mld. in sette anni

sare il sari e quindi avrà più chance chi è forte negli accessori e nelle calzature. Anche l’interesse delle giovani generazioni per il lusso è ancora da verificare. Ma di una cosa sono certo: tutto quello che potrà succedere in dieci anni in India, in Cina accadrà in pochi mesi». Che si tratti di una sfida a lungo termine sono in tanti a pensarlo. Il subcontinente potrà diventare a pieno titolo “un canale del futuro” per il settore del lusso

solo se le stime e le previsioni degli analisti per i prossimi otto anni non solo si concretizzeranno, ma manterranno lo stesso trend positivo anche dopo il 2030. L’importante, per i marchi che intendono investire, è non avere aspettative troppo alte prima di allora e portare avanti una serie di investimenti - avendo a fianco un partner locale - senza rincorrere ritorni immediati. Accontentarsi di uno o due negozi nelle città di Mumbai e Dehli non basta come testimonia il caso di Canali, presente sul mercato da oltre un decennio, con all’attivo sette punti vendita e ancora tanti progetti da realizzare. «La nostra strategia - chiarisce Stefano Canali - si basa sulla presenza in tutte le location più importanti, coltivando il rapporto con i clienti indiani in maniera sempre più personalizzata, attraverso non solo il retail ma un rafforzamento delle attività di Crm e di marketing».

A confermare che comunque qualcosa sia cambiato e che l’evento organizzato da Dior spingerà altri brand a entrare in azione è Cecilia Morelli Parikh, che insieme a Julie Leymarie nel 2011 ha fondato a Mumbai il concept store di lusso Le Mill, con una selezione di abbigliamento e accessori di lusso insieme a una gamma di decorazioni e arredi per la casa di designer indiani e marchi globali. «Lo show di Dior è solo un esempio - spiega -. Molti marchi globali

MERCATI INDIA 68
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CECILIA MORELLI PARIKH Co-founder di Le Mill

si stanno facendo strada nel nostro Paese, gli indiani hanno un debole per il lusso e la domanda è in continua crescita». Le Mill, che attualmente può contare su due punti vendita (Mumbai e Delhi) ma sta valutando nuovi opening in altre città di seconda fascia, ha da poco lanciato il suo e-commerce, dimostrando la vitalità del canale wholesale, che offre opportunità a una gamma di brand più ampia di testare il mercato. «In questo momento - racconta Morelli Parikh - i marchi più richiesti sono Loewe, Acler, Jacquemus, Zimmermann e Chloé, solo per citarne alcuni. Questo dimostra una conoscenza del settore da parte dei nostri clienti, che non si limita ai big brand». Opportunità distributive, quindi, sembrano esserci anche per le realtà del lusso indipendente, comprese quelle italiane. Tra i 27 accordi con i più grandi marketplace del mondo che Ice Agenzia ha messo a disposizione delle aziende italiane c’è quello con Flipkart, la

25/30 mld€

Le prospettive di crescita del mercato del lusso indiano entro il 2030

1. L’evento di Dior non è stato solo uno show, ma un racconto della storia dell’India 2. Durante la stagione dei matrimoni molti brand, tra cui Jmmy Choo, hanno creato collezioni ad hoc per il mercato 3. The Collective è il multimarca di Aditya Birla Group, che ha già 14 negozi e ne aprirà altri 10 nel 2023

«La nostra strategia si basa sulla presenza in tutte le location più importanti, coltivando il rapporto con i clienti indiani in maniera personalizzata, attraverso non solo il retail ma il rafforzamento delle attività di marketing»

principale piattaforma indiana, mentre il colosso della distribuzione Reliance Brands (107 miliardi di dollari di ricavi annui) ha all’attivo 14 solide partnership con aziende italiane, tra cui quelle siglate con Valentino e Tod’s negli ultimi mesi. «Le grandi realtà

locali stanno iniziando a investire in maniera significativa e questo forse porterà alla svolta sperata - racconta Sabrina Scarpellini, ceo e co-founder di Bonini Showroom, specializzata in accessori -. Il gruppo Reliance sembra risoluto a promuovere il made in Italy. Non molto tempo fa ha promosso un evento a cui ha invitato a partecipare mol-

ti brand indipendenti, tra cui Benedetta Bruzziches, che distribuiamo. Il gradimento riscontrato dalla collezione è stato alto, anche perché questo marchio va naturalmente incontro ai gusti del mercato indiano, anche se non possiamo certo dire che tutte quelle manifestazioni di interesse si siano tradotte immediatamente in ordini». Sicuramente ci vorrà tempo, «perché la sensazione è che le consumatrici siano ancora molto orientate all’abbigliamento tradizionale e allo shopping all’estero, ma qualcosa sta cambiando». C’è poi Aditya Birla Fashion and Retail, che continua a investire e non solo su marchi locali (ha appena acquisito Tcns Clotthing e ha già il controllo, tra gli altri, di Sabyasachi e House of Masaba): il gigante indiano della moda ha recentemente annunciato una partnership con Galeries Lafayette per portare i grandi magazzini di lusso in India e lanciare una piattaforma dedicata nel Paese. I flagship store di Galeries Lafayette dovrebbero aprire a Mumbai e Delhi, rispettivamente nel 2024 e nel 2025, ospitando oltre 200 luxury brand. Intanto Aditya Birla Fashion and Retail (che ha registrato un incremento delle vendite nell’ultimo trimestre, pari a 435 milioni di dollari Usa) continua a investire su The Collective, il più grande rivenditore multimarca in-

MERCATI INDIA 70 25
mld €
Il mercato del lusso entro il 2030
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Non più solo Mumbai e New Delhi: tra le città dello shopping anche Lucknow, Ludhiana e Pune
STEFANO CANALI Presidente e a.d. di Canali

INTREPID: UN NUOVO PROGETTO PER GENERAZIONI CORAGGIOSE

Il brand Intrepid introduce la nuova street couture: audace, contemporanea, sostenibile

Matteo Cambi è il brand ambassador di un progetto innovativo, con prodotti a minimo impatto ambientale che coinvolgono le nuove generazioni. Già sostenuto da un importante fondo, il brand Intrepid fondato da Francesca Gambarini, è pronto ad accelerare: il nuovo turnaround aziendale sta avviando un’ulteriore crescita grazie ai nuovi contenuti e al supporto del nuovo grande partner industriale totalmente integrato nel Brand. Il 2023 è un anno decisivo per Intrepid, che racchiude nel nome la mission di intraprendere le nuove regole etiche dell’abbigliamento basato su materie prime rigenerate, minimo impatto ambientale e prodotti estremamente innovativi in intesa con il partner industriale che da tempo ha iniziato responsabilmente a produrre tessuti con processi rigenerativi tra i più tecnicamente avanzati. Motore del progetto è Matteo Cambi, “Intrepido” per natura, che ha individuato nei valori della ricerca e della sostenibilità la nuova frontiera dello sportswear e dello streetwear. L’alta qualità dei capi e l’attenzione ai processi produttivi contraddistinguono il brand, con la consapevolezza che sbarazzarsi di troppi prodotti tossici, contrastandone l’uso e l’abuso, è un regalo che si fa prima di tutto a

se stessi. Il design è essenziale, i fit con i volumi oggetto di approfondite ricerche, mentre i jersey, la costa 2a1, le felpe garzate, il french terry, contribuiscono alla creazione di nuovi modelli. I tessuti utilizzati sono sviluppati su base Polycotton, l’alternativa ecosostenibile ai tessuti tradizionali. Tutto ruota intorno a un’idea di moda circolare, che si sviluppa in diverse linee uomo e donna: Heritage, Gym, Guvy, Explorer e Street. Capi durevoli, pronti ad affrontare molte stagioni. Intrepid sarà tra i protagonisti a Firenze durante Pitti Uomo con le novità FW23/24.

INTREPID for

I turisti indiani fanno sempre più shopping in Italia

Vendite mensili (gen-apr 2023) e recupero delle transazioni tax free rispetto al 2019

•Incremento delle vendite sul 2019

•Incremento delle transazioni sul 2019

diano ha già 14 store attivi, posizionati non solo nelle cinque prime metropoli più ricche (Delhi, Mumbai, Chennai, Hyderabad e Bangalore), ma anche nelle città di seconda fascia come Lucknow, Ludhiana e Pune. Il gruppo, che prevede di inaugurare altri 10 punti vendita con insegna The Collective entro il prossimo anno (si parla di location a Indore e Raipur), arriva a spendere fino a 7-8 crore per un negozio, ovvero 800900mila euro (il crore è un multiplo della rupia), con la prospettiva, stando a quanto riferito dai media locali, di rientrare dell’investimento in sei-sette anni. L’offerta, prevalentemente maschile, include molti nomi italiani tra cui Etro, Ferragamo, Dsquared2, Emporio Armani, Jacob Cohen e recentemente ha inserito nella sua offerta anche realtà outsi-der, come Gcds e Tramarossa. «Il successo di negozi monomarca come Le Mill - aggiunge Morelli Parikh - è la dimostrazione che il consumatore di lusso indiano è maturato. 15 anni fa a un cliente sarebbe bastato sapere che un capo era made in Italy per acquistarlo. Oggi anche altri aspetti condizionano le sue scelte: è

I grandi marchi del lusso puntano

sui Millennial: sono 500 milioni e sensibili ai fashion trend

sempre più appassionato di qualità, unicità, artigianalità e della filosofia che c’è dietro un brand». Che il consumatore indiano stia maturando lo testimonia anche Stefania Valente dal suo punto di vista privilegiato: la sede a Mumbai di Istituto Marangoni, inaugurata nel 2017 e frequantata da circa 200 studenti all’anno tra cui Rahul Mishra, diventato post diploma un famoso fashion designer. «Sono stata recentemente in India - ha raccontato la managing director -. Il cambiamento in atto è evidente e non riguarda solo la voglia di spendere in beni di

lusso che ho riscontrato visitando uno dei grandi mall di Mumbai, vicino alla nostra scuola. La trasformazione a cui mi riferisco è strutturale e tocca direttamente la formazione». Il governo ha rivisto le regole legate all’Higher Education permettendo alle Università straniere di aprire in India i loro campus. «Fino ad oggi - sottolinea Valente - i nostri studenti di Mumbai frequentavano il training center, ma completavano il percorso formativo nelle sedi in Europa o a Dubai. Ora invece avremo la possibilità di portare ilnostro diploma direttamente in India, una novità che potenzierà il mercato delle professioni. Nel Paese non esistono scuole come la nostra, che preparano designer, product manager ed esperti di merchandising, figure di cui ci sarà bisogno per creare un fashion system indiano. Quello che finalmente sta succedendo è che si sta creando un ecosistema, che in passato non è mai esistito, in grado di coinvolgere istituzioni, investitori internazionali, partner locali, scuole e altri attori, tutti interessati a portare investimenti stranieri in India e a far nascere il mercato del lusso».

«Finalmente si sta creando un ecosistema, fatto di investitori stranieri e locali e di instituzioni, intenzionato a costruire un mercato del lusso»

Ma le opportunità di business per il mondo del lusso legate all’ascesa della classe media indiana, trainata dai Millennial, non riguardano soltanto il mercato domestico. Entro il 2030 i “Sophisticated Rich”, ovvero la sezione più alta nella scala della middle class prima dei veri e propri ricchi, aumenteranno dal 7% al 17%: questo porterà a un incremento esponenziale dei viaggi all’estero e, come dimostrano le statistiche, lo shopping è una parte molto importante dell’esperienza di viaggio per il consumato-

re indiano. Da anni, infatti, gli indiani che se lo possono permettere acquistano beni di lusso, soprattutto al di fuori dei propri confini nazionali. Lo dimostra il fatto che i brand locali attualmente più in voga del momento, come Sabyasachi e Anita Dongre, hanno aperto vetrine a New York e Dubai, per proseguire il dialogo con i loro clienti anche quando si trovano lontani dalla patria. Per i big brand del lusso inaugurare in India i loro negozi, ma anche avviare attività di marketing, serve a creare una familiarità con un target che ha capacità di spesa e che si prepara a trascorrere molto tempo lontano da casa. Storicamente le capitali europee più amate dai turisti ed expat indiani per lo shopping sono Londra e Parigi, ma anche le città italiane (Milano in testa) iniziano a entrare tra le loro mete preferite. Lo dimostrano i dati elaborati in esclusiva per Fashion da Global Blue sul tax free indiano in Italia. Secondo la società specializzata nel rimborso delle tasse sugli acquisti turistici nel periodo gennaio-aprile 2023, gli acquisti esentasse sono aumentati rispetto al 2019 (quindi pre-pandemia), con un tasso di recovery complessivo del 188%. L’analisi, che sulla base dei dati dei primi quattro mesi dell’anno suggerisce un trend in aumento, sottolinea come a crescere sia stato anche lo scontrino medio, salito ad aprile a quota 779 euro (+25% sul 2019). Come prevedibile, la categoria moda e abbigliamento, con il 90% sul totale, è il principale settore delle vendite davanti a orologi e gioielli, profumi e cosmetica. Milano si conferma la città con lo scontrino medio più alto (1.047 euro), seguita da Firenze (863 euro) e Roma (850 euro).

72 MERCATI INDIA
Fonte: Global Blue
200% 150%
Gen 23 Feb 23 Mar 23 Apr 23 176% 185% 209% 159% 129% 156% 152% 143%
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Proprio il fatto che gli indiani effettuino acquisti in beni di lusso soprattutto all’estero rappresenta un buon motivo da parte delle aziende dell’alto di gamma per ritardare ancora per un po’ lo sbarco in India, preferendo accontentarsi di turisti ed expat almeno fino al 2030, quando lo scenario dovrebbe essere più chiaro e alcuni nodi legati alla presenza sul mercato sciolti. I dati economici in grande espansione non cancellano infatti le difficoltà a livello di infrastrutture e di distribuzione che ancora permangono. «Oggi le location retail sono disponibili in numero ancora limitato, seppure in fase di sviluppo, e le migliori sono tutte nei mall», riassume Stefano Canali. Allo stato attuale esistono poco più di dieci shopping center in India (tra cui Dlf Emporio Mall a Delhi e Palladium a Mumbai), dove convivono griffe del lusso, marchi premium e del fast fashion. Ma il numero di location è destinato ad aumentare: se infatti Abfrl-Aditya

Birla Fashion & Retail pianifica l’arrivo di Galeries Lafayette, il diretto concorrente

Rbl-Reliance Brands Limited inaugurerà il luxury mall Jio World Plaza all’interno di un nuovo hub culturale e commerciale di Mumbai. Un investimento da oltre un miliardo di euro che, secondo fonti di stampa, vedrà la prima boutique aprire a inizio giugno. Fino ad agosto le inaugurazioni si susseguiranno e coinvolgeranno tutti i gruppi del lusso, da Lvmh a Richemont a Otb, ma anche brand indipendenti. Giorgio Armani aprirà un flagship e il primo

«L‘India

17%

La quota di popolazione che farà parte dei “Sophisticated Rich” entro il 2030

Armani Café in India (il secondo in Asia) e ci saranno anche Zegna, Canali e Valentino. In India i negozi monomarca stand-alone sono pochissimi, in linea di massima presso gli hotel di lusso. Le complessità riguardano anche gli aspetti burocratici: nonostante ormai da dieci anni il governo indiano abbia concesso - sulla carta - la possibilità alle società internazionali di stabilire la propria entità legale, senza dover più ricorrere al partner locale come in passato, avere negozi di proprietà sul territorio indiano è tutt’altro che sem-

3

1. Galeries Lafayette aprirà in partnership con Aditya Birla Fashion and Retail Limited due store in India nel 2024 e nel 2025 2. Anche all’estero i marchi di moda vogliono creare connessioni più profonde e significative con il pubblico indiano: non a caso modelli e modelle indiani sono in ascesa alle fashion week

3. Apple ha aperto con Retail Brands ad aprile i suoi primi due store in India, un altro esempio di premiumizzazione del mercato

plice. Chi infatti vuole aprire punti vendita monomarca diretti in India deve sottostare a una sorta di norma del “local sourcing” e acquistare almeno il 30% in valore delle merci che vendono da produttori locali. In altri termini, le griffe di moda dovrebbero comprare da produttori indiani circa un terzo delle componenti delle loro collezioni. «Un partner locale - conferma Stefano Canali - è essenziale per cogliere appieno le opportunità commerciali e avere più potere negoziale per assicurarsi le location adatte. Altrettanto fondamentale è l’aiuto che un

partner locale può dare nel comprendere e rispettare la cultura e il gusto locali». Un’altra sfida che i marchi stranieri devono affrontare è legata a collezioni al tempo stesso globali e portatrici di cultura locale. Secondo il rapporto “State Of Fashion 2019” di McKinsey gli indumenti tradizionali, come sari, lehengas e bangdala, costituivano circa il 70% delle vendite di abbigliamento femminile nel 2017. Una percentuale che probabilmente è destinata a ridursi nel corso degli anni, grazie alla crescente incidenza sui consumi di Millennial e GenZ, ma che resterà a lungo prioritaria. Anche per questo prosegue la tendenza dei big brand di creare progetti ad hoc per il mercato: in occasione della stagione dei matrimoni in India Louis Vuitton ha lanciato la capsule collection di calzature Rani Pink, nel tipico colore fucsia/magenta usato nelle cerimonie nuziali, omaggio alla famiglia reale del Rajasthan. Stesso schema seguito da Jimmy Choo con l’ultima capsule Shaan. C’è poi il caso di Gucci, che lo scorso 16 maggio ha presentato la sua prima Global Ambassador indiana, l’attrice e produttrice Ali Bhatt, in occasione della sfilata Cruise 2024 a Seoul. Progetti che mettono in luce come l’industria della moda sembri aver raggiunto una certa maturità nella capacità di raccontare, interpretandole, le culture e le mode locali indiane. «L’approccio è comprensibile perché l’India ha peculiarità uniche, ma pensare di conquistare un mercato con prodotti ad hoc cambiando modelli, tessuti e ispirazioni non è una strategia percorribile da tutti i marchi. I clienti indiani del lusso dovranno dare prova di essere realmente globali. Solo allora l’India sarà una vera opportunità per l’intero settore», conclude Sabrina Scarpellini. 

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Da inizio anno il tax free indiano in Italia è cresciuto del 25% rispetto al 2019
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TIM COOK Apple
è un mercato estremamente eccitante per noi. Stiamo, in sostanza, prendendo ciò che abbiamo imparato in Cina anni fa, e lo stiamo mettendo in pratica»
texworldevolution-paris.com Partner-up for fashion sourcing Nuova sede! 03 – 05.07.2023 PARIS, FRANCIA PORTE DE VERSAILLES

SCENARI IN TRASFORMAZIONE

Le tempistiche incalzano

Mercato e produzione sotto pressione

Tra anticipi, resort e pre-collezioni crescono gli interrogativi sui calendari.

Ma le date dell’uomo sono ancora ok?

Anticipare è sempre più la parola d’ordine, in uno scenario in cui i tempi di produzione si sono di molto allungati e le esigenze del retail variano da mercato a mercato, da insegna a insegna. E mentre i calendari vengono stressati fino al limite, la domanda sorge spontanea: le tempistiche degli appuntamenti del menswear sono sempre valide?

Nella foto, un’immagine della campagna di comunicazione dedicata alla Milano Fashion Week del menswear. L’evento vedrà in calendario dal 16 al 20 giugno 72 presentazioni e segnerà il ritorno di Valentino dopo tre anni di formula co-ed

Con gli appuntamenti del prossimo mese di giugno la moda maschile decreta il ritorno a quel dinamismo pre-Covid, di cui si era già avuto un assaggio lo scorso mese di gennaio. Tra Pitti Uomo in fase di crescita, che sfoggia lo special guest Fendi, e Milano Moda Uomo con la rentrée di Valentino e ben 72 appuntamenti in scaletta, le aspettative sono alte. Un programma a cui va aggiunto il debutto nel capoluogo lombardo di due nuovi eventi, il White dedicato alle Resort e Miamilano, showcase sulle precollezioni del womenswear. A (quasi) parità di dinamismo, tuttavia, i tempi sono cambiati: il Covid ha segnato uno spartiacque tra un prima e un dopo a cui la guerra in Ucraina ha aggiunto un ulteriore carico. Oggi le aziende hanno imparato a fare i conti con l’aumento dei costi e l’inflazione salita a dismisura e devono affrontare le criticità legate alle materie prime che continuano a scarseggiare, ai tempi di at-

tesa più lunghi per averle e alla difficoltà di reperire artigiani che possano garantire quella produzione made in Italy che sempre più è il nostro fiore all’occhiello. Una situazione che costringe molti ad anticipare le date di presentazione delle collezioni per poter ga-

Lo scenario richiede aziende sempre più snelle e veloci, in grado di muoversi in largo anticipo. Ma c’è un limite?

rantire alla propria clientela consegne nei tempi adeguati, tanto più tempestive quanto più i referenti sono i grandi gruppi del retail. Una corsa all’anticipo che vede in pole position anche le griffe, con le loro pre-collezioni e Resort, che diventano sempre più occasione di eventi all’insegna del glamour in giro

per il mondo. Basti pensare che il calendario delle cruise arriverà quest’anno a lambire il Pitti Uomo, con la passerella di Max Mara dell’11 giugno a Stoccolma. La domanda dunque sorge spontanea: le date degli appuntamenti con il menswear sono in sintonia con i mutati scenari del mercato? Giugno e gennaio sono ancora i mesi più adatti? Ne abbiamo parlato con gli insider del settore: negozianti, agenti, imprenditori e con i numeri uno di Pitti Uomo e Camera della Moda

Per Antonio De Matteis, presidente di Kiton da poco nominato presidente di Pitti Immagine, si tratta di un argomento attuale: «Il discorso delle date fa parte delle discussioni in atto, che affronteremo nei prossimi tempi - spiega -. Lo scenario è in divenire, quindi potrebbe essere ipotizzabile anticipare gli appuntamenti. Ma qualsiasi decisione andrà presa insieme alla Camera della Moda

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MERCATI IL RISIKO DEI SALONI

1. Tra pre-collezioni e linee Resort si moltiplicano le uscite e gli eventi di presentazione per le griffe della moda, che hanno monopolizzato lo scorso mese di maggio con le passerelle dedicate alle cruise, arrivando a lambire il Pitti Uomo con il défilé di Max Mara dell’11 giugno a Stoccolma, Nella foto, un momento della sfilata Resort di Gucci a Seoul

re le date di uscita, per cui oggi proponiamo un’unica collezione a novembre e a maggio, in modo da avere i tempi giusti per produrre e consegnare meglio. Una decisione mirata, soprattutto quando gli hub di riferimento per il sourcing sono in Far East, ma anche considerando la difficoltà di produrre oggi in Italia. Una scelta che hanno fatto anche molti nostri competitor». «Siamo sul mercato da 25 anni e i clienti ci conoscono, per cui per noi non ha senso andare alla rassegna, quando abbiamo già realizzato il 70/80% del nostro budget. Le dinamiche del settore sono molto cambiate e, se Pitti decidesse di anticipare i suoi appuntamenti tra novembre e dicembre per l’inverno e maggio per l’estate, sarebbe di sicuro una mossa vincente».

Dal 18 al

perché, se bisogna cambiare, occorre farlo tutti insieme, per il bene del sistema Italia». «Pitti Uomo, del resto - puntualizza De Matteis - non va visto solo come un momento di partenza della campagna vendite, ma come un’occasione di incontri e scambio di idee e come una chance per presentarsi a un pubblico più vasto di quello che può entrare in qualsiasi showroom di qualsiasi azienda del mondo. Credo che tutti gli imprenditori dovrebbero interpretarla in questo senso». «Sicuramente - conclude - a proposito delle date saranno preziosi i feedback che raccoglieremo tra gli stand nei giorni di Pitti Uomo». Dal 13 al 16 giugno saranno presenti in Fortezza 825 marchi, in crescita rispetto ai 790 dello scorso gennaio. Numeri che testimoniano l’interesse delle

del nuovo Miamilano, showcase

aziende nei confronti della manifestazione, anche se non tutti la pensano allo stesso modo. Enzo Fusco, patron di Fgf Industry (marchi come Blauer e Ten C), da qualche stagione ha fatto una scelta radicale, lasciando la ribalta fiorentina. «Uno dei motivi per cui abbiamo deciso di non andare più a Pitti Uomo - spiega - è che il Covid ci ha spinti ad anticipa-

Una proposta che piace a Luigi Lardini, creative director di Lardini, che dallo scorso gennaio ha scelto di presentare le sue collezioni a Milano e che si prepara ad accogliere stampa e buyer alla Triennale per un importante evento. «Una scelta, quella di migrare nel capoluogo lombardo - tiene a puntualizzare - dettata dal fatto che la nostra collezione sta evolvendo, per cui oggi ci rivolgiamo a un pubblico desideroso di un prodotto più ricercato. Di sicuro prima o poi a Pitti torneremo,

Il ritorno di Valentino, dopo tre anni di formula co-ed, dà il segno della centralità della Milano Fashion Week Men’s Collection nell’ambito dei calendari internazionali. Un appuntamento in programma dal 16 al 20 giugno, dove sono on schedule 22 sfilate fisiche e cinque digitali, 30 presentazioni, quattro presentazioni su appuntamento e 11 eventi, per un totale di 72 momenti fashion. Ad aprire la manifestazione il venerdì alle 14 è proprio Valentino, con una sfilata in programma all’Università Statale di Milano, mentre il fischio di chiusura sarà invece a cura di Zegna, lunedì 19 giugno alle 14, giornata che chiude gli appuntamenti fisici. L’indomani sarà la volta dei contenuti digitali presentati sulla piattaforma di Cnmi, con l’esordio dei brand Carnet-Archive, Gams Note, Maragno e Uni Form. In attesa di

svelare il nuovo corso con Sabato De Sarno, Gucci è in calendario il 16 giugno con una presentazione allo Spazio Maiocchi, dove il giorno dopo allestirà una mostra per i 70 anni del suo Horsebit Loafer. Tra gli hot ticket da segnalare il ritorno in pedana di Neil Barrett, il 17 giugno e, nel calendario presentazioni, il rientro di Ralph Lauren Purple Label. Numerosi i debutti, con l’esordio in passerella di Andersson Bell e un carnet di presentazioni in cui figurano i nomi di Maccapani di Margherita Maccapani Missoni, Maison Laponte, Marcello Pipitone–Bonola, Mcm, Setchu e Skin of Nature. Nei giorni della kermesse da non perdere l’appuntamento con il Fashion Film Festival, fondato e diretto da Constanza Etro, in pista con l’edizione numero nove dal 12 al 19 giugno, in collaborazione con Cnmi e il patrocinio del Comune di Milano. Si segnala inoltre il debutto di due nuovi appuntamenti. Il primo è il White Resort, dedicato al settore beachwear e abbigliamento cruise, in programma dal 18 al 20 giugno nello spazio Base-Ex Ansaldo. Una manifestazione che vedrà in campo circa 50 marchi

internazionali, «Un settore merceologico che abbiamo visto crescere nelle ultime stagioni e che sta tirando moltissimo - spiega Massimiliano Bizzi -. fondatore di White -. Dopo attente valutazioni abbiamo deciso di metterlo al centro di questo nuovo evento di giugno, in un momento in cui i buyer vengono a Milano a comprare; realtà a volte anche un po’ diverse da quelle tradizionali, con strutture molto grandi». Nelle stesse date debutta Miamilano, showcase nato per dare visibilità alle realtà del mondo donna, che hanno rivisto le proprie tempistiche per far fronte alle difficoltà emerse dal punto di vista tecnico, produttivo e logistico in seguito alla pandemia. Un’iniziativa di Csm-Camera Showroom Milano, che darà ai suoi 36 associati la possibilità di esporre a Palazzo Giureconsulti un proprio brand. «Un evento di comunicazione aperto ai compratori, alla stampa e agli addetti ai lavori, ma soprattutto open a tutta la cittadinanza», spiega Gigliola Maule, presidente di Csm. L’associazione sarà in pista nei giorni della fasion week anche con gli eventi Artisanal Evolution, Csm Meets Sustainability e Csm Culture Club

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1 MERCATI IL RISIKO DEI SALONI
20 giugno Palazzo Giureconsulti sarà la sede
event dedicato alle precollezioni del womenswear, a cura di Csm-Camera Showroom Milano TRA CONFERME E RIENTRI Milano dà appuntamento per la Fashion Week e apre a nuovi momenti espositivi

ma riteniamo che sarebbe utile se la manifestazione si svolgesse in anticipo. Basti pensare che oggi noi usciamo con l’estivo a metà maggio, quasi un mese prima. Ovviamente dovrebbe essere una decisione presa a livello di sistema, a partire dalla Camera della Moda, quindi condivisa da tutti e che tenga conto delle esigenze della filiera». Per Simone Bernardi, direttore creativo di Myths, marchio dell’azienda Gdm, cui fa capo anche l’altra label WhiteSand, presente a Pitti Uomo, «oggi in molti stiamo uscendo con le pre-collezioni a metà maggio (anche chi come noi non le faceva), visto che il problema principale nel settore sono le consegne e le capacità produttive che stanno venendo meno. Quindi anticipare di un po’ le date del Pitti potrebbe avere un senso». Ma questo «significherebbe anche uscire prima con la main collection e quindi con tutte le campagne vendite. Certamente avremmo più tempo per produrre. Tuttavia temo che per i negozianti sarebbe un problema, perché sarebbero costretti ad acquistare alla cieca, prima di avere avuto feedback sulla stagione in corso e sull’andamento dei saldi. Un conto insomma è la pre-collection, un basico che si vende facilmente ed è consegnabile prima, e un conto è la collezione, che rappresenta il momento delle novità». Secondo Niccolò Biondi, ceo di Roy Roger’s, presenza fissa alla manifestazione, «anticipare la campagna vendite in questo scenario è sempre bene, ma esagerare sarebbe controproducente. Sarei favorevole quindi a spostare Pitti Uomo alla prima settimana di giugno, ma per l’edizione invernale non vedo grandi alternative, visto che questa è la manifestazione che apre il nuovo anno». Considerando il break natalizio, insomma, le date dovrebbero arretrare di molte settimane e ciò, chiarische l’imprenditore, «costringerebbe le aziende a presentare una piccola parte di collezione o solo capi iconici». «Del resto - puntualizza - se consideriamo il mercato italiano nello specifico, i clienti aspettano prima di avere i dati precisi del sell out e in mesi come novembre/ dicembre e maggio hanno ancora in casa la merce di stagione da vendere. Quindi sarebbe sbagliato anticipare di troppo le date». «Diverso è il discorso per alcuni mercati come il Giappone, dove lavoriamo da due stagioniaggiunge -. Lì iniziamo la campagna vendite con una pre-collezione la prima settimana di maggio, per poi fare una seconda uscita in luglio, con un’integrazione di articoli. Ma già se consideriamo gli Stati Uniti, l’inizio delle vendite è in giugno». Sulla

In rapida evoluzione, il mondo delle Cruise diventa protagonista di un nuovo appuntamento, il White Resort, in programma presso lo spazio Base-Ex Ansaldo dal 18 al 20 giugno

scia dell’esperienza in Giappone, Biondi ha provato anche a realizzare delle precollezioni per il mercato italiano ma, conclude, «alla fine i clienti hanno comunque spostato gli acquisti tra la seconda e la terza settimana di gennaio». Le esigenze insomma variano da mercato a mercato, ma anche in funzione della diversa tipologia di cliente, come spiega dalla ribalta di Milano Marco Baldassari, cofondatore e direttore creativo menswear di Eleventy.

«I calendari funzionano, sia per quanto riguarda la produzione, che in vista dell’arrivo delle collezioni in negozio. La moda ha bisogno dei tempi giusti per lavorare in tutta la filiera»

ANTONIO DE MATTEIS

Pitti Immagine

«L’anticipo delle date di Pitti Uomo è un tema che stiamo esaminando. Ma il salone non va visto come mero momento di partenza della campagna vendite»

«In un momento difficile come l’attuale occorre sempre più essere veloci, snelli e strutturati e muoversi in largo anticipo. Per questo abbiamo cambiato il nostro business model e, se un tempo presentavamo anche una pre-collezione, aggiungendo se necessario dei flash, ora abbiamo unificato tutto in una sola uscita, che abbiamo iniziato a vendere dal 15 maggio, con la raccolta ordini entro il 15 giugno, per consegne nei mesi di novembre e dicembre. Date che tengono conto delle esigenze dei grandi gruppi del retail e delle piattaforme di e-commerce, che necessitano di anticipare sempre più per motivi organizzativi e

logistici. Per tutti gli specialty store e i piccoli negozi, che hanno bisogno di aspettare per gli ordini, presentiamo invece la collezione tra metà giugno e 20 luglio, con consegne previste in gennaio/febbraio. Se consideriamo che un tempo si andava fino al 10/15 ottobre, si fa presto a capire come le cose siamo radicalmente cambiate: oggi sarebbe impensabile arrivare a consegnare a marzo/aprile». Tutte queste considerazioni non inficiano per Marco Baldassari la scelta delle date di Milano Moda Uomo: «Gennaio e giugno sono i momenti giusti, perché le presentazioni sono mirate alla stampa. Pitti invece, dove non partecipiamo da tempo, si rivolge al mercato in un momento in cui i clienti hanno già in larga parte comprato, ma si tratta di un’occasione di incontro e di socializzazione e anche di un momento di conferma degli ordini effettuati. Essere a Pitti, inoltre, consente di spostare il focus su aspetti che magari non si erano precedentemente considerati o che sono nel frattempo emersi». D’accordo con lui sul tema saloni è Francesco Lubrano, della showroom Panorama Moda: «Operiamo in un mercato in fase di accelerazione, in cui la tendenza è anticipare sempre più con diverse delivery nel corso della stagione. Un’esigenza quanto mai forte, soprattutto dopo l’ultima stagione, in cui la maggior parte dei marchi del menswear ha avuto il problema di consegnare molto tardi - chiarisce -. Con alcuni clienti della moda maschile siamo usciti infatti il 9 maggio per consegne a novembre e dicembre, in grado di soddisfare le esigenze dei clienti internazionali, soprattutto i department store, che vengono a Milano per fare gli ordini già dal 10 maggio». «Diverso - aggiunge - è pensare di spostare tutto il blocco Pitti UomoMilano Moda Uomo, un discorso molto complesso, che dovrebbe tenere conto dei calendari internazionali. L’importante, dopotutto, è la data di inizio della campagna vendite. A Pitti si può andare in un momento successivo. Del resto oggi il salone viene visto principalmente dalle aziende come un momento di incontro e scambio di idee». Tante criticità, diversi approcci, molta confusione, soprattutto per i negozianti italiani, come spiega Paolo Mantovani delle boutique toscane Mantovani di San Giovanni Valdarno, Castiglione della Pescaia e Greve in Chianti:

MERCATI IL RISIKO DEI SALONI 78
CARLO CAPASA Camera della Moda

«Le vicissitudini di questi ultimi tempi hanno disallineato il mercato rispetto al funzionamento del sistema produttivo, per cui oggi tutto è stato anticipato fino all’inverosimile. Noi negozianti dobbiamo comprare spesso al buio, prima di avere le idee chiare rispetto al sell out della collezione che abbiamo in casa. Io acquisto ben 160 collezioni e quest’anno c’è stato un marchio che ha fatto un’uscita con l’estivo addirittura al 3 marzo, quando avevo appena messo in vendita la stagione calda del 2023. Quindi ci troviamo ad andare al salone e alle presentazioni quando abbiamo già speso l’80% del nostro budget. Certo, potrei anche aspettare la seconda uscita, ma spesso queste ultime arrivano tardi e i prezzi sono troppo alti, perché si tratta dei capi dello show e sono proposte più difficili da vendere». «C’è dunque una situazione di totale asincronia - conclude - per cui o i saloni si

Le fiere sono il tassello di un sistema che deve riallinearsi, considerando negozianti, mercato e produzione

coordinano con il mercato, e quindi le date vanno bene, oppure si coordinano con la produzione: in quel caso andrebbero anticipati. Diciamo che le fiere sono solo un pezzo di un sistema che deve riallinearsi, tenendo presente una triangolazione i cui capisaldi siamo noi negozianti, la produzione e il mercato». Un dilemma che per il momento vede i dettaglianti privilegiare il mercato, come emerge dal nostro sondaggio con una quarantina di top retailer italiani, dove la maggioranza degli interpellati si è dichiarato favorevole a mantenere le date attuali. A chiudere il cerchio ci pensa Carlo Capasa, presidente di Camera Moda, che spiega: «Secondo noi le tempistiche attuali funzionano. I nostri calendari sono concordati e ben equilibrati a livello internazionale e rispecchiano abbastanza bene le esigenze del mercato, sia dal punto di vista della produzione che in prospettiva, guardan-

1.Il rendering dell’installazione a cura di Eli Russell Linnetz del brand Erl, che trasformerà il piazzale della Fortezza da Basso in un set cinematografico, citando il noto cult hollywoodiano Il Pianeta delle Scimmie 2. Il tema “Pitti Games” dei saloni di giugno, declinato per il Pitti Bimbo

PRESTO I LAVORI IN FORTEZZA

Pitti Uomo apre il mese della moda fiorentino

do a quando la merce arriverà in negozio. Certo, sappiamo benissimo che si inizia a vendere già da maggio, ma il sistema funziona così e prevede momenti importanti, come giugno/settembre e gennaio/febbraio, e momenti di mera vendita, che sono novembre e maggio». Per Capasa, al centro di tutto deve rimanere l’essenza del fashion tricolore: «La moda italiana, strettamente legata al concetto di creatività, ha bisogno dei tempi giusti per lavorare in tutta la filiera alla realizzazione delle collezioni, per cui non dobbiamo cadere vittime delle esigenze di marketing e industriali, che sono importanti, ma non tali da essere il solo driver della moda». «Così come non ha funzionato il “see now buy now” - precisa - per lo stesso motivo non funzionerebbe neanche anticipare le date, perché non si darebbe il tempo alle nostre griffe di lavorare alla creazione del sogno che è inscindibilmente legato al fashion». A conti fatti, insomma, i tempi non sembrano maturi per ripensare i calendari del menswear, ma il dibattito resta aperto in uno scenario in divenire, che vede sempre più le singole realtà impegnate a trovare soluzioni tagliate su misura per le proprie necessità. Urge una regia forte, che possa ricomporre le molte contraddizioni emerse.

È Pitti Uomo come sempre a dare lo start al mese della moda fiorentino, che nel corso di giugno vedrà di scena anche le kermesse dedicate a moda bimbo e filati. Edizioni che si svolgono alla vigilia di un momento importante, ossia la partenza dei lavori di riqualificazione della Fortezza da Basso. «Lo start dovrebbe essere in luglio, con un progetto che procederà a tappe, coinvolgendo man mano diverse porzioni della struttura, per salvaguardare lo svolgimento delle manifestazioni – racconta il presidente di Pitti Immagine, Antonio De Matteis -. Alla fine avremo una Fortezza più moderna e più grande, un polo multifunzionale che guarda al futuro». Il salone del menswear, che conterà un totale di 825 brand di cui il 41% da oltrefrontiera, sarà caratterizzato dalla presenza di uno special guest come Fendi, che sfilerà il 15 giugno nella Factory di Bagno a Ripoli, del guest designer Eli Russell Linnetz di Erl, e del designer project Chulaap, brand fondato da Chu Suwannapha, stilista thailandese di origine e sudafricano d’adozione. Ciliegine sulla torta di un menù che si articola nelle cinque sezioni Fantastic Classic, Futuro Maschile, Dynamic Attitude, Superstyling e I Go Out, a cui si aggiunge Pittipets, dedicata gli accessori dei nostri amici animali, per dare spazio all’universo legato alla moda e al lifestle. Tra le novità, l’inedito allestimento della sezione I Go Out dedicata all’outdoor e dell’area S/Style, focalizzata sui brand eco-responsabili, che si arricchisce di nuovi spunti anche grazie alla collaborazione con Kering Material Innovation Lab (Kering Mil), centro di ricerca interno al gruppo Kering impegnato nella riduzione dell’impatto ambientale. Dopo il menswear sarà la volta di Pitti Bimbo, dal 21 al 23 giugno, con 220 marchi in pista e con le sezioni 100% Bambino, Smart Kids, The Kid’s Lab!, Apartment e The Nest, che accolgono le diverse sfaccettature della moda in taglie piccole. Tra i momenti clou della rassegna da non perdere la sfilata di Miniconf il 21 giugno, che celebra il 50esimo anniversario dell’azienda. Dal 28 al 30 giugno il testimone passerà infine a Pitti Filati, con le novità relative all’inverno 2024-2025, Con il leitmotiv del tema Pitti Games, che richiama il concetto di mettersi (o rimettersi) in gioco, i tre saloni avranno una versione digitale nella piattaforma Pitti Connect e beneficiano del sostegno del Governo Italiano, di Ice e di Unicredit in veste di main partner.

MERCATI IL RISIKO DEI SALONI 80
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Camouflage punta sulla sostenibilità e sulla linea donna. E cresce all’estero

L’incremento della quota di sostenibilità nelle collezioni. Poi, da un lato l’arricchimento dell’offerta di prodotto con il lancio della linea donna dalla collezione SS24; dall’altro il potenziamento delle vendite all’estero. Sono questi i focus a sostegno dell’attività di sviluppo di Camouflage Ar And J., marchio di pantaloni premium made in Italy, prodotto dalla Lab design di Mosciano sant’Angelo. Camouflage ha, fin dalla nascita, un dna sostenibile. Un percorso iniziato nel 2006 che, negli anni, ha portato importanti risultati: «circa un 25% della collezione denim è completamente sostenibile (dal tessuto agli accessori) e poi tutti i trattamenti e lavaggi dei nostri capi sono realizzati da macchine di ultimissima generazione che minimizzano i consumi di acqua ed energia fino al 30% rispetto alle macchine comuni», racconta Rocco Terra, che con il fratello Gianluca è alla guida dell’azienda. Un percorso che si evolve e tocca anche il tema della circolarità dei materiali utilizzati. «L’obiettivo dei prossimi anni è quello di fare sempre di più - prosegue l’imprenditore teramano - stiamo dando priorità ai tessuti green, ovvero quelli che vengono realizzati con materiali da riciclo». Nel 2023, poi, Camouflage taglierà un altro traguardo: il lancio della prima collezione donna. «Uscirà dopo il Pitti - anticipa Rocco Terra - ma sempre con la PE24 e sarà focalizzata sul denim, che oggi con l’uomo conta per noi il 50% del fatturato. Ci sarà anche qualche tinto capo ma il denim sarà al centro dell’offerta». L’attenzione all’ambiente e la passione per l’artigianalitàvalori sempre più apprezzati dai consumatori globali - sono un driver economico per il brand: il numero delle boutique in Italia (già 250) è destinato a salire, ma le maggiori aspettative sono sull’estero. «Fino a poco tempo fa - conclude Terra - per noi la parola worldwide era quasi sconosciuta, ma nel giro di tre stagioni la quota estera conta più del 20% del ricavi ed è in continua crescita».Tramite partner strategici in Europa Camouflage è già distribuito in Belgio, Olanda e Scandinavia e con la nuova collezione si aggiungeranno Spagna, Svizzera e Germania, mentre nelle Americhe è già presente. (an.bi.)

PIÙ CHANCE IN NORD EUROPA CON CENTURYBOX

Mainetti Italia amplia l’offerta e il business

Mainetti Italia innova il packaging per l’e-commerce. Alla scorsa edizione di Packaging Première l’azienda del vicentino ha presentato due versioni di buste in carta riciclata al 100%, Basic e Premium La versione Basic è in kraft Avana (particolarmente resistente, nel colore naturale avana), mentre il modello Premium è in versione Duplex). Entrambe sono personalizzabili con stampa in monocromia o quadricromia e per ciascuna è presente un doppio bi-adesivo riposizionabile utile per usi successivi. L’azienda, che spazia anche nel labelling, negli appendiabiti, fino alle soluzioni smart come QR code e Rfid, non ha soltanto ampliato l’offerta. In gennaio ha rilevato Centurybox Group, produttore belga di packaging di lusso che permetterà l’espansione del business in Nord Europa. (e.f.)

DALL’11 AL 13 LUGLIO

Sourcing sotto i riflettori a Milano: torna in pista Ready-to-Show

Torna alla ribalta Ready-to-Show, la rassegna dedicata all’outsourcing per il tessile e abbigliamento, lanciata nel 2001 da Georges Papa (nella foto) e in calendario dall’11 al 13 luglio all’Una Hotel Expo Fiera Milano a Pero, con quasi 200 espositori. Si tratta di produttori da Cina, Turchia, India, Egitto, Bangladesh, Pakistan: mercati già forti fornitori della moda italiana, dalla fascia di prodotto più alta alla grande distribuzione. Non mancheranno anche espositori provenienti da area come Isole Mauritius, Kirghistan, Tajikistan, Madagascar, Nepal, Moldova: partner ideali per aziende in cerca di piccole produzioni.  «In più – spiega Georges Papa – per la prima volta sarà allestita un’Area Italia, dove potranno esporre terzisti, designer e società di servizi italiani». Per tutti, il filo conduttore sarà la sostenibilità, non solo tecnica e produttiva, ma anche etica. Nel programma di Ready-to-Show rientrano conferenze e incontri B2B, sfilate per designer emergenti. Appuntamenti che metteranno in contatto giovani stilisti, tra cui i membri dell’International Designers Network, di cui Georges Papa è socio fondatore e attuale vicepresidente, con produttori, terzisti e consulenti italiani in grado di supportarle. Sarà anche l’occasione per stilisti freelance di creare un link con brand alla ricerca di collaborazioni. (c.me.)

NON SOLO PARTNER AUSTRALIANI PER IL TOP DI GAMMA Botto Giuseppe:

dall’Uruguay la lana Rws e Land to Market

Il gruppo tessile Botto Giuseppe continua a fare passi in avanti nell’ottica di un business green. Mentre sta per pubblicare il terzo Bilancio di sostenibilità, che evidenzierà i progressi nell’efficientamento energetico e nella riduzione delle emissioni di CO2, annuncia di avere completato l’installazione di pannelli solari nello stabilimento di Valdilana (Biella). Inoltre quest’anno ha aggiunto all’elenco dei suoi fornitori australiani di lana di alta qualità due fattorie dell’Uruguay, che condividono la stessa filosofia in fatto di salvaguardia dell’ambiente, degli animali e delle persone. Una è Py-Aguauzù, realtà di Paysandú della famiglia Fraschini, che su 2.900 ettari di terreno alleva 3.200 pecore, in grado di fornire una lana certificata Rws-Responsible Wool Standard e Land to Market (sourcing rigenerativo). L’altra è La Cuchilla, a Tacuarembó, di proprietà della famiglia Monteverde. Si tratta di 3.680 ettari di terreno e 6.000 pecore di un’azienda che nel 2021 è risultata negativa in termini di emissioni secondo la norma ISO 14064. Anche in questo caso la materia prima è certificata Rws e Land to Market. (e.f.)

82 MERCATI NEWS
IL DENIM VALE IL 50% DEL FATTURATO

SAFIRA MILANO: UN VIAGGIO TRA LUSSO, ESOTISMO E SAVOIR FAIRE

Fondato da Halima Hadir nel 2018, il brand prende il meglio del made in Italy e dell’artigianato marocchino, sulle orme di maestri come Yves Saint Laurent, che fece di Marrakech la sua seconda casa

Amalgamare culture è ispirazione: questo il punto di partenza di Safira Milano, marchio che già nel nome rende da un lato omaggio alla capitale della moda italiana e, dall’altro, evoca le seducenti atmosfere del Marocco, Paese natale della sua fondatrice, direttrice creativa e ceo, Halima Hadir. «Safiraspiega Halima Hadir - deriva dal termine arabo per “ambasciatrice”, ma anche da “sephirat” (“luce senza limite” in ebraico) e da “sappheiron”, che in greco indica lo zaffiro, pietra preziosa della saggezza. Un mix di concetti che si fondono nei codici stilistici alla base del brand, punto di unione fra la mia terra d’origine e l’Italia, la mia seconda patria dove vivo da più di 20 anni». Nato nel 2018 dalla passione di Halima per la moda ma anche per i materiali (è laureata in ingegneria tessile), Safira Milano unisce in un viaggio interculturale l’heritage italiano

della confezione - i capi sono realizzati a Carpi con pregiati tessuti made in Italy - e la straordinaria ricchezza del saper fare marocchino. «Mi reco spesso in Marocco - sottolinea la fondatrice - seguendo in prima persona gli artigiani che lavorano per me. Ho scelto i migliori, che seguono ancora tecniche tramandate di generazione in generazione. Più che artigiani, sono veri e propri artisti». Ogni modello è un tripudio di ricami, nappine, bottoni, alamari

e passamanerie, tutti fatti a mano nella medina medievale di Fez, ora non più solo per l’estate ma anche per l’inverno, dove giacche e mantelle in natural cashmere, lana e velluto accompagnano camicie preziose, arricchite da ricami e stampe su seta ispirate al Riyad di Marrakech. Sono una trentina i selezionati negozi multimarca tra Italia, Kazakistan, Russia, Croazia e Svizzera, che distribuiscono Safira Milano, un marchio unico in quanto è frutto dell’integrazione tra due culture, italiana e marocchina, che pur nelle loro diversità si somigliano nel grande patrimonio di manualità, storia, creativitàe cura dei dettagli. In cantiere il debutto nel retail con un monomarca a Milano: «Stiamo cercando la giusta location - conclude la stilista e imprenditrice - ed è una scelta che richiede il giusto tempo. Non ci interessano spazi in affitto, il nostro sarà un investimento immobiliare in piena regola».

Halima Hadir ha un altro sogno nel cassetto: «Creare un atelier dove realizzare capi ancora più esclusivi e unici, fatti su misura e personalizzati».

SAFIRA MILANO for

UNVEILED

Il racconto dell’identità maschile attraverso uno sguardo che esplora l’eros, mantenendo intatto uno stile impeccabile fatto di giacche sartoriali, tessuti ricercati e accessori minimal.

85 DIESEL

SUMMER TURF

La stagione estiva, simbolo di leggerezza, richiede scelte decise. Mixare nuovi colori, forme e texture. Puntare su un'eleganza sempre più fluida nel passaggio tra lavoro e tempo libero. Sperimentando al meglio il gioco delle sovrapposizioni.

UPCYCLING STORY IN THE BOX

La filosofia eco-friendly del brand si conferma anche per questa stagione, con l’uso di tessuti riciclati e le immagini ricamate di Mr. Box, eco-orso, su felpe e T-shirt.

ESSENZA ITALIANA TOMBOLINI

LUXURY LEISUREWEAR CRUCIANI

Una collezione dalle linee essenziali, che rimanda a una visione nobile dell’heritage del brand, connettendo innovazione e sartorialità e scegliendo filati biologici come lino, seta, cotone e cachemire.

VIAGGIATORI NATIVI L’IMPERMEABILE

Lo storico brand toscano presenta una collezione ispirata ai viaggiatori, con una selezione di capi leggeri quanto i materiali: dai lini accoppiati con le viscose ai tessuti Vichy con quadretti grandi e piccoli.

La tradizione sartoriale esplora la nuova visione light di un easy to wear in cui trovano spazio giacche, abiti e T-shirt. In questo guardaroba contemporaneo, ricco di texture cangianti e tessuti nobili, si inseriscono alla perfezione le linee e le vestibilità più costruite.

INSIEME A SUMBA FOUNDATION SAVE THE DUCK

Una nuova gamma di capi leggeri e confortevoli, per proteggersi dalla pioggia estiva e dal vento, realizzata in partnership con un’organizzazione no-profit: per bilanciare il consumo dell’acqua associato alla produzione dei capi e dei materiali viene fornito l’accesso all’acqua potabile a oltre 30mila persone sull’isola di Sumba in Indonesia.

JUST IN TIME SOSTENIBILE MYCAMICIA

Una sartoria online smart, che offre la possibilità di scegliere fra centinaia di combinazioni possibili per creare modelli di alta qualità in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo. Tutto questo grazie a un configuratore 3D, ricevendo i capi direttamente a casa entro 12-15 giorni.

SAVOIR FAIRE LUIGI BIANCHI SARTORIA

Negli anni ’50 la moda maschile era sinonimo di classe e buon gusto. La collezione celebra quel fascino senza tempo: i colori caldi si diluiscono nel gioco raffinato di giacche e abiti, sempre abbinati alla cravatta, mentre i tessuti si distinguono per leggerezza e resistenza.

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INTO THE WILD

La moda deve proteggere il pianeta con scelte forti e consapevoli. Un ritorno al passato, in un certo senso, dove è fondamentale puntare su prodotti sinceri, autentici e con etichette che parlano dei loro valori.

PASSIONE OUTDOOR FILSON

Nata nel 1897 come azienda di abbigliamento e produttrice di coperte per coloro che partecipavano alla corsa all’oro del Klondike, negli anni Filson non ha cambiato la sua filosofia, applicandola all’outdoor: capispalla, pantaloni e zaini che funzionavano allora e funzionano ancora oggi.

NATURAL LIFESTYLE CAPOBIANCO

Ogni prodotto nasce dall’impegno di chi lo crea. La Shirt Jacket natural-chic in puro lino, completamente sfoderata, con quattro tasche con patella, bottoni logati, collo e polsi a camicia, è essenziale nel guardaroba estivo.

Nato nel 1873 con un brevetto per rivetti in rame su pantaloni da lavoro, il Levi’s 501 in questi 150 anni è diventato un capo d’abbigliamento iconico, trapassando i confini del tempo e diventando un true original, amato e indossato da diverse generazioni.

TECNOLOGIA SOSTENIBILE PAUL&SHARK

L’iconica tecnologia Typhoon, progettata in esclusiva dal brand, viene riproposta in versione “Platinum” nella field jacket casual e contemporanea per la SS 2024: segni particolari sono ultra-leggerezza, impermeabilità, elevata performance e un peculiare effetto ottico di velata perlescenza.

BIO-BASED ECO EYEWEAR

L’azienda americana Eco Eyewear pone grande attenzione al tema della sostenibilità utilizzando materiali eco-compatibili, ma anche contribuendo al rimboschimento del pianeta attraverso iniziative come “One Frame, one Tree”.

WASHED LOOK ECOALF

Impegnato nella moda sostenibile fin dalla sua nascita nel 2009, Ecoalf amplia l’offerta con la giacca Rigialf: realizzata in nylon riciclato tinto in capo, utilizza un processo in grado di diminuire gli agenti inquinanti, rilasciando acqua pulita nell'ecosistema.

IL POTERE DELL’HERITAGE BORSALINO

L’identità passa anche dal copricapo che si sceglie. Per questo le nuove generazioni hanno sviluppato un vivo interesse per i cappelli che hanno una storia, come quella di Borsalino. Il design semplice è espressione consapevole di un lusso autentico, con pedigree.

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150 ANNI LEVI’S 501
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DYSPHORIA MUNDI

I capi che la donna ruba dall’armadio dell'uomo confermano uno stile trasversale, non più solo da giorno e non più esclusivamente riservato al tempo libero. Lei e lui sono sulla stessa lunghezza d’onda.

GREEN SOLE CUOIO DI TOSCANA

L’iconica green sole, amica dell’ambiente, è l’emblema del consorzio, leader nella produzione di cuoio da suola: innovativa e accattivante, è frutto della concia vegetale lenta in vasca, che trasforma le pelli grezze in un materiale durevole.

INCANTO ESSENZIALE VICARIO CINQUE

Un simbolico viaggio nel quotidiano celebra la bellezza di una giornata estiva vissuta da una donna moderna, per una collezione dove i tessuti innovativi si uniscono a un’esplosione di colori. Espressione di uno stile unico.

NINETIES NOW IXOS X

L’ispirazione anni ’90, tratto distintivo del brand, torna in questa audace capsule di sneaker, fusione perfetta fra tradizione artigianale e design contemporaneo. Le versioni chuncky e curb, realizzate in vitello nappato o in camoscio e rete, sono ideali per essere “rubate” anche dalla donna.

NEW CAPSULE

SNOB MILANO W/ NOVE25

Due realtà giovani, due campioni di made in Italy riconosciuti dalle generazioni emergenti come simboli di ricerca, innovazione e design, per una capsule composta da cinque modelli, di cui tre inediti, tutti personalizzati con una finitura puntinata in argento brunito sull’asta.

4 H

Ogni capo del brand rappresenta la massima espressione della filiera del denim made in Italy: dalla pianta del cotone, che viene raccolto a mano, agli accurati processi artigianali. Una collezione che si declina in armature diverse dai pantaloni alle camicie, ma sempre con un touch soft.

WORKWEAR REVISITED ROY ROGER’S

Roy Roger’s ha avviato una collaborazione con Dave’s New York, eccellenza americana da oltre 60 anni: 25 capi pensati in nome di un total look dal gusto genderless, all’insegna del workwear, tra cui la giacca con motivo wallpaper jacquardato di sapore vintage.

FETICCIO VINTAGE CLARKS

Remixando lo stile iconico delle Wallabee con le suole Big Gripper ispirate agli anni '90, le Torhill Hi diventano le nuove scarpe iconiche di chi ama camminare per la prossima estate. Pelle scamosciata, cushioning sagomato e grip insieme per un nuovo comfort contemporaneo.

CALZE CONTEMPORANEE ANT45

Il marchio del calzificio Bonadei conferma il suo expertise artigianale con un progetto di calze contemporanee made in Italy, che non dimentica il tema green. La parola d’ordine è freschezza e il filato quality extra sottile accresce la sensazione di assoluta funzionalità per lui&lei.

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NORTHERN LIGHTS

Il futuro influenza il presente quanto il passato. La nuova interpretazione del guardaroba estivo maschile ne è l’esempio: lo stile minimal guarda il futuro, ma con la stessa eccellenza nei materiali e nella fattura artigianale

FIORIO

La classica cravatta viene riscoperta con nuovi codici, che rileggono il formale e lo rendono più sportivo, grazie a sovrapposizioni di tessuti e colori: dal regimental ai temi romantici floreali, fino alle micro-fantasie stilizzate.

D’ITALIA AT.P.CO

Continua il viaggio del brand nell’Italia fatta di colori mediterranei, che diventano ispirazione per la prossima collezione estiva. Il verde e il rosso sono predominanti, ma non mancano colori neutri come il bianco e il beige, il tutto in chiave leisure.

DEBUTTO A FIRENZE BD BAGGIES

Il brand di camicie, fondato negli Stati Uniti, presenta a Firenze la SS 2024, partendo dalla linea Oxford come base, per aggiungere modelli in nuovi tessuti e trame, declinati in tutti i colori in tinto capo, abbracciando anche le fantasie madras e ispirazioni Hawaii.

95ESIMO ANNIVERSARIO ETON

Per i suoi 95 anni Eton presenta un'edizione limitata in cui reinventa la destinazione d’uso di tessuti già esistenti, con un approccio che guarda al rinnovabile: modelli intramontabili e facili da portare, che tingono di stile il guardaroba maschile, con un tocco di nostalgia

CULTO SENZA TEMPO TINTORIA MATTEI 954

L’avventura dei fondatori è iniziata nel 1954, epoca simbolo di un’eleganza senza tempo. Per questo ogni capo ha quel guizzo rétro apprezzato da uomini a cui piace godersi la vita.

A 120 anni dalla fondazione viene creato un tessuto ispirato a un saper fare consolidato, caratterizzato dal disegno glencheck e dai colori che da sempre identificano il lanificio.

NO GENDER MARTINO MIDALI

Un mash up d’autore: da una parte materiali, tagli e lavorazioni tipici di un know how consolidato; dall’altra, l’attenzione per la signature iconica del brand nella sua prima capsule genderless.

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BANDIERA 120 ANNI FRATELLI TALLIA DI DELFINO

KNOCK YOUR SHINE

È il colore a dare il groove al guardaroba estivo. Palette vivaci conferiscono un tono glam ad abiti e completi di taglio contemporaneo. Avanza un nuovo stile fatto di volumi ampi, pantaloni comodi e look arricchiti da accessori e gioielli che ti fanno riconoscere per strada.

VERSACE LA VACANZA

La collezione co-ed La Vacanza, presentata a Cannes, è stata creata insieme a Dua Lipa, raccontando un’estate italiana da cartolina in un binomio di moda e musica ad alto tasso di seduzione, dove i colori pastello si mescolano a tessuti sartoriali.

‘70/’80/’90 ANTONY MORATO

Un viaggio nello spazio e nel tempo per questa collezione, che propone una mescolanza di colori decisi e brillanti abbinati a tessuti naturali e tecnici, che danno profondità ai capi.

RESORT 2024 MOSCHINO

Un esercizio di ironia, dove il tema floreale di archivio gioca con la sobria tradizione della sartoria inglese. I fiori sbocciano oltre la stampa e si disseminano su tutto il corpo, oppure solo su uno scollo o sul punto vita, nell’interregno post Jeremy Scott.

FEWER, SIMPLER, BETTER HAVANA&CO.

La creatività tipica del made in Puglia celebra l’estate con capi essenziali che seguono la linea di uno sviluppo sostenibile. Una proposta utility in chiave innovativa, pensando a un futuro in cui si compra meno e con più qualità.

HYPER BRIGHT SUMMER GIANNI LUPO

Il brand toscano nasce nel 2011 da un’idea di Gianni Jia, pensando a uno stile in grado di vestire l’uomo in tutti i momenti della sua giornata. Colori e motivi sono quelli degli anni ’60 e ’70 ma rielaborati in chiave moderna, per dare vita a un’eleganza vintage.

MONDO VINTAGE D1 MILANO

Un omaggio alla storia dell’alta orologeria riletta in chiave moderna, attraverso l’estrema attenzione ai dettagli e con un pizzico di irriverenza, come in questo orologio in policarbonato con finitura soft-touch.

RÉTRO GAME ELLESSE

La nuova collezione di calzature SS24 del brand, realizzata su licenza dall’azienda perugina Nice Footwear, si ispira al mondo dello sport anni ’70 e ’80: una linea giocosa, colorata e dinamica, perfetta per il tempo ludico e non solo.

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ITALIAN SUMMER

SHADOW OF MY LOVE

Lo stile che verrà prende ispirazione dall’immagine di molte band degli anni '70, '80 e '90, che hanno interpretato il rapporto tra il rock e la moda attraverso giochi di luce e ombre che ora tornano alla ribalta.

SUNSET STRIP CARLO PIGNATELLI

Un viaggio elegante e sensuale, rievocando le icone della musica e della moda americane attraverso il XX secolo. Gli abiti, segno di distinzione, esaltano la bellezza della sartoria.

RESORT 2024 GUCCI

La maison fiorentina approfondisce il dialogo tra il suo patrimonio d’archivio e la stimolante influenza della cultura sudcoreana, presentando una Resort 2024 all’insegna di uno streetwear borghese.

MONDO ACTIVEWEAR DISTRETTO 12

Il nuovo viaggio di Distretto 12 ci porta nella magica terra dell’Andalucia. Un uomo in continuo movimento che usa con estrema naturalezza capi super stretch High Performer, che garantiscono a chi lo indossa alta traspirabilità e massima libertà di movimento.

JOIE DE VIVRE FALIERO SARTI

Gli accessori passe-partout della collezione primavera-estate 2024 si tingono di gioia. I motivi maschili, come il principe di Galles, si inondano di fluo, mentre i madras si stemperano in tutte le sfumature dei tinti in filo.

GALASSIA UOMO DES PHEMMES

Le ossessioni visive degli anni ’90, legate all’idea di una giovinezza sovversiva, si trasformano in pezzi che interpretano ognuno a suo modo il tema dell’individualità maschile.

DEBUTTO IN BLACK & WHITE REBUS

Rebus è una capsule collection in black & white di T-shirt e felpe, che nasce quest’anno a Milano dall’idea di quattro fashion lover. Il drop di debutto presenta otto print no gender stampati su due modelli di T-shirt dal fit over o regular, a cui si aggiunge una felpa hoody.

DADDY SHOES LOTTO

Le proposte per la prossima stagione attingono dal patrimonio del marchio italiano, da sempre all’avanguardia nelle nuove tendenze. Una novità è la linea Boston Classic, ispirata allo stile casual delle sneaker in voga negli anni ‘90.

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ZERO WATER WADDING NON-WOVEN

GOT IT YOU

È innato oppure può essere non innato, ma si può sviluppare. Anzi no, qualcuno afferma che o ce l’hai o non ce l’hai.

È opinabile o totalmente falso: ce l’hanno tutti. Basta scoprire qual è.

A ogni modo, talvolta poi ci vuole coraggio per seguirlo. Di sicuro, da solo non basta: occorrono anche disciplina fisica e mentale, determinazione e cura.

Insomma, lo stile non è facile da inquadrare. Alcuni stili li trovate nelle prossime pagine, anche molto giovani. Sta a voi fare la scelta giusta.

DI ALBERTO CORRADO

99 MISSONI

Sand and Sky

Una ricerca stilistica corale, che incontra la passione per gli spazi aperti e gli sport legati alla natura. Un racconto fantastico che si traduce in linee ecoresponsabili, dove la leggerezza fa compagnia alla funzionalità, in grado di interpretare esigenze e aspirazioni di un pubblico molto orientato al viaggio.

2 4 1 6 7 100
1 AVANT TOI 2 CYCLE JEANS 3 PANCHIC 4 SALEWA BOTTO GIUSEPPE 6 ARMA
3 5
7 BRETT JOHNSON

COSTRUIRE LA RESILIENZA DELLA SUPPLY CHAIN CON

CENTRIC PLM

Sono cinque le sfide che brand e aziende devono affrontare in un periodo pieno di incertezze: tenere sotto controllo la redditività, gestire in modo agile i fornitori, reagire prontamente ad avversità e imprevisti, fornire il prodotto giusto nei tempi e nelle modalità giuste e sfruttare il digitale per monitorare i consumatori. Con le soluzioni avanzate di Centric PLM tutto questo, e ancora di più, è possibile

Imargini di marchi e retailer sono, ancora una volta, pesantemente influenzati da un aumento storico dei costi energetici e dell’inflazione, che non ha precedenti negli ultimi 50 anni: l’incremento dei costi è stato esorbitante, +7,8% nel 2022. In un contesto di crisi come quello che stiamo attualmente attraversando, l’inattività può costare cara alle aziende che operano all’interno dei settori moda e retail. I decisori devono partire dal presupposto che le nuove incertezze sono destinate a permanere e, tenendo questo ben presente, non possono che definire strategie appropriate per far fronte all’aumento dei costi, al caos delle supply chain, alla volatilità della domanda, all’ottimizzazione dell’assortimento e all’omnicanalità.

Molti marchi e realtà della moda hanno già assunto un ruolo guida nell’avviare lungimiranti trasformazioni dei propri processi e operazioni.

Le aziende che hanno continuato a investire in tecnologia durante questo periodo turbolento hanno sviluppato una maggiore agilità, incrementato la visibilità del marchio e superato i propri concorrenti. Al contrario, quelle che hanno congelato gli investimenti hanno perso il proprio vantaggio competitivo e, in alcuni casi, si sono persino dovute ritirare dal mercato. Questi e altri

dati dimostrano che le decisioni prese e le strategie adottate nel corso del 2023 saranno decisive per la sopravvivenza di marchi e distributori.

All’alba di una nuova era completamente digitale nel settore del retail, gli specialisti di Centric Software hanno raccolto le testimonianze di diversi leader del cambiamento e identificato cinque fondamentali sfide alla base delle trasformazioni attuali, tutte al centro dei processi di distribuzione.

Il report creato da Centric Software fornisce informazioni dettagliate sulle strategie che permetteranno alle aziende di:

• Determinare l’impatto sui margini per tenere sotto controllo la redditività

• Passare a una gestione dei fornitori agile e dinamica

• Padroneggiare la strategia di pianificazione e reagire rapidamente alle avversità

• Fornire il prodotto giusto, nel posto giusto, al momento giusto e nella giusta quantità

• Sfruttare il digitale per rispondere alle nuove abitudini dei consumatori E, infine, come ottenere tutto ciò con l’aiuto delle soluzioni di nuova generazione di Centric Software. Per leggere il report completo di Centric Software e saperne di più su come le soluzioni di Centric Software possono aiutarvi a superare le sfide della supply chain, è sufficiente scansire il QR code!

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Parachuted

Il parka, il bomber e il trench, elementi presi in prestito dall’abbigliamento militare, sono diventati ormai parte integrante di un guardaroba sportivo per un uomo attento all’estetica contemporanea, dove la praticità e il comfort sono codici essenziali del vestire.

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4 6
1 TELA GENOVA 2 DUNO 3 PIQUADRO 4 TELERIA ZED 5 BLAUER 6 ROVI LUCCA
3 7 1 2 5
7 STILNOLOGY

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Pantone 349 C C:100 M:30 Y: 85 K:0 MADEIRA CORNFLOWER YELLOW Pantone n.d. C:0 M:28 Y: 93 K:0 Pantone n.d. C:75 M:0 Y: 75 K:0
Cut MADEIRA GRÜN Pantone 349 C C:100 M:30 Y: 85 K:0 MADEIRA APPLE GREEN Pantone n.d. C:75 M:0 Y: 75 K:0 Pantone n.d. C:75 M:0 Y: 75 K:0 MADEIRA NEUTRAL GREY MADEIRA GRÜN Pantone 349 C C:100 M:30 Y: 85 K:0 MADEIRA POLYNEON RED Pantone n.d. C:30 M:100 Y:55 K:15 MADEIRA POLYNEON BLUE Pantone n.d. C:100 M:100 Y:0 K:0 MADEIRA GOLDEN HOUR ORANGE Pantone n.d. C:10 M:45 Y:95 K:0 Pantone n.d. C:75 M:0 Y: 75 K:0 MADEIRA NEUTRAL GREY BACKING & TOPPING TENCEL™ is a trademark of Lenzing AG OEKO-TEX® STANDARD 100, 21.0.63511 Hohenstein HTTI OEKO-TEX® STANDARD 100, 21.0.57435 Hohenstein HTTI OEKO-TEX® STANDARD 100, 23.HDE.10306 Hohenstein HTTI 100% GRS recycled polyester Certified by ECOCERT Greenlife 240979 Learn more at TextileExchange.org/Standards

Sartre Blues

Dobbiamo prepararci al ritorno delle divise all-day, da sfoggiare con l'attitude di chi veste la nouvelle vague del momento, strizzando l’occhio alla tendenza luxury degli anni ’90. Domina l'idea che bello e utile non siano separabili e che non possa esistere un'eleganza senza funzione.

1
5 7
1 MALO 2 PEOPLE OF SHIBYUA 3 FILA 4 IL BISONTE 5 BOSWELL MILLINERY 6 LAMPO
2 4 3 6
7 SEBOYS
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CONSINEE: IL LEADER GLOBALE DEI FILATI DI ALTA QUALITÀ SUL PALCOSCENICO DI PITTI UOMO

Per la prima volta il gruppo cinese, che produce il 15%/20% dei filati mondiali in puro cashmere ed è un punto di riferimento per i marchi del lusso, sale alla ribalta del salone fiorentino con un progetto sui giovani creativi curato da Labelhood.

Con il ceo Boris Xue facciamo il punto su una grande realtà dove efficienza, qualità e progresso tecnologico vanno di pari passo con l’attenzione all’ambiente

C’è anche Consinee tra le new entry dell’edizione estiva di Pitti Uomo: una grande realtà cinese, con quartier generale a Ningbo e uffici sparsi in tutto il mondo, che sceglie il palcoscenico della più importante manifestazione della moda maschile non solo in Italia, ma anche a livello internazionale, per presentare al mondo un modello di business vincente e sostenibile. Come spiega il ceo Boris Xue, risale al 1999 la fondazione del gruppo e da allora è stata fatta molta strada. «Consinee - sottolinea - produce e vende oltre 10mila tonnellate l’anno di filati e tessuti in materiali naturali di alta qualità tra cui il puro cashmere che, con le sue 3mila tonnellate annue, corrisponde al 15%/20% della produzione globale di questa fibra». Un colosso da oltre 5 miliardi di yuan di fatturato (circa 800 milioni di dollari), con più di 1.300 dipendenti, «che però non mette mai in secondo piano la responsabilità sociale e verso il pianeta. La sostenibilità - puntualizza il manager - non può che stare alla base della produzione di massa e quest’ultima è una condizione necessaria per la sostenibilità». Una consapevolezza da cui scaturisce un circolo virtuoso frutto di un impegno su più fronti. «Nulla viene tralasciato - precisa Boris Xue -. Dalla protezione dei pascoli al benessere delle capre da cashmere fino al supporto costante ai pastori che le allevano, per non parlare del riciclo di oltre il 57% delle acque usate nella tintura e della promozione Qui si intende produzione? di materiali derivati dalle piante e del cashmere riciclato». Più del 30% del consumo totale di elettricità proviene da impianti solari e fotovoltaici, nella continua ricerca di un’innovazione che sia amica del pianeta, dell’uomo e degli animali. «La tecnologia - dice l’amministratore delegato - è una preziosa alleata, cui vengono destinati ingenti investimenti: nel nome della qualità, dell’efficienza ma anche della tracciabilità, abbiamo costruito e messo a regime la prima fabbrica di filatura

del cashmere 4.0 nell’industria tessile laniera, interamente automatizzata, che garantisce costi ridotti, massimo controllo di tutte le fasi, aumento della produzione e zero errori». Per il gruppo l’intelligenza artificiale è già realtà: «Serve per analizzare al meglio i dati, ottimizzare i processi produttivi, migliorare il livello qualitativo, prevenire eventuali problemi attraverso il machine learning e gli algoritmi». Quanto all’Internet of Things, «viene utilizzato per monitorare e controllare le operazioni e gestire al meglio la supply chain, predicendo la domanda e garantendo la consegna delle materie prime in tempi ottimali». Per tutte queste ragioni sono numerosi i marchi del lusso internazionali che sono partner di lunga data di Consinee, tra cui molti italiani: «Un patrimonio che ci rende orgogliosi, spingendoci a fare sempre meglio». Già presente a Pitti Filati, il gruppo sale alla ribalta di Pitti Uomo di giugno con un progetto speciale curato da Labelhood, incubatore fashion e tra i più innovativi retailer in Cina: in Fortezza da Basso vengono presentate le creazioni di selezionati designer di ricerca (tra cui Ponder.er e Nullus dalla Cina e, dall’Italia, Luca Larenza) realizzate con i filati sostenibili del big player cinese.

«Una presenza che mette il gruppo al centro dell’attenzione di buyer, retailer e marchi - chiarisce l’a.d. - in vista di ulteriori opportunità di business, collaborazioni e di un’espansione dei nostri confini, raccogliendo in parallelo il feedback degli addetti ai lavori, in un’ottica di miglioramento costante». Ma quali sono i cardini degli sviluppi futuri di Consinee? «Ci muoviamo su quattro direttive principali - risponde Boris Xue -. Alzare sempre l’asticella della qualità del prodotto e dell’innovazione tecnologica, dalla ricerca di materie prime fino al design; promuovere la digital transformation nei processi produttivi e nel presidiare la catena di fornitura, in nome dell’efficienza e della flessibilità; proseguire nell’impegno per la protezione dell’ambiente e la sostenibilità; espandere la presenza globale e il numero dei partner. Con la forza della nostra unicità e autorevolezza ci apriamo a nuovi canali e mercati».

CONSINEE GROUP for
Boris Xue Luca Larenza Ponder.er Nullus

Flâneur Coloniale

Charles Baudelaire sosteneva che l’uomo metropolitano doveva essere un “botanico del marciapiede”, un flâneur consapevole del suo comportamento e del suo stile. I codici del classico maschile si aggiornano su temi senza tempo per un vestiario ineccepibile: dai capispalla ai pantaloni sartoriali, fino agli accessori luxury con accostamenti inediti.

1 BARACUTA 2 WINDSOR 3 HERON'S GHYLL 4 DOUCAL'S 5 PAL ZILERI 6 JECKERSON
1 2 3 4 6 7
7 EUROJERSEY

SEDE A LONDRA, TEAM MULTILINGUE, DNA ITALIANO: COSÌ GA AGENCY CONQUISTA I FASHION BRAND

Nato a Parma ma cittadino del mondo, Guido Ampollini ha fondato quattro anni fa una global digital agency già pluripremiata che, grazie a un team di 60 professionisti che parlano 16 lingue, supporta i brand presenti su più mercati o in fase di internazionalizzazione nella crescita del business e dei ricavi attraverso i canali online

«Tell us what you need. We will take the lead» è il motto di GA Agency, global digital agency fondata a Londra, dove si trova il quartier generale, dal manager italiano Guido Ampollini. In soli quattro anni è riuscito a costruire un team di 60 consulenti specializzati che parlano 16 lingue e un portfolio di una cinquantina di marchi di rilievo, offrendo ai clienti servizi in ambito SEO/Organico, Paid Social, SEM, Programmatic, CVR, ottimizzazione UX, analisi dei dati, drive to store, data entry e molto altro. «Dopo aver lavorato in realtà come Google ed Expedia nelle sedi di Londra ed essere stato consulente indipendente in Paesi come Spagna, la stessa Gran Bretagna e Singapore - racconta Ampollini - ho fondato GA Agency nel 2019 per colmare un gap nel settore del digital marketing. Avevo infatti notato come brand attivi in più mercati si rivolgessero nel loro processo di internazionalizzazione ad agenzie magari forti sul proprio territorio, ma che non avevano al proprio interno personale multilingue e dovevano quindi rivolgersi a traduttori e altri appoggi esterni per lavorare all’estero ma senza apportare i risultati sperati per la mancanza di un approccio ad hoc per Paese». Una dispersione di tempo, denaro ed energie che con GA Agency viene evitata, a tutto vantaggio del cliente. GA Agency nel corso degli anni, grazie alla sua sede a Londra, ha costruito un team internazionale

che parla 16 lingue al suo interno. In questo modo l’agenzia riesce ad offrire un approccio locale per ciascun Paese ma centralizzato con un’unica gestione in madre lingua (per esempio ai clienti Italiani viene assegnato un project manager Italiano). La consulenza, infatti, è tailor-made, completamente integrata, con un approccio cross-channel e cross-markets e un focus su diversi Paesi tra cui Italia, Germania, Francia, UK, USA, Spagna, Giappone e tanti alti. GA Agency prende inoltre il meglio dalla mentalità da startup (flessibilità, rapidità di esecuzione, innovazione) e dall’esperienza non solo dello stesso Ampollini, ma anche dei quattro director che lo affiancano, provenienti da agenzie internazionali di spicco come Croud e McCann: Dan Wood (director of Organic/Seo), Katie White (director of paid media), Marie Marchal (director of Operations) e Giuliano Fabbri (Growth strategist). «Anche la scelta di essere indipendenti paga - sottolinea il fondatore di GA Agency - perché ci dà quella freschezza di idee e velocità nelle decisioni che non sempre si trova nelle agenzie parte di un network molto strutturate. Noi lavoriamo come un’estensione del team del nostro cliente, lavoriamo direttamente all’interno dei loro CMS e tools (come JIRA o Salesforce) e comunichiamo attraverso strumenti di Instant Messaging come Teams o Slack, per fornire un servizio più rapido e apportare risultati più velocemente». In questi anni l’agenzia (che tra i clienti moda, design e lifestyle annovera

nomi come Calzedonia, Intimissimi, The Row, KARL, Pasquale Bruni, A-Cold Wall, Molteni & Co etc.) si è aggiudicata diversi premi per agenzie internazionali come gli UK Search Awards, gli European Search Awards e gli UK Digital Excellence Awards, mentre a giugno è finalista come Digital Agency of The Year ai Global Agency Awards. Forte anche di questi riconoscimenti, GA Agency alimenta costantemente la propria crescita in un’ottica di extra-care verso la clientela e di pianificazione strategica e tattica, nel lungo ma anche nel breve periodo. «Siamo molto forti sul digital marketing organico - informa Guido Ampollini -. Un servizio che non si limita a portare traffico sui motori di ricerca ma che garantisce benefici all’e-commerce a 360 gradi, grazie ad un lavoro che si concentra su diversi aspetti dell’e-commerce, come il miglioramento della velocità di caricamento delle pagine, l’ottimizzazione della conversion rate e della UX, la creazione di contenuti editoriali, la brand awareness tramite le Digital Pr. Insieme all’organico lavoriamo anche sulla parte delle digital ads su piattaforme come Google, META, Bing, Pinterest e TikTok. Crediamo fortemente nel vantaggio di lavorare con una fully integrated digital agency, che analizza i dati e crea una strategia efficiente a 360 gradi che lavora su differenti touch point». C’è un’altra espressione inglese in voga da GA Agency ed è We Are All for You: non uno slogan ma una priorità, in un dialogo continuo, costruttivo e trasparente con i brand.

GA AGENCY for

Dopamina Dressing

Da sempre i colori hanno il potere di risvegliare un profondo senso di piacere psico-fisico proprio come la dopamina, neurotrasmettitore che ha la funzione di controllo sulla sensazione di piacere. Dopo un tempo di torpore torna la voglia di evadere e sognare, associando stile con emozione: una tendenza confermata dai Millennial e dalla Gen Z, che su Tik Tok e Instagram hanno riportato in voga questa magnetica armonia.

1 B.MAY BAGS 2 RED 3 MONOWAY 4 SUN68 5 SCAGLIONE 6 CIAK RONCATO
1 2 3 7 6
7 WUSHU RUYI

CAMERA SHOWROOM MILANO

CSM è un’associazione autonoma, libera, apolitica ed indipendente.

CSM è dedicata a tutti gli showroom multibrand di Milano più rappresentativi del fashion e con una forte vocazione internazionale.

CSM ha tra i suoi obiettivi fondamentali l’esigenza, resa ancor più forte dalla recente situazione congiunturale, di fare squadra.

CSM ha concretizzato, grazie alla collaborazione con Confartigianato Moda, importanti attività durante le Fashion Week di Milano:

ARTISANAL EVOLUTION + CSM MEETS SUSTAINABILITY

CAMERA SHOWROOM MILANO ringrazia

1ST FLOOR

999 SHOWROOM

ARETE’ SHOWROOM

ASESTANTE SHOWROOM

BRERAMODE

BOIOCCHI SHOWROOM

CASILE & CASILE

CONTINUO

DANIELE GHISELLI SHOWROOM

DMVB SHOWROOM

ELISA GAITO SHOWROOM

FATTORE K MILANO

GARAGE MARINA GUIDI

MANNERS

MARCALEC GROUP

MODERN SWOWROOM

PANORAMA MODA

PERCORSI OBBLIGATI

PROGETTO MILANO

RENZO VESENTINI MILANO

S5 SHOWROOM

SD SHOWROOM

SHOWROOM A. FICCARELLI

SHOWROOM DUNE

SHOWROOM JE T’AIME

SHOWROOM PAPAVERI

SPAZIO 38

SPAZIO COLTRI

SPAZIO LIBERTY

STUDIO 360 SHOWROOM

STUDIO POGGIO

STUDIO TATO SOSSAI

STUDIO ZETA

STYLE COUNCIL SHOWROOM

THE PLACE SHOWROOM

ZAPPIERI

90
CAMERA BUYER ITALIA CAMERA BUYER ITALIA W ooo
CSM - PERCHÈ SENZA UNA VISIONE COMUNE, NON ESISTE FUTURO!

Retro-Futurismo

Un’eleganza sofisticata e senza tempo, dove grazia e raffinatezza diventano le basi di un guardaroba bon ton per ogni occasione. Un contesto dal sapore vintage, in cui l’uomo si prende il proprio tempo godendosi i suoi spazi, per raccontare l’attitude declinata nel mix&match tra classico e casual.

110 5
4 1 ALBENI 1905 2 KANGRA 3 BERWICH 4 CRUNA 5 MARKUP 6 XACUS 7 GREEN GEORGE 1 2 7 6 3
11 & 12 JULY 2023 STATION BERLIN PREMIUM.FASHION GET YOUR TICKET NOW
112

INTERVISTA

Alice Moraschini

Da 10 a oltre 80 multimarca in tre anni, nel bel mezzo della pandemia. Clienti top come Net-A-Porter, Neiman Marcus e Bloomingdale's. Halfboy, design contemporaneo e manifattura artigianale, è un marchio da tenere d’occhio. È firmato da una coppia, nella vita e in affari. E ha le carte in regola per crescere

DI ANGELA TOVAZZI

Un nome inglese, ma un marchio italianissimo, quello di Halfboy, con la regia di Alice Moraschini e Giovanni Muracchini. Il fatto di essere partito durante il turbolento 2020 non gli ha impedito di catturare l’attenzione dei retailer giusti, riuscendo a ritagliarsi uno spazio tra i giovani brand in ascesa, grazie a un’immagine cool e rilassata. Luxury sì, ma contemporanea. Ce ne parla Alice, la direttrice creativa.

Il marchio è nato nel 2019: cosa c’era nella sua vita professionale prima di Halfboy?

La moda ha sempre fatto parte della mia storia. La mia famiglia aveva un negozio di abbigliamento e in passato ho avuto esperienze in ambito commerciale in diverse aziende. Halfboy è nato dal desiderio di esprimere una mia particolare visione creativa, di creare qualcosa che mi rappresentasse.

DIRETTORE RESPONSABILE E A.D.

Marc Sondermann (m.sondermann@fashionmagazine.it)

CAPOSERVIZIO

Alessandra Bigotta (a.bigotta@fashionmagazine.it)

REDAZIONE

Andrea Bigozzi (a.bigozzi@fashionmagazine.it)

Elisabetta Fabbri (e.fabbri@fashionmagazine.it)

Carla Mercurio (c.mercurio@fashionmagazine.it)

Angela Tovazzi (a.tovazzi@fashionmagazine.it)

REALIZZAZIONE GRAFICA

Nadia Blasevich (n.blasevich@fashionmagazine.it)

Carlo Maraschi (c.maraschi@fashionmagazine.it)

FASHION EDITOR

Alberto Corrado (a.corrado@fashionmagazine.it)

COLLABORATORI

Mariella Barnaba, Annalisa Betti, Cristiana Bonzi

PUBBLICITÀ E PROMOZIONE

Barbara Sertorini (b.sertorini@fashionmagazine.it)

Laura Pianazza (l.pianazza@fashionmagazine.it)

Perché questo nome?

Halfboy è un modo di essere, è un’attitudine. È una sorta di post-streetwear, un classico rivisitato con codici contemporanei, pensato per donne dinamiche, come siamo tutte noi oggi. È nato con i capispalla in pelle, ma dal debutto si è evoluto in direzione lifestyle.

A circa quattro anni dal lancio, com’è oggi la collezione?

Il marchio è nato poco prima della pandemia, ma nonostante il momento difficile è stato subito accolto molto bene, tanto che l’offerta si è ampliata, stagione dopo stagione. Dopo i capispalla sono arrivati i capi in denim, quelli in jersey e la maglieria. Tutti made in Italy, realizzati in laboratori del Centro-Italia e del Nord-Est.

Cosa manca? Gli accessori?

Sicuramente lo sviluppo degli accessori, con

SPECIAL PROJECTS

Matteo Ferrante Veneziani (m.veneziani@fashionmagazine.it)

ASSISTENTE DI DIREZIONE / UFFICIO TRAFFICO

Valentina Capra (v.capra@fashionmagazine.it)

AMMINISTRAZIONE

Cristina Damiano (c.damiano@fashionmagazine.it)

Abbonamento annuale 95,00 c/c postale n. 16879207

È possibile richiedere gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Edizioni Ecomarket Spa - servizio abbonamenti Piazzale Cadorna 15 - 20123 Milano

Numeri Arretrati: 16,00 e cad

L’editore garantisce che i dati forniti dai sottoscrittori degli abbonamenti vengono utilizzati esclusivamente per l’invio della pubblicazione come quelli relativi agli invii in omaggio non vengono ceduti a terzi per alcun motivo. Garanzia di riservatezza per gli abbonati in ottemperanza al D. Lgs. n.196/2003 (tutela dati personali)

scarpe e borse, è uno dei progetti che abbiamo in mente. Il prossimo step sarà però il consolidamento della brand awareness. Tutte le energie andranno in questa direzione e sul rafforzamento in ambito distributivo.

Da subito siete entrati nei top shop che contano…

Dal 2019 a oggi i nostri clienti multimarca sono aumentati del 300%, passando dalla decina della prima stagione agli attuali 80 retailer offline e online a livello worldwide, tra cui Net-A-Porter, Farfetch, Sense, Neiman Marcus, Bloomingdale's e Harvey Nichols. Una crescita repentina e di qualità.

In vista c’è un progetto esclusivo proprio con Net-A-Porter: di cosa si tratta?

Insieme abbiamo messo a punto una capsule di pezzi carry-over che saranno disponibili esclusivamente sulla loro piattaforma a partire dal prossimo ottobre. È un’iniziativa significativa per Halfboy: Net-a-Porter è stato tra i primi retailer a credere in noi e ad acquistare il marchio, in tempi di grande incertezza.

Come immagina Halfboy tra cinque o dieci anni?

È difficile rispondere. Questo progetto ci ha dato risultati inaspettati. Personalmente mi sento già molto contenta di quello che abbiamo raggiunto e realizzata come mamma, avendo due bambini di 4 e 5 anni. Ci siamo appena trasferiti in una nuova sede in via Cappuccini a Milano, possiamo contare un team con grande energia. A oggi siamo focalizzati sul presente e teniamo i piedi per terra, cercando di fare al meglio quello che facciamo.

Condividere il lavoro con il proprio compagno è un punto a favore o sfavore?

Direi che c’è un buona sinergia. Siamo allineati sulle scelte, anche se ciascuno di noi ha il suo preciso spazio all’interno del progetto. Poi certo, a volte lo stress da lavoro entra in casa, ma come succede in tutte le coppie. 

EDIZIONI ECOMARKET SPA

Redazione, Amministrazione, Pubblicità Piazzale Cadorna 15 20123 Milano telefono 02 80620-1

FASHION

IL MAGAZINE DI STRATEGIA, INNOVAZIONE E MERCATI Registrazione presso il Tribunale di Milano

n. 389 del 6-11-1970

Iscrizione n. 1418 al ROC Registro Operatori della Comunicazione

FASHION fa parte del Gruppo DFV

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© FASHION 2023 Edizioni Ecomarket - Milano

113
«Una moda relaxed cool e post-streetwear. Così Halfboy ha fatto centro»

PEOPLE

Margherita Maccapani Missoni Creativa e imprenditrice

Ai blocchi di partenza alla Milano Fashion Week con il suo nuovo marchio, Margherita Maccapani Missoni ci racconta come è nato il progetto, già lanciato nell'olimpo della moda internazionale grazie ad accordi con Farfetch, Nordstrom e Browns. Un viaggio che parte nel segno del colore lilla

DI CARLA MERCURIO

Com'è nata l’idea di lanciare Maccapani?

Il progetto è nato quasi due anni fa, in un momento post pandemia in cui nessuno ha più voluto rinunciare alle comodità. Ho iniziato a pensare a come preservare questo cambiamento in un'estetica funzionalmente attraente, che segua la vita moderna e che sia femminile e curata. Un'alternativa allo streetwear o all’athleisure che partisse dalle donne, piuttosto che essere adattata da una mentalità prettamente maschile. Quindi ho deciso di costruire una collezione completamente sviluppata in jersey, ma non il canonico jersey da T-shirt.

Perché un punto di vista femminile?

La filosofia “femminocentrica” è stata determinata dall’influenza che lo sguardo maschile ha avuto sulla moda femminile nel corso del ventesimo secolo. Ricordo quando avevo circa 13 anni e mia madre iniziò a dire che dovevo vestirmi in un certo modo, per coprirmi, e questo perché gli uomini prestavano attenzione. Per me è ancora oggi assurdo che il capezzolo femminile sia considerato un tabù, a differenza di quello maschile.

Come mai ha scelto di usare semplicemente il cognome di suo padre?

Maccapani è il cognome con cui sono nata ma non sono conosciuta. L’idea mi è venuta ritrovando una borsa anni '70 dell’agenzia viaggi di mio nonno paterno.

Della produzione si occupa Gilmar: come è nata questa intesa?

sempre più visibili. Abbiamo iniziato con un “lilac out” invece del classico “black out” per annunciare un nuovo percorso.

E qual è il mood della collezione?

L’idea è offrire un guardaroba di capi che possano essere indossati da mattina a sera. Dallo streetwear ho ripreso i concetti di multifunzionalità e trasversalità, ma è il corpo della donna attorno a cui ho costruito le silhouette, un punto di partenza fondamentale, lontano da riferimenti provocatori.

Cosa può anticipare della presentazione alla Milano Fashion Week?

Sarà un evento atipico, sicuramente non una sfilata. Il nostro obiettivo è creare momenti non necessariamente legati al calendario moda, ma seguendo le necessità della nostra community.

Quale il ricordo più bello di suo nonno Ottavio?

Continuo a essere ispirata dall’intuizione avuta da lui e mia nonna, anticipando l'evoluzione e i cambiamenti sociali avvenuti. Tra gli innumerevoli articoli su di lui ne ricordo in particolare uno uscito all’incirca negli anni ‘80, in cui rifletteva sul fatto che in futuro tutti avrebbero indossato tute da ginnastica. Aggiungendo inoltre che, per quanto rispettasse la sartoria maschile, avrebbe desiderato più libertà e meno uniformità nel modo in cui la società condiziona il nostro modo di vestire. Maccapani si basa su un principio molto simile, ma realizzato in un tempo diverso.

Dove e come sarà distribuita Maccapani?

Prevediamo due uscite all’anno, numero che potrà cambiare in base al percorso e allo sviluppo del brand; ma soprattutto in base alle esigenze dei clienti e della nostra community. I capi saranno in anteprima online dal 16 giugno sul sito maccapani.store; successivamente saremo presenti da metà luglio su Farfetch e attraverso i partner wholesale Nordstrom, Browns e a Milano da Wok Store. Non sono previsti monomarca al momento, abbiamo però in mente di creare in futuro dei momenti dedicati a pop-up su territori specifici.

Cosa vuol dire la parola sostenibilità per il suo marchio?

Sopra, un outfit di Maccapani. Il brand propone un guardaroba di capi ideali da mattina a sera, che vedono al centro il corpo della donna, con un'idea di multifunzionalità e trasversalità. In alto, Margherita Maccapani

Missoni indossa un look della collezione

Avevo già lavorato con loro in passato e sono lusingata che un'azienda che produce brand di spicco abbia scelto di supportarmi ancora una volta in questa nuova avventura.

Come mai ha puntato sul colore lilla per il teaser su Instagram?

Sarà il colore di riferimento del marchio, filo conduttore di una serie di iniziative che diventeranno

È un principio intrinseco in tutti i processi e gli aspetti del brand. Partendo dall'utilizzo di materiali sostenibili, produrremo le prossime collezioni cercando di riutilizzare il più possibile le rimanenze di tessuto con un focus sui modelli carryover. La sostenibilità toccherà anche il digitale, in termini di strategia di risparmio. A partire dalla terza collezione svilupperemo prototipia e modellistica in 3D con la società italiana Futureclo. Ciò permetterà al brand di non utilizzare materie prime fisiche e agli utenti dei canali social di partecipare attivamente alla scelta dei capi, calibrando la produzione in base alle loro preferenze, scegliendo le varianti dei diversi render. 

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«Maccapani parte dalle donne e dal concetto di libertà che piaceva tanto a nonno Ottavio»

Articles inside

Alfonso Dolce/Dolce&Gabbana

7min
pages 6-7

Retro-Futurismo

6min
pages 110-115

SEDE A LONDRA, TEAM MULTILINGUE, DNA ITALIANO: COSÌ GA AGENCY CONQUISTA I FASHION BRAND

3min
page 107

CONSINEE: IL LEADER GLOBALE DEI FILATI DI ALTA QUALITÀ SUL PALCOSCENICO DI PITTI UOMO

3min
page 105

Parachuted

1min
pages 102-103

COSTRUIRE LA RESILIENZA DELLA SUPPLY CHAIN CON

1min
page 101

SHADOW OF MY LOVE

1min
pages 96-98

KNOCK YOUR SHINE

1min
pages 94-95

NORTHERN LIGHTS

1min
pages 92-93

DYSPHORIA MUNDI

1min
pages 90-91

INTO THE WILD

1min
pages 88-89

SUMMER TURF

1min
pages 86-87

Tra anticipi, resort e pre-collezioni crescono gli interrogativi sui calendari.

19min
pages 75-84

INTREPID: UN NUOVO PROGETTO PER GENERAZIONI CORAGGIOSE

8min
pages 71-75

25/30 mld€

1min
page 70

Nel lusso è scattato l’India-moment ma la sfida con la Cina può attendere. L’anno spartiacque sarà il 2030

5min
pages 67-70

APPROCCIO OMNICHANNEL E COMMUNITY ESCLUSIVA: COSÌ DOPPELGÄNGER REINVENTA IL PROGRAMMA FEDELTÀ INSIEME A COMARCH

2min
pages 64-67

LA PAROLA AI RETAILER MULTIBRAND

5min
pages 56-63

La sfida è far innamorare ancora gli uomini della moda

1min
page 55

ARTLAB FACTORY

2min
pages 51-55

Fashion as a service: con il noleggio la moda copia Netflix

5min
pages 46-50

ChatGpt & Co., la rivoluzione è appena iniziata

8min
pages 40-46

Design data driven e human driven: prove tecniche di collaborazione

11min
pages 33-40

Direzioni creative in modalità shuffle: sui cambi pesano più i quarter finanziari che i trend di stagione

9min
pages 26-33

Cfo: in azienda è il nuovo co-pilota. Gestione del rischio e analisi dei dati le nuove priorità

6min
pages 23-25

La tecnologia: da rivoluzione dirompente a rivoluzione permanente

10min
pages 18-23

Dna forte, visione, empatia: così si affrontano mutamenti epocali

3min
pages 16-18

Moda e digitale insieme per creare valori durevoli

6min
pages 14-16

«Resale e lusso, il potenziale inesplorato è enorme»

5min
pages 12-13

«Oltre la nicchia dell’inverno e dello sport i nostri brand piacciono ai giovani tutto l’anno»

5min
pages 9-12

Un posizionamento perfetto

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pages 5-9

Retro-Futurismo

6min
pages 110-115

SEDE A LONDRA, TEAM MULTILINGUE, DNA ITALIANO: COSÌ GA AGENCY CONQUISTA I FASHION BRAND

3min
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CONSINEE: IL LEADER GLOBALE DEI FILATI DI ALTA QUALITÀ SUL PALCOSCENICO DI PITTI UOMO

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Parachuted

1min
pages 102-103

COSTRUIRE LA RESILIENZA DELLA SUPPLY CHAIN CON

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SHADOW OF MY LOVE

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pages 96-98

KNOCK YOUR SHINE

1min
pages 94-95

NORTHERN LIGHTS

1min
pages 92-93

DYSPHORIA MUNDI

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INTO THE WILD

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pages 88-89

SUMMER TURF

1min
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Tra anticipi, resort e pre-collezioni crescono gli interrogativi sui calendari.

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INTREPID: UN NUOVO PROGETTO PER GENERAZIONI CORAGGIOSE

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25/30 mld€

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Nel lusso è scattato l’India-moment ma la sfida con la Cina può attendere. L’anno spartiacque sarà il 2030

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APPROCCIO OMNICHANNEL E COMMUNITY ESCLUSIVA: COSÌ DOPPELGÄNGER REINVENTA IL PROGRAMMA FEDELTÀ INSIEME A COMARCH

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LA PAROLA AI RETAILER MULTIBRAND

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La sfida è far innamorare ancora gli uomini della moda

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ARTLAB FACTORY

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Fashion as a service: con il noleggio la moda copia Netflix

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ChatGpt & Co., la rivoluzione è appena iniziata

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Design data driven e human driven: prove tecniche di collaborazione

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Direzioni creative in modalità shuffle: sui cambi pesano più i quarter finanziari che i trend di stagione

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Cfo: in azienda è il nuovo co-pilota. Gestione del rischio e analisi dei dati le nuove priorità

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La tecnologia: da rivoluzione dirompente a rivoluzione permanente

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Dna forte, visione, empatia: così si affrontano mutamenti epocali

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Moda e digitale insieme per creare valori durevoli

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«Resale e lusso, il potenziale inesplorato è enorme»

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«Oltre la nicchia dell’inverno e dello sport i nostri brand piacciono ai giovani tutto l’anno»

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