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Un posizionamento perfetto

Afronte di un andamento delle maggiori economie europee che potremmo definire altalenante, la performance del prodotto interno lordo italiano desta a dir poco stupore. Mentre la Germania, non da ieri traino industriale del Vecchio Continente, nel primo trimestre del 2023 è entrata, con una seconda flessione consecutiva, nell’ordine di grandezza dello 0,3%, tecnicamente in recessione, l’Italia ha ulteriormente puntellato la propria posizione, salendo addirittura in vetta alla classifica dei Paesi europei a maggior crescita e facendo segnare un +1,9%. Si tratta di un risultato a tutti gli effetti considerevole, visto anche il quadro generale di rallentamento in atto a livello mondiale, con i Paesi emergenti alle prese con una fiacca delle loro economie, priva di precedenti nel più recente passato. A che cosa è dunque dovuta la resilienza del Belpaese, in un momento di palese difficoltà dell’Eurozona e più genericamente dell’economia planetaria? Per quanto possa basire chi segue da sempre le sorti del nostro settore, è proprio nella filiera del made in Italy, e più specificatamente dell’alto di gamma, che si cela la risposta all’interrogativo di cui sopra. Mentre, ad esempio, il settore automobilistico tedesco ha esternalizzato gran parte della propria catena del valore, appoggiandosi vieppiù a produzioni interne alla Cina e servendo poi una domanda che vira sempre più verso l’elettrico - ben al di là delle proprie capacità di adattamento -, la produzione mondiale dei beni di lusso è profondamente radicata e concentrata nel sistema artigianal-industriale italiano. Per quanto siamo oggettivamente disorganizzati, incapaci di cogliere l’alto valore aggiunto dell’ultimo miglio e terra di conquista societaria da parte di predatori stranieri, il vantaggio competitivo costituito da una filiera tuttora esistente integralmente sul nostro territorio non fa che aumentare. Si tratta, ora, di dare a questo capolavoro di inventiva e di tenacia uno sbocco strategicamente sensato, che permetta di convogliare all’interno dei confini nazionali una fetta maggiore degli esorbitanti utili che con queste manifatture, di fatto insostituibili, si realizzano. È infatti incredibile constatare come i quattro più grandi gruppi del lusso francese siano ormai, in termini di redditività, al di sopra dei giganti della Silicon Valley, Microsoft in testa, avendo recentemente alzato massicciamente i prezzi senza particolari ricadute su una domanda che, composta dagli ultra-abbienti del Pianeta, non ne sembra affatto impressionata. È allora il caso di fare un duplice salto di qualità. Da un lato aumentando, dove possibile, il potere negoziale vis-àvis dei propri committenti d’Oltralpe. Dall’altro modernizzando il modello di business, rendendolo più dirompente e più remunerativo. Basta con il vecchio modello sfilata-centrico, inventato dalle nostre parti negli anni Ottanta ma ormai perfezionato alle plance di comando dei palazzi parigini. Sviluppiamo invece un savoir faire digitale, fondato sul direct-to-consumer, che permetta di schivare intermediari neo-colonialistici per approdare a un esito che non sia solo high luxury, ma anche high tech. E che faccia sognare le nostre eccellenti nuove leve: siano esse stilistiche, artigianali o ingegneristiche. Le abbiamo già tutte. Forniamo loro il capitale necessario.

Direttore Responsabile

INTERVISTA

Alfonso Dolce Dolce&Gabbana

La diversificazione è fondamentale nel futuro della maison fondata da Domenico Dolce e Stefano Gabbana: l’abbigliamento continua a crescere (bimbo incluso), ma gli investimenti oltre la moda in sé danno la possibilità ai clienti di interagire con la marca. «Abbiamo una visione e una mission di lungo periodo», assicura il ceo, impegnato in prima linea nel progetto bellezza, ma che promette di non trascurare le attività core. «È un buon momento - dice - specie nell’area Latam e in Medio Oriente. La nostra forza è il made in Italy»

DI ANDREA BIGOZZI

La gestione diretta del business della bellezza, operativo da inizio 2023, è un punto di svolta per Dolce&Gabbana. Ma nei prossimi mesi succederanno molte altre cose, a ben guardare non meno importanti, che definiranno la nuova era del gruppo fondato nel 1985 da Domenico Dolce e Stefano Gabbana, impegnato in un’espansione al di fuori del guardaroba propriamente detto e alle prese con mercati che tornano a espandersi. «Continueremo a evolvere», preannuncia il ceo Alfonso Dolce, convinto che il made in Italy crescerà, in particolare nei segmenti dell'artigianato e del lusso. «Difficilmente - sottolinea Dolce - la nostra qualità e l’esperienza potranno essere sostituite con quelle di altri Paesi. Questo mi fa pensare che, in termini di numeri, l'Italia potrà sempre contare sul settore».

Dal primo gennaio siete completamente autonomi nella gestione del beauty. Per l’azienda è il progetto più importante dell’anno… È un piano ambizioso, in cui crediamo molto e a cui abbiamo dato credibilità creando una legal entity dedicata, dandole una sede con personale qualificato e attivando collaborazioni strategiche sia con partner nell’area della supply chain, sia in quella distributiva. Essere focalizzati sul nostro marchio ci permette di velocizzare tutti i processi, a differenza di quello che succedeva avendo un licenziatario che lavorava su più fronti. Lavoriamo su un piano strategico centrato che vede l’Italia protagonista.

Il primo lancio è avvenuto in tempi record: la fragranza donna Q. Cosa c’è ora in pipeline?

A settembre lanceremo un altro blockbuster, sempre femminile, strettamente legato al nel corso degli anni incarichi di primaria responsabilità, fino a ricoprire il ruolo di sviluppo che vede due lanci prodotto nel segmento fragranze, una pianificazione ambiziosa per il settore.

A livello distributivo quali sono gli investimenti previsti?

Stiamo inserendo corner di forte visibilità nelle principali boutique Dolce&Gabbana nel mondo, ma l’obiettivo è l’apertura di negozi dedicati.

A questo si aggiungono una distribuzione nei principali rivenditori specializzati e partnership con importanti department store. È attivo l’e-commerce diretto e stiamo lavorando a un piano di potenziamento del canale sia diretto che indiretto.

Il marchio è molto focalizzato sui progetti “extra” fashion. L’anno scorso c’è stato il lancio della linea casa: cosa vi attira di questo asset?

«Investiremo sul wholesale con una logica selettiva, sviluppando progetti tailor made e di estrema visibilità» mondo della moda. Abbiamo un piano lanci fragranze impegnativo per l'anno in corso, che continuerà nel 2024 con l’obiettivo di lavorare al restyling di quasi l’80% del catalogo esistente. Sempre nel 2024 rilanceremo totalmente la linea make-up e il 2025 sarà l’anno della skincare, che approcceremo con prodotti lifestyle. Gli obiettivi di fine 2023 sono una crescita nei fatturati delle linee esistenti e la conquista di nuove quote di mercato attraverso un piano di

La collezione Casa è un ulteriore esempio di come il lifestyle Dolce&Gabbana, incentrato sul made in Italy, possa vivere anche al di fuori del guardaroba: un’esperienza realizzata su misura per rispondere ai desideri e alla personalità del cliente. È un progetto in evoluzione: consolidando le linee esistenti, l’obiettivo è quello di ampliare la gamma. Stiamo investendo in modo programmato con un approccio strategico di vision e mission di lungo periodo, ma con occhi vigili sulla quotidianità.

Quali sono le attese per il living, ora che entrerete nel mondo dell’immobiliare?

Direi che la nostra linea Casa vivrà naturalmente all’interno delle operazioni Real Estate a cui stiamo lavorando con partner sviluppatori. Abbiamo avuto molte sollecitazioni e deciso di dare corso a diverse opportunità che, al momento, interessano America, Europa e Asia. Rafforzando la vocazione lifestyle insita nel nostro dna, stiamo sviluppando due grandi progetti di residenzialità a Miami e Marbella, e uno di hospitality alle Maldive.

Alle ultime sfilate la maison è tornata al suo dna: capi sartoriali, dal taglio perfetto. La stampa ha gradito, col commerciale come è andata?

Siamo contenti del feedback dei giornalisti e, allo stesso tempo, dei risultati commerciali che stiamo raggiungendo rispetto ai budget previsti. Se parliamo della moda, possiamo affermare che il ready-to-wear traina ancora le nostre vendite. Allo stesso tempo, siamo contenti dei risultati degli accessori: orologi e gioielli e, tra le borse, le famiglie della Sicily e della Logo Bag; su quest’ultimo modello abbiamo investito molto anche lato comunicazione.

Quali mercati si stanno rivelando più dinamici in questa fase?

In generale è un momento positivo e siamo soddisfatti a livello globale dell’andamento dei mercati. Medio Oriente e America Latina sono le region che performano meglio. Siamo fiduciosi verso il mercato cinese e asiatico che, oggi, stimola interesse e attenzione e rappresenta quote di mercato sempre più significative.

La moda bimbo resta un focus per voi?

Anche quest’anno abbiamo avuto un riscontro positivo dal business del bambino: siamo sopra la double digit di crescita. Il mercato di riferimento resta l’Europa, ma ci sitamo sviluppando sia Medio Oriente - considerati i nuovi flussi migratori e turistici che interessano l’area, specialmente Dubai - sia in Asia.

Da parte dei big brand del lusso è in atto in forte ridimensionamento del wholesale.

Per voi che rilevanza ha?

È un canale che rappresenta ancora un’opportunità, se vogliamo una vetrina in mercati e segmenti specifici. A questo livello, abbiamo collaborazioni mirate che ci permettono una distribuzione puntuale e d’immagine. Nonostante i super-flag rappresentino la nostra visione, credo che il wholesale sia un’opportunità democratica per il cliente che, all’interno di queste realtà, ha una maggiore possibilità di scelta. E poi essere presenti in questo canale è sempre segno di una forte riconoscibilità.

C’è un tema caldo per il made in Italy, la difficoltà nel reperire manodopera. Voi come affrontate questa emergenza? Siamo coscienti di questa problematica ed è per questo che dal 2012 è attivo in azienda il progetto Botteghe di Mestiere, un percorso di formazione professionale che ha come obiettivi la valorizzazione dell'artigianato, inteso come arte nobile del fatto a mano, e l’attenzione alle nuove generazioni di talenti, ai quali trasmettere knowhow e offrire un'opportunità di lavoro.

In questo scenario molte aziende per garantirsi forniture strategiche hanno optato per acquisire i loro fornitori...

È un percorso utile, a volte indispensabile, e sostenibile. Assorbire realtà di filiera rappresenta non solo un passaggio importante di know-how e competenze specifiche generazionale, ma anche la difesa di posti di lavoro e professionalità che altrimenti rischierebbero di andare perse.

Gabbana e Domenico Dolce

«Per carattere e per il mestiere che facciamo tendiamo a guardare avanti». Una filosofia che ha portato i due stilisti a investire nel 1985 tutti i risparmi nel lancio del loro marchio, che a quasi 40 anni di distanza fattura

1,3 miliardi di euro

In quest’ottica, nel 2016 abbiamo acquisito dal Gruppo Zegna lo stabilimento di Sarmeola di Rubano (Pd) nel quale realizziamo le collezioni formali maschili e femminili. Stiamo lavorando ad altre operazioni di questo tipo e appena possibile ne condivideremo i dettagli.

Dopo beauty e arredo, Dolce&Gabbana pensa a estendersi in altre categorie?

Per noi è una sfida entusiasmante: continueremo ad assecondare l’ampliamento della nostra offerta e a puntare sulle migliori competenze tecniche e gestionali. Questo vale a tutti i livelli, inclusa la divisione Casa e Bellezza, così come il settore Gioielli e Orologi: a metà aprile abbiamo aperto a Milano la prima boutique diretta dedicata alla categoria e stiamo lavorando a un ambizioso sviluppo wholesale.

Il brand guarda da sempre al futuro con curiosità: cosa succederà con l’intelligenza artificiale? State pensando a come impiegarla?

Ogni impresa ha bisogno di raggiungere un’economia di scala, ma danneggerebbe se stessa se applicasse indistintamente una tecnologia, come l’Intelligenza Artificiale, per riuscirci. Nella moda, in particolare, credo che l'AI non debba guidare ma accompagnare il lavoro, dare più tempo e più spazio all’uomo, affinché possa applicarsi a cose che possono essere fatte in maniera innovativa. In altri termini, deve togliere in parte la fatica del lavoro, certo non quella dell’educazione, dell’esperienza e della crescita.

Intervista

Giovanni Zoppas Tecnica Group

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