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INTREPID: UN NUOVO PROGETTO PER GENERAZIONI CORAGGIOSE

Il brand Intrepid introduce la nuova street couture: audace, contemporanea, sostenibile

Matteo Cambi è il brand ambassador di un progetto innovativo, con prodotti a minimo impatto ambientale che coinvolgono le nuove generazioni. Già sostenuto da un importante fondo, il brand Intrepid fondato da Francesca Gambarini, è pronto ad accelerare: il nuovo turnaround aziendale sta avviando un’ulteriore crescita grazie ai nuovi contenuti e al supporto del nuovo grande partner industriale totalmente integrato nel Brand. Il 2023 è un anno decisivo per Intrepid, che racchiude nel nome la mission di intraprendere le nuove regole etiche dell’abbigliamento basato su materie prime rigenerate, minimo impatto ambientale e prodotti estremamente innovativi in intesa con il partner industriale che da tempo ha iniziato responsabilmente a produrre tessuti con processi rigenerativi tra i più tecnicamente avanzati. Motore del progetto è Matteo Cambi, “Intrepido” per natura, che ha individuato nei valori della ricerca e della sostenibilità la nuova frontiera dello sportswear e dello streetwear. L’alta qualità dei capi e l’attenzione ai processi produttivi contraddistinguono il brand, con la consapevolezza che sbarazzarsi di troppi prodotti tossici, contrastandone l’uso e l’abuso, è un regalo che si fa prima di tutto a se stessi. Il design è essenziale, i fit con i volumi oggetto di approfondite ricerche, mentre i jersey, la costa 2a1, le felpe garzate, il french terry, contribuiscono alla creazione di nuovi modelli. I tessuti utilizzati sono sviluppati su base Polycotton, l’alternativa ecosostenibile ai tessuti tradizionali. Tutto ruota intorno a un’idea di moda circolare, che si sviluppa in diverse linee uomo e donna: Heritage, Gym, Guvy, Explorer e Street. Capi durevoli, pronti ad affrontare molte stagioni. Intrepid sarà tra i protagonisti a Firenze durante Pitti Uomo con le novità FW23/24.

I turisti indiani fanno sempre più shopping in Italia

Vendite mensili (gen-apr 2023) e recupero delle transazioni tax free rispetto al 2019

•Incremento delle vendite sul 2019

•Incremento delle transazioni sul 2019 diano ha già 14 store attivi, posizionati non solo nelle cinque prime metropoli più ricche (Delhi, Mumbai, Chennai, Hyderabad e Bangalore), ma anche nelle città di seconda fascia come Lucknow, Ludhiana e Pune. Il gruppo, che prevede di inaugurare altri 10 punti vendita con insegna The Collective entro il prossimo anno (si parla di location a Indore e Raipur), arriva a spendere fino a 7-8 crore per un negozio, ovvero 800900mila euro (il crore è un multiplo della rupia), con la prospettiva, stando a quanto riferito dai media locali, di rientrare dell’investimento in sei-sette anni. L’offerta, prevalentemente maschile, include molti nomi italiani tra cui Etro, Ferragamo, Dsquared2, Emporio Armani, Jacob Cohen e recentemente ha inserito nella sua offerta anche realtà outsi-der, come Gcds e Tramarossa. «Il successo di negozi monomarca come Le Mill - aggiunge Morelli Parikh - è la dimostrazione che il consumatore di lusso indiano è maturato. 15 anni fa a un cliente sarebbe bastato sapere che un capo era made in Italy per acquistarlo. Oggi anche altri aspetti condizionano le sue scelte: è

I grandi marchi del lusso puntano sui Millennial: sono 500 milioni e sensibili ai fashion trend sempre più appassionato di qualità, unicità, artigianalità e della filosofia che c’è dietro un brand». Che il consumatore indiano stia maturando lo testimonia anche Stefania Valente dal suo punto di vista privilegiato: la sede a Mumbai di Istituto Marangoni, inaugurata nel 2017 e frequantata da circa 200 studenti all’anno tra cui Rahul Mishra, diventato post diploma un famoso fashion designer. «Sono stata recentemente in India - ha raccontato la managing director -. Il cambiamento in atto è evidente e non riguarda solo la voglia di spendere in beni di lusso che ho riscontrato visitando uno dei grandi mall di Mumbai, vicino alla nostra scuola. La trasformazione a cui mi riferisco è strutturale e tocca direttamente la formazione». Il governo ha rivisto le regole legate all’Higher Education permettendo alle Università straniere di aprire in India i loro campus. «Fino ad oggi - sottolinea Valente - i nostri studenti di Mumbai frequentavano il training center, ma completavano il percorso formativo nelle sedi in Europa o a Dubai. Ora invece avremo la possibilità di portare ilnostro diploma direttamente in India, una novità che potenzierà il mercato delle professioni. Nel Paese non esistono scuole come la nostra, che preparano designer, product manager ed esperti di merchandising, figure di cui ci sarà bisogno per creare un fashion system indiano. Quello che finalmente sta succedendo è che si sta creando un ecosistema, che in passato non è mai esistito, in grado di coinvolgere istituzioni, investitori internazionali, partner locali, scuole e altri attori, tutti interessati a portare investimenti stranieri in India e a far nascere il mercato del lusso».

STEFANIA VALENTI Managing director Istituto Marangoni

«Finalmente si sta creando un ecosistema, fatto di investitori stranieri e locali e di instituzioni, intenzionato a costruire un mercato del lusso»

Ma le opportunità di business per il mondo del lusso legate all’ascesa della classe media indiana, trainata dai Millennial, non riguardano soltanto il mercato domestico. Entro il 2030 i “Sophisticated Rich”, ovvero la sezione più alta nella scala della middle class prima dei veri e propri ricchi, aumenteranno dal 7% al 17%: questo porterà a un incremento esponenziale dei viaggi all’estero e, come dimostrano le statistiche, lo shopping è una parte molto importante dell’esperienza di viaggio per il consumato- re indiano. Da anni, infatti, gli indiani che se lo possono permettere acquistano beni di lusso, soprattutto al di fuori dei propri confini nazionali. Lo dimostra il fatto che i brand locali attualmente più in voga del momento, come Sabyasachi e Anita Dongre, hanno aperto vetrine a New York e Dubai, per proseguire il dialogo con i loro clienti anche quando si trovano lontani dalla patria. Per i big brand del lusso inaugurare in India i loro negozi, ma anche avviare attività di marketing, serve a creare una familiarità con un target che ha capacità di spesa e che si prepara a trascorrere molto tempo lontano da casa. Storicamente le capitali europee più amate dai turisti ed expat indiani per lo shopping sono Londra e Parigi, ma anche le città italiane (Milano in testa) iniziano a entrare tra le loro mete preferite. Lo dimostrano i dati elaborati in esclusiva per Fashion da Global Blue sul tax free indiano in Italia. Secondo la società specializzata nel rimborso delle tasse sugli acquisti turistici nel periodo gennaio-aprile 2023, gli acquisti esentasse sono aumentati rispetto al 2019 (quindi pre-pandemia), con un tasso di recovery complessivo del 188%. L’analisi, che sulla base dei dati dei primi quattro mesi dell’anno suggerisce un trend in aumento, sottolinea come a crescere sia stato anche lo scontrino medio, salito ad aprile a quota 779 euro (+25% sul 2019). Come prevedibile, la categoria moda e abbigliamento, con il 90% sul totale, è il principale settore delle vendite davanti a orologi e gioielli, profumi e cosmetica. Milano si conferma la città con lo scontrino medio più alto (1.047 euro), seguita da Firenze (863 euro) e Roma (850 euro).

Proprio il fatto che gli indiani effettuino acquisti in beni di lusso soprattutto all’estero rappresenta un buon motivo da parte delle aziende dell’alto di gamma per ritardare ancora per un po’ lo sbarco in India, preferendo accontentarsi di turisti ed expat almeno fino al 2030, quando lo scenario dovrebbe essere più chiaro e alcuni nodi legati alla presenza sul mercato sciolti. I dati economici in grande espansione non cancellano infatti le difficoltà a livello di infrastrutture e di distribuzione che ancora permangono. «Oggi le location retail sono disponibili in numero ancora limitato, seppure in fase di sviluppo, e le migliori sono tutte nei mall», riassume Stefano Canali. Allo stato attuale esistono poco più di dieci shopping center in India (tra cui Dlf Emporio Mall a Delhi e Palladium a Mumbai), dove convivono griffe del lusso, marchi premium e del fast fashion. Ma il numero di location è destinato ad aumentare: se infatti Abfrl-Aditya

Birla Fashion & Retail pianifica l’arrivo di Galeries Lafayette, il diretto concorrente

Rbl-Reliance Brands Limited inaugurerà il luxury mall Jio World Plaza all’interno di un nuovo hub culturale e commerciale di Mumbai. Un investimento da oltre un miliardo di euro che, secondo fonti di stampa, vedrà la prima boutique aprire a inizio giugno. Fino ad agosto le inaugurazioni si susseguiranno e coinvolgeranno tutti i gruppi del lusso, da Lvmh a Richemont a Otb, ma anche brand indipendenti. Giorgio Armani aprirà un flagship e il primo

«L‘India

17%

La quota di popolazione che farà parte dei “Sophisticated Rich” entro il 2030

Armani Café in India (il secondo in Asia) e ci saranno anche Zegna, Canali e Valentino. In India i negozi monomarca stand-alone sono pochissimi, in linea di massima presso gli hotel di lusso. Le complessità riguardano anche gli aspetti burocratici: nonostante ormai da dieci anni il governo indiano abbia concesso - sulla carta - la possibilità alle società internazionali di stabilire la propria entità legale, senza dover più ricorrere al partner locale come in passato, avere negozi di proprietà sul territorio indiano è tutt’altro che sem-

3

1. Galeries Lafayette aprirà in partnership con Aditya Birla Fashion and Retail Limited due store in India nel 2024 e nel 2025 2. Anche all’estero i marchi di moda vogliono creare connessioni più profonde e significative con il pubblico indiano: non a caso modelli e modelle indiani sono in ascesa alle fashion week

3. Apple ha aperto con Retail Brands ad aprile i suoi primi due store in India, un altro esempio di premiumizzazione del mercato plice. Chi infatti vuole aprire punti vendita monomarca diretti in India deve sottostare a una sorta di norma del “local sourcing” e acquistare almeno il 30% in valore delle merci che vendono da produttori locali. In altri termini, le griffe di moda dovrebbero comprare da produttori indiani circa un terzo delle componenti delle loro collezioni. «Un partner locale - conferma Stefano Canali - è essenziale per cogliere appieno le opportunità commerciali e avere più potere negoziale per assicurarsi le location adatte. Altrettanto fondamentale è l’aiuto che un partner locale può dare nel comprendere e rispettare la cultura e il gusto locali». Un’altra sfida che i marchi stranieri devono affrontare è legata a collezioni al tempo stesso globali e portatrici di cultura locale. Secondo il rapporto “State Of Fashion 2019” di McKinsey gli indumenti tradizionali, come sari, lehengas e bangdala, costituivano circa il 70% delle vendite di abbigliamento femminile nel 2017. Una percentuale che probabilmente è destinata a ridursi nel corso degli anni, grazie alla crescente incidenza sui consumi di Millennial e GenZ, ma che resterà a lungo prioritaria. Anche per questo prosegue la tendenza dei big brand di creare progetti ad hoc per il mercato: in occasione della stagione dei matrimoni in India Louis Vuitton ha lanciato la capsule collection di calzature Rani Pink, nel tipico colore fucsia/magenta usato nelle cerimonie nuziali, omaggio alla famiglia reale del Rajasthan. Stesso schema seguito da Jimmy Choo con l’ultima capsule Shaan. C’è poi il caso di Gucci, che lo scorso 16 maggio ha presentato la sua prima Global Ambassador indiana, l’attrice e produttrice Ali Bhatt, in occasione della sfilata Cruise 2024 a Seoul. Progetti che mettono in luce come l’industria della moda sembri aver raggiunto una certa maturità nella capacità di raccontare, interpretandole, le culture e le mode locali indiane. «L’approccio è comprensibile perché l’India ha peculiarità uniche, ma pensare di conquistare un mercato con prodotti ad hoc cambiando modelli, tessuti e ispirazioni non è una strategia percorribile da tutti i marchi. I clienti indiani del lusso dovranno dare prova di essere realmente globali. Solo allora l’India sarà una vera opportunità per l’intero settore», conclude Sabrina Scarpellini. 

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Le tempistiche incalzano

Mercato e produzione sotto pressione