N. 14 USCITA DEL 11/22 LE SFIDE PIÙ BELLE: QUELLE CHE VINCI! intervista a Benedetto Roberto Ingoglia.
ENERGIA: il potenziale energetico del continente africano pag. 33 pag. 12 pag. 7
INCIDENTI ECOLOGICI: i progetti ad oggi per contenerli




N. 14 USCITA DEL 11/22 LE SFIDE PIÙ BELLE: QUELLE CHE VINCI! intervista a Benedetto Roberto Ingoglia.
ENERGIA: il potenziale energetico del continente africano pag. 33 pag. 12 pag. 7
INCIDENTI ECOLOGICI: i progetti ad oggi per contenerli
essere umano, in generale, per vivere ha bisogno di utiliz zare le risorse che la natura ci dona: cibo da mangiare, acqua da bere, abiti da indossare, suolo da occupare. E per scoprire quante di queste risorse stiamo adoperando, ed il modo in cui le adope riamo, dobbiamo calcolare la nostra impronta ecologica.
Si tratta di un indicatore che misura la domanda dell’uomo nei confronti del nostro Pianeta: un valore che calcola di quante ri sorse naturali l’uomo ha bisogno e le confronta con la capacità della Terra di rigenerare quelle risorse. Nello specifico, l’impronta ecologica misura in ettari le aree biologiche produttive del piane ta Terra, compresi i mari, necessarie per rigenerare le risorse con sumate dall’uomo. In poche parole, l’impronta ecologica ci dice di quanti pianeta Terra abbiamo bisogno per conservare l’attuale consumo di risorse naturali.
E calcolarla è davvero un gioco da ragazzi! Basta prendere in esa me le abitudini di ciascuno in fatto di scelte alimentari, quantità di rifiuti prodotti, superficie di suolo occupato, abiti o altri beni acquistati, energia consumata, anidride carbonica emessa in at mosfera.
Esistono infatti differenti modi per effettuare questo calcolo e, online, tantissimi link con semplici quiz di domanda e risposta per conoscere l’impatto che le nostre abitudini hanno sul Pianeta che abitiamo. Il mio preferito è il calcolatore presente sul sito del WWF, World Wide Fund for Nature, che troviamo al link https:// www.wwf.ch/it/vivere-sostenibile/calcolatore-dell-impronta-eco
logica. Trentotto semplici domande per capire quanto è sosteni bile il nostro stile di vita. E per scoprire quale è il nostro impatto sull’ambiente o come possiamo ridurlo o anche piccoli accorgi menti, consigli, che contribuirebbero a ridurre il nostro impatto sul Pianeta. Infatti, più il valore della nostra impronta ecologica è alto, più è a rischio la salute del Pianeta. Pronto a scoprire la tua impronta ecologica e come puoi contri buire a salvaguardare il nostro Pianeta? Corri a rispondere alle domande del link!
Quando corri una maratona, l’obiettivo non è superare gli altri, ma superare se stessi. Questo è quello che ha fatto Bene detto Roberto Ingoglia, imprenditore di Partanna in provincia di Trapani, fondatore di Energy Italy spa oggi a capo della Energy Holding, elogiato da molti per le proprie capacità professionali e valori personali.
Un imprenditore che ha fatto della corsa la sua passione, ponen dosi un’ambiziosa sfida: partecipare alla grande Maratona di New York.
Obiettivo centrato in pieno, lo scorso 6 novembre. È a lui che abbiamo il piacere di dedicare la nostra intervista di questo numero di Atlas Magazine.
M: “Roberto, raccontaci come nasce la tua passione per questo sport. C’è un episodio specifico che ti ha spinto a iniziare?”
RI: “Nell’ottobre del 2019, insieme ai miei Soci eravamo a Monte carlo a frequentare un bellissimo corso di formazione basato sulla crescita personale, al fine di migliorare le proprie performance professionali. Quel corso in un certo senso ha dato una svolta alla mia vita. In questa occasione, infatti, sono rimasto folgorato dal discorso di un relatore, che ha sottolineato quanto fosse impor tante mantenersi in forma e prendersi cura del proprio benesse re, anche per aumentare la produttività e le prestazioni mentali. È stato in quel momento che ho preso la decisione di iniziare a pre pararmi per la maratona di New York… e mi sono iscritto subito, prima ancora di iniziare la preparazione, tanta era la convinzione! Poi a causa degli eventi pandemici, è stato possibile per me par tecipare solo quest’anno.
Ciò ha giocato a mio favore perché ho avuto modo di recuperare
i molteplici infortuni che inevitabilmente chi inizia una prepa razione del genere a 57anni può subire e arrivare a partecipare all’edizione del 2022 in condizioni buone.”
M: “Come mai hai scelto proprio la Maratona di New York? Cosa ti affascinava di questa sfida?”
RI: “Perché è una delle più belle se non la più bella al mondo e ha una storia talmente affascinate che non può non attrarti. Basti pensare che è il frutto dell’intuizione e della scommessa di un gruppo di appassionati e di un uomo geniale, Fred Lebow, che ha dovuto combattere contro tutto e tutti, partendo da un percorso molto ridotto e con poco più di duemila partecipanti alla prima edizione.
Dopo qualche anno, è riuscito a ottenere come percorso tutti i 5 Borough di New York e a coinvolgere oltre cinquantamila parte cipanti ogni anno. “ (qui potrete leggere la guida completa della maratona)
M: “Certo, una bella sfida da affrontare in così poco tempo, so prattutto se non hai mai corso prima! Immaginiamo non sia stato un percorso semplice. Quali sono state le difficoltà che hai riscon trato? C’è stato qualche momento in cui hai pensato di mollare?”
RI: Difficoltà tantissime, ma come dice qualcuno che mi conosce bene, la mia autostima è veramente alta! Basti pensare che ho preso questa decisione a 57 anni, non avendo mai svolto prima nessuna attività che potesse minimamente avvicinarsi alla prepa razione fisica di podista.
Mollare mai, sono molto resiliente e anche dagli avvenimenti più negativi che mi sono accaduti nella vita o che potranno accadermi in futuro, traggo l’energia per andare avanti e alzare l’asticella dei
M: E alla fine… il SUCCESSO! Ma come si suol dire: non è l’arrivo che conta, ma il viaggio. Quali erano le tue sensazioni prima e durante la maratona? A cosa pensavi in quei 42 lunghi km?”
RI: “Il successo era già essere ai blocchi di partenza. Le sensazioni pre gara sono quelle di un bambino: non vedi l’ora che arrivi il fa tidico giorno. Durante la gara poi le sensazioni sono tante e tutte bellissime, perché per concludere una maratona oltre alle gambe serve anche la testa. Non per niente, si dice che una maratona va fatta 30 km con le gambe, 10 con la testa e 2,195 con il cuore. Trovarsi in mezzo a 50 mila persone che non vedono l’ora di vin cere le proprie sfide attraverso una manifestazione come la mara tona di New York, ti fa sentire molto gratificato e aumenta molto la tua autostima.
A parte i top runner che gareggiano per vincere, il 99% dei par tecipanti a una maratona del genere è lì per godersi il “viaggio”. 42,195 km vissuti come dentro un musical: per tutto il percorso ci sono band e spettacoli organizzati, insieme a un pubblico incredi bile che ti sostiene e ti incita a ogni passo.
I pensieri che ti passano per la testa sono tanti, io ne ho focalizzati diversi per auto motivarmi.
Il primo pensiero alla partenza è che per 4,30h New York sarebbe stata ai miei piedi e questa era una sensazione bellissima. Il secondo pensiero era una visione: ogni volta che qualcuno mi incitava, guardandolo, vedevo il volto di un familiare/amico, in somma di una persona conosciuta che mi vuole bene e che mi incoraggiava, questo succedeva ogni vota che accusavo qualche calo fisico, praticamente in tutte le salite, e a New York, credetemi sono davvero tante!
Invece, quando andavo bene e allungavo il passo segnando ma gari un record personale, pensavo a tutte quelle persone che all’i nizio mi scoraggiavano e ridevo da solo immaginando l’espres sione sul loro volto se mi avessero visto in quel momento. Ecco, devo ringraziare molto queste persone perché mi hanno dato lo stimolo per fare di più e meglio. Ma il pensiero più grande e più costante è sempre stato rivolto a mia moglie che per oltre 5 ore mi aspettava e mi ha aspettato al 41esimo km: non vedevo l’ora di abbracciarla! Durante tutto il percorso ho immaginato la sua espressione, le sue parole, la sua gioia nel vedermi. E così è stato! Alla fine, è riu scita anche a sorprendermi con una bellissima sorpresa preparata precedentemente insieme alle mie figlie e a farmi emozionare.“
M: “Veniamo al futuro: ora che hai vinto questa sfida con te stes so, partecipando alla più importante e famosa Maratona al mon do, quali sono i tuoi obiettivi futuri?”
RI: “Divertirmi fino a quando le gambe reggono, ma farlo in sieme a un gruppo di persone che vogliono sfidarsi e sfidare i propri limiti. Ecco perché ho già iniziato a pianificare le prossime maratone ma soprattutto ad aggregare nuove persone perché, anche se la maratona è uno sport individuale insieme agli altri ci si diverte di più e io amo divertirmi a far divertire le persone che mi circondano.”
M: “Grazie Roberto, solo un’ultima importante domanda. Come ci hai accennato sopra, diverse persone ti hanno accompagnato e sostenuto in questo percorso. Senti di voler ringraziare qualcuno in particolare?”
RI: “Questa è la domanda che più mi aspettavo perché le persone sono tante e tutte importanti, non potrei citarle tutte. Ringrazio tutti quelli che mi hanno dedicato un po’ del loro tempo per in viarmi un messaggio, complimentandosi per il risultato.
Ringrazio tutti quelli che mi hanno sempre sostenuto, in parti colare i miei “Alfieri” nella vita personale e professionale Nino, Fausto e Gino. Loro ancora non lo sanno, ma il prossimo anno vivremo insieme questa esperienza.
Sicuramente un grazie infinito va a Cristiano e a Daniela della Co ster Medical Center, cari amici ma anche grandi professionisti ai quali devo la mia ripresa fisica dopo i vari infortuni. Un grazie va a tutti gli associati dei Nati Stanchi Runners che mi hanno sempre incoraggiato anche quando non riuscivo a com pletare i 10 km, ai vari coach e alle persone che mi hanno dato anche un piccolo consiglio, ma in particolare al mio grande ami co Elio Catania che sin dall’inizio mi ha seguito, accompagnato e preparato per tutte le manifestazioni a cui ho partecipato: le mezze maratone di Verona, di Roma, di Marsala, e la mia prima maratona di 42,195 Km a Milano.
A tutti i miei Soci, in particolare a Sergio, Francesco e Antonio, i quali mi hanno detto: “Vai “conquista” New York e torna con la medaglia!”.
E poi un GRAZIE va alle mie fantastiche figlie Margherita e Laura che continuamente mi stimolano, ognuna col proprio modo di fare, affinché io possa raggiungere i miei obbiettivi: vedere i loro volti o immaginarli quando non possono seguirmi fisicamente, per me è una grande gioia, è il giusto premio dopo una gara. Ringrazio infine, ma non per ultimo, mia moglie che sa sempre come supportarmi e sopportarmi in tutte le mie scelte personali e professionali, averla e sentirla sempre al mio fianco per me è uno stimolo incredibile che mi aiuta a superare tutti gli ostacoli che inevitabilmente, chi fa qualcosa, incontra nel proprio percorso personale e professionale.
Lei sa sempre stupirmi, riesce con poco a trasmettermi quella forza e quell’energia necessaria per superare e vincere qualsiasi sfida che la vita può riservarmi.”
La condizione della donna rappresenta uno degli argomenti storici più discussi, il cui dibattito risulta ancora particolarmente attuale.
Le donne oggi sono padrone di se stesse e godono dell’egua glianza giuridica e di tutti gli stessi diritti degli uomini ma non sempre è stato così (e non lo è tutt’oggi in tanti Paesi).
La storia politica femminile italiana è una storia recente. Alla fine del XIII secolo, le donne europee non godevano dei di ritti civili né politici, concessi solo a parti ristrette della popola zione. Il messaggio di libertà ed uguaglianza della Rivoluzione Francese, al quale le donne aderirono con entusiasmo, introdus se la questione dell’estensione del diritto al voto alle donne. Pur non essendo state prese in considerazione le rivendicazioni della Rivoluzione, si aprì un dibattito politico nuovo che spianerà la strada alle successive lotte per il riconoscimento dei diritti civili, politici e giuridici delle donne.
In Italia, il lungo cammino verso la parità e la piena cittadinan za politica, abbraccia il periodo che va dall’Unità d’Italia ai nostri giorni ovvero dalla conquista del voto alle più recenti politiche di pari opportunità.
Nel Codice di Famiglia del 1865 le donne non avevano il diritto di esercitare la tutela sui figli legittimi, né tanto meno quello ad essere ammesse ai pubblici uffici; se sposate, non potevano ge stire i soldi guadagnati con il proprio lavoro, perché ciò spettava al marito.
Alle donne veniva ancora chiesta l’”autorizzazione maritale” per donare, alienare beni immobili, sottoporli a ipoteca, contrarre mutui, cedere o riscuotere capitali, né potevano transigere o sta
re in giudizio relativamente a tali atti. L’articolo 486 del Codice Penale prevedeva una pena detentiva da tre mesi a due anni per la donna adultera, mentre puniva il marito solo in caso di concu binato.
Nel Risorgimento, il dibattito sui diritti delle donne, la loro edu cazione ed emancipazione fu molto provinciale; molti degli “illustri pensatori” di quest’ epoca si limitarono a ribadire la su bordinazione della donna. Per citare Gioberti (primo presidente della Camera dei deputati del Regno di Sardegna): “La donna, insomma, è in un certo modo verso l’uomo ciò che è il vegetale verso l’animale, o la pianta parassita verso quella che si regge e si sostenta da sé”. Per Rosmini (famoso teologo e filosofo): “Com pete al marito, secondo la convenienza della natura, essere capo e signore; compete alla moglie, e sta bene, essere quasi un’ac cessione, un compimento del marito, tutta consacrata a lui e dal suo nome dominata”. Simili teorie furono alla base del diritto di famiglia dell’Italia Unita, riformato soltanto nel 1975.
Nell’Italia Unita le donne vennero quindi escluse dal godimento dei diritti politici. Nel 1966 la contessa di Belgioioso, patriota e letterata, scriveva in proposito: “Quelle poche voci femminili che si innalzano chiedendo agli uomini il riconoscimento formale delle loro uguaglianza formale, hanno più avversa la maggior parte delle donne che degli uomini stessi. Le donne che ambi scono a un nuovo ordine di cose, debbono armarsi di pazienza e contentarsi di preparare il suolo, seminarlo, ma non pretendere di raccoglierne le messi”.
Infatti, la Camera dei deputati del Regno d’Italia respinse la pro posta dell’On. Morelli volta a modificare la legge elettorale che
escludeva dal voto politico e amministrativo le donne al pari de gli “analfabeti, interdetti e detenuti” ed a concedere quindi alle donne tutti i diritti riconosciuti ai cittadini. Nonostante Anna Maria Mozzoni avesse fondato nel 1879 una Lega promotrice degli interessi femminili che si batteva per il diritto di voto alle donne, le prime femministe italiane si inte ressarono molto di più alle questioni sociali, anche per influenza del neonato Partito Socialista; effettivamente la condizione so cioeconomica delle donne fra fine ‘800 e primi del ‘900 era di grande disparità. Lo stipendio delle lavoratrici era in genere poco più della metà di quello dei lavoratori di sesso maschile; poiché anche il lavoro dei bambini era diffuso e sottopagato, prima della prima guerra mondiale furono emanate alcune leggi per tutelare “donne e fanciulli”, quali soggetti deboli e sfruttati. I salari più bassi delle donne venivano percepiti dagli altri lavoratori come una forma di concorrenza sleale e quindi le prime proposte di legge cercavano di garantire un minimo salariale alle lavoratrici, anche per “mantenere sul mercato” la manodopera maschile. Lo Stato mostrava di voler favorire al massimo il rientro delle donne in quella che riteneva essere la loro sede naturale: la casa. D’altronde nell’enciclica papale Rerum Novarum, uscita in quegli anni, era scritto: “Certi lavori non si confanno alle donne, fatte da natura per i lavori domestici, i quali grandemente proteggono l’onestà del debole sesso”. La legge del 1902 non riduceva nem meno il divario salariale con gli uomini: le lavoratrici fra i 16 e i 21 anni, venivano equiparate in capacità e abilità (e quindi in stipendio) ai lavoratori con meno di 15 anni e questa era l’unica prescrizione in materia di stipendi. Sul fronte dell’istruzione, venne permesso soltanto nel 1874 l’ac cesso delle donne ai licei e alle università, anche se in realtà con tinuarono ad essere respinte le iscrizioni femminili. Ventisei anni dopo, nel 1900, risultano comunque iscritte all’università in Italia 250 donne, 287 ai licei, 267 alle scuole di magistero superiore, 1178 ai ginnasi e quasi 10.000 alle scuole professionali e com merciali; il titolo di studio però non garantiva ancora l’accesso alle professioni. Nel 1881 infatti una sentenza del Tribunale annullò
la decisione dell’Ordine degli avvocati di ammettere l’iscrizione di Lidia Poët, laureata in legge e procuratrice legale. E’ con la prima guerra mondiale che le donne escono dal tradi zionale ruolo di “angelo del focolare”; con gli uomini al fronte esse cominciarono a prenderne il posto nelle attività lavorative pubbliche e private e sono proprio questi venti di cambiamento che il fascismo volle disperdere. Esso inaugurava una sua politica sul tema dei diritti delle donne. Le donne vennero spinte, per quanto possibile, tra le mura do mestiche, secondo lo slogan: “la maternità sta alla donna come la guerra sta all’uomo”. Le donne prolifiche venivano insignite di apposite medaglie e il controllo delle nascite era formalmente vietato dal Codice Rocco che lo considerava un “attentato all’inte grità della stirpe”.
Nel 1925 con la legge Acerbo viene concesso il diritto al voto amministrativo ad alcune categorie di donne ma subito dopo fu cancellato il diritto appena riconosciuto.
Il Codice di Famiglia venne inasprito dal fascismo: le donne ven nero poste in uno stato di totale sudditanza di fronte al marito che poteva decidere autonomamente il luogo di residenza ed al quale le donne dovevano eterna fedeltà, anche in caso di separa zione. Sul piano economico tutti i beni appartenevano al marito, ed in caso di morte venivano ereditati dai figli, mentre alla donna spettava solo l’usufrutto.
Il 31 gennaio del 1945, il Consiglio dei ministri presieduto da Ivanoe Bonomi emanò un decreto che riconosceva il diritto di voto alle donne. Il 10 marzo 1946 si tennero le prime elezioni amministrative in cui fu riconosciuto il suffragio femminile uni versale.
Il 2 giugno 1946, i cittadini italiani, sia uomini che donne, furo no chiamati a votare per scegliere tra repubblica e monarchia ed eleggere la Costituente, un’assemblea con il compito di redigere la nuova Carta Costituzionale. All’Assemblea Costituente furono elette ben 21 donne e quattro di queste entrarono a far parte del la Commissione dei 75 incaricata di redigere la Costituzione. Essa garantiva l’uguaglianza formale fra i due sessi, ma di fatto re stavano in vigore tutte le discriminazioni legali vigenti durante il periodo precedente, in particolare quelle contenute nel Codice di Famiglia e il Codice Penale; il panorama sociale rimase pressoché invariato, anche per la vigenza del codice civile del 1942 emana to in epoca fascista ed espressione dei valori patriarcali fatti propri dal regime. A partire dagli anni Cinquanta, in particolare, i giuristi svolsero un delicato compito di “defascistizzazione” delle norme codicistiche in contrasto con la Costituzione.
La Costituzione afferma:
• L’ uguaglianza davanti la legge
• L’ uguaglianza morale giuridica dei coniugi
• La protezione della maternità
• La parità nel lavoro
• La parità nella partecipazione politica
• La parità all’accesso delle cariche pubbliche
La costituzione si configurò quindi come l’ architrave su cui conti nuare ad edificare.
Ulteriori passi in avanti volti a migliorare la condizione femmini le furono rappresentati dalla legge Merlin che aboliva la prosti tuzione e dalla legge che regolava il lavoro domestico. Tuttavia, nonostante le riforme legislative e il lavoro dei giuristi, la condi
zione femminile nei primi anni Sessanta non mutò radicalmente, l’accesso alla maggior parte dei posti pubblici risultava ancora preclusa alle donne e, come spesso accadde nella storia italiana, fu il sistema giudiziario a supplire alle lentezze del legislatore. In tale contesto si colloca la vicenda di Rosa Oliva, che si era vi sta rifiutare l’accesso alla carriera prefettizia in quanto donna. La giovane, difesa dal costituzionalista Costantino Mortati, presentò ricorso contro il Ministero dell’Interno; la Corte Costituzionale di chiarò l’illegittimità della norma che impediva alle donne l’acces so alle principali carriere e uffici pubblici. Si trattò di una sentenza storica nel lungo percorso sul fronte della parità dei sessi. Ulteriore vicenda emblematica del mutato clima culturale della società italiana fu quella di Giulia Occhini, compagna del popola re ciclista Fausto Coppi, arrestata per adulterio nel 1954. Il codice penale vigente all’epoca era stato emanato negli anni Trenta ed era quindi anch’esso, al pari di quello civile, espressione di valori propri della morale fascista e non più in linea con lo spirito dei tempi. Anche in questo caso, dinanzi ai ritardi del legislatore, in tervenne la Corte Costituzionale dichiarando l’illegittimità dell’ar ticolo 559 del codice penale, considerato discriminatorio rispetto al principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi affer mato nell’articolo 29 della Costituzione. Un ulteriore caso che condizionò l’opinione pubblica italiana fu quello di Franca Viola, una giovane ragazza siciliana che all’età di 17 anni fu rapita e violentata dal fidanzato. Era costume dell’epo ca che, in tali casi, la donna sposasse il proprio rapitore, al fine di salvare il proprio onore e quello della famiglia. La legge stessa, all’articolo 544 del codice penale, prevedeva l’istituto del matri monio riparatore, secondo cui il reato si estingueva se la persona offesa avesse sposato l’autore del reato. Il rifiuto della ragazza di sposarsi sollevò molte polemiche in Italia, ponendo nuovamente l’attenzione sul tema dell’emancipazione femminile.
Il dibattito sulla condizione femminile in Italia subì una brusca accelerazione. Rispetto alle lotte di inizio Novecento, finalizzate all’ottenimento del diritto di voto e di pari condizioni salariali, le proteste degli anni Settanta ebbero a oggetto il superamento del tradizionale modello familiare ereditato dalle generazioni precedenti, che
relegava la donna a un ruolo di secondo piano nella società, su balterno rispetto a quello degli uomini. I movimenti femministi degli anni Settanta miravano a dar vita a una battaglia culturale che travolgesse i vecchi stereotipi; sulla spinta dei grandi movi menti di massa, il legislatore introdusse riforme epocali, tra cui la legge sul divorzio e quella sull’interruzione di gravidanza.
La riforma più importante, però, fu quella riguardante il diritto di famiglia con la legge n. 151 del 1975. Le modifiche al diritto di famiglia erano avvertite come necessarie negli anni Settanta in quanto l’impianto codicistico rispecchiava un concetto di famiglia e di rapporti tra coniugi che appariva anacronistico e superato. Il legislatore, rifacendosi all’articolo 29 della Costituzione, apportò modifiche sostanziali alla normativa in materia, mutando radical mente il concetto di famiglia.
Tra i punti più importanti della riforma vi fu il riconoscimento del la piena parità giuridica e morale dei coniugi e dell’eguaglianza giuridica tra figli legittimi e illegittimi, riconoscendo a questi ul timi i diritti di successione. Fu istituita la comunione legale dei beni tra i coniugi come regime patrimoniale della famiglia in mancanza di diversa disposizione; venne abolita la patria potestà e sostituita con la potestà genitoriale condivisa tra entrambi i co niugi. Scomparve l’istituto della dote e del patrimonio familiare. Il cammino dell’emancipazione è sicuramente ancora lungo e da superare sono senza dubbio ancora molti limiti sociali, culturali ed economici, marcati soprattutto in alcune parti del mondo. Si tratta di un tema particolarmente complesso che può essere analizzato da più angolazioni, coinvolgendo i settori dell’antropo logia, della storia, del diritto.
Da Platone che sosteneva che non c’era posto per la donna nel la buona organizzazione sociale, e dalla concezione che vede il diritto al voto alle donne come favoritismo nei confronti degli uomini sposati ai quali veniva così concesso doppio voto (dando per scontato che le mogli si uniformassero al pensiero politico del consorte) siamo giunti ad oggi, in cui per la prima volta nel la storia d’ Italia, una donna ricopre una delle massime cariche come la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Impensabile che una donna potesse arrivare a gestire la “res pubblica”.
Al giorno d’oggi gli incidenti causati dalla presenza umana sulla Terra sono innumerevoli e con conseguenze disastrose per l’ecosistema. Ma è giusto poter impostare l’articolo in maniera ancora più ampia, parlando sicuramente dell’impronta negati va dell’uomo sul pianeta ma partendo ancora prima dai disastri naturali, causati in maniera indiretta da noi con il cambiamento climatico.
Basti pensare che solo negli ultimi anni (considerando tra il 2000 e il 2019) gli eventi negativi che hanno gravemente danneggiato il pianeta sono stati ben 7.348 eventi catastrofici di grande por tata che hanno provocato 1,23 milioni di vittime, colpendo 4,2 miliardi di persone e causando un danno economico pari a 2,97 miliardi di dollari. A dirlo è L’ONU stessa con un report dettagliato intitolato “Il prezzo umano dei disastri”, pubblicato in occasione della Giornata internazionale per la riduzione del rischio di cata strofi.
Numeri a dir poco impressionanti, soprattutto se si pensa che nello stesso report citato viene riportato il ventennio precedente (dal 1980 al 1999) con numeri comunque alti ma ben distanti da quelli del presente. Il numero di eventi catastrofici è stato 4.212, con 1,19 milioni di vittime, 3,25 miliardi di persone colpite e danni per 1,63 miliardi di dollari. Come è possibile quindi un cambiamento di questo genere? La differenza tra i due periodi si spiega principalmente con l’aumen to dei disastri legati al clima, inclusi gli eventi di meteo estremo: si è passati da 3.656 eventi catastrofici legati al clima tra il 1980 e il 1999 ai 6.681 del ventennio successivo.
Cambiamento climatico: questo fenomeno citato poco fa a inizio articolo è legato in maniera diretta all’attività dell’uomo a partire dallo sviluppo storico dell’industria e della tecnologia e compor ta un cambiamento a lungo termine dei modelli meteorologici
che sono arrivati a definire i climi locali, regionali e globali della terra. Basti pensare all’aumento delle temperature globali che contribuiscono a influenzare la natura delle stagioni, modifican do drasticamente il meteo e di conseguenza anche intensificare fenomeni come siccità o ondate di calore.
Acidificazione oceani: una seconda conseguenza dello sviluppo industriale è quello dell’aumento della CO2 nell’aria che si dis solve nell’oceano legandosi con l’acqua di mare e creando acido carbonico, contribuendo all’acidificazione degli oceani. Ma non solo, in 200 anni è aumentata l’acidità del 30%, numeri che non si vedevano in oltre 20 milioni di anni.
Questo porta chiaramente a molti danni irreversibili, come la distruzione delle barriere coralline, responsabili della filtrazione naturale e produzione dei nutrienti, nonché ospitanti del 25% della vita acquatica.
In realtà potremmo continuare, ad esempio con la deforestazio ne, i prodotti chimici, la distruzione degli habitat, lo sfruttamento delle risorse ittiche, ma il punto è solo uno in tutto questo: la terra è costantemente sotto attacco dalle attività umane.
Questo articolo non vuole ribadirne la gravità ma vuole capire se ad oggi ci sono le tecnologie per sostenere il nostro modo di vive re la vita quotidiana sul pianeta.
Gli incidenti ecologici purtroppo, naturali o causati direttamente dall’uomo, sono quasi all’ordine del giorno, specialmente quan do riguardano il mare o l’oceano. L’inquinamento di questi, infat ti, è sotto gli occhi di tutti: dalle plastiche alle sostanze inquinanti come gli idrocarburi.
Nonostante questa triste premessa comunque sono presenti tecnologie e progetti per provare quantomeno a salvaguardare questo importante aspetto, vediamoli assieme.
Un primo intervento è il progetto Impact – impatto portuale su aree marine protette. L’iniziativa, cominciata nel 2017 e parte del programma di cooperazione Interreg. Italia-Francia Marittimo (2014-2020), promuove la tutela dell’ecosistema marittimo delle aree comprese tra Toscana e Liguria e delle regioni costiere fran cesi della Provenza, delle Alpi e della Costa Azzurra. Il progetto ha come obiettivo quello di monitorare l’andamento dell’inquinamento del mare a causa della presenza di sostanze nocive, permettendo così attività di prevenzione e conservazione del patrimonio marittimo. Vengono utilizzate principalmente due tecnologie: i radar ad alta frequenza (con cui è stato possibile reperire informazioni aggior nate sullo stato del mare e delle correnti, capendo l’andamento delle sostanze inquinanti presenti in mare e ridurre al minimo il potenziale impatto) e i drifter (boe flottanti che si muovono sulla spinta dalle correnti superficiali e la cui posizione viene telerile vata via satellite, è stato possibile determinare il trasporto di con taminanti chimici tra i porti e le aree marittime protette).
Inoltre, lo studio delle correnti marine in relazione al trasporto di fitoplancton e zooplancton, comprese uova e larve di organismi marini, contribuiscono a valutare le proprietà di ritenzione eco logica delle aree marittime protette e la resilienza delle specie marine di adattarsi a cambiamenti. Le uova e le larve rilasciate in acqua a seguito della riproduzione risultano per la loro dimen sione facilmente trasportabili dalle correnti marine, producen do due effetti sul mantenimento della popolazione di un’area marina protetta: da un lato, diminuisce il mantenimento locale della popolazione a causa di tassi di ritenzione (la percentuale di individui che rimane nell’ambiente di origine), talvolta troppo bassi per garantire il rinnovo di una popolazione; dall’altro lato, aumenta la distribuzione regionale delle popolazioni attraverso la distribuzione delle specie su più siti, aumentando così la resi lienza (capacità di un sistema/specie di adattarsi a cambiamenti) ai disturbi locali. Quest’ultima diffusione si verifica però solo se le larve incontrano un luogo favorevole al loro sviluppo.
Il progetto ha visto la sua fine proprio nel 2020, ma Impact è in serito in un programma di finanziamento europeo che vede altri progetti in corso: Sicomar plus e Sinapsi, entrambi legati diretta mente o indirettamente alle attività e ai prodotti di Impact.
Il progetto Sicomar Plus, nel periodo 2018-2021, prevede di in vestire sulla tecnologia dei radar ad alta frequenza, così da conti nuare il sistema di monitoraggio delle correnti superficiali nell’a rea di cooperazione e garantire la realizzazione di diversi obiettivi: dalla sicurezza in mare alla riduzione dell’incertezza dei sistemi di previsione meteomarina e di circolazione marina, dall’attività di formazione e attività dimostrative quali il pilotaggio in aree marine pericolose alla realizzazione di modelli di supporto alle emergenze e di gestione del rischio di servizi per la sicurezza in mare e, infine, la protezione dell’ambiente. Dall’altra parte, l’o biettivo generale del progetto Sinapsi (2019-2022) consiste nello sviluppo e nella promozione di strumenti di supporto alle deci sioni per aumentare la sicurezza della navigazione in prossimità dei porti commerciali dell’area transfrontaliera, riducendo così il
rischio di incidenti e aumentando la sicurezza e l’efficienza delle operazioni portuali. Un obiettivo possibile sia attraverso lo stu dio delle caratteristiche fisiche del mare dell’area transfrontaliera quali correnti, onde e vento sia con tecnologie tradizionali (come i drifter) che con strumenti innovativi (radar costieri).
OCEAN CLEAN-UP
Si tratta dell’organizzazione no profit fondata otto anni fa da Boyan Slat con l’obiettivo di liberare gli oceani dalla plastica, ini ziando con i test nel famigerato “Pacific trash Vortex”, il più gran de accumulo di plastica e detriti tossici presente sulla superficie marittima con la sua area equivalente a due volte la Francia. Una missione quindi avvincente che guida l’organizzazione ver so un progresso sempre più scalabile, in grado di intervenire su grandi e piccoli accumuli di rifiuti nel mare.
Il primo successo della ong arrivò nel 2018 con il modello chia mato “System 001” progettato per attraversare la macchia e recu perare i rifiuti con un’enorme rete. Fino a luglio 2022, la versione modificata, “System 002”, ha permesso di recuperare quasi 100 tonnellate di rifiuti che galleggiavano nel Pacifico. L’organizzazione – che vuole rimuovere “il 90% della plastica galleggiante entro il 2040” – ha presentato ora l’ultima versio ne dell’impianto “mangia-rifiuti”, il futuristico prototipo “System 003”: è sempre fatto di una grande barriera di galleggianti e reti, ma a differenza delle versioni precedenti è più efficiente e più grande.
Il “Sistema 3” sarà composto da tre navi che si basano su droni per identificare i punti dove si trovano i rifiuti. Le navi traineranno un enorme sistema di reti larghe 2.500 metri e profonde 4 me tri nelle aree interessate per raccogliere i detriti e incanalarli in un’ampia zona di ritenzione. Una volta raccolti e tirati fuori dall’acqua, i rifiuti vengono poi
messi in contenitori e inviati per il riciclaggio o il riutilizzo.
Abbiamo elencato alcuni dei progetti per poter monitorare e libe rare gli oceani dai rifiuti dell’ uomo che da moltissimo persegui tano l’ecosistema marino (e non solo), ma sostanze più difficili da catturare come il petrolio? Esiste un metodo per poter contrastare le perdite in acqua?
Tra le numerose tecnologie o invenzioni portate avanti, quella piu interessante è decisamente quella di Oleo Sponge, ossia una spu gna intelligente frutto di studi statunitensi in grado di assorbire il petrolio e numerose altre sostanze inquinanti disperse in mare.
Il dato più importante è la capacità di Oleo Sponge di operare lungo l’intera colonna d’acqua, assorbendo quindi non solo il ma teriale che si deposita in superficie. Il risultato ottenuto è frutto di ricerche precedenti svolte dall’Argonne National Laboratory con l’obiettivo di analizzare il modo in cui una struttura complessa potesse attrarre e conservare materiali oleosi. La spugna è stata ricoperta da un sottile strato di ossido di metallo che funzione come una sorta di collante, in grado di attirare le molecole oleose, separandole dall’acqua, che vengono poi imma
gazzinate nella cellulosa.
Non solo, tra queste interessanti caratteristiche ne troviamo una che al giorno d’oggi, in un mondo in cui tutto diventa un usa e getta, è essenziale: la riutilizzabilità. Essa, infatti, può essere riu tilizzata all’infinito grazie alla resistenza dei materiali e alla loro durabilità.
Allo stesso modo, anche gli idrocarburi intrappolati possono esse re recuperati e riutilizzati.
Quelle che abbiamo appena visto sono spunti interessanti per contrastare la nostra attività, ma ce ne sarebbero ancora moltissi me da elencare. Quello che mi preme dire alla fine di questo arti colo è le tecnologie e le invenzioni possono essere le più svariate, in qualsiasi campo.
Ci dimentichiamo però che noi non siamo fatti per guardare il cambiamento o affidarlo a qualcun altro al posto nostro. Noi siamo i fautori del nostro destino ormai, dobbiamo cambiare as sieme, con le tecnologie e con il pianeta, per tornare a viverlo al meglio.
Cambiamo le piccole abitudini tossiche che ci portiamo avanti senza un vero motivo essenziale o per pigrizia e avremo trovato una “tecnologia” in più per aprire un nuovo futuro per le genera zioni che verranno.
Non abbiamo mai affrontato un tema legato agli incidenti cardiaci ma visti anche i recenti episodi in pubblico e i sempre più frequenti episodi in privato, è arrivato il momento di affrontare il discorso sull’importanza di uno strumento troppo poco “pubbli cato” in generale visto l’estremo bisogno per salvare tantissime vite, il DAE.
12 giugno 2021, 43° minuto di Danimarca-Finlandia: il calciatore Christian Eriksen si accascia al suolo colpito da un improvviso ar resto cardiaco. Il tempestivo intervento dei soccorritori e il pronto utilizzo di un defibrillatore automatico esterno (DAE) hanno per messo di salvare la vita dello sportivo. Il sollievo nei volti dei giocatori e dei suoi cari mi rimane ancora impresso nella mente, così come i momenti di panico pochi istan ti prima. Non ce ne rendiamo mai conto dopo tanto tempo, ma quello che è successo in campo capita quasi all’ordine del giorno nel mondo e in Italia.
L’incidenza annuale dell’arresto cardiaco a livello europeo è compresa tra 67 e 170 su 100 000 individui. In Italia, sono ol tre 60.000 le persone colpite da arresto cardiaco ogni anno. La probabilità di sopravvivenza in seguito ad un arresto cardiaco si riduce del 10% per ogni minuto di ritardo del primo soccorso, an nullandosi dopo 10 minuti. Per questo motivo, un intervento nei primi 5 minuti, applicando le procedure di Rianimazione Cardio
Polmonare (RCP) e utilizzando un DAE, aumenta la probabilità di sopravvivenza al 50% e riduce le conseguenze neurologiche permanenti. Poiché la maggioranza degli arresti cardiaci si verifi ca in ambienti pubblici, compresi quelli lavorativi, sta crescendo sempre di più la consapevolezza di sensibilizzare la società sulla cardioprotezione e sull’utilizzo dei DAE come strumento salvavita. In questa direzione, a più di un anno dall’episodio di Eriksen, mol to si è mosso a livello europeo e nazionale. Le nuove linee guida dell’edizione 2022 dell’European Society of Cardiology (ESC) rac comandano la diffusione di defibrillatori esterni nelle zone in cui è più probabile che si verifichi un evento di arresto cardiaco (sta di, centri commerciali, stazione dei trasporti pubblici, scuole…). Inoltre, esse ribadiscono che l’attuazione tempestiva di interventi di rianimazione, con l’esecuzione dell’RCP e l’utilizzo di un DAE, soprattutto prima dell’arrivo dei soccorsi di emergenza, aumenta notevolmente la probabilità di sopravvivenza in seguito ad un ar resto cardiaco. Le nuove linee guida ESC affrontano anche il tema dell’arresto cardiaco tra gli sportivi. Nonostante l’attività fisica sia di beneficio per la salute cardiovascolare, se praticata in modo ec cessivo e vigoroso, è stato dimostrato essere correlata alla morte cardiaca improvvisa (MCI). Alcuni studi suggeriscono che la mag gior parte dei casi di MCI (Morte Cardiaca Improvvisa) nello sport si verifica in un contesto ricreativo piuttosto che competitivo. Ne gli atleti sopra i 35 anni di età, l’incidenza di MCI è compresa tra 2 e 6.3 su 100 000 persone all’anno, mentre è più bassa negli atleti più giovani (0.4-3 su 100 000 persone all’anno). Alcune ricerche documentano un’alta percentuale di sopravvivenza nei centri sportivi dotati di defibrillatori, in cui è stata completata la forma
zione del personale sportivo sulle manovre dell’RCP e sull’utilizzo degli stessi DAE.
Quindi, le analisi statistiche e l’esperienza giustificano l’impegno nell’attuare programmi di emergenza per intervenire sugli epi sodi di arresto cardiaco e prevenirne le morti, attraverso la distri buzione di un maggior numero di DAE in luoghi pubblici e nei centri sportivi.
Lo Stato italiano ha maturato questa consapevolezza emanando la legge n 116 del 4 agosto 2021, “Disposizioni in materia di uti lizzo dei defibrillatori semiautomatici e automatici”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 13 agosto 2021 ed entrata in vigore il 28 agosto 2021. Tale legge impone l’obbligo del defibrillatore per le pubbliche amministrazioni, le scuole e per il settore dei traspor ti e incentiva l’installazione dei DAE nei luoghi pubblici. Inoltre, rafforza la legge Balduzzi per lo sport, richiedendo alle società sportive di avere il DAE anche durante gli allenamenti e non solo nelle competizioni. Tuttavia, la modifica più decisiva apportata da questa legge è l’introduzione del principio del “buon samarita no”: facendo riferimento all’art. 54 del Codice Penale, chiunque potrà usare un DAE senza il rischio di incorrere in sanzioni, anche se non abilitato all’uso. I defibrillatori in commercio sono proget tati in modo da funzionare in modo completamente automatico, riducendo al minimo le operazioni che un soccorritore deve ese guire. I DAE di oggi sono, in un certo modo, basati su una tec nologia user friendly, favorendone l’utilizzo anche ai soccorritori laici. In ogni DAE, una voce registrata guida il soccorritore passo a passo nella procedura d’intervento. Dopo l’applicazione delle piastre, degli algoritmi diagnostici analizzano il ritmo cardiaco del paziente e decidono se erogare o meno lo shock, in modo diretto oppure con conferma da pulsante. Perciò, la tecnologia
stessa dei DAE ne favorisce e agevola l’utilizzo. Negli ultimi anni, diversi progetti sono stati avviati al fine di cardioproteggere i cen tri urbani più popolosi, posizionando DAE in piazze pubbliche o in prossimità di luoghi più frequentati, realizzando una rete di soccorso tempestiva integrata con il 118. Rimane solo il bisogno di alimentare una divulgazione della cultura della cardioprotezio ne e sensibilizzare le persone a questa tematica, per assicurare sempre più possibilità di sopravvivenza per la vittima di arresto cardiaco. Le nuove raccomandazioni dell’ESC e la legge italiana n 116 ne rappresentano un primo tentativo.
Uno strumento portentoso, che guida passo passo il soccorrito re con istruzioni semplici ma in maniera precisa e tempestiva. Come detto all’ inizio dell’articolo, noi non ci rendiamo mai conto che certe cose (dal caso Eriksen al DAE) hanno cambiato il nostro modo di vivere e cambiato anche la percezione di un evento drammatico come l’arresto cardiaco improvviso, sia in maniera positiva (aziende che si riforniscono del DAE e si formano per intervenire) sia in maniera negativa (della serie “vuoi che capiti nella mia realtà o tra i miei conoscenti?”).
Lo Stato sta facendo progressi proprio nella direzione che serve, ossia rendere obbligatoria la strumentazione necessaria a cardio proteggere le persone.
Perché’ non ci rendiamo conto, ancora, dell’importanza del DAE.
Ad oggi stiamo attraversando una delle più grandi evoluzio ni del mondo del lavoro mai viste. Queste evoluzioni arrivano in un periodo storico e sociale molto particolare caratterizzato dalla quarta rivoluzione industriale, dalla pandemia e da un approccio al lavoro più scientifico e ragionato.
Di fatti siamo arrivati a teorizzare nuovi modi per lavorare in modo più efficiente e meno stressante che vadano a favorire sia l’imprenditore che il lavoratore!
Il nuovo modo di lavorare più diffuso è sicuramente lo smart wor king che, seppure possa sembrare controintuitivo, ha dimostrato in più occasioni di aumentare la produttività e i risparmi delle aziende che ne fanno uso: Al 2022 il 91% delle aziende italiane fa uso dello smart working in una forma ibrida che alterna gior ni in presenza a giorni in sede, ed è interessante notare come la percentuale sia aumentata dal 2021 quando la percentuale di aziende che ne faceva uso era “solo” dell’81%, questo dato ci fa capire come anche al di fuori dell’emergenza pandemica (non ci sono stati lockdown nel 2022) le aziende continuino a voler usu fruire di quello che è un modello testato ed apprezzato un po’ in tutto il mondo.Basti pensare che grazie allo smart working un’a zienda arriva a risparmiare 500 euro l’anno per postazione in me dia mentre il dipendente arriva a risparmiare 600 euro, al netto delle bollette, l’anno grazie al lavoro a distanza. Questo modo di lavorare, inoltre, ha dimostrato che se unito con altri metodi che vedremo più avanti non solo è in grado di eguagliare i numeri pre-smart working ma addirittura di superarli!
Secondo diversi studi lo smart working porterebbe ad aumenti del 10% nella produttività, che sarebbe già di per se un buon risultato ma non finisce qui perché nelle aziende che hanno adottato questo modello è stato dimostrato come il controllo sul
lavoro dei dipendenti sia più monitorabile (+8%) e come per il dipendente sia più facile interfacciarsi con il proprio responsabi le, diminuendo il “timore” nei confronti di quest’ultimo del 18%, portandolo quindi a sentirsi più libero di proporre nuove idee o avviare nuovi progetti.
Infine non possiamo non nominare il fattore ambientale che diventa sempre più importante: Uno studio ci informa che col lavoro da remoto ogni persona arriverebbe a risparmiare 450kg di CO2 l’anno, che possono sembrare pochi ma, se li moltiplicassi mo per il numero di persone attualmente in smart arriveremmo a 1.500.000 tonnellate di CO2 risparmiate all’anno pari all’assorbi mento di una superficie boschiva grande 8 volte Milano!
Abbiamo appurato che lo smart working è un’ottima miglioria per un’azienda, ma deve essere integrata con altre innovazioni per esprimere il suo massimo potenziale, una di queste potrebbe es sere il lavoro ad obiettivi, che non si basa più sugli orari di lavoro, ma sul completamento di obiettivi e micro-obiettivi.
Ma facciamo un esempio così da capire meglio il concetto: Il no stro obiettivo è quello di costruire una casa, con il lavoro ad orari, io ogni giorno lavorerò un determinato numero di ore e, indipen dentemente da quanto lavoro avrò svolto, finite quelle ore, rice verò una paga ed andrò a casa. Questo si traduce in una minore efficienza, non per pigrizia ma per la mancanza di motivazione a finire quel lavoro nel minor tempo possibile.
Invece, se noi decidessimo di lavorare per obiettivi, dovremmo dividere il proposito principale in tanti micro-traguardi: Fonda menta, Struttura, Infissi, Collegamenti ognuno dei quali avrà un tempo massimo da non sforare. Così facendo il lavoratore sarà invogliato a terminare il compito nel minor tempo possibile così da avere più tempo per sé (che si traduce in un dipendente più
felice e quindi più efficiente) anche perché se si implementa an che un “premio” al termine di ogni sotto-progetto e progetto il lavoratore sarà ancora più invogliato ad iniziarne un altro! Questo metodo garantisce risultati per l’azienda e più gratificazione per il dipendente.
Ovviamente questo tipo di lavoro non ha sempre gli effetti desi derati, è un modello nuovo che necessita di grandi capacità or ganizzative. Ma è un modello che le grandi aziende adoperano perché appunto si è dimostrato uno dei modelli più efficaci. Un’alternativa al lavoro per obiettivi può essere l’autogestione del lavoro dove il dipendente mantiene comunque le 8 ore gior naliere ma può decidere come farle: ovviamente le modalità e la flessibilità spettano all’azienda ma anche questo modello ha dimostrato un netto miglioramento delle prestazioni lavorative e dell’umore generale. Ovviamente questo si lega molto bene al concetto dello smart working ma non solo. Con lo smart working trova particolare affinità proprio per la sua natura più libera che permette al lavoratore di vivere al meglio la sua giornata lavora tiva e privata ma anche in un ambiente di lavoro più tradizionale trova una buona collocazione. Questo modello tra le sue varianti vede anche quello della setti mana breve, che permette ai lavoratori di lavorare 9 ore al giorno per quattro giorni a settimana (36 ore in totale) a parità di paga. La settimana breve ormai è diffusissima in tutta Europa ed ha ri sultati interessanti sulla produttività: a fronte di una diminuzione delle ore del lavoro fino al 20% si sono registrati aumenti nel la produttività dal 10 al 40 percento! D’altronde non è nulla di nuovo: In Italia abbiamo avuto l’onore di ospitare una delle più grandi aziende innovatrici in questo ambito nonché una delle più grandi imprese d’Europa all’epoca. Loro compresero che un lavoratore felice è un lavoratore che produce abbassarono le ore di lavoro e il numero di giorni lavorativi settimana, il risultato? Questa divenne una delle più grandi imprese al mondo nel suo settore con un primato assoluto in Europa e nell’America del sud, anche negli Stati Uniti ebbe un enorme successo nonostante la concorrenza fosse delle più agguerrite!
Al nostro modo di lavorare però si stanno aggiungendo anche molte altre novità: tra tutte le innovazioni tecnologiche che negli ultimi anni hanno fatto passi da gigante. Basti pensare ai robot tuttofare che entro pochi anni, si spera, potranno essere tanto avanzati da sostituirci in molti ambiti. Probabilmente i lavori più stressanti e pericolosi saranno sostituiti da macchine ben più pre stanti ed economiche. Non solo robot però, il mondo si muove sempre più verso la tecnologia ormai abbiamo IA che gestiscono il traffico aereo e ferroviario, altre che si occupano di monitorare le condizioni vitali dei pazienti o altre ancora che gestiscono le spedizioni di pacchi tutto con una percentuale di errore infinitesi male rispetto ad un umano.
Pensiamo per esempio alle auto con guida autonoma. Se tutte le auto fossero a guida autonoma avremmo un numero limitatissi mo di incidenti ed ingorghi che sarebbero perlopiù dovuti a pro blemi di natura diversa dalla guida in sé. Inoltre, se tutte le auto potessero “comunicare” tra loro anche il traffico cittadino sarebbe limitato al minimo perché si andrebbe ad evitare l’errore umano. L’avvento di queste tecnologie sta poi generando nuovi lavori e nuovi metodi di lavoro, da qualche tempo ormai è possibile re carsi in un ufficio virtuale comodamente seduti sul divano di casa grazie ai visori in realtà virtuale. In questo momento storico stiamo davvero assistendo ad alcune delle più grandi innovazioni mai viste talvolta possono apparire bizzarre talvolta addirittura controproducenti ma ricordiamoci che per quanto noi possiamo pensare di avere una verità non potre mo che vedere il mondo attraverso i nostri occhi ma esistono dati, che ci dimostrano che non sempre i nostri occhi ci dicono il vero. Nella società odierna bisogna sapersi mettere in discussione per ché è lecito essere dubbiosi o addirittura contrari a qualcosa ma è necessario cercare di comprenderla a pieno prima di rifiutarla perché altrimenti ci si ritrova a far parte del passato in un’epoca in cui addirittura vivere nel presente sembra non essere abbastanza.
Italia peggiora in tema di sostenibilità ambientale e so ciale. È quanto emerso dal Rapporto annuale dell’ASviS 2022, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, presentato nella giornata inaugurale del Festival dello sviluppo sostenibile.
Il documento elabora 33 diversi indicatori di sostenibilità e met te a confronto la situazione dell’Italia e dell’Unione Europea dal 2019 al 2021, gli anni ante e post pandemia da Covid-19, che ha sconvolto tutti i trend statistici mondiali.
Il nostro Paese rallenta la corsa verso una sostenibilità a tutto ton do, e verso gli impegni presi in ambito internazionale, i famosi obiettivi dell’Agenda 2030. La pandemia, il conflitto in Ucraina e gli eventi climatici estremi hanno frenato una tendenza positiva, mettendo un freno ai grandi progressi avvenuti dal 2010 in poi, in molti obiettivi quali l’accesso a una corretta alimentazione a un’agricoltura più sostenibile, la salute, educazione, uguaglianza di genere, sostenibilità del sistema energetico, innovazione, con sumo e produzione responsabili e lotta ai cambiamenti climatici. In particolare, dal Rapporto 2022 “L’Italia e gli Obiettivi di Svilup po Sostenibile”, l’Italia ha registrato nell’ultimo biennio dei passi in avanti per solo due Goal - nello specifico, il 7 e l’8 -, mentre per il 2 e il 13 viene confermato il livello del 2019. Per tutti i restanti Goal dell’Agenda 2030 (1, 3, 4, 5, 6, 9, 10, 15, 16 e 17), la situa zione odierna appare al di sotto di quella del 2019, a conferma del fatto che non abbiamo ancora superato gli effetti negativi causati dalla pandemia.
Il Rapporto, inoltre, mette in evidenza le difficoltà che il nostro Paese sta affrontando nel raggiungere gli accordi dell’Agenda
2030. Una situazione d’allarme, ribadendo che il tempo a nostra disposizione per l’attuazione e il raggiungimento degli accordi internazionali, sta quasi per finire.
Emerge, insomma, uno scenario in peggioramento e la necessità di un maggiore impegno per accelerare la transizione del nostro Paese verso un modello di sviluppo sostenibile coerente con l’impegno assunto nel 2015 da tutti i 193 Paesi dell’Onu con la sottoscrizione dell’Agenda 2030.
Educare alla sostenibilità sembra ancora il punto di partenza per noi italiani. E per combattere questa situazione d’allarme sono state proposte, dell’ASviS stessa, ”Dieci idee per un’Italia sosteni bile”. Nel decalogo, in sintesi, emerge la necessità di: assicurare la coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile; disegnare il futuro partendo dal presente; promuovere giustizia, trasparen za e responsabilità; integrare la sostenibilità nel funzionamento del Parlamento; rendere più sostenibili ed equi i territori; impe gnarsi per la giusta transizione ecologica; ridurre tutte le disu guaglianze; non lasciare indietro nessuno; tutelare la salute con un approccio integrato; garantire diritti e pace, rafforzare coope razione e democrazia. Tali contenuti sono stati promossi anche tramite una campagna di sensibilizzazione con una raccolta firme su Change.org
Leggere “fa bene”: lo sostengono da sempre le insegnanti, scrittori, filosofi, psicologi, e chiunque coltivi la passione per la lettura, ma non sempre ci soffermiamo sugli specifici benefici della stessa.
Numerosi studi hanno dimostrato che leggere stimola la mente, riduce lo stress, migliora le conoscenze, espande il vocabolario, migliora la memoria, rende più forte la capacità analitica del pen siero, migliora il livello di attenzione e di concentrazione, miglio ra le abilità di scrittura.
A partire dai dimostrati benefici della lettura nasce la bibliotera pia, che utilizza il potenziale delle storie, dei racconti, appunto della lettura.
Al di là del termine che ha iniziato ad essere usato all’inizio del secolo scorso (per la prima volta dal teologo americano Samuel Crothers nel 1916), la biblioterapia è sempre esistita: sembra che, in antico Egitto, sulla porta della biblioteca di Alessandria, ci fosse scritto “ospedale dell’anima”.
Aristotele, nel trattato Poetica, elabora il concetto di catarsi: l’uo mo, assistendo ad uno spettacolo teatrale, si immedesima com pletamente nei personaggi vivendone stesse emozioni ed espe rienze. L’ imitazione del reale consente di innescare un processo di liberazione dalle proprie passioni. Il concetto di biblioterapia è lo stesso: immergersi in una esperienza imitativa e quindi ap prendere e comprendere tale esperienza.
La lettura dei libri, infatti, può avere un’influenza positiva sui sen timenti, aiutando le persone a riconoscere aspetti della propria personalità, a gestire problemi di natura psichica o a prevenirli. Infatti, è proprio dalla dinamica interazione tra libro e lettore che emerge spesso una prospettiva positiva nell’affrontare il proble
ma che si manifesta nel presente.
La biblioterapia può essere praticata in completa autonomia o con l’aiuto di un facilitatore (psicologo/psicoterapeuta). Si può scegliere, quindi, di fare esperienze di lettura traendo libera ispi razione in base al momento di vita in cui si è e in base alla curiosi tà o attrattiva che un dato libro in quel momento ci suscita, oppu re di affidarsi ad un esperto di benessere e della salute mentale per approcciare ad un percorso di biblioterapia più strutturato, costruito sulle esigenze peculiari della singola persona.
La lettura fa comunque parte della nostra crescita formativa, cul turale e psicologica rappresentando una risorsa in tutto il ciclo della vita.
Nell’infanzia, ascoltare una favola favorisce processi di crescita ed apprendimento sia sul piano cognitivo che emozionale e favori sce l’acquisizione di regole sociali, ruoli e norme.
Nella fase adolescenziale l’intreccio delle relazioni con gli altri protagonisti del libro contribuisce alla costruzione della propria identità e delle relazioni sociali, a stimolare la ricerca della com plessità interiore e lo sviluppo di capacità critiche e riflessive. Nella fase adulta può essere valido aiuto per elaborare situazioni che si presentano nella quotidianità e nella fase della vecchiaia il libro può riempire gli spazi di solitudine, può stimolare le funzio ni mnemoniche, può riempire un tempo che diventa improvvisa mente vuoto, con pochi impegni e in molti casi con pochi affetti. Leggere un libro apre la nostra mente: ci porta ad assumere una prospettiva nuova, ad elaborare il nostro vissuto attraverso altre vite e storie.
I passaggi principali sono tre: • identifichiamo in quello che leggiamo riconoscendo nei per sonaggi e nelle vicende narrate qualcosa che nel bene e/o male ci appartiene;
L’
identificazione ci porta a provare emozioni reali, quasi come fossimo anche noi partecipi della storia;
• Da questo processo di identificazione usciamo arricchiti di un nuovo punto di vista, con una consapevolezza in più su noi stessi.
Le chiavi sono infinite e non elencabili o etichettabili e differenti in base alla fase della vita in cui siamo: una situazione per noi problematica viene raccontata con ironia e impariamo così a ride re un po’ di noi stessi relativizzando quello che poteva sembrare un problema irrisolvibile, vediamo rispecchiate le nostre zone d’ombra e questo ci aiuta ad accettare aspetti della nostra perso nalità che magari non amiamo particolarmente, c’è un conflitto che esiste anche nella nostra vita ed il romanzo ci suggerisce una possibile soluzione, il poter fronteggiare gli ostacoli in un modo nuovo e diverso da quello cui si era abituati in precedenza.… In sintesi, un libro non offre mai un’unica direzione percorribile, ma ne nasconde infinite: tutto dipende dagli occhi e dallo stato d’animo di chi lo legge e in che momento della tua vita sei. A tal proposito, una piccola curiosità, è che a Firenze è stata aperta la “Piccola Farmacia Letteraria”, un luogo in cui puoi trovare il libro adatto alla situazione che stai vivendo. Su ogni libro trovi un car tellino colorato facendo ogni colore riferimento ad un problema specifico.
Porto quattro esempi di biblioterapia, il primo si basa su un libro che amo particolarmente gli altri su tre libri che fanno parte della cultura popolare, difficilmente non letti sui banchi di scuola o per propria curiosità:
Elisabeth Bennet ed il Signor Darcy sono tra le coppie più famose della storia con il loro amore moderno, nonostante sia ambien tato nella campagna inglese tra la fine del 1700 ed inizio 1800. Il Signor Darcy è un uomo ricco, chiuso e scorbutico mentre lei è una giovane di famiglia più modesta, non bellissima, intelligente e di carattere. Elisabeth all’ inizio lo respinge, non lo tratta mai con compiacenza ed alla fine, conoscendolo, se ne innamora. Elisabeth è un modello di donna anche a distanza di secoli: non è dominata o sottomessa da un uomo e non è influenzata dal fatto che sia più ricco o affascinante di lei…potrebbe insegnare molto sull’ innamoramento e sui rapporti uomo-donna.
La fortezza Bastiani, dove Giovanni Drogo trascorrerà il resto della vita, è un avamposto militare dove si aspetta che i Tartari tornino a minacciare i confini e nell’ attesa i giorni passano sempre uguali, scanditi dai tempi della vita militare. Giovanni Drogo rimane fermo lì, nell’ attesa di quell’ evento che non si concretizza mai. Questo romanzo parla del tempo che pas sa, di come una vita intera possa trascorrere inchiodati alla nostra routine quotidiana. L’ interrogativo che ci poniamo è quindi: vo gliamo consumare la nostra vita in attesa di quell’ evento che ci farà sentire realizzati? O il senso della vita lo troviamo nunc et ora? Il tempo resta inafferrabile: è il nostro bene più prezioso ma spesso più mal gestito.
Dalla lettura del testo emergono molte dinamiche psicologiche,
il libro è molto ricco di metafore ed è scritto con linguaggio sem plice e lineare. La storia del pilota che a causa di un incidente con l’aeroplano si ritrova nel deserto è la storia di molte persone che si smarriscono per i cambiamenti imposti dalle fasi evolutive o per un evento tragico che improvvisamente impatta sulle loro vite, trasformandole. Il dolore e la paura impediscono al protago nista, e a coloro che stanno soffrendo, di vedere il problema da prospettive diverse.
Le frustrazioni del pilota sono le frustrazioni di molti adulti che crescendo hanno rinunciato ai sogni disimparando ad ascoltare se stessi e gli altri e a vedere con gli occhi del cuore; l’incontro che il protagonista fa nel deserto con il Piccolo Principe è l’incontro che ogni adulto dovrebbe fare con il bambino che è stato, con quella parte infantile che ci permette di riappropriarci di senti menti puri e semplici perché “Tutti i grandi sono stati bambini una volta, ma pochi di essi se ne ricordano”.
Gli uomini che il Piccolo Principe incontra nel suo pellegrinaggio sono uomini che hanno smarrito i sentimenti semplici e puri so stituendoli con legami fittizi, ritrovandosi soli nel deserto e soli anche con gli uomini; lo smarrimento degli uomini del romanzo è lo smarrimento che leggiamo nello sguardo di coloro continua mente in viaggio con «il vento che li spinge qua e là» per paura di rimanere fermi e pensare, impauriti e non così forti per attra versare il dolore.
Il “Piccolo Principe” è un libro per affrontare il deserto che ognu no di noi a volte costruisce intorno a sé.
Le memorie di Zeno Cosini vengono narrate dal suo analista per vendetta, deluso che il paziente si sia sottratto alle cure proprio quando iniziavano a mostrarsi i primi risultati. Zeno, con le sue inadeguatezze ed incapacità di smettere di fumare, ci insegna che a volte dobbiamo imparare ad accettarci come siamo, smet tendoci di farci condizionare da chi ci dice che siamo sbagliati; quel sentimento di inadeguatezza che talvolta mina la nostra possibilità di essere felici, spesso è immotivato.
Ogni libro letto o suggerito può generare un esempio di iden tificazione o messaggio “biblioterapeutico; potrei sintetizzare il concetto di biblioterapia con un inciso di Petrarca: “Interrogo i libri e mi rispondono. E parlano e cantano per me: alcuni mi portano il riso sulle labbra o la consolazione nel cuore. Altri mi insegnano a conoscere me stesso.”
Le criptovalute che per molti sono sinonimo di fiorenti op portunità finanziarie, nascondono altrettante insidie per gli inve stitori neofiti che pagano a caro prezzo la scelta inconsapevole di avvicinarsi a questo mondo totalmente impreparati. Nel mare magnum delle cryptocurrency, infatti, sono numerosissime le truffe che ogni giorno invadono il web. A livello statistico, nei 14 mesi tra gennaio 2021 e marzo 2022, secondo le rilevazioni effettuate dalla Federal Trade Commission statunitense, sono state commesse “crypto-truffe” per un valore economico complessivo superiore al miliardo di dollari. Questo dato risulta essere ancora più allarmante e incisivo considerando che la stessa analisi ha osservato che le segnalazioni di truffa ef fettuate dagli utenti sono state circa 46 mila, ma solamente il 5% delle vittime si stima abbiano denunciato il furto subito e, pertan to, risulta essere un valore da misurare per difetto. La diffusione dell’utilizzo dei social network, unitamente alla loro interfaccia spiccatamente user friendly, ha fatto di essi il terreno fertile nel quale i truffatori posso coltivare le proprie attività illeci te, ingannando gli utenti da poco esperti e, solitamente, neoen trati nel mondo delle criptovalute.
Proprio in tali luoghi virtuali si sono sviluppati i metodi truffaldini più efficaci, attraverso i quali – letteralmente ogni secondo – ven gono sottratte migliaia di criptovalute agli utenti più incauti. Uno dei metodi ingannevoli più utilizzati è, infatti, il Giveaway promosso sui social network. Si tratta di una sorta di “concorso a premi” nel quale, a chiunque partecipa, viene promesso l’otteni mento di un “regalo/ricompensa”. Questo metodo ha uno schema ben delineato: il promotore, spacciandosi per un famigerato ope ratore finanziario - molte volte sfruttando anche l’identità reale di soggetti molto blasonati nel panorama delle criptovalute - pro pone agli utenti di inviare, ad esempio, 0,1 BTC (Bitcoin) ad uno specifico indirizzo, in cambio della promessa di riceverne indietro da 1 a 20, ovvero dieci volte tanto. Tutto ciò accompagnato da una fattiva pressione che viene insinuata nella vittima, attraverso l’u tilizzo di un countdown in rapida conclusione, che fornisce poco
tempo all’utente per decidere.
La realtà dei fatti regala a volte anche delle metodologie di truffa che hanno – all’apparenza - quasi del ridicolo, proprio come acca duto nel 2020 nell’ambito della nota truffa legata all’improbabile Giveaway di Bitcoin proposto apparentemente da Elon Musk su Twitter. Il promotore, in questo caso, millantando di essere pro prio il CEO di Tesla e di SpaceX, scriveva che per celebrare il suc cesso del lancio Tesla Model S Performance aveva deciso di fare qualcosa di speciale, ovvero il più grande giveaway di Bitcoin al mondo, invitando gli utenti ad inviare 5 BTC o 100 ETH per otte nere in premio la vettura Tesla. Sebbene, come in questo caso, sembra molto facile avvedersi della truffa date le circostanze, molte persone hanno effettivamente effettuato quei versamenti in Bitcoin o Ethereum perché convinte che a proporgli quell’occa sione di investimento fosse realmente il sig. Musk. Ciò è stato di fatto possibile poiché il truffatore ha utilizzato un handle Twitter molto simile a quello reale di Elon Musk, ovvero quella stringa che identifica ogni profilo di tale social network (in questo caso, il vero handle è il seguente: https://twitter.com/elonmusk)
Cambiando social network, possiamo osservare diverse metodo logie di truffa che, però, hanno il medesimo obiettivo criminoso. Nell’ambito delle criptovalute, infatti, accade molto spesso che, all’interno dei gruppi Telegram che trattano di criptovalute, un utente segnali un problema relativo alla piattaforma di investi mento o al proprio wallet virtuale e un altro soggetto utente, spacciandosi per il “supporto clienti”, sottragga occultamente le informazioni personali e la frase seed - solitamente composta da una stringa casuale di 12 parole, ma possono essere anche 18 o 24 - così accedendo indisturbatamente al wallet crypto altrui.
La più diffusa tecnica di truffa nell’ambito delle criptovalute rima ne comunque il Phishing, ovvero la captazione di dati significativi nel rapporto tra utenti, mediante l’abusivo inserimento nel siste ma informatico della vittima. Questa tecnica è attuabile a diversi
• Mediante il semplice invio di e-mail, oppure di link che ri mandando a siti clone, dirette alle vittime al preciso scopo di disporre operazione in favore degli autori del fatto.
• Maggiormente insidioso e rilevabile dall’utente è il Phishing effettuato attraverso l’impiego di software autoinstallanti (come i cd. Trojan Horse) capaci di registrare e trasmettere occultamente i dati mentre l’utente usa il PC o lo smartpho ne. Di fatto, in questo caso, il soggetto truffato, cliccando un link dannoso inviato appositamente dal truffatore professio nista, autorizza il download di un programma (o di un App) all’apparenza invisibile, ma che riesce a svelare alcuni dati crittografati, come quelli necessari per accedere ai wallet contenenti cryptovalute.
Molto diffuse e parimenti difficili da individuare sono le App mobile contraffatte, ovvero quelle applicazioni dannose per lo smartphone, all’apparenza mascherate da importanti compagnie crypto, ma progettate appositamente per truffare le vittime, sot traendogli le criptovalute possedute nei loro wallet digitali. Que sta metodologia di truffa ha spesso coinvolto anche gli investitori più accorti, poiché in alcuni casi possono essere scaricate diretta mente dagli store ufficiali messi a disposizione da Apple e Goo gle. Nel 2021, sul noto store presente in tutti i dispositivi Android, sono state scovate ben 8 applicazioni (tra le quali, ad esempio, Crypto Holic – Bitcoin Cloud Mining) che ingannavano le vittime facendole guardare annunci pubblicitari, pagare per servizi in ab bonamento con tariffe mensili da $ 12,99, convincendole di stare effettivamente guadagnando criptovalute, ma senza poi di fatto ottenere mai nulla in cambio. Allo stesso modo, seppur attinente ad una tecnica di truffa ormai consueta e già sperimentata in altri settori economico-finanziari, il noto Schema Ponzi conserva ancora una notevole attrattività per i truffatori che, attraverso un consolidato sistema di truffa, promettono lauti guadagni ai potenziali investitori a condizione che questi ultimi reclutino a loro volta altri investitori. Tuttavia, si tratta di un’evidente truffa giacché il flusso di denaro che sorreg ge l’intero schema è alimentato unicamente dai soldi dei nuovi investitori e, pertanto, non appena non si riescono più a sostene re i pagamenti agli investitori più “vecchi”, mancando gli investi menti in entrata, la truffa collassa. Similarmente, gli Schemi a Piramide promettono rendimenti in genti in cambio del reclutamento di nuovi membri. In cima alla piramide si trova l’organizzatore dello Schema che recluta un cer to numero di persone, le quali – a loro volta – reclutano altre per sone, e così via. Il risultato è un’enorme struttura ramificata che, a causa della crescita esponenziale direttamente proporzionale all’aumento dei livelli della piramide, non può essere sostenu ta finanziariamente nel lungo periodo. Molti sistemi piramidali, infatti, hanno una durata molto breve condizionata dalla velocità con cui i partecipanti richiedono i guadagni promessi, derivanti esclusivamente dell’entrata di nuovi utenti e non scaturenti da un’attività economica reale. Nonostante ormai siano noti i meccanismi e i cd. red flag sottesi allo schema ideato dall’italiano Charles Ponzi, nonché ai più sva riati sistemi piramidali, nel 2015 è stato fondato un progetto cryp to, chiamato OneCoin che, proprio attraverso l’attuazione di uno schema piramidale, è stato in grado di truffare milioni di persone.
La crypto OneCoin, nata apparentemente con l’audace obiettivo di superare Bitcoin, di fatto si è rivelata una cd. scamcoin, ovvero una criptovaluta priva di valore intrinseco, creata con il solo fine, appunto, di truffare gli investitori. Il disegno criminoso è stato attuato attraverso un perfetto camuf famento della sua promotrice, Ruja Ignatova, che millantando di aver studiato alla prestigiosa Università di Oxford ed aver lavorato per la società McKinsey, nonché lanciando il progetto OneCoin in grande stile con eventi spettacolari che coinvolsero miglia di persone (nel luglio 2016, un evento di OneCoin si svolse anche alla Wembley Arena) tanto che la portarono ad ottenere la coper tina di Forbes, riuscì a far crescere il progetto OneCoin fino a farlo diventare un fenomeno mondiale, truffando così diversi milioni di persone. L’immenso progetto di truffa che prometteva un gua dagno garantito di ben 3 milioni di euro, a fronte di un investi mento minimo di 140 euro fino ad un massimo di 27.530 euro, infatti, poi si è rivelato essere tale, posto che la criptomoneta così tanto pubblicizzata esisteva solo sulla carta, non possedeva una sua blockchain e non esistevano minatori.
I professionisti che operano nel mondo delle criptovalute già da tempo si sono muniti di strumenti utili alla prevenzione e all’i dentificazione degli schemi di truffa più utilizzati in questo setto re, proprio al fine di evitare di esporsi eccessivamente al rischio di subire un depauperamento del loro portafoglio. Oltre ad una notevole conoscenza della criptovaluta che si sta acquistando, l’investitore, in particolar modo se alle prime armi, deve mettere in atto alcuni accorgimenti che gli permettano di stare alla larga da possibili truffe. Più specificatamente, è oppor tuno che controlli sempre l’URL dei siti web che sta visitando e sui quali intende fare operazioni monetarie, verifichi come sono state distribuite le monete/token, si accerti di quale sia il punto forte del progetto crypto e controlli il curriculum, ove possibile, di chi sta lavorando al progetto.
La mancata adozione di tali accorgimenti potrà, al contrario, com portare l’ulteriore rischio che l’investitore prenda parte ad un pro getto di una determinata criptovaluta, investendo buona parte dei suoi risparmi, senza accorgersi per un notevole lasso di tempo di essere stato truffato, proprio come nel citato caso di OneCoin.
Il titolo che volutamente ho voluto dare alla rubrica per questo numero, mi riporta alla mente uno dei migliori film, spaghetti western, di Sergio Leone. Un titolo che, di primo acchito, poco si presta per meglio raffigurare gli aspetti legati alla sostenibilità ambientale, ma che, con un gioco lessicale di fantasia, potrebbe invece aiutarmi ad esprimere al meglio alcuni concetti ad essa riferiti. Partiamo innanzitutto da questo: il film uscì su tutti gli schermi cinematografici nell’autunno del 1966. Un anno crucia le per le trasformazioni delle sensibilità verso i problemi della salvaguardia della natura. Incominciamo dal “brutto”. In Italia si verificarono, nel corso dei mesi, tre gravissime alluvioni: Trenti no, Firenze e Venezia. Catastrofi gigantesche, che costarono vite umane, la rovina dei monumenti, lo stravolgimento delle infra strutture, la perdita di reperti storici, la distruzione di attività di ogni genere, la disperazione e la paura. Poi arrivò il “cattivo”. Fu rono costruite, sempre in quell’anno, duecento villette nel Parco d’Abruzzo, alla faccia dei più elementari vincoli paesaggistici. Un parco, attrezzato tra il 1947 ed il 1951, che risultava essere il pri mo del suo genere nel territorio Italiano, profanato nella maniera più palese. Erano sempre gli anni in cui, chi uccideva un lupo o una volpe, non solo non veniva multato e legalmente perseguito, ma veniva premiato. L’economia nazionale verteva soprattutto sul settore dell’agricoltura, della pastorizia e della zootecnica. I lupi e le volpi facevano razzia di animali, sia ogni qual volta si avvici navano ad una azienda agricola, sia quando incrociavano le loro vittime lasciate allo stato brado. Il cacciatore che abbatteva uno di questi predatori, lo appendeva ad un bastone, se lo caricava sulle spalle, ed iniziava a fare il giro dei casolari, per ricevere in cambio: uova, formaggio, salumi. Alla fine del giro, il sacco dei doni riconoscenti, pesava molto di più del povero lupo o della spelacchiata volpe. Al momento della emanazione di una appo sita legge di tutela, in Italia erano sopravvissuti soltanto un centi naio di lupi. Di volpi ce n’erano di più, ma venivano conteggiate anche le persone! Poi, sempre per quanto riguarda la sostenibi lità e la salvaguardia della natura, eccoti spuntare il “buono”. Un gruppo di borghesi illuminati, guidati da Fulco Pratesi, diede vita ad una Associazione con finalità ambientalistiche: si chiamava WWF. Iniziarono a scrivere di ecologia sui maggiori quotidiani nazionali. Si accorsero però che tra i lettori adulti, cristallizzati nelle loro durature abitudini e credenze, non riscuotevano tanto successo. Dovevano quindi stimolare la sensibilità partendo da
chi stava ancora nella fascia dell’adolescenza, al fine di inculcare le ragioni ambientali. Cosa si inventarono? Una bella rubrica su due periodici a larga diffusione: Topolino ed il Corriere dei Piccoli. Di necessità virtù! L’Associazione fu pioniera nel proporre anche le Oasi naturalistiche, la prima delle quali, vide la luce nel 1968 intorno al lago di Burano. A dir la verità nel nostro Paese esisteva no già due entità associative che trattavano di ambiente, ma non erano mirate alla sostenibilità, intesa come la intendiamo oggi. In Trentino operava la Societè de la Flore Valdotaine, guidata da Renzo Videsott, che aveva dato vita al Movimento Italiano per la Protezione della Natura. Non decollò perché di italiano aveva solo il nome, essendo operativa in uno stretto territorio. Poi c’era Italia Nostra, fondata a Roma nel 1955, ma che difendeva solo i valo ri storici e culturali, e non anche quelli ambientali. Più tardi, fra gli anni settanta ed ottanta, arriveranno gli Amici della Terra, la Lega Ambiente e Greenpeace italiana. Le prime campagne per la salvaguardia della sostenibilità ambientale, vennero incentrate contro l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, facendo focus su due elementi da combattere: i componenti biodegradabili dei saponi e l’emissione dei veicoli a motore. Ed ecco riapparire di nuovo il “brutto”, ovvero il comparto economico imprenditoriale, che stava invece proteso verso un entusiasmante sviluppo industriale fuori da ogni previsione e controllo. Passo, passo, lo seguiva anche il “cattivo”, vestito dall’incontrollabile entusiasmo della gente che assaporava, dopo anni di sacrifici e rinunce, il gusto del boom economico degli anni sessanta, con buona pace dei fattori inqui nanti. Non solo, ma a peggiorare la situazione ambientale, arri varono anche le iniziative dei sostenitori del benessere ad ogni costo, che portarono ad una selvaggia e non sempre controllata urbanizzazione delle periferie cittadine. Erano gli anni durante i quali, per esempio, i palazzi multipiano invadevano le aree verdi a ridosso dei centri storici, diventate zone Peep o di edilizia resi denziale pubblica. Tre sciagure ambientalistiche diedero però un forte scossone alle coscienze umane. L’affondamento della super petroliera Amoco Codiz e, soprattutto, l’esplosione della Centrale nucleare di Cernobyl. Coscienze scosse più dalla paura, che dalla vera cognizione di causa o dalla consapevolezza. Si incominciò a parlare di buco dell’ozono, di futuro dei figli minato e quello dei nipoti compromesso. Iniziava a riapparire il “buono”. La crescita delle coscienze portò alla riflessione polito-sociale ed alla biodi versità. Man mano che il legislatore prendeva atto del problema
della sostenibilità ambientale, diminuiva di riflesso l’influenza e lo sviluppo esponenziale delle associazioni ambientalistiche. Quello che prima era un puro attivismo, stava trasformandosi in pressione politica. Tant’è che si arrivò, nel 1982, a dar vita anche alla prima Università Verde, in quel di Mestre, per l’alfabetizza zione delle tematiche ambientali. Molti ricorderanno nel 1988 il passaggio nelle principali stazioni italiane del suggestivo Treno Verde, con i suoi variopinti colori, i tanti messaggi cartacei lan ciati dai finestrini, le sensibilizzazioni sonore, la frenesia che lo accompagnava all’arrivo e lo strascico di consapevolezza che la sciava alla partenza. Oggi il livello di discussione si è internazio nalizzato, adeguandosi a quel valore della globalità totale, che fa della forza dell’insieme l’unico sistema per poter combattere l’inquinamento nelle sue varie sfaccettature. Tanti trattati che det
tano impegni e scadenze, poi sistematicamente disattese. Tanti ri pensamenti e buoni propositi, poi caduti nel cassetto del dimen ticatoio. E qualcuno più sensibile ed accordo, potrebbe chiedersi: ma perché questo accade? Perché, detto tra noi, da che mondo è mondo, esisteranno sempre e comunque: il buono, il brutto e il cattivo!
Eccoci giunti nel bimestre che tratta due segni molto chiacchierati dello zodiaco: stiamo parlando di Scorpione e Sagittario, rispettivamente segni d’acqua e di fuoco. Nonostante le loro diversità, premettiamo che in realtà questi due segni tendono, incredibilmente, ad andare d’accordo. Tra di essi vi è un buon cameratismo, una stima reciproca. Essendo entrambi segni dal carattere forte, nessuno dei due si lascia sottomettere dall’altro, ma è anche vero che, a causa appunto del rispetto reciproco che vi è tra loro, nessuno dei due tenta neppure di dominare l’altro. Si potrebbe dire che si tratta del rarissimo caso di due galli nello stesso pollaio. In sintesi, il rapporto tra questi due segni sarà un continuo assestamento di equilibrio tra due animi “focosi” e vigerà la pace, addirittura l’alleanza, fino a che uno dei due non dovesse decidere, disgraziatamente, di imporsi sull’altro. In quel caso: si salvi chi può. Vediamo ora però separatamente queste due affascinanti personalità dello zodiaco.
Eccoci a trattare di quello che forse è il segno più malfamato dello zodiaco, tendenzialmente oggetto di battute e pregiudizi. Dinanzi alla frase «Sai, sono dello Scorpione», nessuno tende infatti a reagire bene. Dipinti generalmente come vendicativi, distruttivi, passionali e un po’ sadici, c’è in realtà molto di più. Innanzitutto, si tratta del segno del dubbio. Essi non cessano mai di fare domande agli altri così come a se stessi, amano indagare, andare a fondo nelle cose, e adorano quando qualcuno lo fa con loro. Il più fondamentale dei bisogni dello Scorpione è infatti quello del confronto. Non è un segno fatto per la solitudine, tutt’altro.
Oltre al dubbio però, si può parlare anche di una sorta di tendenza all’ auto sabotaggio. «Perché fare le cose semplici quando le si può complicare, rendendole molto più interessanti?
La vita è talmente più affascinante quando sgorga di passione, movimento e furore!». Tutti i nati sotto il segno dello Scorpione fanno pensieri del genere, non lo si può negare. Questo segno tormentato è infatti governato dall’estremismo, allergico ai sentimenti tiepidi, ai lavori noiosi e alla vita piatta. Gli ostacoli lo stimolano, l’iperattività è insita nel suo essere, la pigrizia è sua nemica giurata. In assenza di stimoli continui, lo Scorpione si annoia. E lui la noia proprio non l’accetta, non può durare. Ecco allora che decide di trovare una soluzione tutta sua e mette della dinamite nella torta di compleanno. BOOM. Ha raggiunto il suo scopo: distruggere ciò che gli sembrava insopportabile, distruggere il piatto, il noioso, l’apatico, per creare qualcosa di nuovo, dinamico, passionale, vertiginoso. In ogni epoca della vita umana ci sono stati dei personaggi capaci di ribaltare vecchi dogmi, mutare le convinzioni, cambiare la moda. Avete presente Lutero, Picasso, Maometto o de Gaulle? Erano tutti Scorpioni. Quindi sì, lo Scorpione distrugge, ma lo fa per creare qualcosa di nuovo, di migliore. Certo, vi è da dire che questa loro tendenza in certi casi confina con il genio, mentre in altri con i rompiscatole. Sicuramente rapportarsi con uno Scorpione non è facile, questo va detto. La sua tendenza ad esasperare ogni situazione, così come ogni sentimento, può essere una sfida non indifferente, specie se si considera che siamo di fronte al maestro del rancore: non dimentica mai una cattiveria gratuita ed al momento propizio, potete starne certi, la restituirà con gli interessi. C’è però un punto debole in questo “macabro” esponente dello zodiaco: la sua sensibilità. È infatti proprio a causa di quest’ultima che lo Scorpione si circonda di così tanta penombra. Quando qualcuno riesce ad arrivare a scoprire la sua vera essenza, eccolo allora diventare uno Scorpione di peluche, gentile, disponibile, affettuoso, solare e pieno di attenzioni da dare, pronto a condividere ogni cosa – ed a fare qualsiasi cosa – per chi ha meritato la sua fiducia. L’estremismo dello scorpione è quindi sia un male che un bene, dipende dalle circostanze: se vi ama, vi amerà con tutto se stesso senza esitazioni; se vi odia, beh… meglio cambiare argomento. Veniamo dunque alle preferenze culinarie. Da buon amante del mistero è intrigato da piatti “a sorpresa”, come ad esempio verdure ripiene, fagottini , tortelli, polpettoni… diciamo da tutti quei cibi non meglio definibili dall’esterno. Quei ravioli ad esempio potrebbero essere ripieni di carne oppure ci cioccolato, chi lo sa! E pur sapendolo, chissà come sarà il gusto e come si abbinerà alla parte esterna: ordiniamolo e scopriamolo. Inoltre, predilige i sapori forti, decisi, nonché insoliti, pertanto amerà utilizzare le spezie in cucina ed ordinare cibo piccante quando possibile. Anche dal punto di vista del palato, la noia non fa per lo Scorpione: scordatevi gelato al fior di latte, pasta in bianco, petto di pollo alla griglia e verdure lesse, è tutto tremendamente triste per lui. Proponete invece piatti come pasta alla norma, carciofi ripieni, verdure al curry, tortini al cioccolato e prenderete lo Scorpione per la gola.
• 100 gr granulare di soia
• 2 zucchini tondi
• 100 gr formaggio spalmabile
• 500ml di brodo
• Formaggio da grattugiare q.b.
• Rosmarino q.b.
• Pepe nero q.b.
Iniziamo col tagliare gli zucchini, tagliamo a circa un dito dal picciolo per togliere il “cappello” e quindi lo svuotiamo con l’aiuto di un cucchiaio, proseguiamo col cuocere il granulare di soia nel brodo, precedentemente portato a bollore, per una decina di minuti dopo i quali lo scoleremo (senza buttare il brodo) e lo “strizzeremo” leggermente per fargli perdere un po’ (ma non tutto) di liquido.
Una volta strizzato lo mettiamo in una pentola in cui precedentemente avremo preparato un soffritto classico e rosmarino (rametto intero) insieme alla polpa degli zucchini quando comincerà ad attaccarsi al fondo aggiungiamo un bicchiere di vino bianco per sfumare. Quando l’alcool sarà completamente evaporato aggiungiamo il formaggio spalmabile e, con l’aiuto del brodo, sciogliamo bene il formaggio fino ad avere un composto abbastanza umido, spegniamo il fuoco e aggiungiamo il formaggio grattugiato. Inseriamo quindi il composto negli zucchini ed inforniamo a 180 gradi fino a che lo zucchino non sembrerà cotto.
Buon appetito!
Analogamente a Gemelli, Pesci e Vergine, il Sagittario è un segno doppio, ossia un segno che porta dentro di sé due temperamenti contraddittori: ci sono in lui un elemento materiale ed uno spirituale. Queste due personalità si possono intravedere nel simbolo del segno, ossia il centauro, il quale è infatti mezzo e mezzo: per una metà uomo e per l’altra metà cavallo.
Il Sagittario-cavallo è dominato dalla materia. Fiero ed estremamente sicuro di sé, va in cerca di ogni occasione per mettersi in mostra, frequenta persone che “gli tornano utili”, ovvero che portano nella sua vita elementi di arricchimento – ad esempio qualcuno di esperto in una materia a lui sconosciuta – per brillare della loro luce. Nessuno ha la stoffa del Sagittario nello scoprire talenti e nello spingere gli altri ad affermarsi, sostenendoli e spronandoli, mantenendo il ruolo – per lui indispensabile – di guru/leader.
Il Sagittario-arciere è l’esatto opposto: non guarda minimamente dove mette i piedi. Egli è completamente teso verso un fine, un ideale, una causa da difendere. Avete presente il quadro “la scuola di Atene”? Quello raffigurante Aristotele, ritratto con la mano aperta e puntata in avanti, ad indicare che oggetto della sua indagine filosofica è il mondo reale, ed al suo fianco Platone, raffigurato invece con il braccio sollevato mentre punta il dito al cielo, indicando che invece è il mondo delle idee che dovremmo indagare? Ecco, potremmo dire che ci troviamo difronte ad un’ambivalenza di questo tipo: un Sagittario è ancorato alla realtà, mentre l’altro allo spirito. Il primo è un conformista, condizionato da idee preconcette, ossessionato dall’apparire, dall’opinione altrui e dalla sua gloria; il secondo è invece estremamente indipendente, avventuroso e ribelle verso qualsiasi tipo di costrizione o preconcetto. C’è il tradizionalista e c’è il rivoluzionario.
Nonostante siano così diversi tra loro, ci sono alcune caratteristiche che fanno parte di entrambe le tipologie di Sagittario, e queste sono l’entusiasmo, il calore, la capacità comunicativa. Sono spesso degli invadenti che cercano di spiegarti come dovresti vivere, ma sono anche talmente simpatici! D’altra parte non lo fanno di proposito ad invadere, solo che la forza della loro personalità e la determinazione al volerti aiutare a raggiungere quello che sarebbe il tuo benessere assoluto fanno di loro, a volte, dei maestri non richiesti. Neppure il Sagittario, dunque, è un segno semplice con cui avere a che fare, ma vi è da dire che senza di loro non ci sarebbe stato molto di nuovo sulle carte geografiche: i Sagittario-arciere sono infatti anche dei perpetui viaggiatori, che agognano la novità e l’inesplorato. Curiosi e coraggiosi, non saranno gli amici che vi propongono la vacanza nell’isola commerciale ma quelli che vi trascinano invece in Vietnam per due settimane di escursioni e dormite in ostello. E, ve lo assicuro, vi divertirete un mondo. I nati sotto questo segno hanno poi una capacità eccezionale: quella di raggruppare le persone. Riescono a creare gruppi, associazioni, club, squadre (possibilmente, essendo i leader) e non lo fanno per conciliare o essere accomodanti ma per
realizzare progetti, per rappresentare degli ideali, per perseguire un fine. Nel gruppo, poi, realizzano anche uno dei loro più profondi bisogni, quello dell’integrazione. I Sagittario sono infatti in genere persone estremamente socievoli, cui fa spavento la solitudine o la possibilità di non essere occupati, indaffarati. Si sentono sprecati. Inoltre hanno, spesso, un carattere un po’ “teatrale”: vedono tutto grande e grosso, dimenticando i dettagli. La miglior cosa che gli possa accadere è quella di incontrare una causa per cui battersi. Profondamente assetati di giustizia e di entusiasmo, saranno infatti capaci di investire tutte le loro energie ed il loro tempo nella difesa di essa. E se per caso vi trovaste intorno a loro e non condivideste tale causa, beh… ricordate che è amico dello Scorpione.
Anche in questo caso, è giunto il momento di parlare di cucina. Siamo di fronte al viaggiatore per antonomasia ad un segno idealista, generoso, entusiasta, socievole e molto orientato alla condivisione dei piaceri della vita, come quello del buon cibo: siamo infatti di fronte anche ad un goloso. Attratto soprattutto dai sapori esotici e speziati, che gli ricordano i suoi viaggi, condividerà volentieri con voi una cena in qualche buon ristorante etnico, purché vi siano porzioni abbondanti, degne del suo stomaco. Ama anche pizze, focacce e grigliate, purché accompagnate da un corposo vino rosso. I sapori alla sua tavola devono essere decisi, importanti, farsi ricordare.
INGREDIENTI (Per due persone circa)
• 4 carote
• Mezzo porro
• Una patata
• 4 o 5 grammi di Alghe kombu
• 4 o 5 grammi di alghe Hijiki
• Un cucchiaino di miso
• Salsa di soia q.b.
• Un cipollotto
• Tofu
• Un uovo
• Salsa teriyaki q.b.
• 200gr noodles
• Una manciata di funghi shitake
• Semi di sesamo q.b.
• Peperoncino q.b.
• Olio di semi q.b.
• Un cucchiaino di burro di arachidi
• Uno spicchio di aglio
• Una manciata di germogli
• Un cucchiaio di concentrato di pomodoro
Premetto che questo non è il ramen più tradizionale della storia (è un po’ italianizzato, se vogliamo) ma resta comunque un ottimo piatto completo. Gli ingredienti sono scelti in base al mio gusto personale ed è proprio questo il bello del ramen: che si può modificare in base al proprio gusto. Per esempio, se non dovessero piacervi le alghe potreste sostituirle con dei ritagli di scarto del manzo o del pesce! Insomma, la ricetta che vedete qui è indicativa, starà a voi esplorare questo piatto in tutte le sue varianti! Ma veniamo a noi.
Con un paio di ore (minimo 2, massimo 12) di anticipo prepariamo le uova, io di solito ne faccio una a testa ma sta al vostro gusto personale. Portiamo l’acqua a bollore e, delicatamente, ci adagiamo le uova e le lasciamo per circa 6 minuti (così da avere
il tuorlo morbido) dopo questo tempo le mettiamo direttamente in acqua ghiacciata così da avere uno shock termico che ci faciliti la rimozione del guscio e fermi la cottura. Dopo un minuto o due in acqua fredda le sbucciamo delicatamente e le mettiamo a marinare in salsa di soia, salsa teriyaki e peperoncino (se vi piacciono altri gusti aggiungeteli ma vi consiglio di provare la prima volta con questi ingredienti così da avere un’idea di base) assicurandoci che le uova siano sommerse dal liquido. Cominciamo col pulire tutte le verdure e tagliarle a grandi pezzi e le mettiamo a soffriggere con lo spicchio di aglio, il peperoncino ed un pizzico di sale con fuoco abbastanza deciso. Una volta che queste avranno soffritto per un po’ io tolgo l’aglio perché non mi piace, ma sta a voi decidere!
A questo punto aggiungiamo acqua ghiacciata, miso, salsa di soia, alcuni dei funghi e le alghe portando a bollore a fuoco medio e con coperchio.
Nel frattempo che il nostro brodo insaporisce passiamo alla preparazione del tofu che toglieremo dalla sua confezione e lo adageremo sotto un peso (non eccessivo) per una decina di minuti così da fargli perdere l’acqua in eccesso, dopodichè lo tagliamo a cubotti, lo passiamo velocemente in un po’ di farina e lo passiamo in padella con un abbondante filo di olio di semi fino a che non si colora bene su tutti i lati.
Andiamo ora a cuocere i noodles, rimuoviamo tutte le verdure e i pezzi solidi dal brodo e cuociamo i noodles. Una volta cotti possiamo procedere con l’impiattamento: Nel piatto mettiamo il cucchiaino di burro di arachidi, salsa di soia e teriyaki a piacere e un po’ di peperoncino, quindi aggiungiamo i noodles e abbondante brodo nel piatto. Ultimiamo con l’aggiunta dell’uovo (che taglieremo a metà per il lungo), il tofu, i germogli, i funghi scottati e, se vi piacciono, potrete aggiungere altri gusti come mais (la pannocchia abbrustolita è un condimento tipico), ravanelli o qualsiasi cosa vi ispiri!
Buon appetito!
Africa, terzo continente per superficie; vanta una grande va rietà di ecosistemi, molti dei quali unici al mondo.
Africa: continente dalle grandi potenzialità, che se solo fossero correttamente sviluppate e indirizzate darebbero vita a grandi risultati.
Africa, terra ricca di risorse naturali, con una capacità energetica derivante da energie rinnovabili che si stima possa arrivare sino a 24.000 TWh di elettricità all’anno.
Una grande capacità energetica, che purtroppo non viene valoriz zata! Infatti, solo il 2% dell’energia utilizzata in Africa proviene da fonti rinnovabili.
Se solo questo potenziale fosse correttamente sfruttato, permet terebbe a questa meravigliosa terra e alla sua popolazione di fare grandi passi in avanti in termini di sviluppo energetico sosteni bile, consapevoli di quanto esso sia poi strettamente connesso a quello economico.
Il continente africano è caratterizzato da una popolazione in co stante crescita e sempre più urbanizzata.
Si stima che entro il 2025, l’Africa supererà Cina e India per numero di abitanti, rappresentando il 25% della popolazione mondiale: assisteremo alla crescita di una popolazione sempre più giovane e intraprendente, che si concentrerà sempre più nei centri urbani.
Questo, aumenterà ancora di più la necessità di poter fare affi damento su un sistema energetico profittevole, ma soprattutto sostenibile.
Si pensi che ad oggi, su un totale di 1.4 miliardi di persone at tualmente residenti nel continente africano, circa il 42% non ha accesso all’elettricità. Nello specifico, la percentuale più alta la ritroviamo nell’est dell’Africa, in cui su un totale di 458 milioni di persone, 242 milioni non hanno accesso all’elettricità (fonte: PWC, Africa Energy Review 2021).
Una percentuale spaventosa, pari al 58% della popolazione afri cana, che non può usufruire dell’energia elettrica e di tutti i bene fici che essa comporta, nella vita di tutti i giorni. Un vero e proprio lusso quindi, a cui non tutti hanno accesso. E questo significa non avere la possibilità di svolgere azioni quotidiane che per noi sono normali o scontate, come potersi riscaldare, poter avere illumina zione nelle proprie case e via dicendo. Lo stesso vale per servizi “aggiuntivi”, non strettamente necessari per la sopravvivenza ma i quali possono avere una forte incidenza sulla qualità della vita, e che per noi occidentali sono la normali tà: l’accesso a internet in primis, ma anche l’utilizzo di elettrodo mestici o tecnologie che permettano anche di potenziare, tra le altre cose, il sistema sanitario nazionale. Soprattutto nelle zone rurali e meno urbanizzate del continente, per vivere (e sopravvivere), pratiche come bruciare legna, rifiuti o
tutto quello che possa risultare utile a tal fine, è pratica diffusa per assicurarsi un po’ di calore che permetta di scaldarsi o di cucinare, però con costante produzione di CO2 e fumi tossici, dannosi per la salute, e per l’ambiente.
BARRIERE ALLO SVILUPPO VS ESEMPI VIRTUOSI
Un potenziale energetico immenso quindi, ma non sfruttato. Per ché?
Mancano innanzitutto azioni governative mirate per sviluppare questo settore, e soprattutto, mancano i fondi.
Ma è chiaro che per raggiungere questo importante obiettivo, sono necessari ingenti investimenti.
A tal proposito, ad oggi la maggior parte degli investimenti (cir ca la metà), oltre a derivare da fonti estere, sono concentrati solo in determinate zone dell’Africa (es. Etiopia, Kenya, Zambia…), e sono comunque pochi se confrontati con investimenti in altre zone del mondo, questo soprattutto a causa di limiti a livello nor mativo che rendono l’Africa un continente poco attraente su cui investire.
Ci sono però anche alcuni progetti degni di nota sviluppati su suolo africano, che costituiscono sicuramente esempi virtuosi da cui trarre ispirazione. In Etiopia, per esempio, troviamo la Grand Ethiopian Reinassance Dam (6 GW), la più grande centrale idroe lettrica costruita sul Nilo Azzurro.
Nel deserto di Dubai, è invece presente il parco solare Moham med bin Rashid Al Maktoum, il più grande parco solare a sito singolo del mondo, ad opera della Dubai Electricity and Water Authority, che si estende su una superficie di circa 44 kmq. L’o biettivo di questa centrale è quello di arrivare a produrre, entro il 2030, un totale di 5GW di energia su una superficie di circa 214 km quadrati.
Il Kenya punta invece sull’energia eolica: grazie alla centrale Tur kana Wind Power, costruita nel 2019, può ad oggi vantare il 90% di energia prodotta a partire da fonti rinnovabili.
Nonostante ad oggi le non rinnovabili rappresentino la princi pale fonte di energia, l’International Energy Agency (IEA), stima che l’altissimo potenziale energetico in termini di rinnovabili dei paesi dell’Africa, in particolare a sud del Sahara, porterà nei pros simi vent’anni a un forte incremento della produzione energetica rinnovabile, pari a oltre il 60% entro il 2040.
Con i giusti investimenti e infrastrutture adeguate, l’Africa potreb be davvero raggiungere importanti obiettivi in termini di produ zione di energia green e di conseguente crescita economica, in un importante percorso di sviluppo sostenibile, da valorizzare e incoraggiare.
Ridurre il consumo e la produzione di plastica acquistando ad esempio prodotti imballati in carta, vetro o plastica compostabile, utilizzare borse di stoffa anziché quelle usa e getta, preferire detersivi, saponi e dentifrici ricaricabili o in formato solido e via dicendo.
Salvaguardare l’acqua facendola scorrere il meno possibile o “riciclandola”: ad esempio quella che si usa per lavare le verdure può essere utilizzata anche per annaffiare le piante.
Fare una spesa consapevole è ugualmente fondamentale. I prodotti a km 0 ad esempio sono preferibili per più di un motivo: da un lato consentono di ridurre gli sprechi e l’impatto sull’atmosfera del carburante necessario per il trasporto dei prodotti, dall’altro aiutano l’economia locale e favoriscono un regime alimentare equilibrato basato sui cibi di stagione.
Essere minimalisti, ossia comprare meno cose ma di maggiore qualità e fruibilità. Spesso si tende ad acquistare molto più di quanto occorra realmente, sprecando così denaro e risorse ambientali. Imparare a comprare meno, ma in modo più consapevole, è un buon modo per risparmiare e per ridurre il proprio impatto sull’ambiente in modo concreto.
Riciclare. Riutilizzare e riciclare in modo creativo oggetti, ma anche smaltire i rifiuti in modo consapevole, sono ottime azioni contro l’inquinamento. Oltre a recuperare il vetro, la plastica, l’umido e la carta è anche consigliabile (sia da un punto di vista ambientale che economico) acquistare prodotti vintage/di seconda mano.
Rispettare la natura ovunque andiamo. Al mare, in montagna, al lago, in città… ovunque è buona norma non lasciare traccia del proprio passaggio. È importante quindi non solo smaltire correttamente i resti dei propri picnic, ma anche raccogliere ciò che non è nostro, partecipando ad esempio alle giornate di pulizia dell’ambiente.
Sfruttare la tecnologia sostenibile. Controllare la classe di consumo degli apparecchi elettrici prima di acquistarli, preferendo quelli a risparmio energetico, è un buon modo per ridurre il consumo domestico di energia.
Muoversi in modo green. Se possibile, preferite bicicletta, mezzi pubblici, monopattini elettrici o una passeggiata all’utilizzo dell’automobile. Inoltre, condividere quest’ultima con i colleghi che ci abitano vicino e percorrono il nostro stesso tratto di strada per andare e tornare dal lavoro è un altro ottimo modo per ridurre l’impatto ambientale.
Non lasciare le luci accese oppure TV e computer in Stand-By con la lucina rossa a consumare energia inutilmente.
Non acquistare/utilizzare prodotti monouso. Ogni anno produciamo 300 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica: quasi il peso dell’intera popolazione umana.
Non sprecare il cibo.
Ridurre il consumo di carne e pesce. Gli allevamenti intensivi hanno un impatto molto forte sull’ambiente. Una dieta varia, composta prevalentemente da frutta, verdura e proteine vegetali (soprattutto se a km 0) fa bene al fisico ma anche alla Terra che ci ospita.
Non buttare quello che si rompe ma cercare di recuperarlo.
Non inquinare l’ambiente buttando sigarette, carte, bottiglie ecc a terra.
Non consumare cibi industriali, complessi e ricchi di conservanti.
Comprare meno oggetti specie dalle grandi produzioni. Di tutte le materie prime che prendiamo dalla natura e trasformiamo in prodotti, i due terzi circa infatti finiscono tra i rifiuti.
Con l’avvento delle nuove tecnologie, dei mezzi di comu nicazione istantanei e dello smart working, si sente sempre più spesso parlare di “nomade digitale”. Questa figura però la trovia mo in realtà già una ventina d’anni fa, infatti il termine “nomade digitale” iniziò ad essere utilizzato all’inizio degli anni ‘90 per descrivere un nuovo tipo di stile di vita itinerante reso possibile dalla crescita delle reti di computer e dalla divulgazione di dispo sitivi mobili come laptop , tablet e PC. È vero però che lo stile di vita del nomade digitale si è diffuso ancor maggiormente in se guito al lockdown causato dal Covid-19. Durante questo periodo infatti il famoso “lavoro da remoto”, esistente in tutto il mondo già prima della pandemia, è letteralmente esploso. L’emergenza sanitaria ha determinato l’esigenza di contenere la diffusione del virus attraverso ogni tipo di limitazione dei contatti non stretta mente necessari. A livello lavorativo la soluzione è stata indivi duata nello ‘smart working’, applicato a tutte quelle tipologie di professioni svolgibili attraverso le tecnologie digitali e la connes sione a internet. Vediamo però di cosa parliamo nello specifico quando utilizziamo l’espressione “nomade digitale”. I nomadi digitali sono persone che vivono in modo nomade men tre lavorano in remoto utilizzando la tecnologia e Internet. Queste persone generalmente hanno beni materiali minimi e lavorano da remoto in alloggi temporanei, hotel, caffè, biblioteche pub bliche, spazi di co-working o veicoli ricreativi , utilizzando Wi-Fi, smartphone o hotspot mobili per accedere a Internet. Tra di loro, poi, i nomadi digitali sono differenti: alcuni di loro sono viaggia tori perpetui, mentre altri lo sono solo per un breve periodo di tempo; alcuni viaggiano attraverso stati o addirittura continenti, altri invece selezionano un’area specifica e si muovono all’interno di essa. Ad ogni modo, in sintesi si potrebbe dire che chi sceglie di diventare un nomade digitale sceglie di sfruttare al meglio le nuove tecnologie e il mondo di Internet per fuggire dalla vita in ufficio e lavorare ovunque esista una connessione. Si tratta quindi di una sorta di modus vivendi che consente di lavorare e allo stes so tempo viaggiare e scoprire nuovi posti, nuove persone, abitu
dini e costumi diversi. Il nomadismo digitale determina un senso di libertà e di benessere nel lavoratore, a vantaggio di una mi gliore e maggiore produttività. Da un lato si ha un miglioramento della qualità della vita delle persone e dall’altro le aziende han no la possibilità di collaborare con i più qualificati professionisti, ovunque si trovino, oltre che di risparmiare su tutte quelle spese legate ad una sede fisica (corrente, affitto, mobilio, materiali…). Quali sono però i motivi principali per adottare uno stile di vita nomade?
• La possibilità di viaggiare costantemente;
• Conoscere nuove culture;
• Conoscere la gente locale;
• Visitare Paesi con un migliore costo della vita;
• Adottare uno stile di vita più semplice;
• Incontrare persone affini.
Al fine di rendere più chiara questa indagine, rivolgiamo ora l’at tenzione a quelli che sono i tipici stereotipi legati a questa inte ressante figura:
• Innanzitutto, succede spesso che si pensi che il nomade digi tale rappresenti la soluzione per lavorare di meno e per fare la cosiddetta “bella vita” – così come spesso avviene nei con fronti del più comune smart working, mal visto da chi non ha modo di praticarlo (a causa della la tipologia di lavoro) ed anche da alcune imprese, le quali tendono “a non fidarsi” di un simile modus operandi per i propri dipendenti. La realtà però è che il nomade digitale non è altro che un professioni sta che lavora da remoto, che sceglie liberamente il posto in cui lavorare senza vincoli di spazio, ciò non significa dunque che egli non lavori o che lavori meno, ma semplicemente che può decidere dove, come e in alcuni casi anche in quali orari farlo (il patto è che si rispettino le tempistiche concorda te per portare a termine i progetti assegnati).
• In secondo luogo, nella maggior parte dei casi si pensa che il nomade digitale sia un giovane spensierato, mentre la
realtà è che questo termine non identifica né una specifica categoria professionale (si tratta infatti di una modalità lavo rativa applicabile in numerosi e diversi settori professionali), né tanto meno un target specifico di persone. Tutti possono scegliere il nomadismo. In particolare, tra i nomadi digitali i Millennials sono il 44%, la Generazione X il 23%, la Genera zione Z il 21% ed infine i Baby Boomers il 12%
• Un altro luogo comune da sfatare è quello che riguarda la condizione economica dell’aspirante nomade: non è infatti necessario essere benestanti per lavorare in un altro Pae se o in un’altra città, dal momento che ognuno è libero di scegliere i luoghi dove esiste un buon rapporto tra costo e qualità della vita. Al contrario, molti nomadi digitali sono proprio persone con una scarsa disponibilità economica, che scelgono di trasferirsi in paesi più poveri e con uno stile di vita semplificato perché il loro stipendio gli permetta di vi vere dignitosamente e di sperimentare nuove esperienze di vita. Basti pensare a tutti quelli che si dirigono in paesi come Vietnam, Brasile, Thailandia, isole canarie. Oltre alla bellez za dei luoghi, delle culture e dei climi vi è anche l’aspetto economico: sono paesi prevalentemente poveri, in cui la vita costa decisamente meno di quella in un paese sviluppato dell’occidente.
• Ciò che realmente è fondamentale alla fine per il nomadi smo digitale è solamente un aspetto: la padronanza delle tecnologie informatiche, dell’informazione, della comunica zione e della collaborazione.
Veniamo però ai dati, così da definire più precisamente la situa zione del nomadismo digitale ad oggi.
Dall’inizio della pandemia nel 2020, il numero di nomadi digitali – considerando solo gli USA – è aumentato del 50% rispetto al 2019. Essi sono un misto di lavoratori full-time (71%) e part-ti me (29%), la maggior parte dei quali (85%) soddisfatta o molto soddisfatta del loro lavoro. Per mantenere lo stile di vita nomade, il 36% lavorano freelance per diverse compagnie, il 33% sono im prenditori e il 21% lavorano come dipendenti fissi di una compa gnia. Tra gli appartenenti agli USA, è più probabile che gli uomini (59%) scelgano di diventare nomadi digitali, rispetto alle donne (41%), in Italia però la situazione è invertita: sono più le donne a scegliere lo stile di vita nomade. Ancora, quasi il 61% dei nomadi è sposato: il 31% viaggia a tempo pieno con il loro partner, il 38% non costantemente.
Infine, quali sono le destinazioni più popolari tra i nomadi digita li? L’Indonesia è in cima alla lista per permanenze a lungo termi ne. Le altre destinazione preferite dai nomadi digitali includono: Messico, Thailandia, Spagna, Colombia, Portogallo. Chiaramente nella scelta di una destinazione le considerazioni principali dei nomadi digitali sono: buona connessione a Internet, bel tempo, basso costo della vita, un visto facile da ottenere o nessuno, attra zioni locali. Intorno al 29% dei nomadi digitali visita tra i 3 e i 5 paesi all’anno. Un altro 17% ne visita più di 5.
A questo punto è necessaria però un’importante precisazione: nonostante per l’88% dei lavoratori che hanno optato per la scelta del nomadismo digitale esso abbia avuto un effetto molto positi vo sulla vita, tale condizione non è priva di “punti deboli”. Vedia
mo quindi quali sono le difficoltà maggiormente riscontrate da chi opta per questo stile di vita:
• Difficoltà a “staccare” dal lavoro. Quando il lavoro è sempre con te tramite dispositivi, infatti, si ha come l’impressione di non staccare mai veramente, di essere sempre disponibili per l’emergenza del momento. D’altronde, la scusa è quella che “ti basta accendere un attimo il computer”, la stessa pro blematica che è stata riscontrata spesso anche nelle situazio ni di smart working.
• Incertezza. Paese che vai, condizioni che trovi. Alla fine un nomade non può sapere in precedenza come si troverà real mente nel luogo in cui è diretto, né che cosa gli succederà, è un viaggio senza certezze.
• Solitudine. A meno che non si viaggi con il partner o degli amici infatti, specie se ci si sposta molto, non si hanno degli affetti nel paese di arrivo.
• Possibili difficoltà finanziarie, dove per esempio alla solitu dine stessa, al fatto di non avere una dimora fissa e di dover mantenere una parte di risparmi per tornare a casa quando si vorrà/sarà necessario per svariati motivi.
• Collaborazione e comunicazione. Trattandosi infatti di lavori che funzionano con internet, l’assenza di rete o il malfun zionamento dei dispositivi determinano l’impossibilità di lavorare.
• Mantenersi motivati. Una condizione di continui cambia menti è sicuramente stimolante ed avventurosa, tuttavia può rivelarsi anche dura da gestire a lungo termine, sia dal punto di vista pratico che psico-emotivo.
Concludiamo consigliando qualche lettura per chi fosse affasci nato da questo stile di vita e volesse conoscerlo maggiormente:
• Le coordinate della felicità, di Gianluca Gotto
• Sulla strada giusta, di Francesco Grandis
• Abito il mondo: la via della seta senza aerei, di Carlo Laurora
• Adesso basta, di Simone Perotti
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