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NOMADISMO DIGITALE - L’EVOLUZIONE DEL MONDO DEL LAVORO
di Valeria Savoia
Con l’avvento delle nuove tecnologie, dei mezzi di comunicazione istantanei e dello smart working, si sente sempre più spesso parlare di “nomade digitale”. Questa figura però la troviamo in realtà già una ventina d’anni fa, infatti il termine “nomade digitale” iniziò ad essere utilizzato all’inizio degli anni ‘90 per descrivere un nuovo tipo di stile di vita itinerante reso possibile dalla crescita delle reti di computer e dalla divulgazione di dispositivi mobili come laptop , tablet e PC. È vero però che lo stile di vita del nomade digitale si è diffuso ancor maggiormente in seguito al lockdown causato dal Covid-19. Durante questo periodo infatti il famoso “lavoro da remoto”, esistente in tutto il mondo già prima della pandemia, è letteralmente esploso. L’emergenza sanitaria ha determinato l’esigenza di contenere la diffusione del virus attraverso ogni tipo di limitazione dei contatti non strettamente necessari. A livello lavorativo la soluzione è stata individuata nello ‘smart working’, applicato a tutte quelle tipologie di professioni svolgibili attraverso le tecnologie digitali e la connessione a internet. Vediamo però di cosa parliamo nello specifico quando utilizziamo l’espressione “nomade digitale”. I nomadi digitali sono persone che vivono in modo nomade mentre lavorano in remoto utilizzando la tecnologia e Internet. Queste persone generalmente hanno beni materiali minimi e lavorano da remoto in alloggi temporanei, hotel, caffè, biblioteche pubbliche, spazi di co-working o veicoli ricreativi , utilizzando Wi-Fi, smartphone o hotspot mobili per accedere a Internet. Tra di loro, poi, i nomadi digitali sono differenti: alcuni di loro sono viaggiatori perpetui, mentre altri lo sono solo per un breve periodo di tempo; alcuni viaggiano attraverso stati o addirittura continenti, altri invece selezionano un’area specifica e si muovono all’interno di essa. Ad ogni modo, in sintesi si potrebbe dire che chi sceglie di diventare un nomade digitale sceglie di sfruttare al meglio le nuove tecnologie e il mondo di Internet per fuggire dalla vita in ufficio e lavorare ovunque esista una connessione. Si tratta quindi di una sorta di modus vivendi che consente di lavorare e allo stesso tempo viaggiare e scoprire nuovi posti, nuove persone, abitudini e costumi diversi. Il nomadismo digitale determina un senso di libertà e di benessere nel lavoratore, a vantaggio di una migliore e maggiore produttività. Da un lato si ha un miglioramento della qualità della vita delle persone e dall’altro le aziende hanno la possibilità di collaborare con i più qualificati professionisti, ovunque si trovino, oltre che di risparmiare su tutte quelle spese legate ad una sede fisica (corrente, affitto, mobilio, materiali…). Quali sono però i motivi principali per adottare uno stile di vita nomade? • La possibilità di viaggiare costantemente; • Conoscere nuove culture; • Conoscere la gente locale; • Visitare Paesi con un migliore costo della vita; • Adottare uno stile di vita più semplice; • Incontrare persone affini.
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Al fine di rendere più chiara questa indagine, rivolgiamo ora l’attenzione a quelli che sono i tipici stereotipi legati a questa interessante figura: • Innanzitutto, succede spesso che si pensi che il nomade digitale rappresenti la soluzione per lavorare di meno e per fare la cosiddetta “bella vita” – così come spesso avviene nei confronti del più comune smart working, mal visto da chi non ha modo di praticarlo (a causa della la tipologia di lavoro) ed anche da alcune imprese, le quali tendono “a non fidarsi” di un simile modus operandi per i propri dipendenti. La realtà però è che il nomade digitale non è altro che un professionista che lavora da remoto, che sceglie liberamente il posto in cui lavorare senza vincoli di spazio, ciò non significa dunque che egli non lavori o che lavori meno, ma semplicemente che può decidere dove, come e in alcuni casi anche in quali orari farlo (il patto è che si rispettino le tempistiche concordate per portare a termine i progetti assegnati). • In secondo luogo, nella maggior parte dei casi si pensa che il nomade digitale sia un giovane spensierato, mentre la
realtà è che questo termine non identifica né una specifica categoria professionale (si tratta infatti di una modalità lavorativa applicabile in numerosi e diversi settori professionali), né tanto meno un target specifico di persone. Tutti possono scegliere il nomadismo. In particolare, tra i nomadi digitali i Millennials sono il 44%, la Generazione X il 23%, la Generazione Z il 21% ed infine i Baby Boomers il 12% • Un altro luogo comune da sfatare è quello che riguarda la condizione economica dell’aspirante nomade: non è infatti necessario essere benestanti per lavorare in un altro Paese o in un’altra città, dal momento che ognuno è libero di scegliere i luoghi dove esiste un buon rapporto tra costo e qualità della vita. Al contrario, molti nomadi digitali sono proprio persone con una scarsa disponibilità economica, che scelgono di trasferirsi in paesi più poveri e con uno stile di vita semplificato perché il loro stipendio gli permetta di vivere dignitosamente e di sperimentare nuove esperienze di vita. Basti pensare a tutti quelli che si dirigono in paesi come
Vietnam, Brasile, Thailandia, isole canarie. Oltre alla bellezza dei luoghi, delle culture e dei climi vi è anche l’aspetto economico: sono paesi prevalentemente poveri, in cui la vita costa decisamente meno di quella in un paese sviluppato dell’occidente. • Ciò che realmente è fondamentale alla fine per il nomadismo digitale è solamente un aspetto: la padronanza delle tecnologie informatiche, dell’informazione, della comunicazione e della collaborazione. Veniamo però ai dati, così da definire più precisamente la situazione del nomadismo digitale ad oggi.
Dall’inizio della pandemia nel 2020, il numero di nomadi digitali – considerando solo gli USA – è aumentato del 50% rispetto al 2019. Essi sono un misto di lavoratori full-time (71%) e part-time (29%), la maggior parte dei quali (85%) soddisfatta o molto soddisfatta del loro lavoro. Per mantenere lo stile di vita nomade, il 36% lavorano freelance per diverse compagnie, il 33% sono imprenditori e il 21% lavorano come dipendenti fissi di una compagnia. Tra gli appartenenti agli USA, è più probabile che gli uomini (59%) scelgano di diventare nomadi digitali, rispetto alle donne (41%), in Italia però la situazione è invertita: sono più le donne a scegliere lo stile di vita nomade. Ancora, quasi il 61% dei nomadi è sposato: il 31% viaggia a tempo pieno con il loro partner, il 38% non costantemente.
Infine, quali sono le destinazioni più popolari tra i nomadi digitali? L’Indonesia è in cima alla lista per permanenze a lungo termine. Le altre destinazione preferite dai nomadi digitali includono: Messico, Thailandia, Spagna, Colombia, Portogallo. Chiaramente nella scelta di una destinazione le considerazioni principali dei nomadi digitali sono: buona connessione a Internet, bel tempo, basso costo della vita, un visto facile da ottenere o nessuno, attrazioni locali. Intorno al 29% dei nomadi digitali visita tra i 3 e i 5 paesi all’anno. Un altro 17% ne visita più di 5.
A questo punto è necessaria però un’importante precisazione: nonostante per l’88% dei lavoratori che hanno optato per la scelta del nomadismo digitale esso abbia avuto un effetto molto positivo sulla vita, tale condizione non è priva di “punti deboli”. Vedia• Difficoltà a “staccare” dal lavoro. Quando il lavoro è sempre con te tramite dispositivi, infatti, si ha come l’impressione di non staccare mai veramente, di essere sempre disponibili per l’emergenza del momento. D’altronde, la scusa è quella che “ti basta accendere un attimo il computer”, la stessa problematica che è stata riscontrata spesso anche nelle situazioni di smart working. • Incertezza. Paese che vai, condizioni che trovi. Alla fine un nomade non può sapere in precedenza come si troverà realmente nel luogo in cui è diretto, né che cosa gli succederà, è un viaggio senza certezze. • Solitudine. A meno che non si viaggi con il partner o degli amici infatti, specie se ci si sposta molto, non si hanno degli affetti nel paese di arrivo. • Possibili difficoltà finanziarie, dove per esempio alla solitudine stessa, al fatto di non avere una dimora fissa e di dover mantenere una parte di risparmi per tornare a casa quando si vorrà/sarà necessario per svariati motivi. • Collaborazione e comunicazione. Trattandosi infatti di lavori che funzionano con internet, l’assenza di rete o il malfunzionamento dei dispositivi determinano l’impossibilità di lavorare. • Mantenersi motivati. Una condizione di continui cambiamenti è sicuramente stimolante ed avventurosa, tuttavia può rivelarsi anche dura da gestire a lungo termine, sia dal punto di vista pratico che psico-emotivo.
Concludiamo consigliando qualche lettura per chi fosse affascinato da questo stile di vita e volesse conoscerlo maggiormente: • Le coordinate della felicità, di Gianluca Gotto • Sulla strada giusta, di Francesco Grandis • Abito il mondo: la via della seta senza aerei, di Carlo Laurora • Adesso basta, di Simone Perotti


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