VARESEFOCUS 6/2020 - OTTOBRE

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ANNO XXI · N.6

OTTOBRE 2020

VARESEFOCUS

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EDITORIALE

L’ambiente si difende con l’impresa Roberto Grassi

A

l Paese manca una visione, un piano di sviluppo in grado di guardare al lungo periodo. Come industriali varesini lo stiamo dicendo da tempo. Ancor prima dello scoppio della pandemia. Non c’è solo l’incertezza legata all’andamento del contagio da Covid-19, infatti, a preoccupare le imprese. Le tensioni internazionali e il calo dell’export iniziato prima dell’apparizione del Coronavirus, la capacità del Paese di cogliere le opportunità del Recovery Fund, la questione Malpensa. Sono tutti fattori di destabilizzazione che rischiano di frenare le capacità di crescita del nostro territorio. Come uscirne? Una strada l’abbiamo indicata in un recente evento digitale, “Disegniamo il futuro”, che l’Unione degli Industriali della Provincia di Varese ha organizzato in collaborazione con Il Sole 24 Ore. Innanzitutto, serve individuare le priorità che a nostro parere sono essenzialmente cinque. Primo: parità di condizioni con i nostri competitor (almeno quelli europei, iniziamo da lì). Secondo: equità e sostenibilità fiscale (la tassazione sul lavoro è più alta della tassazione sulle rendite finanziarie, è logico?). Terzo: un contesto in cui il lavoro possa tornare a crescere (dobbiamo investire sulla crescita della produttività e un aumento delle competenze). Quarto: semplificazione (siamo sempre tutti d’accordo, serve solo passare all’azione). Quinto: attrattività per i giovani (se mancano loro il gioco si conclude qui). E poi ci sono le sfide. Tre essenzialmente quelle da cui dipenderà la nostra capacità di traghettare il sistema economico locale vero l’impresa moderna. La sfida dell’innovazione: tutte le nostre aziende, vuoi per i prodotti, vuoi per processi, vuoi per la distribuzione al mercato saranno impegnate nei prossimi anni nella trasformazione digitale. La sfida dell’internazionalizzazione per il riposizionamento nelle nuove catene del valore che si stanno creando in un mondo in profondo stravolgimento. La sfida della sostenibilità, interpretata a tutto tondo, da quella ambientale con lo sviluppo dei nuovi materiali, a quella sociale con la conciliazione lavoro/famiglia. È proprio a questo tema, quello della sostenibilità, che Varesefocus dedica, in questa edizione, ampio spazio. Con un obiettivo: far comprendere, attraverso racconti concreti, quanto l’economia circolare e i progetti di ripensamento delle imprese in chiave ambientale siano già da tempo percorsi avviati nel nostro sistema produttivo locale. Qualcosa di più di un’ambizione o di un progetto futuro. La green economy in molte aziende

varesine è realtà. Anzi è proprio nel mondo dell’impresa che sta prendendo corpo il vero pensiero ambientalista. Non quello ideologico, imposto per strappi, attraverso, per esempio, la leva fiscale, come si è cercato di fare, con un pizzico di ipocrisia, con la Plastic Tax. Bensì, quello dei progetti concreti, portati avanti a suon di investimenti, di idee innovative, di collaborazione con centri di ricerca, mondo universitario e tra imprese stesse. È solo l’impresa, d’altronde, il soggetto che può giocare in questa sfida il ruolo di cerniera tra ambizioni ambientaliste e fattibilità economica di progetti green. Ciò fa dell’impresa la vera protagonista di questo fenomeno che sta rivoluzionando, al pari del digitale, la nostra società. E i risultati già si vedono. Anche sul nostro territorio. L’economia circolare è una trasformazione già in atto che sta cambiando modelli di business, creando nuove opportunità e nuove aziende, dando vita a nuove competenze e conoscenze. Anche l’Unione Industriali, come raccontiamo nelle pagine che seguono, è in prima fila attraverso la partecipazione come partner italiano, insieme al Centro Tessile Cotoniero di Busto Arsizio, a due progetti europei che hanno proprio l’obiettivo di permettere agli scarti industriali di alcune imprese di diventare materia prima per altre aziende. Ciò attraverso un incontro tra domanda e offerta basato su piattaforme digitali. Il primo passo per un sistema economico e sociale più sostenibile è proprio questo: diminuire la quantità di rifiuti che finisce in discarica. Dare nuova vita ai materiali è la strada più ovvia, anche se spesso non è la più semplice. Non solo per limiti tecnologici, ma anche per le lacune infrastrutturali e logistiche del nostro Paese. La strada, però, è tracciata e, come Univa, vogliamo percorrerla fino in fondo. Sapendo che l’economia varesina diventerà circolare o non sarà. Inseguire la sostenibilità non è più un’opzione. Chi non si impegna su questo versante è destinato a scomparire dalla mappa dello sviluppo locale, nazionale e internazionale.

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ANNO XXI · N.6

OTTOBRE 2020

VARESEFOCUS

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S O M

Periodico di economia, politica, società, costume, arte e natura in provincia di Varese. Presidente Roberto Grassi Direttore editoriale Vittorio Gandini Direttore responsabile Davide Cionfrini Direzione, redazione, amministrazione Piazza Monte Grappa, 5 21100 Varese T. 0332 251.000 - F. 0332 285.565 M. info@varesefocus.it reg. n. 618 del 16/11/1991 - Trib. Varese

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www.varesefocus.it Progetto grafico e impaginazione Paolo Marchetti

FOCUS

Fotolito e stampa Roto3 srl Via per Turbigo 11/B 20025 Castano Primo (Mi) T. 0331 889.601

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Gestione editoriale Univa Servizi srl Via Vittorio Veneto, 8/E 21013 Gallarate (VA) - T. 0331 774.345

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Varese di fronte alla sfida della green economy Quando la sostenibilità è sostenibile

12 Il tessile varesino è più circolare dell’industria italiana 14 La plastica è anche bio 16 L’acciaio green 4.0 18 Il futuro sostenibile mattone dopo mattone

PUBBLICITÀ Univa Servizi srl M. commerciale@univaservizi.it T. 0331 774.345 Questo numero è stato chiuso il 15 ottobre 2020. Il prossimo numero sarà in edicola con Il Sole24Ore il 7 dicembre 2020. “Varesefocus” ospita articoli e opinioni che possono anche non coincidere con le posizioni ufficiali dell’Unione Industriali della Provincia di Varese. Valore di abbonamento annuo Euro 20,00 (nell’ambito dei servizi istituzionali dell’Editore).

Interventi e contributi di: Alberto Bortoluzzi, giornalista; Andrea Della Bella, giornalista; Manuele De Conti; Alessandra Favaro, giornalista; Maria Grazia Gasparini, giornalista; Paola Margnini; Luisa Negri, giornalista; Daniele Pozzi; Paola Provenzano, giornalista; Sergio Redaelli, giornalista. In redazione: Davide Cionfrini, Silvia Giovannini, Alessia Lazzarin, Chiara Mazzetti, Maria Postiglione. Segreteria di redazione: Barbara Brambilla, Viviana Maccecchini. Fotografie di: Alberto Bortoluzzi, Alessandra Favaro, Carlo Meazza.


M A R I O 20 Ogni cosa suona

ECONOMIA 22 La ripresa è incerta, incompleta e non equilibrata 26 L’autobus può essere Covid-free

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37 L’arte del dibattere sull’impresa 38 Sulle orme di Jules Verne

40 La nuova Generazione d’Industria sta crescendo

SCIENZA

TERRITORIO

FORMAZIONE 30 4.300 studenti reporter raccontano le imprese di Varese

▶ Provincia da scoprire 54 Viggiù, piccolo gioiello nascosto

VITA ASSOCIATIVA

43 Oltre la disabilità 46 La fotografia del Covid-19 nei polmoni

28 In Maserati o a Cortina, SPM va sempre veloce

RUBRICHE

49 Il cinema che non c’è più

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UNIVERSITÀ 34 Il Debate entra in università 52 Sono i dettagli 36 Caratteristiche a fare una diva e diffusione del Debate

▶ Gita a 58 Foliage varesino, tra tradizioni e biodiversità ▶ Arte 63 Le “Fondamenta occidentali” di Giorgio Vicentini 67 Derain: il coraggio e l’inquietudine ▶ Motori 71 Volkswagen firma la berlina media elettrica ID.3 ▶ Sport 73 Sognando il ritorno alle Olimpiadi ▶ In libreria 76 Miseria (della pandemia) e nobiltà ▶ Dal Web 78 Passerelle digitali e cartoline da Tik Tok


FOCUS

Varese di fronte alla sfida della Green New Deal, progetti europei, investimenti, strategie di economia circolare, ricostruzione di filiere corte: quello che si muove intorno alla sostenibilità nelle imprese della provincia di Varese è un vero e proprio mondo di iniziative, che spazia negli ambiti più diversi. Non solo quelli strettamente ambientali giungere la neutralità climatica entro il 2050 e ridurre le emissioni di

Chiara Mazzetti almeno il 55% entro il 2030. Insieme a piani d’intervento che coin-

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a mesi non si fa altro che parlare di Green New Deal, la nuova strategia politica a lungo termine dell’Unione Europea, adottata a dicembre 2019, con l’ambizioso obiettivo di rag-

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volgono tutto il sistema economico e presumono azioni specifiche per alcuni ambiti, tra cui industria, clima e mobilità, si prevede che il Green New Deal tra il 2021 ed il 2030 mobiliterà 1.000 miliardi di euro di investimenti, attraverso prestiti agevolati e finanziamenti a


lizia, i prodotti elettronici e la plastica, identificati dalla Commissione Europea come ad alta intensità di risorse. E in questo quadro, come si stanno muovendo le imprese della provincia di Varese? Molte hanno già da tempo mostrato una sensibilità alle tematiche green, come dimostrato dagli ultimi dati Istat disponibili, secondo cui l’81,5% delle imprese attive (con 3 e più addetti) ha realizzato almeno un’azione di sostenibilità ambientale e/o di responsabilità sociale e/o di sicurezza (contro un dato nazionale dell’80,9%). Il tema della sostenibilità è, infatti, declinabile sia in termini ambientali, che sociali. Rispetto alla sostenibilità sociale, l’Istat stima che il 68,9% delle imprese del territorio abbia svolto azioni per migliorare il benessere lavorativo. Tra queste aziende, il 15% ha identificato all’interno dell’impresa una figura per la responsabilità sociale. Rispetto alla sostenibilità ambientale, invece, l’Istat ritiene che in provincia di Varese il 66% delle aziende abbia svolto almeno un’azione per ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività. Tra queste realtà, oltre la metà sta conducendo iniziative di risparmio del materiale utilizzato nei processi produttivi. Le azioni

to Green School, un protocollo d’intesa siglato a maggio 2020 da Univa, Ufficio Scolastico Territoriale e Provincia di Varese per portare nelle scuole un percorso di conoscenza della plastica, attraverso best practices di riduzione di rifiuti, riciclo e riuso. E ancora l’analisi dei fabbisogni formativi dei dirigenti delle imprese del territorio di Varese rispetto al tema della circular economy, affidata sempre a maggio 2020 ad Univa Servizi, la società di servizi dell’Unione Industriali varesina, da Fondirigenti, il Fondo Interprofessionale promosso da Confindustria e Federmanager per favorire lo sviluppo della cultura manageriale, la competitività delle aziende, l’occupabilità e la crescita della classe dirigente. Iniziative che non sorprendono se si pensa che sono oltre 432mila le imprese italiane dell’industria e dei servizi che hanno investito negli ultimi 5 anni (2015-2019) in prodotti e tecnologie green (35,8% solo nel manifatturiero). Quelle realtà che hanno scelto la via della sostenibilità sono, inoltre, risultate le più dinamiche sui mercati esteri: il 51% delle “imprese verdi” ha segnalato un aumento dell’export nel 2018, contro una media nazionale del 38%.

Molte imprese varesine hanno da tempo mostrato una sensibilità al tema della sostenibilità, come dimostrato dagli ultimi dati Istat disponibili, secondo cui l’81,5% delle aziende ha realizzato almeno un’azione sul fronte ambientale (contro un dato nazionale dell’80,9%)

FOCUS

fondo perduto. Scenario che toccherà, in maniera più o meno diretta, il mondo delle aziende, attraverso modifiche normative e diverse opportunità di sovvenzione. Tra i settori più coinvolti, il tessile, l’edi-

di sostenibilità ambientale hanno anche portato alcune imprese più strutturate a completare un processo di certificazione del proprio sistema di gestione. Questo, in numeri, è quanto si muove sul territorio varesino intorno all’economia circolare. Un’istantanea della sostenibilità in provincia di Varese, fatta di progettualità ed investimenti portati avanti in svariati ambiti. La stessa Unione degli Industriali della Provincia di Varese, da anni, partecipa a programmi europei legati all’economia circolare, come il progetto Life M3P, dedicato alla valorizzazione dei rifiuti industriali e il progetto ENTeR, improntato sulla circular economy nell’ambito tessile. Entrambi i progetti, finanziati tramite risorse europee impiegate sul territorio, sono nati con lo scopo di incrociare la domanda e l’offerta di materiali di scarto, attraverso una piattaforma online dedicata, su cui imprese di settori differenti possono cercare oppure proporre waste di lavorazione. Dando così vita ad un matchmaking del tutto circolare. Ma la sostenibilità varesina si è spinta oltre, fino ad arrivare a “contagiare” anche l’universo della formazione. Come nel caso del Proget-

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FOCUS Sostenibilità è anche sinonimo di progresso e modernità: il 79% delle imprese green ha infatti sviluppato innovazioni, contro il 61% delle non investitrici (dati Fondazione Symbola, “L’Italia in 10 selfie” 2020. Fonte: GreenItaly 2019, Fondazione Symbola e Unioncamere). Stando poi ai dati del “Rapporto sull’economia circolare in Italia – 2020” a cura del Circular Economy Network in collaborazione con ENEA, l’Italia risulta essere un paese fortemente importatore di materia prima riciclabile (650mila tonnellate importate, seconda solo a Germania con quasi 1,5 milioni di tonnellate). Risultato che sta a significare l’esistenza di un mercato a cui le aziende sono attualmente interessate e che sarebbe bene continuare ad implementare. In altre parole, la sostenibilità può essere competitiva per le imprese italiane e in particolar modo per quelle all’ombra delle Prealpi? La risposta è decisamente affermativa. “L’economia circolare e la sostenibilità sono state per molte aziende la chiave di sviluppo competitivo e di resilienza durante tutto il perdurare dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 e anche dopo”, spiega Fabio Iraldo, dell’Istituto di Management, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Università Bocconi. “La ripartenza post Coronavirus, in sostanza, è stata un’occasione per le imprese per puntare in modo più coraggioso su una conversione a modelli di business sostenibili e circolari. Nella situazione di crisi pandemica, le imprese che avevano sviluppato iniziative sostenibili hanno resistito meglio alle condizioni di difficoltà? In molti casi sì, perchè la chiusura dei cicli, tipica dell’economia circolare, ha garantito una relativa autonomia. Studi hanno dimostrato che approvvigionamenti locali, sicuri e a filiera corta durate il lockdown hanno garantito 8

Sono oltre 432mila le imprese italiane dell’industria e dei servizi che hanno investito negli ultimi 5 anni (2015-2019) in prodotti e tecnologie green (35,8% solo nel manifatturiero) la business continuity”, precisa Iraldo. In sostanza, le imprese si sono trovate di fronte a tre tipologie di strategie da poter adottare nel corso dei mesi di lockdown: strategie reattive per reagire ai cambiamenti strutturali e persistenti nei modelli sociali di consumo; strategie adattive, rivolte alla realizzazione di azioni di medio periodo di adattamento aziendale, sostenibili sotto il profilo ambientale, rispetto al rischio di nuove ondate future di pandemie; strategie proattive, volte allo sviluppo di strategie di sostenibilità ambientale di lungo termine, per cogliere la crisi come opportunità al fine di potenziare un cambiamento “green” dell’impresa. “Si tratta di trend di forte interesse per territori come Varese e per le potenzialità di integrazione con la territorialità – racconta ancora Fabio Iraldo –, garanzia di maggior contenimento del rischio se la dimensione di approvvigionamento è locale e circoscritta”.


FOCUS

Quando la sostenibilità è sostenibile Se le buone pratiche di economia circolare si diffondessero in territori europei altamente industrializzati come la provincia di Varese, le Fiandre, le Asturie o la Macedonia, quali sarebbero i vantaggi per l’ambiente? Quali opportunità economiche ed occupazionali si aprirebbero per le economie locali? Il riciclo non è solo tutela ambientale, ma anche driver di sviluppo. La parola a casi concreti e misurabili vede come capofila italiani l’Unione degli Industriali della Pro-

Davide Cionfrini vincia di Varese, il Centro Tessile Cotoniero di Busto Arsizio e

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li scarti dell’industria tessile possono diventare carta pregiata. Miracoli dell’economia circolare. Niente prodigi o magie. L’esperimento è stato dimostrato all’interno di uno dei casi pilota del Progetto europeo Life M3P che

Material Connexion, insieme ad altre realtà spagnole, belghe e greche. L’obiettivo è quello di impostare, insieme ad altri partner europei, strategie territoriali di sviluppo di buone pratiche ambientali all’interno dei distretti industriali. Come? Facendo incontrare domanda di nuovi materiali, con l’offerta di scarti

Carta pregiata ricavata da scarti industriali di cotone

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FOCUS produttivi attraverso una piattaforma digitale. Da una parte c’è chi vuole produrre nuovi beni o prodotti tradizionali con materiale riciclato. Dall’altra c’è chi ha rifiuti, o comunque scarti, da poter rimettere in circolazione nei processi produttivi nazionali o europei. Le opportunità sono diverse. Non c’è solo quella di fare del bene all’ambiente. C’è la possibilità di dar vita a nuovi business, innovativi circoli virtuosi sostenibili economicamente, oltre che a livello di impatto sull’ecosistema. Con un incremento di giro di affari e posti di lavoro. L’economia circolare è anche questo: sviluppo economico, non solo tutela della natura. Prova ne è appunto un caso pilota studiato proprio nell’ambito del Pro-

Lo studio di fattibilità di una decina di casi concreti di economia circolare e del loro possibile impatto in termini ambientali ed economici sulle economie locali di alcune zone europee è al centro del Progetto Life M3P, portato avanti in Italia da Univa e Centrocot 10

getto Life M3P. Tutto parte dal test di un’azienda tessile della provincia di Varese. L’idea è molto semplice nella sua spiegazione: mettere a disposizione gli scarti di cotone derivanti dalla propria produzione, che altrimenti andrebbero in discarica, per la realizzazione di nuovi fogli di carta. Non una carta qualsiasi, ma quella artigianale decorativa che viene usata per i biglietti di auguri o anche come carta da parati o per fare etichette per la moda. Fogli, tanto per intenderci, dalla misura di 56X76 centimetri, il cui prezzo può essere di 10 euro l’uno. Un settore di nicchia, come lo chiamano gli esperti. In cui operano soprattutto piccole aziende artigiane. Come quelle del distretto produttivo di Fabriano, nelle Marche, con cui l’azienda varesina è entrata in contatto per l’esperimento tramite la piattaforma digitale M3P. Test riuscito dal punto di vista della fattibilità industriale. Risultato: una carta prodotta dall’azienda marchigiana che per il 40% è fatta proprio dagli scarti produttivi dell’impresa tessile varesina. Con vantaggi per tutti. In primis per l’ambiente, attraverso il risparmio nell’uso di acqua fresca per la produzione della carta (circa 2.000 metri cubi per ogni tonnellata di scarti riutilizzati), di emissione di anidride carbonica equivalente (circa 11 tonnellate per ogni tonnellata di scarti riutilizzati) e di risorse non rinnovabili (circa 15 tonnellate per ogni tonnellata di scarti riutilizzati). Fin qui i motivi ecologici del progetto. Riciclo è uguale a minor impatto ambientale, questo è risaputo. Ma le conseguenze più interessanti e inaspettate di questo caso di studio le si vedono


Di casi pilota come questi il Progetto Life M3P ne ha studiati diversi. Una decina in tutto. Si va dal recupero di calze e calzini per produrre altri vestiti, alla startup spagnola, nelle Asturie, che recupera materiale dalla demolizione di vecchi edifici per fare nuovo cemento. C’è poi il caso belga che recupera la guarnizione in gomma dei serramenti per fare maniglie per le porte. Tanto per fare alcuni esempi. Solo questi 10 casi europei di economia circolare studiati dal Progetto Life M3P, portato avanti da Univa e Centrocot, possono permettere annualmente all’industria di riutilizzare materiale destinato alla discarica per più di 42mila tonnellate all’anno e permettendo di risparmiare allo stesso tempo materia prima vergine per circa 59mila tonnellate. Non solo, c’è da calcolare anche la riduzione di emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera per circa 41 tonnellate e salvando dall’utilizzo industriale più di 72mila metri cubi di acqua. Ossia l’equivalente del consumo medio annuo di acqua potabile di 360 famiglie italiane. Progetti fattibili industrialmente e tecnologicamente parlando. Frutto di un’opera di incontro tra domanda e offerta di materiali, in cui il rifiuto di un’azienda diventa materia prima per un’altra. Economia circolare, appunto. Alimentata da una piattaforma digitale di matching a cui fino ad oggi risultano registrate 270 industrie e catalogati 480 rifiuti che possono così diventare potenzialmente nuova materia prima. Il che fa dei singoli casi pilota dei modelli scalabili a macchia di leopardo dai vari distretti industriali europei. E se ciò avvenisse? Se i 10 casi piloti di Life M3P fossero replicati anche solo all’interno dei singoli distretti produttivi locali dove sono nati? Lombardia, Macedonia Occidentale, Asturie, Fiandre? Altre domande. Altre proiezioni. Altre risposte. In pratica i benefici ambientali potrebbero anche triplicare sul territorio. Come? Con 141mila tonnellate di rifiuti risparmiati alle discariche ogni anno; 138mila tonnellate di anidride carbonica non immesse nell’aria; 197mila tonnellate di materia prima vergine non utilizzata. E ben 239mila metri cubi di acqua risparmiata. In questo caso, l’equivalente del consumo medio di acqua di 1.195 famiglie italiane in un anno. La vera sostenibilità sta in questi numeri.

FOCUS

nelle tabelle che riportano le proiezioni che il Progetto Life M3P di Univa e Centrocot hanno svolto sulle implicazioni economiche. Innanzitutto, le aziende artigiane di Fabriano potrebbero mettere in commercio la stessa carta pregiata che oggi producono con metodo tradizionale, ad un prezzo a foglio inferiore: 8 euro, invece che gli attuali 10. Avendo così i margini e la capacità di differenziare l’offerta con fogli anche più grandi e dal valore più alto. Ciò potrebbe comportare, grazie alla spinta di poter andare sul mercato con un prodotto dal brand green, sempre più attrattivo, ad un aumento della produzione. Passando dagli attuali circa 10mila fogli prodotti ogni anno, ai 25mila del primo anno di messa in produzione, ai 60mila del secondo, ai 100mila del terzo. Con un graduale incremento, secondo questo business plan, anche del fatturato che potrebbe passare, secondo le proiezioni del report di Life M3P, dagli attuali circa 100mila euro, ai 200mila del primo anno, ai 520mila del secondo, fino ad arrivare al milione nel terzo. Possibile anche una crescita occupazionale: con un’ipotesi di 6 nuovi addetti nel solo primo anno, altri 7 nel secondo, altri 8 nel terzo. In totale: 21 nuovi posti di lavoro. Il tutto con un solo caso pilota. Ma se questa stessa esperienza fosse replicata anche in altri distretti produttivi italiani, coinvolgendo altre imprese tessili e altre filiere artigiane per la produzione di carte decorative? L’analisi del Progetto Life M3P si è posta anche questa domanda, provando a fare una proiezione. Partendo da un dato Istat: ad oggi tra micro e piccole realtà (con non più di 49 addetti) esistono in Italia 1.560 imprese artigianali nel settore carta, quelle che potrebbero essere interessate dunque al prodotto di cui stiamo parlando. Ebbene, se di queste anche solo 100 (il 7,5% dunque) cercassero di mettere in piedi un circolo virtuoso come quello sperimentato dall’azienda varesina e quella di Fabriano si riuscirebbe a riciclare a regime fino a circa 700 tonnellate di scarti industriali tessili in un solo anno. Materiale che non andrebbe dunque in discarica. Con un effetto moltiplicatore su tutti gli altri parametri ambientali ed economici, ad oggi di difficile calcolo, ma di sicuro e positivo impatto.

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FOCUS

Il tessile varesino è più circolare dell’industria italiana Utilizzo di materie prime di alta qualità. Capi di abbigliamento che durano nel tempo. Investimenti nella riduzione di scarti, rifiuti e nell’efficientamento energetico. Capacità di recupero di acqua e calore re-immessi nel ciclo produttivo. Ecco i punti di forza delle imprese di uno dei settori più radicati sul territorio e che più investe nell’economia circolare a livello nazionale un campione rappresentativo di tutta la manifattura italiana è stato

Davide Cionfrini così misurato il livello di implementazione dei principi dell’econo-

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e imprese tessili varesine sono più circolari della media dell’industria italiana. Un’attenzione spiccata per la sostenibilità, quella delle aziende di uno dei settori più radicati nella manifattura all’ombra delle Prealpi, emersa da una ricerca, un vero proprio check-up svolto da Ergo Srl, spin-off della prestigiosa Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che si occupa in maniera specifica di attività di consulenza sul fronte della gestione ambientale e dell’economia circolare. Sia nei confronti del mondo dell’impresa, sia delle pubbliche amministrazioni, di interi distretti industriali e per i territori. Il punto di riferimento per capire quanto i produttori del Varesotto di tessuti e abiti siano più o meno attenti alla sostenibilità delle proprie aziende rispetto alla media delle imprese di tutto il Paese è una ricerca svolta a livello nazionale dall’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna e IEFE Bocconi (Istituto di Economia e Politica dell’Energia e dell’Ambiente dell’Università milanese) su un campione di imprese italiane aderenti al CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi). Una ricerca che ha coinvolto quasi un migliaio di unità produttive analizzate sulla base di 5 parametri: l’approvvigionamento (ossia il ripensamento delle materie prime utilizzate); il design (scelte di eco-progettazione volte, ad esempio, ad aumentare la produttività di recupero del prodotto a fine vita); la produzione (con sistemi di efficientamento dei processi); la distribuzione (per un più efficiente sistema di consegna dei prodotti); il consumo (con la gestione del prodotto a fine vita e la re-immissione nel ciclo produttivo). Basandosi su queste voci e analizzando

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mia circolare da parte dell’industria made in Italy. Voto: 26 su 100. Insomma, non si è proprio all’anno zero, ma si può migliorare.


FOCUS Ma come si pone, rispetto a questo punto di riferimento, l’industria del tessile e abbigliamento della provincia di Varese? A porre la domanda agli esperti di Ergo sono stati l’Unione degli Industriali della Provincia di Varese e il Centro Tessile Cotoniero di Busto Arsizio, capofila italiani del Progetto europeo ENTeR per la promozione e l’implementazione dell’economia circolare nello specifico settore tessile in alcuni distretti industriali del Vecchio Continente: il Varesotto (e più in generale la Lombardia), la Sassonia (in Germania), la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Polonia. Ebbene, dopo le analisi di Ergo svolte su alcune imprese varesine del Progetto ENTeR, il voto dato è stato: 35%, il 9% in più della media dell’industria italiana. Da qui il responso: il tessile e abbigliamento del Varesotto fa più economia circolare rispetto al resto della manifattura del Paese. Il tessile varesino spicca soprattutto per una voce: quella del design e, dunque, per la sua capacità di utilizzo di materie prime e processi di alta qualità, per il fatto di garantire una lunga durata al capo di abbigliamento, per la collaborazione con enti, centri di ricerca e tra imprese sui temi della circolarità e per l’eliminazione di sostanze pericolose dai processi produttivi e il continuo miglioramento verso la riduzione di rifiuti. Su questo fronte il voto assegnato è 45%, 23 punti percentuali in più rispetto alla media nazionale. Altro punto forte è la gestione dei rifiuti: 42% (+14% rispetto alla media). Bene anche la produzione: a cui Ergo assegna un altro 42% grazie agli investimenti delle imprese nell’efficientamento energetico e nei software di monitoraggio dei consumi, così come nei processi di recupero dell’acqua e del calore da reimmettere nel ciclo produttivo. Un po’ meno bene (26%), ma pur sempre superiore al livello medio nazionale (fermo al 19%) l’approvvigionamento, sul quale le imprese del territorio hanno ampi margini di miglioramen-

to, per esempio, nell’introduzione di elementi di ecodesign per la realizzazione di cataloghi e dépliant anche attraverso l’uso di strumenti digitali. Unica “materia” su cui l’industria tessile viene “rimandata a settembre” è la distribuzione. Qui il voto è 21%, 10 punti al di sotto della media nazionale del 31%. Il consiglio dei ricercatori alle aziende del Varesotto è di puntare maggiormente sulla selezione di flotte di trasporto composte con mezzi meno inquinanti. Ma non solo, altra opportunità di miglioramento sta anche nell’immagine. Qui il consiglio, come si legge nel rapporto Ergo, è di “implementare azioni per comunicare ai propri clienti le performance ambientali dei propri prodotti e le azioni ambientali della propria impresa”. D’altronde la sfida è ormai tracciata. Aumentare il tasso di implementazione dell’economia circolare per l’industria tessile è una strategia competitiva necessaria per recuperare competitività, oltre che per difendere l’ambiente. Lo è per Varese, così come per l’Italia. Ma anche per l’industria tessile a livello globale. Ad oggi nel mondo si perdono ogni anno più di 500 miliardi di dollari di valore a causa di abiti sottoutilizzati o per la mancanza di riciclo. Il rifiuto è la nuova materia prima. Il petrolio del futuro. Il trend verso un uso e riuso più consapevole ed ecologico dei prodotti della moda, però, non è inevitabile. Non è un fenomeno che si affermerà sul mercato per forza di inerzia. Anzi. Basti pensare che negli ultimi 15 anni il numero di volte che un indumento viene indossato prima di essere dismesso è diminuito del 36%. Il “fast fashion” ha le sue responsabilità. Poco male se il maglione o il pantalone fosse riciclato e reimmesso nel ciclo produttivo. Il fatto, però, è che, sempre a livello globale, meno dell’1% dei materiali tessili viene riciclato in nuovi capi, con una perdita annua di 100 miliardi di dollari di materiali all’anno. L’economia circolare conviene. All’industria in primis. A Varese, a quanto pare, è stato capito. Serve solo continuare a migliorarsi.

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FOCUS

La plastica è anche bio Nel packaging alimentare made in Varese, targato MPG Spa di Gallarate, si fanno strada i contenitori ottenuti senza l’utilizzo di materie prime fossili, sostituite con risorse prodotte in modo sostenibile sia a livello sociale, sia ambientale. Il tutto garantito con certificazione internazionale Per quanto riguarda il packaging alimentare, infatti, è la stessa nor-

Davide Cionfrini mativa che impone, per motivi igienico-sanitari, rigorose normative

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a plastica sostenibile esiste e nel settore del packaging alimentare si fa strada grazie alle piccole e medie imprese del made in Italy che investono in nuove materie prime. La riprova è la MPG Manifattura Plastica Spa di Gallarate, prima azienda in Italia ad aver ottenuto da poche settimane la certificazione ISCC – International Sustainability & Carbon Certification per i propri imballaggi rigidi, unico caso al momento nell’industria italiana, ad essere certificata nella produzione di manufatti rigidi per alimenti associati a materiali rinnovabili a base vegetale. “La realtà – spiega Giampiero Perego, Presidente della MPG – è che a rendere green l’economia possono essere solo le imprese con i propri investimenti. Ed è ciò in cui siaPolimeri di bioplastica mo impegnati come azienda da tempo qui a Gallarate, dove grazie all’impegno nello sviluppo di nuove strutture e nuovi modelli organizzativi puntiamo alla realizzazione di imballaggi sostenibili anche in un comparto, quello alimentare, con stringenti normative”.

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che limitano l’utilizzo della plastica riciclata. “Questo, però, non impedisce alla MPG di proporre alle persone un consumo responsabile optando per prodotti confezionati con imballi rigidi derivanti da materia prima con ridotto impatto ambientale (traducibile in un risparmio fino a 2,5 kg di anidride carbonica per kg di polimero prodotto rispetto alla produzione di polimeri tradizionali)”, afferma ancora Perego. L’industria alimentare, che dunque d’ora in avanti vorrà utilizzare questo nuovo prodotto MPG, potrà richiedere l’autorizzazione a riportare sugli imballi il logo che attesta che il materiale sostenibile è stato certificato secondo i requisiti ISCC. “La sostenibilità – continua il Presidente della MPG – non è quasi più una scelta, ma è una strada obbligata per avere un plus sul mercato. A questo nuovo nostro imballaggio sostenibile è già interessata una importante multinazionale dell’alimentare, abbiamo interessanti prospettive”. Gli imballi flessibili, certificati come sostenibili a livello internazionale esistevano già in Italia. La MPG è, però, la prima società italiana


C’è un però, quasi una sorta di beffa: “Nonostante si tratti di un imballaggio sostenibile certificato a livello internazionale, sarà comunque tassato dalla Plastic Tax se entrerà in vigore all’inizio del prossimo anno”. Nessuna esenzione è prevista per la plastica sostenibile derivante da biomasse. Mentre, ricorda Perego, l’effettivo utilizzo della plastica riciclata negli imballi per alimenti è fortemente limitato per legge: “Quindi la Plastic Tax nel nostro settore, così come concepita – è la chiosa – sarà solo uno strumento per fare cassa, non per incentivare un traghettamento verso un’economia circolare. Alla fine, però, MPG dimostra che a creare le basi per una produzione veramente sostenibile possono essere solo le imprese, anche e soprattutto le Pmi. Perché non incentivarle in questa trasformazione? Noi continuiamo con responsabilità a fare la nostra parte per un mondo migliore e per un consumo più intelligente delle risorse del pianeta, ma nonostante questo saremo tassati da un’imposta che è sicuramente meno ‘green’ di ciò che oggi, certificato alla mano, siamo in grado di produrre”.

FOCUS

ad arrivare sul mercato con un imballo rigido per contatto alimentare in plastica sostenibile, con certificato internazionale di sostenibilità ISCC che attesta l’uso di materie prime rinnovabili impiegando risorse prodotte in modo sostenibile a livello sociale ed ambientale; entrando dunque in una sorta di club di cui fanno di solito parte grandi multinazionali dai nomi altisonanti. Segno che le cosiddette multinazionali tascabili italiane possono fare la differenza e lottare alla pari dei grandi non solo sul lato della competitività, ma anche dello sviluppo di un’economia green e circolare. D’altronde la MPG è un vero e proprio leader a livello europeo. Il 90% della sua produzione consiste in imballaggi per alimenti che finiscono sulle nostre tavole. All’interno delle sue vaschette Processo produttivo in MPG in plastica vengono confezionati molti prodotti alimentari tra cui gelati come quelli Motta, Coppa del Nonno, Valsoia e prodotti caseari quali il gorgonzola di Igor. Solo per citare alcuni tra i brand più famosi riforniti dall’azienda gallaratese che ha tra il suo parco clienti anche colossi come Unilever e Kraft-Heinz. Una realtà che si inserisce all’interno di un distretto, quello industriale varesino, che per numero di addetti nel settore gomma e materie plastiche è terzo in Italia: 489 imprese per più di 10.300 lavoratori, 2.300 dei quali impiegati nello specifico comparto degli imballaggi in plastica. La MPG nel 2019 ha chiuso il bilancio con ricavi per 18 milioni di euro ed impiega tra i 70 e i 115 addetti (nel settore, soprattutto per un’azienda che rifornisce i produttori di gelato, la stagionalità è molto alta). “Nel 2020 – commenta Perego – l’emergenza Covid ha di fatto modificato la percezione della realtà da parte dei consumatori, trasformando quindi consumi, modalità di acquisto, comprensione della green economy. Investire per il raggiungimento di una concreta sostenibilità ambientale diventa perciò la strada non solo auspicabile da percorrere, ma anche e soprattutto necessaria. Gli sviluppi nel nostro settore, come dimostra l’ottenimento della certificazione ISCC Plus, ne sono la prova”.

Il nuovo imballo in bioplastica della MPG avrà un ridotto impatto ambientale traducibile in un risparmio fino a 2,5 kg di anidride carbonica per kg di polimero rispetto alla produzione della materia prima utilizzata per realizzare la plastica tradizionale 15


FOCUS

L’acciaio green 4.0 Dall’eliminazione degli sprechi al recupero dei rottami come materie prime seconde, passando per il riciclo del calore creato in fase di produzione e utilizzato per scaldare le famiglie di un centro abitato, abbattendo così le emissioni di anidride carbonica. I progetti di Tenova grazie alle tecnologie digitali conomia circolare, è sempre stata nel Dna dell’industria metallurgi-

Silvia Giovannini ca, grazie alle sue peculiarità intrinseche: pensiamo alla gestione del

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uando si pensa all’economia circolare, vengono spesso in mente prodotti di comune uso casalingo definiti riciclabili. Si tratta, invece, di un sistema complesso che non punta al semplice riuso, ma coinvolge l’intera catena del valore, svariati settori e prodotti. Come l’acciaio, ad esempio. “La logica alla base dell’eStabilimento Tenova a Castellanza

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processo, complesso ed energivoro, all’uso del rottame ferroso e alla valorizzazione dei residui come sostituti di risorse naturali”, spiega Enrico Malfa, Direttore Ricerca e Sviluppo di Tenova, la società del gruppo Techint, con sede principale a Castellanza, nome di riferimento mondiale per le soluzioni per il settore metallurgico e minerario. “La vera innovazione oggi consiste nell’applicazione delle


Il Ceo Roberto Pancaldi: “L’implementazione di una piattaforma di servizi digitali avanzati basata sulla raccolta e l’analisi di big data e sulle tecnologie di machine learning, integrando l’intera catena del valore, è la chiave per gestire le attività dell’acciaieria nel modo più sicuro ed efficiente”

Cluster Nazionale Fabbrica Intelligente”, chiarisce Malfa. “Il recupero avviene così: grazie all’analisi di immagine e a uno scanner 3D, viene individuata la posizione di un rottame in uno spazio che può essere ampio come un campo da calcio. Contemporaneamente, grazie a questo processo, possiamo capirne l’origine, le caratteristiche e la quantità. Così, si riducono i possibili errori e i tempi delle operazioni di gestione del materiale, che viene poi recuperato”. Acciaio_4.0 è uno dei 4 Lighthouse Plant, impianti produttivi basati su tecnologie di Industria 4.0, selezionati dal Cluster Fabbrica Intelligente, l’associazione che include imprese, università, centri di ricerca e altri stakeholder attivi nel settore del manufacturing avanzato. Il progetto prevede un investimento complessivo di 12 milioni di euro, di cui 8 finanziati per il 22% dal Ministero per lo Sviluppo Economico. La Commissione Europea, in un recente report dedicato all’ecosistema imprenditoriale lombardo, riconosce il Lighthouse Plant come una delle iniziative che contribuiscono a trainare il tessuto produttivo della regione. “In questi mesi, la nostra priorità, oltre a salvaguardare la salute e il benessere delle persone, è stata quella di garantire la business continuity ai clienti, cercando di reagire in modo tempestivo”, aggiunge Roberto Pancaldi, Ceo di Tenova. “Quest’esperienza ci sta rivelando che la strada intrapresa con ORI Martin è quella giusta: l’implementazione di una piattaforma di servizi digitali avanzati basata sulla raccolta e l’analisi di big data e sulle tecnologie di machine learning, integrando l’intera catena del valore, è la chiave per gestire le attività dell’acciaieria nel modo più sicuro ed efficiente”. Ma questa non è l’unica iniziativa di economia circolare di Tenova. Sempre con ORI Martin, l’azienda nel 2016 aveva già sviluppato il progetto Pitagora, finalizzato al recupero energetico. Nella fusione del rottame ferroso con forno elettrico ad arco, infatti, viene sprecata, attraverso i fumi, una rilevante quantità di calore. Questo, grazie al sistema Tenova iRecovery®, viene recuperato per produrre energia elettrica e calore destinati alla città di Brescia. In numeri, ogni inverno il processo può scaldare 2.000 famiglie e in estate produrre energia elettrica pulita per il fabbisogno di 700, nel rispetto dell’ambiente, con una riduzione di 10.000 tonnellate di anidride carbonica. iRecovery® ha poi trovato applicazione nelle acciaierie Arvedi a Cremona e Pittini a Potenza. Recentemente sono partiti altri progetti in collaborazione con partner internazionali e acciaierie italiane: ECOSLAG con ACP, iSlag con Tenaris Dalmine e Feralpi e OnlyPlastic con Feralpi, in parte finanziati dal Fondo di Ricerca per Carbone ed Acciaio della Commissione Europea, che punta ad affrontare le sfide ambientali in linea con il Green Deal europeo. In particolare, ECOSLAG e iSlag mirano al recupero delle scorie con processi decisamente innovativi, mentre OnlyPlastic, punta a sostituire le fonti di carbonio fossile usate nel forno elettrico ad arco, con polimeri derivati da residui plastici, con benefici attesi di incremento del riciclo delle plastiche e di riduzione di anidride carbonica e costi di produzione.

FOCUS

tecnologie digitali, non solo per ottenere migliori performance nei processi, ma anche per ottimizzare l’uso delle risorse sia energetiche che di materie prime e seconde. Le tecnologie che si possono implementare, anche grazie a finanziamenti ad hoc nell’ambito degli accordi di programma Stato-Regione, permettono di fare sempre meglio. È grazie al mix tra impegno ecosostenibile e ricerca che la filiera può avere maggiori possibilità di superare la crisi post Covid”. È proprio Tenova a portare avanti, grazie alla collaborazione con ORI Martin, azienda siderurgica bresciana specializzata nella produzione di acciai di alta qualità, que- Roberto Pancaldi sti concetti nell’ambito del Lighthouse Plant Acciaio_4.0. “Con questo progetto – spiega Maurizio Zanforlin, Manager R&S di ORI Martin – vogliamo garantire il controllo della produzione, dalla materia prima (il rottame) al prodotto finito, attraverso le tecnologie dell’Industria 4.0 che Tenova ha applicato gestendo i dati del processo”. Un progetto ambizioso per una partnership tutta lombarda: cosa non da poco se si pensa che la regione è una delle aree più colpite dall’emergenza sanitaria e che le due realtà industriali si sono riorganizzate per adattare il proprio modo di lavorare, trovando nelle tecnologie digitali la chiave per affrontare la crisi. Il tema, poi, è fondamentale per il territorio: quasi la metà dell’acciaio prodotto in Italia è, infatti, lombardo. Stando ai dati del 2018 sono 14 milioni di tonnellate i rottami raccolti e trasformati in nuovo acciaio in un ciclo che consente di definirlo letteralmente un materiale permanente. Ma in cosa consiste il progetto? Obiettivo principale è quello di trasformare il sito produttivo dell’acciaieria bresciana in una Cyber Physical Factory con il supporto di Tenova, grazie all’applicazione delle tecnologie di Industria 4.0. Il tutto reso possibile anche grazie alla rinnovata alleanza con Microsoft. E come si concretizza? “Uno degli aspetti chiave del progetto è la gestione del parco rottame, che portiamo avanti con il

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FOCUS

Il futuro sostenibile mattone dopo mattone L’economia circolare è al centro anche delle strategie di sviluppo del settore delle costruzioni. L’esempio di Holcim Italia e della sua unità produttiva di Ternate con progetti che puntano a conciliare business economico e comportamenti di responsabilità sociale e ambientale, a partire dalla difesa della biodiversità Stabilimento Holcim di Ternate

a raggiungere. “I nostri prodotti, ma in maniera ancora più ampia

Alessia Lazzarin il settore delle costruzioni – afferma Lucio Greco, Amministratore

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viluppo sostenibile è sinonimo di sviluppo economico. È questa la direzione che la Holcim di Ternate sta percorrendo. Accelerare la transizione verso materiali più sostenibili per costruzioni più ecologiche è il traguardo che l’azienda varesina, produttrice di cemento da oltre 90 anni, si impegna quotidianamente

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Delegato di Holcim Italia – svolgono un ruolo chiave nella transizione verso un’economia circolare”. La produzione dei materiali quali cemento, aggregati e calcestruzzo, infatti, ha come maggior impatto sull’ecosistema il trasferimento di risorse dai giacimenti naturali all’utilizzo nei manufatti ed un elevato consumo di energia. “Responsabilità ambientale per noi significa ridurre il consumo di


risorse naturali non rinnovabili e impegnarci per la diminuzione delle emissioni, partendo dal recupero di materiali secondari ed investendo nello sviluppo di prodotti e processi innovativi” continua Greco. A livello operativo sono diverse, e sempre più performanti, le iniziative messe in campo da Holcim Italia: promozione di comportamenti orientati a rispettare gli equilibri ambientali esistenti operando all’insegna della tutela, miglioramento e potenziamento della biodiversità dei siti estrattivi, ma anche promozione di un utilizzo più efficiente dei materiali, sono solo alcuni esempi. “Massimizziamo l’efficienza dei processi e contribuiamo a chiudere i cicli dei materiali da costruzione e a ridurre l’emissione di anidride carbonica lungo l’intera catena del valore” spiega l’Amministratore Delegato, sottolineando l’importanza per il Gruppo di una comunicazione trasparente e sincera con gli stakeholder: “Creiamo un dialogo condiviso e relazioni di rispetto reciproco”. Generare valore e promuovere allo stesso tempo un modello di business che preservi ed ottimizzi l’uso di risorse naturali e lo sviluppo delle comunità è la linea guida che Holcim ha deciso, da oltre 30 anni, di seguire. “La nostra casa madre, LafargeHolcim – spiega Riccardo Bianchi, Direttore di Stabilimento per il sito di Ternate e di Merone – ha imposto dei target in linea con l’Agenda 2030, un range massimo di 475 kg di anidride carbonica per tonnellata di cemento prodotto. Nel 2020 questa soglia è stata già raggiunta e ampiamente superata, anche rispetto alla media nazionale. Ad oggi siamo al di sotto dei 430 kg di anidride carbonica per tonnellata di cemento”. Stiamo quindi implementando lo sviluppo di soluzioni sempre più sostenibili dal punto di vista dei prodotti e dei processi per ridurre il consumo di risorse naturali e le emissioni di anidride carbonica entro il 2030 e promuovere lo sviluppo dell’edilizia sostenibile attraverso la fornitura di prodotti sempre più all’avanguardia per

FOCUS

L’obbiettivo è quello di implementare soluzioni che siano quanto più riciclabili, dando vita ad un ciclo produttivo che non abbia scarti finali

le nostre città – continua Bianchi –. Lo facciamo in due modi: da una parte sostituiamo i combustili fossili con combustibili di recupero derivati da rifiuti. Dall’altro interveniamo sulla materia prima”. Proprio su quest’ultimo fronte sono tanti i progetti futuri a cui il cementificio varesino sta lavorando. Parola d’ordine è: sostituire la materia prima naturale. Come? Riutilizzando i materiali di recupero da macerie di edifici in demolizione, con lo scopo di ridurre le materie prime che in questo modo non vengono estratte dai giacimenti naturali. Per sostituire i combustili fossili, invece: “Recuperiamo anche i fanghi essiccati da depurazione delle acque (biomassa) e li reinseriamo sottoforma di energia come combustibile alternativo” spiega Bianchi. Al fianco di Holcim, opera Geocycle (Italia) Srl, società appartenente al 100% al gruppo, che, di fatto, supporta la cementeria di Ternate nell’applicazione del “co-processing” per risolvere le sfide relative alla valorizzazione e all’utilizzo dei rifiuti in modo sostenibile. “Ci occupiamo di reperire risorse alternative all’utilizzo di combustile fossile – afferma Marco Turri, Sales and Marketing Manager di Geocycle – in un’ottica di economia circolare. La tecnologia del coprocessing consente di recuperare materia ed energia dai rifiuti con un processo che porta alla totale assenza di scarti. Oltre ad un risparmio di materia prima e ad una forte riduzione di anidride carbonica nel processo produttivo del cemento, la tecnologia del co-processing risulta una soluzione di prossimità e consente di valorizzare la porzione non riciclabile dei rifiuti garantendo la totale assenza di scarti quindi la totale chiusura del ciclo dei materiali alla fine del processo”. Una delle ultime azioni messe in campo dal Geocycle riguarda il recupero di solventi chimici. “Recuperiamo da aziende farmaceutiche principalmente del nord Italia solventi esausti non più rigenerabili, li lavoriamo e li rendiamo idonei alla combustione nel processo produttivo recuperando energia”. Un altro importante aspetto che riguarda da vicino l’impegno sostenibile di Holcim è il Bap (Biodiversity Action Plan). Un piano che coinvolge tutti i siti estrattivi ed ha come scopo quello di assecondare orientamenti ed indirizzi di corretta gestione dei siti stessi, secondo logiche orientate al rispetto ed alla tutela degli elementi della naturalità e della biodiversità dei luoghi. “L’obiettivo generale del Bap è quello di consentire la gestione del sito per mantenere o rafforzare i valori della biodiversità durante le fasi operative e postchiusura del progetto” conclude Bianchi, ricordando che oggi molte ex cave di estrazione di Holcim godono dello stato di un’area naturale protetta.

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FOCUS

Ogni cosa suona Sogno, visione, arte: l’economia circolare è anche talento creativo e capacità di raccontare alle nuove generazioni un inedito modo di vivere. L’esperienza del musicista Antonio Testa È un percorso molto variegato quello dell’artista attivo nel cam-

Silvia Giovannini po della musica contemporanea dai primi anni ‘80: un percorso

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economia circolare non potrebbe esistere senza mente aperta, curiosità, creatività. Dall’arte all’industria, dal riciclo creativo all’impiego di nuove tecnologie per risparmiare energie e materie prime, il campo è vasto e sempre più dovrà essere coltivato dalle nuove generazioni usando testa e cuore. Anche la musica ce lo conferma.

che lo porta a sperimentare, ricercare nuove forme di suoni e di strumenti e a lavorare costantemente per espandere la sua ricerca etnomusicologica e dei poteri curativi del suono. Il punto di partenza è che ogni cosa suona e questo apre infinite possibilità di sperimentare e creare ad ogni età. Da qui all’insegnamento e al desiderio di sensibilizzare i più giovani, il passo è breve. Oltre che attraverso i laboratori, Testa lo racconta in un libro dal titolo “Giocare con i suoni” (recentemente riedito da Nomos), una raccolta di stimoli e insieme un vero e proprio percorso didattico per bambini e ragazzi basato su un lavoro multidisciplinare che unisce musica, espressione corporea, ricerca creativa. All’interno si scopre come costruire e suonare oltre 60 strumenti musicali grazie al riciclo di materiali naturali e di uso quotidiano. Un lavoro pensato anche per le famiglie, oltre che per le scuole e gli insegnanti. “Il suono può diventare un tramite tra adulti e ragazzi, un’ottima forma di comunicazione”, spiega Testa. Veicolo perfetto quindi per trasmettere un messaggio ecologico e di amore per il pianeta ad ogni generazione.

antoniotestamusic.com

“Il mio principale obiettivo è sensibilizzare i bambini a riciclare i materiali, usando il potere enorme della musica che ha una capacità di racconto come nient’altro al mondo”. A spiegare la propria esperienza è Antonio Testa, varesino d’adozione, musicista, percussionista, compositore, produttore e insegnante che, all’interno della sua vasta carriera professionale, ha inserito percorsi che potremmo chiamare di arte circolare, in cui insegna ai più giovani come suonare con strumenti realizzati con il riciclo creativo. 20

Uno strumento insospettato? La chiave inglese con la sua sonorità squillante. Perfetta per costruire un originalissimo Glockenspiel, da percuotere con un’altra chiave, un chiodo o qualsiasi oggetto. Il riciclo ha solo i limiti della propria fantasia


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ECONOMIA

La ripresa è incerta, incompleta e non equilibrata Continua il viaggio di Varesefocus per capire cosa accadrà nei prossimi mesi tra i settori economici maggiormente radicati sul territorio. Niente previsioni numeriche più o meno attendibili. Bensì un’analisi dettagliata dei driver che guideranno lo sviluppo delle imprese. Focus su gomma-plastica, aerospazio e terziario avanzato Paola Margnini (*)

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lle soglie dell’autunno continua il viaggio di Varesefocus tra i settori del territorio per capire cosa stia succedendo, nei fatti, alle imprese. Con una pandemia ancora in corso è difficile, e forse anche un po’ superfluo, fare proiezioni solo numeriche sulla chiusura d’anno. A meno che, come sostengono alcuni, si accetti di avere la stessa attendibilità di una previsione meteorologica estiva relativa al prossimo Natale. Il perimetro di ciò che sta accadendo (ed accadrà) è stato delineato con efficacia e rara dote di sintesi da Christine Lagarde che durante la riunione con il Consiglio Ue di fine settembre ha tracciato il profilo di “una ripresa che resta incerta, incompleta e non equilibrata…” Incerta nell’intensità, incompleta nella vastità dei soggetti coinvolti e non equilibrata nella sua tenuta. Per comprendere cosa stia succedendo è, quindi, assai più interessante osservare non tanto il dato macro, ma i com22

portamenti ed i cambiamenti che si stanno facendo strada nei vari comparti. È da lì che si possono meglio intuire le prospettive di medio periodo. Nella prima tappa di questo viaggio (Varesefocus n. 5/2020, pag. 6) avevamo ragionato su ciò che accade nella moda, nell’automotive, nella meccanica, nei trasporti e nella logistica, con qualche breve accenno alle situazioni più fortunate di chi faceva eccezione: farmaceutico, alimentare e alcune tipologie di servizi. Ripartiamo dunque da dove ci eravamo interrotti per esaminare cosa succede in alcuni settori particolarmente rappresentativi sul territorio.

PLASTICA E GOMMA― La peculiarità del settore plastica e gomma sta nella sua eterogeneità di prodotto. Si tratta di un settore essenzialmente trasformatore, il cui elemento unificante è il materiale e la tecnologia con cui lo si lavora. Dal trattamento del-

(*) Responsabile Ufficio Studi Univa


ECONOMIA la gomma e della plastica possono essere creati innumerevoli prodotti, diversi per tipologia e per “grado di accesso diretto al mercato”. Nel caso del nostro territorio si va dagli occhiali iniettati in plastica e le lastre di acetato, che seguono gli andamenti del settore moda; ai particolari tecnici per auto, moto ed altri mezzi di trasporto che seguono le dinamiche del settore automotive; a componenti degli elettrodomestici che seguono quella dei beni di consumo durevole; ai giocattoli sino ad arrivare agli imballaggi che seguono le migliori dinamiche delle consegne (alimentari, cosmetiche, farmaceutiche, moda) e, più a monte, alle lastre, fogli, tubi e profilati distribuiti su innumerevoli canali di successivo utilizzo. La grande forza di cambiamento che sta investendo il settore si chiama Green Economy e si sta incardinando in specifiche direttive contenute nel Green New Deal emanato dall’Europa. Una strategia di crescita che ha l’obiettivo di azzerare le emissioni entro il 2050, spingere all’uso efficiente delle risorse, ridurre l’inquinamento e ripristinare la biodiversità. Non si tratta di dichiarazioni astratte, ma di un’onda lunga di trasformazione che già sta diventando realtà. Nel Piano d’Azione sull’Economia Circolare dell’11 marzo, a pandemia già in corso, la plastica, insieme a tessile, edilizia ed ai prodotti elettronici è stata identificata come un settore ad alta intensità di risorse ed è quindi nel mirino del cambiamento. Due le possibili opzioni strategiche per ridisegnare il proprio futuro: l’innovazione ed il riuso. E ne esistono già alcuni esempi, anche a partire dal territorio. L’innovazione prende le forme della produzione di plastica “sostenibile” che associa, ad esempio, elementi di origine vegetale ad elementi rigidi del packaging alimentare, ambito d’uso che necessita di peculiari certificazioni di sostenibilità e di sicurezza del prodotto. In termini di riuso esistono esempi di recupero degli scarti di lavorazione polverizzati che diventano nuo-

va materia prima grazie ad un processo di riciclo chimico. Così come il plasmix, insieme di plastiche eterogenee che può essere trasformato in granulo da utilizzare nella produzione di componenti per automotive sostituendo polimeri vergini. E si potrebbe continuare a lungo con altri esempi. Previsione: più che il Covid potrà il Green New Deal. Il settore si trova davanti ad un cambiamento epocale dettato dalla crescente sensibilità ai temi della sostenibilità ambientale. Il Covid ha segnato una parentesi su una via che iniziava già ad essere tracciata in termini di disincentivi. Innovazione, certificazioni green, economia circolare, riciclo: le parole chiave per la “Recovery Plastic Economy”.

AEROSPAZIO― Il settore aerospazio, in quanto strategico, è stato uno dei pochi che ha potuto continuare a lavorare durante la fase più acuta dell’emergenza sanitaria. È un settore peculiare, caratterizzato da ordinativi con tempi lunghi, che sono normalmente inseriti in programmi pluriennali. Non sono quindi 2 mesi di produzione a singhiozzo a poter avere un effetto dirompente, quanto piuttosto il repentino cambiamento nelle prospettive di mobilità delle persone e delle merci. Il blocco forzato dei voli causato dalla pandemia. I disincentivi agli spostamenti, low cost e non. La crescita di un’economia di prossimità. Lo smart working, che sostituisce le riunioni in presenza. La maggior cautela e pigrizia negli spostamenti. L’abbandono della sindrome del “mondo corto” in cui grandi distanze si potevano percorrere velocemente ed a basso costo. Sono tutti altrettanti fattori che pesano sulle prospettive produttive dell’aeronautica per il comparto civile. IATA ha stimato che dovremo attendere almeno sino al 2024 per tornare ai dati di traffico aereo pre-Covid. Nel frattempo, è 23


ECONOMIA

abbastanza facile prevedere che le difficoltà delle compagnie aeree, sempre IATA stima una perdita aggregata per il 2020 pari a 84,3 miliardi di dollari, rallenteranno se non addirittura bloccheranno gli investimenti per il rinnovo delle flotte di volo. Da qui i timori per il mercato dell’aeronautica civile nel medio periodo. È pure vero che i programmi aeronautici hanno tempi lunghi di sviluppo e che i tempi di realizzazione di un aereo o di un elicottero superano i mesi di permanenza del picco del Covid, ma è altrettanto vero che la fase di stallo si ripercuoterà in minori acquisizioni a breve e rallentamenti dei programmi in essere nel medio periodo. Nulla che non si possa recuperare, tuttavia sarà fondamentale un’azione bilanciata di politica industriale per mettere in sicurezza il patrimonio di tecnologie collegato alla filiera aeronautica, che nel nostro territorio è così fortemente radicata. Previsione: per supplire al calo del comparto aeronautico civile occorrerà uno sforzo nazionale con un’azione a tenaglia che, se da un lato prevede misure a favore della liquidità per mettere in sicurezza il sistema delle piccole e medie imprese della filiera, dall’altro lato possa individuare nuovi programmi di sviluppo aeronautico che permettano di dare una prospettiva più lunga a tutto il settore. Migliori le aspettattive per quanto riguarda la parte spazio, dove grazie alla space economy si stanno generando opportunità legate alla creazione di servizi per istituzioni e per cittadini, sviluppati su dati raccolti oltre l’atmosfera. A ciò si aggiunge, in prospettiva il maggior fermento legato alla recente firma dell’accordo UsaItalia di collaborazione sull’esplorazione dello spazio, con gli occhi puntati sul ritorno sulla Luna. Infine, si aggiungono le opportunità di cross-fertilization legate all’utilizzo di tecnologie dell’ambito aeronautico, quali ad esempio le applicazioni di cyber security, sperimentazioni di artificial intelligence, volo senza pilota, droni ed urban air mobility.

TERZIARIO AVANZATO― Il terziario avanzato merita una considerazione a sé. Così come il settore plastica raccoglie eterogeneità di prodotti, il terziario raccoglie eterogeneità di servizi. Nel periodo Covid si è generata una divaricazione negli andamenti economici: da un lato coloro che sviluppano servizi connessi alla presenza delle persone (ad esempio la formazione) 24

nei luoghi di lavoro hanno, naturalmente, sofferto il blocco delle attività dei propri clienti ed hanno registrato sospensive o trascinamento nei contratti già in essere. Dall’altro lato si è assistito a un “boom” di servizi richiesti per supplire l’improvvisa impossibilità di muoversi. Ne hanno beneficiato tutti coloro che sviluppano sistemi per permettere lo smart working e la scuola a distanza. Nell’arco di poche ore si sono trovati a dover connettere una larga parte della popolazione tra i 6 ed i 65 anni del nostro Paese. E non solo. Una altrettanto forte impennata della domanda di servizi ha coinvolto coloro che si occupano di e-commerce o di servizi legati alla distribuzione online. Qui l’aggregante non è stato il cambio delle attività quotidiane di lavoro o formazione, quanto la repentina variazione nelle modalità di consumo. Pensiamo alla spesa online, ma anche alle consegne di qualsiasi bene non reperibile nell’arco del comune o delle immediate vicinanze di casa. Il Covid ha costretto ciascuno di noi a digitalizzare, almeno in parte, il proprio modo di acquisto contribuendo così ad aprire una valvola di sfogo per sentirsi vivi. Previsione: riprenderanno con modalità nuova e ancora per i prossimi mesi con minor intensità i servizi legati alla presenza della persona. Rallenteranno dopo il picco legato all’emergenza i servizi legati alla fruizione online di smart working, fosse anche solo per effetto di una progressiva saturazione dell’attivazione di nuove postazioni. Avranno bisogno di consolidarsi i servizi di e-commerce, provati da molti nell’emergenza, ma che richiedono uno sviluppo organizzativo ragionato e strategico. Crescerà la domanda di servizi consulenziali strategici legati alle attività di ridisegno dell’organizzazione aziendale per permettere il “new normal” e riconsiderare i rapporti di filiera in modo da poter affrontare diversamente eventuali future situazioni di emergenza. Unico vincolo a questa, necessaria, rivisitazione sarà la situazione di scarsa liquidità delle imprese nei prossimi mesi che potrebbe frenare la revisione in chiave strategica dei processi di cambiamento di business model e dei rapporti di filiera. Questo sarebbe un grave limite perché è proprio ora il momento, per tutti, di “buttare il cuore oltre l’ostacolo”.

Seconda e ultima puntata.


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ECONOMIA

L’autobus può essere Covid-free Ellamp Spa, multinazionale tascabile con sede a Bodio Lomnago, ha sviluppato un processo di fotocatalisi come strumento di sanificazione per l’aria respirata a bordo dei mezzi di trasporto. Un processo del tutto naturale, con le più svariate applicazioni Chiara Mazzetti varesefocus.it

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na tecnologia in grado di sanificare continuamente l’aria che respiriamo, anche all’interno di un ambiente chiuso e affollato come un autobus e persino capace di disgregare a livello molecolare svariate tipologie di virus, tra cui l’ormai noto Covid-19? Non si tratta di fantascienza né tanto meno di utopia, ma di una realtà con tanto di brevetto, di certificazioni e molteplici applicazioni. A sviluppare questo innovativo sistema è stata, in tempi non sospetti, Ellamp Spa, azienda con 5 sedi produttive nel mondo, in Turchia, Spagna, Cina, Messico e in Italia, più precisamente a Bodio Lomnago, che si occupa dal 1987 di progettazione e produzione di sistemi di interni (di illuminazione, di canalizzazione aria, porta bagagli e servizi a passeggeri) per autobus con applicazioni anche nel settore ferroviario. “Ci siamo interessati al tema della sanificazione già un paio di anni fa, per provare a trovare soluzioni alle più comuni problematiche degli utenti e non dei costruttori, come ad esempio la presenza di cattivi odori, particolato atmosferico e situazioni allergiche a bordo dei mezzi”, spiega Massimo Ottino, Amministratore Delegato di Ellamp che, nel 2019 ha rilevato, con un gruppo di partner industriali, il 90% dell’azienda, con lo scopo di portare avanti un nuovo modello di business.

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Partendo da queste considerazioni, Ellamp ha pensato di realizzare un dispositivo che avesse 3 principali caratteristiche: fosse utilizzabile sui veicoli già in circolazione; funzionasse sempre anche in presenza delle persone; avesse costi accessibili. Purtroppo, però, le tecnologie più comuni presenti sul mercato, come sistemi a base di Ozono, Raggi UV o Perossido di idrogeno, avevano tutte significative limitazioni, a partire dagli alti consumi energetici, passando per la necessità di essere ricaricate spesso, fino al problema dell’incompatibilità di poter essere utilizzate in continuo in presenza delle persone in quanto dannose per le stesse. E poi la svolta: le applicazioni fotocatalitiche con triossido di tungsteno (WO3) e luce led bianca. Grazie alle competenze nanotecnologiche della startup innovativa Nanohub, Ellamp ha quindi sviluppato un prodotto brevettato che oltre a rispondere alle 3 principali caratteristiche sopra descritte, si distingue nel mondo della fotocatalisi per l’utilizzo del semiconduttore WO3, 20-30 volte più efficace del più tradizionale biossido di titanio (TiO2), senza la necessità di raggi UV e senza il rischio indicato dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sulle polveri del TiO2. “Quello che abbiamo utilizzato è un processo molto simile alla fotosintesi clorofilliana – precisa Ottino –. Il WO3 che ricopre il filtro, viene attivato da luce bianca led (energia) rilasciando così, attraverso dei processi ossidativi, specie reattive dell’ossigeno (ROS) in grado di disattivare e distruggere le sostanze patogene.


ECONOMIA Il tutto sfruttando un semplice principio chimico del tutto naturale: infatti la reazione rilascia solamente vapore acqueo, anidride carbonica e sali minerali, per nulla dannosi per la salute umana. Inoltre, la fotocatalisi è in grado di eliminare non solo virus e batteri, ma anche le particelle PM2,5 e le PM10, così come odori, funghi e muffe”. Questo sistema integrato di sanificazione dell’aria attraverso la fotocatalisi nei mezzi di trasporto è stato brevettato nell’ottobre 2019 ed ha già trovato applicazione sui mezzi di Busitalia, divisione di Trenitalia, Conerobus, Linea Azzurra e molti altri. “A marzo, la nostra capogruppo Fuel ha sottoscritto una partnership esclusiva con la startup innovativa Nanohub che ha sviluppato un nuovo brevetto fotocatalitico a base di triossido di tungsteno, luce led bianca ed un filtro con nanocluster di rame – spiega l’Ad di Ellamp –. Ed è per questo che il San Raffaele di Milano e la dottoressa Elisa Vicenzi, capo dell’Unità di Patogenesi Virale e Biosicurezza dell’Ospedale milanese hanno testato il nuovo brevetto sul virus Sars-Cov-2”. Con risultati molto soddisfacenti: entro 10 minuti la tecnologia fotocatalitica disattiva il 98,2% del virus e in mezz’ora lo rende completamente inattivo. “Il sistema di sanificazione dell’aria sui mezzi di trasporto, sia in ricircolo che in mandata, sta incontrando pareri molto positivi, sia verso i costruttori di autobus e treni, che ne prevedono l’installazione come primo equipaggiamento, sia verso i flottisti e le municipalità che lo stanno installando su veicoli già in circolazione. La versatilità dell’applicazione è stata possibile grazie

all’efficacia del processo ed alla semplicità e non invasività della soluzione sviluppata. L’utilizzo della fotocatalisi, soprattutto in questo periodo di emergenza, ha dimostrato di essere molto efficace e di fatto l’unica alternativa, per una corretta e soprattutto continua, sanificazione degli ambienti indoor”, commenta ancora Massimo Ottino. Risultati significativi, incrementati a marzo di quest’anno, con nuovi investimenti dell’azienda che, ancora una volta insieme a Nanohub, ha deciso di espandersi verso altri segmenti come quello della scuola e degli uffici. Così è nata una mascherina, anch’essa brevettata, dotata di fotocatalisi per la sanificazione dell’aria e di un filtro che disattiva il virus lasciando permeare l’aria. Il tutto anche grazie all’istallazione di una ventolina in grado di evacuare l’anidride carbonica in eccesso prodotta dall’uomo, che se inalata per lunghi periodi, può portare a diversi disturbi. “Abbiamo impostato un mercato sia italiano che estero per questi sanificatori d’aria contro il Covid, che stanno dando soddisfazioni. Tra le prime istallazioni richieste c’è stato l’Istituto Spallanzani-Gramsci della città Metropolitana di Milano, altre a Venezia e Montebelluna. Le richieste arrivano anche fuori dai confini italiani, ma a Varese purtroppo sembra non ci sia spazio. Serve dare voce anche sul territorio a questa tecnologia che possa poi arrivare al tavolo delle Istituzioni: abbiamo donato agli scuolabus di Daverio e Bodio i dispositivi per la sanificazione dell’aria. Un primo passo che, speriamo, ci possa avvicinare a questo scopo”, chiude speranzoso Ottino.

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ECONOMIA

In Maserati o a Cortina, SPM va sempre veloce Nuove commesse e certificazioni per la ripartenza post lockdown. L’azienda di Brissago Valtravaglia non si ferma e nel suo “medagliere” aggiunge un Mondiale, un’Olimpiade e due auto total green Silvia Giovannini

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on di solo sport vive SPM. Ricordate? Nel 2018 la storia dell’azienda varesina fece grande scalpore per i numeri da capogiro: oltre 80 chilometri di reti, 2.200 metri di materassi di protezione, 3 chilometri di transenne e 20.000 pettorali partirono da Varese per arrivare alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang. Numeri che lasciarono a bocca aperta il comune letto-

re, che si chiedeva incuriosito come fosse possibile che a Brissago Valtravaglia (che se non lo sapete è un Comune di 1.240 anime nella Comunità Montana Valli del Verbano) nascesse un prodotto così particolare. Numeri, tuttavia, che il mercato conosceva già molto bene perché dal 1954 l’azienda metalmeccanica si è ben consolidata, affermando il proprio nome a livello internazionale e arrivando, tra le altre cose, nel 2019 ad entrare nel programma Elite di Borsa italiana che prepara le imprese alla crescita attraverso il mercato di capitali. Oggi, nello scenario imposto dal CoronaviGli stemmi BMW realizzati da SPM

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rus, sono tre le partite aperte per la SPM (sigla che sta per Sigilli in Plastica e Metallo) rappresentate dalle tre divisioni aziendali, diverse tra loro ma accomunate dal know-how nella lavorazione della plastica e del metallo: quella del mercato sportivo, la divisione Sports Equipment, che vanta nel suo palmares la fornitura di 5 Olimpiadi, 8 finali di Coppa del Mondo e 10 Campionati Mondiali; quella dell’automotive, che rappresenta all’incirca il 60% del fatturato, con la realizzazione dei loghi per i più importanti brand europei; il comparto moda, con marchi di garanzia, etichette tessute in pelle, placchette per gli abiti. E come si giocheranno queste tre partite in un momento sicuramente complesso per l’industria del territorio e non solo? “Le novità in cantiere non sono poche”, racconta Giovanni Berutti, seconda generazione in azienda, che ha raccolto le redini dal fondatore, il padre Gianpiero, inventore del palo snodato che ha rivoluzionato gli sport invernali, purtroppo recentemente scomparso. “Innanzitutto, le novità in tema di sicurezza e salute, argomenti che ci stanno particolarmente a cuore e che oggi acquistano ancora più valore per il periodo difficile che attraversiamo. Siamo un’azienda che vuole generare opportunità per il territorio: le persone, di cui oltre la metà sono donne e per la maggioranza residenti in un raggio di 5 chilometri dalla sede, sono al centro del nostro progetto. Di recente, abbiamo ottenuto due certificazioni delle quali siamo particolarmente orgogliosi: la ISO 45001 sul sistema di gestione della salute e della sicurezza aziendale e la ISO 27001, che riguarda, invece la gestione per la sicurezza delle informazioni e della privacy”. “Una novità - continua l’imprenditore - che si inserisce in un contesto più ampio e costituisce, insieme ad alcuni nuovi progetti e nuovi ordini, la prova che, nonostante le difficoltà del periodo,

ECONOMIA

si possa ricercare eccellenza ed elevata qualità in tutti gli ambiti. Solo il settore fashion purtroppo segue la linea generale delle imprese che operano in quest’ambito: si sta cercando di ripartire puntando su poche ma valide collezioni. Tra i nostri clienti, Gucci, Dolce & Gabbana e Missoni. Vogliamo essere positivi per il periodo autunnale”. Progetti e commesse non di poco conto, quelle arrivate di recente in un’azienda che, con l’entrata del giovane figlio di Giovanni Berutti, Stefano, si affaccia alla terza generazione. Per quanto riguarda il settore automotive, già legato a marchi come Ferrari, Porsche, Maserati, BMW e Lamborghini, la SPM ora “veste” di loghi la sportivissima Maserati MC20 (l’auto che al momento monta il maggior numero di particolari prodotti per singola vettura, cioè 10), la nuova Fiat 500 elettrica e il Suv elettrico BMW iX3 appena presentato al pubblico. Le ultime due, in particolare, confermano l’azienda, già partner di Tesla, come fornitrice di vetture orientate a un futuro green, in linea con la filosofia d’impresa. E poi lo sport, il campo in cui si gioca la partita sicuramente più affascinante per il grande pubblico. SPM ha vinto due bandi importanti per i Mondiali di Sci Alpino di Courchevel Meribel 2023: il primo riguardante la messa in sicurezza delle piste su cui si svolgeranno le gare veloci di Discesa Libera e Super G a Courchevel, dove si terranno le gare maschili, il secondo relativo a materiali di sicurezza per Meribel, dove avverranno quelle femminili. Anche in questo caso parliamo di numeri importanti per una fornitura di 1,5 chilometri di reti di protezione di tipo A, cioè a struttura fissa e 70 pali in ferro a Courchevel, 2 chilometri di reti B, 1,5 chilometri di reti di delimitazione e 30 materassi di protezione ad aria. E per quanto riguarda i Mondiali di Cortina 2021? “Ci siamo occupati della sicurezza di una nuova pista, chiamata ‘Vertigine’, costruita ad hoc per l’evento”, racconta ancora Berutti. “Qui abbiamo messo 1 chilometro di reti di protezione di tipo A. Siamo già stati fornitori ufficiali degli ultimi Mondiali di Åre 2019 in Svezia e St. Moritz 2017 in Svizzera. Proseguono, inoltre, i lavori per le Olimpiadi di Pechino 2022: grazie alla vittoria di un’importante commessa, dal 2018 stiamo lavorando e abbiamo spedito numerosi materiali made in Varese in Cina. Anche in questo caso si parla di numeri non da poco: 10 chilometri di reti di protezione, 230 pali in ferro, 15 chilometri di reti, 107 materassi di protezione ad aria, 1.500 pali da slalom e molto altro ancora. L’augurio è ovviamente che la situazione d’emergenza si risolva in tempo perché le gare si possano svolgere in completa sicurezza”.

Giovanni Berutti: “Molte le novità in azienda: in primis le certificazioni in sicurezza e salute, temi che ci stanno a cuore da sempre e che oggi acquistano ancor più valore” 29


FORMAZIONE

4.300 studenti reporter raccontano le imprese di Varese In un’edizione speciale di Varesefocus, sfogliabile online, la fotografia nitida e disinibita del patrimonio manufatturiero e imprenditoriale del territorio, scattata in oltre 370 pagine scritte dai ragazzi delle scuole di terza media volta, con le aziende. Un guanto di sfida quello che l’Unione degli

Alessia Lazzarin Industriali della Provincia di Varese ha lanciato ai ragazzi e alle raGli occhialini da piscina di Michael Phelps sono di produzione varesina. Avete capito bene. L’ex campione di nuoto americano, con al collo un numero di medaglie da record, ha indossato degli occhialini che portano la firma di un’azienda di Busto Arsizio. È questa una delle rivelazioni che accompagnano il lettore attraverso un’edizione speciale realizzata dal nostro magazine Varesefocus: 370 pagine sfogliabili online sul sito www.varesefocus.it, scritte da giornalisti speciali: i 4.300 studenti delle scuole medie del territorio che hanno partecipato alle oltre 140 visite aziendali svolte in occasione del progetto Pmi Day 2019, la più importante manifestazione di orientamento allo studio del Varesotto durante la quale i giovani entrano in contatto, per la prima 30

gazze in occasione della decima edizione di questo progetto che è allo stesso tempo un’opportunità di scoperta, formazione, integrazione e conoscenza del mondo della manifattura, in vista di uno dei momenti più importanti: la scelta delle scuole superiori. Come afferma Giancarlo Saporiti, Presidente della Piccola Industria di Univa: “Di fronte al bivio di quale strada percorrere nei propri studi, la conoscenza dell’economia del territorio è un fattore imprescindibile, seppur fin troppo spesso sottovalutato da ragazzi e famiglie: per questo motivo ogni anno le imprese della provincia di Varese scelgono di aprire le porte ai giovani studenti in procinto di scegliere a quale scuola superiore iscriversi”. Un mondo, quello dell’industria, che i giovani hanno bisogno di scoprire con i propri occhi, soprattutto per sciogliere


FORMAZIONE tutti quei dubbi spesso alimentati dai troppi luoghi comuni antiimpresa. La soluzione? Rendere gli studenti parte attiva di un progetto. Un racconto. Proprio per questo, per valorizzare da un lato la passione con cui decine di imprenditori illustrano ogni anno ai ragazzi la loro storia e dall’altro per trasmettere un forte e concreto segnale di vicinanza alla scuola, Varesefocus ha deciso di raccontare, in un’edizione speciale sul web, il viaggio del Pmi Day 2019. La novità è stata la veste con cui i ragazzi si sono presentati in azienda: come dei veri giornalisti, pronti ad intervistare imprenditori, scattare foto e realizzare video. Un impegno collettivo che ha portato alla stesura, da parte di ciascuna classe partecipante all’iniziativa, di un vero e proprio articolo in stile giornalistico. Ovvero: interviste, reportage, controllo delle fonti e delle notizie (insieme agli stessi imprenditori coinvolti), coordinamento con la redazione per l’invio di testi, foto e titolazioni. Un numero inedito, quindi, composto da una redazione di giovanissimi che, attraverso inchieste, interviste e testimonianze hanno scattato la fotografia più pura e incontaminata delle imprese varesine che si sia mai vista. “Un vero e proprio laboratorio per coinvolgere i ragazzi nel mondo della manifattura e del terziario avanzato non solo con visite passive, ma con un impegno in prima persona – spiega Roberto Grassi, Presidente di Univa –. Cosa troverete sfogliando le pagine di questo speciale numero di Varesefocus? Il racconto schietto, diretto e disinibito del mondo dell’impresa visto attraverso gli occhi di chi, senza filtri e sovrastrutture, si affaccia timidamente e senza

pretese al mondo del lavoro, ignorandone quasi del tutto le regole e le modalità. Il risultato di questi testi, redatti prima dell’avvento del Coronavirus, è un quadro di speranza, una ventata d’ottimismo che ci auguriamo possa accompagnarci in questi tempi tutt’altro che facili”, continua Grassi. Dalla tessitura alla fonderia, passando per la chimica e la meccanica. Senza dimenticare l’alimentare, il terziario avanzato, le cartarie e il settore della gomma e materie plastiche. Un ventaglio vario di attività produttive che gli studenti hanno potuto conoscere durante le uscite didattiche. Immergiamoci dunque nella lettura. È novembre. Le classi terze delle scuole medie della provincia aderiscono al progetto di orientamento Pmi Day. Da qui, o meglio, dalle loro aule, inizia l’avventura alla scoperta dell’industria. Gli imprenditori, con la passione e l’esperienza dalla loro, si tolgono per una mattinata la veste di titolare e si raccontano davanti ad una folla di tredicenni, molti dei quali potrebbero essere loro figli, a volte persino dei nipoti. Un risultato “che ha sorpreso anche noi imprenditori che ci siamo visti allo specchio con un’immagine in parte inaspettata”, afferma Saporiti. Le reazioni dei ragazzi sono di ogni tipo. “È stata una delle giornate più divertenti ed interessanti della nostra vita” scrivono gli studenti che hanno visitato l’aeroporto di Malpensa. “Durante il viaggio per arrivare al gate ci siamo divertiti a vedere le facce sbalordite dei passeggeri, perché ci vedevano camminare dove 31


FORMAZIONE solo lo staff poteva e in più saltavamo tutte le file. Al momento in cui siamo saliti sull’aereo siamo rimasti tutti (perfino le prof.) con il fiato sospeso! È stato fantastico”. C’è chi, invece, si è avvicinato al mondo dei software, scoprendone le bellezze. A domanda diretta di come la programmazione possa essere un’arte, la risposta è semplice per la Dsg Group: “Si crea da zero un prodotto, mediante il quale si esprime una visione della realtà. È una forma di espressione, dunque un’arte”. Ma le scoperte non finisco qui. Sapete chi sono i pionieri dell’interconnessione? Per i giovanissimi reporter c’è solo un’azienda che può vantare questa nomina: Eolo. Ma l’aspetto più curioso e inedito è un altro: “Eolo si ispira a diversi personaggi sia storici che attuali, come gli alpinisti che cercano di raggiungere sempre gli obbiettivi che si pongono, collaborando fra loro”. Per non parlare di uno dei momenti che più affascina un qualsiasi spettatore. L’attività produttiva. Come nel caso di un telaio in azione che, intreccio dopo intreccio, dà vita a magliette, felpe, costumi e pantaloni. “La molteplicità di colori intensi e accesi, in un gioco d’incastro dei fili, assomiglia ad un’orchestra musicale”. Così un ragazzino vede e racconta un’impresa tessile. Oppure ammirare robot che, aiutati dalla mano dell’uomo, realizzano stemmi per auto di lusso, microonde, frigoriferi, oggetti di componentistica vari e chi più ne ha, più ne metta. Insomma, un numero inedito, quello che propone Varesefocus online sul proprio sito, scritto da più di 8.600 mani di oltre 4.300 ragazzi, in oltre 370 pagine. Non è un’impresa da poco. Uno spaccato che rappresenta, a tutti gli effetti, l’industria varesina in ognuna delle sue mille sfaccettature. “Si tratta di un’edizione veramente particolare, costruita da una re32

dazione ‘diffusa’ composta da penne brillanti e giovani, il più vecchio dei quali non superava i 14 anni”, conclude Saporiti: “Volete sapere cos’è oggi l’impresa? Leggete questo numero speciale di Varesefocus”. Basta un click su www.varesefocus.it.

Ed è già tempo di Pmi Day 2020 “Si trasformerà in uno strumento di didattica”. Anche a questo servirà l’edizione “Speciale Pmi Day” di Varesefocus secondo il progetto annunciato dal Presidente della Piccola Industria di Univa, Giancarlo Saporiti per la prossima edizione del Pmi Day, che si terrà nel mese di novembre 2020. Nel rispetto delle normative vigenti per prevenire la diffusione del Coronavirus, l’Unione Industriali sta lavorando alla programmazione delle visite aziendali in una nuova veste attraverso strumenti digitali e innovativi. Tour virtuali, dirette digitali e interviste agli imprenditori sono solo alcune piccole anticipazioni. Stay tuned... Rimanete aggiornati su www.univa.va.it e www.varesefocus.it #PmidayVarese2020


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UNIVERSITÀ

Il Debate entra in università Sviluppare non solo le abilità argomentative e di comunicazione degli studenti, ma anche le loro capacità di pensiero critico, di sintesi e di leadership. Ecco gli obiettivi della nuova frontiera didattica aperta dalla LIUC – Università Cattaneo za, c’è molto di più: “Per noi ogni progetto di innovazione, come

Paola Provenzano lo è questo, è un’assunzione di responsabilità nei confronti delle

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l Debate entra in aula attraverso le porte della LIUC – Università Cattaneo. Obiettivo? Dare ai laureati delle discipline economiche e ingegneristiche una marcia in più sul mercato del lavoro in termini non nozionistici, ma di approccio globale al lavoro grazie allo sviluppo di competenze argomentative e comunicative proprie di questo strumento didattico. Ma nelle parole del professor Federico Visconti, Rettore dell’ateneo di Castellan-

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nuove generazioni, un investimento doveroso verso quella next generation che nelle nostre aule prepariamo perché affronti un mercato del lavoro in evoluzione continua. Oggi l’università non può fermarsi, deve essere in grado di innovare continuamente. Proporre uno strumento che aiuta lo sviluppo del pensiero critico va proprio in questa direzione: si tratta di uno dei tanti passi che vogliamo e dobbiamo continuare a fare per rispondere ai bisogni del mercato e alle mosse dei concorrenti”.


Concretamente il debutto del Debate avverrà da questo anno accademico 2020/2021, con l’inserimento di un lecturer (docente) a partite da ottobre con laboratori nelle scuole di ingegneria ed economia per lo sviluppo di abilità critico-argomentative e comunicative, fondamentali ad affrontare contesti organizzativi complessi come quelli aziendali. Diffusissimo all’estero (in Italia lo è solo da qualche anno nelle scuole superiori), il Debate entra dunque a fare parte del progetto formativo ed educativo della LIUC, in linea con l’orientamento alla sperimentazione dell’ateneo e si aggiunge al percorso “life skills in action”, alle proposte di didattica esperienziale e ai laboratori con le imprese già garantiti dall’università ai propri iscritti. La LIUC – Università Cattaneo in questa nuova sfida ha scelto di avere al suo fianco la Fondazione Merlini, da anni impegnata nella diffusione del Debate in Italia quale opportunità per accrescere le competenze dei giovani in termini di partecipazione e di cittadinanza attiva, di pensiero autonomo e divergente, di analisi e di sintesi, di lavoro in team e nel contempo di leadership condivisa, di interazione intelligente ed elegante con il proprio interlocutore. “Ringrazio la Fondazione Merlini, partner autorevole nel favorire la pratica del Debate in Italia, per il prezioso supporto progettuale fornito. Questa ulteriore offerta curriculare ed extracurriculare posiziona la LIUC in modo innovativo e distintivo rispetto ad altri atenei italiani”, annota il Presidente Riccardo Comerio, fermamente convinto della valenza dell’iniziativa. “Crediamo sia compito anche dell’università, e non solo della Scuola Secondaria di Secondo Grado, portare avanti, nel tempo, la crescita delle capacità argomentative e di apprendimento degli studenti. Svincolarsi da convinzioni assunte in maniera acritica, saper prendere decisioni razionali a fronte di ragionamenti validi e delle implicazioni etiche che ogni scelta comporta, sono aspetti fondamentali nella formazione dei giovani che saranno futuri manager, economisti e ingegneri. I quali non possono certo prescindere dal possedere un pensiero critico e dall’essere cittadini responsabili”.

Visione critica e abilità argomentativa A vivere l’introduzione di questo strumento saranno sia gli studenti del corso di ingegneria che quelli di economia. Due profili differenti per i quali, però, il Debate rappresenta un plus in termini formativi e di ingaggio nel mondo del lavoro. Si tratta infatti di raf-

Il Rettore, Federico Visconti: “Per noi ogni progetto di innovazione, come è quello sul Debate, rappresenta un’assunzione di responsabilità nei confronti delle nuove generazioni che nelle nostre aule prepariamo per affrontare un mercato del lavoro in continua evoluzione”

UNIVERSITÀ

Didattica innovativa

forzare le loro hard skill con pratiche esperienziali connesse con le situazioni complesse che affronteranno nel mondo del lavoro e nel contesto internazionale, integrando la dimensione tecnica con quella etica. “Lo scorso anno – spiega il professor Michele Puglisi, Direttore del Centro Linguistico dell’ateneo – abbiamo sperimentato il Debate in inglese con i nostri studenti guidati dai docenti madrelingua. Nel sistema anglosassone questa metodologia costituisce infatti un pilastro della formazione e favorisce le capacità critiche e argomentative. In prospettiva, credo sarà dunque interessante proseguire su questa strada anche in lingua inglese, persino pensando alla nascita di una LIUC Debating Society che veda il contributo anche degli studenti Erasmus”. A spiegare le ricadute concrete del Debate sulla formazione dei futuri laureati è la professoressa Raffaella Manzini, Direttore della Scuola di Ingegneria Industriale della LIUC: “La figura dell’ingegnere è molto apprezzata sul mercato del lavoro, soprattutto quella dell’ingegnere gestionale: la sua forte connotazione tecnica e di confidenza con le tecnologie si arricchisce in questo modo con un approccio critico, utile nel prendere le decisioni ponderandone tutte le conseguenze e le ricadute, comprese quelle di tipo etico. Un approccio multidimensionale alle decisioni, che va ben al di là, ad esempio, delle considerazioni sull’efficienza di un macchinario o di un processo, per toccare le implicazioni sulle persone che lavorano in quel contesto e le conseguenze in termini di sviluppo sostenibile”.

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UNIVERSITÀ

Caratteristiche e diffusione

del Debate

Se da un punto di vista pragmatico dibattere significa confrontarsi e argomentare, sui piani educativo e pedagogico il “dibattito regolamentato” promuove competenze e valori capitali della nostra cultura, soprattutto quella liberale Proprio per le competenze e i valori che riesce a mobilitare, il De-

Manuele De Conti (*) bate sta ottenendo un gran riconoscimento in Italia. Il Ministero

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l Debate, o dibattito regolamentato, è una metodologia didattica in cui i partecipanti, generalmente studenti, sostengono punti di vista incompatibili e tentano di far aderire una giuria alla propria posizione mediante l’uso di argomentazioni. Da un punto di vista pratico, dibattere significa sostenere una tesi, contestare le tesi alternative e difendere le proprie argomentazioni su temi controversi e richiede la presenza di due squadre: a una, la squadra pro o di governo, viene assegnato l’onere di schierarsi a favore di una specifica e circoscritta mozione, mentre all’altra, la squadra contro o dell’opposizione, viene assegnato l’onere di sostenere e difendere la posizione opposta. Ciascuna squadra deve essere preparata quindi ad assumere il pro o il contro della mozione, comunicato solo poco prima dell’inizio del dibattito. In questo quadro, la mozione è il tema su cui verte il dibattito, espresso come dichiarazione di intraprendere un certo corso d’azione o di assumere una precisa opinione e può riguardare differenti ambiti. Sono mozioni, ad esempio: “I dipendenti che lavorano da casa sono più produttivi”. Oppure: “È giusto che ristoranti, casinò e altre aziende del settore dei servizi assumano solo dipendenti attraenti”. O ancora: “Gli incentivi non finanziari sono più motivanti degli incentivi finanziari”. Se da un punto di vista pragmatico dibattere significa confrontarsi e argomentare, sui piani educativo e pedagogico, il Debate promuove competenze e valori capitali della nostra cultura. Da una prospettiva educativa, infatti, dibattere significa ragionare in modo critico, comunicare efficacemente e discutere in modo logico e informato; pedagogicamente, invece, comporta l’assumere un’attitudine liberale, di comprensione e di rispetto per le opinioni altrui e lo sviluppo di uno spirito emancipativo libero da pregiudizi e condizionamenti.

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dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (MIUR) dal 2017 ha istituito le Olimpiadi Nazionali di Debate rivolte alle Scuole Secondarie di Secondo Grado e si sono costituite diverse realtà associative e scolastiche di livello nazionale che lo promuovono: la Società Nazionale Debate Italia, che si propone lo sviluppo e la diffusione del Debate come pratica didattica e come contributo alla crescita della consapevolezza di cittadinanza e che tra le sue attività ha avviato il Campionato Italiano Giovanile di Debate oltre a diversi incontri di formazione volti allo sviluppo di questa pratica e la rete di scuole WeDebate, che tra gli obiettivi include la promozione del Debate come metodo capace di strutturare competenze trasversali che formano la personalità. Anche l’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (INDIRE) lo propone già a partire dalla scuola primaria con l’obiettivo di investigare le possibili strategie di propagazione e messa a sistema dell’innovazione nella scuola italiana. E il Debate è presente anche in percorsi di Business e Management a livello universitario. La London Business School, ad esempio, ha dato vita ad una Debate and Public Speaking Society per promuovere abilità di comunicazione e di leadership mentre l’Università di Harvard ha istituito dal 1981 l’Harvard College Debating Union, ossia un’associazione studentesca di Debate che prende parte solo a competizioni internazionali. Ma nei percorsi universitari il Debate non esaurisce le proprie potenzialità nella promozione delle abilità comunicative e di leadership. Proprio in scuole manageriali ed economiche sta invece dimostrando come sia un metodo fondamentale per integrare la sensibilità umanistica alle competenze tecniche favorendo la riflessione sugli aspetti etici inevitabilmente intrecciati a questi percorsi.

(*) Presidente Società Nazionale Debate Italia


sull’impresa

La proposta per le scuole e i suoi docenti: un corso di formazione online gratuito per professori e professoresse degli istituti superiori di tutta Italia. Tra i suoi promotori anche l’Archivio del Cinema Industriale

UNIVERSITÀ

L’arte del dibattere

Museimpresa, i partecipanti si confronteranno con il processo

Daniele Pozzi (*) di costruzione di argomentazioni e il loro confronto-scontro

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gente di cambiamento e strumento di soddisfazione degli interessi economici, l’impresa è per sua natura un ambito attorno al quale si possono creare prese di posizione contrapposte. Talvolta i contrasti sono così radicali da portare a semplificazioni o pregiudizi che impediscono una valutazione critica e informata di un mondo complesso e spesso poco conosciuto dai giovani e da chi non vive ogni giorno la realtà del “fare impresa”. Nasce da queste considerazioni l’iniziativa “Cultura e Impresa: esperienze di Debate”, un corso di formazione online gratuito indirizzato ai docenti delle Scuole Secondarie di Secondo Grado di tutta Italia. Il progetto nasce dalla collaborazione tra Archivio del Cinema Industriale e della Comunicazione d’Impresa, LIUC – Università Cattaneo, Fondazione Dalmine, Fondazione Giuseppe Merlini, Museimpresa e Società Nazionale Debate Italia, già partner in un primo workshop destinato agli insegnanti, che ha avuto luogo alla LIUC alla fine del 2019, all’interno della Settimana della cultura d’impresa di Confindustria. Il corso prevede la formazione dei partecipanti al dibattito regolamentato e, successivamente, propone l’applicazione di questa metodologia a temi propri dell’impresa. Attraverso il contatto diretto con i documentari industriali, i prodotti della ricerca e la documentazione conservata da musei e archivi aderenti alla rete

all’interno delle competizioni di debate. Le attività si svolgeranno interamente online, grazie alle risorse e alle competenze nella didattica a distanza sviluppate da LIUC negli ultimi difficili mesi della pandemia. Oltre a risolvere alcune criticità di ordine pratico, questa soluzione si dimostra ottimale per consentire una più ampia partecipazione e per permettere l’interazione con gli associati Museimpresa che hanno sede in diverse regioni italiane. L’iniziativa del corso, infine, mira ad essere propedeutica al lancio del primo “Torneo nazionale di Debate per la Cultura d’Impresa”, una competizione che verrà proposta agli studenti durante la primavera 2021: le squadre partecipanti verranno infatti selezionate sulla base delle proposte dei docenti partecipanti al corso, che svolgeranno anche la funzione di tutor durante la successiva competizione. Il debate, quindi, come strumento per avvicinare le giovani generazioni alla complessità del mondo economico confrontandosi con le sue problematiche con mente aperta, attraverso un esame in prima persona delle fonti e della realtà dell’impresa. L’inizio del corso è programmato per il 17 novembre 2020. Le iscrizioni vengono raccolte online sul sito: http://w3.liuc.it.

(*) Direttore Archivio del Cinema Industriale e della Comunicazione d’Impresa

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UNIVERSITÀ

Sulle orme di Jules Verne Un team di ricerca Bicocca-Insubria studia da 15 anni l’Islanda, una delle aree più remote e geologicamente attive del pianeta, perlustrandola dal cielo grazie all’utilizzo di droni. Lo scopo? Creare modelli tridimensionali navigabili in realtà virtuale

Partecipa a queste ricerche Federico Pasquaré Mariotto, 53 anni,

Sergio Redaelli geologo e docente di Comunicazione delle Emergenze Ambien-

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on è il viaggio al centro della Terra di cui Jules Verne fantasticava nel 1864, ma gli somiglia. Nel cratere del vulcano Sneffels in Islanda, Verne immaginò la via che lo scienziato Arne Saknussemm e il suo epigono professor Lidenbrock imboccarono per scendere nelle viscere del pianeta. E intorno a quei luoghi, a nord-ovest dell’isola, un’equipe di docenti e ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca e dell’Università Degli Studi dell’Insubria sta compiendo importanti rilievi fotografici grazie all’utilizzo di droni. L’obiettivo è riprodurre il paesaggio geologico in tre dimensioni, un lavoro prezioso perché, navigando nella realtà virtuale, si possono studiare vulcani e terremoti.

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tali nel corso di laurea in Scienze della Comunicazione all’Università dell’Insubria. Una materia avvincente. Il professor Mariotto prepara i futuri giornalisti a dare l’informazione scientifica in modo corretto e professionale, a trattare con cognizione di causa i rischi e i grandi disastri climatici, geologici e ambientali. “L’uso dei droni in Islanda – spiega Mariotto – può essere replicato altrove, dall’Etna al Vesuvio all’isola greca di Santorini, per non dire delle Prealpi varesine che ospitano aree di interesse geologico e naturalistico. Le cave di porfido di Cuasso al Monte contengono roccia magmatica del Paleozoico. E il Campo dei Fiori risale al meno remoto Mesozoico, l’era dei dinosauri. Purtroppo, la copertura boschiva rende difficile visualizzare con continuità la successione stratigrafica”.


Federico Pasquaré Mariotto: “Nel laboratorio di Realtà Virtuale dell’ateneo di Milano-Bicocca si può fare un viaggio ai confini della realtà. Con il caschetto e la guida dello staff del laboratorio ci si muove in alto e in basso come fa il drone, si vola, si cammina. È come trovarsi sulla bocca del vulcano”

UNIVERSITÀ

L’Etna è tra i vulcani più studiati al mondo. Il team lombardo ci è andato dopo il terremoto del 25-26 dicembre 2018, di magnitudo 4.9, osservando con i droni la deformazione superficiale sul fianco del vulcano. “L’Etna è materia d’insegnamento per i futuri geologi – spiega Mariotto – e nel laboratorio di Realtà Virtuale dell’ateneo di Milano-Bicocca (https://geovires.unimib.it) si può fare un viaggio ai confini della realtà. Con il caschetto apposito, il cosiddetto Oculus e con la guida dello staff del laboratorio ci si muove in alto e in basso come fa il drone, si vola, si cammina. È come trovarsi sulla bocca del vulcano”. Anche il Vesuvio è oggetto di ricerca. La parte più antica, quella di Somma, si disintegrò parzialmente nel 79 d.C. con l’eruzione che uccise Plinio Il Vecchio, ammiraglio romano e celebre naturalista. Al suo posto è cresciuto il Gran Cono del Vesuvio, responsabile delle eruzioni successive: “Ora intendiamo studiare le pareti interne del monte Somma. Se è pericoloso? Ci si muove con i permessi, accompagnati dalle guide e collegati all’Osservatorio Vesuviano. L’Etna e il Vesuvio sono molto diversi come modalità eruttive. Il primo è effusivo, l’altro esplosivo. Il Vesuvio sprigiona colonne di ceneri e pomici, l’Etna fontane di lava che cola sui fianchi. I droni consentono di riconoscere i fenomeni di fagliazione attiva, rivelano il movimento lungo le fratture che si allargano, misurano la divaricazione della crosta terrestre. Se è impossibile prevedere i terremoti, si può individuare l’inizio di una crisi vulcanica”. La parte settentrionale dell’Islanda è una terra arida e desolata, percorsa da paurose fessure di origine sismica. Una “Terra senza tregua”, come dice il titolo dell’ultimo libro di Mariotto (edito da Mimesis e scritto in collaborazione con Alessandro Tibaldi, ordinario di geologia strutturale a Milano-Bicocca). Si trova sopra il punto di contatto, in continua attività, tra la placca euroasiatica e quella nordamericana. “È il posto ideale per studiare la nuova crosta terrestre che si forma attraverso la continua uscita di magma. Con i colleghi Alessandro Tibaldi e Fabio Luca Bonali, ricercatore alla Bicocca, ci andiamo dal 2005. Ci sono frequenti eruzioni, 2 o 3 al decennio. La crosta è sottoposta a forze divergenti ed opposte e soggetta a trazione. Il sud-ovest dell’isola è zona turistica, ricca di geyser, ci si arriva coi pullman. Il nord estremo invece è freddo, impervio e ricco di fratture profonde, insidiose come i crepacci di un ghiacciaio ricoperti dal muschio. Dal 2013 utilizziamo i droni che catturano dall’alto immagini spettacolari ad altissima definizione”.

Pilotati dagli scienziati, i droni volano su traiettorie parallele in zone impossibili da raggiungere a piedi, come una parete di basalto alta 300 metri erosa dal ghiaccio. Lo scopo è unire migliaia di immagini e creare modelli tridimensionali navigabili in realtà virtuale, con un software, sfruttando tecniche di fotogrammetria che permettono di riprodurre il paesaggio geologico in 3D: “Così misuriamo lo spessore, l’ampiezza, gli strati e le inclinazioni dei filoni magmatici verticali – dice Mariotto –. Possiamo ricostruire l’orientamento delle faglie sul terreno e come il magma risale in superficie. Una panoramica di 25 siti geologici islandesi è stata pubblicata, in collaborazione con Fabio Luca Bonali e Corrado Venturini dell’Università di Bologna, in un’edizione speciale della rivista scientifica Geoheritage and Geotourism Resources”. Il corso di laurea in Scienze della Comunicazione presieduto dal professor Giulio Facchetti è frequentatissimo, quasi 500 immatricolati nel 2019. Nel corso di Comunicazione delle Emergenze Ambientali, al primo anno del programma di 3, gli studenti imparano ad interpretare i dati scientifici in modo corretto, a comunicarli semplificando ma senza banalizzare. “Nei Paesi anglosassoni è la regola – osserva il docente –. La scienza va divulgata e resa accessibile in modo che sia utile alla società. È il segno che le giovani generazioni ritengono estremamente attuali i temi geologico-climatico-ambientali”.

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VITA ASSOCIATIVA

La nuova Generazione d’Industria sta crescendo Compie 10 anni il Progetto dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese che ha l’obiettivo di riportare la cultura d’impresa tra i giovani attraverso la scuola. Un’iniziativa che nel tempo ha coinvolto imprese, istituti, studenti, docenti e dirigenti scolastici del territorio. Il bilancio in un’intervista all’imprenditore Tiziano Barea Assistevamo a una cronica scarsità di tecnici e a una diffusa man-

Maria Postiglione canza di attenzione dell’opinione pubblica attorno alle scuole tec-

I

l progetto Generazione d’Industria dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese spegne quest’anno la sua decima candelina. Un percorso lungo che ha visto una crescita costante di imprese, studenti, dirigenti e docenti coinvolti, che fin da subito hanno creduto nel progetto e nelle sue finalità: riportare, attraverso la scuola, la cultura d’impresa tra i giovani. Valorizzazione Tiziano Barea del merito, fiducia nelle nuove generazioni, aggiornamento su temi strategici aziendali e, ancora, collaborazione, esperienze in azienda dei ragazzi con stage lunghi. Sono questi i pilastri sui quali si basa Generazione d’Industria. A raccontare questo decennio, Tiziano Barea, titolare della BTSR International Spa di Olgiate Olona, fin da principio sostenitore e promotore dell’iniziativa. Quando e perché è nata l’idea di un progetto che riducesse in qualche modo la forbice tra il mondo produttivo e quello scolastico? Generazione d’Industria è stata una scommessa. La posta in gioco era alta, si trattava di riportare tra i banchi di scuola la cultura aziendale. Una cultura che si era, a volte, sfilacciata nel corso degli anni.

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niche. Le imprese che hanno aderito nel corso di questo decennio al progetto hanno deciso di sostenere il mondo della scuola, che da parte sua, si è dimostrato collaborativo e propositivo. I dirigenti scolastici con ammirevole lungimiranza aderirono e continuano a farlo senza esitazione e per questo a loro va un sentito ringraziamento. Il progetto è nato quindi da una considerazione, o meglio da un assioma, “occuparsi di scuola e di giovani è un dovere di tutti noi”, dove il noi indica le imprese e i professori che sinergicamente hanno messo a fattore comune le competenze per raggiungere un importante obiettivo: creare una nuova Generazione d’Industria, capace di generare nuove soluzioni, idee e proposte. L’obiettivo è stato raggiunto? I risultati di questi 10 anni sono incoraggianti, quello di Generazione d’Industria è però un percorso in continuo movimento. Abbiamo raggiunto tante tappe importanti, che sono state poi il punto di inizio per quelle successive. Abbiamo raddoppiato il numero delle imprese coinvolte e più che triplicato il numero delle borse di studio erogate agli studenti meritevoli. Ma non spetta a noi dire se siamo stati bravi, se l’obiettivo è stato o sarà raggiunto dovranno dirlo gli studenti che in questi anni sono stati


VITA ASSOCIATIVA

appunto la nuova Generazione d’Industria. I successi e la coerenza terza azione è quella dell’aggiornamento dei docenti, ciò avviene dei loro percorsi formativi e professionali sono per noi gli indicatori soprattutto con visite e lezioni in azienda che permettono un condi successo più importanti. fronto diretto con i tecnici delle imprese, in grado di aggiornare il corpo docente sulle ultime evoluzioni nei processi produttivi e nell’organizzazione del lavoro. Infine, la Generazione d’Industria ha in qualche modo quarta: la premiazione con borse di studio per gli precorso i tempi, introducendo stage lunghi studenti che nell’arco dell’anno scolastico si sono in azienda (la Legge 107/15 cosiddetta Buona Scuola li rese obbligatori 3 anni dopo) e distinti per merito e capacità. premiando il valore di quegli studenti che si sono distinti per merito e capacità. Il progetto Uno sguardo al futuro: qual è il suo più grande è stato anche capace di creare una solida rete auspicio per il progetto? di relazioni tra docenti e imprese, attraverso Generazione d’Industria è prima di tutto un impemomenti di formazione condivisi e una cogno concreto di tutti i soggetti coinvolti: imprese, stante attività di coprogettazione. Ma se si volesse individua- studenti, professori. Un impegno e un orgoglio che vogliono essere il punto forte, quello che più denota tutto il progetto, quale re, peraltro, un richiamo alla realtà. Troppo spesso si sente parlare sarebbe? male di scuole e di imprese. Noi invece vogliamo che si parli di una Con il progetto Generazione d’Industria si è andati oltre l’ambito di Generazione d’Industria positiva e dinamica. Una generazione da iniziative d’alternanza scuola-lavoro. Oggi, come 10 anni fa, serviva costruire con le aspirazioni dei ragazzi, una nuova immagine di cui e serve di più. Serve un progetto stabile di interscambio culturale tutti noi siamo chiamati ad essere testimoni. Insieme, scuole e imtra imprese e istituti tecnici. Non è uno slogan. È, invece, un cambio prese, ci siamo dati con questo progetto, un obiettivo molto ambidi paradigma. Quello che il Progetto Generazione d’Industria cerca zioso: quello di riportare la cultura industriale negli istituti tecnici e di declinare ogni giorno nel concreto con, principalmente, quattro tra i giovani. Per farlo dobbiamo essere realisti e avere un orizzonte azioni che sono a mio avviso i quattro punti di forza. La prima azio- temporale molto lungo. Abbiamo bisogno di sommare le nostre ne è quella degli “Stage Plus”: durante l’anno scolastico le imprese energie. Ma i risultati di questi primi 10 anni ci confermano che si accolgono gli studenti delle classi quarte e quinte con stage di lunga può fare. Il nostro territorio lo ha dimostrato, anche con il supporto durata. La seconda azione è quella che vede le imprese protagoniste di istituzioni (Provincia e Provveditorato) che in tutti questi anni ci a scuola: con Generazione d’Industria, infatti, non è solo la scuola hanno sostenuto e hanno creduto nella nostra formula. Ed è quead andare verso le imprese. Anche queste ultime si muovono verso sto l’obiettivo futuro, continuare a credere che mettendo a fattore gli istituti. Gruppi selezionati di studenti vengono coinvolti in corsi comune gli sforzi di tutti, avremo una propositiva, affermata e orgotenuti dalle imprese sia in orario scolastico, sia extrascolastico. La gliosa Generazione d’Industria.

Uno scatto della prima premiazione del progetto “Generazione d’Industria” (Anno scolastico 2011/2012)

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Oltre la disabilità SCIENZA

Varese è al centro della ricerca sul fronte dell’autonomia delle persone affette da deficit cognitivi e relazionali. Una sfida scientifica, didattica, architettonica, che coinvolge a 360 gradi tutta la società. Mondi della cultura e dell’arte compresi za è confermata dalle cronache giornalistiche: dal bambino auti-

Sergio Redaelli stico di 9 anni che a Roma è dovuto tornare a casa il primo gior-

fotografie di Carlo Meazza

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li alunni con disabilità nelle scuole statali della provincia di Varese sono 3.859, pari al 3,6% della popolazione scolastica (105mila). A cui vanno aggiunti 551 studenti con fragilità che frequentano le scuole paritarie, per un totale di 4.300 individui. “Ci sono altissime potenzialità dell’assistenza a distanza utilizzando le nuove tecnologie, sia a livello sanitario che per la scuola – spiega Cristiano Termine, Professore associato di Neuropsichiatria infantile all’Università Degli Studi dell’Insubria di Varese –. In questo modo si evita alle persone di perdere tempo in colloqui che si possono fare con Skype. Telemedicina e smart working sono utilizzabili anche dall’operatore senza far muovere da casa, con grandi difficoltà, gli studenti disabili”. Il professor Termine, intervenuto al convegno internazionale che si è tenuto il 15 e 16 ottobre in live streaming all’Università dell’Insubria, intitolato “La ricerca di vita autonoma nelle dis-abilità cognitive e relazionali”, illustra i risultati di un interessante questionario sottoposto a 8.300 studenti varesini, dalla prima elementare alla quinta superiore, sugli effetti della quarantena. Il test ha registrato le reazioni dei bambini con disturbi di neuro-sviluppo nella fascia da 6 a 20 anni e ha coinvolto mamme e papà raccogliendo indicazioni sulla didattica a distanza, la paura del virus, la tolleranza in famiglia e le reazioni degli studenti. Fornendo utili indicazioni in caso (tocchiamo ferro) di nuovi lockdown. “L’impatto della quarantena – dice – è stato forte tra i bambini soggetti al disturbo da deficit di attenzione e a problemi specifici dell’apprendimento. Ma ha colpito anche quelli con difficoltà a seguire le lezioni a distanza, stravolgendo le abitudini alimentari, del ritmo sonno-veglia e delle ore trascorse davanti ai computer o con il telefonino in mano. La paura del virus ha scatenato ansia e senso di mancanza dei compagni e degli amici”. Gravi difficoltà si segnalano anche a livello nazionale. Secondo l’associazione Misos, oltre 268.670 alunni disabili affrontano l’anno scolastico con 96.180 insegnanti di sostegno supplenti e oltre 70mila alunni fragili sono costretti a cambiare docente. L’emergen-

no di scuola perché non c’era l’insegnante di sostegno, alla lettera di denuncia scritta al Presidente Mattarella, al Premier Conte e al Ministro Azzolina delle famiglie aderenti al Coordinamento delle associazioni delle persone con sindrome di down contro il nuovo Piano educativo

individualizzato che esclude dalla scuola le famiglie dei disabili. Il congresso nella sede dell’Università dell’Insubria, giunto alla quinta edizione, ha avuto il sostegno della Commissione Europea, del Comune di Varese, dell’Unione provinciale degli enti locali, dell’Ufficio scolastico di Varese per la Lombardia, dell’associazione sociosanitaria territoriale Settelaghi, dell’Ats Insubria, della Federazione degli sport paralimpici e di molti altri enti e aziende, tra cui Banca BBC, Elmec, Engel & Völkers. “Abbiamo cercato di capire quali siano gli strumenti per rendere il più possibile autonoma la vita dei disabili – spiega Giovanna Brebbia, già medico chirurgo in entrambi gli ospedali di Varese e responsabile scientifico del convegno –. 43


SCIENZA Doveva essere una riunione di aggiornamento, ma il lockdown ha provocato la sospensione dei tirocini lavorativi e dell’attività dei centri di accoglimento con gravi problemi per chi li frequentava, per chi è fragile e deve affrontare la novità dello smart working. E ha reso urgente la necessità di discuterne”. Un tema che vede in prima fila il mondo scientifico varesino in stretta connessione con la comunità internazionale. A partire dall’Unione Europea: “Dal 2010 – spiega Massimo Gaudina, Capo della rappresentanza della Commissione Europea nell’Italia settentrionale – ci sono stati netti miglioramenti nell’assistenza in Italia rispetto al resto d’Europa. I rapporti a disposizione evidenziano, però, forti divari tra il tasso di occupazione delle persone con e senza disabilità. Le rilevazioni Eurostat sottolineano che l’Italia è tra gli ultimi paesi europei a fornire adeguato supporto ai disabili nello spostamento con trasporti pubblici, per l’accesso agli edifici e la persistenza di barriere architettoniche. Sono stati fatti passi avanti con la Legge di Bilancio del 2019 che ha aumentato il fondo per il diritto al lavoro dei disabili e istituito un fondo per l’accessibilità e la mobilità delle persone fragili. Tra le cose positive è stata riconosciuta la priorità alle richieste di smart working da parte dei lavoratori con figli in condizione di handicap grave ed è stato istituito un fondo per l’inclusione delle persone sorde”. Il tema è complesso. Così come le sfide che pone a tutta la società. La diffusione della cultura del rispetto passa anche dall’inclusione sportiva a scuola e nel tempo libero, fino ad arrivare alla capacità di racconto della disabilità attraverso la fotografia (come gli scatti di Carlo Meazza, autore delle immagini che illustrano questo articolo) o il cinema. A provarci, di recente, il regista varesino Giacomo Campiotti, autore di una straordinaria serie televisiva, “Ognuno è perfetto”, con ragazzi down nel ruolo di protagonisti di cui il film mette in risalto, con estrema delicatezza, i valori di solidarietà e amicizia. “La Costituzione italiana ci ricorda che l’istruzione è un diritto in44

violabile di ogni cittadino. Ed è un dovere per chi insegna tenere sempre a mente questo principio. All’Università dell’Insubria è da anni attivo un protocollo al servizio degli studenti e delle studentesse con vari gradi di disabilità fisica e psichica e c’è attenzione anche scientifica per lo studio di queste problematiche. In questo percorso a sostegno della ricerca di vita autonoma, l’ateneo affianca il Comune di Varese e gli enti del territorio, mettendo a disposizione le proprie competenze”, commenta il rettore dell’ateneo varesino, Angelo Tagliabue.

Gli alunni con disabilità nelle scuole statali della provincia di Varese sono 3.859, pari al 3,6% della popolazione scolastica (105mila). A cui vanno aggiunti 551 studenti con fragilità che frequentano le scuole paritarie, per un totale di 4.300 individui


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AGENZIA DI SARONNO SAN GIUSEPPE


SCIENZA

La fotografia del Covid-19 nei polmoni Le radiografie e soprattutto le TAC del torace sono in grado di individuare un contagio da Coronavirus che si presenta in forma diversa da una tradizionale polmonite batterica. Differenze che permettono di diagnosticare, lastre alla mano, la presenza del virus anche in casi con sintomi lievi e qualche volta addirittura asintomatici rienza, cerca di sfatare miti e dare informazioni poco conosciute:

Davide Cionfrini “In diversi soggetti che avevano accusato sintomi lievi o addirittura

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elle sfumate opacità che ricordano il vetro smerigliato e che fanno perdere il tradizionale disegno del polmone”. Ecco come si presenta nelle fasi iniziali il Covid-19 in una radiografia o nelle immagini di una TAC. C’è chi il Coronavirus lo vede negli occhi attraverso un microscopio e chi lo guarda in faccia attraverso le lastre. Tra questi medici c’è Alfredo Goddi, specialista di radiologia e direttore sanitario del Centro Medico SME di Varese. Un punto di vista diverso, il suo, rispetto a quello dei virologi che nel vortice mediatico di questi mesi stanno analizzando l’andamento della pandemia, mettendoci giustamente in guardia da un’emergenza che non è ancora finita. Cosa succedeva nelle radiologie nel momento più critico della diffusione del contagio? Una domanda non banale se si pensa, come pochi sanno, che la presenza o meno del Covid-19 in un corpo si può diagnosticare non solo con i tamponi, ma anche proprio attraverso una radiografia o, ancor meglio, una TAC. “Una polmonite batterica – spiega Goddi – si presenta normalmente nell’immagine che riproduciamo con i nostri esami, come un’unica ‘macchia’ bianca localizzata in un punto preciso, in un lobo o un segmento del polmone. Quando si è di fronte ad un soggetto contagiato dal Covid-19, invece, le ‘macchie’ sono sparse nei polmoni, più piccole, diffuse e sfumate, più grigie che bianche. Come un vetro smerigliato appunto”. Una distinzione che permette dunque ad un centro diagnostico di intercettare i positivi quando sono poco sintomatici. Sì, perché avere modesti disturbi respiratori non vuol dire non avere un interessamento dei polmoni. E di questo ci si rende conto, a volte, solo dopo la guarigione. Anche su questo Goddi, con la sua espe-

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asintomatici abbiamo registrato dei danni polmonari calcolabili in una perdita del volume del polmone del 20% nei controlli a distanza”. Per chi medico non è “parliamo di una soglia – precisa Goddi – che non produce problematiche evidenti e percepibili dalla persona”. Nessuna difficoltà nella respirazione, dunque. “I problemi, però, potrebbero arrivare nel corso nel tempo. All’insorgere, negli anni successivi, di una bronchite o con l’invecchiamento”. Da qui l’importanza nel post-Covid, di una diagnosi che permetta di intervenire eventualmente “con una fisioterapia respiratoria, una sorta di ginnastica fatta di esercizi di respiro che consentono al polmone di allenarsi e riprendere, almeno in parte, il proprio volume. Come fosse una spugna”, spiega Goddi. Le conferme alle sue parole arrivano da Tiziano Frattini che dirige il Servizio di Radiologia della Casa di Cura Fondazione Gaetano e Piera Borghi di Brebbia: “Il Covid-19 si presenta con addensamenti a smeriglio plurifocali, anche in casi apparentemente asintomatici o all’inizio, quando i sintomi sono ancora lievi”. Quali possano però essere i danni nel tempo “ancora non lo conosciamo appieno, anche se è stata dimostrata la comparsa a distanza di danni polmonari significativi, anche in pazienti all’inizio poco sintomatici”. L’attività di individuazione del Covid attraverso radiografie o TAC è stata fondamentale, soprattutto nei mesi difficili di marzo e aprile, “quando i tamponi non c’erano o erano insufficienti”, ricorda Goddi riportando alla luce una situazione non troppo lontana nel tempo. Al centro diagnostico SME di Varese “non arrivavano i casi conclamati, quelli con sintomi acuti, questi venivano gestiti direttamente dal sistema ospedaliero”, racconta Goddi. “In centri come il nostro, invece, venivano i casi più sfumati o potremmo dire incerti.


Polmoni normali

potrebbe far venire la tentazione di usare anche questa strada come possibilità di tracciamento del propagarsi del virus “e così in effetti è stato all’inizio dell’emergenza, proprio quando i tamponi erano pochi”, racconta Goddi: “Ma la cosa non sarebbe gestibile e poi non è questa la funzione delle radiologie che invece possono essere utili nel controllo e nel monitoraggio dell’evoluzione delle conseguenze sui polmoni nei soggetti guariti”. La sicurezza, però, prima di tutto: “Nelle nostre sale diagnostiche riusciamo oggi a sanificare gli ambienti in 11-14 minuti grazie ad un sistema di raggi UV che da solo elimina il 95% dei virus, a cui si aggiunge un sistema di ventilazione puntuale di 50 ricambi d’aria completi in un’ora. All’inizio della pandemia, tra un esame e l’altro si dovevano attendere, invece, 60 minuti”. In questo, come in altri casi, sta aumentando dunque la capacità di reazione al Coronavirus che si combatte anche attraverso la tecnologia: “Per noi è fondamentale – chiosa Goddi – la capacità di ricreare con le nostre TAC delle immagini in 3D dei polmoni, più chiare e nitide. Possiamo anche metterle a confronto, per capirne l’evoluzione, con i primi esami eseguiti ai pazienti in corso di ricovero presso il sistema sanitario pubblico. Il software di elaborazione avanzata consente di convertire anche le immagini pregresse in visualizzazione tridimensionale”. La sfida della riabilitazione postCovid, si gioca anche su questa frontiera.

SCIENZA

Insomma, quelli non ancora inquadrati, a cui magari il medico di base prescriveva un controllo per dare risposte a sintomi banali”. Oggi si farebbe un tampone, ma allora non era facile trovarne. “Con l’esperienza e il passare dei giorni, anche attraverso webinar svolti insieme ai colleghi cinesi, acquisimmo presto il know-how per intercettare il Covid attraverso i nostri esami. Capimmo subito che meglio della radiografia poteva agire la TAC e grazie alla tecnologia in dotazione al nostro centro potevamo svolgerla con una dose non troppo superiore di raggi X, anche a tutela del paziente”. Leggermente diversa, invece, la necessità di intervenire con esami radiologici per un centro come la Casa di Cura Fondazione Gaetano e Piera Borghi di Brebbia: “Per noi – racconta Frattini – l’esigenza era ed è quella di creare tutte le condizioni per una struttura Covid-free. I nostri utenti che arrivavano e arrivano per esempio per le riabilitazioni post-intervento ortopedico, per la riabilitazione neurologica o recupero dopo un’ischemia cardiaca vengono sottoposti a un’indagine radiografica del torace all’ingresso e in caso di risultato equivoco, ad una TAC basale del torace. Inoltre, i pazienti di nuova ammissione rimangono, per un periodo di 7 o 10 giorni, in una sorta di zona limbo con camere singole isolate dal resto della struttura”. Come un’anticamera protetta, in attesa di tutti i responsi necessari. Proprio la particolarità di poter intercettare un contagio da Covid-19 attraverso una TAC

Esiti polmonite da Covid-19 47



TERRITORIO

Il cinema che non c’è più Seconda tappa del viaggio di Varesefocus nelle sale di proiezione del territorio. Questa volta le porte si aprono (macchina fotografica al collo) su quegli spazi chiusi ormai da anni. Tra degrado, ricordi e progetti di rinascita in Italia l’anno successivo, a Roma e poi a Milano. L’entusiasmo per

Alberto Bortoluzzi questa scoperta fece sì che nel giro di pochi anni si moltiplicassero

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a parola “cinema” deriva dal greco antico κίνημα: movimento, quello stesso che viene generato da quei 24 fotogrammi al secondo, che vengono proiettati in rapida successione durante la riproduzione di un film. Il primo esperimento di questo genere lo si deve ai fratelli Lumiere, che il 18 dicembre del 1895 fecero la loro prima proiezione in un caffè di Parigi, per poi replicare l’esperienza

le sale cinematografiche, come anche le produzioni di film italiani, che avevano a quei tempi un carattere prettamente storico. Un esempio: “La presa di Roma” del 1905, primo film a soggetto di Filoteo Alberini. Da allora film e sale cinematografiche crebbero in modo esponenziale fino agli anni ‘50, quando con la nascita della televisione ci fu una prima battuta d’arresto. Le sale in quegli anni avevano raggiunto

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TERRITORIO

il considerevole numero di 10mila. Seppure con una diminuzione di ingressi, la situazione rimase più o meno stabile fino al 1975, quando divenne attuativa la legge che proibiva il fumo nelle sale, con conseguente calo degli spettatori. Come se non bastasse, anche la mancanza di vincitori di premi Oscar del cinema italiano, determinò una discesa inesorabile, che trovò il suo culmine negli anni ‘90, quando il numero di sale rasentò la soglia di 3.000, con un numero pro capite di ingressi pari a 2, mentre nel 1936 aveva raggiunto il suo apice di 16. A partire dagli anni ‘90 la situazione cominciò a migliorare e nell’ultimo censimento del 2019, le sale in Italia erano cresciute a 3.542, in 1.218 cinema. Ma che ne è stato di tutti quegli spazi che hanno chiuso i battenti? Varesefocus ha provato a fare un’indagine sui principali cinema di Varese, Gallarate e Busto Arsizio. Partendo proprio da quest’ultima: i cinema “Rivoli” e “Pozzi” sono diventati dei condomini, il “Castelli” è stato occupato dalla libreria Boragno, il “Nuovo Mignon” è diventato un centro di accoglienza per migranti, “L’Oscar”, che doveva prima essere trasformato in un centro commerciale poi in un centro benessere, è lì inagibile, in attesa di eventi. Per quanto riguarda Gallarate: quello che una volta era il cinema “Condominio” è diventato un teatro, il cinema “Impero” l’Agenzia delle Entrate. E dei nostri cinema varesini cosa ne è stato? Lo storico “Lyceum”, dopo essere stato sede del quotidiano “La Provincia di Varese”, oggi è un bar che porta il suo nome. Il cinema “Rivoli” è stato acquisito dal comune di Varese, che ne ha fatto un centro conferenze. Il cinema “Arca” è diventato una sala Bingo, il “Centrale” un negozio. Ne rimangono ancora 3 in attesa del loro destino e grazie alla disponibilità dei loro proprietari abbiamo potuto visitarli. Il primo in cui ci rechiamo è il cinema “Vela”. Inaugurato nel 1966, è stato chiuso nel 2008. Stupisce il suo ottimo stato di conservazione, si ha quasi l’impressione che la saracinesca sia stata abbassata solamente ieri. A Paola Furega, nipote del proprietario, Il Cinema Politeama

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Il Cinema Vela

Il primo cinema in cui ci rechiamo è il “Vela”: inaugurato nel 1966, è stato chiuso nel 2008. Stupisce il suo ottimo stato di conservazione, si ha quasi l’impressione che la saracinesca sia stata abbassata solamente ieri chiediamo se hanno qualche progetto per riqualificarlo: “Al momento non ci sono proposte di alcun tipo, ma non ci dispiacerebbe potesse essere considerato come alternativa per il nuovo Teatro di Varese: l’acustica è ottima, è di facile accessibilità e ha anche un parcheggio a disposizione”. Da qui ci spostiamo al cinema “Politeama”. Pensato come alternativa al Teatro Sociale, il “Politeama” è stato progettato a fine ‘800 per ospitare sia spettacoli di strada, che come sala da ballo. Purtroppo, la sua versione originaria è andata distrutta nel 1966, a causa di un grande incendio causato da un mozzicone di sigaretta. In origine aveva un cupolone altissimo dalla forma circolare, con all’interno oltre alla sala da ballo, una sala bar, un giardino e due sale di riserva dove organizzare conferenze ed esposizioni. La capacità del locale era di ben 2.000 persone. La versione di oggi, di proprietà della Fondazione Molina, è una ricostruzione in chiave più moderna datata 1969. Ad accompagnarci nella visita, il


Il “Gran Cinema Vittoria” aprì i battenti il 17 luglio del 1917. Il cinema allora era muto e i film venivano accompagnati dalla musica di un pianista. Con il passaggio al sonoro, nella sala nacquero dei seri problemi di acustica

TERRITORIO

responsabile dell’ufficio tecnico del Molina, che oltre alla visione della struttura, vuole mostrarci una curiosità. Al piano inferiore troviamo in una stanza grandi lettere di varie dimensioni, utilizzate per presentare i titoli dei film. La chiusura definitiva del “Politeama” avviene nel 2008. È stato poi sporadicamente affittato per presentazioni e conferenze. Per le sue caratteristiche e la sua posizione dovrebbe essere proprio lui il più papabile come sede del nuovo Teatro di Varese. L’ultimo cinema che andiamo a visitare è anche il più affascinante: il “Gran Cinema Vittoria”, la cui costruzione risale al periodo bellico. Ci fa da cicerone Renato Casnati, che oltre ad avervi lavorato in prima persona è anche imparentato con chi lo ha fatto costruire. Non senza un filo di commozione ce ne racconta un po’ la storia. “Il cognato di mio nonno, uomo molto facoltoso, ritornato da Parigi, aveva visto che in Francia il cinema stava spopolando; così propose a mio nonno a titolo di investimento, di finanziarlo nella costruzione di un cinema, a patto che lo avesse gestito in prima persona. Il cinema si sarebbe chiamato: ‘Gran Cinema Vittoria’”. Detto fatto, il cinema aprì i battenti il 17 luglio del 1917. Il cinema allora era muto e i film venivano accompagnati dalla musica di un pianista. Con il passaggio al sonoro, nella sala nacquero dei seri problemi di acustica. “Mia nonna, donna piena di iniziativa, cercò di porvi rimedio e appese delle reti da pesca alle pareti con il compito di attutirne il suono. Che funzionassero o meno questo non l’ho mai saputo”, precisa Casnati.

Il cinema chiuderà i battenti nel luglio del 2006, due giorni prima dell’anniversario della sua inaugurazione. Cominciamo la visita al suo interno. Parte delle poltrone sono già state rimosse, ma alzando gli occhi verso l’alto, si rimane estasiati dalla bellezza delle decorazioni sul soffitto e dai suoi fregi. “Allora Casnati, che fine farà questa meraviglia? Non le si stringe il cuore a volerla vendere?” “Non me ne parli, ma ormai non ha più senso tenerlo. Siamo stati lì lì per venderlo per ben due volte; la prima avevamo già il contratto firmato, poi l’acquirente si è ritirato all’ultimo momento. La seconda invece era una proposta senza consistenza, per cui abbiamo lasciato perdere”.

Il Cinema Vittoria

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Sono i dettagli a fare una diva A Saronno, più precisamente a Villa Gianetti, è possibile fare un giro nel salotto privato della grande soprano Giuditta Pasta, nel nuovo spazio museale a lei dedicato. Con oltre 600 tra oggetti, quadri, litografie, arredi e molto altro, appartenuti alla cantante espressivi e un carattere dolce ma determinato. Stendhal dedi-

Maria Grazia Gasparini ca alla “Divina”, paragonata oggi alla Callas, un capitolo intero del

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n punta di piedi, quasi per non far rumore, si entra nel salotto privato della grande soprano Giuditta Pasta, nel nuovo spazio museale a lei dedicato dal Comune di Saronno in Villa Gianetti. Un angolo fedelmente ricostruito della sua ultima dimora, dove la grande cantante lirica amava trascorrere momenti di riflessione cullata dai propri ricordi. La Divina, come fu chiamata quando il suo bel canto faceva impazzire gli amanti della lirica, era nata a Saronno il 26 ottobre 1797 e si sposò giovanissima con il tenore Giuseppe Pasta da cui prese il nome d’arte. Lo spazio a lei dedicato a Villa Gianetti è un percorso che si snoda lungo 5 ambienti che attraversano la sua vita di donna e di cantante lirica, svoltasi nella prima metà dell’800. Purtroppo, nel XIX secolo non esistevano ancora le registrazioni né i grammofoni ma le lodi e la fama della sua voce e della sua bellezza, oltre che della sua grande personalità, varcarono i confini europei arrivando fino a San Pietroburgo. Il suo repertorio si basò sulla produzione di Rossini, Bellini e Donizzetti e la sua voce era estesa dal registro di contralto a quello di soprano. I suoi genitori erano di origine valtellinese e quando nacque Giuditta, abitavano a Lomazzo. Era bellissima, come confermano le cronache del suo tempo e soprattutto i numerosi ritratti, visibili nel museo saronnese. Un ovale perfetto, grandi occhi

Lo spazio dedicato a Giuditta Pasta a Villa Gianetti è un percorso che si snoda lungo 5 ambienti che attraversano la sua vita di donna e di cantante lirica, svoltasi nella prima metà dell’800

suo libro “La vie de Rossini”, cedendo alla tentazione di tracciare un ritratto musicale del soprano e disse che mai ci fu impresa per lui più difficile. Scrisse anche: “La voce della signora Pasta ha una notevole estensione. Rende in modo sonoro il “La” sotto il rigo e innalza fino al “Do diesis” e anche fino al “Re acuto”. La signora Pasta ha il raro dono di poter cantare la musica per contralto come quella per soprano”. Particolarmente intenso fu il legame con Vincenzo Bellini che per Giuditta Pasta compose, su misura del suo talento, la Norma e la Sonnambula. Iniziò a cantare giovanissima a 18 anni e si sposò l’anno seguente. La sua formidabile carriera s’interruppe solamente per la nascita dell’unica figlia. Era un’epoca tormentata in cui il racconto dei librettisti famosi si esprimeva in sinergia alla grande musica composta sul pentagramma, scrivendo pagine di storia. Vincenzo Bellini, di cui si racconta fosse innamorato della cantante, modellò la sua Norma sulla personalità musicale della Pasta e lei cantò la celebre aria Casta Diva, sul proprio timbro musicale. La Divina, com’era chiamata, in occasione dell’interpretazione di Anna Bolena di Donizzetti, disse: “Incredibile, nella mente mi rimane il momento in cui con questa corona diventai Anna Bolena”. Anche questa corona è tra i reperti del muIl busto di Giuditta Pasta

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Indirizzo e orari di apertura Il nuovo spazio museale dedicato a Giuditta Pasta si trova a Villa Gianetti, via Roma 20, Saronno. Orari di apertura: martedi e giovedì, ore 15:00/18:00 – sabato e domenica ore 10:00/12:30, pomeriggio ore 15:00/18:00. Ingresso gratuito. Viste guidate a pagamento e su prenotazione. collezionegiudittapasta@comune.saronno.va.it www.colleziongiudittapasta.it Tel. Villa Gianetti: 375 596 9767

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seo di Villa Gianetti che ospiterà, in maniera permanente, la preziosa raccolta composta di 667 pezzi fra oggetti, quadri, litografie, arredi e molto altro, appartenuti alla cantante, separando la vita privata dell’artista da quella pubblica. Questo percorso museale, molto preciso e coinvolgente, è stato reso possibile grazie al collezionista milanese Giorgio Cavallari che ha donato l’intera collezione al Comune di Saronno e ci sono voluti due anni di minuzioso lavoro, portato a termine dall’ufficio Cultura del Comune coordinato dalla dottoressa Nasi e con la collaborazione preziosa di Andrea Germi. La cantante era una donna intellettualmente impegnata anche nella politica e, considerando i tempi di allora, risalta la sua figura eclettica e molto attuale. Era un’epoca in cui era difficile che una donna potesse manifestare le sue convinzioni, le sue passioni e i suoi conflitti. La Pasta ci riuscì seguendo l’onda dei grandi autori del melodramma di allora, dei loro validi librettisti e ne fu la principale rappresentante. Nel 1838 rifiutò di esibirsi in occasione della discesa in Italia del nuovo imperatore Ferdinando I d’Austria e intrattenne rapporti con le principali figure del Risorgimento italiano. Si racconta che di sua iniziativa inviò a Como 6 piccoli cannoni di sua proprietà per contribuire all’espugnazione della caserma San Francesco. Culmine di questo spirito passionario fu senz’altro la salita sulla vetta del colle Pizz di Brunate, dove il 23 marzo 1848 per festeggiare la cacciata degli austriaci, forse per la prima volta una donna issò in aria la bandiera tricolore. Per Rossini, la Pasta fu un’insuperabile interprete di ruoli leggeri e tragici come Desdemona nell’Otello o la maliziosa Rosina nel Barbiere di Siviglia. Durante il percorso museale, nella sala della Voce, c’è la possibilità di ascoltare in cuffia un approfondimento sulle vocalità di Giuditta Pasta, sulla base di ricostruzioni storiche. Questa eccezionale collezione è stata riconosciuta di particolare interesse dalla sovrintendenza Archivistica e Bibliografica della Lombardia e con il patrocinio della Regione Lombardia e della Provincia di Varese. In una delle sale al piano terreno di Villa Gianetti si potranno ancora organizzare, come in precedenza, matrimoni civili ma d’ora in poi ci sarà una presenza in più: il busto di marmo della grande cantante saronnese che farà da testimone alle nozze. Giuditta Pasta muore a Como, nella sua ultima dimora, il 1° aprile 1865. Saronno le ha intitolato nel 1990 il teatro cittadino a pochi metri dal celebre Santuario dedicato alla Madonna dei Miracoli.

Sopra, dall’alto, il salotto di Giuditta Pasta e la corona di Anna Bolena

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▶ PROVINCIA DA SCOPRIRE RUBRICHE

Viggiù, piccolo gioiello nascosto Un viaggio alla riscoperta di uno dei paesi più a nord della provincia, tra i suoi monumenti funebri magistralmente scolpiti, i suoi svariati musei ricchi di storia ed arte secolare, fino ad arrivare alle cave, oggi abbandonate, in cui un tempo i famosi “Picasass” lavoravano blocchi di rocce calcaree e d’arenaria Il piccolo cimitero, abbandonato da quasi un secolo, è rimasto

Alessandra Favaro una fotografia di un camposanto di inizio secolo scorso. Ed è ri-

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iggiù è probabilmente una delle gite più magiche e suggestive dell’autunno. Un paese a nord della provincia, a due passi dalla frontiera Svizzera, dove in certe giornate uggiose autunnali pare di essere catapultati in un’altra dimensione. Viggiù è anche un museo d’arte a cielo aperto, dove diverse tappe di una passeggiata tra le vie del centro e appena fuori testimoniano l’arte dei maestri scalpellini che qui raggiunse livelli altissimi, fino a forgiare marmo e pietra come se fossero pasta e trasformarli in opere d’arte. Il vecchio cimitero abbandonato di Viggiù Nel periodo di Ognissanti la tappa obbligata è il Cimitero Vecchio di Viggiù, luogo speciale dal fascino preraffaellita da visitare soprattutto nel “periodo dei morti”, anche perché spesso è proprio solo a cavallo del 2 novembre che si può trovare il piccolo camposanto aperto. Questa minuscola necropoli è stata costruita agli inizi dell’800, quando per editto napoleonico i cimiteri dovevano essere lontani dai centri abitati e venne chiusa nel 1910 perché non aveva più spazio per ospitare altre salme. Ci si arriva facilmente in auto e si può parcheggiare proprio a fianco. Basta impostare il navigatore di Google Maps con la destinazione Cimitero Vecchio Viggiù e seguire le indicazioni. Al suo interno, tra un tappeto di foglie rosse e color oro, svettano tombe e opere d’arte funerea, create da artisti varesini importanti del 1800, che meritano una visita in rispettoso silenzio. Oltre alle piccole lapidi scure e ricoperte di muschio che spuntano dal terreno, si trovano statue a grandezza naturale, il tutto in pietra di Viggiù e anche dipinti. 54

masto così perché, creato nel 1820, ha accolto l’ultima sepoltura nel 1910. L’unica aggiunta successiva è del 1923, quando furono piantati i tigli in onore ai caduti della Prima Guerra Mondiale e che oggi, diventati maestosi, rendono il cimitero quasi un piccolo bosco e lo colorano con le tipiche sfumature del foliage autunnale. Su ciascuno dei tigli è collocata una targa che reca il nome dei soldati morti in guerra. Cimitero come memoria e come arte. Si trasforma anche in un palcoscenico alternativo a volte, in occasione delle festività dedicate ai defunti. In questa particolare ricorrenza il cimitero ospita performance teatrali o letture corali fungendo da specialissima scenografia suggestiva.

Uscendo dal paese e addentrandosi nel bosco ci si rende conto di quanto la “filiera” della pietra qui fosse quasi a km 0. L’ambiente circostante, contraddistinto da rocce calcaree e d’arenaria, ha profondamente contribuito allo sviluppo dell’attività di estrazione e scalpellina della Valceresio


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Il polo museale viggiutese conta 4 musei: il Museo Enrico Butti, il Museo del 900, il Museo dell’800 e il Museo dei “Picasass”, dedicato agli scalpellini e all’arte tutta locale della lavorazione, estrazione del marmo

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Tra gli elementi che catturano l’attenzione appena entrati, troviamo il monumento a Adalgisa Faré Cassani, proprio appena varcato il cancello principale. Questa statua ha una curiosa caratteristica: la donna scolpita nella pietra sembra inseguire con lo sguardo chiunque entri nel cimitero, come se fosse il guardiano. Un’altra statua molto suggestiva è quella dell’Angelo che sovrasta una lapide, creata dall’artista Luigi Buzzi Gilberto, maestro viggiutese, la cui fama lo portò a lavorare anche al Cimitero Monumentale di Milano. La struttura più significativa è la Cappella Funeraria Comune, progettata dall’architetto lombardo Giacomo Moraglia (Milano, 7 luglio 1791 – Milano, 1º febbraio 1860) epigono del neoclassicismo. La cappella è appunto in stile neoclassico anche se rovinata dal tempo. Al suo interno si trovano delle piccole stele scolpite che raffigurano i lavori delle persone decedute. Queste sculture si trovano ovunque nel cimitero.

costituire il primo nucleo del Museo dei “Picasass”. La storia viene narrata sul sito del museo, e sottolinea come le donazioni di utensili e di materiali continuarono nel tempo. Si creò così un notevole patrimonio di testimonianze, che fece sì che nel padiglione degli Artisti Viggiutesi, presso il Museo Butti, entro i primi mesi del 1995, venisse allestita la Mostra permanente dei “Picasass”. I musei e la casa studio di Enrico Butti sono visitabili dal martedì al venerdì dalle 14:00 alle 18:30, il sabato dalle 10:00 alle 12:00 e dalle 14:00 alle 18:30 e la domenica dalle 16:00 alle 19:00. È possibile prenotare anche online e restare aggiornati sulle mostre in corso. Le cave di Viggiù Uscendo dal paese e addentrandosi nel bosco invece ci si rende conto di quanto la “filiera” della pietra qui fosse quasi a km 0. L’ambiente circostante, infatti, contraddistinto da rocce calcaree e d’arenaria ha profondamente contribuito in passato allo sviluppo dell’attività di estrazione e scalpellina della Valceresio. L’estrazione e la lavorazione della pietra nelle cave di Viggiù è documentata fin dai primi anni del quattordicesimo secolo. Uno sviluppo cresciuto in concomitanza con l’arrivo dello stile gotico in Italia. I “Picasass” viggiutesi avevano nel frattempo compreso le qualità di questo tipo di pietra locale, facilmente lavorabile ma anche resistente alle intemperie, perfetta per essere plasmata. Nelle zone ad ovest del paese, come Val di Borgo, Valera, Piamo, Tassera è presente la pietra arenaria che ha tanto segnato, un tempo, il successo e il passato del borgo. Oggi le cave sono in stato di abbandono. Sono ambienti surreali, con massi notevoli dimensioni tagliati a foggia di grandi pilastri quadrati, che sembrano immensi porticati. È qui che una volta gli scalpellini potevano lavorare, protetti anche in caso di maltempo.

I Musei Civici Viggiutesi A poca distanza da questa bolla sospesa nel tempo, quasi all’altro lato della strada, ci sono i Musei Civici Viggiutesi, altra tappa accattivante di una gita a Viggiù. Il polo museale conta ben 4 musei: il Museo Enrico Butti, gipsoteca di arte contemporanea dedicata prevalentemente alle opere dello scultore viggiutese; il Museo del 900, un viaggio attraverso le opere degli artisti scultori viggiutesi del secolo scorso; il Museo dell’800, con gli artisti della Scuola Viggiutese dell’800; il Museo dei “Picasass”, dedicato agli scalpellini e all’arte tutta locale della lavorazione, estrazione del marmo. Ai musei civici è conservata anche la copia in gesso e i bozzetti della famosa statua dell’Alberto da Giussano di Legnano, ideata proprio da Butti e nata a Viggiù. Con quest’opera, detta anche “Guerriero di Legnano”, Bussi vinse per la seconda volta il Premio Principe Umberto nel 1897. Musei fortemuseiciviciviggiutesi.com mente voluti dagli stessi artisti viggiutesi e grandemente legati alla storia del territorio. Il Museo dei “Picasass” poi, è un vero e proprio museo collettivo “costruito dal basso” a cui parteciparono scalpellini e loro eredi per costruirlo. Il Museo dei “Picasass” nacque infatti agli inizi degli anni ‘80 del secolo scorso, nell’ambito del piano di riorganizzazione del Museo Butti. La volontà del progetto era evitare che, con la scomparsa degli ultimi scalpellini e con la chiusura delle cave e delle ultime botteghe, andassero perse importanti documentazioni relative all’estrazione e alla lavorazione della pietra. Nel 1983, così nella stessa casa-studio di Butti venne allestita una mostra sull’Arte dei “Picasass”. Un’iniziativa che ebbe una risposta così positiva che diede seguito a un incontro a cui parteciparono gli ultimi scalpellini di Viggiù. A loro fu chiesto, in vista di un allestimento permanente, di donare al Museo Butti gli attrezzi per la lavorazione della pietra, utilizzati durante la loro attività lavorativa. La richiesta ebbe un forte riscontro: numerose donazioni venIl cimitero vecchio di Viggiù nero effettuate a favore del Museo e si cominciò a 56


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â–ś GITA A

Foliage varesino, tra tradizioni e biodiversitĂ Che si tratti di aceri campestri, castagni o faggi, di tappeti di piccoli fiorellini color lavanda o ancora di impervi sentieri da percorrere in mountain bike, nei mesi autunnali la provincia di Varese sfoggia le sue mille sfumature di rosso e di arancio. Una gioia per gli occhi, ma soprattutto per il cuore

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l termine “foliage” indica in italiano lo spettacolo autunnale delle foglie che cambiano colore. La parola “foliage” è francese, ma la moda e il concetto provengono soprattutto dal nord America, dove i boschi del Canada e la parte più settentrionale degli Stati Uniti regalano un panorama particolarmente suggestivo di foglie rosse e oro. In Europa, diversi paesi non hanno un corrispettivo termine nella loro lingua, pur avendo luoghi meravigliosi dove poterlo osservare. La provincia di Varese non è da meno e al suo interno ospita aree verdi che regalano scenari emozionanti in questo periodo. A partire dal capoluogo, detto non a caso la Città Giardino. Una delle bellezze di Varese è proprio quella di riuscire a scandire il passare delle stagioni e le caratteristiche di ognuna di loro, nonostante sia una città. Questo grazie ai suoi parchi, in primis i Giardini Estensi e alle sue ville e giardini storici che in questo mese cambiano colori e fogliami. Per tuffarsi nella magia del foliage autunnale e comprendere di persona quanto un giardino all’italiana possa diventare romantico in questo periodo, quindi, prima tappa ai Giardini Estensi in centro città. Culla di alberi centenari e biodiversità, ospitano diverse essenze che sanno catturare il visitatore in autunno. Dall’acero campestre, al castagno, al faggio, passando per il corniolo da fiore, che porta un tocco di foliage nordamericano e della sua magia anche qui. Questo

arbusto, che può raggiungere un’altezza di 3-4 metri, infatti, proviene dalle regioni orientali del nord America, viene coltivato per la bella fioritura in maggio, costituita da capolini di piccoli fiori circondati da 4 brattee bianche o rosa, seguiti da bacche rosse in autunno, quando le foglie assumono una colorazione rosso scarlatta. RUBRICHE

Alessandra Favaro

La fioritura del brugo nel Parco del Ticino L’inizio dell’autunno offre anche uno spettacolo speciale in una delle aree più caratteristiche del sud della provincia: la brughiera. “In autunno nel Parco del Ticino si può ammirare la fioritura del brugo”, spiega Gabriella Pedranti che gestisce con dei soci il Centro Parco Ex Dogana Austroungarica di Lonate Pozzolo, a Tornavento (VA) di proprietà del Parco del Ticino. La brughiera di Malpensa in autunno si ricopre di un tappeto color lavanda di piccoli fiorellini disseminati per la pianura. È il brugo, appunto, una pianta tipica ma rara in Italia, a parte qualche altra zona circoscritta in Piemonte e Brianza. Il brugo (Calluna vulgaris) è di certo l’essenza più caratteristica dell’area, spesso legata alle attività contadine del passato, con cui un tempo si producevano scope. “Un’altra zona particolarmente affascinante in questo periodo per il fogliame colorato è quella del Bosco del Vigano”, precisa ancora Pedranti. Il Vigano, Sito di Interesse Comunitario, si snoda nella zona di Somma Lombardo verso il fiume Ticino. L’area è ricca di percorsi di visita indicati nelle Vie Verdi, dove ammirare piante ad alto fusto come il pino silvestre, la quercia farnia e la quercia rossa, che si alternano al castagno e a latifoglie esotiche. Il rosso del foliage e i colori caldi dell’autunno si riflettono sulle acque dei canali lungo il Fiume Azzurro, regalando alle acque nuovi colori e giochi di riflessi. Non a caso l’intero mese di ottobre tra questi boschi a ridosso di canali e brughiera, si organizzano diversi eventi per scoprire la bioadiversità locale. Alla scoperta del fascino del canale Villoresi in autunno e della biodiversità che lo contraddistingue, il Centro Parco Ex Dogana organizzerà un evento, il 31 ottobre, per vivere il tramonto in queste zone speciali.

Trekking, sentieri e mountain bike tra il foliage Silvano Moroni, guida Escursionistica, guida Nazionale di Mountain Bike, Istruttore Nazionale e formatore Internazionale di Nordic Walking, esperto anche di alpinismo e trail running, ha percorso in lungo e in largo e in ogni stagione la provincia di Varese e ci svela i luoghi secondo lui da non perdere in questo periodo. “Il nord della provincia e il parco del Campo dei Fiori meritano di essere conosciuti e percorsi anche quando cadono le foglie. Da non perdere anche il Parco Pineta di Tradate, la Via Verde Varesina che attraversa tutta la provincia di Varese, il Passo Forcora. Diversi sentieri riescono a immergere il visitatore nella magia del foliage: da alcuni piccoli lariceti nella parte alta della provincia con le loro foglie dorate, alla fioritura del brugo e dell’erica a sud”. La fioritura del brugo nel Parco del Ticino

Campo dei Fiori e castagne Il parco regionale Campo dei Fiori in autunno offre il “cambio di vestito” dei boschi di castagni e faggi. Oltre al fascino della natura, 59


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La brughiera di Malpensa in autunno si ricopre di un tappeto color lavanda di piccoli fiorellini disseminati per la pianura. È il brugo, una pianta tipica ma rara in Italia, a parte qualche altra zona circoscritta in Piemonte e Brianza

sono rilevanti anche le presenze storico-architettoniche, come il complesso del Sacro Monte (Patrimonio Unesco), il Grande Albergo, le ville Liberty, la Badia di Ganna e la Rocca di Orino. Non solo: se l’autunno è la stagione per antonomasia delle castagne, il Parco Campo dei Fiori ne conserva la loro storia e biodiversità, grazie all’attività del Consorzio Castanicoltori e alle Selve Castanili di Brinzio, Castello Cabiaglio e Orino. Il consorzio ha sede nel Villaggio Cagnola e aiuta nella gestione del vivaio didattico e della selva castanile pilota, oltre che nella promozione dei prodotti tipici della filiera del Castagno.

Tramonti di fuoco al Parco Pineta Se c’è un altro parco che è sempre stato amato e frequentato in 60

Galateo per il bosco Il bosco e la montagna sono casa e habitat per molti animali autoctoni, che vivono in autunno e inverno periodi delicati e particolari. Come fare a rispettare la libertà di noi “umani” a vivere la natura con il rispetto per le altre creature viventi? Passeggiare sempre col cane al guinzaglio per non disturbare animali selvatici e proteggere Fido; se amate guardare un animale selvatico, fatelo da lontano senza allarmarlo; non raccogliere erbe o piante se non si è sicuri di poterlo fare, potrebbero essere specie protette; non sporcare il bosco.

autunno, è il Parco Pineta di Appiano Gentile. Lo ricorda il Presidente, Mario Clerici: “Il parco è sempre stato conosciuto negli anni proprio per la presenza di funghi e castagne, tra cui un tempo famosa era la varietà locale della Rossina di Venegono”. Negli anni però le malattie dei castagni hanno depauperato la risorsa e non è più così semplice trovarle. Quello che si trova senza dubbio è comunque il grande fascino del paesaggio. “Meravigliose sono le pinete di pino silvestre la cui corteccia rossiccia dà nei periodi autunnali e invernali uno spettacolo unico - aggiunge Clerici -. Nei momenti in cui il sole è più basso, come alba e tramonto, la luce si riflette sulle cortecce, è da vedere”. È possibile immergersi in questa esperienza seguendo il percorso didattico del Parco, liberamente accessibile, che parte dell’Osservatorio astronomico (parcheggio in via dei Ronchi). Il Parco Pineta è un esempio unico di pineta pedemontana a pino silvestre. La sua particolarità è rafforzata dalla nomina a “Sito di Interesse Comunitario” imposta dalla Comunità Europea e attuata dalla Regione Lombardia, facilitando così l’opera di tutela. La Pineta è la più grande e fitta distesa arborea della zona. Questa sua caratteristica la rende ricca di specie animali tipicamente forestali a tal punto da esserne un importante centro di diffusione verso minori superfici alberate. Il parco è sempre liberamente accessibile e organizza anche diverse iniziative per tutto l’anno, per scoprire i sentieri ma anche per approfondire l’educazione ambientale.

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▶ ARTE RUBRICHE

Le “Fondamenta occidentali” di Giorgio Vicentini Un’ampia antologica, visibile a Maccagno fino al 10 gennaio 2021, ripercorre le tappe del lungo cammino dell’artista varesino, preoccupato e ammaliato dalla “fragilità sincera” del Vecchio Continente Luisa Negri

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l bel museo di Arte Contemporanea fondato da Vittorio Parisi sulle sponde del Verbano, a cavallo del torrente Giona, accoglie fino al 10 gennaio 2021 un’ampia antologica dell’artista varesino Giorgio Vicentini, curata da Clara Castaldo, dal titolo “Fondamenta occidentali”. Formatosi in ambito concettuale, ora interprete di un linguaggio autonomo basato sul colore, insegnante da anni, pittore e scultore vulcanico e poliedrico, lavora con i più disparati materiali: carta, legno, celluloide e altro. Si è meritato nel tempo l’attenzione di critici come Paolo Biscottini, Claudio Cerritelli, Flaminio Gualdoni, Guido Ballo, Martina Corgnati e molti altri. Guarda ad Anish Kapoor, artista indiano Maestro degli Opposti, con massima ammirazione. Suoi importanti lavori sono presenti in musei nazionali e internazionali. Non potrebbe esserci luogo più adatto del museo di Maccagno per ospitare le nitide opere di Vicentini, ora sinuose e ammiccanti, ora misticamente blindate agli sguardi curiosi di quanti vorrebbero rubarne il grumo di mistero che, racconta l’artista, ogni buona opera custodisce in sé. Ma, come in una cassaforte, la combinazione per entrare è nota solo a chi sa.

Perché questo curioso titolo: “Fondamenta occidentali”? Perché è una riflessione sulla mia persona ma soprattutto sulle mie radici, forti e deboli insieme. Sono un figlio dell’Europa e ne custodisco in me gli umori, i difetti e le qualità di uomo che in questo grande perimetro vive. Mi appartengono, per nascita, l’impronta della sua cultura ancestrale, la sua antica solidità, ma anche le fragilità e i dubbi. Questo titolo lascia intendere, accanto alla volitività e all’entusiasmo, le difficoltà del Continente in cui viviamo. Penso a Venezia, è l’esempio più calzante e luminoso della nostra fragilità, tanta cultura e imponente bellezza minacciate, sempre di più, dai capricci delle maree e dall’incuria umana. Eppure, la Serenissima, nonostante l’incertezza delle fondamenta deboli, si regge. Forte della sua fragilità sincera. Nel presentare la tua mostra il giorno dell’inaugurazione, nel gioco affabulatorio dell’Editto di Pino e Veddasca, hai detto “49 anni di pittura sono una infinità di tempo, ma vi assicuro che non mi sono mai e poi mai voltato indietro a cercarmi”. Cosa intendi? La mostra segue un itinerario che va dalle opere del 2013 del ciclo di Colore Crudo, alle recentissime di Atelier giungla, Arazzi volanti Giorgio Vicentini, Tempora, 2020. A destra, Andata e ritorno, 2001

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Giorgio Vicentini, Il tuono delle mani, 2020

e Quaderni di Tokyo del 2019-2020, altri fondamentali cicli. È un breve periodo rispetto al lungo cammino della mia ricerca, nella quale, tra opera e opera, tra un ciclo e l’altro di lavori, ho maturato la consapevolezza di aver fatto la scelta giusta, di essere un artista. E se non mi sono mai guardato indietro è perché, questo intendo, ho sempre avuto la coscienza di sapere dove mi trovavo, conscio delle mie capacità e dei miei limiti. Ho vanità normali e continua voglia di imparare. Mi sorregge il desiderio dello stupore, di fare cose nuove. Lavoro e non aspetto l’ispirazione, mi è indispensabile seguire l’idea che ho in testa. Continuo a farlo da sempre, nel silenzio e nella luce del mio affollato e luminoso atelier di Induno Olona. Una mia nipote ha chiesto un giorno: il nonno è nato nello studio? E proprio alla tua grande famiglia hai dedicato la mostra, spiegando che sono loro, i tuoi tre figli, Luca, Viola, Pietro, tua moglie Marta, le nipotine Bianca e Diana a sopportare quello che definisci “il mio istinto brutale, le mie esagerazioni e le mie malinconie”. Salta fuori il discorso del figlio unico che sono e mi sono sentito, quasi colpevolmente, fin da bambino. In questo percorso di Maccagno, predisposto con grande maestria da Giorgio Bianchi, che ha reso la mia ricerca una favola nitida e narrabile, cioè autentica, ci sono opere che sfiorano le corde della mia malinconia, come nei Quaderni di Tokyo. Ma anche esagerazioni d’artista, lascio al visitatore di individuarle e un “istinto brutale’”, appunto quello intemperante dei bambini. “Colore crudo” è altamente significativo di una rappresentazione ed esemplificazione del mio rapporto tecnico–artistico col colore, ma è anche una autolettura introspettiva dei miei umori bizzarri di creatura umana. A proposito di quanto hai appena detto, Claudio Cerritelli evidenzia che questa antologica rivela “una cultura arte e spirito” e Paolo Biscottini “una pittura che aspira all’assoluto (Colore crudo), ma si nutre di storie e sottintende gesti infiniti, quelli del pittore ma anche dell’uomo che vive di intensa quotidianità”. Raccontaci ora da dove è cominciato il tuo lungo percorso. Ho iniziato poco più che ventenne, durante il servizio militare. Mi 64

sono trovato con una matita tra le mani e da lì è partito tutto. Avevo appena interrotto gli studi di giurisprudenza a Milano dopo un buon esame di criminologia, in cui mi ero quasi divertito. Alla fine dell’esame il docente mi spiegò che non sarebbe stato lo stesso con altre discipline molto noiose. Avrei dovuto scegliere altro, suggerì, per assecondare quelle curiosità che aveva da subito intravisto in me. Ho seguito il saggio consiglio e oggi posso dire che lui è stato il mio primo maestro. Mi ha indicato la strada. Ho cominciato da subito e non ho più smesso. La parola per te è importante, i titoli delle tue opere sono sempre particolari. Ne cito alcuni: Cassaforte, La legge del colore, Matematica dell’Onda, Passwords, Aria concreta, Protocollo Occidentale. E tanto altro. La parola, il logos, è importante, perché viene prima di tutto. Nella parola sta l’idea che muove l’atto creativo. I nomi delle opere, che molto incuriosiscono i visitatori delle mie mostre, lo sottolineano. Insegni anche all’Università Cattolica di Milano dal 2005 e segui corsi per giovanissimi, ad esempio al Lac di Lugano. Sì, io sto molto coi giovani, imparo da loro. Dicono cose meravigliose e cose “sbagliate”, che a volte sono le più utili. Così posso trasmettere quello che oramai so e riceverne in cambio tanta sapiente freschezza. Attualmente seguo 18 ragazze alla Cattolica, per un laboratorio d’arte. Ma mi piace soprattutto stare coi bambini, l’ho fatto da sempre per lavoro, oltre che con i miei figli quando erano piccoli. E ora lo faccio con le mie nipotine. Con i bambini si instaura un rapporto magico. Bianca, per i miei 69 anni, ha dipinto nonno Giorgio e una bambina che lo tiene per mano, lo aiuta. I bambini, è proprio così, sanno aiutare i nonni. Con il Covid cosa è cambiato per il tuo lavoro? Ho avvertito in generale una sottolineatura della solitudine, anche se gli artisti sono abituati a confrontarsi col silenzio, chiusi nei loro studi. Ho poi trovato una positività, anche nel momento del lockdown, parola che peraltro non mi piace. In quei mesi ho lavorato in serenità, senza distrazioni. Mi sentivo protetto e ho potuto guardarmi dentro con più attenzione. Diverse delle opere inedite portate al museo Parisi - Valle sono state fatte in quel periodo. Figlie del silenzio e di un tempo lento, che mi ha fatto molto riflettere.

FONDAMENTA OCCIDENTALI

5 settembre 2020 - 10 gennaio 2021 Civico Museo Parisi - Valle Maccagno con Pino e Veddasca (VA) Venerdì 14:30-18:30 Sabato e domenica 10:00-12:00, 14:30-18:30 www.museoparisivalle.it


RUBRICHE

“La parola, il logos, è importante, perché viene prima di tutto. Nella parola sta l’idea che muove l’atto creativo. I nomi delle opere, che molto incuriosiscono i visitatori delle mie mostre, lo sottolineano” (Giorgio Vicentini)

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▶ ARTE RUBRICHE

Derain: il coraggio e l’inquietudine A Mendrisio una rassegna dedicata a uno dei massimi artisti del ‘900, amico di Picasso, Matisse, Braque e Giacometti. Una retrospettiva di ampio respiro, in grado di mettere in luce le caratteristiche e le qualità della sua produzione artistica Luisa Negri

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ra stata la grande retrospettiva al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, tenutasi tra il ‘54 e il ‘55, a riportare in luce l’affascinante e controversa, ma fondamentale figura di André De-

rain (1880-1954), tra i primi esponenti dei Fauves con Matisse. E tra i padri del Cubismo, con Braque e soprattutto Picasso. Per un ventennio, a partire dal 1910, i due si frequentarono e collaborarono insieme e fu proprio Derain ad avvicinare l’amico Pablo all’arte africana. Suo grande amico era stato anche Alberto Giacometti, che di lui scrisse: “È il pittore che mi appassiona di più, colui che più mi ha dato e insegnato André Derain, La Clairière, ou le déjeuner sur l’herbe, 1938

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RUBRICHE

A Mendrisio, nella sala grande, accanto alle sculture di Derain, è allestita una sezione che mette in luce l’attitudine registica dell’artista attraverso disegni, bozzetti e documenti fotografici dopo Cézanne, per me è il più coraggioso”. A sottolineare e riproporre l’importanza degli insegnamenti che l’arte di Derain ha saputo trasmettere, fin dai primi anni del ‘900, in Europa e in Italia, è ora una mostra del museo di Mendrisio, con importanti eventi collaterali, curata da Simone Soldini, Barbara Maltenghi Palacrida e Francesco Poli. Si tratta di una retrospettiva di ampio respiro che ne André Derain, Geneviève esplora i principali aspetti della ricer- à la pomme, 1937-1938 ca e rimette in luce le caratteristiche e le qualità della sua produzione tra le due guerre, fino alla scomparsa. Dagli “Archivi André Derain” e da alcuni tra i più prestigiosi musei, non solo francesi, sono giunte importanti opere, 30 disegni, 70 pitture, una ventina di sculture e ceramiche, nonché progetti per costumi e scene teatrali, illustrazioni per volumi letterari, famosa quella per il Pantagruel di Skira e materiale fotografico di sua mano. Tra i capolavori, accanto a diversi paesaggi e nature morte, sono presenti l’Estaque (1906), Il Portrait d’Iturrino (1914) l’Age d’or (la sua opera di maggiori dimensioni) realizzata nel 1940 come carta preparatoria per un arazzo, la Clairière ou Le Déjeuner sur l’herbe (1938), diversi ritratti della moglie Alice, l’intenso Portrait de Geneviève en bleu (1937-1938) e ancora Geneviève à la pomme, (19371938) opera di luce e freschezza prediletta da Derain, raffigurante la nipote e immagine della mostra di Mendrisio, Groupes de femmes (1946-1950) e Autoportrait à la pipe (1951-1954), indicato come l’ultimo autoritratto. L’esplorazione del denso percorso della sua vita di artista e uomo di profonda cultura porta in luce un dato fondamentale. L’assoluta libertà di visione della sua arte. Derain si spingeva senza timore nell’oceano immane delle correnti che hanno attraversato il tempo e solcato le mode per cercare di avvicinarsi e capire, per poi riprendere il viaggio ogni volta che la sua vela alta e libera (“archipeinture” definiva lui stesso la sua pittura senza confini), imponesse un cambio di rotta e nuovi strappi ai remi. È questo il senso della sua attrazione per il classicismo

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e il realismo in tempo di avanguardie, del suo flirtare col ‘600 quando i colleghi cavalcano l’ebbrezza dell’informale. Per questo Duchamp ebbe a scrivere di lui: “Derain è allergico alle teorie. Ha sempre fermamente creduto nel messaggio artistico immune da ogni tipo di spiegazione di metodo e oggi ancora appartiene a quel piccolo gruppo di artisti che ‘vivono’ la loro arte”. Tanta indipendenza di pensiero, e la capacità di guardare oltre, lo facevano oggetto di interesse e insieme di critica da parte di molti colleghi. In Italia guardavano a lui De Chirico, Carrà (ne scrisse anche in Valori Plastici, 1921), De Pisis. Le due guerre mondiali furono per l’artista spartiacque dolorosi, la prima lo vide impegnato al fronte, lontano da Alice Géry, la donna che sposerà poi a Parigi nel 1926. La seconda gettò un’ingiusta ombra sulla sua vita. Accusato di collaborazionismo col nazismo, dopo il sequestro della sua casa parigina, sarà presto messo da parte dai galleristi con cui aveva sempre lavorato, i più quotati e ci vorranno anni perché si chiarisca la cupa vicenda. Il poliedrico e vulcanico artista non si sottrasse a nessun tipo di approccio d’arte. Conosceva bene anche la musica e lui stesso, amico di grandi musicisti, suonava più di uno strumento. Tanto da aver collaborato a molte messe in scena di famosi spettacoli e balletti, dei quali scriveva spesso testi e musica. Innamorato dell’opera lirica e del teatro in genere, sua dichiarata passione, si occupava di ogni particolare, persino dei costumi e dei trucchi degli attori, nulla sfuggiva all’attenzione del suo colto sguardo. A Mendrisio, nella sala grande, accanto alle sculture di Derain, fatte fondere in bronzo per lui dopo la tragica morte per incidente dall’amico Giacometti, è allestita una sezione che mette in luce questa attitudine registica dell’artista attraverso disegni, bozzetti e documenti fotografici. Nel catalogo, edito dallo stesso Museo d’Arte di Mendrisio, oltre a foto e schede delle opere in mostra, contributi di studiosi e curatori e apparati vari, di particolare interesse risultano alcuni testi dell’artista, per la prima volta tradotti in italiano.

ANDRÉ DERAIN SPERIMENTATORE CONTROCORRENTE 27 novembre 2020-31 gennaio 2021 Museo d’Arte-Canton Ticino Piazzetta dei Serviti, 1 - Mendrisio (CH) Martedì-venerdì: 10:00-12:00, 14:00-17:00 Sabato, domenica e festivi: 10:00-18:00 museo@mendrisio.ch +41 (0)58 688 3350


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▶ MOTORI RUBRICHE

Volkswagen firma la berlina

media elettrica ID.3 Si tratta del primo esemplare basato sulla piattaforma MEB, sviluppata apposta per i modelli a batteria

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er la Volkswagen, la berlina media elettrica ID.3 è una vera e propria rivoluzione. Si tratta del primo modello basato sulla piattaforma MEB, sviluppata apposta per i modelli a batteria: non ci sarà, quindi, una Volkswagen ID.3 a benzina o a gasolio e neppure ibrida. La nuova “base” sarà utilizzata, invece, per tante altre vetture a corrente del gruppo tedesco, anche marchiate Audi, Seat e Skoda. Alla base dell’offensiva elettrica del gruppo Volkswagen c’è la volontà di diventare un punto di riferimento a livello mondiale nel mercato della mobilità elettrica, prevedendo entro il 2029 di lanciare fino a 75 modelli puramente elettrici. Particolare l’abitacolo della Volkswagen ID.3, molto arioso e del tutto privo di fronzoli. Questo aspetto minimalista dona eleganza alla berlina e le lavorazioni sono accurate. Il cruscotto dispone di un display di 5,3” ancorato al piantone, così da essere sempre ben visibile, che fornisce le informazioni fondamentali come velocità, le indicazioni del navigatore, il funzionamento della guida semiautonoma e l’autonomia residua. In più, c’è l’head-up display, con immagini colorate proiettate sul parabrezza. Sulla destra del cruscotto trova posto un comando rotante per scegliere fra marcia avanti e indietro e per attivare la funzione B (sta per Brake, freno), che aumenta il lavoro del generatore quando non si accelera, rendendo più decise le decelerazioni e al contempo recuperando più energia per ricaricare la batteria della Volkswagen ID.3. Un altro display, di 10”, è al centro della plancia della Volkswagen ID.3. Serve per l’impianto multimediale ed è chiaro, rapido e dalla grafica gradevole.

Non mancano i comandi vocali per variare, fra l’altro, la temperatura del “clima” bizona, invece di utilizzare i tasti a sfioramento alla base del display. Non c’è una consolle, ma una struttura fra i sedili con vari portaoggetti, incluso quello dove infilare lo smartphone per ricaricarlo wireless e due prese Usb. Nessun riserva, invece, per il motore della Volkswagen ID.3: i 204 cavalli garantiscono uno sprint notevole (7,3 secondi dichiarati nello “0-100”) eppure la risposta non è mai brusca. Alla velocità massima si arriva in fretta e i 160 orari dichiarati (autolimitati dall’elettronica, per non mandare “a zero” la batteria troppo rapidamente) sono senz’altro alla portata dell’auto: in un’autostrada tedesca priva di limiti, il contachilometri si è fermato a 166 km/h.

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Noi ci siamo!

Seguici

A luglio 2020 il Gruppo di Varese contava 215 iscritti: un gruppo multiforme per genere, età ed appartenenza dell’impresa al gruppo merceologico e dal cui confronto emerge un Movimento dinamico e attivo.

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romuovere la cultura d’impresa e migliorare la competitività imprenditoriale, sostenere lo sviluppo economico e valorizzare il ruolo sociale dell’imprenditore, favorire il confronto costruttivo di esperienze, idee e opinioni, agevolare il dibattito positivo e dialettico con un coinvolgimento attivo e formativo. È questa la mission del Movimento perseguita con diverse iniziative: dalla cultura d’impresa alla formazione, dall’orientamento alle visite aziendali, dalla vita associativa a quella interassociativa.

Attività che il recente lockdown dovuto alla pandemia non ha fermato. A partire da quelle sul fronte Education come racconta la Presidente del Gruppo, Giorgia Munari: “Nostro compito è da sempre quello di promuove le attiviXª HM SVMIRXEQIRXS EP ǻRI HM GSRXVMFYMVI alla formazione della classe dirigente del domani e, anche in un contesto così delicato, abbiamo scelto di metterci in gioco supportando la didattica a distanza. Ne siamo felici perché gli Istituti del Territorio e gli studenti hanno risposto con entusiasmo e partecipazione aderendo numerosi al progetto”. In particolare, sono state due le attività di education portate avanti, la simulazione dei colloqui di lavoro e gli incontri di orientamento: “nelle due iniziative rivolte agli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori abbiamo creato QSQIRXM HM VMǼIWWMSRI WYP QSRHS HIP lavoro e avvicinato il mondo scuola al mondo impresa: attraverso le nostre XIWXMQSRMER^I ² WXEXS TSWWMFMPI HMǺSRdere la cultura d’impresa tra i giovani che, seppure virtualmente, sono entrati in azienda approfondendone i ruoli, le competenze e le progettualità” racconta Jacopo Novello, Vice Presidente del Gruppo con delega all’Education. Il Gruppo ha organizzato diversi incontri formativi in modalità webconference dedicati alla Comunicazione, allo Smart working e, in collaborazione con

Il Gruppo Giovani Imprenditori ì ƚĹ aŅƴĜĵåĹƋŅ ÚĜ ŞåųŸŅĹå ÏŅŸƋĜƋƚĜƋŅ ĹåĬĬű±ĵÆĜƋŅ ÚåĬĬű ĹĜŅĹå FĹÚƚŸƋųĜ±ĬĜ ÚĜ ±ųåŸå Ĭ± ÏƚĜ ±ŞŞ±ųƋåĹåĹDŽ±Ø åŸŞų域ĜŅĹå ÚĜ ƚĹűĜĵŞųåĹÚĜƋŅųĜ± ÚĜűĵĜϱ å ŞųŅŞŅŸĜƋĜƴ±Ø ʱ ϱų±ƋƋåųå ŞåųŸŅűĬå× Giovani, ŞåųÏĘæ ÚĜ åƋº ÏŅĵŞų埱 Ƌų± Ĝ Ŏí å Ĝ ĉLj ±ĹĹĜ Imprenditori, ŞåųÏĘæ Şåų ü±ųĹå Ş±ųƋå ì ĹåÏ域±ųĜŅ ±ƴåųå ųåŸŞŅĹŸ±ÆĜĬĜƋº ÚĜ čåŸƋĜŅĹå ĹåĬĬűĜĵŞųåŸ±Ø ųåčŅĬ±ųĵåĹƋå ĜŸÏųĜƋƋ± ±ĬĬű ĹĜŅĹå

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la società di servizi dell’Unione, Univa Servizi, all’approfondimento degli aspetti legati alla maturità digitale nelle aziende. “Il nostro Gruppo punta molto sulla formazione con molteplici obiettivi: migliorare le competenze e le abilità degli iscritti, creare QSQIRXM HM GSRJVSRXS I VMǼIWWMSRI ETTVSfondire tematiche e argomenti di interesse ed attualità”, così Martina Giorgetti, Vice Presidente con delega alla Formazione. A completare il quadro delle attività alcuni incontri virtuali nei quali gruppi di giovani si sono confrontati sui cambiamenti, PI RSZMXª I PI GVMXMGMXª HM UYIWXS HMǽGMPI periodo: un’occasione di aggregazione e di conoscenza da cui sono emerse visioni variegate come sostiene la Vice Presidente Vanessa Barea con delega al Marketing: “Sono stati incontri molXS ETTVI^^EXM HEM TEVXIGMTERXM ǻREPM^^EXM a confrontarci e agevolare il dibattito in un momento così delicato. Interessante vedere come ogni realtà aziendale abbia gestito la situazione e come ognu-

RS HM RSM EFFME EǺVSRXEXS GSR HIXIVminazione i cambiamenti necessari”. Il prossimo appuntamento in calendario sarà “60 minutes talking” in cui 8 giovani imprenditori si confronteranno su nuovi modelli di business, vendita e produzione industriale e in particolare su come rimanere vicini ai clienti stranieri nonostante la limitazione dei viaggi verso l’estero. L’Assemblea Annuale di Gruppo è programmata per giovedì 3 dicembre 2020. Il Movimento a livello nazionale vanta un totale di circa 13.000 iscritti e Riccardo Di Stefano è il Presidente neoeletto dei Giovani Imprenditori di ŅĹĀĹÚƚŸƋųĜ±ţ ų±ŸüŅųĵ±DŽĜŅĹå ÚĜčĜƋ±ĬåØ üŅųĵ±DŽĜŅĹå ÏŅĹƋĜĹƚ±Ø ÏŅĵŞåƋĜƋĜƴĜƋº å ŸŅŸƋåĹĜÆĜĬĜƋºØ a±Úå ĜĹ FƋ±ĬƼ å ϱƋåĹå čĬŅƱĬĜ ÚåĬ ƴ±ĬŅųå× ŧƚåŸƋå Ĭå Ş±ųŅĬå ÏĘĜ±ƴå ÚåĬĬå ĬĜĹåå ŞųŅčų±ĵĵ±ƋĜÏĘå ÚåĬĬ± ĹƚŅƴ± ŞųåŸĜÚåĹDŽ±ţ

SEI UN GIOVANE AMBIZIOSO E CURIOSO DEL MONDO IMPRENDITORIALE? CONTATTACI! ȉȴȴȶ ȶȍȦȉȉȉ . ;LEXW&TT ȴȴȏ ȴȉȏȉȏȮȟ . WIKVIXIVME KKM%YRMZE ZE MX . [[[ KKM YRMZE ZE MX

@GiovaniImprenditoriVarese


▶ SPORT RUBRICHE

Sognando il ritorno alle Olimpiadi La Varesina, storica società di ginnastica e scherma nata nel lontano 1878, si trasforma e cambia pelle, anche grazie alla pandemia. Il racconto di questi anni di mutamenti è della Presidente, Tiziana Misseri mai diventare agonista e da mamma, quando, grazie ai miei figli, i

Andrea Della Bella quali crescendo però hanno scelto altre strade sportive, sono tor-

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el cuore la passione, in testa l’obiettivo di far tornare La Varesina grande come ai tempi del “Signore degli anelli” Yuri Chechi e all’orizzonte la voglia di bissare il mandato da Presidente per inseguire e realizzare il grande sogno: quello olimpico. La storia tra Tiziana Misseri e La Varesina si incrocia per ben due volte prima di arrivare alla presidenza della società: “Da bambina – dice – quando ho frequentato la palestra senza però

nata a frequentare la palestra di via Donatello”. Ma da quel momento Misseri non ha più abbandonato l’ambiente, diventando quattro anni fa Presidente. Con una serie di idee e obiettivi chiari, ma senza immaginare ciò che sarebbe successo con l’esplosione del Covid. “Quando diventi Presidente di una società come La Varesina, fondata nel 1878 e con quasi un secolo e mezzo di vita alle spalle – dice Misseri – non puoi non considerare la sua storia”. Ed è da lì che la Presidente inizia a parlare del suo mandato, dei risultati raggiunti, delle speranze che si allenano e fanno sacrifici in palestra, del tremendo periodo del lockdown, ma anche della forza di volontà che ha permesso a La Varesina di ripartire, ma soprattutto di investire proprio nel momento di maggior difficoltà.

Gli obiettivi fissati e raggiunti “Essenzialmente tre – dice –. Far sempre quadrare i conti del bilancio a fronte di costi molto alti. Abbiamo una struttura importante, anche se un po’ datata e che richiede continua manutenzione e dobbiamo mantenere in perfette condizioni tutte le attrezzature. Cementare lo spirito di squadra della società fino a diventare quasi una famiglia e riportare La Varesina a essere un punto di riferimento nel panorama della ginnastica nazionale e non solo”. Obiettivi fissati a inizio mandato e, i primi due, centrati. “Ma anche il terzo – precisa Misseri –. In questo caso i risultati vanno valutati su una prospettiva temporale più lunga. Di certo, grazie anche alla preziosa collaborazione con Alberto Palla, che sopraintende un po’ tutta l’area tecnica, siamo riusciti a coinvolgere allenatori qualificati, pronti a mettersi in gioco e con ancora tanta voglia di crescere sotto il profilo delle competenze. Oggi, con soddisfazione posso dire che la nostra società ha un team tecnico di prim’ordine”.

L’uscita dall’incubo Anche per La Varesina, come per tutti, l’emergenza sanitaria ha 73


RUBRICHE

mandato per portare avanti quanto seminato fino a questo momento. Tiziana Misseri sul bis un po’ frena, “perché manca ancora qualche mese al rinnovo delle cariche societarie”, ma non nasconde che l’idea la stuzzica: “La Varesina è come una famiglia – dice – abbiamo fatto un grande lavoro grazie all’impegno di tutti, abbiamo tecnici bravi e preparati e un paio di promesse di grandi prospettive”. Olimpiche. Il riferimento è alle giovanissime sorelle Antoniotti, Giulia e Sara, che stanno crescendo frequentando anche l’Accademia di Milano. “Calma – conclude il Presidente –. Crediamo molto in queste due ginnaste. Giulia ha già dimostrato tutto il suo valore vincendo il Criterium giovanile. Ma la strada è ancora lunga. Anche se tutti noi de La Varesina non abbiamo paura di doverla percorrere fino in fondo”.

fatto da spartiacque tra l’epoca pre-Covid e quella della convivenza con la Pandemia. “In mezzo, ovvero durante il lockdown, abbiamo vissuto i timori di tutti: prima la paura di non riuscire più a ripartire, poi il disorientamento dovuto al non sapere come ripartire quando sarebbe arrivato il momento”. Tutti superati con un pizzico di sana follia: “Diciamo che la storia, nel momento più complicato, ci ha messo di fronte a una scelta importante: quella di investire per crescere. E, dopo una serie di valutazioni, abbiamo deciso di scommettere. Anzi di crederci. E ora posso dire che abbiamo fatto bene”. Già perché La Varesina è ginnastica, ma anche arrampicata, disciplina che sta conquistando spazi, visibilità e sempre più praticanti. Anche a Varese. “Sotto la guida di Marco Antonetti, la nostra sezione arrampicata ci sta regalando grandi soddisfazioni – spiega la Presidente – sia in termini di crescita degli iscritti sia come risultati, poiché abbiamo anche una piccola squadra di agonisti. Durante il lockdown ci siamo tutti guardati in faccia, abbiamo considerato che alle prossime Olimpiadi l’arrampicata sarà una disciplina olimpica e questo le darà grande visibilità. Così abbiamo deciso di acquistare una nuova parete, che con il ritorno alle attività ha rappresentato un bel punto di ripartenza”. Ma non solo. Il Covid ha costretto anche a ridisegnare l’accesso alla palestra e l’utilizzo delle strutture, oltre a pensare all’adozione di tutta una serie di misure di protezione e prevenzione per atleti, tecnici e tutti coloro che “vivono nella casa de La Varesina”. “Il punto dolente è stato quello della sanificazione e il problema era ‘Come sanifichiamo i blocchi della parete ogni volta che viene utilizzata?’”. Criticità risolta mettendo una mano sul cuore (“perché la salute dei nostri atleti non è solo una questione personale di chi pratica sport da noi, ma di tutta la società”) e l’altra ancora sul portafoglio. “E così nel giro di poche settimane abbiamo fatto il secondo grande investimento – interviene Misseri – acquistando e istallando un sistema di lampade Uvc, che quando entrano in funzione sanificano tutto l’ambiente”.

Premesse e promesse Insomma, quattro anni intensi e ora la voglia di raddoppiare il 74

Nel cuore la passione, in testa l’obiettivo di far tornare La Varesina grande come ai tempi del “Signore degli anelli” Yuri Chechi e all’orizzonte la voglia di inseguire e realizzare il grande sogno: quello olimpico



IN LIBRERIA

Gianfranco Galante VOLEVO RACCONTARE UNA STORIA Pietro Macchione Editore, 2020

Miseria

(della pandemia)

e nobiltà

“Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”.

viaggio nella storia per emozioni e immagini, cogliendo delle diverse epoche dubbi e inquietudini. “Dal Medioevo europeo alle pesti di Lombardia, quella di San Carlo e di Federigo Borromeo di manzoniana memoria, dall’influenza spagnola alle fantasie malate della Sezession mitteleuropea, fino ad arrivare alle ipertecnologiche ricostruzioni visive del SARS-CoV-2 che danno un volto al famigerato nemico invisibile”. In un momento storico che spinge a fare i conti con l’impotenza e l’imprevedibilità, uno sguardo al passato per costruire una nuova visione del futuro. Un punto di vista diverso, un libro che colpisce, fa riflettere e che, alla fine, ha la funzione, dichiarata, di aiutare il lettore “a sciogliere la paura”.

“Il ricordo è parte del vivere del nostro presente e ci accompagnerà nel futuro quando il presente sarà passato”. Un viaggio nella memoria e, quindi, tra i valori forti della tradizione, della terra, in primis la Sicilia con la sua storia, del lavoro, della famiglia, della religiosità. Aneddoti storici, geografici, curiosi. “Storia di vita vissuta di una famiglia italiana in continua migrazione tra affetti e doveri, tra amor di patria e fuga, tra Varese e Sicilia”, scrive l’autore. Una storia che è quella personale del Gian-pi, come lo si conosce a Varese, ma non solo: è la storia di una generazione genuina che ha fatto dell’impegno e del sacrificio la sua ragione di crescita. Un romanzo autobiografico e, come tutte la autobiografie, una sfida nel mettersi a nudo di fronte al pubblico e al lettore, senza la pretesa di essere accettati o compresi ma anzi con la richiesta esplicita di una certa tolleranza. Una sfida umana ma anche letteraria per una penna dalla vocazione poetica, prestata alla prosa.

nomosedizioni.it

macchionepietroeditore.it

(Alessandro Manzoni)

Pagine di storia e di futuro alla ricerca del buon senso Silvia Giovannini Renzo Dionigi, Filippo Maria Ferro NON È LA PRIMA VOLTA Nomos, 2020

Epidemie e pandemie: storie, leggende e immagini. Un volume che non vuole essere un trattato sistematico, ma un 76


Sara Magnoli DARK WEB Pelledoca, 2020

Silvano Colombo, Fausto Bonoldi NOBILTÀ DEL TERRITORIO VARESINO Pietro Macchione Editore, 2020 IN LIBRERIA

Luciano Landoni LA MIA VITA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS Tracce per la meta, 2020

“Abbiamo vissuto mesi di un’emergenza sanitaria unica, dopo l’epidemia di Spagnola e ci siamo ritrovati a riscoprire il valore della vita e del tempo, i più importanti beni immateriali dell’uomo”. Così Luciano Landoni introduce il suo nuovo lavoro maturato nel tempo sospeso della quarantena: un diario di eventi ed emozioni raccontato dall’eclettico giornalista bustocco, specializzato in economia. “Luoghi, sentimenti, considerazioni professionali diventano parole scritte con passione per testimoniare i giorni vissuti in famiglia, con le sue preoccupazioni di uomo, padre, marito e italiano”. Una lettura per ripercorrere le emozioni di un periodo che è stato costituito non solo da “dati relativi all’andamento della pandemia e i nomi di chi se n’è andato, ma anche da cos’abbiamo provato noi che siamo rimasti e ora dobbiamo collettivamente rimboccarci le maniche per ripartire”.

tracceperlameta.org

“Ha un milione e mezzo di follower, capisci? Un milione e mezzo. E crescono ogni giorno di più!” Vesna è il nome scelto da Eva, 14 anni, per diventare una influencer da milioni di like. Doom Lad è il nickname di lui, il ragazzo del destino. Giovanniboccaccio è l’ispettore infiltrato nel dark web che cerca di salvare minorenni intrappolate nella ragnatela. Pio è l’amico, compagno di scuola perseguitato dai bulli. Un romanzo molto attuale: una ambientazione digitale che non è quello che sembra, protagonisti che non sono quello che sembrano. Realtà e apparenza nel buio della rete. Eva non sospetta nulla di quello che c’è dietro i messaggi, le chat e le immagini che scambia con Doom Lad. Prima le foto, poi i video e infine un appuntamento. E lì si ritrova sola. Un romanzo per tutte le età, dai 13 anni in su: una storia avvincente ma che fa anche riflettere. Amaramente. Nuova prova per la giornalista e scrittrice varesina che dal genere giallo per adulti si cimenta in qualcosa di diverso.

pelledocaeditore.it

“È tempo, dunque, di proporre una antologia delle Nobiltà del nostro territorio con l’intento di invogliare l’amatore dell’arte ad andare in giro per le nostre terre, incontro alla nostra storia”, scrive Silvano Colombo. E non possiamo che essere d’accordo. Una guida che è la somma degli splendidi noti lavori realizzati negli anni da Colombo, con la competenza e la penna appassionata e brillante di Bonoldi, animatore anche su Facebook di riflessioni curiose sugli angoli nascosti di Varese. E, inoltre, con l’impaginazione, molto originale, di Elisa Saporiti. In un momento in cui si torna a parlare di turismo di prossimità e di marketing del territorio, una lettura preziosa. “Con questo lavoro di Silvano Colombo e Fausto Bonoldi – scrive l’editore Pietro Macchione – si apre una nuova stagione di coscienza dei valori e della bellezza che Varese e il suo territorio rappresentano”.

macchionepietroeditore.it

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DAL WEB

Passerelle digitali e cartoline da Tik Tok Le ultime sfilate milanesi raccontano molto: della moda, dei social, dei tempi che cambiano Fendi, solo per citare qualche nome. #TikTokFashionMonth,

Silvia Giovannini #GetTheLook, per sfoderare qualche hashtag.

E

rano gli anni ‘90. Marta, varesina 18enne, aveva un gusto raffinato e un talento creativo tutto suo. Missoni era tra i suoi stilisti preferiti, la moda nei suoi sogni: ancora non sapeva che il suo futuro sarebbe stato nel settore artistico, sempre in viaggio tra Milano e Londra. Allora voleva solo respirare il fascino delle sfilate e così fece. Il suo primo incarico? Incidere con un coltellino le suole in cuoio delle modelle, per evitare che scivolassero in passerella. Certo non proprio come sedersi accanto ad Anna Wintour, ma già un inizio. Mi chiedo Marta cosa direbbe ora delle sfilate Coronavirus style, di una Milano Fashion Week settembrina che al profumo della pelle e del tessuto, ha sostituito i filtri di Instagram. Non del tutto, certo, ma molto: su 64 sfilate in calendario, 41 sono state digitali. Digitali, senza suole da sistemare, eppure affascinanti, sorprendenti, creative e, a modo loro, molto glamour. Pensiamo a Moschino, con una sfilata di marionette a sostituire modelle e spettatori, una ricostruzione curata al minimo dettaglio, vestiti meravigliosi ma taglia mini. Pensiamo a Prada, che già negli anni aveva strizzato l’occhio agli influencer invitandoli agli show live, con la sua sfilata su Tik Tok. Pensiamo proprio a Tik Tok che con i suoi sorprendenti effetti, terra di conquista ormai da tempo di stilisti e fashioniste: Dolce&Gabbana, Gucci,

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Ma pensiamo soprattutto a Missoni, in omaggio a Marta e a quanti come lei, amano le sue trame, colori e, soprattutto, valori: quel profumo che non è solo di pelle e di tessuto, ma di casa, di calore, di famiglia. Ecco, Angela Missoni si “presenta” alla fashion week, avvisando subito il mondo della moda: i tempi sono cambiati, la comunicazione è cambiata, la stagionalità delle anteprime delle collezioni è ormai destabilizzante. E lo fa con una diretta sui social, che ha subito un eco di condivisioni, di storia in storia, di post in post. Una diretta che è insieme, perdonate la banalità che non si dovrebbe mai scrivere, innovazione e tradizione. La “sfilata” Missoni diventa un video perfetto, nel suo essere pensato per la contemporaneità, tecnicamente e nei tempi, persino il classicone, l’intervista che lo precede, è calibrata ad arte per ritmo e contenuti e, insieme, è omaggio alla terra, alle radici, alla storia. Nella sua semplicità apparente, è un video di rottura, rivoluzionario, meraviglioso: pensato per il mondo, radicato nella provincia. Per chi conosce la storia di una famiglia che ha scelto Sumirago come cuore d’impresa, beh, un video che racchiude tutto. In una manciata di minuti, il mondo. Cosa significa tutto questo per il settore, per l’industria degli eventi, per le imprese e anche per Marta e per tutte noi che amiamo le settimane della moda? Che tutto cambia, tranne i valori, come insegna la comunicazione di Missoni. Che occorrerà ripensare molte cose e che non sarà affatto facile. Ma che la bellezza e la creatività possono salvarci. “Quando tutto sembra essere contro, ricorda che l’aereo decolla controvento”. All’assemblea di Confindustria, Carlo Bonomi citava Henry Ford e lo citiamo anche noi. Controvento, in streaming e con note di Tik Tok, tacco 12 e suola ben ferma, ce la faremo. E piacerà anche a Marta.


Sui social si vola! DAL WEB

Le ultime notizie sulle #ImpresediVarese dal web e dai social network solo su

varesefocus.it Recovery Fund, un’opportunità per l’aerospazio

Aerospazio chiama, ingegneri junior rispondono

L’opportunità del Recovery Fund per le imprese del comparto, le nuove frontiere dei programmi di ricerca, il sostegno sui mercati da parte delle istituzioni attraverso il sistema degli accordi di governo (G2G): questi alcuni dei temi sottoposti dal Presidente del Lombardia Aerospace Cluster, Angelo Vallerani, al Sottosegretario del Ministero dello Sviluppo Economico, Gian Paolo Manzella, durante una tre giorni a settembre di incontri e visite nelle aziende del territorio.

Il Lombardia Aerospace Cluster e il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziale del Politecnico di Milano hanno siglato una convenzione per una collaborazione tra imprese e università e la realizzazione di tirocini. “La forza delle aziende è nelle persone qualificate che vi lavorano. Nel settore aerospaziale, l’aggiornamento è fondamentale. Le università devono camminare di pari passo con le imprese, per portarle ad avere il vantaggio tecnologico fondamentale nel mercato globale”, ha commentato Angelo Vallerani, Presidente del Cluster.

Gian Paolo Manzella, Sottosegretario del Ministero dello Sviluppo Economico, incontra le imprese aerospaziali lombarde.

Alessandro Profumo, Ceo di Leonardo, è il nuovo Presidente dell’A ssociazione industrie europee dell’aerospazio difesa e sicurezza.

ServoFly, l’ausilio realizzato con stampa 3D da Aidro e da TecnoElettra Impianti di Vignola, accompagna il pilota Negusanti in un nuovo traguardo. 79


Dalle

DAL WEB

#ImpresediVarese

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Black and white per l’autunno: una selezione di post di Instagram delle imprese di Varese. L’account dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese è @generazionedindustria



Concessionaria per Varese e Provincia. Varese Viale Belforte, 151 - Tel. 0332.27.40.01 Solbiate Olona (VA) Via dei Combattenti, 1 - Tel. 0331.18.55.299 e-mail: audi@audizentrumvarese.it - www.audizentrumvarese.it

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