



Roberto Grassi Presidente Confindustria Varese
Il focus di apertura di questo nuovo numero di Varesefocus, il primo dopo la pausa estiva è, in quanto tale, dedicato al tema del ritorno alla quotidianità. Siamo di nuovo ai blocchi di partenza della nostra routine. Settembre è come gennaio. Un mese fatto di promesse, aspettative, propositi, previsioni. Tutti aspetti che abbiamo, come nostro uso, voluto affrontare da diversi punti di vista. Tra il serio e il faceto. Dai consigli per una ripartenza del lavoro in pieno equilibrio psicofisico, alle attese economiche dei prossimi mesi. Passando per il suono della prima campanella del nuovo anno scolastico, per le sfide che attendono Confindustria Varese nell’attività di rappresentanza delle imprese, per l’analisi di ciò che ci possiamo augurare come tifosi delle squadre del nostro territorio nelle varie discipline sportive e per i suggerimenti di atleti e personal trainer per permetterci di essere coerenti con i buoni propositi di attività fisica che spesso accompagnano il rientro dalle vacanze, già in vista della prossima prova costume.
strettamente legato al tema principale dell’inchiesta, ma che tanto racconta delle capacità, troppo spesso sottovalutate, della nostra industria. Nel cercare di capire quali saranno i trend economici e produttivi che caratterizzeranno i prossimi mesi, abbiamo analizzato le previsioni del Centro Studi di Confindustria. E tra le tante rilevazioni, ci ha colpiti quella riguardante le proiezioni sugli investimenti. Non stupisce tanto il pronostico di un balzo che essi faranno nella seconda parte dell’anno. Tutte le imprese erano in trepida attesa dei decreti attuativi del Piano Transizione 5.0 del Governo e ora che ci sono, pur tra le preoccupazioni per il difficile accesso agli incentivi e per i tempi stretti di azione, è lecito aspettarsi una crescita della spesa delle aziende per nuovi macchinari e impianti. A richiamare la nostra attenzione sono stati, però, dei numeri che offrono una diversa narrazione del nostro sistema-Paese e delle sue imprese. Non è vero che siamo un’economia che non innova. Non è vero che in Italia non si fa ricerca e sviluppo. I dati ci dicono che autoflagellarsi su questi fronti di impegno dà una visione distorta di ciò che siamo.
sono cresciuti del 35,6% in più rispetto ai livelli di tutta l’Eurozona. E di tutto questo stock di risorse dedicate agli investimenti fissi messi in campo dall’Italia, il 57,9% è venuto dalle imprese private. L’altro restante è stato sostenuto dagli acquisti di case delle famiglie (con una quota del 27% grazie al superbonus) e per il 15,1% dal settore pubblico. Nella specifica voce degli investimenti in ricerca e sviluppo facciamo ancora meglio. Qui abbiamo investito nell’ultimo quadriennio il 41,5% in più rispetto all’Eurozona. Addirittura, il 20,9% in più della Germania, il 9,5% in più della Spagna. Solo la Francia ci supera. Nei confronti di Parigi siamo sotto del -2,5%.
Tra le tante voci e informazioni che abbiamo raccolto, sarebbe opportuno che al lettore non sfuggisse un dato, magari non
Siamo un Paese che grazie alle sue imprese ha investito negli ultimi anni più di ogni altra economia europea. E anche alla voce ricerca e sviluppo pochi fanno meglio di noi. Dalla fine del 2019 ad oggi i nostri investimenti
Cosa ci dicono questi numeri? Innanzitutto, che serve una narrazione diversa della nostra economia, la cui immagine troppo spesso è affossata dal nostro stesso pessimismo e da un confronto politico giocato più sui problemi da risolvere piuttosto che sulle risorse da valorizzare. Per esempio, l’industria. E poi che, se vogliamo nei prossimi mesi puntare su un ritorno ad una crescita importante, dobbiamo dare vita ad una politica economica e industriale che sappia sostenere questa capacità di investimento delle imprese, da cui può trarre beneficio tutto il Paese. Tra i buoni propositi per l’autunno dovremmo inserire anche questo.
In copertina, scatto del fotografo varesino
Mattia Ozbot per World Athletics – Olimpiadi 2024 di Parigi
Roberto Grassi
Silvia Pagani
Davide Cionfrini
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I suggerimenti per rientrare (bene) al lavoro
Le previsioni economiche per l’autunno
La sfida di rappresentare le imprese
La ripartenza dei giovani e della scuola
I buoni propositi di settembre
Si torna in campo
I 100 anni di Van Berkel International Ai check-in di Malpensa, le valigie le pesa Sipi “Nel dettaglio della sostenibilità” Novant’anni di “Test Galdabini”
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Le nuove rettrici degli atenei varesini
Chiusa la parentesi della pausa estiva si torna alla normale quotidianità. Settembre è il mese dei nuovi inizi. È il tempo della prima campanella che richiama gli studenti sui banchi di scuola, dei buoni propositi per rimettersi in forma, del rientro al lavoro. Tra aspettative (vecchie e nuove), voglia di ritrovare stimoli diversi, agende e impegni sempre più complessi da gestire. Come riuscirci? Con quali strumenti e consigli? E dal micro si va poi al macro: quali sono le attese dei prossimi mesi per l’andamento economico dell’industria locale e nazionale? Quali le priorità nell’azione di lobby della squadra di Confindustria Varese, in parte rinnovata nella rappresentanza settoriale? Il punto della situazione alla vigilia di un autunno pieno di speranze, anche per tutti i tifosi delle squadre del Varesotto nelle varie discipline sportive e campionati
Paola Provenzano
Evitare il multitasking (che ormai non è più di moda). Sostituire alla iperattività una strategica quietazione (vero antidoto al burnout).
Abbandonare l’illusione di poter essere sempre presenti e attivi su tutto (troppo alto il rischio di errori e di disperdere energie). Trovare una propria routine del benessere (senza, però, ricorrere a ricette precostituite). A settembre riparte la vita (spesso troppo stressante) di tutti i giorni. Ecco i suggerimenti di alcuni psicologi, coach ed esperti di benessere organizzativo per ricominciare con il piede giusto. Ed evitare di sentirsi già stanchi a inizio ottobre a discapito di se stessi e delle organizzazioni per le quali si lavora
Una ripartenza da 0 a 100 ed il risultato è garantito: perdita di energia, burnout e (ben prima di Natale) tutti di nuovo piegati sulle ginocchia ad agognare il tempo del riposo. A dirlo non è solo il buonsenso, ma sono soprattutto le neuroscienze che guardano al complesso dei neurotrasmettitori e alla regolazione dei ritmi di vita in grado di incidere sulle nostre capacità in termini di benessere, attenzione e rendimento.
Quietazione e addio al multitasking
Il suggerimento rientrando dalle
ferie e non volendo disperdere le energie è quello di operare per “aree di cambiamento” in modo non simultaneo per rendere le nostre azioni realmente sostenibili ed efficaci. Così suggerisce Gloria Bevilacqua, Psicologa e Psicoterapeuta esperta in benessere organizzativo: “Per ciascuna area di cambiamento, diamoci almeno 6 mesi di tempo per ripetere i comportamenti che abbiamo scelto di mettere in pratica e solo dopo valutare il risultato, ma soprattutto diamoci del tempo ‘vuoto’ che ci aiuti a pensare e focalizzare le priorità. Una forma di quietazione, un’antica parola italiana che sintetizza
un’azione quieta e strategica, proprio quello che funziona meglio in questi tempi frenetici”.
Dalla dieta alla palestra, per arrivare agli obiettivi professionali, tutto a settembre crea in noi aspettative e obiettivi di cambiamento che si sommano, rischiando di darci ben presto la sensazione di essere oberati, stanchi e frustrati. È in questo momento dell’anno che occorre maggiormente ragionare per aree di cambiamento e imporci dell’ulteriore recupero. “La quietazione – spiega Bevilacqua –significa, appunto, mettere in agenda un tempo libero dalle attività per pensare in modo lucido e recuperare
le energie: non possiamo limitarci a farlo nel periodo estivo delle vacanze; dobbiamo allenarci a metterlo in pratica anche durante l’anno. La troppa attivazione mal direzionata, o iperattivazione, è ciò che porta al cosiddetto burnout”.
A suggerire lo schema che alterna fasi di attività, riposo, movimento e pause è la stessa fisiologia umana. Se anche fossimo bravi e riuscissimo a rispettare questi ritmi, come possiamo difenderci dai continui stimoli all’azione che ci vengono dall’esterno? “In questo caso occorre agire sul lato della consapevolezza: possiamo imparare a osservare il sistema che ci circonda per scegliere cosa è meglio fare, volta per volta senza farsi distrarre dalla ‘Fomo’, ovvero della sindrome ‘fear of missing out’, la paura di perdersi qualcosa, di essere tagliati fuori. Vivere in un sistema complesso come quello in cui ci troviamo, richiede indubbiamente di avere tanta energia e non sempre è così, perché la nostra energia segue
dei cicli, non è sempre uguale e noi possiamo imparare a prendercene cura”.
Se non partecipiamo, se non siamo presenti, si pensi ai social ma anche a riunioni e incontri, ci sembra di essere inadeguati, non all’altezza, esclusi: questa sindrome può portare ad ansia e depressione, ma anche ad azioni poco sensate. “Solo cercando di diventare più consapevoli della realtà oggettiva in cui viviamo e più padroni di noi – dice Bevilacqua –possiamo evitare di sentirci frustrati e inadeguati rispetto alla complessità che affrontiamo, scegliere, misurare e dosare le energie rispetto alle
priorità e abbandonando l’illusione di poter essere sempre presenti e attivati su tutto”. In questo sistema complesso possiamo dire addio al mito del multitasking. “Se un tempo il multitasking era considerato un pregio, oggi, con l’esplosione della complessità, dobbiamo ricrederci: eseguire in contemporanea diverse azioni complesse rischia di essere pericoloso, perché non ci permette di avere la giusta concentrazione sulle singole azioni da compiere, portando ad aumentare i rischi di errore e facendoci disperdere le energie. Ciò è ancora
Gloria Bevilacqua: “Per ciascuna area di cambiamento, diamoci almeno 6 mesi di tempo per ripetere i comportamenti che abbiamo scelto di mettere in pratica e solo dopo valutare il risultato, ma soprattutto diamoci del tempo ‘vuoto’ che ci aiuti a pensare e focalizzare le priorità”
più vero al momento della ripresa, quando le circostanze ci spingono ad essere concentrati su troppi fronti contemporaneamente”.
Routine del benessere: uno strumento che riguarda anche il team
Per Maria Gabriella La Porta, Executive Coach specializzata in Organizzazioni e Leader Positivi, “esattamente come accade alla batteria di un cellulare, che si scarica con l’utilizzo, anche noi, benché ricaricati dalle ferie, finiamo per scaricarci. Ciò accade ancor prima se accendiamo i nostri motori a pieni giri”.
Qual è la parola d’ordine, allora? “Trovare la propria routine del benessere”: un suggerimento valido sia a livello personale sia di organizzazione di team di lavoro. “Non c’è una ricetta che vale per tutti – continua La Porta –. Trovare la propria routine del benessere significa dedicare del tempo a fare qualcosa che ci piace, che facciamo non perché siamo obbligati, ma perché ne abbiamo piacere. Ciò porta a produrre dopamina, un neurotrasmettitore che ha la funzione di renderci più creativi, produttivi, efficaci”. Questo consiglio vale sempre, ma soprattutto per quei mesi che vanno da ottobre a dicembre e che sono in assoluto quelli più a rischio di burnout, affaticamento e scarsa produttività. “Rientriamo dalle ferie e siamo già proiettati verso la chiusura dell’anno e verso nuove programmazioni: tutto ciò ci mette in uno stato continuo di tensione e reazione che non fa bene al nostro equilibrio psicofisico”. Ciò vale non solo a livello di individuo, ma anche di gruppo. “Un leader può cercare una soluzione introducendo attività di team building, ma non basta: è necessario che ogni gruppo identifichi e applichi in modo sistematico le routine che migliorano il clima e il benessere di tutti”. Gli esempi non mancano. “In alcuni casi ho visto gruppi di lavoro concedersi una mezz’ora a settimana di incontro
Maria Gabriella La Porta: “Rientriamo dalle ferie e siamo già proiettati verso la chiusura dell’anno e verso nuove programmazioni: tutto ciò ci mette in uno stato continuo di tensione e reazione che non fa bene al nostro equilibrio psicofisico”
dedicato a parlare di tutto tranne che di lavoro, instaurando così relazioni migliori e più collaborative. In altri casi si è scelto di rendere assiduo il ‘kiss team feedback’: 15 minuti per registrare ogni fine settimana cosa aveva funzionato e cosa no, per poi concentrare l’attenzione sugli aspetti positivi e migliorare costantemente processi e relazioni”.
“Nel nostro programma di supporto alle persone nelle organizzazioni è attiva una Helpline h24 – ci dice Fabrizio Almadori, Ad di Eapitalia World, partner di Confindustria Varese nell’ambito del Progetto People – che vive, durante l’anno, dei mesi ‘caldi’. Uno di questi è sicuramente settembre, mese in cui le persone manifestano spesso, in maniera controintuitiva, forte stress lavorativo e ansia da ‘siamo già a settembre’. Le aziende, attraverso l’osservazione permanente che il programma consente e che confluisce in reportistiche periodiche, possono, con la consapevolezza già maturata, supportare le persone, prevenendo la dispersione delle preziose energie riacquistate durante i periodi di
riposo anche con interventi mirati di sensibilizzazione”.
“Il rientro dal periodo estivo –aggiunge Sharmine Carluccio, co–fondatrice di Eapitalia World – segna anche la ripresa degli equilibrismi tra ruoli genitoriali e ruoli professionali ed emergono criticità nelle relazioni familiari, per fare solo un esempio problemi nei rapporti con nonni e suoceri che spesso all’inizio di settembre, quando la scuola non è ancora iniziata, aiutano i genitori che hanno ripreso il lavoro. Anche i manager, oltre a vivere le stesse tematiche in prima persona, possono incontrare proprio nel periodo del rientro dalle vacanze maggiori difficoltà nella gestione dei team. La soluzione? In questo caso si può ricorrere, ad esempio, alle sessioni di Management Consultation, per riflettere sui comportamenti più funzionali a supporto dei team”. Insomma, conclude Almadori, “l’obiettivo è quello di pensare un supporto completo all’azienda e alle sue persone che in questo modo possono sentirsi ascoltate e comprese, ma soprattutto facilitate nel riprendere al più presto le loro dinamiche lavorative, personali e familiari”.
Il Gruppo BPER lancia, con un plafond dedicato di 1 miliardo di euro, il servizio per le imprese “Transizione 5.0”, riservato a cogliere le opportunità del piano Industria 5.0 promosso dal Mimit (Ministero delle Imprese e del Made in Italy) per supportare la transizione delle imprese italiane verso sistemi innovativi, digitali e sostenibili. Il servizio, offerto da BPER Banca, BPER Leasing e Banco di Sardegna, si compone di un supporto finanziario tramite prodotti di finanziamento e leasing strumentale e di una consulenza specialistica offerta grazie agli accordi con società leader di mercato.
Il Gruppo BPER intende così dare ulteriore impulso agli investimenti delle aziende che vogliono cogliere le sfide rappresentate dalle transizioni globali in corso: trasformazione digitale e dei processi produttivi per ridurre i consumi energetici a beneficio dell’ambiente. Le agevolazioni introdotte da Industria 4.0 hanno stimolato l’adozione di tecnologia e incrementi di produttività. Transizione 5.0 pone l’accento su un’interazione armoniosa
tra uomo e macchina, con un forte impegno verso la sostenibilità e l’ecologia. L’obiettivo è quello di creare un equilibrio tra tecnologie avanzate e competenze umane, sfruttando l’Intelligenza Artificiale, la robotica collaborativa e le tecnologie verdi per sviluppare processi produttivi più efficienti e rispettosi dell’ambiente. Il Piano Transizione 5.0 è una misura portante del nuovo PNRR e rappresenta uno strumento essenziale sia per migliorare la sostenibilità e la digitalizzazione delle imprese italiane, sia, nel breve periodo, per rafforzare la crescita economica, attraverso un deciso sostegno agli investimenti. “Il ruolo di BPER a sostegno delle imprese è fondamentale”, ha dichiarato Stefano Vittorio Kuhn, Chief Retail & Commercial Banking Officer di BPER. “Vogliamo essere un partner strategico nei piani di sviluppo e di transizione digitale ed ecologica delle aziende. Siamo preparati per individuare insieme ai nostri clienti le opportunità più interessanti e, attraverso questo nuovo servizio, possiamo affiancarli nell’ottenimento del credito d’imposta, nella corretta predisposizione delle certificazioni e nella realizzazione del loro piano di investimenti”.
Marco Meulepas, CoManaging Partner PwC
TLS, partner di BPER, ha aggiunto: “Il nuovo credito d’imposta previsto nell’ambito del Piano Transizione 5.0 rappresenta una significativa opportunità per le imprese italiane di investire in innovazione e digitalizzazione. La misura, incentivando la modernizzazione dei processi produttivi, di fatto favorisce la competitività del nostro tessuto industriale a livello internazionale. PwC dispone delle competenze necessarie per determinare il corretto beneficio ritraibile da questo incentivo, guidando le imprese attraverso le complesse normative fiscali”.
Carlo Spagliardi, CEO CDR Italia, partner di BPER, ha a sua volta dichiarato: “La nostra collaborazione con il Gruppo BPER nel Piano Transizione 5.0 permette alle imprese di accedere a strumenti finanziari e consulenziali d’avanguardia. Il nostro impegno è infatti focalizzato nel fornire alle aziende supporto concreto per affrontare le sfide della digitalizzazione, dell’innovazione e della sostenibilità. Con il nostro expertise e insieme a BPER desideriamo aiutare le aziende a implementare soluzioni innovative per migliorare la loro efficienza operativa e ridurre il loro impatto ambientale”.
Stefano Vittorio Kuhn, Chief Retail & Commercial Banking Officer di BPER
Paola Margnini e Davide Cionfrini
Il quadro geopolitico internazionale rimane complicato. La produzione industriale, sia a livello nazionale, sia locale, è debole e l’export non decolla. Una situazione che impone alle imprese (anche quelle varesine) di guardare con prudenza ai prossimi mesi. Ma con grandi attese sul fronte degli investimenti che, varati i decreti attuativi del Piano
Transizione 5.0, potrebbero tornare a crescere, così come avvenuto negli ultimi anni in cui l’Italia ha saputo fare meglio dei propri partner europei. Le prospettive secondo le rilevazioni di Istat e dei Centri Studi di Confindustria e Confindustria Varese
Ci sono i tempi dell’economia e ci sono i tempi delle aspettative. Il 31 dicembre si chiudono i bilanci, ma è il 1° settembre che si capisce come finirà l’anno per l’impresa. Il rientro dalle ferie è da sempre il momento dei buoni propositi e delle riflessioni su cosa ci aspetta nell’ultima parte dell’anno. E negli ultimi periodi previsioni, aspettative e sentiment sono sempre stati dominati dalle cosiddette variabili esogene. Ossia da quegli avvenimenti geopolitici che segnano anche lo stato dei rapporti tra le imprese, i flussi di commercio internazionale, le alleanze strategiche, le catene di fornitura e così via. Quest’ anno, in termini di dati acquisiti, abbiamo chiuso a
fine luglio una prima parte del 2024 in cui si è registrata una crescita moderata del Pil, un rallentamento delle attività dei servizi, un’industria ancora debole e un export in aumento, ma che non riesce a decollare e a fare da traino dell’economia, come avvenuto in passato. L’inflazione in Italia è bassa e stabile, ma i livelli ancora alti nel resto dell’Eurozona non permettono alla Bce di intraprendere la strada di tagli consistenti ai tassi che permetterebbe di dare respiro all’accesso al credito, ancora bloccato, con investimenti dunque che tengono, ma che non sono sufficienti a dare quella spinta che servirebbe per invertire la rotta. Una fotografia dai dettagli poco definiti dunque, i cui contorni rimangono incerti anche
volgendo l’obiettivo oltre confine. In Germania e Francia, principali partner commerciali sia della nostra industria nazionale, sia varesina, la situazione è ancora più complicata che da noi. La produzione industriale è in netto calo: del –2,5% a Berlino, del –2,1% a Parigi. Gli Usa vivono una fase di campagna elettorale i cui esiti avranno inevitabili conseguenze sugli equilibri del commercio internazionale a seconda che vinca una o l’altra visione dell’America. Nel frattempo, la Cina continua la sua corsa manifatturiera su livelli che ormai non si vedevano dal 2021. Ed è in questo quadro internazionale complesso, caratterizzato da una crescita lenta e disomogenea, che si inserisce anche la produzione debole dell’industria
varesina, certificata a inizio agosto dall’uscita dell’indagine congiunturale sul secondo trimestre dell’anno del Centro studi di Confindustria Varese. Le preoccupazioni per interruzioni nella catena di fornitura, per la possibilità di nuovi shock economici e per l’ormai cronica carenza di manodopera qualificata frenano ottimismi e aspettative delle imprese manifatturiere all’ombra delle Prealpi. Con la conseguenza che tra aprile e giugno il 39,8% delle imprese ha dichiarato una stabilità dei livelli produttivi e il 35,4% un loro calo. Fin qui lo stato dell’arte prima della pausa estiva, ma quali sono le previsioni per i prossimi mesi?
Sono di “moderata accelerazione” le aspettative dell’Istat per l’andamento del Pil da qui a fine anno. Secondo l’Istituto di Statistica il Prodotto Interno Lordo italiano chiuderà il 2024 con un +1%, a cui seguirà nel
2025 un +1,1%. “I consumi privati – si legge nelle prospettive per l’economia italiana di questa estate – continuano a essere sostenuti dal rafforzamento del mercato del lavoro e dall’incremento delle retribuzioni reali, ma frenati da un aumento della propensione al risparmio”. L’occupazione, comunque, crescerà con un tasso di disoccupazione che scenderà al 7,1% entro fine anno e al 7% nel 2025.
Le aspettative della grande industria
Il vero nodo da sciogliere è la debolezza della produzione industriale. “La fiducia delle imprese – spiegano dal Centro Studi di Confindustria –continua a oscillare su bassi livelli”. Una cartina di tornasole è il sentiment delle grandi imprese che mostra “un aumento dei rischi di peggioramento nelle stime sulla produzione”. Nell’ultima rilevazione degli economisti di Viale dell’Astronomia le grandi imprese industriali che
temono una contrazione del lavoro nei propri stabilimenti sono salite al 23,4%, rispetto al 12,7% della rilevazione precedente. A drenare la fiducia della grande industria italiana è la disponibilità di manodopera che preoccupa una fetta sempre più crescente delle aziende, la disponibilità degli impianti e quella dei materiali. Stabili gli umori sulle condizioni finanziarie, mentre più ottimistica è la visione sull’andamento nei prossimi mesi di domanda e ordini e dei costi di produzione.
La vera svolta, però, potrebbe avvenire dagli investimenti. Ora che il Governo ha varato i tanto (troppo) attesi decreti attuativi, il Piano Transizione 5.0 potrebbe invertire la rotta degli ultimi mesi su questo fronte: “Le imprese vedono una spesa per investimenti in aumento nella seconda metà del 2024”, dice il Centro Studi Confindustria. Da
gennaio a oggi le cose non sono andate bene. Gli ordini delle imprese di beni strumentali sono costantemente calati, gli investimenti in macchinari e attrezzature sono scese del –1,5%. Le incertezze e la lentezza con cui gli incentivi per la trasformazione digitale e l’efficienza energetica sono stati introdotti hanno fatto da freno. E ora c’è da recuperare terreno, con margini di miglioramento e speranze di riportare il treno sui giusti binari. Quelli che hanno visto l’Italia negli ultimi anni fare ampiamento meglio dei propri partner europei proprio in termini di investimenti. Nel nostro Paese, certifica il Csc di Confindustria, sono aumentati rispetto al periodo pre–Covid del +30,7% cumulato. Contro il +1,8% della Francia e il –3,9% della Germania. Sono numeri da non sottovalutare, che offrono una narrazione diversa del nostro Paese e delle sue imprese dove si concentra il 58% degli investimenti nazionali. Anche in ricerca e sviluppo facciamo meglio dell’Europa. Il differenziale cumulato rispetto all’Eurozona segna un +41,5% a nostro favore. Nei confronti della Germania vinciamo con un +20,5%, nei confronti della Spagna con un +9,5%. Perdiamo solo di fronte alla Francia, che ha spinto molto su questa voce con forti incentivi. E infatti qui il differenziale è a nostro sfavore: –2,5%. C’è, dunque, un’industria che scommette sul futuro del Paese, ed è questo forse il punto di forza su cui puntare per tornar a correre nei prossimi mesi.
Il sentiment della manifattura varesina
D’altronde la voglia di investire delle imprese era stata certificata a livello locale anche dal Centro Studi di Confindustria Varese. Secondo una rilevazione effettuata a inizio anno il 68% di un campione di aziende manifatturiere aveva dichiarato di aver intenzione di effettuare degli investimenti nel corso del 2024. Di queste il 78% aveva pronosticato di farlo con risorse uguali o superiori
al 2023. Sono passati diversi mesi, bisogna vedere se quel sentiment ha poi retto nel corso di questa prima parte di anno al contesto geopolitico sempre più complicato e alle lentezze con cui è stato implementato il Piano Transizione 5.0. Rimane l’intenzione del settore di fare da traino per l’economia e il tessuto sociale del Varesotto. Il sentiment, negli ultimi tempi, è comunque improntato alla cautela. L’ultima indagine congiunturale di Confindustria Varese uscita questa estate, poco prima della pausa estiva, parlava di una quota del 46,8% delle imprese che si attende per i prossimi mesi livelli produttivi stabili. Il 30,8% si aspetta dei cali, mentre rimane minoritaria, seppur non irrilevante, la percentuale di aziende che prevede dei balzi in avanti: 22,4%. Gli occhi di molte industrie varesine sono puntati su Germania e Francia. È qui che si concentra oltre il 20% dell’export locale. Ed è proprio
qui che le esportazioni made in Varese, in generale stabili nella prima parte dell’anno (+0,3% nel primo trimestre), hanno subito importanti battute d’arresto. Del –11,1% nel mercato tedesco, del –14,4% in quello francese. Quanto durerà e quanto è profonda la crisi della produzione industriale di Berlino? Quanto inciderà sull’economia di Parigi l’incertezza politica seguita alla doppia tornata elettorale (europea e nazionale) che ha terremotato gli equilibri istituzionali e di governo francesi? E poi ancora: quanto sarà vincolante per la nostra competitività l’aumento dei noli e dei tempi di consegna legati al re–routing del canale di Suez? Quando e quanto i tassi di interesse americani potranno dare il via ad un ribasso capace di estendersi all’Europa? Ciò che avverrà negli stabilimenti varesini da qui a dicembre dipende anche dalle risposte a queste domande.
Tra riconferme e new entry, per Confindustria Varese sono stati mesi di rinnovo degli organi associativi. La nomina di una nuova Vicepresidente, Giorgia Munari. La rielezione del Presidente del Comitato Piccola Industria, Andrea Bonfanti. L’entrata in scena di nuovi imprenditori a guidare i Gruppi merceologici. Il voto che ha eletto Pietro Conti a Presidente del Gruppo Giovani. Inizia così l’ultimo anno di mandato del Presidente Roberto Grassi
L’elezione di una nuova Vicepresidente di Confindustria Varese e del Presidente del Gruppo Giovani
Imprenditori dell’Associazione. La riconferma del Presidente del Comitato per la Piccola industria. La nomina della nuova squadra di Presidenti che rappresentano i Gruppi merceologici, tra riconferme e new entry. Si aprono con queste novità gli ultimi mesi del mandato del Presidente di Confindustria
Varese, Roberto Grassi. A dicembre, infatti, è previsto l’insediamento della commissione di designazione dei saggi, composta dagli ultimi 3 Past President dell’Associazione, che dovrà, con il coinvolgimento di tutta la compagine associativa, individuare il suo successore. Un iter che si chiuderà con il voto previsto durante l’Assemblea Generale 2025 della prossima primavera.
L’attività di rappresentanza del sistema industriale varesino riparte, dunque, da queste certezze. Ma ripercorriamo, passo dopo passo, i più importanti cambiamenti avvenuti da inizio anno ad oggi. In primavera si sono tenute le Assemblee elettive degli 11 Gruppi merceologici. Ad essere eletto Presidente del comparto “Terziario Avanzato” è stato Giuseppe Zanolini. Anche i settori della gomma e materie plastiche e delle imprese cartarie hanno cambiato i propri vertici. Rispettivamente, Michela Conterno e Roberto Salmini: questi i loro nomi. Giuseppe Tronconi, invece, è stato chiamato alla guida delle realtà che fanno parte del Gruppo “Tessile e Abbigliamento”. A presidiare le “Siderurgiche, Metallurgiche e Fonderie” è stato votato Massimo Garavaglia. Riconfermati, invece, i Presidenti di “Alimentari e Bevande”, delle “Chimiche e Farmaceutiche”, del “Legno”, delle “Varie” e delle “Meccaniche”. Non solo un cambiamento dei rappresentati, però. Quest’anno è, infatti, nato un nuovo
Gruppo merceologico: quello delle “Infrastrutture, Trasporti e Turismo”. Alla guida, Roberto Paciaroni.
A poche settimane di distanza dalle Assise settoriali, il Gruppo Giovani Imprenditori dell’Associazione datoriale ha accolto un nuovo timoniere al suo comando: Pietro Conti, classe 1993, è stato eletto Presidente per il biennio 2024–2026. “Tra le priorità del mio mandato, quella di sostenere il progetto ‘Start Up Your Ideas’ per farci promotori del fermento imprenditoriale, favorendo una nuova cultura organizzativa aperta al cambiamento – commenta Conti –. Ci impegniamo a creare opportunità di formazione per nuovi imprenditori, attraiamo talenti e contribuiamo all’orientamento scolastico di ragazzi e ragazze, attraverso la diffusione della cultura d’impresa tra i giovani. Un tema che abbiamo a cuore è quello del passaggio generazionale. Nel corso dell’anno organizzeremo percorsi mirati sui macro–trend, sugli scenari futuri e sugli elementi chiave per costruire strategie aziendali vincenti, tra cui quelle organizzative e quelle di governance. Fondamentali saranno, inoltre, le attività di Education dove, da sempre, il Gruppo è in prima linea. Ci distinguiamo, infatti, come tutor di progetti volti a sviluppare l’imprenditorialità di studenti delle scuole secondarie di secondo grado, oltre a porci l’obiettivo di consolidare le sinergie con la nostra Università LIUC”.
Riconfermato, invece, nel suo ruolo di Presidente del Comitato Piccola Industria (che rappresenta le imprese con meno di 100 dipendenti), Andrea Bonfanti. Un voto unanime che è avvenuto dopo la tornata elettiva delle Assemblee dei Gruppi merceologici e che si aggiunge alla carica, a livello nazionale, di Vicepresidente della Piccola Industria di Confindustria con delega a Innovazione, Ricerca e Sviluppo. “Lo scenario sempre più complesso che abbiamo di fronte ci obbliga, come Piccola Industria, a uno
sforzo duplice, di rappresentanza e di strategia, al fine di poter aiutare le imprese a rimanere competitive sul mercato e di poter crescere all’interno delle filiere di appartenenza –commenta Bonfanti –. Con questo secondo mandato l’obiettivo è quello di portare sui tavoli istituzionali locali, regionali, nazionali ed europei un contributo concreto e operativo rispetto alle criticità e alle opportunità da cui dipende lo sviluppo delle Pmi. Da una parte dobbiamo essere messi nelle condizioni di poter operare con regole e incentivi agli investimenti certi, accessibili e scalabili alla dimensione di ciascuna azienda. Dall’altra parte dovremo approfondire alcuni strumenti e strategie, all’interno dell’Associazione, che permettano a tutte le Pmi di potersi innovare, in attuazione alle epocali sfide di transizione energetica e digitale che stiamo vivendo, al fine di aumentare il livello di competitività all’interno di un mercato sempre più complesso, soprattutto lungo la catena di fornitura, nella gara con i competitors stranieri e nei rapporti con i clienti, le banche e nell’interlocuzione con le istituzioni”. Novità anche all’interno dell’organo più ristretto e direttivo di Confindustria Varese: il Consiglio di Presidenza. Il gesto dovuto delle dimissioni di Barbara Cimmino dalla carica di Vicepresidente dopo la sua elezione a Vicepresidente di Confindustria nazionale con delega all’export e all’attrazione degli investimenti ha imposto all’Assemblea Generale 2024 dell’Associazione, tenutasi nel mese di giugno, di eleggere la sua sostituta. La scelta, su proposta del Presidente Grassi e del Consiglio Generale, è ricaduta su Giorgia Munari, che da inizio anno ricopre anche la carica di Presidente di Servizi Confindustria Varese Srl: “Ho accolto con grande entusiasmo questo doppio incarico che mi è stato conferito. Un riconoscimento che dà continuità al percorso imprenditoriale e di
Roberto Grassi, Presidente
Grassi Spa di Lonate Pozzolo
Luca Donelli, Vicepresidente
Donelli Alexo Srl di Ferno
Eleonora Merlo, Vicepresidente
I.V.N.G. Spa di Gallarate
Claudia Mona, Vicepresidente
Secondo Mona Spa di Somma Lombardo
Eleonora Giorgia Munari, Vicepresidente
La Termoplastic F.B.M. Srl di Arsago Seprio
Pietro Maria Conti, Presidente Gruppo
Giovani Imprenditori
Centro Style Spa di Vedano Olona
Andrea Bonfanti, Presidente
Comitato Piccola Industria
Bonfanti Borse Srl di Gorla Minore
Andrea Bonfanti, Presidente | Gruppo “Tessile e Abbigliamento”
Patrizia Pigni, Vicepresidente | Gruppo “Cartarie, Editoriali e Poligrafiche”
Oscar Spazzini, Vicepresidente | Gruppo “Gomma e Materie Plastiche”
Fabio Pedroni Ratti, Componente | Gruppo “Legno”
Fabio Colombo, Componente | Gruppo “Siderurgiche, Metallurgiche e Fonderie”
Michele Marcora, Componente | Gruppo “Varie”
Franco Melato, Componente | Gruppo “Chimiche, Farmaceutiche e Conciarie”
Amedeo Fontana, Componente | Gruppo “Infrastrutture, Trasporti e Turismo”
Ivan Gnodi, Componente | Gruppo “Meccaniche”
Giovanni Sessa, Componente | Gruppo “Alimentari e Bevande”
Carlo Vanoni, Componente | Gruppo “Terziario Avanzato”
Remo Giai, Presidente Gruppo Merceologico “Alimentari e Bevande” | Farmo Spa di Casorezzo
Roberto Salmini, Presidente Gruppo Merceologico
“Cartarie, Editoriali e Poligrafiche” | Lazzati Industria
Grafica Srl di Casorate Sempione
Roberto Baldan, Presidente Gruppo Merceologico
“Chimiche, Farmaceutiche e Conciarie” | Carl Zeiss
Vision Italia Spa di Castiglione Olona
Michela Conterno, Presidente Gruppo Merceologico “Gomma e Materie Plastiche” | LATI Industria Termoplastici Spa di Vedano Olona
Roberto Pompa, Presidente Gruppo Merceologico “Legno” | Roda Srl di Gavirate
vita associativa intrapreso ormai da diverso tempo. Prima come componente del Consiglio Direttivo del Gruppo Giovani e poi come Presidente dello stesso. Tra le priorità, soprattutto nelle vesti di Presidente della società di servizi alle imprese, c’è la volontà di definire e allo stesso tempo allineare vision
Carlo Del Grande, Presidente Gruppo Merceologico “Meccaniche” | B.D.G. EL. Srl di Bardello
Roberto Paciaroni, Presidente Gruppo Merceologico “Infrastrutture, Trasporti e Turismo” | Hupac Spa di Busto Arsizio
Massimo Garavaglia, Presidente Gruppo Merceologico “Siderurgiche, Metallurgiche e Fonderie” | Garavaglia Spa di Caronno Pertusella
Giuseppe Zanolini, Presidente Gruppo Merceologico “Terziario Avanzato” | Weblink Srl di Varese
Giuseppe Tronconi, Presidente Gruppo Merceologico “Tessile e Abbigliamento” | Gaspare Tronconi Industriale Srl di Fagnano Olona
Simone Fogliani, Presidente Gruppo Merceologico “Varie” | Fogliani Spa di Busto Arsizio
e strategia con l’Associazione, per sviluppare strumenti concreti a supporto delle imprese varesine. L’obiettivo è quello di costruire un ecosistema imprenditoriale capace di aumentare la competitività e l’efficienza delle realtà industriali, anche e soprattutto in accordo con le linee d’azione del Piano Strategico
#Varese2050. Sono molteplici i driver che consideriamo fondamentali in questo senso. Ne cito alcuni: sicurezza aziendale, digitalizzazione, servizi legati all’efficientamento energetico, consulenza sui temi dell’Esg. Oltre alla formazione: un aspetto fondamentale che deve riguardare sia le aziende, sia i giovani”.
Paola Provenzano
Non è solo questione di affrontare la prima campanella. Oltre alla gestione del rientro in classe, per ragazze e ragazzi si tratta di ricostruire, dopo una lunga (troppo?) pausa estiva, la propria quotidianità. Fatta di studio, certo, ma anche di molto altro. Un’agenda fitta di impegni che richiede capacità di fare pulizia e di saper gestire il tempo, dando il giusto valore alla lentezza. Una sfida prima di tutto educativa, che coinvolge anche i docenti
Tempo di ripartenza per i ragazzi che tornano a scuola, tra desiderio di rivedersi, prime ansie, grande energia, ma anche un momento che per molti giovani e giovanissimi significa rimettere in moto tutto quello che nella loro vita è legato non solo alla scuola, ma anche allo sport e a tutte la attività che riempiono il loro tempo libero. La ripartenza significa anche riavviare una macchina complessa come quella della scuola che, tra docenti e personale non docente, rappresenta un mondo fatto di oltre 700mila persone, cui si lega sempre più l’idea che sia fondamentale farne luoghi cardine per lo sviluppo
sociale ed emotivo delle nuove generazioni.
Come ripartono i ragazzi?
Accoglienza, talenti e un po’ di “pulizia”
Partiamo da un punto certo: la ripartenza non è per tutti uguale. Sicuramente è più carica di aspettative e più complessa per giovani e giovanissimi che entrano in un nuovo ciclo scolastico o nell’anno che precede l’uscita: parliamo delle classi prime in generale (per tutti i gradi di istruzione) e, per le superiori, del passaggio al triennio; ma anche terza media e anno della maturità sono momenti importanti, in quanto precedono una svolta e implicano un cambiamento. In
tutti questi casi, il rientro a settembre coincide con l’affrontare grandi novità e l’abbandono di una zona che può essere di comfort. A suggerire questo primo “distinguo” è Laura Caruso, docente, formatrice ed educatrice in ambito sociale, nominata lo scorso mese di maggio Garante dei diritti per l’infanzia e l’adolescenza del Comune di Varese: “In tutti questi casi la formula introdotta dalle scuole è spesso quella dei cosiddetti progetti accoglienza: si può andare da interventi di orientamento a camp e gite di qualche giorno per permettere al nuovo gruppo classe di conoscersi e creare comunità”. Un altro strumento da introdurre subito da parte della scuola, in supporto a questo momento di passaggio e di ripartenza, è anche quello di tutte le attività di orientamento e sviluppo dei talenti, che mirano a rafforzare i punti deboli e a sviluppare il benessere personale che è poi alla base dell’apprendimento. Come gestire la sovrabbondanza di stimoli che ai ragazzi arriva oggi spesso da una miriade di impegni extracurricolari, progetti, proposte, sport, teatro? In questo caso l’approccio migliore è quello di fare pulizia, ma è importante farlo con metodo, suggerisce Caruso. “Fare semplicemente pulizia significa rischiare di buttare via ciò che c’è di buono e positivo nelle diverse opzioni e proposte per i ragazzi. Ecco allora che il metodo corretto è quello di partire dall’analisi dei risultati e degli obiettivi raggiunti che vanno misurati
sul fronte del benessere generato: ad essere prioritaria è l’attenzione al benessere e non il mero risultato. Un’operazione che va fatta dai ragazzi, senza che a prevalere siano gli adulti di riferimento. Ai genitori e alle figure educative spetta in questo caso essere di supporto, ma occorre che facciano un passo indietro”.
Si può prendere, quindi, l’occasione del nuovo anno (scolasticamente inteso) anche per ripartire con scelte sensate, fatte dando la possibilità ai ragazzi di valutare, rendendoli partecipi e solo così consapevoli e responsabili. Per cominciare con il piede giusto un altro consiglio è quello di “dare tempo al tempo”, non affrettare sempre tutto incasellando la vita fin da subito in traguardi da raggiungere in base all’età. Un fattore, questo, che genera ansia e crea spesso per i nostri adolescenti frustrazione e senso di inadeguatezza. “Ognuno è differente e ha la sua velocità e i suoi tempi –dice Caruso – approfittiamo della
ripartenza per dare spazio ai tempi di ciascuno, lasciando che anche la lentezza sia occasione di crescita”.
Come riparte la scuola?
Con troppo poche risorse
A ripartire in generale è però tutta la macchina complessa e articolata che va sotto il sostantivo “scuola”, ovvero un sistema che nel nostro Paese dà occupazione a circa 700mila insegnanti, ai quali si aggiungono personale non docente e figure educative e di supporto e che coinvolge una popolazione studentesca fatta da oltre 7 milioni di alunni. Si tratta di un contesto che tutti noi abbiamo conosciuto: fatto di circolari, regolamenti, orari, aule, ma soprattutto fatto di persone e che, nel corso degli anni, ha cambiato decisamente aspetto.
“La scuola che riparte quest’anno a settembre è purtroppo una scuola sempre più povera di bambini a causa del calo demografico”: parte da qui la riflessione di Silvio Premoli, varesino
Garante per i diritti dell’infanzia di Milano e docente Ordinario di Pedagogia generale e sociale all’Università Cattolica di Milano.
“È una scuola che riparte dopo una pausa estiva che, rispetto ad altri Paesi, è sempre troppo lunga. Si tratta di un fattore negativo non solo dal punto di vista didattico e dell’apprendimento: la chiusura prolungata delle scuole rende più marcato il solco che divide chi ha opportunità e chi è abbandonato a se stesso nei lunghi mesi estivi, perché i genitori lavorano e hanno risorse scarse per garantire attività ludico ricreative o sportive in grado di assicurare del tempo di qualità”.
In Lombardia la scuola riparte anche con uno scenario in cui è difficile assegnare le cattedre vacanti: la migrazione interna, che dal Sud Italia riempiva le cattedre del Nord, è andata frenando negli ultimi 10 anni, per una sempre minore propensione a spostamenti che implicano scelte familiari complesse, ma anche in
ragione del maggior costo della vita nelle regioni settentrionali e di una maggiore disponibilità di cattedre anche al Sud, grazie ai pensionamenti degli anni passati. “Ciò significa che per coprire le cattedre vacanti si fa ricorso a supplenti o ad insegnanti che sono reclutati attraverso il meccanismo della messa a disposizione, con evidenti ripercussioni in termini di continuità della didattica e non solo. Oggi, insegnare richiede competenze educative e relazionali importanti e questo vale in particolare per la scuola secondaria di primo grado, che rappresenta un momento fondamentale nella crescita dei ragazzi. Si tratta di aspetti su cui i docenti avrebbero bisogno di formazione continua e di supporto”, suggerisce Premoli.
La scuola riparte anche con risorse economiche sempre più scarse: a fronte di una popolazione studentesca che si contrae, anche i fondi subiscono tagli, togliendo
ossigeno a formazione e spazi di crescita per gli insegnanti. “Come potranno trovare risposta giovani con situazioni complicate alle spalle? La scuola dovrebbe poter avere le risorse per dare agli insegnanti le competenze per comprendere e saper riconoscere adolescenti e preadolescenti come interlocutori, curando i loro percorsi, affinché sia tutelato il loro benessere, che è alla base dell’apprendimento, ma anche facendo in modo che sia permesso loro di sviluppare i propri talenti, avendo gli strumenti e le risorse per intervenire sui deficit personali per farne cittadini consapevoli e migliori”.
La scuola è oggi più che mai il primo vero punto di accesso per cogliere i campanelli d’allarme rispetto a situazioni di povertà educativa ovvero situazioni in cui bambini e adolescenti sono privati della possibilità di apprendere e sviluppare al meglio le loro potenzialità, preziose per il futuro non solo loro, ma del Paese. “Purtroppo – chiosa Premoli – al momento la nostra scuola appare
abbandonata e se stessa e riparte con una serie di preoccupazioni e punti di domanda che necessitano di una attenzione che fino ad oggi la politica non ha saputo dare”.
Silvio Premoli: “È una scuola che riparte dopo una pausa estiva che, rispetto ad altri Paesi, è sempre troppo lunga. Si tratta di un fattore negativo non solo dal punto di vista didattico e dell’apprendimento. Così si amplia il solco che divide chi ha opportunità e chi è abbandonato a se stesso”
È un dato di fatto, confermato dagli operatori di settore: le settimane che seguono la pausa estiva sono tra quelle in cui si registra il maggior numero di iscrizioni in palestra, a corsi per l’allenamento fisico o a sessioni di personal trainer. La vera sfida però è quella di trovare i giusti stimoli per avere continuità e non mollare magari già prima di Natale. Ecco qualche consiglio da esperti, preparatori e atleti professionisti o che affiancano ad un’intensa pratica sportiva un altrettanto impegnativo ruolo nel mondo del lavoro
‘‘Settembre è il mese in cui le palestre fanno il boom. Soprattutto dopo l’inizio della scuola, i bambini sono impegnati e i genitori colgono l’occasione per ritagliarsi del tempo. Si iscrivono in palestra, magari seguiti da un personal trainer, ma poi arriva Natale e ciao allenamento”. È così che racconta il tipico trend che si presenta a partire dal rientro dalle vacanze estive, Lisa Garavaglia, personal trainer e corsista in diverse palestre del territorio. “Un secondo boom si ha tra gennaio e marzo con coloro che si vogliono preparare per la prova costume, ma poi si verifica un nuovo calo in estate, dovuto al troppo caldo. Il problema è proprio questo – sottolinea Lisa –. L’allenamento
dovrebbe essere una piacevole routine, non un percorso altalenante. Quello che dico sempre è che bisogna appassionarsi. Non solo alla palestra,
ma, in generale, ad una qualsiasi attività che ci mantenga in movimento e che possa giovare alla nostra salute fisica e mentale. La voglia iniziale
c’è, ma, dopo poco, spesso, molti abbandonano perché non hanno un punto di riferimento che faccia loro da stimolo. Ecco perché può essere d’aiuto un personal trainer. Ci vuole costanza. I risultati si vedono nel tempo”.
D’accordo con lei, anche Simone Moretti, tra i titolari dell’Athletix Training Lab di Varese: “Abbiamo aperto a ottobre 2023, quindi, è la prima volta che affrontiamo l’anno col cappello di direttori di una palestra ma, in base alla mia esperienza, sempre in questo settore, posso dire che settembre rientra tra quei mesi in cui si verifica un vero e proprio aumento delle iscrizioni, insieme a gennaio, in cui ci si vuole rimettere in forma dopo le feste natalizie, ma anche aprile e maggio in vista dell’estate. Il trend in un’attività come la nostra è questo, ma mollare il colpo prima di Natale e poi riprendere non funziona. L’importante non è quante volte ci si allena, ma la determinazione nel mantenere un intervallo regolare tra un allenamento e l’altro. Siamo in un mondo del tutto e subito, ma certe cose hanno bisogno di tempo. Veniamo da un periodo di pandemia che ha influenzato molto anche il modo di fare attività fisica. Ecco perché, ad esempio, noi ci siamo adeguati nel proporre la prenotazione della palestra anche solo per un’ora”. E che ci voglia pazienza oltre che
costanza, lo sa molto bene anche Francesco Lenotti, per gli amici Cecco, che per una vita ha fatto il preparatore atletico, anche per la Pallacanestro Varese ai tempi del mitico scudetto della stella nel 1999: “Ho fatto una vita nello sport, non solo nella pallacanestro, ma anche nel rugby e nel mondo delle regate dal 2004 al 2007 per la Coppa America di vela che si è tenuta nel mare di Valencia, in Spagna. Nella mia esperienza ho avuto la fortuna di allenare degli atleti veri. Un preparatore può essere bravissimo, ma poi dall’altra parte ci deve essere il talento e la volontà di raggiungere un obiettivo. Stessa cosa vale per chi si allena in palestra, semplicemente per tenersi in forma. Ci si può far seguire dal personal trainer, ma poi ci deve essere la motivazione. E soprattutto bisogna darsi tempo. Il problema grosso di chi a settembre vuole ricominciare è la fretta. Lo sport fatto senza dare progressività al carico di lavoro può creare anche dei danni al corpo. Per questo, all’inizio, come in tutte le cose, bisogna farsi seguire da un maestro. Ed è proprio in una guida, un personal trainer, un allenatore che possiamo trovare la spinta giusta”.
Un incoraggiamento che può essere generato, perché no, anche da una persona cara con cui condividere l’attività sportiva. E se sono sorelle o
fratelli, con la stessa passione per lo sport, ancora meglio. Lo raccontano le gemelle Troiani di Busto Arsizio, campionesse dell’atletica leggera italiana, che vantano diverse presenze tra Giochi Olimpici, campionati europei e mondiali, oltre che una serie di vittorie nel palmares, tra cui la più prestigiosa nella staffetta 4x400 del Campionato Italiano assoluto che si è svolto nel 2021 a Rovereto. Occasione, quest’ultima, in cui hanno stabilito il record italiano per Società, che tutt’ora detengono: “Ci alleniamo insieme, con lo stesso allenatore, fin da quando eravamo piccole. La condivisione è molto importante, specialmente per chi fa sport per un proprio benessere. Ancora di più che per noi atleti professionisti. O con il personal trainer che sprona o con amici che allietano, allenarsi con qualcuno credo sia sempre vantaggioso – sottolinea Virginia Troiani, tornata da poco dalle Olimpiadi di Parigi –. Poi c’è sempre
“Siamo in un mondo del tutto e subito, ma certe cose hanno bisogno di tempo. I risultati si vedono sul lungo periodo”
chi preferisce allenarsi da solo, ma in questo caso, talvolta, c’è il problema che, senza un programma preciso, si esagera all’inizio e poi pian piano si lascia andare. Il boom dopo Natale e prima dell’estate è un classico, ma così non si vedono dei risultati costanti. Non a caso gli abbonamenti annuali nelle palestre non vanno più di moda”.
Inoltre, come aggiunge Serena Troiani, “l’attività fisica non deve essere percepita come una costrizione ma bisogna dirsi ‘vado in palestra perché fa bene’. Una caratteristica fondamentale per rendere nello sport è la motivazione intrinseca che ci deve essere, indipendentemente che si faccia per piacere personale o per raggiungere un obiettivo estetico o sportivo. Bisogna trovare all’interno di se stessi il motivo per ritagliarsi del tempo per il proprio benessere psicofisico. All’inizio magari si fa fatica, ma poi diventa un’abitudine. Lo sport non deve essere sfiancante, ma un modo per scaricare il corpo, creare un po’ di adrenalina e di endorfine, un modo per sentirsi bene durante la giornata. Per questo è importante essere flessibili e aperti alla condivisione”. È vero anche, però, che ripartire con tutti gli impegni che prevede settembre non è semplice. Ecco perché, come sottolinea Alexandra Troiani, “il consiglio per tornare a svolgere attività sportiva è quello di farlo in maniera progressiva. Da una passeggiata ad una
corsetta fino ad un allenamento più strutturato. Come in tutte le cose ci sono delle difficoltà, in termini di infortuni o di cali emotivi, oltre che nell’incastrare tutti gli impegni, ma una grande dedizione nello sport, offre talmente tanta disciplina e caparbietà che aiuta a rendere di più anche nello studio e nel lavoro. A prescindere dall’attività lavorativa, un momento per sé stessi va ritagliato e, perché no, magari uscendo di casa prima alla mattina. L’importante, però, è saper accettare i cambiamenti e i bisogni del corpo, le forze possono calare ed è giusto regolarsi in base a questo”.
A confermare l’importanza di ascoltare il proprio corpo è Emanuela Baggiolini che, oltre ad essere Responsabile dell’Area Eventi di Confindustria Varese, è anche una campionessa di atletica leggera, nei 400 e 800 metri e nei 400 metri ostacoli, con una serie di medaglie nel palmares. Sono un esempio i terzi posti del 2001 e 2003 ai Campionati Italiani assoluti, a cui ha fatto seguito la convocazione in nazionale, ma anche i diversi titoli mondiali ed europei a livello master, come quello raggiunto quest’anno in Polonia o il secondo posto ai mondiali di GÖteborg di quest’estate. “È da quando ero alle elementari che faccio sport. Ormai pensare per obiettivi e curare ogni dettaglio è per me una forma mentis – precisa Emanuela –.
I sacrifici ci sono, ma poter lavorare su se stessi con costanza cercando sempre di migliorarsi verso nuove sfide, credo sia un gran privilegio. Sta proprio nella cura del percorso, in ogni singolo allenamento vissuto con dedizione e divertimento il vero arricchimento. Il segreto? Amare ciò che si fa. Se dovessi dare un consiglio ai giovani che non praticano alcuna attività nel tempo libero, direi loro di scoprire la propria passione, qualcosa che li entusiasmi. Che sia uno sport o un’altra attività, ma di svegliarsi ogni giorno desiderosi di raggiungere uno scopo e inseguire un sogno con tenacia e coraggio. Ciò genera un’energia che si autoalimenta e che contamina positivamente tutti gli aspetti della nostra vita, oltre quello sportivo, rendendoci persone più consapevoli e in continua crescita”.
“La condivisione è molto importante, specialmente per chi fa sport per un proprio benessere. Ancora di più che per gli atleti professionisti. Allenarsi insieme ad amici o colleghi può aiutare”
Andrea Della Bella Immagini di Foto Blitz
Una nuova stagione sportiva è alle porte. Basket, volley, calcio, rugby, hockey. Ecco speranze, aspettative, ambizioni, progetti delle squadre della provincia di Varese alla vigilia dei propri campionati. I pronostici di alcuni giornalisti della stampa locale e nazionale. Tra conferme e novità nei roster. Bilanci sulle campagne abbonamenti. Investimenti nei settori giovanili. E le attese per i nuovi impianti
Varese è una provincia di sport. Lo dicono le tante realtà che nelle rispettive discipline e categorie di appartenenza regalano emozioni a ogni stagione. Non sempre vincono, ma ogni volta ripartono con progetti e ambizioni. E, forse con un po’ di azzardo, abbiamo chiesto ai giornalisti delle diverse testate locali di leggere il futuro della prossima stagione sportiva.
Il basket
Partiamo dal basket. In sala stampa l’auspicio è quello di vivere una stagione con meno patemi rispetto a quella passata. Lo dice Antonio Franzi, conoscitore del
parquet di Masnago, ma anche firma della Gazzetta dello Sport quando al palazzetto gioca la Pallacanestro Varese Openjobmetis. “Confermare la categoria senza brividi è l’obiettivo sportivo minimo – commenta –. Poi però ci sono traguardi extrasportivi da raggiungere altrettanto importanti se vogliamo guardare al futuro di questo sport in una città, Varese, che respira basket. Ovvero: il consolidamento della società e i lavori al palazzetto. Entrambi importanti se si vuole restare ai massimi livelli. E in tal senso l’auspicio è che i lavori del primo lotto vengano conclusi ufficialmente prima di dicembre quando ricorrerà il 60° dall’inaugurazione del palazzetto”. E la squadra? “Ha un
buon potenziale sugli esterni e una panchina che dovrebbe essere più consistente rispetto a quella della stagione scorsa. Sarà comunque un campionato difficile perché l’impressione è che tutte le squadre abbiano alzato l’asticella”.
“L’ultimo campionato della Pallacanestro Varese ha lasciato l’amaro in bocca ai tifosi”, commenta Enrico Salomi, firma del basket di Malpensa24 che prova a rispondere alla domanda: riuscirà la Pallacanestro Varese a tornare competitiva? “Il mercato regala decisamente buone sensazioni. Lo sforzo per confermare Nico Mannion e l’aggiunta di buoni giocatori, pur nelle economie di scala di un bilancio non da Paperoni, sembrano costituire ottime premesse. L’arma in più deve essere la solita: l’incontenibile passione di Masnago (a proposito, il restyling del palazzetto sarà completato a settembre) e lo stile di gioco molto americano, quel Moreyball che esalta le caratteristiche di un basket tutto attacco e ritmi elevatissimi. Al di là della Serie A, la novità è un piacevole ritorno al passato. La Pallacanestro Varese torna ad investire nel vivaio. Il reclutamento in Italia e all’estero di giovani promesse e l’apertura della foresteria ai Giardini Sospesi sono già un ottimo punto di partenza”.
I Mastini
Sofferenza, ma anche grandi emozioni, risultati e soprattutto un
ritorno di entusiasmo incredibile li stanno regalando i Mastini dell’hockey. E qui a fare le carte alla stagione è Andrea Confalonieri, Direttore di VareseNoi e grande appassionato sugli spalti dell’Acinque Ice Arena: “I 330 abbonati sottoscritti in grande anticipo sulla nuova stagione, ovvero al 30 giugno scorso, e che sono lo stesso numero di fedelissimi totale dell’ultimo campionato, testimoniano quanto i Mastini siano tornati ad essere una fede nel cuore della città. La conferma dell’anima varesina della squadra, da capitan Andrea Vanetti a Marcello Borghi, da Michael ed Erik Mazzacane a (prossimamente) Edoardo Raimondi, da Andrea Schina e Alessio Piroso a Rocco Perla, ormai di casa e al ritorno dell’amatissimo re del gol Marco Franchini, è un unicum nel panorama dello sport di vertice del capoluogo e fa la differenza perché crea, come accadeva un tempo
nel basket e nel calcio, identità e identificazione che resistono anche alle sconfitte”. Inoltre, “la capacità di comunicare, la novità palaghiaccio con il cubo e lo show prepartita o negli intervalli, le radici varesine della società (il Presidente Carlo Bino, il Direttore Sportivo Matteo Malfatti), ma anche quelle degli sponsor, che poi diventano primi tifosi e un ambiente dove resistono valori perduti in altri sport, come familiarità e sportività, sono le altre caratteristiche che fanno dell’hockey varesino la più bella scoperta, o riscoperta, nel mondo italiano del ghiaccio. La società per la prossima stagione si è mossa in largo anticipo senza proclami, ma con grande ambizione, rinnovando la squadra attorno ai suoi capisaldi. Dal mercato sono arrivati anche giovani di talento come i fratelli Matonti (Marco, colosso difensivo e il portierino Filippo), oltre agli attaccanti Fornasetti e Ghiglione: l’ambizione è la stessa
degli ultimi anni, arrivare in fondo a giocarsi titolo e Coppa. Tutto questo in attesa di quel campionato unico italiano che è non solo la speranza, ma anche l’obiettivo di società, tifosi e città. Intanto, però, a Varese con l’hockey si gode e ci si diverte”.
Le farfalle di Busto
Ritornare ai vecchi fasti, quelli del triplete, ma non subito. Prima crescere e mantenere la categoria sarà l’obiettivo di una squadra che, con la pallavolo femminile, ha portato Busto Arsizio sul tetto d’Europa. A predire le sorti del campionato è Mattia Brazzelli Lualdi, giornalista sportivo e firma del volley per Gazzetta dello Sport e Malpensa24: “La Uyba si appresta ad affrontare la sua 17esima stagione consecutiva in serie A1 femminile. Dopo i fasti del recente passato, con l’indimenticabile triplete del 2012 (Coppa Italia, scudetto e Coppa Cev),
la squadra di Busto Arsizio sta ora attraversando una fase di transizione e di rinnovamento. Centrata nello scorso torneo una salvezza tanto sudata quanto meritata, le farfalle di Busto Arsizio sono ripartite da un big della panchina, ovvero il plurititolato Gianni Caprara. All’esperto tecnico di Medicina, il Direttore Sportivo Carmelo Borruto ha affidato un roster giovane, ma di buone prospettive, chiamato a mantenere la categoria, strizzando magari l’occhio anche ai playoff. Per la Uyba si preannuncia, insomma, una stagione di transizione, in cui le riconfermate Boldini, Lualdi e le azzurre Sartori e Piva, chiamate a favorire l’inserimento del libero Pelloni (al grande salto dalla A2), potranno però contare sull’apporto non solo degli opposti made in Italy Obossa e Frosini, ma soprattutto delle straniere (tallone d’Achille
della passata stagione) arrivate nel mercato”.
La sfera di cuoio: qui Pro Patria
Segue e conosce in maniera approfondita le vicende sportive e societaria della Pro Patria e ne scrive su La Prealpina. Ed è proprio Silvio Peron a leggere il futuro biancoblù: “Nel calcio, oggi più di ieri, la differenza la fanno le squadre che hanno un attacco prolifico e anche la Pro Patria non fa eccezione. Anche se credo che l’obiettivo sia mantenere la categoria ed eliminare i punti bui dell’ultimo campionato. Ovvero: conquistare più vittorie davanti al proprio pubblico ed evitare di prendere gol sulle palle inattive. Nella passata stagione magro bottino di punti in casa e troppe reti subite su calcio d’angolo. Detto questo, occorre poi spendere due parole sulla società
e su Patrizia Testa, alla quale non si può certo chiedere di più di quanto già dà e ha dato. Se la città vuole far alzare l’asticella, lo dimostri. Altrimenti, con grande realismo, guardiamoci attorno e vedremo che l’unica squadra che da una decina d’anni è tra i professionisti è la Pro Patria”.
La sfera di cuoio: qui Varese
Si riparte anche a Varese dove, come a ogni inizio di stagione, non mancano né le ambizioni e neppure le incognite legate allo storico impianto ai piedi del Sacro Monte. E chi conosce bene il mondo biancorosso è Francesco Mazzoleni, firma di Varesenews e conoscitore anche dei mondi calcistici del resto del Varesotto: Solbiatese, Varesina e Saronno comprese. “La retrocessione in Eccellenza del 2023 è stato un punto di reset per il Varese che,
dopo il ripescaggio in Serie D ha affrontato un’annata positiva in ottica ricostruzione e ripartenza. Il lavoro svolto da mister Corrado Cotta e dal Direttore Sportivo Davide Raineri ha portato a un terzo posto finale nel Girone A, concluso con la sconfitta ai playoff. Poco male, visto il valore effimero della post–season di categoria che non mette in palio la promozione. E per la stagione 2024–2025 i dirigenti biancorossi, con Giovanni Rosati inserito nell’organico a fianco del padre Antonio e l’ingresso in società di Massimo Foghinazzi per il settore giovanile grazie alla collaborazione con il Gavirate, sono i punti dai quali ripartire a livello societario. La squadra, affidata ai nuovi Roberto Floris e Antonio Montanaro, rispettivamente mister e Direttore Sportivo, entrambi provenienti dal Bra, è stata allestita per un campionato ambizioso. La
speranza dei tifosi varesini è quella di riassaporare al più presto la Serie C e si aspettano che questo possa essere l’anno giusto. Resta però l’incognita stadio”.
Mazzoleni sugli altri campi: “Se il Varese cerca di tornare tra i professionisti, un gradino sotto, in Eccellenza, ci sono due piazze particolarmente ambiziose per la prossima stagione. Solbiatese e Fbc Saronno proveranno a vestire i panni delle protagoniste per ritornare nella massima serie dei dilettanti. L’estate è stata calda per le due piazze con colpi di mercato importanti e società che si aspettano un salto di qualità dall’ultima stagione. La Solbia ha sfiorato la promozione dalla via della Coppa Italia, ma è stata sconfitta in finale, quest’anno però in casa nerazzurra il campionato sarà in primo piano. Anche Caronnese, Sestese e Vergiatese proveranno a
farsi notare in una categoria che negli ultimi anni è cresciuta per tasso tecnico ed emozioni”.
“Vedere quanto sono maturati i nostri giovani che l’anno scorso hanno ottenuto una salvezza all’ultima partita”. A fissare l’obiettivo del Rugby Varese è Paolo Carbone, ex giocatore e penna de La Prealpina quando c’è da andare in meta. “Molto dipende dal girone in cui saremo inseriti – spiega – i nostri ragazzi dopo due anni difficili possono mettere in campo la loro maturità. Salvezza tranquilla per proseguire con la crescita del gruppo e lavoro sulla base. Qui Varese, con Tradate, Valcuvia e Ranco darà vita anche alla Under 18. Questo consentirà di far crescere i giovani che poi potranno fare il salto nelle prime squadre delle rispettive società”.
Chiara Mazzetti
Il marchio di origine olandese, inventore del moderno concetto di affettatrice in ambito macellerie, taglia il traguardo del secolo di attività in Italia, con lo stabilimento di Oggiona con Santo Stefano. E lo festeggia con un costante aumento di fatturato, un piano triennale di investimenti e svariati progetti di espansione all’estero. Tra discese e salite, periodi di crisi e di sviluppo, una costante non è mai mancata: la coesione del capitale umano
Dalle affettatrici professionali ad uso intensivo per macellerie, piadinerie, ristoranti, supermercati e anche navi da crociera, per tagliare carne, verdura, frutta, affettati ma anche pane, fino ad arrivare alle iconiche macchine a volano, quasi dei pezzi di design e a quelle destinate all’uso domestico. Passando per coltelli, food processing, kitchen equipment e accessori come pinze e morse, ad esempio, per il prosciutto. Questo l’ampio catalogo di prodotti che Van Berkel International realizza, in Italia, da 100 anni tondi tondi.
“La storia italiana di Berkel, marchio olandese fondato nel 1898, comincia nel 1924 a Milano. In pochi anni l’azienda assunse 1.780 operai, 350 impiegati, 920 venditori distribuiti in 4 fabbriche, 115 showroom e 205 negozi. Un enorme successo, insomma. La Seconda Guerra Mondiale, tuttavia, provocò danni ingenti, rallentando l’ascesa del marchio, che si riprese poi negli anni del miracolo economico italiano”, spiega Francesco Jori, Managing Director dell’azienda con sede varesina ad Oggiona con Santo Stefano.
Van Berkel International oggi è un’organizzazione multi–country,
che impiega oltre 160 addetti, per più di 25 milioni di euro di fatturato annuo ed esporta il 70% dei suoi prodotti in 100 Paesi, tra cui Svizzera, Germania e Stati Uniti. “Van Berkel ha letteralmente inventato il concetto di affettatrice in ambito macellerie – racconta di nuovo Jori –, ma nel tempo ha saputo evolversi, adattandosi alle esigenze di mercato, iniziando a realizzare anche macchine elettriche, ad esempio”. Ma non è sempre stato tutto, come si suol dire, rose e fiori. “Negli anni si sono susseguite alla guida dell’impresa diverse proprietà, che hanno affrontato fasi critiche ed altalenanti. Nel 2014 la famiglia Rovagnati ha acquisito il marchio, decidendo di investire a 360 gradi sulla rinascita dell’azienda, rinnovando la parte produttiva degli stabilimenti a Varese e Maniago in Friuli–Venezia Giulia e aprendo una sede in India 100% Berkel. Da 1 milione di fatturato si è passati ai 20–25 milioni attuali”, precisa il Managing Director aziendale. Van Berkel International, a fronte di una crescita importante e repentina
negli ultimi anni, ha presentato un piano triennale, partito nel 2023 con termine il prossimo anno, con l’obiettivo dichiarato di un ulteriore salto di qualità. “Siamo partiti con forti investimenti nel capitale umano, assumendo diversi ingegneri per sviluppare prodotti da destinare a nuovi mercati – racconta Francesco Jori –. Il 2024 lo abbiamo dedicato all’apertura verso piazze inesplorate. L’idea è, nel 2025, di raccogliere i frutti di quanto investito in termini di produzione e innovazione: al termine di questo piano, ci auspichiamo di avere molti più contatti in America latina e nel Far East. Nel frattempo, siamo già al lavoro ai prossimi 3 anni
di programmazione, un segnale che sottolinea la visione di lungo periodo dell’azienda”.
Ma com’è cambiata Van Berkel International in 100 anni di storia? A detta di Jori, che in diverse aziende dai grandi numeri ci ha lavorato nel corso della sua carriera, il “segreto” è uno solo: le persone. “Per arrivare e superare il traguardo del secolo di attività, è fondamentale avere un team compatto, che ci tenga all’azienda, sia orgoglioso di ciò che fa e che lavori in modo sinergico. Certo, i collaboratori giusti non bastano, bisogna anche essere in grado di sfruttare le novità che il mondo offre, mantenendo nel tempo elevati standard qualitativi.
Mai scendere a compromessi sulla qualità: il rischio è dare per scontato che la qualità sia già insita nel nome stesso del brand. Tuttavia, per sopravvivere allo scorrere del tempo, un’impresa deve necessariamente puntare sul fattore umano”.
Tra alti e bassi, grandi conflitti e ristrutturazioni, sono molti i progetti per il futuro: “Primo tra tutti, fidelizzare una platea di consumatori maggiore di quella attuale, rivolgendoci non solo ad un pubblico prettamente maschile. Vorremmo esplorare nuove fasce di età e di genere. Tutto questo, mantenendo sempre alto il valore del made in Italy nel mondo”, sottolinea Francesco Jori.
Van Berkel International Srl è una delle imprese premiate per i 100 anni di attività nel corso dell’Assemblea Generale di Confindustria Varese, svoltasi nel mese di giugno. Altra centenaria ad aver ricevuto, in quell’occasione, il premio è stata la F.lli Risetti Srl Officina Meccanica. Ad essere insignite di uno speciale riconoscimento, sono state anche le imprese associate alla Confindustria varesina da 30, 40 e
50 anni.
Le premiate per i 30 anni di associazione: Aertre Srl; Allavelli Michele Srl; Esotica Srl; Euroincis Srl; Fabio Premazzi Eredi Srl; Fior Pietro Srl; Frigosystem Srl; Garbarini Srl; Hiris Srl; L.C.M. Italia spa; Mobert Srl; Pietro Rimoldi & C. Srl; Porro Calcestruzzi Srl; SA.G.E.M. Srl; Saporiti Italia Spa; Sinesplast Srl; Stinaky Srl; Ternate Coating Srl; Tp Reflex Group Spa.
Le premiate per i 40 anni di associazione: Beretta Cerchi Spa; Calzaturificio Star Spa; Ccl Specialty Pouches Srl; Fazzini Srl; Gardner Denver Srl; Macramè Srl; New C Italia Srl; Plas Mec Srl.
Le premiate per i 50 anni di associazione: Adflex Spa; Colmec Spa; Comerio Ercole Spa; Rainbow Srl; Rigo Srl; F.I.A.S. Srl Fonderie Italiane Acciai Speciali R. Caironi.
Arrivano dall’azienda di Gallarate, attiva da 50 anni nella progettazione e produzione di impianti di pesatura industriale, le bilance su cui tutti i viaggiatori in partenza dall’aeroporto della brughiera poggiano i propri bagagli, per i controlli prima dell’imbarco. Non solo SEA. Il parco clienti dell’impresa guidata dal fondatore Carlo Clerici è composto anche da nomi della logistica del calibro, ad esempio, di FedEx, Gls, TNT, Vector e Poste Italiane
Le avrete viste svariate volte prima di prendere un aereo, ci avrete appoggiato sopra il vostro bagaglio in procinto di partire per un viaggio e, talvolta, vi sarà anche capitato di sperare che il peso della vostra valigia, indicato nel display a led rossi, non superasse il limite consentito. Sono le bilance al check–in dell’aeroporto. Anche qui l’industria varesina riesce a farsi largo. Quelle dello scalo di Malpensa sono della Sipi Srl: l’azienda di Gallarate attiva nella progettazione e produzione di impianti di pesatura industriale. Più precisamente, di bilance e contapezzi, sistemi di rilevazione peso–volume di pacchi e pallet, ma anche etichettatrici e impianti di automazione e movimentazione merci per la logistica,
magazzini e fine linea di produzione. Il tutto studiato ad hoc sulla base delle necessità dei clienti. Da bilance molto precise con una risoluzione al centesimo di grammo a quelle dedicate ai camion, in grado di pesare fino a parecchie tonnellate. Senza dimenticare le rulliere e i diverter per spostare fino a 2 colli al secondo e oggetti anche molto grandi. O ancora, i sistemi di rilevazione di peso e volume in modalità dinamica, che tramite una serie di telecamere e lettori laser, permettono di raccogliere tutti i dati relativi a colli e pallet senza la necessità che l’operatore si fermi.
Impianti, questi, con cui l’impresa gallaratese risponde alle richieste di un portafoglio clienti fatto per il 70% da dei riferimenti, a livello internazionale, del settore della logistica e dei trasporti. Ma non solo.
SEA, FedEx, Gls, TNT, Vector, Sda Poste Italiane, ma anche Coop, Nikon, Unieuro, Euronics e Tecnomat. Questi alcuni dei nomi noti che si rivolgono all’impresa che, il 4 luglio, ha spento 50 candeline. Racconta l’inizio della sua storia, il Presidente e fondatore, Carlo Clerici: “Prima di fondare Sipi, ero Responsabile dell’ufficio tecnico dell’Italiana Macchi, azienda varesina leader nella produzione di bilance da banco. La bilancia elettronica è stata una mia idea tanto che per il centenario, l’impresa ha realizzato un libro in cui si parla anche di me. Credevo molto negli impianti dedicati alla manifattura e così, dopo 17 anni come dipendente, nel 1974, ho fondato, insieme a mia moglie Graziella, la Sipi, il cui cavallo di battaglia è, ancora oggi, la bilancia industriale. Prima eravamo in una sede più piccola qui vicino e poi, nell’83, ci siamo spostati nello stabilimento dove siamo ancora oggi, in via Lazzaretto”.
Una realtà imprenditoriale, quella di cui parla il fondatore, che è sempre stata a Gallarate, ma da quell’estate del ‘74 è cresciuta parecchio. “Oggi l’azienda conta su una forza lavoro
di 35 collaboratori capaci di portare la nostra realtà imprenditoriale a realizzare un fatturato che si aggira intorno ai 6 milioni di euro – aggiunge il fondatore Clerici –. Di questi, il 20–25% è frutto di export diretto. Considerando anche quello indiretto, invece, arriviamo ad un 30–35% di fatturato per esportazioni. Spediamo principalmente in Europa, tra Germania, Francia, Spagna e Svizzera, ma i nostri impianti arrivano in tutto il mondo. Siamo andati a installarli anche in Cina, in America, in Turchia, a Cipro, in Ungheria e in Norvegia”.
A confermare questi numeri è Tina Mancuso, una delle prime persone che ha visto crescere l’azienda, da sempre Responsabile dell’Amministrazione: “Tra le commesse delle Pmi e quelle delle grandi aziende, i 5 milioni di euro di fatturato sono sempre assicurati. Anche durante il Covid abbiamo avuto delle richieste di impianti importanti tanto da chiudere il 2020 con queste cifre. Siamo sempre stati su questo trend fino al 2022 in cui l’abbiamo superato di circa il 25%”.
Un ufficio tecnico dedicato al customer layout, uno dedicato a ricerca e sviluppo e l’area di sviluppo software: è da qui che nascono i sistemi della Sipi.
“Vogliamo avere il know–how di ogni applicazione, per cui, tramite i nostri ingegneri, studiamo il progetto in ogni minimo dettaglio, poi realizziamo alcune parti internamente e per altre affidiamo la produzione a ditte esterne – spiega Lorenzo Balliana, Direttore Tecnico –. Una volta creato l’impianto, curiamo l’assemblaggio, l’installazione, l’assistenza e la formazione degli operatori che useranno le nostre linee, in modo che sappiano operare in ogni situazione”.
Ecco perché, come tiene a precisare Carlo Clerici, “non si tratta di macchine in grado di sostituire le persone, ma di sistemi che incrementano la produttività. Tramite le linee di movimentazione di Sipi, l’azienda–cliente ha la capacità di produrre e spedire molto di più,
rendendo l’attività più dinamica e dunque incrementando anche le competenze dei collaboratori”.
Impianti “creati in maniera sartoriale”. È così che li definisce Maurizio Migotto, analista di stemi/avanprogetto: “Le linee di movimentazione possono avere un’estensione di diversi metri di lunghezza, per una capacità di smistamento fino a 6.500 colli all’ora. Ma tutto dipende dalle esigenze delle singole realtà imprenditoriali. Dopo una visita in loco, si parte con la creazione di un layout, poi si crea il progetto con gli ingegneri e, se all’impresa va bene, si procede con la quotazione economica e con la produzione”.
Fondamentale nel processo di realizzazione degli impianti è il controllo nel laboratorio metrologico: “Qui tutti i prodotti elettronici vengono sottoposti a diversi test – aggiunge Andrea Mascheroni, dell’ufficio ricerca e sviluppo –. Da quelli nella camera climatica per testare la capacità dei dispositivi anche a temperature elevate a quelli con i comparatori di massa, fino al controllo della compatibilità elettromagnetica all’interno di una vera e propria camera anecoica. Qui, tramite un’antenna in grado di inviare dei disturbi in continuazione, testiamo la capacità dei dispositivi di funzionare anche fino a 10 voltmetro. Siamo gli unici sul territorio ad avere in azienda un laboratorio metrologico con camera anecoica”.
Francesca Cisotto
Ha appena ottenuto la Ghg Protocol, uno standard riconosciuto a livello internazionale per la rendicontazione delle emissioni di CO2, da un anno all’altro ha ridotto la propria impronta carbonica del –36% ed entro fine 2024 andrà a potenziare l’impianto fotovoltaico così da coprire il 35% del fabbisogno energetico dell’intera azienda. Sono i progetti ambiziosi di Trafileria Carlo Casati. Li racconta Andrea, terza generazione alla guida dell’impresa familiare di Marnate
Settantaquattro anni di storia, uno stabilimento produttivo di 70mila metri quadri, due depositi di stoccaggio, a Torino e a Bologna, una commerciale in Francia e una capacità produttiva di 50mila tonnellate di acciaio all’anno grazie a una forza lavoro di 50 collaboratori. Questi i numeri della Trafileria Carlo Casati, azienda di Marnate, a conduzione familiare, attiva nella produzione di acciaio trafilato a freddo. Circa 60 qualità di acciaio differenti, comuni o speciali, di varie dimensioni, dedicate a diversi settori: dall’automotive alle tornerie e bullonerie fino al mercato delle elettrovalvole ma anche dell’acciaio da costruzione e da cementazione. Quello che fa la Trafileria Carlo Casati non è quindi un prodotto finito, ma un semilavorato che, in base ai comparti
a cui è destinato, viene ulteriormente lavorato con tutti i particolari necessari.
Italia, Francia, Spagna, Germania, Belgio, Olanda: questo il raggio di azione e il territorio quotidiano di esportazione dell’impresa marnatese che, talvolta, arriva anche in Paesi extra Europei come, ad esempio, Perù, Messico e in generale nel Nord America.
“Trafileria Carlo Casati è nata dall’intraprendenza di nonno Carlo, il 4 luglio 1950, in via Matteotti 39, a Rescaldina” tiene a sottolineare Andrea Casati, Hse Manager, terza generazione alla guida dell’azienda insieme alla sorella Alessandra, Cfo, e al papà Alvaro, Amministratore Delegato. All’inizio l’impresa “era un magazzino talmente piccolo che si appoggiava alla pesa pubblica fino a che gli anni ‘60 hanno portato maggiori richieste da parte del mercato tanto da spingere il nonno, alla metà degli anni ‘70, a creare un capannone più grande a Marnate e a trasformare l’impresa in una Spa. Si tratta di tempi che per noi hanno rappresentato la svolta, anni in cui abbiamo iniziato ad affermarci sia in Italia, sia all’estero. Da lì, abbiamo visto un’espansione continua. Oggi l’80% della nostra produzione è destinata ad aziende sul panorama nazionale mentre per il 20% si tratta di acciaio che va all’estero. Nei prossimi anni speriamo di allargare i nostri mercati e ad arrivare ad una quota di esportazioni del 30%”. Il tutto non senza i necessari investimenti “per crescere a livello di mercati, occupando settori e territori internazionali, ma anche in termini qualitativi e di organico in cui abbiamo un forte ricambio generazionale –precisa Andrea Casati –. Facciamo fatica a trovare le persone con le competenze specifiche che ci servono, in quanto non esiste una scuola che prepara i giovani ad entrare nel settore
della trafilatura, ma facciamo tanta formazione interna e trasferiamo ai nuovi tutte le conoscenze necessarie per lavorare con noi. Vogliamo investire sul personale senza il quale, in tutti questi anni, non saremmo andati da nessuna parte, ma anche sui macchinari, sia per garantire alle aziende dei prodotti di una qualità sempre maggiore, sia per andare ancora di più nel dettaglio della sostenibilità”. Un terreno, questo, in cui Trafileria Carlo Casati ha affondato radici parecchi anni fa e su cui continua a investire, tanto che, anche recentemente, ha superato la verifica del calcolo delle emissioni di anidride carbonica dell’organizzazione secondo il Ghg Protocol, uno standard riconosciuto a livello internazionale. “Si tratta della validazione del calcolo delle emissioni di CO2, ottenuta da parte di Bureau Veritas, con il supporto di Servizi Confindustria Varese, verso cui ci ha spinto uno dei nostri maggiori clienti chiedendoci di ridurre il nostro impatto ambientale. È così che abbiamo fatto delle scelte che ci hanno portato a registrare nel 2023 un calo delle emissioni di carbonio del –36% rispetto al 2022 – spiega Andrea Casati –. Il percorso verso la transizione ambientale e digitale, però, lo abbiamo iniziato nel 2012 e poi non ci siamo più fermati. Diverse aziende ci chiedono continuamente di essere allineati sul fronte della sostenibilità, tanto che per noi, ormai, non è più una scelta. L’ottenimento della Ghg Protocol è una spinta per raggiungere altri ambiziosi obiettivi. Già oggi stiamo pensando a delle azioni da realizzare entro il 2026 e il 2030, per poi fare un vero e proprio bilancio di sostenibilità. Inoltre, stiamo lavorando con i nostri fornitori affinché, in un prossimo futuro, venga certificato che i nostri prodotti arrivino da una filiera totalmente green. Quello nell’ambito della sostenibilità
è un impegno che sosteniamo per la crescita della nostra stessa realtà imprenditoriale, ma anche per allinearci o influenzare con delle buone pratiche gli stakeholder e per raggiungere gli obiettivi contenuti nell’Agenda Onu 2030”.
È con questa ambizione e con il supporto di Servizi Confindustria Varese, che l’impresa, come sottolinea Irene Tamborini della società di servizi dell’Associazione datoriale, “è riuscita a raggiungere l’obiettivo richiesto da un loro grosso partner commerciale e a confermarsi tra i loro fornitori. Noi li abbiamo accompagnati nella raccolta dei dati e nel calcolo della loro impronta carbonica, oltre che in fase di audit con l’ente verificatore. Da un anno all’altro, grazie a diverse azioni adottate dall’impresa, le emissioni sono diminuite, ma questo è uno dei tanti passi che Trafileria Carlo Casati ha fatto sulla strada della sostenibilità e che continuerà a fare”. Come aggiunge Paolo Praderio, Direttore Operativo della società Servizi Confindustria Varese, “ormai le aziende sono sempre più attive su questo fronte. Quello che facciamo noi è supportarle, insieme a Confindustria Varese, nel raggiungimento di questi obiettivi impegnativi e sfidanti”.
A confermarlo è Andrea Casati: “Abbiamo in programma diversi investimenti. Entro fine anno, ad esempio, andremo a implementare l’impianto fotovoltaico che già abbiamo, di 400 kilowatt, con un altro di 600 kilowatt, così da coprire il 35% del fabbisogno energetico dell’intera azienda. Nei prossimi anni, invece, faremo ulteriori investimenti per avere un’efficienza energetica maggiore”.
Silvia Giovannini
Un’impresa nell’impresa: il laboratorio di taratura, all’interno della Galdabini Spa di Cardano al Campo, è un centro di eccellenza storico che fornisce alle aziende servizi di misurazione di ogni tipo e per ogni strumento. Forza o durezza, temperatura e pressione, passando per deformazione e resilienza. Moltissimi i campi di applicazione: meccanico, edilizio, automotive, farmaceutico, sanitario, alimentare, plastico e aeronautico. Un know–how da manuale di ingegneria. Letteralmente
Quella del laboratorio di taratura della Galdabini Spa di Cardano al Campo è una sorta di storia nella storia. Nome noto in tutto il mondo, Galdabini produce dal 1890 presse idrauliche, raddrizzatrici di precisione e macchine per la prova sui materiali. Con 3 sedi (in Italia, in Svizzera e in Cina), per la sua stessa longevità, l’azienda unisce la forza delle competenze meccaniche, acquisite in quasi un secolo e mezzo, a tutte quelle opportunità offerte oggi dalla digitalizzazione. Sintetizzato così, il percorso di Galdabini potrebbe sembrare lineare, ma evidentemente si tratta di una strada complessa, costellata di continue nuove idee e progetti. Il laboratorio di taratura ne è l’esempio. “Si tratta di un’impresa nell’impresa”, spiega Martina Giorgetti,
Responsabile della comunicazione. “Un’impresa storica nell’impresa storica per la precisione, dato che, nato nel 1986, il laboratorio fa parte di un’area
test che quest’anno compie 90 anni. Nel 1934, infatti, fu costruita la prima macchina destinata alle attività di controllo e misurazione. Oggi il lab è
una struttura specializzata, collocata in azienda, che ha lo stesso dna Galdabini, ma un’attività indipendente”.
A raccontarlo è il Responsabile del laboratorio, Bruno Ciconte. “Si tratta del nostro fiore all’occhiello anche in quanto centro di taratura per Accredia. In pratica, qui ci occupiamo di tutte le attività di controllo e verifica della strumentazione delle imprese che vogliono ottenere il riconoscimento delle diverse certificazioni di qualità. Accredia è l’Associazione che opera sotto la vigilanza del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che rappresenta l’unico ente di accreditamento in Italia. Il suo compito è quello di attestare competenza, indipendenza e imparzialità degli organismi di certificazione e dei laboratori di prova e taratura. Un sistema complesso, in cui la precisione la fa da sovrana”.
In pratica, come si svolge il lavoro?
In parole povere, e in una battuta, il nostro lavoro – spiega Ciconte – è da nerd della misurazione. Siamo tecnici metrologi. Ci muoviamo tra i campi della meccanica e della fisica, tarando strumenti di tutti i tipi: da quelli che misurano forza o durezza, temperatura e pressione, passando per deformazione e resilienza. L’utente casalingo può immaginarlo nel suo quotidiano: la bilancia che usa tutti i giorni è davvero precisa? Per rispondere scientificamente a questa domanda andrebbe verificato. In campo industriale questo viene fatto periodicamente su infiniti macchinari e strumenti e poi certificato secondo standard e riferimenti nazionali e internazionali.
Quali sono le imprese che si rivolgono a voi?
Il caso della bilancia esemplifica, ma per immaginarlo in ambito industriale bisogna ampliare di molto lo sguardo. La nostra attività si rivolge a strumenti di ogni tipo, dimensione, di tutti i settori e di tutto il mondo. Arriviamo in Finlandia, Messico,
Tunisia e Cina e questo grazie al riconoscimento del brand Galdabini come garanzia internazionale. Ci muoviamo in tutti gli ambiti: meccanico, edilizio, automotive, farmaceutico, sanitario, alimentare, plastico, aeronautico, per esempio. Operiamo in tutte le condizioni: dagli strumenti per i velivoli, al controllo dei termometri nelle celle frigorifere. Grazie alla convalida da parte di Accredia, agevoliamo i nostri clienti ad ottenere certificazioni di qualità come NadCap e ISO. Eseguiamo la taratura nel laboratorio o direttamente nelle aziende clienti. Tutto questo racconta che il nostro è un mestiere sempre diverso ed entusiasmante. Per esempio, collaboriamo con le più note case automobilistiche di lusso, scoprendo mondi affascinanti. Un’ottima occasione anche per i giovani. Certamente serve passione: è necessario essere sempre sul pezzo e precisi. Noi stessi siamo sempre verificati da Accredia, che
annualmente “controlla il controllore” con perizia certosina. Ma se c’è la passione, il nostro diventa un mestiere di grande soddisfazione, in un mercato sempre in movimento e in cui anche la concorrenza è sana.
Di certo il fatto di essere parte della “famiglia Galdabini” aiuta.
Senz’altro. Il nostro nome è universalmente riconosciuto.
Spesso nelle aziende ci capita di dover verificare la taratura di nostre macchine. Anche gli strumenti per le misurazioni li realizziamo noi sulla base di idee di progetto fuori dai classici canoni e, quindi, uniche. Questi strumenti si trovano anche negli Istituti Tecnici e nelle Università dove si studia la taratura. A volte rimaniamo sorpresi, ad esempio, nel trovare in qualche manuale di ingegneria la dicitura “test Galdabini”, come se il nostro fosse lo strumento di misurazione per antonomasia. Un bel motivo di orgoglio.
Sono 20.000 le richieste di prenotazione gestite in tutta Italia e 10.000 i pet sitter disponibili sul territorio nazionale grazie ad un sistema digitalizzato di hospitality, Roofus, ideato da una startup di Angera, Igineo, per i nostri amici a quattro zampe. Una realtà in crescita che sta ampliando il proprio business anche sui fronti dei piani nutrizionali per gli animali domestici e nel supporto grafico ai ricettari
La costruzione di un ecosistema che si basa sulla pet–hospitality per aiutare i padroni di cani o gatti a trovare persone affidabili capaci di prendersi cura dei propri amici a quattro zampe mentre sono al lavoro o in vacanza. La realizzazione di piani nutrizionali pensati su misura del proprio animale domestico, in base ad esigenze alimentari o di salute. Il supporto nella fase di progettazione grafica per tutte quelle realtà che vogliono lanciare una propria linea di ricette. Sono questi i 3 business “pet” che caratterizzano l’attività produttiva della Igineo Srl di Angera. Una realtà varesina nata nel 2020, in piena pandemia, composta da 3 brand: Roofus, Whunde e Formula.
Il primo marchio è dedicato all’ospitalità di tutti gli animali: cani, gatti e cavalli. Il secondo, invece, si riferisce all’aspetto nutrizionale. Infine, il terzo, si basa sul principio della private label (marca privata). In pratica, Igineo realizza il marchio di un’azienda che, in questo modo, può vendere il prodotto con il proprio logo.
Sviluppo di algoritmi di nutrizione personalizzata, web–app per prenotare pet sitter e hardware avanzato per la sicurezza degli animali: sono queste le principali attività di cui si occupa l’impresa di Angera. La startup varesina oggi
opera verticalmente in un panorama variegato. L’approccio a questo mondo, però, è stato graduale. “Siamo partiti dall’idea di realizzare delle cucce automatizzate per tutti quegli animali che, durante il Covid, mentre il padrone faceva la spesa, dovevano restare fuori dal supermercato –racconta Nicolas Montonati, founder di Igineo –. Dopo questo primo approccio ludico ma anche funzionale al comparto pet sono seguite analisi di mercato più dettagliate e sono nate nuove idee imprenditoriali che abbiamo implementato”.
Dopo poco tempo, “ci siamo accorti che si trattava di un business poco sviluppabile – continua il fondatore –. Da qui la volontà di realizzare un processo completamente automatizzato di ospitalità di animali domestici”. Si tratta di un sistema che funziona, per semplificare, come AirBnb (il portale online che mette in contatto persone in cerca di un alloggio o di una camera per brevi
periodi).
Il corrispettivo per gli amici a quattro zampe “made in Varese” si chiama, appunto, Roofus: una piattaforma che mette in collegamento tra di loro i proprietari degli animali domestici con persone che si rendono disponibili ad accudirli in loro assenza. “Abbiamo raggiunto buoni risultati in poco tempo – sottolinea Montonati –. Ad oggi sono 20.000 le richieste di prenotazione gestite in tutta Italia e 10.000 i pet sitter sul territorio nazionale”. La rapida crescita di questo brand ha portato al lancio di una seconda versione del portale: Rofuus.pet. “In questo modo abbiamo potuto estendere il servizio anche al mercato globale. Abbiamo ripensato il sito Internet in quest’ottica, cambiando il dominio, dotandolo dell’opzione multilingua e multivaluta”, precisa Montonati. Un vero e proprio cammino verso una fase di internazionalizzazione quello che ha caratterizzato l’attività
di Igineo. “L’espansione in altri Paesi partirà da Germania e Inghilterra per poi continuare anche nel resto d’Europa – sottolinea il founder della startup di Angera –. Da un lato puntiamo a tenere alta l’offerta per avere un elevato numero di pet sitter. Dall’altro continuiamo ad investire per rimanere competitivi”. Un’attività che contraddistingue la startup varesina sul territorio locale ma anche a livello nazionale. “In Italia – precisa Montonati – ci sono solo un paio di imprese che offrono un servizio così completo e digitalizzato”.
È nel 2022 che Igineo si apre verso nuovi orizzonti e sbarca nel comparto del food, con il brand Whunde. “Inizialmente abbiamo messo in piedi un sistema per cui i pet sitter erano i distributori del cibo – continua Nicolas Montonati –. Successivamente abbiamo sviluppato un e–commerce dedicato”. Un software che, tramite un algoritmo, si sostituisce all’esperto di nutrizione per cani e gatti. Rispondendo ad un questionario, viene elaborato un piano nutrizionale e spedito direttamente a casa. Riuscendo, in questo modo, a dosare correttamente le porzioni del cibo. “Questa fetta di mercato ci ha dato grandi soddisfazioni – sottolinea il founder –. Stiamo crescendo velocemente”. Un business che, recentemente, si sta sviluppando nel terzo marchio di Igineo: Formula. La startup varesina, in pratica, supporta alcune realtà nella creazione di un proprio brand di ricette. “Accompagniamo i nostri clienti in tutte le fasi – specifica Montonati –. Dalla realizzazione del progetto alla grafica del packaging”. L’ambizione per il futuro è quella di proseguire questo cammino prosperoso. “Il nostro obiettivo è di creare un ecosistema di brand verticali dedicati al mondo pet. Dal cibo all’ospitalità, passando per polizze assicurative e viaggi –conclude il founder della startup –. Con l’auspicio di creare collaborazioni e sinergie tra i vari marchi”.
Davide Cionfrini
Accompagnare le imprese (in questo caso meccaniche e siderurgiche) alla scoperta di nuove opportunità che stanno nascendo all’interno di tradizionali e nuove filiere produttive. Come quelle dell’idrogeno, ma non solo. Questo uno degli obiettivi di Confindustria Varese che ha recentemente organizzato, nell’ambito del GEIE, una missione nel Land tedesco della Bassa Sassonia, per approfondire le strategie di transizione ecologica di un colosso dell’acciaieria come Salzgitter AG, in cui gioca un ruolo importante anche il know–how varesino di Tenova
‘‘È
stata un’esperienza molto utile che ci ha permesso di comprendere come si stiano evolvendo i piani di investimento in sostenibilità nel settore delle acciaierie al di fuori dei nostri confini e quali strategie green stanno adottando i big player del settore. E, non ultimo, portiamo a casa anche conoscenze e contatti importanti per l’evoluzione del nostro business”. Roberto Caironi, Titolare della F.I.A.S. Srl Fonderie Italiane Acciai Speciali R. Caironi di Gorla Minore, è uno degli imprenditori che ha preso parte alla missione svolta da Confindustria Varese ad Hannover a fine giugno. Un’iniziativa organizzata nell’ambito della partecipazione dell’Associazione
degli industriali varesini al GEIE, il Gruppo Economico di Interesse Europeo di cui è componente insieme alla rappresentanza datoriale francese MEDEF de l’Est
Parisien e quella tedesca della stessa area di Hannover, l’Institut der Norddeutschen Wirtschaft E.V.
Non si è trattato di un episodio o di un appuntamento isolato. L’idea
di accompagnare le imprese della provincia di Varese alla scoperta delle opportunità e dei progetti di sviluppo del settore delle acciaierie nel Land della Bassa Sassonia si inserisce nelle attività che i Gruppi merceologici delle aziende “Meccaniche” e delle “Siderurgiche, Metallurgiche e Fonderie” di Confindustria Varese stanno portando avanti nell’ambito del Piano Strategico #Varese2050 per la valorizzazione dei cluster e delle filiere e per aumentare le collaborazioni nazionali e internazionali delle imprese varesine. Un obiettivo condiviso su altri versanti e su altri tipi di supply chain anche dagli altri Gruppi merceologici che compongono la compagine associativa confindustriale varesina e coordinati dalla sua Area Centro Studi, Competitività ed Estero. Ci sono da presidiare filiere in rapida composizione. Tradizionali e non. Come quella dell’idrogeno a cui è legata la transizione ecologica di diverse specializzazioni produttive. Non è un caso, dunque, che, cuore della missione ad Hannover, sia stata la visita al Gruppo siderurgico Salzgitter AG. Realtà industriale da quasi 10 miliardi di euro di fatturato, che rappresenta un impianto pilota per la produzione di acciaio green,
attraverso il progetto SALCOS. Obiettivo: realizzare un sistema che permetterà all’azienda tedesca di produrre acciaio virtualmente neutro dal punto di vista climatico, impiegando idrogeno. Protagonista del progetto è anche il know–how varesino, con la partecipazione industriale di Tenova che sta fornendo la tecnologia per la riduzione diretta di ferro (ENERGIRON, sviluppata con Danieli).
L’unità, che Tenova sta costruendo con un consorzio di cui fanno parte anche Danieli e DSD Steel Group, è un DRP (Direct Reduction Plant) dalla capacità produttiva annua di oltre 2 milioni di tonnellate di ferro a riduzione diretta. Lo scopo di SALCOS è quello di raggiungere una produzione di acciaio quasi priva di CO2, che sarà implementata in 3 fasi. Il primo stadio entrerà in funzione già alla fine del 2025 ed è composto dall’impianto di riduzione diretta, un forno elettrico ad arco e un impianto di elettrolisi da 100 MW per la produzione di idrogeno. Entro la fine del 2033, la trasformazione della produzione di acciaio nel sito di Salzgitter sarà completata, molto prima dei requisiti normativi. Ciò fa di Salzgitter AG il primo produttore
di acciaio europeo ad aver preso la decisione di investire e ad aver stipulato tutti i principali contratti per la sua trasformazione, facendone un pioniere dell’industria sostenibile. Un caso studio anche per l’industria varesina e la stessa Confindustria Varese che sullo sviluppo di una hydrogen valley intorno alla zona di Malpensa è impegnata in prima fila tramite la partecipazione, insieme a vari partner europei e italiani, tra cui SEA Milan Airports, Comune di Busto Arsizio e Rina Consulting, a TH2ICINO, il progetto co–finanziato dal Programma Horizon Europe –Clean Hydrogen Partnership della Ue. Obiettivo: promuovere la nascita di un ecosistema integrato per la produzione, lo stoccaggio, il trasporto e il consumo di idrogeno da fonti rinnovabili, al fine di decarbonizzare diversi settori (dalla mobilità all’industria) e facilitare l’adozione dell’idrogeno come combustibile nel territorio.
C’è tutta una filiera e una catena di fornitura da costruire e in cui inserirsi come sistema produttivo varesino. Una partita da giocare a livello continentale. Non è un caso che la missione ad Hannover sia stata anticipata a dicembre 2023 dalla
partecipazione di Confindustria Varese e di sue alcune imprese associate al convegno internazionale “I Corridoi dell’#idrogeno in Europa” svoltosi a Legnica in Polonia. E durante il quale si sono svolti anche dei tavoli b2b sui quali Confindustria Varese ha rappresentato le tecnologie più importanti delle imprese varesine di questa filiera. In particolare, quelle di F2N Green Hydrogen di Varese, Interfluid di Gallarate, Lu–Ve di Uboldo e la stessa Tenova di Castellanza.
Presidiare ogni occasione utile di sviluppo di affari, progetti e conoscenze. Questa la strategia che vuole perseguire la Confindustria varesina anche in quei Paesi partner storici e dai rapporti ben collaudati. Come la Germania, appunto. Andare
in missione nei lander tedeschi è un po’ come fare tappa nel giardino di casa. Già oggi l’export varesino sul mercato tedesco (primo partner commerciale del sistema economico prealpino) vale quasi 1,2 miliardi di euro (dato 2023), ossia il 12% delle vendite all’estero dell’industria del Varesotto. Ma crescere si può ancora, come confida Stefano Carlini, della Viar Spa di Sumirago, altro partecipante alla missione di Hannover: “Molto positivo è stato l’approccio collaborativo delle istituzioni del Land della Bassa Sassonia che abbiamo incontrato e che sponsorizzano molto la collaborazione tra Italia e Germania. Non escludiamo che da questa esperienza possa svilupparsi un
rapporto con l’importante progetto di decarbonizzazione dell’acciaieria Salzgitter AG, possibile nostro futuro supplier”. Così Carlini nel video di commento girato sui social e ripreso dalla Responsabile del Centro Studi di Confindustria Varese, Paola Margnini, che componeva la delegazione dell’Associazione datoriale insieme al Direttore, Silvia Pagani e alla Responsabile dell’Area Estero, Lucia Florenzano. Questa la rappresentanza che, insieme alle imprese, ha avuto un incontro anche con il Segretario di Stato del Land, Doods, con cui si è svolto un confronto su tematiche legate all’incubazione di startup e a politiche di innovazione, in vista della creazione di sinergie e collaborazioni internazionali per il Progetto Mill.
L’Area Estero di Confindustria Varese sta organizzando una missione a Dubai per il mese di novembre (i giorni precisi sono in via di definizione). La trasferta prevede la partecipazione ad un evento e a una serie di incontri b2b pensati per i settori: abbigliamento, gioielleria, arredamento
(interno ed esterno), oggettistica di alto livello. L’obiettivo è quello di dar vita a dei momenti che, con la collaborazione di partner locali, siano in grado di creare dei legami tra il sistema produttivo varesino e gli operatori che progettano e realizzano hotel, edifici privati, ville e giardini per il
ricco mercato degli Emirati Arabi Uniti. Uno spaccato con importanti opportunità per la filiera legata al lusso e al made in Italy.
Per info e aggiornamenti è possibile consultare la sezione “Estero” del sito www.confindustriavarese.it.
Dialogare con le scuole e le Università del territorio, creando un ponte tra il mondo scolastico e quello del lavoro. Formare, in presenza e a distanza, i collaboratori in organico ma anche quelli futuri. Aumentare il livello di engagement dei dipendenti. Queste sono solamente alcune delle motivazioni che spingono sempre più le imprese di Varese ad aprire, all’interno delle proprie mura, delle vere accademie formative. Gli esempi di SEA Milan Airports e Aerosviluppi
Aerosviluppi
La prima academy aziendale della storia fu fondata nel 1927 da General Motors, ma fu a metà degli anni ‘50 con General Electric, altro big dell’industria americana, che prese piede un vero e proprio dipartimento di “Corporate University” incaricato di erogare corsi tecnici di aggiornamento destinati a tutti i dipendenti. Dai primi esperimenti di formazione aziendale ad oggi molto è cambiato.
In provincia di Varese sono diverse le realtà imprenditoriali, di grandi ma anche di piccole dimensioni, ad aver attivato nel corso degli anni percorsi formativi all’interno delle mura aziendali. Attraverso (ma non solo) l’apertura di vere e proprie Academy. Un esempio è SEA Milan Airports Spa, la società che si occupa della gestione degli aeroporti di Malpensa e Linate. “SEA Academy è nata con uno sguardo rivolto soprattutto verso l’esterno. In aeroporto, formazione è sinonimo di certificazione, continua ed obbligatoria. Il nostro centro formativo ha da sempre numeri importanti, basti
pensare che solo nel 2023 abbiamo erogato 83mila ore di formazione ai nostri collaboratori. Perciò piuttosto che per uno sforzo riorganizzativo interno, la nostra corporate Academy, una casa del sapere in cui tutti sono studenti e insegnanti allo stesso tempo, è nata con l’ambizione e la necessità di dialogare con le scuole e le Università del territorio. Quello che ci ha mossi è stato il bisogno di mantenere alto il livello di attrattività del sistema aeroporto”, spiega Massimiliano Crespi, Direttore Human Resources, Health and Safety at Work di SEA. Ha preso, così, avvio SEA Academy, un hub per attività di formazione in presenza, nei 2 Training Center di Linate e Malpensa, ma anche online, attraverso una piattaforma dedicata, un catalogo di corsi disponibile e l’utilizzo di strumenti e contenuti “informali”, come video, webinar, learning pills, workshop e molto altro.
“L’Academy è aperta e frequentata sia dai nostri colleghi sia dagli studenti delle superiori, dagli universitari e dai professori. Il fiore all’occhiello è di sicuro il progetto
‘School within the airport’, che, come racconta il nome stesso dell’iniziativa, è una vera scuola all’interno dell’aeroporto. La prima in Italia”, racconta di nuovo Crespi. Tre classi e un laboratorio con una vista a dir poco insolita, sulle piste di atterraggio e decollo dello scalo di Malpensa. A frequentare questa school all’interno dell’aeroporto sono gli studenti e le studentesse dell’indirizzo aeronautico dell’Istituto Ponti di Gallarate. “Un ponte concreto tra il mondo scolastico e quello del lavoro”, come tiene a precisare Massimiliano Crespi.
E poi ancora, il progetto “Your gateway for your job”, pensato per portare circa 2.000 studenti di 20 istituti varesini in aeroporto, raccontando storie professionali e successi, non solo attraverso visite guidate, ma anche lezioni, roundtable e project work. “Si tratta di una progettualità pensata dalla comunità aeroportuale, che mette insieme per la prima volta alcune aziende leader nei settori della logistica, del retail, del food, cargo ed handling aeroportuale, perché l’attrattività e la retention
dell’aeroporto sono una sfida da raccogliere e vincere insieme”, racconta Anna Barzaghi, Responsabile D&I, People Engagement and Competence Management di SEA.
Impossibile non citare poi le collaborazioni con Università italiane e straniere, come di recente quella americana dell’Oklahoma per gli alunni di un master in aerospace and defense e il sostegno a percorsi post–diploma dell’Its Mobilita Academy di Somma Lombardo specializzato nella filiera dei trasporti e della logistica intermodale, con la prospettiva di nuove collaborazioni con altri Its. Tutte queste iniziative ricadono sotto la regia di SEA Academy. “Questo grande progetto formativo ci ha consentito un livello di engagement delle nostre persone davvero elevato – spiega ancora Anna Barzaghi –. Avvertiamo nei nostri teachers la voglia di condividere il proprio bagaglio di competenze. C’è tanto bisogno e necessità di restituzione, soprattutto tra generazioni diverse. SEA Academy è diventato il luogo in cui trovare soddisfazione nel trasmettere i propri valori. Un elemento di ingaggio decisamente importante, su cui continueremo ad investire”.
Ed è proprio a due passi dall’aeroporto di Malpensa, per la precisione a Lonate Pozzolo, che ha preso il via a inizio 2024 un’altra esperienza formativa, nata da una precisa necessità aziendale. Aerosviluppi Srl, specializzata in cablaggi aeronautici e produzione di simulatori di volo e di missione su specifica dei clienti, in
seguito ad alcune commesse di grandi player che hanno, letteralmente, spostato gli equilibri produttivi, ha deciso di formare in–house le figure che mancavano all’appello. Come spiega il Direttore dell’Area Elettroavionica, Claudio Besozzi: “Il cablaggio può essere paragonato al sistema nervoso di aeroplani ed elicotteri: si tratta di una fitta rete di conduttori che seguono tutta la vita operativa delle macchine volanti. Sotto certi aspetti, la nostra è un’attività prettamente manuale, quasi artigianale, ma sottoposta a standard qualitativi molti rigorosi. I cablatori sono figure altamente qualificate e, secondo la nostra esperienza, ci vogliono dai 9 ai 12 mesi prima che un operatore possa considerarsi autonomo in questo lavoro. Non esistendo sul territorio delle scuole specializzate per la formazione di questi profili abbiamo pensato che l’unica soluzione possibile fosse quella di addestrarli internamente”.
Da qui l’idea di dare avvio ad Aerosviluppi Academy che, finora, ha erogato 3 diversi corsi, finanziati da Regione Lombardia. Ciascun corso, uno tenutosi a gennaio, uno a maggio e uno iniziato proprio nel mese di settembre, è composto da lezioni teoriche svolte direttamente in azienda da tutor esperti che agli insegnamenti di teoria affiancano un addestramento pratico all’utilizzo di strumenti e attrezzature per la preparazione, crimpatura e saldatura di cavi e connettori, ovvero di parti volanti. “La durata complessiva di ciascun corso è di 240 ore: 4 mesi e mezzo di
‘training on the job’, in cui gli aspiranti cablatori hanno l’opportunità di mettere le mani in pasta, come si suol dire, e provare a cimentarsi in quello che, fino a quel momento, hanno solamente studiato – precisa Besozzi –. Si tratta di un impegno 8 ore al giorno, 5 giorni su 7. Alla fine del corso gli allievi che avranno superato un test finale di valutazione proseguiranno la collaborazione in azienda con un periodo di apprendistato, un contratto rinnovabile e, trascorso un anno, verranno assunti a tempo indeterminato”. In altre parole, un grande impegno, sia da parte dell’azienda, sia degli aspiranti collaboratori, per grandi risultati attesi. “È impegnativo insegnare un lavoro da zero. In Aerosviluppi Academy dedichiamo molto tempo alle persone che hanno scelto di seguire i nostri corsi: spesso non sono alla loro prima esperienza o hanno perso un impiego di recente e stanno cercando di riscostruire il proprio futuro lavorativo. Cerchiamo di formarli nel miglior modo possibile, lontano dai tempi frenetici della produzione, accompagnandoli passo per passo. Si tratta di un percorso lungo, a volte in salita, ma che regala moltissime soddisfazioni, prima di tutto a chi riesce a mettere in pratica quello che ha letto solo sui libri, ma anche a noi che abbiamo contribuito con la nostra conoscenza e la nostra esperienza”, racconta Salvatore Caraciura, docente di uno dei corsi per cablatori organizzati da Aerosviluppi.
Anche Confindustria Varese, per tramite della sua società di servizi, mette a disposizione di aziende, manager, impiegati, dipendenti e liberi professionisti proposte formative grazie ad Academy Servizi Confindustria Varese. Una scuola di prossimità territoriale, costruita specificamente attorno alle esigenze e alle aspirazioni delle imprese, che possono finanziare corsi e aggiornamenti tramite i Fondi Interprofessionali Fondimpresa e Fondirigenti, oppure
attraverso altre misure messe a disposizione dagli enti regionali e nazionali.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.servizi. confindustriavarese.it.
Apprendimento attivo, centralità dello studente, insegnamenti esperienziali, “lezioni capovolte” (prima studio e poi spiegazione del prof), cooperative learning: queste sono solo alcune delle dimensioni su cui un ateneo come la LIUC – Università Cattaneo sta investendo per innovare il proprio modello formativo. Un approccio moderno per affrontare le sfide che stanno coinvolgendo il mondo accademico, tra ricambi generazionali di studenti e Intelligenza Artificiale Generativa
L’istituzione del Learning and Teaching Hub (LTH) per individuare, sperimentare e condividere con i docenti metodologie e strumenti innovativi per migliorare il lavoro della didattica. Un hub dedicato ad un apprendimento attivo, basato su modelli nuovi, i cui punti cardine sono la centralità dello studente, del suo processo di apprendimento e della didattica esperienziale. Attraverso tecniche di insegnamento moderne come il debate (dibattito), la flipped classroom (didattica capovolta), il cooperative learning (cooperazione tra studenti) e i casi studio multimediali. Sono queste le principali caratteristiche su cui si fonda l’attività di rinnovamento
della didattica a cui da tempo sta lavorando la LIUC –Università Cattaneo di Castellanza, alle prese, come il resto del mondo accademico italiano, con la sfida di dar vita ad un’offerta formativa moderna e al passo coi tempi in uno scenario in forte trasformazione. Tecnologica e sociale.
“Il mondo del lavoro, oggi, richiede profili poliedrici che sappiano associare conoscenze altamente specialistiche con soft skill e competenze su aspetti abilitanti.
Le Università sono chiamate non solo a formare, ma anche a educare i giovani. Per farlo, devono farsi portavoci di nuovi modelli innovativi di apprendimento e di business”. Così
Aurelio Ravarini, Delegato del Rettore all’Innovazione Didattica della LIUC che, insieme alla collega Alice Canavesi e all’intero team LTH, è autore del volume “Una didattica per l’Università: educazione e innovazione nell’esperienza LIUC”. Un libro che analizza il contesto in cui laureandi e professori operano e mette in evidenza gli
aspetti fondamentali per costruire un’Università al passo con la società moderna.
“La presenza della Generazione Z tra gli studenti e l’utilizzo crescente dell’Intelligenza Artificiale Generativa hanno posto gli atenei italiani di fronte ad un’evoluzione rapida e dinamica – commenta il professor Ravarini –. Da un lato i giovani cercano esperienze nuove e diverse rispetto a un decennio fa. Dall’altro, ai docenti vengono richieste competenze completamente specifiche”. Leadership trasformativa, coordinamento strategico e progettazione didattica accurata sono le caratteristiche su cui i professori devono concentrarsi. “LIUC, da 6 anni, ha iniziato un processo di innovazione della didattica –specifica Ravarini –. Il nostro ateneo, in oltre 30 anni di vita, ha saputo evolvere coerentemente allo sviluppo socioeconomico, alle richieste delle imprese e dei giovani”.
La vicinanza con le aziende è, infatti, una componente fondamentale. “Ci permette di avere testimonianze di professionisti, discussione di casi aziendali, tirocini formativi e placement post–laurea – informa il professore della LIUC
–. I casi pratici presentati durante le lezioni favoriscono il pensiero critico e analitico e sviluppano capacità di problem solving”. Il libro sottolinea l’importanza di spostare la responsabilità del docente dal semplice insegnamento al raggiungimento degli obiettivi formativi, costruendo una relazione di accompagnamento in tutte le fasi del processo di apprendimento e utilizzando metodi e strumenti di insegnamento costantemente aggiornati. “Offriamo la possibilità di seguire le lezioni sia in aula sia da remoto, utilizzando strumenti digitali come Teams, Moodle, Wooclap e Instat Pool e organizzando lavori individuali e collettivi”, specifica ancora il professore dell’ateneo.
Il modello della LIUC è pragmatico e basato su azioni concrete. “Abbiamo introdotto la metodologia del debate per abituare i giovani a comunicare pensieri o proporre soluzioni a problemi complessi – continua Ravarini –. Con la flipped classroom, invece, lo studente ha a disposizione il materiale online e in anteprima, così durante la lezione il contenuto già studiato può essere approfondito o chiarito”. Un’altra metodologia utilizzata è quella dei casi studio multimediali, oltre ai lavori di gruppo,
intesi come una vera cooperazione verso la soluzione di complessità. “Approcci meno tradizionali, che ci permettono di raggiungere un maggior coinvolgimento degli studenti – informa Ravarini –. Con il game–based learning trasformiamo una tradizionale lezione in un momento esperienziale”.
Con questo metodo innovativo, lo studente diventa, a tutti gli effetti, il focus del processo di apprendimento. Attraverso percorsi orientati alla risoluzione dei problemi, alla scoperta e allo sviluppo del pensiero critico. “Stiamo introducendo anche la logica del feedback continuo, sia lato professori, sia lato laureandi –ci tiene a sottolineare il professore della LIUC –. Innovare i metodi di valutazione è un altro aspetto molto importante su cui stiamo lavorando”. I processi valutativi non solo misurano e certificano l’apprendimento, ma orientano gli studenti ad autovalutarsi. “Coinvolgiamo i giovani in un confronto dialettico su vari argomenti – conclude il docente dell’Università di Castellanza –. Con questo approccio, lo studente diventa il fulcro del processo di apprendimento, attraverso percorsi orientati alla risoluzione dei problemi e allo sviluppo del pensiero critico”.
Cambio ai vertici dei due poli universitari della provincia di Varese.
Il testimone passa a due donne, giudice tributario una ed esperta di finanza d’impresa l’altra, accomunate da una grande dedizione fin da giovanissime alla carriera accademica. Ecco l’intervista doppia alle Professoresse Maria Pierro e Anna Gervasoni, che dal 1° novembre prenderanno ufficialmente le redini, rispettivamente, dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese e Como e della LIUC – Università Cattaneo di Castellanza
rofessoressa Pierro, in 26 anni di storia dell’ateneo è il primo rettore donna, cosa si prova? È stata una grande soddisfazione, soprattutto perché il consenso è stato forte e unanime alla prima convocazione elettorale.
Come Direttore di Dipartimento di Economia, che è già una posizione apicale in ateneo, essere eletta anche come rettrice non è una cosa comune, ma, più che per l’essere donna, è importante che mi abbiano votato per le mie competenze. Tutto il consenso ricevuto mi conferma che si stia accorciando il divario tra uomo e
Professoressa Gervasoni, è stata nominata alla guida della stessa Università, la LIUC, su cui ha investito quasi tutta la sua carriera accademica...
Per me che ho avuto il piacere di lavorare in LIUC da quando è nata, si tratta del coronamento di un impegno che continua a darmi entusiasmo e mi consente di tenere traccia della storia dell’ateneo. È una soddisfazione personale, ma spero sia anche un’opportunità per tutti coloro che lavorano e che saranno chiamati a collaborare nella nostra Università. Tutte le nomine sono sempre molto emozionanti, si tratta di momenti che bisogna vivere e godersi, dopodiché c’è da mettersi al lavoro.
In una recente intervista ha affermato che lavorerà per un ateneo inclusivo: quali sono i valori su cui si concentrerà?
Punterò sulla massima trasparenza e sulla condivisione delle scelte, a tutti i livelli. Saranno ben accetti suggerimenti da parte di ognuno. Ogni segnalazione può essere un’opportunità di miglioramento. Un’altra cosa che farò è porre attenzione alle esigenze di tutti, perché siamo persone prima di essere professionisti. L’ho fatto all’interno del Dipartimento di Economia e, non a caso, è un ambiente molto sereno ed efficiente.
È di ruolo all’Insubria dal 2002, praticamente ha visto crescere questa Università e viceversa...
Vengo da Pavia, ma sono cresciuta in questo ateneo, a cui sono molto legata. Devo dire che le persone che ho incontrato lungo il mio percorso hanno sempre creduto molto nelle mie capacità, a partire dal professor Alberto Sdralevich. L’approccio che mi ha sempre orientato è quello del rispetto verso le istituzioni e della gerarchia accademica ed è proprio in questo riguardo verso i ruoli che credo si possano raggiungere grandi obiettivi. All’epoca, l’Insubria era una piccola Università che poi ha via via registrato una crescita fino ad affermarsi come una realtà importante a livello nazionale.
Ora che progetti ci sono sul tavolo?
Abbiamo in programma diversi interventi, ma il primo e indispensabile sarà quello che faremo sulle nostre strutture edilizie. Poi vogliamo rafforzare i rapporti con gli enti e le associazioni locali, tra cui anche Confindustria Varese. Si tratta di asset per noi prioritari. Questo perché il ruolo del rettore è anche quello di fare da mediatore, non solo con la comunità accademica, ma anche con la collettività esterna, a livello locale, regionale e nazionale. Inoltre, ci piacerebbe puntare su corsi di frontiera come l’Intelligenza Artificiale. Un ambito trasversale a tutte le discipline, su cui credo si possa creare un corso di laurea in grado di unire varie competenze provenienti dall’ateneo e su cui possiamo essere un punto di riferimento per tutto il territorio.
Come è iniziata la sua carriera accademica? Cosa direbbe ad un giovane che volesse intraprenderla? Mi sono laureata in Giurisprudenza, poi mi hanno proposto di fare il dottorato, in un primo momento l’ho rifiutato poi ci ho ripensato, l’ho fatto e subito dopo mi hanno proposto di insegnare all’Insubria. Sono un giudice tributario, ma ho fatto poca professione perché mi sono dedicata tanto all’ateneo. Ai giovani che volessero intraprendere questa carriera direi di non desistere di fronte ai fallimenti. È da qui che nascono grandi opportunità. Se non ci fossero stati nella mia vita, non avrei mai progredito. Ci vuole determinazione oltre che la fortuna di avere una famiglia che ti assecondi.
La LIUC vanta un posizionamento di tutto rispetto nel panorama accademico nazionale. Quali sono le priorità che metterà sul tavolo?
Sarà un lavoro di continuità rispetto a quello che ha svolto finora il rettore Federico Visconti. L’anno scorso sono stata nominata prorettrice, quindi già da tempo stiamo lavorando insieme su cantieri importanti. Le sfide da affrontare oggi sono l’attrazione di matricole anche dall’estero e l’innovazione. Nella classifica Censis delle Università, tra le piccole, per internazionalizzazione, siamo già primi, ma possiamo fare di più. Vogliamo andare oltre lo scambio tra Paesi. E poi dobbiamo essere sempre più innovativi, promuovere la ricerca e fruire dello stretto rapporto che abbiamo con gli imprenditori grazie al legame con Confindustria Varese e al progetto Mill, che ci vede co–protagonisti.
A proposito di Mill, che apporto darà all’ateneo e al territorio?
È un progetto ambizioso che guarda ai prossimi 30 anni e da costruire insieme. L’auspicio è che aiuti il sistema imprenditoriale a dialogare con l’Università in termini di trasferimento di conoscenze e di vitalità. È un’opportunità per fare rete non solo a livello locale. Abbiamo la fortuna di avere nei dintorni delle aziende attive a livello globale. Anche la LIUC, nel suo piccolo, è internazionale, dunque speriamo di non limitare gli impatti ad un raggio di pochi chilometri. Sarebbe riduttivo rispetto allo sforzo che stiamo mettendo in campo.
Facciamo un passo indietro. Ha iniziato la carriera in LIUC nel ‘91, l’Università era appena nata. Com’è cambiata?
È ovviamente cresciuta. Soprattutto negli ultimi anni abbiamo lavorato su temi di ricerca anche molto innovativi, cercando di avere un posizionamento magari di nicchia, ma sempre di alto valore. Anche la nostra Business School è cresciuta tanto. Si tratta di un modello che nasce dal dialogo con le imprese che compongono il dna della LIUC che, lo ricordiamo, è nata proprio per volontà degli imprenditori. Il mondo universitario è cambiato, così come quello manifatturiero. È qui che cerchiamo di essere sempre un passo avanti per fare da guida in tutte quelle sfide che si trova ad affrontare il mondo imprenditoriale.
Cos’ha significato farsi largo nel settore della finanza d’impresa? Cosa direbbe ad un giovane che deve scegliere quale carriera intraprendere?
Ho scelto di lavorare in un settore prettamente maschile, vero, ma mi piaceva e non mi sono fatta troppe domande. Ho cercato di impegnarmi tanto ed evidentemente questo ha dato dei risultati. Le difficoltà ci sono sempre, ma bisogna guardare oltre. Ai giovani dico: abbiate coraggio, scegliete un lavoro che vi piace e non arrendetevi mai.
Chiara Mazzetti
Reti wireless di sensori per il monitoraggio dei parametri fisiologici degli astronauti. Una tuta di simulazione per missioni spaziali. Pannelli solari e sistemi di distribuzione della potenza per oltre 60 tra sonde e satelliti. Queste sono solamente alcune delle tecnologie lombarde (e in parte anche varesine) che contribuiscono a mandare in orbita l’essere umano: i progetti dell’Università di Pavia, dell’impresa tessile caronnese Eurojersey e di Leonardo
Il primo volo umano nello
Spazio mai portato a termine nella storia risale al 12 aprile 1961. Quel giorno, il pilota sovietico Jurij Gagarin, ribattezzato il “Cristoforo Colombo dei cieli”, decollò a bordo della navicella spaziale Vostok 1, con indosso una sottotuta blu, calda e leggera, una tuta protettiva arancione dotata di un sistema di pressurizzazione, ventilazione e alimentazione. In testa un paio di cuffie ed un casco bianco. Da quella prima storica esplorazione spaziale, molti altri cosmonauti sono andati oltre la frontiera dell’atmosfera terrestre, con tecnologie sempre più sofisticate. Molte delle quali in fase di studio proprio in Lombardia, come, ad esempio, le reti wireless di sensori per il monitoraggio di parametri fisiologici degli astronauti dell’Università di Pavia. Si tratta di sensori capaci di acquisire diverse tipologie di segnali corporei, come ad esempio impulsi elettrici generati dal battito cardiaco.
“Il dispositivo raccoglie il dato che poi viene trasmesso in remoto e
analizzato. In questo modo è possibile un monitoraggio continuo e costante del soggetto – spiega la Ricercatrice del Dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’Informazione dell’Università di Pavia, Anna Vizziello –. Nell’ottica di una futura vita nello Spazio e per la salute degli astronauti che già ora fanno viaggi spaziali, sono molti i parametri da tenere sotto controllo affinché ci sia la certezza che non si stiano subendo problematiche fisiche di alcun tipo. Il problema più comune, già noto e ampiamente studiato, è legato alla microgravità che può tradursi in problemi di osteoporosi. Ecco le reti di sensori wireless a cui stiamo lavorando sono in grado di monitorare lo stato di salute di persone sia sulla Terra sia nello Spazio”. Non si tratta di fantascienza e neppure di tecnologie futuribili, ma di oggetti attualmente esistenti e in funzione. “Come polo universitario pavese ci stiamo occupando della realizzazione delle trasmissioni necessarie al funzionamento dei sensori, adattati specificatamente all’utilizzo spaziale
e che hanno richiesto impostazioni e configurazioni differenti rispetto ai canali wireless cittadini che utilizziamo comunemente ogni giorno”, precisa Vizziello. Ambiente spazio e ambiente terrestre, infatti, pur condividendo molti strumenti, sono diversi tra loro e c’è perciò necessità di adeguare le strumentazioni destinate a supportare la vita spaziale.
“Nel realizzare le trasmissioni per questi sensori abbiamo incontrato principalmente due problematiche: una relativa all’acquisizione dei segnali e una riguardo la loro trasmissione –continua la Ricercatrice –. A seconda di come sono impiantate o indossate le reti, infatti, le trasmissioni sono diverse. Esistono due tipologie di sensori: da una parte ci sono quelli impiantati, che in futuro potranno diventare nano robot che viaggiano all’interno dei vasi sanguigni per il rilascio controllato di farmaci o che potranno essere utili al monitoraggio e dall’altra ci sono i sensori indossabili, braccialetti con elettrodi che semplicemente si appoggiano sulla pelle”.
La principale differenza tra impianto e non? Il mezzo di comunicazione: per gli impiantati è il corpo umano stesso, mentre per gli indossabili è l’aria. Ma come funziona questa tecnologia capace di trasmettere le rilevazioni di cambiamenti e mutazioni nello stato di salute degli astronauti in orbita?
“I sensori indossabili sono tecnologie a radiofrequenza a basso consumo energetico, come quelle utilizzate nei cellulari. Quelli, invece, che vengono inseriti all’interno del corpo devono rispondere a requisiti più stringenti per motivi di sicurezza, sono a bassissima frequenza ad accoppiamento galvanico o capacitivo e generano deboli campi elettromagnetici o correnti impercettibili per il soggetto, che siamo in grado di modulare per trasportare da un dispositivo ad un altro le informazioni raccolte: un vantaggio sia per la persona sia per i dispositivi stessi”, racconta Anna Vizziello.
Ad avere un animo lombardo, e in parte varesino, è anche la prima tuta spaziale di simulazione analoga interamente progettata e ingegnerizzata in Italia, realizzata per la missione Space Medicine Operations (SMOPS), promossa e organizzata da Mars Planet, sezione italiana di Mars Society, con il patrocinio dell’Agenzia Spaziale Italiana. RadiciGroup, gruppo multinazionale con sede in provincia di Bergamo, attivo nei mercati della chimica, della plastica e delle fibre sintetiche, ha guidato un team di aziende della filiera tessile italiana, tra cui Eurojersey di Caronno Pertusella, insieme a Vagotex e Defra, che hanno fornito i materiali per la realizzazione del vestiario dei 6 astronauti analoghi che parteciperanno alla missione focalizzata sulla medicina dello spazio, sul monitoraggio della salute dei futuri cosmonauti e sullo sviluppo di tecnologie di supporto alla simulazione della vita in ambiente spaziale e planetario. Sono definiti anolghi, infatti, quegli astronauti (e analoghe le loro tute) che partecipano sulla Terra a simulazioni di future missioni nello Spazio.
“Partecipando a SMOPS, RadiciGroup e le altre aziende tessili che abbiamo coinvolto nel progetto hanno potuto avvicinarsi ad un settore di frontiera come quello aerospaziale, rafforzando e ampliando il proprio know–how e sperimentando soluzioni innovative che potranno poi avere applicazioni in ambito business, ad esempio nel settore biomedico o dove siano richiesti elevati standard di sicurezza”, commenta Filippo Servalli di Radici InNova, la società di Ricerca
e Innovazione di RadiciGroup. Il contributo alla missione fornito dalla squadra guidata da RadiciGroup, consiste nella realizzazione di 3 capi tecnici, caratterizzati da elevati standard in termini di benessere, comfort e performance, che permetteranno agli astronauti analoghi di muoversi agevolmente e in sicurezza all’esterno della stazione base, grazie a sistemi avanzati di controllo, monitoraggio e comunicazione. In particolare, i tessuti indemagliabili Sensitive® Fabrics di Eurojersey in nylon sono serviti alla creazione di un completo intimo, composto da maglietta a maniche lunghe e pantaloncino. La maglietta è provvista di circuiti elettrici e sensori che permettono di rilevare i parametri vitali e geo–spaziali degli astronauti: i sensori possono essere rimossi in modo che l’indumento sia completamente lavabile, senza che si corra il rischio di danneggiare i circuiti interni.
Si tratta di una flight suit comoda e confortevole, adatta all’utilizzo durante attività da svolgere in un ambiente che simula quello di Marte. Il capo, alleggerito da qualsiasi sovrastruttura, risponde sia ad esigenze estetiche sia di performance: è realizzato, infatti, con una cucitura double face che consente di ridurre al massimo gli spessori e aumentare di oltre il 30% mobilità e leggerezza. La tuta è, inoltre, dotata di tasche per dispositivi di “wearable technology” (tecnologia indossabile) pensate per ottimizzare spazi e volumi, garantisce la massima comodità, grazie all’elasticità e alla traspirabilità dei materiali usati (in particolare il nylon), è impermeabile alla polvere, protegge dai raggi UV e ha una buona resistenza termica grazie all’aria contenuta nei tessuti, che, circolando all’interno di una struttura 3D alveolare, garantisce anche la termoregolazione corporea. Dalla manifattura di satelliti e infrastrutture orbitanti, alla produzione di componenti e sensori hi–tech e alla gestione di servizi satellitari, fino ai sistemi di propulsione e di lancio. Quando si parla di soluzioni e servizi dell’industria
spaziale, è impossibile non citare Leonardo, gruppo industriale tra le principali realtà mondiali nell’aerospazio, difesa e sicurezza, le cui tecnologie sono presenti nelle più importanti missioni spaziali internazionali per l’osservazione della Terra, la navigazione e l’esplorazione. Capacità, frutto di oltre 60 anni di esperienza, consolidate anche attraverso la partnership strategica tra Leonardo e Thales con le joint venture Telespazio e Thales Alenia Space e alla partecipazione industriale in Avio.
Proprio quest’anno Leonardo ha istituito, al suo interno, la nuova Divisione Spazio che, facendo leva sulle capacità esistenti di servizi e manifattura e sulle sinergie con le altre divisioni del gruppo, punta a rivestire un ruolo da protagonista nella crescita delle attività spaziali globali.
In Italia, Leonardo e le sue partecipate occupano circa il 70% del totale degli addetti del settore spaziale, tra centri di eccellenza in Lombardia,
Piemonte, Toscana, Lazio, Abruzzo, Basilicata e Sicilia. Alle porte di Milano, a Nerviano, è presente uno degli stabilimenti di Leonardo in cui nascono tecnologie per lo Spazio. “Qui progettiamo e realizziamo diverse componenti ad alta tecnologia come, ad esempio, il braccio robotico per il programma Mars Sample Return della Nasa in collaborazione con l’Esa (Agenzia spaziale europea, ndr), che riporterà sulla Terra campioni di suolo marziano; il più accurato orologio atomico mai realizzato per applicazioni spaziali, a bordo di tutti i satelliti del
programma satellitare di navigazione Galileo; i pannelli solari e i sistemi di distribuzione della potenza per oltre 60 tra sonde e satelliti – spiega Carola Mondellini, responsabile programmi spazio di Nerviano, Leonardo –. Oltre a queste eccellenze, stiamo già lavorando a progetti per il futuro, come bracci robotici per supportare operazioni di servizi in orbita per tutelare la sostenibilità dello spazio, ma anche orologi atomici ancora più performanti e accurati per i sistemi di navigazione di prossima generazione”.
Ad avere un animo varesino è anche la prima tuta spaziale di simulazione per “astronauti analoghi” interamente progettata e ingegnerizzata in Italia, realizzata per la missione Space Medicine Operations (SMOPS), promossa e organizzata da Mars Planet, con il patrocinio dell’Agenzia Spaziale Italiana
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Continua il viaggio di Varesefocus alla scoperta delle lavorazioni a cui dà vita l’industria manifatturiera del Varesotto. Protagonista degli scatti e delle descrizioni dei processi di questa puntata è il Caseificio Norden di Osmate, sulle sponde del Lago di Monate, nato nel 1968 per stagionare e commerciare forme tipo grana ed arrivato oggi, con la quarta generazione in azienda, a lavorare formaggi molli.
Tra questi: tome, crescenze, robiole, primo sale e, nel periodo natalizio, il mascarpone. Ma non solo...
Tutto inizia con il menalatte, l’autista del camion del latte, che dopo averlo prelevato direttamente dalle stalle oppure dai fornitori, lo consegna al caseificio tra le 2.00 e le 7.00 del mattino. Questo latte viene, quindi, analizzato per poi passare alla fase di pastorizzazione: all’interno di un pastorizzatore continuo, il latte, passando attraverso un pacco di piastre, viene portato dalla temperatura di arrivo, che si aggira intorno ai 4 gradi, a 72 gradi praticamente all’istante. In seguito, viene raffreddato e posizionato nelle caldaie, che possono essere da 1.000 o 1.500 litri. Quindi, si aggiungono i fermenti liofilizzati che necessitano di una fase di riattivazione e, a seguire, il caglio in quantità variabili, da 3 ml per ogni 100 litri fino a 20 ml, a seconda del tipo di formaggio che si vuole realizzare. Lo step successivo è il taglio della cagliata, effettuato tra i 40 minuti e le 24 ore dall’aggiunta del caglio: una volta raggiunta la giusta consistenza, la cagliata viene trasferita
negli stampi che, a loro volta, vengono rivoltati per favorire la fuoriuscita del siero, un liquido giallo-verde ben riconoscibile rispetto al bianco del latte. Il tutto serve a conferire un aspetto più uniforme al formaggio.
Segue la stufatura: le forme vengono mantenute alla temperatura minima
di 20 gradi, in modo tale che i fermenti possano lavorare, trasformando il lattosio in acido lattico e acidificando il formaggio. Questa acidificazione permette alle forme di asciugarsi e di spurgare il siero in eccesso. Terminata questa fase, che dura circa una giornata, il formaggio viene salato in salamoia, per impastamento oppure tramite salatura del latte stesso. Dopodiché viene messo sulle ceste ad asciugare, per poi passare nella cella di stagionatura dove rimane come minimo 40 giorni, fino a diversi mesi. Una volta pronto, il formaggio, prima di essere venduto, viene pesato, etichettato ed infine spedito. È questo il procedimento che porta alla nascita dei prodotti del Caseificio Norden, attivo dal 1968 a Osmate, sulle sponde del Lago di Monate. “Noi facciamo del formaggio che è diverso in ogni stagione perché l’alimentazione delle mucche varia: si sente che è differente. È difficile trovare due forme esattamente
uguali, anche perché viene fatto tutto a mano”. A parlare è Cesare Ribolzi, titolare dell’impresa fondata dal papà Raimondo, inizialmente per la stagionatura e il commercio di formaggi tipo grana. Arrivata alla quarta generazione, Norden attualmente produce e commercializza a proprio marchio solamente formaggi molli, sia freschi sia stagionati. Ovvero tome, crescenze, robiole, il primo sale e, nel periodo natalizio, anche il mascarpone. Con il siero che avanza dalla lavorazione del formaggio, viene prodotta la ricotta. Dalle paste filate, invece, nascono mozzarelle, trecce, burrate, stracciatelle, caciocavallo e provolone. “Le tome, che realizziamo in diverse varianti e pezzature, vanno dai 2 ai 5 kg e possono essere naturali oppure aromatizzate in diversi modi, ad esempio, con aglio, miele
Cesare Ribolzi: “Noi facciamo del formaggio che è diverso in ogni stagione perché l’alimentazione delle mucche varia: si sente che è differente. È difficile trovare due forme esattamente uguali, anche perché viene fatto tutto a mano”
di castagno, funghi porcini, cipolle, pepe”, spiega di nuovo Ribolzi che all’arte casearia si è appassionato fin da piccolo. “Mi è sempre piaciuto scendere in produzione – confessa – e respirare quell’odore inconfondibile e particolare che c’è nell’aria quando si fa il formaggio. Così, una volta diventato ‘grande’ ho voluto provarci anch’io”. E la strada è stata quella del tecnologo alimentare, con laurea in Scienze della Preparazione Alimentare a cui, come succede nella maggior parte dei casi, è seguita una lunga fase di messa in pratica sul campo delle nozioni apprese sui libri. “In un caseificio è fondamentale la presenza del casaro, ovvero quella figura che si occupa della lavorazione del latte. Ma ci sono anche altre professionalità da non sottovalutare, come ad esempio l’addetto alla vendita al pubblico, un mestiere che richiede profonda conoscenza dei prodotti insieme ad una spiccata attitudine a trattare con le persone. In Norden siamo
appena in 4: io, insieme a mia moglie e alle mie due figlie e le capacità di ognuno trovano spazio e possibilità di crescita. Io, ad esempio, non saprei nemmeno da che parte iniziare se dovessi occuparmi di un e-commerce, mentre le mie ragazze sono sicuramente più sul pezzo quando si tratta di tecnologia”, precisa di nuovo Cesare Ribolzi. Avendo come base di partenza latte raccolto localmente da una latteria sociale storica, prodotto espressamente per fare il formaggio, il Caseificio di Osmate ha mantenuto, nel tempo, una produzione limitata, quasi artigianale. “I nostri prodotti nascono dai pascoli delle Prealpi del Varesotto, nella regione dei laghi e delle montagne: noi, con tradizione e tanta cura, li seguiamo personalmente, passo dopo passo, nell’intera filiera all’interno del caseificio. Il nostro obiettivo è portare avanti la produzione di formaggi locali, valorizzando i prodotti del territorio ed essere una piccola azienda che necessita di limitati quantitativi di materie prime, va esattamente in questa direzione”, spiega il titolare della Norden.
Una passione e una tradizione di famiglia, quella del Caseificio varesino, tramandata nel tempo di padre in figlio, grazie a tanto impegno e molti sacrifici: “Parlando del percorso di Norden, non posso non menzionare mia madre Lisetta. Dopo la morte precoce di mio padre, lei, con 5 figli a cui badare, è riuscita da sola a portare avanti l’azienda: senza la sua forza incredibile, non sarei qui oggi a raccontare questa storia”, chiosa commosso Cesare Ribolzi.
Davide Cionfrini
Foto di Carlo Meazza
Per tre giorni, a ottobre, Varese diverrà la capitale del confronto multidisciplinare sui vari tipi di disabilità. Un grande evento che richiamerà all’Università dell’Insubria dall’Italia, dall’estero e dal territorio centinaia di relatori, diviso in decine di appuntamenti e aperto a chiunque. Non solo operatori sanitari, ragazzi e famiglie che vivono ogni giorno in prima persona le tematiche dell’inclusione. Le porte dei vari simposi saranno spalancate a ogni persona che si stia domandando come andare oltre qualsiasi tipo di limite, come migliorare la qualità della vita delle nostre comunità, come dare pari opportunità di realizzazione a ogni cittadino
Più di 80 relatori. Decine di convegni, tavole rotonde, simposi. Tre giorni intensi di dibattito a tutto tondo che andrà dalla formazione scientifica, agli approfondimenti medici, passando da interventi su filosofia, storia moderna, cinema, televisione, musica e sport. Da mercoledì 23 a venerdì 25 ottobre Varese sarà la capitale del confronto multidisciplinare su ogni tipo di disabilità. È in questi giorni che nelle location dell’Università dell’Insubria, di Villa Toeplitz e dell’Aula Magna “Granero Porati” si terrà il sesto convegno nazionale “Il mio orizzonte – Il valore dell’orientamento nelle dis-abilità cognitivo relazionali”. Un evento promosso dal Centro Internazionale “Gianfranco Brebbia” in collaborazione con l’Università degli Studi dell’Insubria, Ats Insubria, Ufficio Scolastico per la Lombardia, Confindustria Varese e con il contributo di Regione Lombardia e Fondazione Comunitaria del Varesotto. Tra i patrocinatori anche il Senato della Repubblica,
la Commissione Europea, la Federazione Italiana Sport Paralimpici degli Intellettivi Relazionali.
Vera anima di tutta la manifestazione è, sin dalla prima edizione, Giovanna Brebbia, medico-chirurgo, mamma di Sofia, ragazza down 30enne. “Quello che vogliamo mettere in scena anche questa volta – racconta Giovanna
Brebbia – non è solo un momento di formazione per le professioni sanitarie. Per gli operatori che parteciperanno ci saranno, come sempre, i crediti formativi, la parte medica avrà un ruolo di sicuro rilievo. Ma in realtà l’intero convegno è pensato per la partecipazione di tutti: genitori, ragazzi, cittadini. Vogliamo affrontare ogni aspetto della disabilità”.
L’obiettivo del dibattito è molto chiaro nella mente della sua principale organizzatrice: “Vogliamo capire tutti insieme, con un approccio multidisciplinare, come andare oltre qualsiasi tipo di limite, come garantire a chiunque una buona qualità della vita, come offrire a tutti opportunità di realizzazione”. Secondo Brebbia “serve una bussola. E serve a tutti. Non solo ai ragazzi disabili e alle loro famiglie”. Sono le nostre comunità ad averne bisogno. Per questo l’invito a partecipare al convegno è aperto: “Le persone con disabilità, oltre a richiamare le nostre comunità ad un maggior impegno (pensiamo, per esempio, ai progetti e alla didattica nelle scuole), possono essere abilitatrici e portatrici di modelli organizzativi di cui possono avvantaggiarsi tutti? Un ragazzo che ha in classe un compagno disabile che, sulla carta e solo in teoria, ha meno possibilità e opportunità, a quali momenti di riflessione personale può aprirsi? Ecco queste sono alcune delle domande che abbiamo posto ai vari relatori e a cui daremo risposta”. In maniera multidisciplinare, appunto. Scienziati, medici, sociologi, psicologi, rappresentanti delle istituzioni, imprenditori, giornalisti. Il panel dei relatori è ampissimo. Il superlativo, in questo caso, è d’obbligo. “Vogliamo capire – continua Brebbia – quando e come la storia riesce ad andare oltre la normalità. Vogliamo analizzare, anche grazie alla testimonianza delle imprese, di Confindustria Varese e del suo stesso magazine, Varesefocus, quali siano i percorsi e i casi di successo di inserimento al lavoro. Vogliamo parlare della musica come momento di formazione per gli operatori che poi faranno lezioni di musicoterapia ai nostri ragazzi. Vogliamo porre al centro il tema dell’arte e della bellezza come elemento di valore per la vita e la mente umana. Vogliamo spiegare come lo sport rappresenti un momento fondamentale per imparare l’autonomia all’ennesima potenza”. Per parlare di questi argomenti i relatori verranno da tutta Italia e non solo: “Sarà un convegno nazionale, ma con molto del nostro territorio”, chiosa Giovanna Brebbia.
Ci sarà tanto dell’esperienza della provincia di Varese, dunque. Anche da un punto di vista medico-scientifico, come sottolinea Salvatore Gioia, Direttore Generale di Ats Insubria che da parte sua “fornirà un quadro complessivo delle progettualità attive sul territorio con alcuni approfondimenti in merito alle azioni di miglioramento per incrementare le reti territoriali, lavorando sempre di più e meglio per e con i cittadini. Il recente ‘Decreto Progetto di Vita’, con una visione innovativa, mette al centro bisogni e aspettative delle persone disabili, coinvolgendo Associazioni e terzo settore in modo integrato: Ats sarà parte attiva del cambio di paradigma anche nell’ambito del progetto ‘Dopo di noi’ per il consolidamento della rete interdisciplinare che si occupa delle persone nella loro unicità e anche del sistema dei servizi che supporta, fin oltre l’autonomia, le persone disabili”.
Le aspettative di Gioia per questo grande evento sono molto chiare: “Continueremo a incoraggiare le connessioni anche relazionali tra famiglie e istituzioni, tra pubblico e privato, tra tutti i soggetti che a diverso titolo gravitano nel macrocosmo delle disabilità. Negli ultimi 30 anni della mia vita lavorativa mi sono speso per tante piccole e grandi azioni a supporto della disabilità e continuerò a farlo con il medesimo coinvolgimento. Ciò anche grazie all’impegno della dottoressa Brebbia che ha pazientemente costruito questa tre giorni dedicata a promuovere soluzioni innovative e sostenibili per i disabili e le loro famiglie”.
La partecipazione ai vari appuntamenti del convegno è gratuita previa iscrizione (fino all’esaurimento dei posti disponibili) tramite email a eventi@ gianfrancobrebbia.it. Su www.varesefocus.it è disponibile il programma completo e aggiornato.
In occasione del Convegno “Il mio orizzonte”, il Centro Internazionale “Gianfranco Brebbia”, in collaborazione con Regione Lombardia, organizzerà anche una mostra fotografica dal titolo “La persona down. Progettiamo un futuro adulto”. Dal 9 al 18 ottobre nello Spazio Mostre del Palazzo di Regione Lombardia di Milano (Piazza Città Lombardia 1, ingresso N3) verranno esposti gli scatti in bianco e nero del fotografo varesino Carlo Meazza. Le sue fotografie (alcune delle quali accompagnano questo articolo) documentano momenti di vita quotidiana di ragazze e ragazzi con sindrome di down, testimonianza nel pieno rispetto dell’integrazione e della bellezza dello stare insieme in un mondo aperto a tutti.
Nasce a Cazzago Brabbia il Lake Museum, un museo diffuso creato con l’ambizione di ripercorre e valorizzare la cultura ittica del territorio attraverso un percorso allestito all’interno del paese tra barche restaurate, antiche ghiacciaie e persino un acquario, al cui interno si potranno presto osservare tutte le specie di pesci che popolano il Lago di Varese
C’è chi lo frequenta tutti i giorni, chi la domenica pomeriggio in ciclabile, chi ama sorvolarlo con il deltaplano oppure chi lo vive a stretto contatto con la canoa. Il Lago di Varese è meta per tanti varesini, e non solo, che vogliono rilassarsi, ammirando scenari sempre diversi lungo il percorso della pista ciclopedonale, dall’alto o sull’acqua. Quello varesino è un lago dalla storia affascinante, dalla costituzione di origine glaciale, con un gioiello incastonato timidamente nello specchio d’acqua, l’Isolino Virginia. Oltre ad offrire momenti di svago e di relax, il lago è anche “luogo di lavoro” per diverse persone. Da oltre un secolo, infatti, il Lago di Varese è la sede principale della Cooperativa dei pescatori, ora composta da 3 soli componenti. Nata nel 1922 con l’acquisto del diritto esclusivo di pesca, prima posseduto unicamente dalla nobiltà di allora, permetteva ai pescatori di praticare il proprio lavoro, previo pagamento annuo di una sorta di quota di partecipazione. Questa società di pescatori era dislocata sui 3 paesi cardine della pesca sul lago: Calcinate del Pesce, dove risiedeva la prima sede societaria, Bodio Lomnago e Cazzago Brabbia, che aveva la funzione di stoccaggio del pesce, grazie alla presenza di 3 ghiacciaie. È proprio il paese di Cazzago ad aver raccolto questa eredità, decidendo di ridare importanza al lago e alla professione della pesca, attraverso una serie di iniziative.
“È partito tutto dalla ristrutturazione delle ghiacciaie – racconta Davide Bossi, neosindaco del comune di Cazzago –, che purtroppo versavano in uno stato di quasi totale abbandono. Ma anche grazie all’azione di promozione della cultura lacustre portata avanti da diversi scrittori del luogo, è venuto a galla il vero valore storico di questi edifici. Da lì ha avuto avvio l’opera di restauro, che ha fatto da apripista alla creazione di un museo diffuso all’interno di Cazzago, il Lake Museum, dedicato appunto al lago e, nello specifico, alla pesca”. Partendo da questa ristrutturazione, con la volontà di valorizzare il patrimonio storico e culturale del paese, hanno preso il via ulteriori ipotesi progettuali, come ad esempio la ristrutturazione della storica barca utilizzata dai pescatori per la pesca collettiva: il rierùn. La pesca tramite questo speciale tipo di imbarcazione aveva come base il lavoro di squadra dei pescatori. Utilizzando due realoni
(nome originale dell’imbarcazione), oltre 20 pescatori si riunivano e calavano al largo del lago delle grosse reti, chiamate anch’esse rierùn, che arrivavano fino a 160 metri di larghezza, permettendo così “la pesca grossa”. Questo tipo di attività era una delle poche in cui il pescatore non lavorava singolarmente, ma si ritrovava a dover collaborare con altri colleghi. Rimasto per anni in uno stato di quasi abbandono, il rierùn è stato recuperato, ed ora chiunque lo può ammirare in tutto il suo antico splendore. Grazie al lavoro di sapienti volontari è stato restaurato e collocato nelle vicinanze della Casa dei Pescatori, attuale sede della Cooperativa della pesca sulle sponde cazzaghesi del lago. “All’interno della casa che fa da sede della Cooperativa – continua Davide Bossi – è presente una vasca con acqua sorgiva per la conservazione del pesce e uno speciale forno per la tintura delle reti. All’epoca, ogni pescatore aveva la sua tecnica per efficientare meglio il lavoro. Alcuni segreti si tramandavano di padre in figlio, come il luogo migliore in cui calare le reti o l’orario più adatto in cui farlo. I pescatori conoscono bene il proprio lago e non potevamo assolutamente permetterci che questo patrimonio culturale andasse perduto. Attraverso diverse attività, anche di comunicazione con cartelli informativi posti lungo la riva, abbiamo iniziato a dare vita al Lake Museum”.
Ultima opera acquisita del museo diffuso è l’antico lavatoio storico del paese. Posto anch’esso nelle vicinanze della Casa dei Pescatori, è rimasto in disuso per molti anni. Sfruttando delle sovvenzioni regionali, è stato riqualificato, trasformandone anche l’originale funzione: non più luogo per il lavaggio collettivo degli abiti da parte delle massaie, ma spazio informativo e di scoperta delle specie ittiche del lago varesino. Restaurando l’edificio, all’interno delle antiche vasche usate per il lavaggio, sono stati collocati due grossi acquari al cui interno vivono 6 specie di pesce tipiche del Varesotto come alborelle, lucci, siluri, tinche, gobbini e persici. Mostrato in anteprima in occasione delle celebrazioni del 2 giugno, il nuovo acquario vedrà la sua apertura ufficiale nell’autunno del 2024. “La nostra ambizione – conclude Federico Piatti, Consigliere e Capogruppo di maggioranza del comune di Cazzago Brabbia – è quella di creare un percorso sfruttando i diversi luoghi storici presenti sulla nostra sponda del lago, per comprendere al meglio questo patrimonio storico che è la pesca. Oltre ad informare i visitatori, puntiamo anche ad ispirarli, dando nuova vita a questa antica tradizione. La pesca, oltre ad essere un’attività economica, è una vera e propria filosofia di vita che insegna, per l’appunto, a vivere in armonia con la natura”.
Alberto Bortoluzzi
Foto di Alberto Bortoluzzi
Monsignor Luigi Panighetti, terminato il suo mandato di Prevosto a Varese, tira le somme dei 9 anni trascorsi nella Città Giardino. Soffermandosi, in particolar modo, sui lavori di restauro portati avanti nel tempo, alcuni conclusi altri ancora da terminare, nella centralissima chiesa varesina il cui campanile, il Bernascone, ha subito un’opera di riammodernamento più che significativa
Si è concluso da poco il mandato di Monsignor Luigi Panighetti, Prevosto di Varese. Il 10 settembre è avvenuto l’avvicendamento con don Gabriele Gioia, Rettore del Collegio Arcivescovile Volta di Lecco. Nove anni vissuti tra difficoltà e progetti portati a termine che Mons. Panighetti racconta a Varesefocus.
Monsignor Panighetti, quando è arrivato a Varese?
Nel 2015, dopo aver trascorso due anni come Rettore del biennio teologico prima a Seveso, poi a Venegono, dove il Cardinal Angelo Scola aveva deciso di spostarlo.
Quindi Varese la conosceva già. Assolutamente no, era una città che mi era totalmente sconosciuta e anche l’incarico che mi è stato affidato, era totalmente nuovo. L’esperienza di questi anni è stata molto gratificante, ho avuto anche modo di conoscere tante persone interessanti, ma nello stesso tempo, è stata anche un’esperienza molto impegnativa sotto tanti punti di vista. Il mio
compito, infatti, non è stato solo quello di gestire la Basilica di San Vittore Martire a Varese, ma anche quello di occuparmi di altre 3 parrocchie: San Vittore di Casbeno, Sant’Antonio di Padova della Brunella e San Michele Arcangelo di Busto Arsizio e con esse anche delle loro chiese sussidiarie, come ad esempio per Casbeno la chiesa della Schirannetta e la cappella di San Rocco.
Quali sono state le problematiche che si è trovato ad affrontare? Durante 9 nove anni, le difficoltà maggiori sono state di due tipi: le prime di
carattere pastorale. Non sempre è stato facile fare capire alle differenti comunità, l’importanza dei momenti condivisi, forse perchè ciascuna parrocchia aveva la sua storia e proveniva da realtà diverse. A queste si sono aggiunte le difficoltà legate alla loro gestione e al loro mantenimento, tra questi i diversi lavori di restauro che sono stati effettuati in questi anni nelle varie parrocchie.
Ci può parlare dei lavori di restauro che ha seguito negli anni?
Chi mi ha preceduto, aveva già messo mano alla chiesa di S. Antonio Abate e al Battistero.
Con il mio arrivo, a parte piccoli lavori minori in altre chiese, il grosso si è concentrato sulla Basilica di San Vittore Martire, precisamente con il restauro del campanile del Bernascone. All’inizio non sapevamo a cosa saremmo andati incontro e temevamo ci fossero dei danni anche di carattere strutturale; per fortuna indagini più approfondite hanno fugato questo dubbio.
Come vi siete accorti che il campanile necessitava di interventi di restauro urgenti?
A seguito del distacco di alcuni decori nella parte alta del campanile. A quel punto, sono state contattate delle imprese specializzate, tra cui la Gasparoli di Gallarate, che tra il 2018 e il 2019 hanno studiato dei progetti di intervento. Una volta deciso come operare, si è provveduto alle varie autorizzazioni da parte della Sovraintendenza e tra il 2020 e il 2022 sono stati eseguiti i lavori di restauro, inizialmente del campanile, a cui successivamente sono seguiti il rifacimento del tetto della Basilica, il restauro della lanterna dell’ottagono e quello del campaniletto della sacrestia e del Battistero.
Come siete riusciti a finanziare questi lavori?
Ricorrendo al Bando degli emblematici Maggiori di Fondazione Cariplo per l’80% e co-finanziati da Regione Lombardia, che proprio in quel periodo aveva destinato dei fondi alla provincia di Varese. Il restante 20% è stato finanziato con risorse interne.
A questo punto cosa mancherebbe per riuscire a completare l’intera opera di restauro?
Diciamo che tutti i lavori di carattere strutturale sono conclusi, ora mancano quelli estetici, partendo dalla facciata neoclassica della Basilica, progettata dall’architetto Leopoldo Pollack. I progetti ci sono e anche le autorizzati dalla Sovraintendenza sono già arrivate. Rimane il problema più grande: il reperimento dei fondi.
È già stata stimata l’entità della cifra necessaria per ultimare i lavori?
Si parla di 800.000 euro, di cui 630.000 per i lavori stessi e 170.000 di competenze professionali. Per rendere l’operazione più semplice, e riuscire almeno a partire con i restauri, si è pensato di dividere il lavoro per lotti. In assenza di bandi finalizzati allo scopo, sono state interpellate diverse figure e realtà dell’imprenditoria del territorio, per ora senza grandi risultati. Vorremmo, quindi, sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza che ricopre il completamento di quest’opera. È importante capire che il restauro dei beni culturali, siano essi religiosi o meno, rappresenta la tutela della nostra storia. Dato che i lavori sono stati suddivisi in lotti, la creazione di un pool privato di sostenitori sarebbe importantissimo in questo momento.
In occasione del restauro del campanile del Bernascone, è stato realizzato un prezioso volume di 208 pagine, edito da Pubblinova Edizione Negri, con scatti di Carlo Meazza e testi di Alberto Bianchi, Mario Chiodetti, Diego Dalla Gasperina, Pietro Gervasini, Robertino Ghiringhelli, Roberto Nessi, Franco Pallanza e Giorgio Vassalli. A trasparire, dalle pagine del libro intitolato “Il campanile. Pietre, uomini e storie: viaggio nel restauro del Bernascone”, è il racconto delle caratteristiche architettoniche, della storia e degli aneddoti del famoso campanile che “osserva e si confronta a 360 gradi con il paesaggio varesino”, come si legge sulla quarta di copertina. Il volume, per chi fosse interessato, è disponibile in libreria.
Storia antica, scenari bucolici, palazzi nobiliari, tanta natura e persino lo Spazio. Il piccolo borgo varesino dalle molte sfaccettature, che tanto ricorda i paesaggi toscani, rappresenta la meta ideale per una gita in ogni periodo dell’anno. Tra architettura religiosa, scorci mozzafiato sul Lago di Varese e leggende del passato
Quanti luoghi può contenere una località? Passeggiando per Azzate si direbbe infiniti: dall’operosa e moderna cittadina lombarda a borgo antico, da un angolo bucolico di Toscana a un romantico lido sul lago. Il viaggio travalica atmosfere e suggestioni e si sposta anche sui livelli del tempo: palazzi moderni e antichissimi convivono in un’armonia e un fascino che rendono questa città sempre una buona idea per una gita in giornata. Adagiato su un colle che domina il Lago di Varese, Azzate regala ai visitatori panorami tra i più belli sulle Prealpi e persino sulla maestosa catena alpina, con il Monte Rosa a fare da sfondo. Non tutti sanno che le sue origini risalgono all’epoca romana e che custodisce un centro storico ricco di testimonianze artistiche e architettoniche che raccontano secoli di storia.
Una passeggiata in centro
Uno dei punti più conosciuti di Azzate è senza
La sede del Municipio di Azzate
dubbio piazza Ghiringhelli, nota anche come “Piazza del Belvedere”. Da questo punto panoramico privilegiato, si può godere di una vista spettacolare sul lago e sulle montagne circostanti, immergendosi nella bellezza del paesaggio lombardo. Ma si può intraprendere anche, lasciata l’auto, una bella passeggiata
prima nel centro storico e poi via, verso Vegonno o, sull’altro lato, verso il lago. Proseguendo la camminata, si giunge in Piazza Cairoli, un vero e proprio scrigno di tesori architettonici. Qui spiccano la Cà Mera, l’oratorio di Sant’Anna e l’imponente Villa BossiLampugnani, edifici che testimoniano il ricco passato del borgo. Tra i gioielli di Azzate risalta Villa Bossi-Tettoni-Benizzi-Castellani, attuale sede del Municipio. Costruita nel 1495 sulle fondamenta dell’antica caseforte dei Bossi, la villa vanta al suo interno pregevoli affreschi attribuiti alla scuola del Magatti, offrendo uno spaccato dell’arte locale del periodo.
Via Volta è un altro itinerario imperdibile per gli amanti dell’architettura e della storia. Lungo questa strada, si susseguono antiche dimore di grande pregio, tra cui la chiesa di Sant’Antonio del 1354, Villa Cornelia, Villa Bossi-Alemagna e Villa Bossi-Riva-Cottalorda, ciascuna con il suo fascino particolare. Di fondamentale importanza nel tessuto urbano è la chiesa della Natività di Maria Vergine. Le sue antichissime origini, che la vedono
già autonoma nel 1224, e il suo campanile, che richiama quello della Basilica di San Vittore a Varese, ne fanno un punto di riferimento sia spirituale sia artistico per la comunità.
Per gli appassionati di architettura religiosa, Azzate offre anche il Santuario della Madonnina del Lago e la Chiesa di San Giorgio a Vegonno, ulteriori testimonianze della ricca tradizione spirituale del territorio e piccoli luoghi del cuore per chi si trova a passeggiare e percorrere la bella ciclopedonale del Lago di Varese. Il centro storico di Azzate, con le sue ville signorili, le corti e le cascine, invita ad una scoperta lenta e attenta. Passeggiando tra le vie lastricate, cariche di storia, sembra di vivere nell’atmosfera di un tempo, ma con le comodità di oggi, dato che la città è ricca di locali, negozi e iniziative. Questo borgo, che nel Medioevo faceva parte del feudo di Varese prima di passare sotto il dominio della nobile famiglia Bossi, conserva intatto il fascino di secoli di storia.
Azzate si rivela essere uno scrigno nascosto di architettura e bellezze naturali, come emerge dall’intervista al Vicesindaco Giacomo Tamborini, che ha parlato dell’impegno dell’attuale amministrazione comunale per rendere più accessibili questi tesori ai cittadini e ai visitatori. In particolare, il Municipio è stato recentemente aperto per visite guidate dedicate alle scuole e all’Università della Terza Età. L’obiettivo è di organizzare eventi speciali con cadenza periodica per permettere al pubblico di ammirare gli interni del palazzo finemente decorati, inclusi i soffitti a cassettoni e le sale affrescate. Sebbene molte delle ville storiche
siano di proprietà privata e vengano utilizzate principalmente per eventi come matrimoni e convegni, l’amministrazione sta lavorando per trovare soluzioni per renderle più accessibili a tutti, riconoscendone il loro valore come patrimonio culturale condiviso.
L’Astrovia della Valbossa, un viaggio tra i pianeti Lungo la ciclopedonale del Lago di Varese, tra i comuni di Azzate e Galliate Lombardo, si snoda un percorso unico nel suo genere. Si tratta di una sorta di ponte tra la Terra e lo Spazio, che incuriosisce sia gli appassionati al tema sia gli spiriti più curiosi: l’Astrovia della Valbossa. Questa installazione accompagna i visitatori in un affascinante viaggio attraverso il sistema solare tramite piccoli pannelli. L’Astrovia si sviluppa per circa 3 km, un tragitto percorribile in circa un’ora a passo tranquillo. Lungo il percorso, alcune stazioni fisse riproducono in scala 1:2.000.000.000 le distanze dei pianeti del Sistema Solare. Questo “sentiero nel sentiero” fa compagnia alle migliaia di persone che passeggiano, corrono o vanno in bicicletta lungo la pista ciclopedonale del lago.
I grandi classici e non
Tra i luoghi più amati di Azzate spicca senza dubbio in primo piano la località Vegonno. Uno spaccato agreste tra filari di cipressi, boschi e campagna che proietta subito in suggestioni toscane. Un luogo dove tornare e ritornare: per ammirare le fioriture in primavera, i toni caldi di tarda estate a settembre, il foliage autunnale e il rigore invernale o dei giorni di pioggia che non rendono meno affascinante questo microcosmo bucolico a due passi dalla strada principale che porta a Varese. Ma c’è un altro piccolo paradiso da contemplare, come suggerisce il Vicesindaco ed è la Darsena. A prendersene cura, un’Associazione locale che ha fatto un lavoro splendido, come sottolinea Tamborini. Un piccolo pontile ben curato offre uno dei punti di vista più panoramici e scenografici sul Lago di Varese e non solo, abbracciando le Prealpi fino a lambire i profili delle Alpi. “Azzate è un paese con una grande storia, come insediamento esisteva ancora prima di Varese e ha molti punti di interesse. Ha sempre fatto da epicentro della sua zona, la Valbossa ed è anche un centro commerciale diffuso”, commenta Antonio Triveri, Consigliere con delega al Turismo. “Tra i punti di interesse da vedere, vantiamo il Belvedere che regala uno dei panorami più belli della provincia, che spazia dal Monte Rosa al Campo dei Fiori e sul Lago di Varese”. Non tutti sanno, svela Triveri, che c’era anche un castello ad Azzate: “Un antico insediamento, in quella che oggi si chiama via Castello, nella parte alta, di cui restano solo alcuni piccoli spicchi di finestre ogivali e oggi non esiste più nella sua interezza”.
Una leggenda racconta che in un inverno particolarmente gelido, un cavaliere attraversò inconsapevolmente il Lago di Varese, da Gavirate ad Azzate, credendo di percorrere un campo innevato. Solo all’arrivo, grazie alle parole di un contadino locale, comprese il rischio corso camminando sulla superficie ghiacciata del lago. Grato per lo scampato pericolo, il misterioso nobile commissionò la costruzione di una cappella votiva nel punto esatto dove aveva raggiunto la riva. Il contadino mantenne fede alla promessa e così, ancora oggi, circondata dalla natura lussureggiante della sponda di Azzate, si erge il modesto santuario conosciuto come la Madonnina del Lago. Attualmente, il santuario è meta di una festività tradizionale che si svolge la seconda domenica di ottobre. Dalla piccola chiesa, seguendo un sentiero retrostante, è possibile raggiungere le rive del Lago di Varese. In alternativa, imboccando la pista ciclabile sulla sinistra del santuario, si può arrivare alla Darsena di Azzate.
La Ciclopedonale dell’Alto Ticino, un percorso affascinante adatto a tutti i ciclisti, parte da Sesto Calende per arrivare fino a Pavia, con un totale di circa 98 km quasi interamente asfaltati e pianeggianti. Tra le tappe da non perdere, le Dighe del Panperduto, la Centrale di Vizzola Ticino, Tornavento e Nosate, in provincia di Milano. Una gita adatta al clima mite del mese di settembre
Nelle settimane settembrine il sole è diventato più dolce. Le giornate sono molto più corte, ambasciatrici del prossimo cambio di stagione che sta per arrivare. Ma il clima sembra essere perfetto per godersi ancora un po’ qualche gita in bicicletta. Caldo, ma non troppo. Magari scegliendo un percorso rilassante che alterna tuffi nel verde a centri abitati, tornati vivi dopo l’assolato isolamento estivo. Questo è il momento dell’anno perfetto per scoprire la Ciclabile dell’Alto Ticino, un percorso lungo nel suo totale circa 98 km quasi interamente asfaltato e pianeggiante, che permette di pedalare immersi nella natura seguendo il corso del fiume Ticino da Sesto Calende, in provincia di Varese, fino a Pavia. Questo tragitto è perfetto per essere percorso a tappe, più o meno lunghe, con tutta la famiglia durante una gita domenicale, senza troppi bagagli o borse pesanti al seguito e senza nemmeno bisogno di polpacci “d’acciaio”. È una gita particolarmente bella da fare pedalando perché, senza fare troppa fatica, si possono ammirare diversi luoghi, regalandosi un’esperienza d’insieme più leggera, ma allo stesso tempo ricca di punti di interesse. L’itinerario, adatto a tutti i tipi di bici, si snoda per la maggior parte su piste ciclabili protette o strade secondarie a basso traffico all’interno del Parco
Lombardo della Valle del Ticino. Il percorso è ben segnalato con cartelli “Pista Ciclopedonale dell’Alto Ticino” e i segnavia E1 del sentiero europeo. Da dove si parte? Da Sesto Calende, naturalmente, dove tutto (anche il fiume) ha inizio.
La prima tappa della Ciclabile Alto Ticino parte dalla strada alzaia di Sesto Calende e raggiunge le scenografiche Dighe del Panperduto dopo 12 km di pedalata immersi nella natura. Si parte già con un percorso di grande impatto visivo e si arriva subito in un’area affascinante senza stancarsi troppo. La pista lambisce il Fiume Azzurro percorrendo la Strada Alzaia tra volatili che vivono il fiume, alberi e anse suggestive, pescatori, joggers, fotografi e famiglie a passeggio. L’atmosfera è bucolica, il fiume in questo tratto sembra uno specchio che riflette la vegetazione circostante. Si costeggia (ma si trova in alto) la frazione di Coarezza di Somma Lombardo e, se si vuole, è possibile fare una piccola deviazione per vedere le piazzette ben curate e magari fermarsi anche a pranzo o a bere qualcosa in uno dei due locali del posto. Imboccata di nuovo la ciclabile, si costeggia il Ticino e, superata la centrale idroelettrica di Porto della Torre, in breve si raggiungono le monumentali Dighe del Panperduto, vero gioiello di idraulica industriale inaugurato nel 1884. Qui l’acqua è protagonista assoluta: parte del Ticino, viene deviata a formare due importanti canali, il Villoresi per l’irrigazione e l’Industriale per produrre energia elettrica. Il complesso, offre diversi servizi ai visitatori: bar con terrazza panoramica, nei fine settimana, ostello, museo (verificare i giorni e i periodi di apertura) e la possibilità di visite guidate per apprezzare appieno questo straordinario patrimonio storico e ambientale, snodo cruciale del sistema idrico lombardo. Dalla Diga del Panperduto si può scegliere se proseguire lungo il Canale Industriale verso Vizzola Ticino e Tornavento oppure fare ritorno a Sesto Calende, completando un affascinante anello di 24 km tra le meraviglie del Parco del Ticino.
Ciclopedonale a Vizzola Ticino
Verso Vizzola e Tornavento
Se si sceglie di proseguire, la strada, sempre quasi totalmente pianeggiante, offre un panorama tutt’altro che piatto. Il percorso è dedicato interamente alle biciclette e ai pedoni e permette di potersi guardare attorno con tranquillità. Lasciandosi alle spalle le maestose Dighe del Panperduto, la strada prosegue per 15 km lungo il Canale Industriale, un’opera idraulica realizzata agli inizi del ‘900 per produrre energia elettrica sfruttando le acque del Ticino. Un percorso affascinante tra natura e archeologia industriale, che conduce i ciclisti alla scoperta di un passato non troppo remoto di questa zona, tra antichi mulini e centrali idroelettriche.
La prima tappa è la Centrale di Vizzola Ticino, inaugurata nel 1900 e tuttora in funzione. L’edificio in mattoni rossi, con le sue ampie vetrate liberty, sorge imponente sulle rive del canale, circondato dal verde: il complesso venne inaugurato oltre un secolo fa, nell’ottobre 1901, alla presenza dei Reali d’Italia. L’aspetto di oggi però risale al 1937, quando vennero aggiunte le caratteristiche arcate in cemento armato.
Pedalando lungo l’alzaia asfaltata del Canale Industriale, costeggiata da alberi e edifici antichi, dopo 7 km si raggiunge Tornavento. Anche qui è possibile fare una piccola salita per trovarsi al centro del Parco Ex Dogana e al museo a cielo aperto di Via Gaggio oppure fare una sosta panoramica dal caratteristico belvedere della località. Se si prosegue, ci si può imbattere nella centrale idroelettrica locale, costruita nel 1943, un bell’esempio di architettura razionalista. Qui avviene un curioso scambio: il Canale Industriale cede gran parte delle sue acque al Naviglio Grande, che riprende così a scorrere dopo il “vuoto” del tratto a monte, detto Naviglio Vecchio. Il Canale Industriale si dirama quindi in 3 rami: il primo alimenta il Naviglio Grande verso Milano, il secondo aziona la piccola centrale “Tre Salti”, mentre il terzo dà origine al Canale di Regresso che si ricongiunge al Ticino. Questo intricato sistema di canali artificiali, che si intersecano e si scambiano le acque, è il frutto di secoli di ingegneria idraulica destinata all’irrigazione e alla produzione di energia. Oggi costituisce un affascinante itinerario cicloturistico tra i comuni di Somma Lombardo, Vizzola Ticino e Turbigo, alla scoperta di un patrimonio storico e ambientale unico. Centrali elettriche, rogge, alzaie ombreggiate e scorci sul fiume compongono un percorso ricco di fascino, adatto a tutti.
Lasciandosi alle spalle le centrali idroelettriche di Vizzola Ticino e Tornavento, la ciclabile “sconfina” in una nuova provincia e da quella di Varese si entra in quella di Milano. Qui il tragitto prosegue verso Sud costeggiando il Canale Industriale fino a raggiungere Nosate, per un totale di circa 8 km. Un percorso quasi interamente su ciclabile asfaltata nel verde. La pista attraversa un ambiente agricolo punteggiato da cascine, in un paesaggio ancora segnato dalle opere idrauliche. Dopo alcuni chilometri si incontra il ponte di ferro di Nosate, caratteristico esempio di ponte ad arco in ferro risalente al 1883. Realizzato dalla Società Nazionale delle Officine di Savigliano, richiama il più noto Ponte di Paderno sull’Adda. Giunti ormai in prossimità di Nosate, una breve salita porta al termine di questo tratto di ciclabile in corrispondenza della chiesa di Santa Maria in Binda. Questo antico oratorio campestre conserva interessanti affreschi del XIII-XIV secolo. Da Nosate è possibile proseguire verso Sud lungo l’alzaia del Naviglio Grande, canale irriguo e navigabile che si stacca dal Ticino. In alternativa, si può fare ritorno a Tornavento e Vizzola Ticino, completando un piacevole anello di circa 16 km totali tra storia, ingegneria idraulica e natura del Parco del Ticino.
Luisa Negri
Al Museo MIDeC di Cerro è visitabile una mostra, omaggio a uno dei più importanti esponenti della ceramica industriale italiana. La rassegna in corso propone di accostarsi innanzitutto alla sala permanente, dedicata da anni ai tanti e preziosi lavori ideati dall’artista originario di Trieste, per poi proseguire in un breve itinerario a Laveno Mombello per ammirare a Villa Frua il pannello ceramico presentato a Roma nel 1938 e restaurato nel 2020
Ail suo maestro, il noto architetto Piero
l MIDeC, Museo Internazionale di Design Ceramico di Cerro di Laveno Mombello, è in corso una mostra dedicata a Guido Andloviz (19001971). Nato a Trieste, poi trasferitosi a Grado e Firenze, studente tra il capoluogo toscano e quello milanese, fu, ancor giovane, designer ceramista e promettente architetto. Dal 1923 al ‘61 ricoprì l’incarico di Direttore Artistico della Sci, Società Ceramica Italiana. A presentarlo, convinto delle capacità dell’ottimo allievo, era stato il suo maestro, il noto architetto Piero Portaluppi, richiesto dal Presidente Scotti di segnalargli un artista in grado di rinnovare la produzione della Sci in chiave moderna. La rassegna riporta, dunque, agli anni famosi del periodo d’oro vissuto da Laveno Mombello e dal territorio circostante. Quando l’attività ceramica era al centro della produzione locale e dell’economia della bella cittadina lacustre. La sirena suonava e un intero mondo si svegliava e lavorava dentro allo stabilimento e attorno all’alta ciminiera ben in vista nel golfo sopra il lago. Più volte è stata raccontata la storia della ceramica lavenese, fiorente un
di segnalargli un artista in grado di rinnovare la
tempo e conosciuta anche all’estero per la sua copiosa e raffinata produzione. E per quegli intrecci e scambi tra artigianato, industria e arte che, se ben avviati, vanno sempre aldilà dei confini domestici, portando buoni frutti e felici incontri.
copiosa e raffinata produzione. E per quegli e arte che, se ben avviati, vanno
portando buoni frutti e felici forti delle loro esperienze alla
Laveno la società ceramica
La tradizione ceramica locale ebbe il suo battesimo nel 1856, quando i signori Caspani, Carnelli e Rivelli, forti delle loro esperienze alla Ceramica Richard di Milano San Cristoforo, fondarono a Laveno la società ceramica CCR. La sede scelta era quella della ex vetreria Franzosini. E sorsero lì i primi capannoni della Lago, che nel 1883 divenne Sci, società per azioni nata sulla base di accordi con il Credito Lombardo e altri
azionisti minori.
Molto fu scritto in proposito in un’ampia ricerca di
Molto fu scritto in proposito in un’ampia ricerca di Giuseppe Musumeci e Luciano Paoli, sostenuta dal Comune di Laveno e dall’artista Albino Reggiori, pittore e ceramista noto per le sue belle cattedrali, che proprio nella fabbrica lavenese lavorò e si formò accanto ai grandi nomi di artisti e dirigenti che lì circolavano e operavano. E che dal Museo di Cerro fu poi chiamato per anni in qualità di Direttore. Ma, per ricordare tale storia, è importante rievocare soprattutto i nomi dei maestri che la fecero grande. E il nome di Guido Andloviz, accomunato a quello di Antonia Campi (1921-2019), allieva di Francesco Messina, a sua volta artista di primo piano ed esploratrice di nuove strade, che gli succederà nel ‘62 alla Sci, è nel novero dei più noti esponenti. Rivaleggiando con quello
dell’altro grande architetto e ceramista Gio Ponti (1891-1979) che lavorava, invece, come Direttore Artistico per le ceramiche della Richard Ginori. Quest’ultima si fonderà poi con la Sci nel ‘65, come dimostra il patrimonio artistico presente al MIDeC e qui confluito dopo la fusione.
La mostra in corso, curata da Anty Pansera e Giacinta Cavagna di Gualdagna, propone di accostarsi innanzitutto alla sala permanente, dedicata da anni ai tanti e preziosi lavori ideati da Andloviz che restituisce al visitatore il valore del suo grande, raffinato talento. Ma ci racconta anche la prima applicazione del concetto di “Serie variabile”. Cioè, la possibilità di fornire per la stessa forma diverse decorazioni, sia per quanto riguardava la produzione dei piatti sia per gli “Articoli fantasia”.
“Abbiamo questa volta voluto accendere i riflettori – sottolineano le curatrici della mostra – su alcuni aspetti della sua progettualità che si ritengono significativi: una rilettura delle sue presenze alle Triennali di Milano, anche come curatore e il suo contributo al mondo dei sanitari (dai depositi del MIDeC)”.
Per tornare dunque alla mostra, un’intera sala permanente gli è stata dedicata da anni nell’antico Palazzo Perabò. Già residenza della nobile famiglia Guilizzoni, poi Perabò e quindi casa di riposo, è dal 1970 luogo espositivo di rara bellezza. Un tempo Civica raccolta della Terraglia, poi MIDeC, è museo e insieme istituzione con chiara funzione culturale: a testimonianza di un legame ben preciso con il territorio.
Nella sala dedicata al nostro, lasciata come era, sono state portate foto d’epoca, proprio quelle delle Triennali, che mostrano gli oggetti presenti
Non solo “articoli fantasia”. Sanitari innovativi e tradimenti con il furniture design Fino al 6 ottobre 2024
MIDeC, Lungolago Perabò 5, Cerro di Laveno Mombello.
A cura di Anty Pansera e Giacinta Cavagna, affiancamento alla ricerca Giorgia Cerati. Mercoledì e giovedì dalle 10.00 alle 13.00 Venerdì, sabato e domenica dalle10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00. Lunedì e martedì chiuso.
esposti a suo tempo: come il famoso vaso Monza 75. Due versioni del quale sono in mostra a Cerro, in due diversi colori. O la preziosa scatola Monza 27. Si scoprono oggetti raffinati, spesso pezzi unici, provenienti da collezioni private, che raccontano momenti diversi, caratterizzati da stili che vanno dalla rivisitazione del ‘700 lombardo alla raffinatezza inglese, piuttosto che a quella orientale o alla secessione Viennese e al nostro deco, dove Andloviz non fu meno efficace di altri ceramisti colleghi. Si distinse anzi per invenzione, gusto e abilità tecnica senza pari.
Senza sottovalutare le capacità del dirigente, che mirabilmente si affiancavano a quelle dell’artista e che gli suggerivano, accanto a lavori di elitario esito, anche produzioni magari meno raffinate, ma cercate per dare risposta alle richieste di una produzione industriale di buona qualità. Si parla qui di “tradimenti”, ma erano libertà prese per venire a cercare nuove vie, di arte e di guadagno, che potessero assicurare più lunga vita alla creatura verso cui sentiva la maggior responsabilità. Una particolare curiosità è data da un mobile per toilette in legno, un “tradimento voluto”, in un materiale inusuale, portato a Monza nel ‘27 per la terza mostra internazionale di arti decorative.
Andloviz perseguì comunque anche una ricerca nuova, di forme più squadrate e lineari, di porcellane candide, dove a contare erano le purissime linee dei disegni concepiti dalla sua raffinata mano, da un gusto che puntava all’essenziale. A una più moderna visione del segno, del colore, delle forme che alle opulenze descrittive del classicismo preferiva la semplicità. C’è poi un percorso da segnalare e da compiere: oltre che a Palazzo Perabò si può andare a cercare Andloviz proprio a Laveno Mombello. A Villa Frua di Laveno è presente un grande e straordinario pannello ceramico, restaurato e ricomposto nel 2020, da Andloviz realizzato, dipinto piastrella per piastrella e presentato a Roma nel 1938 per la mostra sull’Autarchia. Dove l’artista ha raccontato le materie prime, le fonti di energia, le zone di provenienza (San Vincenzo, Gattinara, Tremenico, Vizzola Ticino) dei materiali usati, le lavorazioni tecniche con figure di operai e operaie e una veduta complessiva, in basso al pannello, del panorama di Laveno. Insomma, uno spaccato vero e proprio della storia della ceramica lavenese.
Da vedere anche le case per i laboratori della manifattura, eseguiti su suo progetto e il suggestivo palazzo detto k2, il piccolo grattacielo di Laveno che guarda sul lago e le montagne dove l’artista si trasferì a vivere, nel panoramico ultimo piano. Ancora oggi l’edificio si evidenzia nella sua particolare struttura a chi arriva dall’opposta sponda di Intra, incorniciato dal panorama del golfo e della sua incomparabile bellezza. E nei colori accesi e contrastati, nell’essenzialità pura dei suoi giochi di archi, pare uscito da un quadro di De Chirico.
Luisa Negri
Foto di Michele Alberto Sereni courtesy Magonza
A Villa Panza sono in mostra, fino al 6 gennaio 2025, le opere di 23 artisti che si interrogano sul concetto di tempo. Gregory Mahoney, Hanne Darboven, On Kawara, Jan Dibbets, Franco Vimercati: questi alcuni dei nomi presenti nella collezione dello spazio espositivo varesino, che conta 59 istallazioni e 5 sezioni. A chiudere il percorso è il film muto di Buster Keaton “Seven Chances”, nota opera cinematografica del 1925
S’intitola “Nel tempo” la mostra di Gabriella Belli con Marta Spanevello, realizzata per Villa Panza, in collaborazione con il Comune di Varese, visitabile fino al 6 gennaio 2025. Dal 1981 al 2011 impegnata nel Museo trentino di Palazzo del Buonconsiglio e nel Museo di Arte Contemporanea di Trento e Rovereto, quindi Direttrice per 11 anni dei Musei Civici di Venezia, Belli è ora curatrice della programmazione scientifica e delle mostre temporanee della villa varesina. A chiamarla alla villa sono stati Marco Magnifico e la famiglia del collezionista Giuseppe Panza, memori dell’amicizia e collaborazione tra i due, datata già ai primi anni di lavoro a Rovereto, quando la Direttrice Belli chiamò Panza ad esporre le opere di artisti da lui collezionati. Nella luce accomunante le opere di Panza, Belli riconosceva quella stessa luce che spingeva il collezionista ad avvicinare gli autori e sceglierli nell’intenso lavoro di ricerca, suo, ma anche portato avanti dagli stessi per decenni.
Ora 23 artisti, presenti nella collezione della villa, sono in mostra con 59 loro opere, accomunate dall’idea di tempo. Quella di “un tempo, osservato
da un doppio registro narrativo, che è insieme tempo eterno e tempo della realtà”. E che fa da guida alle 5 sezioni della mostra: il senso, la durata, i luoghi, il rumore e l’esperienza del tempo. Un tempo intenso e meditativo, alacre e pigro insieme, in cui il lavoro degli artisti s’esprime come fosse preghiera quotidiana, spesso in silenzio. Quasi monaci e sacerdoti di un servizio mistico da svolgere in armonia e lontano dagli eccessi del mondo. Così era la vita di Panza, del suo approccio agli artisti, spesso inseguiti nei deserti d’America come James Turrell, i cui lavori vertono principalmente sulla percezione della luce e dello spazio. Ma anche nei loro studi bui, odorosi di colore e fatica, a volte invitati poi a lavorare tra le stanze
Cioni (Eugenio) Carpi, Trasfigurazione/Sparizione Due, 1/3, (1966) 1974. A sinistra, opere di Piero Fogliati, visione d’insieme. Vicino al titolo, William Metcalf, Cube Suspended from a Point (Red), 2006
della villa varesina. Come Dan Flavin che venne qui ad installare i suoi tubi fluorescenti. E li dedicò al fratello morto in Vietnam: nella “stanza rossa”, un’opera palpitante di luce, che vive nel tempo. Il tempo eterno, appunto. Tema molto caro anche ad Anna Bernardini, che ha diretto con amore e raffinata perizia per anni la villa. Tema caro al conte e oggi ripreso da Belli. Tema che è anche specchio e ritmo palpitante di vita e lascia il segno di chi si sa raccontare. Coi colori, coi fiori o coi semi di soffione, con rattoppi di panni o ferite di sgorbie nel legno, con foto sottratte a quell’indomabile tempo e investite in buoni per l’eternità. Tutto questo abbiamo imparato per anni visitando le sale della villa: da varesini, da addetti ai lavori, da curiosi e amanti dell’arte in cerca di nuove ispirazioni e conoscenze, in un mondo sempre in evoluzione. La mostra, vogliamo ricordarlo ai lettori, è ancora parte di quel ciclo espositivo del quale vi abbiamo raccontato in numeri precedenti della rivista, soprattutto seguendo le ultime due mostre
presentate alla villa. Non è mancata mai qui la capacità di osare. E innovare. Perché i primi stupori e le diffidenze dei no Abstrart (i negazionisti dell’arte astratta) furono messi da parte, negli anni, dalla coppia Panza-Bernardini. E quel loro osare è sempre prevalso, nato dall’esperienza del conte e dalla conoscenza di Anna, che in casa ha respirato arte da sempre, grazie alla frequentazione del grande Giovanni Testori, zio materno, critico geniale e colto, originale e innovativo, scopritore di talentuosi artisti.
Chi ha seguito passo dopo passo la storia della villa, dopo la sua apertura al pubblico, ha conosciuto anche le difficoltà del dialogo tra il colle biumense e la città. Non solo con la sua gente, ma anche con gli addetti ai lavori, non sempre pronti a incontrarsi, o scontrarsi, con le originalità degli artisti e le novità che il mondo dell’arte contemporanea ha conosciuto col progredire del discorso artistico, a volte supportato da novità espressive.
Si pensi alla video arte di Wilson e Viola, che hanno suscitato enormi entusiasmi. I varesini hanno compiuto un percorso di avvicinamento alla città, a un tipo di arte in cui bisogna imparare a entrare. È in quell’abbraccio silente, accarezzato dalla quiete del parco, che abbiamo mosso passi su passi, sui parquet scricchiolanti, interrogandoci sulle stranezze dei protagonisti, ma anche sulla loro ricerca, sulle loro esistenze cresciute nei silenzi dell’America più selvaggia o nelle periferie povere inondate di blues, nei sacrifici della dedizione all’arte più difficile da avvicinare, ma che, se stai lì davanti a osservare, ti pare lo sgranarsi d’una preghiera.
Nel tempo i varesini si sono avvicinati alla villa con sempre maggior frequenza, con assiduità che sa di affetto. Così avevano fatto con il recalcitrante Guttuso. Allora l’incontro era avvenuto sul Viale Sacro delle Cappelle ed era scoppiato l’amore anche nel maestro. Qui, entrando in punta di piedi nella signorile e
ampia dimora, è scoppiata da subito, in chi ha osato, la pace: un senso di serenità e armonia che raramente si coglie. Per questo stava così bene quella sala allestita con le fotografie di Wim Wenders sul luogo delle Twins abbattute dal male. Perché l’occhio che vede e osserva e tramanda agli altri è come l’occhio di Dio, che ti chiede di non girarti dall’altra parte. Di conservare in te i ricordi, di meditare su quanto è accaduto, di non dimenticare. E trovare la forza di andare avanti. Con lo sguardo proteso a più rasserenanti traguardi. La caratteristica della villa è sempre stata, a sua volta, quella di un luogo di continua scoperta, di totale apertura agli altri, di rinnovamento continuo.
Accade anche in questa mostra. I 23 artisti presenti, ciascuno nella propria specificità, ci pongono domande a partire dal primo incontro con l’opera di Gregory Mahoney “Time study”, del 2000, che utilizza 20 lettere in acciaio ossidato e fuliggine per comporre la scritta “Time exists in the mind” (“Il tempo esiste nella mente”), interrogando i visitatori sul valore del tempo, sulla nostra limitatezza nella storia. “Emerging time” (2002) è invece una piccola scultura di Franco Monti, ma prova a ricordarci la pesante supremazia del tempo che avanza su di noi, ci precede e procede.
Allan Graham, Susan Kaiser Vogel, Grenville Davey e William Metcalf raccontano nelle loro opere prive di coordinate temporali il senso di un ubi consistam (punto d’appoggio) forse irraggiungibile, metafisico e assoluto.
Ma sono anche presenti artisti legati al concetto di durata del tempo come Hanne Darboven, On Kawara, Jan Dibbets, Franco Vimercati, Walter De Maria, Cioni Carpi, Maurizio Mochetti, Robert Tiemann. E curiosità maggiore della sezione è l’opera “One Million years” di On Kawara, che prevede la lettura di un milione di anni scritti sotto forma di date in 10 grandi volumi, con performance aperta al pubblico (ma è gradita la prenotazione). Vincenzo Agnetti, Pier Paolo Calzolari, Stephen Dean, Lawrence Carroll e Ron Griffin sono presenti invece quali sostenitori del tempo come elemento
Dall’alto, Gregory Mahoney, Time Study, 2000. Jan Dibbets, Black Vase, 1972. Joseph Kosuth, The Investigation Proposition 3, 1971
Fino al 6 gennaio 2025
Villa Panza, Piazza Litta 1, Varese
Da martedì a domenica, dalle ore 10.00 alle 18.00
legato al dato biografico, a coordinate geografiche e temporali. Sono loro a porsi come “difensori dei luoghi della memoria e del ricordo”. Di quel ritaglio della eternità che è il tempo, come lo definiva Sant’Agostino. Michael Brewster e Michele Fogliati con le installazioni sonore e le macchine in movimento, ci portano a considerare il rumore e il fluire del tempo. Joseph Kosuth con l’installazione “Investigation. Proposition 3”, nella sala dei rustici, scuderia piccola, è pronto a sua volta ad accogliere i visitatori e proporre loro di sedersi, per sfogliare i quaderni esposti, mentre sulla parete scorrono le lancette di 24 orologi con orari diversi. A chiudere il percorso è il film muto di Buster Keaton “Seven Chances”, notissima opera cinematografica del 1925.
Andrea Della Bella Foto di Cinzia Roganti
Per ben due volte ad un passo dal grande traguardo: la squadra degli Skorpions Varese, prima nella regolar season nel campionato 2023-2024 con 8 vittorie su 8 incontri, ha visto svanire per due anni consecutivi l’obiettivo di gareggiare nella finalissima di stagione. Molti i progetti della società di football americano per il prossimo anno, tra nuovi ingressi e il consolidamento del settore giovanile
Inafferrabile. Per due volte consecutive gli Skorpions Varese sono arrivati a un passo dalla finale di Super Bowl. Per due volte il grande sogno è svanito sul più bello. Ma nella storia dell’American football nazionale hanno segnato un record che resterà a lungo: l’anno scorso, al loro ritorno nella massima serie, sono arrivati in semifinale. Ed è stata la prima volta da quando esiste la franchigia che una neopromossa “va” così lontano.
Quel risultato non è stato certo un caso. Gli Scorpioni varesini, infatti, hanno concesso il bis anche nel campionato 2023-2024 arrivando addirittura primi nella regolar season con 8 vittorie su 8 incontri, per poi fermarsi di nuovo in semifinale per mano di Parma. “Questa volta la finale sembrava davvero a un passo ad un certo punto – racconta Enzo Petrillo, Vicepresidente degli Skorpions, ma anche Head Coach della nazionale Flag – poi però, complice anche il meteo avverso, che per una squadra come la nostra diventa un vero avversario, Parma ci ha battuto. Senza rubare nulla. L’abbiamo visto
in finale dove, contro i Guelfi di Firenze, ha dimostrato di essere la squadra superiore e la più forte”.
Non c’è due senza tre, ma questa volta il finale dovrà essere differente. Petrillo lo sa: “Le ultime due stagioni sono state esaltanti, ma anche logoranti. Siamo tornati nella massima serie e l’abbiamo fatto ad altissimo livello. Il terzo campionato che andremo ad affrontare credo che sarà il più difficile poiché il primo anno siamo stati la sorpresa, il secondo avevamo la qualità giusta
per fare molto bene e ora siamo chiamati a confermarci al vertice del football nazionale”. Ma il Vicepresidente sa anche che in cima agli obiettivi della società c’è la crescita di un progetto iniziato qualche anno fa e che ha portato al consolidamento del settore giovanile e agli ottimi risultati della prima squadra, di conseguenza. “Programmazione è il mantra degli Skorpions. Siamo arrivati ad un punto in cui i nostri giovani migliori, quando era il momento di passare in prima squadra, dovevano necessariamente cercare altrove. È stato allora che il progetto ha fatto il salto di qualità. Con le giovanili abbiamo vinto tutti i campionati nazionali che si possono vincere in Italia, questo significa che riusciamo a crescere atleti di prospettiva. A noi non è mai interessato avere una prima squadra con giocatori che vengono da fuori e dopo un anno vanno a giocare in un’altra società. Il nostro ragionamento è un altro e siamo convinti che i risultati sono una conseguenza di quanto stiamo costruendo”.
Certo, gli Skorpions sono made in Varese, ma se serve la ciliegina sulla torta, questa arriva. E nella stagione appena conclusa il “tocco” è stato l’approdo sotto il Sacro Monte (gli Skorpions giocano al Franco Ossola) dei fratelli Griffin, il quarterback (QB) Ryan e il più giovane Maclaine. Il primo, Ryan, ha esordito con i New Orleans Saints nel 2013 per poi passare a Tampa Bay nel 2015. Con i Buccaneers ha vinto nel 2020 il Super Bowl LV come terzo QB alle spalle del campionissimo Tom Brady e di Blaine Gabbert. Insomma, gente che fa e che ha fatto la differenza.
“L’arrivo dei fratelli Griffin è stato importante – continua Petrillo – anche perché non hanno snaturato la nostra filosofia e si sono calati nel mondo Skorpions. Qui vogliamo che i nostri ragazzi crescano come giocatori, ma soprattutto come uomini e come persone. Ed è per questo che abbiamo sempre un occhio di riguardo nella scelta dello staff tecnico”.
Quello del football americano è un mondo che, dopo aver brillato nel panorama sportivo nazionale negli anni ‘80, si è un po’ offuscato. Ora però è tornato a muovere interesse e curiosità. “Abbiamo un pubblico che ormai supera i 1.000 spettatori a partita e non si tratta di parenti o amici, ma di appassionati che vengono a vedere gli Skorpions – precisa Enzo Petrillo –. In occasione dell’incontro con i Dolphins, abbiamo organizzato un business
forum con l’ente camerale dell’Ohio con l’obiettivo di costruire anche relazioni economiche tra il nostro Paese e gli Stati Uniti. Con le istituzioni cittadine siamo riusciti a costruire un rapporto di collaborazione. Se dovessi dire qual è il miglior risultato di questi anni, non avrei dubbi a rispondere: aver fatto di Varese un città di riferimento per il football americano. Basti pensare che fino a qualche anno fa i nostri giovani giocatori cercavano altre squadre in cui andare, oggi sono i ragazzi di altre città che vogliono venire qui da noi”.
Nel panorama dell’American football della provincia varesina, c’è chi il Super Bowl l’ha già giocato 3 volte, vincendo la prima nel 2022. Stiamo parlando di Andrea Fimiani, da Casorate Sempione. Stella dei Guelfi Firenze, ma anche coach dei Blue Storms di Busto Arsizio. Per Fimiani poi il football americano è una questione di famiglia (come del resto anche quella dei Petrillo): il papà Ercole è stato una delle colonne dei grandi Frogs insieme al bustocco Ettore Guarneri, oggi Presidente dei Frogs Legnano. Andrea Fimiani dopo il successo al Dall’Ara di Bologna con i colori fiorentini contro i Seamen Milano, ha conquistato altre due finali giocate entrambe (e perse) contro Parma. Quella del 2023 poi si è disputata a Toledo nello Stato americano dell’Ohio. Mentre nel 2024 è stato nominato il miglior giocatore italiano (quarterback) di tutto il campionato. Oltre al fatto che il football è tradizione di famiglia: “Sono cresciuto guardando giocare mio padre e poi sono sempre rimasto nell’ambiente”, ammette lo sportivo. Colpisce il doppio ruolo che ha Fimiani: giocatore a Firenze e allenatore a Busto Arsizio. “Sdoppiarsi non è banale – spiega – anche se le due esperienze per ora si incastrano alla perfezione anche a livello di tempistiche. E poi allenare a Busto mi dà l’opportunità di allenarmi anche con i Blue Storms”. Fimiani però guarda avanti: “Dopo aver perso due finali consecutive non è facile ricominciare e ritrovare le giuste energie per ripartire. Però nel 2025 la finale si disputa di nuovo in America e l’obiettivo di andare a giocare oltre oceano credo che darà a tutta la squadra la spinta giusta per conquistare la finale e provare di nuovo a vincerla”.
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Al Cupra Garage Belforte90 di Varese c’è una nuova arrivata: la sport utility coupé Formentor, una rinnovata fusione tra prestazioni, design e innovazione tecnologica. La nuova Formentor incarna il dna del design Cupra con il frontale shark nose, affilato come il profilo di uno squalo, i fari Led Matrix con firma luminosa triangolare e il logo illuminato integrato. Il frontale è potente e deciso, con una grande griglia anteriore che ospita il logo Cupra. Le linee laterali atletiche e i cerchi in lega disponibili fino a 19 pollici accentuano il carattere dinamico del veicolo. Dietro, i fari a Led coast-to-coast con il logo illuminato e la scritta Formentor rendono l’auto immediatamente riconoscibile. L’abitacolo della Formentor trasmette ai sensi una qualità superiore. I materiali sostenibili, come la microfibra riciclata al 73% e la pelle ecologica, adornano i sedili sportivi, che offrono comfort e stabilità. La console centrale, i pannelli delle portiere e il cruscotto sono stati ridisegnati con finiture in rame, mentre la plancia scolpita in 3D aggiunge un tocco di modernità e raffinatezza. E cosa dire dello skyline, il tetto panoramico
apribile a scorrimento elettrico?
Il sistema di infotainment della Formentor si evolve con un grande schermo da 12.9” per offrire una navigazione intuitiva, merito dell’app Bar e dei suoi widget personalizzabili. Il sistema audio hi-fi sviluppato con Sennheiser garantisce un’esperienza sonora immersiva. Per quanto riguarda la guidabilità, la nuova SUV coupé è equipaggiata con sistemi avanzati di assistenza alla guida (ADAS) come il Predictive Adaptive Cruise Control, il Travel Assist e il Side and Exit Assist, che oltre a garantire la sicurezza su strada, migliorano il comfort di guida.
La nuova Cupra Formentor offre 4 diverse soluzioni di powertrain. Il motore benzina TSI 1.5 da 150 CV (110 kW) rimane invariato, mentre la versione con il cambio automatico a doppia frizione DSG introduce la tecnologia mild hybrid da 48V. I motori 2.0 TSI sono stati potenziati, con il 2.0 TSI da 333 CV (245 kW) che include la tecnologia Torque Splitter. I powertrain e-Hybrid combinano, invece, il nuovo motore 1.5 TSI con un motore elettrico per due livelli di potenza: 204 CV (150 kW) o 272 CV (200 kW). Il 2.0 TDI da 150 CV (110 kW) offre il cambio automatico DSG a 7 rapporti e trazione anteriore a garanzia di efficienza e affidabilità.
La nuova Cupra Formentor è già ordinabile: si parte dai 39.500 euro per la versione con motore 1.5 Hybrid 150 CV DSG. Un prezzo competitivo, considerando l’elevata qualità e le tecnologie avanzate di cui è dotata.
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Campionessa di vendite, la nuova Golf si aggiorna, puntando su un infotainment più rapido e una trazione ibrida plug-in con maggiore autonomia. Il nuovo modello, versione anniversario, è pronto da provare nelle concessionarie Martignoni di Gallarate, San Vittore Olona e Vergiate
Matteo Dall’Ava
Cinquanta anni fa nasceva un’icona che avrebbe segnato la storia dell’automobilismo: la Volkswagen Golf. Con oltre 37 milioni di unità vendute dal 1974, la Golf è diventata la campionessa di vendite mondiale, scelta ogni giorno da più di 2.000 persone in tutto il globo. Quest’anno, Volkswagen celebra l’importante traguardo con una versione anniversario che porta la Golf a un nuovo livello evolutivo, un mix di innovazione tecnologica e design raffinato.
Pensata per rispondere alle esigenze di un mercato in continua evoluzione, la nuova Golf non tradisce la sua anima originaria. Una delle novità più rilevanti è l’adozione di un sistema infotainment di ultima generazione, il MIB4. Grazie a un processore più veloce e comandi intuitivi, l’esperienza di guida diventa ancora più piacevole e interattiva. L’assistente vocale intelligente IDA permette di gestire non solo il climatizzatore, il telefono e la navigazione, ma anche di accedere a informazioni online su qualsiasi
argomento, dalle previsioni meteo a domande generali, tutto attraverso comandi vocali. Un altro aspetto che rende unica la nuova Golf è il sistema di illuminazione evoluto. I nuovi fari a Led Matrix Iq.Light, con abbaglianti ad alte prestazioni e un logo VW illuminato, non solo migliorano la visibilità, ma conferiscono alla vettura un aspetto moderno e accattivante. Anche i gruppi ottici posteriori a Led 3D sono stati rivisitati, contribuendo a un design che non passa inosservato. Volkswagen ha introdotto anche nuovi sistemi di assistenza alla guida, come il Park Assist Plus e il Park Assist Pro, che permettono di manovrare l’auto tramite smartphone e la nuova visuale a 360 gradi Area View, per una gestione ancora più sicura delle manovre di parcheggio. La sicurezza e il comfort sono, quindi, ulteriormente migliorati,
MARTIGNONI
Via Pompei 1, Gallarate (VA)
S.S. Sempione 261, San Vittore Olona (MI)
Via G. di Vittorio 88, Vergiate (VA)
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rendendo la Golf una delle auto più avanzate della sua categoria. Le motorizzazioni della nuova Golf garantiscono una soluzione a ogni tipo di automobilista con le varianti mild hybrid (eTSI), ibride plug-in (eHybrid e GTE), turbo benzina (TSI) e turbodiesel (TDI). Nello specifico la versione ibrida plug-in offre circa 100 km di autonomia in modalità elettrica e un’autonomia complessiva di 1.000 km, con la possibilità di ricarica rapida a corrente continua. Gli amanti della guida sportiva troveranno, invece, nella nuova Golf GTI un motore turbo potenziato a 195 kW (265 CV) e una GTE PHEV da 200 kW (272 CV). Il nuovo modello è pronto da vedere, e provare, nelle concessionarie Martignoni di Gallarate, San Vittore Olona e Vergiate: 6 gli allestimenti disponibili a partire da 30.350 euro, iva inclusa, per la versione Plus.
TERZA PAGINA
A tu per tu con Andrea Chiodi
DAL WEB
Oltre i limiti
COMUNICARE
La Swift economy
Mario Chiodetti
Curatore da 15 anni del festival “Tra Sacro e Sacro Monte”, Direttore Artistico del Giuditta Pasta di Saronno, tra i papabili per la direzione del Piccolo Teatro di Milano. Il regista varesino, che vanta un curriculum di tutto rispetto tra collaborazioni con lo Stabile di Brescia, il Romano di Verona e lo Stabile del Veneto, si racconta a Varesefocus. Tra progetti futuri e considerazioni sull’arte teatrale italiana e varesina
Ha gli occhi di un bambino Andrea Chiodi quando parla dei suoi progetti teatrali, dei maestri che l’hanno guidato ancora ragazzo nel labirinto di autori e interpreti, del tanto lavoro svolto e di quello che ancora lo attende. Non ha mai abbandonato le sue radici varesine, tanto da curare da ormai 15 anni
“Tra Sacro e Sacro Monte”, il festival che ha visto alternarsi attori del calibro di Piera Degli Esposti, Giorgio Albertazzi, Giancarlo Giannini o Lucilla Morlacchi e l’allestimento del Presepe vivente in piazza San Vittore. Un uomo concreto e innamorato del proprio lavoro, che a 45 anni vanta un curriculum di tutto rispetto ed è risultato tra i papabili per la direzione del Piccolo Teatro di Milano.
Chiodi è reduce dalla regia, per il Teatro Stabile di Brescia, dello spettacolo “Valeria Josef”, ispirato alla
storia vera di Valeria Collina, made di Josef, attentatore dell’Isis a Londra nel 2015, un copione che indaga a fondo il rapporto madre-figlio. Ma la sua attività recente vanta anche l’allestimento de “Le allegre comari di Windsor” al Teatro Romano di Verona con il Teatro Stabile del Veneto e degli “Innamorati” di Goldoni. Quello per Shakespeare è un amore antico e Andrea porta avanti da un po’ un progetto che comprenderà, nel 2025, il “Riccardo III” a Verona, con protagonista Maria Paiato, mentre già nei suoi anni al Lac di Lugano aveva messo in scena la “Bisbetica domata” e, con lo Stabile del Veneto, anche “Misura per misura”. Ma incominciamo questa intervista con un bilancio della quindicesima edizione di “Tra Sacro e Sacro Monte”, rassegna ormai entrata nelle abitudini dei varesini che la seguono con passione e attenzione.
“Io affronto i classici senza però perdere di vista la drammaturgia contemporanea, sono a cavallo tra la tradizione, a cui mi sento legato, e le nuove generazioni e devo tenere conto dell’estetica contemporanea”
“In questa ricorrenza ho voluto rendere omaggio a 3 attrici che hanno segnato il mio percorso artistico: Lucilla Morlacchi, che aprì il Festival 15 anni fa, facendo interpretare a Laura Marinoni lo stesso suo repertorio, Piera Degli Esposti, con il mio recital sulla ‘Divina Commedia’ assieme al pianista Ferdinando Baroffio e Franca Nuti, scomparsa da poco, con una masterclass di giovani attrici professioniste, 18 scelte da ben 260 candidature, che hanno recitato nei ‘Dialoghi delle Carmelitane’ di Bernanos”, racconta Andrea Chiodi, che il prossimo anno metterà in scena “Il malato immaginario” di Molière, una produzione firmata Lac di Lugano e Stabile di Brescia. Proprio al Lac il regista varesino ha lavorato 6 anni, così gli chiediamo cosa a suo parere manca a Varese per assomigliare a Lugano. “A Lugano hanno investito tutto sulla costruzione del Lac, il vero motore culturale e turistico della città a livello internazionale. A Varese ciò che manca è un polo culturale simile a quello. Certo, parliamo di economie diverse e non è soltanto una questione di budget, ma di pensiero. Da noi non c’è un luogo di riferimento che promuova spettacoli, mostre, concerti e contribuisca a far crescere anche le realtà artistiche locali, a quel punto parte di progetti più ampi. I
teatri di Bergamo, Brescia (che conta 12mila abbonati), Como e Cremona, producono spettacoli, mentre a Varese non accade perché non c’è uno spazio adeguato. Gli amministratori delle nostre città non sembrano avere il coraggio di compiere scelte decise, temendo di scontentare le compagnie locali, che invece ne avrebbero giovamento, grazie al confronto con realtà importanti”.
Come sta il teatro in Italia?
C’è un pubblico che sta tornando a frequentarlo, dove questo è al centro del tessuto sociale e si promuove con eventi collaterali e cartellonistica, in modo che anche i giovani lo sentano vivo. A Varese questo non accade e i giovani rimangono distanti. Nella stagione scorsa del Giuditta Pasta di Saronno, dove sono Direttore Artistico, le scuole di Varese hanno accettato sì e no l’invito a portare i ragazzi agli spettacoli.
Ci sono, invece, molti giovani che vorrebbero fare gli attori...
Troppi direi, perché le scuole di teatro sfornano ogni anno 25-30 diplomati e trovare lavoro non è così facile. Per fortuna la televisione attinge parecchio ai giovani attori teatrali per le molte fiction prodotte. La cosa negativa, però, riguardo ai ragazzi, è che molti di essi pur volendo
fare la professione non vanno a teatro ad assistere agli spettacoli. (Chiodi insegna, tra l’altro, alla Scuole del Teatro Stabile del Veneto, dopo aver fatto parte del corpo docente di quella del Piccolo Teatro di Milano, ndr).
Quali consigli darebbe a un giovane che volesse mettersi in arte?
Di andare tanto a teatro, studiare molto e frequentare scuole qualificate, ma soprattutto, non aver timore a chiedere consigli ai maestri, come io avevo fatto a suo tempo con Piera Degli Esposti, Gabriele Lavia, Lucilla Morlacchi o Elisabetta Pozzi.
Che regista è Andrea Chiodi?
Chi fa teatro deve immedesimarsi nel pubblico, molto spesso i registi più giovani sono troppo autoreferenziali e pensano ad ottenere premi e riconoscimenti prima di accontentare il pubblico. Gli autori non devono rimanere chiusi nei salotti, ma andare nelle piazze. Io affronto i classici senza però perdere di vista la drammaturgia contemporanea, sono a
cavallo tra la tradizione, a cui mi sento legato, e le nuove generazioni e devo tenere conto dell’estetica contemporanea, puntando ad allestimenti più essenziali. Mi metto al servizio del testo dell’autore e raramente faccio riscritture, poi lavoro parecchio a tavolino sul copione con gli attori; quindi, li faccio muovere nello spazio e poi mi occupo della recitazione. Amo molto guidarli in scena.
Chi sono stati per lei i maestri indimenticabili?
Su tutti, Piera Degli Esposti, che conobbi all’età di 19 anni e mi cambiò la vita. Ho frequentato molti grandi attori che mi hanno insegnato pazienza e umiltà. Un ricordo particolare va poi a Rosalina Neri, scomparsa lo scorso giugno, che recitò e cantò a “Tra Sacro e Sacro Monte”, alla quale ero legato da un grande affetto e andavo a trovare spesso nella sua casa di Milano. L’ultima volta che la vidi, lo scorso febbraio, mi regalò una delle sue teiere da collezione, insistendo perché la prendessi, forse presaga che non ci saremmo più rivisti.
Quali consigli darebbe a un giovane che volesse mettersi in arte? “Di andare tanto a teatro, studiare molto e frequentare scuole qualificate, ma soprattutto non aver timore a chiedere consigli ai maestri”
Silvia Giovannini
Creativi, inventori e invenzioni (come quella della carta Varese) al centro di libri che si intrecciano. Socialità, arte, ideazione e intuito sono i protagonisti. Letture ideali per iniziare l’autunno con entusiasmo
Innovatori e creativi, oggi particolarmente innovatori digitali e spesso (perché no?) startupper. Ogni epoca ha i suoi esempi geniali, che a volte diventano persino icone, veri e propri maestri di vita famosissimi. Chi non riconoscerebbe al volo, ad esempio, celebri frasi, diventate mantra come “Stay hungry, stay foolish”? Questo libro è proprio dedicato a quei personaggi carismatici che hanno fatto la storia, in un viaggio alla ricerca dei creativi nell’epoca della conoscenza. Un viaggio nel tempo e nello spazio per capire come la creatività abbia dato forma al mondo. Chi sono i creativi oggi? Da dove vengono? L’autore, sociologo dell’economia, che ha insegnato nelle Università del Piemonte Orientale, Venezia, Cambridge (Usa), Parigi e Lugano e ha all’attivo numerose prestigiose pubblicazioni, offre una risposta e li colloca nel percorso di una precisa genealogia. “Sono gli eredi di Prometeo e Faust, dell’uomo creatore di Nietzsche e dell’imprenditore innovativo di Schumpeter, delle avanguardie europee novecentesche e della grande migrazione in
America, fino ai tecnologi visionari della Silicon Valley”. E per quanto riguarda l’attualità? “In epoca recente, siamo rapidamente passati dall’uomo creatore, che inventa opere d’arte e d’ingegno singolari e risponde solo a se stesso, alla classe creativa, che innova disegnando prodotti per i mercati da cui noi tutti dipendiamo. I creativi non sono una categoria privilegiata, piuttosto sono portatori di una condizione dello spirito che produce effetti universali e può dare speranza al mondo. Tuttavia, oggi non sanno di appartenere a tale tradizione e mancano di un canone. Come evitare che questa massima diffusione della creatività si trasformi in banalità, in serialità, nel vuoto creativo?” Una domanda interessante, che ci piacerebbe rivolgere ai creativi di domani. Chissà che non siano i lettori di oggi e non si lascino ispirare proprio da queste pagine!
Paolo Perulli Anime creative.
Da Prometeo a Steve Jobs Il Mulino, 2024 mulino.it
Domenico Wanderlingh
L’enigma della carta Varese. Un caso per l’ispettrice Anita Landi
Guanda Noir, 2024
Il fascino senza tempo della carta Varese al centro della nuova puntata della saga dedicata alla ispettrice capo Anita Landi. Una mattina di ottobre, in un lussuoso appartamento di piazza Giovine Italia a Milano vengono rinvenuti i cadaveri di due donne, madre e figlia. La domestica, il custode del palazzo e i vicini ipotizzano che si tratti di una lite violenta sfociata in tragedia. Ma qualcosa non torna. Sulla scena del crimine un frammento di carta Varese sarà la chiave di un caso costellato di segreti, maldicenze, ipocrisia nascoste sotto l’apparente integrità della borghesia milanese.
guanda .it
“La creatività è soprattutto la capacità di porsi continuamente delle domande”
Piero Angela
Federico Bianchessi, Fausto Bonoldi
MI VA
La lunga storia d’amore tra Milano e Varese Pietro Macchione ed., 2024
Due firme prestigiose, una garanzia, per il racconto di una specialissima “storia d’amore” tra due città e due territori legati per vicinanza, ma anche per affinità elettive, condite da piccole se non rivalità, almeno scaramucce, da prime attrici. Un volume che
viaggia nella storia e nel cuore tra geografia, politica e socialità, costumi, dialettalità, fenomeni epocali come il pendolarismo, alla scoperta della “milanovaresinità”.
“Da Saronno a Luino, da Busto Arsizio a Gallarate, da Tradate a Sesto Calende è un flusso straordinario e vitale al quale abbiamo forse fatto l’abitudine, ma che a sentirlo raccontare non smette di regalarci sorprese, curiosità e momenti di autentica gioia”.
macchionepietroeditore.it
Emma Zanella (a cura di) Archivi del Contemporaneo Nomos, 2024
Archivi del Contemporaneo unisce in una rete le istituzioni museali e culturali del territorio dell’alto milanese e della provincia di Varese. Al Museo Maga è stata realizzata la prima edizione del Corso di Alta Formazione per la figura di curatori di archivi d’artista, con il Dipartimento di Beni culturali e ambientali dell’Università degli Studi di Milano, l’Università Cattolica, l’Accademia di Belle Arti di Brera e l’Associazione Italiana Archivi d’Artista. Il Corso ha affrontato le principali questioni alla base della formazione e gestione di archivi e lasciti degli artisti. Il libro curato da Emma Zanella e Monica Faccini, ne raccoglie gli Atti.
nomosedizioni.it
Le ultime notizie dalle #ImpresediVarese dal web e dai social network.
Su e
Enrico Cantù
Assicurazioni
Società Benefit si conferma anche quest’anno, per il quinto consecutivo, come una delle realtà che più si sono distinte nel welfare aziendale per ampiezza e qualità delle iniziative dedicate a lavoratori, famiglie, comunità e clienti.
Opportunità, nodi da sciogliere e consigli per le nuove generazioni. Al centro, i dati e le tecnologie “prêt-à-porter”. Un viaggio del podcast Vita d’impresa intorno al tema dell’Intelligenza Artificiale con Paolo Errico di Maxfone e Vicepresidente della Piccola Industria di Confindustria. Le puntate di Vita d’impresa sono disponibili sul canale YouTube di Confindustria Varese o sulle principali piattaforme di podcast.
A giugno, al Palaborsani castellanzese si è tenuta una giornata fortemente voluta dalla Vector Spa di Castellanza con l’obiettivo di stimolare, attraverso lo sport, una profonda riflessione sull’inserimento e sull’inclusione di persone con disabilità nel mondo del lavoro.
Uno strumento per chi in azienda si occupa del capitale umano che, nell’impostare strategie di gestione del personale, può trovare qui fattori di contesto e benchmark di mercato. Un’edizione regionale realizzata grazie alle Associazioni territoriali afferenti a Confindustria Lombardia.
Sono numeri spaventosi quelli del cybercrime. Ma come può l’utente difendersi dagli attacchi? Nel podcast Vita d’impresa, lo spiegano Elisa Ballerio di CybergOn, divisione di Elmec Informatica e Marco Castiglioni di Cubesys Srl, membri del comitato Cybersecurity di Confindustria Varese.
Silvia Giovannini
Una riflessione sul caso dell’Eras Tour di Taylor Swift, famosa cantante statunitense capace di muovere masse di fan in ogni parte del mondo grazie ai suoi concerti, tutti rigorosamente sold out. Si tratta di eventi in grado di far lievitare i numeri di trasporti, ospitalità, ristorazione e addirittura condizionare il tasso d’inflazione di un intero Paese. Spunti di riflessione per una ripartenza settembrina
Quarantadue milioni di indotto economico generato per Milano. Una cifra che oscura quella delle Olimpiadi per Parigi, per non parlare di Londra, dove non è passato inosservato l’endorsement reale. In Germania, una città ha addirittura cambiato nome per l’occasione. Non parliamo di una multinazionale del turismo di lusso, ma dell’icona del momento e della cosiddetta Swiftflation o Swift economy, l’economia
nata intorno a quello che è un fenomeno dall’impatto senza precedenti. Il caso notissimo in tutto il mondo è quello dell’artista Taylor Swift e di un tour che ha battuto tutti i record di sempre in termini di incasso e che è stato calcolato le abbia fatto percorrere in tournée in jet privato 286mila km per un totale di 7 volte il giro del mondo (un dato aggiornato prima dell’estate, che ovviamente ha attirato le ire degli ambientalisti). Un fenomeno che gli
economisti mondiali, in particolare gli analisti finanziari, guardano con grande e seria attenzione e che in Inghilterra è stato correlato al taglio dei tassi di interesse da parte della Bank of England. Sui motivi di questo successo ci si interroga e non solo dal punto di vista economico. Anche l’annullamento della tappa di Vienna per rischio attentato può essere visto come una faccia della stessa medaglia. Una sola risposta è certa: Taylor, classe 1989 e 11 album all’attivo, è diventata un successo, grazie alla sua musica e al suo stare sul palco. È “solo” una cantante. Non è, per esempio, un’imprenditrice del beauty come la collega Selena Gomez o un’influencer, nonostante si ritenga che con un solo post su X/Twitter possa spostare il voto delle elezioni americane. In ogni caso, che la si guardi dal punto di vista economico o sociologico, è evidente che bisogna abbandonare lo snobismo di chi le chiama
canzonette. Ma che cosa insegna questo fenomeno ai comunicatori d’azienda? Ora che, come canta Taylor Swift “August slipped away into a moment in time” (“Agosto è scivolato via in un momento nel tempo”), settembre porta con sé nuovi inizi e riflessioni. Per chi si occupa di comunicazione è tempo di ripartire con rinnovati entusiasmi, ma anche di fare i conti con un panorama che è cambiato rapidamente. Già da tempo il re Influencer “è nudo” (e anche la regina mondiale per eccellenza, Chiara Ferragni) e ha lasciato spazio ai content creator, quei personaggi che, chi più chi meno, hanno una qualche competenza. A chi ha qualcosa di vero da dimostrare. In breve, a chi sa fare. Il fenomeno Swift probabilmente racconta che dove c’è un talento, unito a un carisma, si muove l’industria. Della musica, dell’arte, dello sport. E ovviamente dell’industria produttiva stessa. Da qui si può ripartire.