











Silvia Pagani
Direttore Confindustria Varese
Varesefocus compie 25 anni. Un anniversario che vogliamo ricordare secondo il nostro stile. Senza autocelebrazioni, ma cogliendo l’occasione per fare il punto sul panorama del giornalismo locale sul nostro territorio. Uno spaccato nel quale il nostro magazine, come spieghiamo nell’articolo di apertura, ha ricoperto un ruolo ben preciso in questo primo quarto di secolo di vita: quello di raccontare il mondo delle imprese e, allo stesso tempo, di raccontare il mondo attraverso gli occhi delle imprese. È ciò che rappresentiamo all’interno dell’informazione varesina. Un punto di vista. Attraverso il quale analizzare la realtà economica, sociale e territoriale con articoli, interviste, inchieste, podcast, video, post sui social network. Siamo una testata multimediale edita da Confindustria Varese e legata inevitabilmente alla sua attività di comunicazione di attore sociale. Ma i nostri contenuti non sono la semplice riproposizione della rappresentanza del mondo produttivo.
L’obiettivo di Varesefocus è quello di offrire spunti di riflessione su temi che altri trascurano o sui quali altre testate giornalistiche prestano, per scelte editoriali differenti, meno attenzione. Non avrebbe senso cercare di andare in sovrapposizione o in concorrenza con tanti professionisti che fanno
già bene il loro mestiere, con i quali, tra l’altro, Confindustria Varese già collabora in termini di contenuti attraverso il proprio ufficio stampa. Lo spazio che ci siamo ritagliati nel tempo è un altro: farci domande diverse da quelle che ogni mattina si pongono le redazioni delle testate quotidiane. O, quando i dubbi e le curiosità sono più o meno identiche, di dare risposte differenti, perché differente è, appunto, il punto di osservazione da cui partono le aziende. Anche le tecniche che usiamo rappresentano un unicum nel panorama del giornalismo locale. Testi lunghi, focus su tematiche fatti da numerosi articoli che spacchettano in più parti uno stesso argomento, scandagliandolo dal micro al macro, dal locale al nazionale, con numeri, interviste, storie, opinioni. In un certo senso andiamo controcorrente rispetto all’ipervelocità a cui ci ha abituato (e per certi versi assuefatto) oggi la comunicazione. Quello che proponiamo al nostro lettore sono i tempi lunghi che richiede l’approfondimento ragionato, perché pensiamo ci sia bisogno anche di questo tipo di informazione. Sulla carta, così come sul web. Fin qui, Varesefocus. Ma come dicevamo in apertura non vogliamo solo auto-raccontarci in questo numero celebrativo. Abbiamo dedicato questa edizione ad una sorta di chiacchierata con tutti gli altri operatori dell’informazione varesina. Che ci hanno spiegato come sta cambiando il loro mestiere e come lo stanno interpretando sulle pagine dei loro giornali, sui loro siti Internet,
sulle loro emittenti televisive e nelle tante iniziative che si affiancano alla pura attività giornalistica. Un puzzle che ha un filo conduttore: un giornale oggi non è più solo un giornale. Deve andare oltre se stesso e al suo ruolo tradizionale di riportare o raccontare fatti per essere un punto di riferimento per la propria comunità. Ognuno inevitabilmente ha la sua. Per affinità di intenti e visioni. Per senso di appartenenza a luoghi, argomenti e sensibilità. Dalla nostra inchiesta emerge un grande fermento giornalistico in provincia di Varese. Ne beneficia sicuramente il valore assoluto del pluralismo. Ma è un fenomeno che forse offre una nuova chiave di lettura: quella per la quale una società (anche locale) sempre più complessa ha bisogno di più voci per essere interpretata nella sua interezza. Soprattutto in territori, come quello varesino, dalle tante vocazioni e differenze. Non solo geografiche. D’altronde ritagliarsi un proprio ruolo importante in una o più comunità precise di lettori, anziché rincorrere a vuoto numeri di utenti pronti a sfumare da una copia all’altra o da un click all’altro, potrebbe rappresentare anche una nuova strategia per sperimentare nuovi modelli di sostenibilità economica dell’informazione di cui Varese sta facendo da laboratorio e di cui un settore da anni in crisi ha estremamente bisogno. Ma servono anche nuovi e giovani professionisti e scuole che li preparino. E anche qui con l’Its Incom Academy di Busto Arsizio (di cui parliamo) il territorio è in prima fila.
25 anni di storie di impresa
La trasformazione di un tempio dell’informazione Il giornalismo si fa Materia Il fermento del web
Roberto Grassi
Silvia Pagani
Davide Cionfrini
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Terza pagina In
I 25 anni di Varesefocus sono l’occasione per fare il punto sui progetti, il posizionamento e l’interpretazione del proprio ruolo nella comunità dei quotidiani e dei siti Internet d’informazione all’ombra delle Prealpi. Dalle testate storiche come VareseNews (che si fa Materia), Prealpina, Il Giorno e Rete55. Alle iniziative digitali Malpensa24, Varesenoi, Il Bustese, Luino Notizie, Il Saronno, Sempione News. Un fermento giornalistico, per molti versi, controcorrente. Tra vecchie e nuove sfide. Che coinvolgono anche il mondo dei comunicatori d’impresa. E con l’Intelligenza Artificiale che spariglia le carte, aprendo ulteriori scenari del tutto ancora inesplorati
Davide Cionfrini
Varesefocus compie il primo quarto di secolo di vita. Un pezzo di storia di giornalismo locale dedicato soprattutto al racconto dell’economia e del sistema produttivo. Ma anche dell’arte, della cultura, del volontariato, della tecnologia, della scuola, del turismo e del territorio. Di ogni aspetto della vita delle nostre comunità in cui influisce la caratteristica di essere una provincia ancora fortemente industriale e contraddistinta da un grande fermento imprenditoriale. Una narrazione che prende avvio sempre da un punto di vista preciso, quello delle aziende e della parte sociale che edita da sempre questo giornale: Confindustria Varese
Venticinque anni di storie di impresa. Varesefocus compie un quarto di secolo di vita e tutto ciò che è stato scritto, raccontato e approfondito in questi anni sulle pagine della rivista che state leggendo, edita da Confindustria Varese, è tutta qui. Riassumibile in una frase. Siamo la rivista delle imprese. E come tale abbiamo affrontato e affrontiamo la nostra avventura giornalistica: cercando di narrare ciò che l’industria rappresenta per questo territorio, in ogni suo aspetto e in ogni sua implicazione. Non solo economica. Varesefocus nasce con questo obiettivo nel 2000. E a tale scopo abbiamo cercato di rimanere sempre fedeli, guardando il mondo da un punto
di vista preciso. Quello delle aziende. Lo abbiamo fatto con un’onestà intellettuale che rivendichiamo in ogni copertina di ogni numero di questo magazine. Dove appare, in basso a sinistra, sempre il logo dell’editore: quell’aquilotto confindustriale emblema dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese prima e di Confindustria Varese poi. Non è un aspetto secondario nell’interpretazione del nostro ruolo nell’informazione locale. È un atto di trasparenza che dichiara fin da subito, a qualsiasi lettore, da quale parte vediamo i fatti e le dinamiche della società che vogliamo immortalare ogni volta che ci apprestiamo a scrivere un articolo, a scattare una foto, a registrare un podcast o a girare un video. Perché lo stesso brand ci segue, come la testata
Varesefocus, anche sul digitale, dove i nostri anni sono minori. L’età del sito è più giovane. Ma dove tutto rimane fedele a se stesso. A quella dichiarata intenzione di raccontare da un osservatorio preciso ciò che avviene in provincia di Varese e nel mondo. Lasciamo ad altri l’illusione di essere obiettivi in senso assoluto.
Più di una volta, anche da colleghi giornalisti, ci è stato suggerito: “Togliete quel logo e potrete trasformarvi nel magazine del Varesotto”. La nostra risposta sta nei fatti e in una linea editoriale precisa. Magazine del Varesotto lo siamo. Ma lo vogliamo essere proprio consapevoli che ogni trasformazione o dinamica o fatto ha un lato da cui possono essere osservati e da cui dipende anche come
vengono raccontati e riportati. Senza per forza avere la pretesa di avere la verità assoluta in tasca, ma consci di poter offrire chiavi di lettura che possono aprire un dibattito o anche solo far riflettere.
Ecco perché parliamo di onestà intellettuale. Perché tutti devono sapere, senza fraintendimenti, che ciò che raccontiamo in queste pagine è una visione di parte, anzi di parte sociale. La visione di Confindustria Varese e delle sue imprese. Non per questo ciò che avete letto in questi anni è sempre stata l’opinione ufficiale della Confindustria locale. Anzi, su ogni tema raccogliamo opinioni e interviste da chi la pensa diversamente. Lo abbiamo fatto anche quando ci siamo occupati dell’argomento che più ci coinvolge in maniera diretta: il ruolo dei corpi intermedi nella società moderna. A maggior ragione usiamo lo stesso modus operandi nel parlare di Europa, energia, inclusione, Intelligenza Artificiale, politiche industriali, sostenibilità, sviluppo locale, logistica, futuro, solo per rimanere alle ultime inchieste che abbiamo svolto nei mesi più recenti.
Magni
Responsabile di Varesefocus (a cui, chi scrive, sempre si ispira e sempre sarà grato per gli insegnamenti ricevuti).
di partenza di un’inchiesta per alzare lo sguardo sul mondo e le trasformazioni in atto nel sistema produttivo e nella società.
Proprio per questo, così come rivendichiamo la trasparenza con la quale dichiariamo il punto di vista da cui parte la narrazione delle nostre comunità, con altrettanta forza affermiamo che Varesefocus non è mai stato e mai sarà un house organ. E per questo lavoriamo ogni giorno. Rimanendo fedeli al mandato originario e fondativo di questa rivista e di chi l’ha pensata e voluta. Tra i tanti un nome su tutti, quello del compianto Mauro Luoni, primo Direttore
Non siamo un house organ, dicevamo. Nel senso che su queste pagine non si parla solo ed esclusivamente di Confindustria Varese. Anzi se ne parla meno di quanto potremmo. Ma è giusto così. E quando lo facciamo, cerchiamo di inquadrare l’aggiornamento sulle iniziative dell’Associazione datoriale che edita questo giornale all’interno di un quadro più ampio. Di una narrazione più completa.
Se dobbiamo dare la notizia di un nuovo progetto o accordo di Confindustria Varese su un tema, ciò è il pretesto per un racconto giornalistico di ciò che su quello specifico fronte di impegno, mercato di riferimento, questione di interesse, dinamica di sviluppo, sta avvenendo tra le imprese, sul territorio, a livello nazionale e internazionale. È il punto
Se in questi 25 anni non ci fosse stato Varesefocus, sarebbe mancato un pezzo fondamentale della narrazione di questa provincia di confine e, allo stesso tempo, al centro dell’Europa. Non che altri giornali locali non si occupino degli stessi argomenti. Ma lo fanno in maniera diversa, partendo da altre tecniche di narrazione e altre bussole di riferimento. Non lo fanno (lecitamente, intendiamoci) dal punto di vista delle imprese per l’appunto. Che hanno, invece, estremamente bisogno di disinnescare quella cultura antindustriale ancora troppo forte in fasce eccessivamente ampie di società. Così come hanno bisogno di contrastare troppi luoghi comuni che circondano il sistema produttivo. Primo fra tutti quello che “a Varese l’industria non c’è più”. Come spesso vox populi rimpiange. Ma non è così. Varese rimane uno dei territori a maggiore vocazione manifatturiera del Paese. Con una densità di imprese per chilometro quadrato che in alcune aree della provincia raggiunge picchi da record nazionale ed europeo.
Abbiamo calcolato che in questi 25 anni su queste pagine e sul nostro sito sono state raccontate più di 600 storie diverse di imprese. Anche solo per riportare tutte quelle delle realtà associate a Confindustria Varese servirebbero altri 25 anni. Il che dà il senso, allo stesso tempo, della missione che abbiamo davanti
La copertina del primo numero di Varesefocus
e di quanto il Varesotto sia ancora oggi terra di industria. E comunque 25 anni non basteranno, perché il nostro magazine non intervista solo imprenditori associati al sistema confindustriale.
Detto questo, non è solo questione di numeri. L’impresa ha anche bisogno di tecniche di narrazione diverse da quelle che troviamo sugli altri siti o sui quotidiani, perché spesso le loro sono storie che potremmo definire “non-notizie”. Ossia racconti che non portano al titolo ad effetto, allo scoop. Non prestano il fianco alle esigenze del moderno “strillone” digitale
rappresentato dai post acchiappa click sui social network. Non per questo, però, non meritano di trovare spazio o di arrivare all’opinione pubblica. Pena l’impossibilità di capire alcune dinamiche alla base di ciò che avviene ogni giorno nelle nostre vite e nelle nostre città. Il nostro è un giornalismo non gridato. Fatto con i testi lunghi dell’approfondimento e con i tempi dilatati di una scrittura pensata per una lettura di ragionamento, più che di semplice informazione. E che segue le trasformazioni in atto nel mondo produttivo. Oggi narriamo vicende aziendali diverse rispetto a quelle degli inizi degli anni 2000.
Inclusione, welfare aziendale, ricomposizione delle filiere su uno
scenario globale sempre più a blocchi e conflittuale, manifattura digitale, Intelligenza Artificiale, sono tutti temi che un tempo non esistevano nel sommario della nostra rivista. Raccontare un territorio così fortemente caratterizzato dal fermento imprenditoriale vuol dire anche occuparsi di tutte quelle diramazioni con cui la vita d’impresa permea la società locale e le sue comunità. Scuola, tecnologia, cultura e arte in primis. E non solo. Raccontare Varese con gli occhi delle imprese vuol dire anche fare marketing territoriale, un compito che con la nostra storica rubrica “Gita a” svolgiamo dal primo giorno. Così come vuol dire raccontare storie di sport. Anche qui, però, a Varesefocus per fare un articolo non serve il risultato, il campione, il trofeo vinto o sfiorato. Basta solo la passione di quelle tante Associazioni e di quegli atleti che narriamo nelle loro fatiche quotidiane con l’obiettivo di avvicinare alle varie discipline (anche quelle meno popolari) i più giovani.
Ecco, questo ha rappresentato e vogliamo che rappresenti ancora per i prossimi anni Varesefocus. Con nuove iniziative (stiamo lavorando ad un nuovo sito Internet per innovare un racconto che è comunque e inevitabilmente sempre più digitale). Con festeggiamenti alle porte (celebreremo questo anniversario tra la gente, stay tuned...). Con nuove inchieste e nuovi articoli (pronti ad aprirci ai suggerimenti dei nostri lettori). Senza autoreferenzialità. A partire da questo stesso focus di apertura di un numero con il quale vogliamo celebrare il nostro primo quarto di secolo di vita cercando di capire, con il nostro stile, come il giornalismo locale si sia trasformato in questi ultimi anni, con le interviste ai protagonisti varesini dell’informazione (televisivi, web, sulla carta) e della comunicazione d’impresa. Di noi abbiamo già parlato abbastanza. Ora la parola a loro. Agli altri punti di vista.
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Davide Cionfrini
Foto di Agenzia Blitz
Il quotidiano cartaceo che, tra approfondimenti, inchieste e commenti prende sempre di più le sembianze di un settimanale. L’attenzione crescente per il web e le varie forme di narrazione digitale. L’obiettivo dichiarato di non voler essere semplicemente una testata giornalistica, ma sempre di più un vero e proprio “protagonista della società” varesina.
La sacralità di un tempio (sia esso religioso o laico) non sta nel significato storico che quel luogo ha per una comunità, ma in ciò che, anche grazie al proprio passato, rappresenta ancora oggi per molte persone, per la propria capacità di interpretare il presente e, se possibile, offrire chiavi di lettura per affrontare il futuro. In un mondo digitale la sfida per giornali nati cartacei, soprattutto quelli locali, è proprio questa: rimanere dei punti di riferimento. Conservare la propria caratteristica di templi, con il relativo rispetto che ad essi si deve quando si varca la soglia di ingresso. Forse è anche per questo che, quando si entra dalla porta della redazione della Prealpina, nella storica sede di viale
Tamagno a Varese, si è portati, come giornalisti, a camminare quasi in punta di piedi. Per chi fa informazione (e non solo) quello non è un luogo come un altro. La tradizione che si respira, e in un certo senso anche rivendicata nell’organizzazione del primo corridoio, sfuma nelle sfide del presente salendo per le scale che portano al piano superiore dove si trova la redazione. Con i suoi giornalisti. Le firme Pasquale
Martinoli e Marco Croci sono impegnate nell’aggiornamento del sito web. La cronista delle pagine di economia, Emanuela Spagna, lavora ad un’inchiesta che, partendo dai dati del Centro Studi di Confindustria Varese, cercherà il giorno dopo, di spiegare cosa sta avvenendo nel sistema produttivo locale che registra un export in calo. Il capo redattore centrale, Andrea Anzani, si alza a stringerci la mano per tornare poi subito al suo schermo per lavorare ad un’edizione cartacea del
quotidiano, che il giorno dopo andrà in edicola con un titolo di apertura sui 100 anni dell’Autostrada A8, “apripista dello sviluppo d’Italia”. Ad accompagnarci nel tour è il Direttore, Silvestro Pascarella, entrato alla Prealpina come giovane giornalista 35 anni fa: “Sono arrivato qui nel 1990. Mi sono laureato a 24 anni, il 26 ottobre di quell’anno, il primo novembre ero già qui con un contratto, al lavoro in redazione”. Anche questo incipit di racconto è il segno di quanto i tempi siano cambiati. Il mondo del
giornalismo non è più lo stesso. Ma non è semplicemente questione di opportunità lavorative. “La notizia in quanto tale non è cambiata. Nel senso che gli elementi che fanno di un fatto una notizia sono sempre gli stessi. Ciò che è cambiata è la sua narrazione, ma soprattutto la sua prospettiva”.
L’incidente, il comunicato stampa, l’evento sono subito news sul web “dove dobbiamo arrivare prima della concorrenza”. Poi c’è l’eventuale aggiornamento nel corso della giornata “che dobbiamo garantire con
tempestività, puntualità e freschezza, sapendo raccogliere l’attenzione dei lettori sui social network che sono la principale porta d’ingresso sulla notizia”. E nel frattempo si lavora all’approfondimento, alla chiave di lettura da proporre sul quotidiano cartaceo che sarà in edicola il giorno dopo “e che ormai si è trasformato in una sorta di settimanale, dove il fatto, che sul web è notizia, qui diventa inchiesta, narrazione di personaggi e di storie”.
Un flusso di lavoro “molto più difficile da gestire di un tempo. Non esiste più l’impegno di un singolo giornalista che scrive un articolo statico. È un flusso continuo da gestire, che dal web arriva alla carta con un’azione di squadra e che dobbiamo saper interpretare con vari linguaggi: scrittura, video, tg web, infografiche, fotografia”. Il segreto secondo il Direttore Pascarella è “saper dare al pubblico l’idea di questo movimento”. E sapersi adattare ai vari tipi di lettore a cui ci si rivolge “più giovane sul web e più avanti con gli anni sulla carta”. Anche se non è solo questione di età: “Il giornale cartaceo, ad esempio, è ancora uno strumento usato dai professionisti. E come tale deve essere, dunque, da noi pensato in ottica di far comprendere le dinamiche del territorio a chi vi opera a vario titolo”.
Informare, però, non è ormai l’unica missione di un giornale. La modernità porta anche a maggiore responsabilità. “Non vogliamo essere solo osservatori di una realtà da raccontare e spiegare”, confida Pascarella: “L’ambizione è quella di essere come Prealpina dei protagonisti della società. Contribuire a creare dibattito e a trovare le strade giuste per costruire il futuro”.
Va in questa direzione, ad esempio, l’attività di organizzazione di eventi come EconomixLab, nato come think tank per far incontrare la business community locale e creare momenti di confronto sugli scenari di sviluppo. “Il racconto dell’economia
e delle imprese per noi rappresenta un tassello fondamentale, specchio dell’importanza che tali tematiche rivestono per una provincia così industrializzata come quella varesina”, racconta ancora il Direttore della Prealpina.
Così come vanno su questa scia di voler creare dibattito nella comunità anche le prime due pagine di ogni edizione del quotidiano cartaceo, dedicate ai commenti, agli interventi e a temi di primo piano scandagliati ogni giorno. “È una scelta che ci contraddistingue”, chiosa Pascarella prima di dismettere i panni dell’intervistato e rimettersi dall’altro lato del taccuino, pardon della tastiera, a cui torna pensando, probabilmente, all’attacco del suo editoriale che dedicherà al rimpasto di giunta a Busto Arsizio. Da commentatore, prima ancora che da cronista. E che dibattito sia.
Né locale, né nazionale. “Semmai ci collochiamo nella fascia della stampa più regionale”, spiega il Responsabile della redazione centrale, Guido Bandera. Eppure, quando si sfoglia Il Giorno è come avere più giornali in mano. Con tanto di Lombardia, certo. Ma anche di cronaca italiana e internazionale, grazie alla rete QN - Quotidiano Nazione, di cui fa parte insieme alle testate La Nazione e il Resto del Carlino. A cui si aggiunge la possibilità di avere i dettagli dei fatti salienti di Varese e Legnano, per chi abita nella zona, “che copriamo – spiega ancora Bandera – con 3 corrispondenti fissi e diversi collaboratori”. Le redazioni locali sono ormai un ricordo di qualche anno fa. Ma il presidio del territorio rimane una caratteristica di questa storica testata giornalista, che non molla Varese. Anzi, la tecnica dei diversi dorsi permette di conciliare varie anime e
accontentare più lettori. “Qual è il nostro di lettore? Quello che ci legge”, risponde serafico Bandera che però, al di là della battuta in stile “titolo ad effetto”, non si esime dallo scendere nei dettagli di un identikit che sia lui, sia la sua redazione hanno ben presente ogni giorno che realizzano il giornale: “Il nostro è un utente popolare con un background culturale elevato. Manager, impiegato o operaio con la passione per la lettura, che non si accontenta della semplice notizia, ma che, allo stesso tempo, non ama le forzature di un giornalismo schierato, essendo una persona non militante dal punto di vista politico”. Anche la geografia ha la sua importanza: “Rispetto ad altri giornali che sono più spalmati come diffusione, noi più usciamo dal centro più vendiamo”. Giornali nel giornale, Il Giorno offre ad ogni edizione diversi speciali tematici. Scuola
e benessere solo per fare alcuni esempi. Ma anche economia. Un tema, anche questo, presidiato ad ogni livello, non solo, dunque, milanocentrico: “L’attenzione per il mondo produttivo e delle imprese delle varie province lombarde è nel nostro dna, così come il racconto economico”, conferma Bandera. Non potrebbe essere diversamente per la testata giornalistica nata negli anni ‘50 su volontà del Presidente dell’Eni, Enrico Mattei. “Certo – continua Bandera – a livello locale non siamo in grado e non abbiamo gli spazi per raccontare ogni singolo fatto di cronaca. Il singolo Consiglio comunale non è coperto, ma nella narrazione del territorio non tralasciamo un racconto puntuale delle sue imprese. Con le storie di medie aziende che trovano spazio anche nelle pagine regionali, non solo varesine. Il nostro obiettivo è saper interpretare le grandi trasformazioni in atto”.
Silvia Giovannini
Dall’informazione glocal alla comunità. L’esperienza sempre in movimento di VareseNews, il giornale nato nel 1997 che 27 anni dopo conta su un team di 30 collaboratori che creano contenuti quotidiani per centinaia di migliaia di persone nel mondo online e sui social, raccontata dal suo Direttore Marco Giovannelli. Tra progetti passati, futuri e tanta voglia di condivisione
‘‘Il giornalismo digitale che guarda il mondo da una prospettiva locale”. La felice definizione con cui nasceva nel 2012 il Festival del giornalismo Glocalnews racchiudeva in sintesi il cuore della testata che lo promuove: VareseNews. Un po’ anacronistico oggi definire testata locale un giornale che, partito nel 1997, da un
circolino di quartiere con un obiettivo estremamente coraggioso, oggi ha raggiunto numeri da capogiro: un team di 30 persone creano contenuti quotidiani per centinaia di migliaia di persone nel mondo sul giornale online e sui social, per circa 500mila pagine viste al giorno e 500mila account collegati dalle diverse piattaforme. Qualche numero che però non dà l’idea della
GLOCAL
PROGETTO MATERIA
complessità e, soprattutto, dell’anima di un progetto strutturato che trova forza nelle sue persone e nel desiderio incessante di fare sempre qualcosa di nuovo, sperimentare, rompere schemi. Mantenendo però intatte le proprie radici. A raccontarlo il Direttore, mente e cuore di tutto il progetto, Marco Giovannelli.
Si può dire che con quella stessa visione coraggiosa con cui è partito, oggi VareseNews diventa Materia, con un progetto che anche questa volta “guarda il mondo da una prospettiva locale”?
Ci piace dire che il sogno si è fatto Materia. Un nome che rappresenta il progetto nato per rigenerare i locali dell’ex scuola Marconi di Sant’Alessandro a Castronno, chiusa per mancanza di bambini, dove sorgerà anche la nuova redazione di VareseNews. Ma Materia non è solo un luogo fisico: il nostro obiettivo è riportare questo spazio ad essere un centro vibrante ed accogliente per tutta la comunità. Un luogo di incontro, confronto, connessione, con una vera e proprio piazza-agorà e una caffetteria, dove dedicarci del tempo per costruire insieme una vera comunità.
Apparentemente questo non c’entra nulla con il giornalismo e, invece, sembrerebbe proprio la linfa vitale del progetto editoriale. VareseNews è da sempre un progetto giornalistico legato alla comunità: dalla sua struttura
societaria, che comprende enti, associazioni e imprese, alla storica festa di “Anche Io”, che oggi diventa associazione, al Festival del giornalismo Glocalnews che porta a Varese giornalisti da ogni parte di Italia, ma anche nel mondo. Dietro a tutto quello che facciamo c’è la comunità, che diventa essa stessa il giornale.
In che senso?
Materia lo esemplifica chiaramente. Vuole essere uno spazio aperto a partire da associazioni, studenti, cittadini, imprese, a tutti quelli, cioè, che vogliono guardare al domani, riflettere sul senso delle cose e valorizzare i legami che intrecciano le nostre vite. La comunità è il cuore del progetto, è opportunità, ma è anche responsabilità. Riaprire una scuola in un borgo è una esperienza forte, coraggiosa e ricca di energie. Non si tratta di qualcosa di nostro come redazione, ma di un cammino condiviso da quanti vorranno camminare con noi. Circondata dall’energia del lavoro dei giornalisti e dal flusso continuo di informazioni, la caffetteria diventerà un punto
di incontro dove idee e progetti prenderanno vita. Uno spazio animato da conversazioni, incontri e momenti di tanti generi, il tutto immerso in un ambiente in continuo movimento. Non sarà solo un luogo per un caffè o un aperitivo, ma una vera e propria fucina di creatività, dove ogni visita diventerà un’opportunità per partecipare a qualcosa di significativo e contribuire alla crescita di un progetto che unisce e valorizza ogni singolo contributo.
E la comunità risponde?
“Abbiamo un sogno da sognare insieme a voi” è lo slogan della campagna “Anche Io sono Materia”. Per dare vita a questo progetto abbiamo aperto una raccolta fondi, un crowdfunding realizzato sulla piattaforma Ginger, dove ognuno può partecipare con grandi o piccoli contributi economici. Appena aperta, abbiamo avuto una risposta estremamente positiva e generosa. Non era affatto scontato, è un qualcosa che ci dice molto su di noi e sul desiderio di essere parte della comunità.
Mentre lavorate a Materia ovviamente non si fermano
tutti gli altri progetti, a partire dall’informazione quotidiana. Restando nelle iniziative speciali, una su tutte è Glocalnews, il festival del giornalismo locale e globale, ormai un appuntamento irrinunciabile per molti, redazione di Varesefocus compresa.
L’ottava edizione del festival si preannuncia ricca di novità. Un programma esteso quest’anno a 10 giorni, dall’1 al 10 novembre e che ci vedrà proiettati all’interno del cambiamento che l’Intelligenza Artificiale sta generando nelle redazioni e non solo. Oltre alla collaborazione con l’Osservatorio europeo di giornalismo, come prestigioso partner scientifico, saranno ospiti a Varese i big della letteratura e del giornalismo. Come sempre molto spazio per le diverse forme di narrazione, dai podcast (con una bella novità che vedrà VareseNews a fianco di Chora Media) ai docufilm. Dalla formazione tecnica per i giornalisti a momenti per i lettori, gli ingredienti non mancheranno. Anche in questo caso il tutto nasce per e dalla comunità: un’energia che letteralmente diventa “materia”.
Chiara Mazzetti
Malpensa24, Varesenoi, Il Bustese, Luino Notizie, Il Saronno. Negli ultimi anni la provincia varesina ha visto la nascita, digitale, di molte testate giornalistiche che hanno contribuito, al fianco di quelle più storiche e cartacee, a rinverdire il panorama delle proposte editoriali. Tra soluzioni iperlocali, approfondimenti tematici e in comune la stessa voglia di raccontare o, meglio, narrare il territorio e chi lo vive quotidianamente
‘‘Bisogna essere un po’ matti per avventurarsi in una nuova iniziativa editoriale con i tempi che corrono”. Si apriva così l’editoriale di lancio di Malpensa24, sbarcato online nella notte del 9 maggio 2018, a firma del Direttore Vincenzo Coronetti, storico giornalista della carta stampata varesina che, dopo una carriera lunga oltre 40 anni, ha deciso così di passare “dall’altra parte della barricata”. Non senza qualche difficoltà iniziale, come ammette lui stesso: “Confesso che il passaggio non è stato semplice, soprattutto per questioni di età anagrafica: riposizionarsi in questo nuovo comparto è stata una sfida, stimolante ed affascinate”. La nascita di Malpensa24, edito dal Gruppo Iseni Editori di Castano Primo, ha
contribuito a corroborare il fermento della comunicazione web varesina, affiancandosi a realtà più consolidate così come ad altre altrettanto emergenti. “L’idea editoriale alla base di questo progetto – spiega di nuovo il Direttore Coronetti – era creare una fonte di informazione indipendente,
libera, pluralista, senza velleità di imporsi su altre testate già in essere. L’obiettivo era piuttosto proporsi come una valida alternativa”. In un’area ben precisa, ma estremamente vasta, come quella dell’aeroporto di Malpensa che comprende, come nucleo centrale, le città di Busto
Una delle prime emittenti private locali d’Italia. La voce del Varesotto da oltre 40 anni. Lanciata come emittente dedicata alla sola città di Varese, è cresciuta, arrivando a trasmettere sul territorio di tutta la Lombardia. Quando si parla di comunicazione ad ampio raggio, nella provincia all’ombra delle Prealpi, è impossibile non citare Rete 55. “Fare questo mestiere significa vivere a contatto quotidiano col tessuto di questo territorio, con la gente e le comunità che lo compongono e lo vivono, con cadenza quotidiana, con continuità, con attaccamento”, rivela Matteo Inzaghi, Direttore dell’emittente televisiva varesina da 20 anni. Ma cosa significa fare televisione in un territorio come quello
della provincia di Varese? “Significa sforzarsi di vederlo e raccontarlo da due angolazioni differenti, con una sorta di virtuoso strabismo e questo perché, da un lato, noi siamo parte di questo territorio. Dall’altro, però, dobbiamo provare a raccontarlo estraniandoci, guardandoci dall’esterno e misurandoci, specie in termini economici, politici e culturali, con ciò che accade fuori”. La televisione, a detta di Inzaghi, nonostante gli enormi stravolgimenti portati dall’avvento dei social, è rimasta il mezzo che consente alle persone di godersi un certo tipo di fruizione informativa, ovvero l’approfondimento. Che si tratti di un evento sportivo o di una maratona elettorale. “Rete 55 ha una
linea editoriale che oggi presenta una componente di capillare informazione territoriale. A fianco di questo motore, abbiamo cercato di investire sempre di più nel corso degli anni in quello che ritengo essere il nostro valore aggiunto, ovvero la narrazione. Noi non ci poniamo come cronisti di questo territorio, ma come interlocutori e narratori. A fronte di notizie che i colleghi di altre testate hanno raccontato prima di noi, ci prendiamo il tempo per riportarle in maniera più approfondita, per commentarle. Per cercare di formare opinioni su contenuti che sono già stati dati. A me piace l’idea che la nostra sia un’informazione e, appunto, una narrazione accessibile a tutti”.
Arsizio e Gallarate. “Siamo partiti dal racconto di quanto gravitava intorno al sedime aeroportuale, per poi arrivare gradualmente ad includere anche il capoluogo di Varese”, ammette Coronetti, il cui giornale online, insieme a cronaca e commenti dei fatti più rilevanti del giorno, sta dando sempre più spazio ad approfondimenti di natura politica.
Attualmente sono una decina i collaboratori di Malpensa24, tra cui un gruppo di editorialisti che, come sottolinea il Direttore, “qualificano il lavoro di tutta la redazione. Col tempo siamo diventati un giornale vero e proprio: un risultato importante, dato che questa avventura editoriale partiva senza certezza alcuna, ad eccezione di un editore che credeva molto nel progetto e che ha messo a disposizione risorse importanti. Abbiamo creato una squadra di professionisti e pian piano ci stiamo imponendo accanto ad altri giornali importanti e storici”. Coronetti, che nel futuro del giornale di cui è Direttore vede ampi margini di crescita ed espansione anche in
territori al di fuori dei confini della provincia varesina, non lesina tuttavia a disapprovare l’eccessiva velocità e la conseguente approssimazione che, spesso, i tempi del web impongono ai giornalisti 4.0. “La concorrenza esasperata e la necessità di arrivare sempre per primi a pubblicare una notizia, hanno reso il lavoro del comunicatore molto complesso. Per non parlare poi dei social network, che hanno conferito il titolo di ‘giornalista’ a chiunque sia in grado di pubblicare una news velocemente, seppur falsa e non controllata. È dei giornali il compito di dare notizie vere e verificate, non approssimative semplicemente per tentare di arrivare per primi. Chi fa il mestiere del giornalista può e deve verificare le proprie fonti, la differenza sembra sottile ma è abissale”.
Negli ultimi anni, ad arricchire il panorama delle proposte giornalistiche online nel Varesotto, è stato anche il gruppo editoriale More News Soc. Coop., che ha contribuito alla nascita ed allo sviluppo di alcune
testate iperlocali come Varesenoi, Il Bustese, Luino Notizie e Il Saronno. “La provincia di Varese, molto più rispetto ad altre province, ha ben chiare e marcate alcune identità territoriali – spiega l’editore del gruppo, Enrico Anghilante –. Perciò, arrivando anagraficamente per ultimi sulle piazze giornalistiche varesine, abbiamo puntato sulla scelta, rivelatasi strategica e vincente, di verticalizzare ed iperlocalizzare le nostre proposte”. Obiettivo: conquistare l’attenzione di uno bacino molto specifico di lettori. “Il nostro target di riferimento è generalista, ma con differenziazioni da zona a zona. Ad esempio, gli articoli che pubblichiamo sulle testate varesine, sono orientate principalmente a tematiche sportive. Su Busto, invece, c’è una forte attenzione alla valle e al racconto delle persone che hanno reso la città quella che è oggi”, precisa Anghilante.
More News, il più grande gruppo di editoria online privata in Italia, con 17 province coperte, 157 collaboratori aggregati e 25 giornali totali, tra
Piemonte, Liguria, Lombardia Valle d’Aosta, Montecarlo, Costa Azzurra e non solo, può contare su di un vasto bacino di utenza, proveniente da un’area geograficamente molto ampia. “Questo è da sempre parte della nostra strategia di posizionamento – aggiunge ancora Enrico Anghilante –, ovvero poter offrire a lettori ed inserzionisti, con le nostre diverse proposte, la possibilità di intercettare opportunità e necessità difficilmente intercettabili in un territorio non così ampiamente presidiato come quello che copre More News”.
Ma come si distinguono le varie strategie social delle diverse testate curate della webagency con sede principale a Cuneo, che per il 2025 ha piani di crescita ed espansione in nuove province lombarde? “Sono ovviamente differenti a seconda dei territori in cui il giornale opera. In alcuni casi l’utilizzo dei social network è quasi residuale, mentre in altri è un lavoro fondamentale per la diffusione della notizia. Questo è il
caso, ad esempio, de Il Bustese che ha bisogno dei social per nutrirsi di accessi e consolidare i lettori, trasformandoli in abitudinari. In provincia di Varese la strategia social è fondamentale, essendo i prodotti giovani e bisognosi della visibilità che soltanto una condivisione su larga scala può consentire”, precisa Anghilante.
Parte della Holding editoriale Sev Spa, che edita anche La Prealpina, Sempione News (e l’omonimo mensile cartaceo) da quando è nato, nei primi anni 2000 come Assesempione, copre con il suo raggio d’azione e d’interesse un ampio territorio che segue, idealmente, l’asse del Sempione (per l’appunto) tra Legnano e Rho. Una sorta di giornale a cavallo tra due territori, quello dell’Altomilanese e quello del basso Varesotto. “Quando si fa giornalismo online è molto difficile definire i confini perimetrali di quello che si vuole raccontare, cosa che accade molto più facilmente sulla carta stampata in cui ci sono pagine dedicate a specifiche aree territoriali. Questo significa che, spesso, ci
ritroviamo a fornire ai nostri lettori notizie che esulano dall’ambito geografico insito nel nome stesso della testata, sconfinando di qualche chilometro. E lo facciamo volutamente, con l’intento di agganciare l’interesse di chi ci legge su tematiche trasversali, come ad esempio la politica e la logistica, pur non trattandosi di news della porta accanto. Il nostro compito è garantire il giusto mix, senza snaturaci e perdere la nostra identità”, spiega Andrea Anzani, Direttore di Sempione News e Caporedattore centrale de La Prealpina. Ma per quale motivo un quotidiano storico della provincia di Varese come La Prealpina, con i suoi oltre 130 anni di storia, ha deciso di puntare su un prodotto
r
editoriale online e decisamente più giovane, come Sempione News? Qual è la strategia di posizionamento che sta alle spalle di questa scelta? “La volontà di andare a fare dell’informazione di qualità, come facciamo da anni con La Prealpina, in una zona diversa da quella coperta usualmente – spiega di nuovo Anzani –. L’obiettivo è portare l’esperienza del nostro gruppo editoriale in un territorio che riteniamo strategico, importante e in costante sviluppo, specialmente per la vicinanza alla città di Milano e all’area fieristica, realtà che rappresentano due poli in grado di trainare il movimento economico e sociale e quindi anche dell’informazione”.
Silvia Giovannini
Sguardo rivolto al futuro, naturalmente
all’Intelligenza Artificiale, ma anche piedi ben piantati a terra, con un’attenzione crescente su quello che si comunica (e come lo si comunica) al mercato, ai giornalisti e agli stakeholder, ma anche all’interno degli uffici e tra i colleghi per creare senso di appartenenza. Come affrontano la complessità i professionisti che, nelle imprese, si occupano di informazione, ufficio stampa, social network e marketing?
Lo abbiamo chiesto alla Community dei Comunicatori di Confindustria Varese
Cambiamento continuo e ritmi incessanti.
Sembrerebbe il mood del comunicatore del 2024, un po’ Milanese Imbruttito, un po’ novello Eraclito: tutto scorre. E molto in fretta. Quasi in modo ansiogeno. Per chi si occupa di comunicazione in azienda, la corsa è duplice: per stare al passo con l’innovazione digitale (e non solo) dell’impresa in cui si lavora e per stare al passo con una comunicazione che, anche in termini di strumenti e di canali, varia con una velocità spesso
superiore alla capacità di aggiornarsi. Ma è davvero così estenuante o l’esperienza e i metodi consolidati nel tempo, competenze più giornalistiche e coerenza di visione con la strategia aziendale, restano un punto saldo nel tempo per chi comunica pur nel variare dei contesti? La risposta è probabilmente soggettiva, ma una sicurezza c’è: la solidità della comunicazione del territorio si riscontra in un continuo fermento creativo che si concretizza nelle attività più disparate e di successo.
Ma come si comunica in azienda?
Abbiamo chiesto ad un campione di 30 professionisti comunicatori che fanno parte della Community dei Comunicatori di Confindustria Varese di raccontarci la strategia della loro impresa. La Community è un gruppo di professionisti che lavorano all’interno delle aziende del territorio, diverse per classe dimensionale, settore produttivo e posizione geografica all’interno della provincia e che si occupano, specificatamente o in parte, di ufficio stampa, comunicazione e promozione d’immagine. Un gruppo che mette insieme professionisti che, pur in ambiti molto diversi, si trovano ad affrontare sfide simili.
Il quadro disegnato dagli intervistati sostanzialmente racconta di una presenza di una struttura dedicata alla comunicazione per la quasi totalità delle imprese (94%), ma solo il 50% di queste ha al suo interno un team dedicato. Nel 36,6% l’azienda punta sulla figura di comunicatore unico e nel 7% sull’attività di un professionista che si occupa di altre mansioni, ma prestato alla comunicazione. Spesso la realtà dei fatti è che si tratta di funzioni prossime, ma soprattutto di persone con una spiccata sensibilità al tema.
All’interno di questo contesto, i professionisti si dicono soddisfatti dell’efficacia della strategia comunicativa aziendale esterna (molto efficace secondo il 17% ed efficace per il 62%). Solo il 3,5% degli intervistati la ritiene inefficace, ma nessuno totalmente inefficace. La soddisfazione è meno decisa per quanto riguarda
la comunicazione interna. In questo caso, accanto ad un 3% che non ha intrapreso nessun progetto specifico, un buon 30% la ritiene neutra o addirittura inefficace nel centrare gli obiettivi. Un dato interessante che si allinea con quello nazionale messo in luce dall’indagine “About Us 2024”, promossa dall’agenzia The Van Group, che indaga i trend della comunicazione interna nelle imprese italiane, concentrandosi, però, su un campione di grandi. La ricerca mette in evidenza soprattutto come “nella profonda evoluzione che la comunicazione ha visto negli ultimi 20 anni, quella interna si è ritrovata suo malgrado a essere la Cenerentola, spesso superata (in termini di rilevanza e di budget) da quella esterna e ingiustamente frenata da una serie di vincoli”. Un’attitudine che, secondo tutti i dati
emersi, sta cambiando in particolare sulla spinta della diffusione di una serie di sensibilità, a cavallo tra la comunicazione e le risorse umane, che ha avuto una evidente accelerazione in post pandemia.
Per quanto riguarda, invece, le aree d’azione, nelle imprese varesine sono presenti molteplici ambiti: oltre alla classica comunicazione esterna e a quella interna, coesistono strutture dedicate più specificamente al marketing e alla grafica. Solo il 33%, tuttavia, ha anche un ufficio stampa.
Dal punto di vista tattico, l’investimento in attività di social network coinvolge le imprese sulle principali piattaforme. Se il gruppo Meta, in linea con tutti i dati nazionali e quelli di riferimento di Wearesocial, la fa da padrone, sommando la presenza su Facebook e X (ex Twitter),
mentre TikTok fa timido capolino in classifica, le imprese, come abbastanza prevedibile, puntano su LinkedIn con una presenza del 96,6% degli intervistati. In quanto a strategie social particolari, come il coinvolgimento di influencer testimonial, solo il 13% ha dichiarato di aver intrapreso attività di
I comunicatori varesini sono soddisfatti dell’efficacia della propria strategia aziendale esterna. Margini di miglioramento, invece, per la comunicazione interna
questo tipo e di avere l’intenzione di ripeterle.
Il punto più interessante del sondaggio (tanto più se si pensa che lo stesso è stato realizzato con l’assistenza dell’Intelligenza Artificiale come test) riguarda proprio l’AI. Il 41,3% dei professionisti intervistati ha dichiarato di aver messo in campo progetti ad hoc. Se mettiamo questo dato a confronto con i numeri dell’edizione 2024 dell’Osservatorio Artificial Intelligence, promosso dal Politecnico di Milano con partner prestigiosi, emerge che 6 grandi imprese su 10 hanno già avviato almeno un progetto di AI, mentre solo il 18% delle Pmi ha fatto altrettanto. Per citarne altri, i dati regionali presentati durante i roadshow di Piccola industria e Anitec-Assinform evidenziavano gli elevati investimenti in merito per la Lombardia. Va
detto che questi numeri non sono specificamente concentrati sull’ambito creativo della comunicazione, ma quello che si evidenzia in tutti i contesti è un ampio margine, e una relativa volontà, di crescita. In soldoni, però, tanto se ne parla, ma dal punto di vista operativo molte imprese sono ancora nella fase di sperimentazione o addirittura di cauto “chi va là”. Nello specifico, i comunicatori intervistati raccontano di utilizzare la AI, in particolare Chat GPT principalmente per la generazione di testi e copy in prima bozza, per la formulazione di testi da utilizzare sui social, per presentazioni e schede di progetto, per la realizzazione di immagini, per offrire spunti interessanti e aiutare a strutturare meglio i contenuti, ma anche per traduzioni, analisi dati e report.
Considerando il tema specifico,
ma non solo, ai comunicatori è stato chiesto se, valutando il contesto attuale, pensassero di possedere tutte le competenze tecniche adeguate al ruolo. Il 70% ha risposto di non sentirsi del tutto preparato, ma di cercare di formarsi sempre costantemente. Probabilmente questa è la risposta solida per non soccombere al “panta rei”. Quella di continuare a formarsi non solo è la natura dei comunicatori, ma sembra l’unica via per affrontare le nuove sfide. Che, per quanto si presenteranno rapide, troveranno così professionisti pronti ad affrontarle.
Per sapere di più sulla Community dei Comunicatori di Confindustria Varese e partecipare alle iniziative del gruppo è possibile scrivere un’email a: comunicazione@confindustriavarese.it
Elisabetta Beffani
Neolaureata in Scienze della Comunicazione
L’Intelligenza Artificiale può aiutare quella umana ad essere più creativa? La domanda potrebbe suonare trabocchetto. Eppure, dalla risposta dipende il futuro di chi si occupa di comunicazione e informazione. In primis, per gli stessi giornalisti, ma anche per i comunicatori istituzionali e d’impresa. Il dibattito è aperto. Ecco il contributo di una giovane studentessa che al tema ha dedicato la tesi con cui si è appena laureata alla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università dell’Insubria
L’avvento dell’Intelligenza
Artificiale ha causato un profondo ripensamento del ruolo di questa tecnologia nella nostra vita quotidiana, ma soprattutto un’attenzione alle trasformazioni che essa porterà nel mondo del lavoro. I professionisti adottano diversi approcci di fronte a questo cambiamento: da un lato, c’è chi ha paura di essere sostituito, dall’altro, c’è chi è consapevole che l’AI modificherà i ruoli lavorativi mantenendo l’intelligenza umana essenziale.
Un settore in cui l’AI sta da tempo rivoluzionando diversi aspetti operativi è quello della comunicazione. Le hard e soft skills necessarie per comunicare efficacemente sono molteplici: dall’analisi del contesto, al costante aggiornamento sulle novità, fino
all’utilizzo delle giuste parole e alla ricerca delle strategie per raggiungere gli obiettivi. L’Intelligenza Artificiale è già ampiamente utilizzata per
automatizzare attività ripetitive e “noiose”, permettendo un risparmio di tempo rilevante. Tuttavia, l’uso di queste tecnologie non si ferma qui;
l’influenza dell’AI si sta estendendo sempre più a una delle competenze più “preziose” per distinguersi in un mondo saturo di contenuti: la creatività.
L’AI può aiutare a creare contenuti originali e innovativi e questo sta convincendo grandi aziende come Jacquemus e Heinz ad utilizzarla nelle proprie campagne di comunicazione. In particolare, l’AI Generativa può analizzare enormi quantità di dati, fornendo insight cruciali per comprendere meglio il target e creare messaggi, immagini e video con estrema velocità ed efficacia. Uno degli elementi che rendono l’AI una novità da accogliere è la capacità di proporre idee fuori dagli schemi, prive dei limiti che gli esseri umani sviluppano con l’esperienza. Questo avviene perché uomini e donne, a causa dei bias cognitivi, tendono spesso a cadere nell’isomorfismo istituzionale e a replicare modelli già noti, con il rischio di creare risultati simili a quelli di altre aziende. L’AI, libera da questi vincoli, può fornire un’alternativa creativa e sorprendente. Anche secondo una delle più importanti agenzie pubblicitarie
del mondo, Ogilvy, i contenuti generati dall’Intelligenza Artificiale durante le fasi di brainstorming possono essere un ottimo punto di partenza per la creatività umana, spingendosi oltre i confini della pubblicità convenzionale. Tuttavia, affidarsi completamente all’Intelligenza Artificiale può essere rischioso. In primo luogo, la tecnologia può sbagliare e non possiede il pensiero critico per capire se i dati utilizzati per addestrarsi siano veritieri o meno. Questo può portare ad errori, veicolazione di fake news o alla creazione di contenuti discriminatori e non etici. Inoltre, all’interno delle imprese, la tendenza è quella di accogliere le nuove opportunità che possono portare un valore aggiunto, ma nel campo della creatività potrebbe essere più difficile accettare che sia la tecnologia ad operare. La creatività è un concetto ampio che si applica a tanti contesti, ma alla base esiste sempre un elemento comune: essa si nutre di emozioni ed esperienze passate. Può una macchina replicare tali sentimenti? E quale sarà il ruolo degli esseri umani, se non di soli operatori di sistemi AI?
Come insegnava Aristotele, “la virtù sta nel mezzo”. L’Intelligenza Artificiale, pur essendo un potente strumento, non deve mai essere considerata una sostituta del pensiero umano, ma piuttosto un’alleata. Intuito e pensiero critico non sono replicabili da una macchina e ciò che viene prodotto dall’AI non dovrebbe essere il risultato finale. Essa può offrire nuovi spunti e velocizzare i processi, ma il tocco conclusivo, quel valore unico che deriva dall’esperienza e dall’empatia, deve rimanere nelle mani dell’uomo. Un caso del territorio a supporto di questo assunto è Studio Volpi, agenzia di Carnago specializzata in design concepts, tecnologia, branding e comunicazione, che sta sperimentando l’uso dell’AI nelle proprie attività, ma riconosce i tanti limiti che ancora questa tecnologia possiede. Può sicuramente essere utilizzata per la creazione di moodboard (raccolte di elementi che riflettono l’atmosfera di un progetto) oltre che per offrire alternative in fase di pre-produzione. In quanto all’aspetto etico, Studio Volpi sottolinea come l’efficacia e il valore dello strumento dipendano dall’uso che se ne fa: è fondamentale essere aperti alle novità senza dimenticare l’importanza delle competenze umane.
L’esperienza e la supervisione dell’uomo sono ciò che garantiscono il miglior utilizzo delle tecnologie AI e, soprattutto, un uso attento e consapevole. Il docente dell’Università LIUC, Luca Mari, nel suo libro “L’Intelligenza Artificiale di Dostoevskij”, riflette su come attualmente molte attività siano delegabili all’Intelligenza Artificiale, ma non la responsabilità verso la società. Si legge, infatti, che, se i sistemi di AI Generativa “fanno le cose giuste, non sappiamo come premiarli; se sbagliano, non sappiamo come punirli”. La tecnologia non può essere ritenuta colpevole per un errore che avrà influenze sulla società: in questo contesto, il ruolo futuro degli esseri umani sarà proprio quello di mantenere la responsabilità.
Redazione Varesefocus
Il progetto industriale del gruppo multinazionale svizzero per insediare un nuovo reparto produttivo per miscele di prodotti naturali, rafforza la presenza locale dell’azienda in provincia di Varese. Sono previste 20 nuove assunzioni per vari ruoli: produzione, controllo qualità, logistica e laboratori
L’investimento di 9 milioni di euro permetterà di istituire un nuovo reparto produttivo per miscele di prodotti naturali, creando 20 nuovi posti di lavoro, con un enorme impatto sul fatturato. Questo il progetto industriale che verrà realizzato da Givaudan, gruppo multinazionale svizzero specializzato in aromi e fragranze, nel suo sito di Caronno Pertusella.
“Il nostro obiettivo è rafforzare l’approccio alla sostenibilità della nostra
azienda ovunque sia possibile, con l’intenzione di portare, benefici concreti all’economia locale, all’occupazione e ai progetti della comunità”, afferma il direttore del sito Luca Santilli. “Ambiamo a svolgere un ruolo attivo nell’ecosistema economico locale in cui siamo collocati, sostenendo al massimo le opportunità di lavoro e le iniziative sociali delle scuole, delle fondazioni e delle cooperative. Vogliamo, allo stesso tempo, avere un impatto positivo e contribuire al benessere della nostra comunità”. Questo nuovo
investimento rappresenta un altro passo in avanti nel costante percorso di crescita del Gruppo. Originariamente fondata all’inizio degli anni ‘60 come Milanfarma, l’azienda è stata acquisita dalla società francese Naturex nel 2008, il che ha portato al suo nome attuale. Naturex è poi entrata a far parte del Gruppo Givaudan nel 2018, leader mondiale nel settore delle fragranze e della bellezza e del gusto e del benessere, con un fatturato di 7 miliardi di euro e 16.260 dipendenti in tutto il mondo. “Più ci siamo internazionalizzati, più abbiamo investito nella comunità locale”, riassume Santilli.
Un’azienda naturalmente verde
Il sito di Caronno Pertusella attualmente impiega 70 persone e si
prevede che questo numero aumenterà a 90 con il prossimo lancio del nuovo reparto produttivo. La struttura è specializzata nella produzione di una vasta gamma di prodotti finiti derivati da estratti vegetali. Questi includono ingredienti popolari come ginseng, luppolo, iperico, passiflora ed estratti di melissa, che sono ampiamente utilizzati nella produzione di integratori naturali che supportano uno stile di vita attivo. L’impresa produce, inoltre, conservanti di origine naturale come l’estratto di spinaci, che combinato con l’estratto di rosmarino, impedisce efficacemente l’ossidazione dei lipidi nei prodotti di tipo maionese.
Santilli spiega: “Siamo entusiasti di avviare le operazioni il prima possibile, garantendo al contempo un dialogo aperto e una consultazione con le autorità competenti e le amministrazioni locali. Il nostro team è composto da persone altamente motivate e ben preparate ad affrontare qualsiasi sfida. La decisione di Givaudan di istituire questa nuova linea di produzione nella provincia di Varese, in Italia, è una testimonianza delle competenze che abbiamo dimostrato di aver sviluppato nel corso degli anni e dei risultati economici e finanziari positivi che abbiamo ottenuto”.
“Come Givaudan, siamo abilitatori nell’uso di ingredienti naturali,
servendo importanti marchi internazionali nei settori alimentare, delle bevande e della salute”, continua Santilli. “I nostri fornitori sono agricoltori che impiegano, per quanto possibile, tecniche sostenibili e non intensive per coltivare piante botaniche”.
“La visione di Givaudan basa l’attività aziendale sulla valorizzazione delle comunità in cui si approvvigiona e opera. A cui si accompagna la profonda consapevolezza dell’urgente necessità di trasformare il sistema alimentare, mitigando i rischi ambientali e umani a beneficio di tutte le persone, del pianeta e del business stesso. L’impegno di Givaudan per un sistema alimentare sano, rigenerativo ed equo garantisce la fornitura di alimenti sicuri e nutrienti per tutti.
Attraverso il programma
Sourcing4Good,
Givaudan dà priorità all’approvvigionamento responsabile dei materiali, garantendo un’offerta stabile e assicurando che i produttori locali e le loro comunità traggano veri benefici dalla loro collaborazione”.
Focalizzazione sull’ambiente
Valeriana, luppolo, ginseng, ippocastano e melissa: queste piante arrivano al sito di Givaudan a Caronno Pertusella, dove vengono macinate e infuse in soluzione idroalcolica per creare estratti naturali. Il liquido viene poi separato attraverso un processo di essiccazione per ottenere polveri. “Negli ultimi anni, abbiamo investito molto nella riduzione dell’impatto ambientale della nostra produzione, soprattutto in termini di emissioni di odori”, afferma Santilli. “Questo dimostra l’impegno della nostra azienda nell’integrarsi perfettamente nella comunità che ci ospita”. È stato effettuato anche un altro investimento di 1 milione di euro nella costruzione di una struttura per la purificazione dell’acqua industriale, che è operativa da gennaio di quest’anno. Sono stati apportati miglioramenti all’efficienza energetica, tra cui isolamento, nuove caldaie e sistemi per il riutilizzo del vapore. Rispetto al 2021, il sito di Caronno Pertusella ha ridotto le emissioni di CO2 derivanti dal consumo di energia del 30% in kW.
Impegno verso le persone e la comunità
Oltre all’impegno ambientale,
Luppolo
Givaudan
pone una forte enfasi sulla responsabilità sociale. Porre le persone al centro dei progetti di crescita è una delle priorità di Givaudan, come dimostrano i recenti premi ottenuti dall’azienda. Questi includono il riconoscimento per l’impegno nella formazione nell’ambito del progetto Skillmatch Interreg Italia-Svizzera, che mira ad allineare la domanda e l’offerta di lavoro nell’area di confine tra la provincia di Varese e il Canton Ticino. Il sito di Givaudan di Caronno Pertusella ha anche ricevuto il premio Best Practices per la sicurezza sul lavoro da Confindustria Varese, Cgil, Cisl e Uil. Inoltre, ha ricevuto il premio WHP - Workplace Health Promotion per la promozione della salute sul posto di lavoro nell’ambito del progetto Ats Insubria e Confindustria Varese.
L’impegno di Givaudan verso le persone è evidente anche nel forte coinvolgimento sociale dell’azienda nella comunità locale. Lo dimostrano le iniziative come i programmi di orientamento professionale presso la Scuola Media De Gasperi a Caronno Pertusella. Insieme alla Fondazione Givaudan, il sito ha anche lanciato l’iniziativa “Un orto per coltivare amicizie” con la stessa scuola. Questo progetto coinvolge studenti e figli di rifugiati che lavorano insieme in un
giardino. Un altro progetto finanziato e condotto con la Fondazione Givaudan viene realizzato in collaborazione con la Cooperativa Sociale Alfa a Lomazzo. Questo progetto sostiene l’inserimento nel mondo del lavoro di persone con disabilità fisiche o mentali, madri single, ex detenuti e ex tossicodipendenti attraverso attività agricole e zootecniche. “Il nostro sostegno non deve essere inteso come assistenza”, sottolinea Luca Santilli: “Attraverso il nostro impegno sociale, miriamo a partecipare a progetti che possano raggiungere la loro sostenibilità economica nel tempo, favorendo l’inclusione di ogni individuo nella comunità. La crescita di Givaudan a Caronno Pertusella si traduce anche in una maggiore attenzione a queste iniziative. Ci sono molte necessità. Stiamo facendo molto, ma vogliamo fare ancora di più. Lo sviluppo della nostra produzione ci permetterà di migliorare anche su questo fronte di impegno”.
Le 20 nuove assunzioni
Con il nuovo investimento di 9 milioni di euro nel sito
Naturex è entrata a far parte del Gruppo Givaudan nel 2018, leader mondiale nel settore delle fragranze e della bellezza e del gusto e del benessere, con un fatturato di 7 miliardi di euro e 16.260 dipendenti in tutto il mondo
di Caronno Pertusella, Givaudan potenzierà le colture biologiche della filiera agricola nel Sud Italia. Il mercato di sbocco per le miscele di aromi naturali che verranno prodotte sarà quello dei settori alimentare e delle bevande. Si aprono ora nuove sfide. Non da ultima quella di trovare le 20 persone da includere nel personale per i vari compiti: laboratorio, produzione, controllo qualità, logistica. “Ci troviamo in un’area ricca di competenze. La nostra espansione ci permetterà di valorizzarle e di essere un elemento di attrazione per i talenti”, commenta Stefania Garavello, Responsabile delle Risorse Umane dell’azienda.
Francesca Cisotto
La storica azienda di Castiglione Olona, attiva nel mercato dell’occhialeria di alta gamma a livello mondiale, compie 175 anni. Da una piccola bottega di bottoni si è trasformata nel tempo in una fabbrica del lusso che negli ultimi anni ha investito ingenti risorse per un polo oggi all’avanguardia tecnologica e di sostenibilità. Un gruppo industriale che crea il materiale con il quale viene prodotto circa il 70% delle montature degli occhiali dei maggiori brand della moda
Da un lato, uno stabilimento che racconta quasi 2 secoli di storia imprenditoriale. Dall’altro, un edificio moderno in via di ultimazione, che sa di futuro. È ciò che si respira, guardando fuori dalla finestra, dall’ufficio della presidenza della Mazzucchelli 1849 Spa: l’azienda di Castiglione Olona, attiva a livello internazionale nel settore dei semilavorati di materie plastiche per il mercato dell’occhialeria di alta gamma. Ha appena compiuto 175 anni, è alla sesta generazione di conduzione familiare, si estende per 400mila metri quadrati in riva al fiume Olona, detiene un fatturato che si aggira attorno ai 180 milioni di euro e circa il 70% del materiale con il quale vengono realizzate le montature degli occhiali dei maggiori brand di lusso sul mercato, arriva dai
suoi stabilimenti.
Sono solo alcuni dei numeri che connotano l’impresa ultracentenaria, oggi leader di mercato con oltre 900 collaboratori, equamente distribuiti
tra gli stabilimenti in Italia e quelli all’estero. Senza contare le persone che lavorano alla TP Reflex, il gruppo di aziende dedicate alla produzione di componenti rivolti all’industria del
La famiglia alla guida dell’azienda
Un momento dellla festa per i 175 anni con il Ministro Giorgetti e il Presidente Fontana
bianco con cui il Gruppo arriva ad avere 1.800 collaboratori e 270 milioni di euro di fatturato. “Ma al di là dei numeri – conferma Corrado Brustio, componente del Cda della Holding Orsi Mazzucchelli Spa –, siamo orgogliosi di essere un’azienda composta da persone appassionate del proprio lavoro con un forte legame di appartenenza e che si rispettano reciprocamente. Questo vale per tutti i livelli della struttura aziendale a partire dai componenti del Consiglio di amministrazione, per chi svolge funzioni direttive e per tutti coloro che lavorano in Mazzucchelli”.
“La nostra realtà manifatturiera è nata a Venegono Superiore con Santino Mazzucchelli, come un laboratorio per la fabbricazione di pettini e bottoni – racconta il Presidente Giovanni Orsi Mazzucchelli, alla guida dell’azienda insieme alla sorella Silvia Orsi Mazzucchelli Brustio –. Poi, a fine ‘800 è stata costruita una nuova sede a Castiglione Olona fino a che l’impresa è cresciuta tanto da dover aprire stabilimenti in tutto il mondo. Oggi, oltre al sito produttivo in Italia, siamo presenti in Cina, precisamente a Hong Kong (dal 1976), a Shenzhen (dal 1996) e a Shanghai (dal 2001), ma anche in Vietnam, in India e negli Stati Uniti con uno showroom a New York”.
Paesi, questi, che rivelano un raggio di azione in mercati importanti, che
però la Mazzucchelli punta ad ampliare ancora. A dimostrarlo sono le rilevanti risorse investite in Italia negli ultimi 5 anni. La posta in gioco? “Fare un vero e proprio salto tecnologico capace di portare l’azienda a sorpassare tutte le tecnologie esistenti in possesso della concorrenza e continuare ad essere un punto di riferimento all’avanguardia per il proprio settore”. Racconta così l’importante investimento, Davide Orsi Mazzucchelli, Group R&D Manager: “Volevamo fare uno scatto in avanti con delle tecnologie all’avanguardia, ma che soprattutto fossero detenute solo dalla Mazzucchelli. Su certe linee di produzione, siamo decisamente avanti rispetto alla concorrenza perché abbiamo guardato oltre gli standard competitivi. Avendo un processo che è unico al mondo abbiamo anche bisogno di auto-sviluppare i nostri macchinari. Un’evoluzione, questa, che comporta la necessità anche di una formazione maggiore. Oggi avviene grazie al passaggio di consegne tra i collaboratori più anziani e quelli più giovani, ma la predisposizione a fare formazione è storicamente nelle nostre corde, tanto è vero che già dal ‘42 al ‘68 con l’Istituto professionale Mazzucchelli, finanziato dalla nostra stessa azienda, siamo stati capaci di formare circa 5.000 studenti. È da qui che, in quegli anni, attingevamo per avere tecnici formati. Tutta
l’industria locale, inoltre, poteva trarne vantaggio e ingaggiarli per le proprie realtà manifatturiere”.
E a proposito di formazione, Davide Orsi Mazzucchelli tiene a precisare: “Una volta si cercava la professionalità, oggi si guarda tanto anche all’attitudine. Ad esempio, in Ricerca e Sviluppo abbiamo bisogno di persone certamente qualificate, ma devono avere anche la curiosità, l’attitudine al lavoro di squadra e una flessibilità mentale. Abbiamo anche dei ragazzi che non hanno fatto studi specifici per il nostro settore, ma sono delle soddisfazioni perché recepiscono bene tutta la nostra formazione”. Forse anche perché, come sottolinea il Presidente Giovanni Orsi Mazzucchelli, “chi lavora qui è sempre stimolato dalla continua necessità di sperimentare”.
Sì, perché, come aggiunge Elena Orsi Mazzucchelli, Group Product Development Manager, “ogni azienda cliente è un mondo a sé. Con ognuno di loro, studiamo insieme il prodotto da realizzare, facciamo il prototipo e poi, se il campione piace, lanciamo la produzione. Cerchiamo di essere il più possibile vicino ai nostri clienti con stabilimenti nei principali mercati di riferimento. Seguiamo l’andamento dei gusti dei consumatori finali e la loro cultura. Lavorando con e come il settore del tessile-moda, con cui siamo storicamente collegati, studiamo i colori di tendenza dei prossimi anni e li adattiamo alle specifiche esigenze tecniche dei materiali con cui sono fatte le montature”. E con un’attenzione sempre più spasmodica alla sostenibilità. Come spiega Davide Orsi Mazzucchelli: “Oggi le persone vogliono avere la consapevolezza di ciò che comprano e vanno alla ricerca di un futuro migliore, anche tramite l’acquisto di prodotti più green. Quella della sostenibilità è per noi una fuga in avanti già dal 2010, quando abbiamo brevettato per le nostre lastre di acetato di cellulosa una formula, M49, con un contenuto BioBased molto più elevato di quello che era il riferimento di mercato. Un prodotto, questo, la
cui domanda sta crescendo sempre di più tanto che copre il 30% della nostra produzione italiana. Questo è stato il primo fondamentale passo verso delle produzioni e dei prodotti più sostenibili, commercializzati sotto il nome BeCycle ovvero una gamma di prodotti di nuova generazione con una elevata impronta di sostenibilità derivati sia da riciclo chimico sia da riciclo meccanico. BeCycle va oltre il concetto di riciclo e sostenibilità. Incarna la consapevolezza che ognuno di noi può fare qualcosa per le generazioni che verranno e per il futuro del nostro pianeta. È un’esortazione a far parte di un circolo virtuoso dove ogni attore della filiera fino al consumatore finale può scegliere prodotti a minor impatto ambientale”.
In Mazzucchelli vengono sviluppati circa 8.000 colori all’anno che possono trovare applicazione o nella creazione di effetti esclusivi per ciascun cliente o entrare nell’offerta dell’azienda andando altresì ad aggiungersi a prodotti con colorazioni e fantasie che non passano mai di moda, come il nero e i tartarugati, ad esempio. È questa la potenza della creatività che l’impresa propone al suo mercato di montature per l’ottica. Ma quello di cui si occupa la Mazzucchelli non è solo la valorizzazione estetica del materiale ma anche tecnica. Tra le linee produttive, infatti, c’è anche quella di lastre trasparenti per le lenti interne delle maschere da sci, con trattamenti specifici come per esempio l’antiappannamento. Senza dimenticare che le lastre di acetato di cellulosa trovano applicazione anche nel mondo degli accessori, come mollette per capelli, manici di borsette, fibbie e spille per l’alta moda. Di recente costituzione una divisione che, a seguito di un nuovo brevetto e con il conseguente utilizzo di differenti materie prime, produce film decorativi di rara profondità e valenza estetica con una pluralità di possibili applicazioni.
“Ma non è solo sull’innovazione delle sue linee produttive che l’azienda si concentra. Da un lato, fin dal 1927, con lo storico accordo con Du Pont, si
parla di alleanze strategiche con società di livello internazionale anche mediante l’apertura del capitale sociale. Ultima solo in ordine di tempo, l’alleanza che ha visto l’ingresso nell’azionariato di Luxottica”, commenta Umberto Brustio, Cfo Asia. Dall’altro, esiste un importante impegno al sociale: “Un’altra attenzione, che da sempre è nel nostro dna – precisa il Presidente Mazzucchelli –, è quella di essere avanti anche sul fronte del welfare. Basti pensare a quello che una volta era il dormitorio femminile realizzato accanto allo stabilimento di Castiglione Olona oppure alla squadra di pompieri creata nel 1924 per aiutare il territorio o, ancora, al villaggio di un centinaio di villette costruite per i lavoratori. Oggi ci siamo innovati, ma il nostro impegno non cambia. Lo dimostrano, ad esempio, le campagne di prevenzione delle maggiori patologie maschili e femminili, ma anche il Poliambulatorio presente all’interno dell’azienda e gratuito dal 1940, con cui dipendenti, familiari e
pensionati hanno un ventaglio di dottori a disposizione, dal medico generico a specialisti tra i quali, ma non solo, cardiologo e oculista”.
“Anche il nuovo stabilimento, frutto dell’investimento dell’ultimo quinquennio, guarda alla responsabilità sociale e ad una maggiore sostenibilità ambientale, utilizzando degli standard ancor più elevati rispetto a quelli richiesti dalla normativa – aggiunge Davide Orsi Mazzucchelli –. Questo perché crediamo fortemente che l’investimento più grande che un’impresa possa fare sia sulle persone. Anche su quelle che un giorno potrebbero lasciare questo posto di lavoro per andare altrove. In quel caso avremo comunque dato qualcosa sia alla persona, sia alla società, perché abbiamo formato un tecnico capace di svolgere la propria mansione, che dunque sarà un valore aggiunto per l’industria di tutto il territorio”.
Chiara Mazzetti
Tutto è nato, come nelle migliori tradizioni, da una passione personale (quella per le radiofrequenze) che, nel corso del tempo, si è trasformata in un lavoro e in un’impresa. Una Pmi familiare, per la precisione.
Questa, da 40 anni, è la storia di Italiana Ponti Radio, realtà varesina specializzata in sistemi di comunicazione avanzati per l’avionica, messi al servizio anche dei principali reparti di intelligence del mondo
Come si trasforma una passione per la radiofrequenza in un’impresa familiare in grado di intercettare, con i propri prodotti e servizi, le necessità dei principali reparti di intelligence del pianeta? “Con impegno e tanta dedizione”, ammette con una semplicità disarmante Antonio Salomone. L’azienda in questione, quella di cui Antonio è titolare, è la Italiana Ponti Radio (IPR), nata esattamente 40 anni fa, nel 1984, a Varese. “Sono sempre stato appassionato di radiofrequenza, tanto che negli anni ‘80 sono stato tra i fondatori della storica Radio Varese, una delle prime radio libere in Italia – racconta Salomone –. E poi si sa, da cosa nasce cosa e così, partendo da una semplice passione personale, ho dato avvio ad un’azienda che produceva apparati di trasmissione per
la televisione e, per l’appunto, la radio in Italia e non solo”.
Dai primi ponti radio alle operazioni e alle attività per i servizi segreti dei principali Governi del mondo, il passo non è stato breve: 40 anni, per essere precisi. “Italiana Ponti Radio in 4 decenni è cambiata molto. Si è evoluta nella proposta di soluzioni, che dall’ambito civile si sono sempre più rivolte al mercato dell’aerospazio e della difesa, dove oggi rappresentiamo uno dei protagonisti mondiali più affidabili e innovativi. Ci piace definirci ‘stilisti
delle radio frequenze’. I nostri sistemi di collegamento dati rappresentano lo stato dell’arte della tecnologia in configurazione simmetrica full-duplex (che permette la comunicazione in entrambe le direzioni e simultaneamente, ndr) con capacità di banda larga sia in downlink che in uplink (collegamento di telecomunicazione per i segnali che arrivano a terra da un satellite o da un aereo e viceversa, ndr) per garantire una perfetta efficienza sia come collegamenti dati di missione che come sistemi di comando e controllo”, spiega di nuovo il fondatore della Pmi in cui attualmente lavorano
20 persone, più una ventina di collaboratori esterni.
Detto in parole semplici, IPR fornisce sistemi di comunicazione avanzati per l’avionica, le autorità governative, le forze di polizia e le aziende private che producono piattaforme aeree ad ala fissa e ad ala rotante, sia con equipaggio sia senza pilota. Tutte tecnologie che vengono utilizzate, ad esempio, per missioni di sorveglianza critica e delle frontiere e per il controllo territoriale. “Siamo ormai da tempo un partner consolidato di una vasta clientela Governativa Italiana, che comprende tutte le forze dell’ordine e che si sta allargando alla Marina, all’Aeronautica e all’Esercito – chiarisce il Ceo Filippo Perrucchetti –. Siamo, inoltre, partner tecnologici dei più importanti player italiani nel mondo aerospazio e difesa, attraverso cui i nostri sistemi sono presenti in applicazioni nei mercati internazionali”.
Italiana Ponti Radio, nel corso degli anni, ha fatto del rinnovamento la sua bandiera. “La nostra azienda vive di innovazione. Il mercato è altamente demanding e competitivo, un’impresa in questo settore che non avesse nel proprio dna l’innovazione permanente, non potrebbe sopravvivere a lungo. È ciò che ci chiedono i nostri clienti ed è ciò che riusciamo ad assicurare grazie ai nostri collaboratori”, precisa Perrucchetti.
A fare la differenza in IPR è una gestione interna, curata dalla a alla z, di ogni singolo progetto. Dalla fase di progettazione e sviluppo fino a quelle di prototipazione e produzione: tutto è gestito e supervisionato direttamente all’interno dell’azienda. “Il nostro team di ingegneri e tecnici altamente specializzati ci permette di realizzare prodotti personalizzati per soddisfare ogni tipo di esigenza. Ci avvaliamo, inoltre, di un team tecnico ad alto livello di specializzazione nel supporto pre e post-vendita, analisi di collegamento e copertura, installazione e messa in servizio dei sistemi”, spiega con orgoglio Antonio Salomone,
che l’impresa la considera davvero una famiglia. Come racconta la figlia Sabrina, Marketing & Quality Manager aziendale e consigliere del Lombardia Aerospace Cluster, l’Associazione che raggruppa le imprese lombarde del settore aerospaziale, “il valore aggiunto di essere una Pmi familiare è senz’altro la trasposizione in azienda del clima che si respira a casa. La stessa semplicità nei rapporti, l’informalità, la libertà di fare una battuta scherzosa, rendono le ore di lavoro piacevoli e
sicuramente più produttive per tutti”.
Parte del successo della Italiana Ponti Radio è stato il forte legame stretto con la provincia varesina: “Il territorio di Varese – chiosa Sabrina Salomone – ha rappresentato l’ecosistema ideale per la realizzazione e lo sviluppo della nostra impresa.
Le istituzioni pubbliche e private ci sono state sempre vicino nel corso di questi decenni ed hanno contribuito sia direttamente sia come supporto al successo della nostra azienda”.
Silvia Giovannini
La Cossa Polimeri, gruppo industriale specializzato nel settore plastica, con sede a Gorla Maggiore e a Verbania, spegne 60 candeline e traccia un bilancio degli anni di attività, con lo sguardo rivolto al futuro.
Innovazione di processo e sustainability ampiamente intesa: questi gli obiettivi su cui ha intenzione di investire l’impresa nata nel 1964 per il recupero di scarti industriali
‘‘La sostenibilità
è un gioco che funziona se non sei l’unico a giocare”. È molto lucida la visione di Laura Rachele Cossa, seconda generazione in Cossa Polimeri, che racconta un’impresa e un gruppo in cui sostenibilità e innovazione si intrecciano come leve di sviluppo in maniera molto concreta. “E non potrebbe essere altrimenti perché la sostenibilità in azienda non è una novità, ma parte del nostro dna. Infatti, il progetto nasce nel ‘64 proprio per il recupero di scarti industriali. In pratica, si faceva economia circolare in un’epoca in cui la cultura del riuso, che fortunatamente abbiamo
oggi, non esisteva. Un’idea iniziale, già focalizzata nel settore plastico, anche per la forte predisposizione del territorio varesino. Successivamente, sia per i mutamenti storici dell’industria nazionale e dei contesti internazionali, sia per strategie chiare aziendali, che hanno portato in breve ad avere tra i clienti tutti i più importanti nomi del settore chimico, e, infine, grazie ai progressi dell’innovazione tecnologica, ci siamo specializzati nella produzione di compound”.
A 60 anni dalla sua fondazione, ad opera dei fratelli Angelo e Armando Cossa, l’azienda di Gorla Maggiore, è oggi un vero e proprio gruppo industriale specializzato nel settore plastica, con 3 anime: oltre a Cossa, Fi-
plast, che produce biopolimeri sempre a Gorla Maggiore e Fratelli Cane di Verbania, che si occupa di stampaggio e soffiaggio di materie plastiche.
“In Cossa, nello specifico, produciamo compound termoplastici per circa 30.000 tonnellate l’anno”, spiega il Consigliere Delegato Marco Colombo. “In pratica, andiamo a posizionarci in quasi tutti i settori, dall’arredamento all’automotive, dal packaging alimentare al chimicofarmaceutico, con una vasta gamma di prodotti e un’attenzione particolare alle richieste dei clienti, ai quali proponiamo spesso soluzioni tailor made per soddisfare al meglio le più diverse necessità. I clienti provengono da ogni parte del mondo, se pensiamo che circa il 50% del fatturato di tutto il gruppo deriva dall’export, con una forte concentrazione europea, ma arrivando a toccare anche Sud America e Sud Africa, Turchia e l’area del Maghreb”. “La storia della nostra azienda è quella di una ricerca sempre più qualificata, che parte dagli investimenti nelle risorse umane, che sono il cuore del progetto. Oggi nel Gruppo Cossa siamo più di 200. Ricerca che poi passa dagli investimenti in innovazione di prodotto e di processo”, aggiunge Laura Rachele Cossa. “Ed è proprio quello produttivo il campo in cui ci stiamo confrontando negli ultimi anni: siamo un’azienda che ha appena spento 60 candeline, ma che si sente giovane e punta su digitale, automazione e Intelligenza Artificiale.
Abbiamo da poco inaugurato una nuova sede produttiva, sempre a Gorla, in via Baragiola. Uno stabilimento totalmente realizzato secondo i criteri di Industria 4.0, dotato di avanzati impianti di lavorazione e sofisticate attrezzature di controllo. Un progetto ambizioso: una cosa è creare un impianto provvisto di macchinari all’avanguardia, un’altra è pensare una struttura di supervisione da remoto che garantisca un perfetto monitoraggio, tracciabilità e sicurezza”.
E per quanto riguarda gli investimenti in sostenibilità? “La ricerca di un prodotto sostenibile dal punto di vista ambientale è ovviamente il core business di tutte le imprese del gruppo – chiarisce Cossa –. Parliamo di ricerca di materiali riciclabili e biodegradabili, che puntano a dare vita a prodotti che sempre più garantiscano le stesse qualità dei prodotti ‘normali’ o la possibilità di riuso di ciò che ancora non può essere riciclato. Pensiamo alle capsule bio per il caffè, per le quali Fi-plast è leader di mercato. Parliamo anche di riduzione di impatto. Grazie al fotovoltaico ad esempio: in Fratelli Cane abbiamo un impianto di 7.000 metri quadrati. O grazie ad un software per LCA, che valuta cioè l’impronta ambientale di un prodotto e di un servizio lungo il suo intero ciclo di vita e ci permette di anticipare i tempi. Tutto questo è fondamentale, ma va fatto un passo in più. L’obiettivo ultimo dev’essere il miglioramento della vita di tutti. A partire della formazione, che oltre ad essere necessaria, può aumentare la soddisfazione personale. Il punto di partenza è l’autoanalisi della propria realtà e della capacità di rendicontarne i risultati. Per questo abbiamo realizzato quest’anno il nostro primo Report di Sostenibilità. Siamo all’inizio di un cammino molto importante. Ma bisogna andare ben oltre i temi di moda e la stessa normativa. Tutto deve funzionare per tutti: se la sostenibilità non è un gioco di squadra, in azienda, nella filiera, sul territorio, il gioco non funziona”.
L’azienda, con headquarter a Uboldo e stabilimenti in tutto il mondo, attiva nella progettazione e nell’assemblaggio degli assali per le macchine agricole, punta ad espandersi ulteriormente negli Usa. A monitorare ciò che succede in tutte le sedi del Gruppo, un software che funge da cabina di regia. Uno strumento con cui Flavio Radrizzani guida l’impresa familiare, arrivata alla terza generazione, in continua crescita e con progetti di espansione come quello in cantiere nella zona dei Grandi Laghi degli Stati Uniti
Andamento produttivo, fatturato, raccolta ordini, vendite, magazzino e livello liquidità. Questi alcuni dei dati con cui è composto il report che tutte le mattine, alle 7.00 in punto, arriva sui computer dei dirigenti e del Presidente, Flavio Radrizzani, della Adr Spa: l’impresa di Uboldo attiva nella progettazione e nell’assemblaggio di assali per le macchine del settore agricolo. “Tramite un software che monitora in tempo reale i principali numeri dell’impresa, abbiamo una fotografia giornaliera di ciò che succede in tutti i nostri stabilimenti. Una sorta di cabina di regia che permette di reagire velocemente
nel caso si debbano spostare delle produzioni da un mercato all’altro, ad esempio. Difficile da gestire, ma utile in termini organizzativi per tenere unita la nostra realtà imprenditoriale”. Quella di cui parla il Presidente Radrizzani è l’impresa di famiglia con headquarter a Uboldo, 15 stabilimenti sparsi per il mondo, un fatturato che nel 2022 ha toccato il picco dei 349,5 milioni di euro e 1.400 collaboratori. In Italia, a Uboldo e a San Pietro al Natisone (Udine), ma anche in Francia, Polonia, India, Brasile e Cina, le sedi produttive. In Inghilterra, Spagna, Australia, Canada, Usa, Russia ed Emirati Arabi, invece, le commerciali. Questo il raggio di azione di Adr il cui utilizzatore finale è
l’agricoltore, mentre il cliente diretto è il costruttore di macchine agricole, ma anche di macchinari per il settore cave, carrelli aeroportuali e rimorchi per il trasporto stradale.
Commesse, in ogni caso, progettate sulla base delle esigenze dei singoli costruttori di veicoli da lavoro: “Spesso anticipiamo anche il cliente proponendogli un prodotto in grado di soddisfare un bisogno a cui non aveva pensato, ma che siamo certi faccia la differenza con il nostro concorrente – sottolinea Flavio Radrizzani –. Ad esempio, progettiamo l’assale in modo che sia più leggero o più flessibile e assicuriamo che arrivi prima rispetto a quanto potrebbero fare altri. La nostra mission è quella di portare gli
agricoltori a richiedere ai costruttori di macchine agricole i componenti di nostra progettazione”.
Quella di Adr, con almeno una sede in tutti i continenti, è una copertura di mercato, che risponde a due esigenze: “Da un lato, quella di risparmiare sui costi di trasporto. Dall’altro, quella di essere vicini all’azienda-cliente per poter consegnare in tempi brevi. Fatturiamo in 54 nazioni. Ecco perché abbiamo una sede produttiva in ogni nostro principale mercato”. Così Chiara Radrizzani, alla guida insieme al padre Flavio, alla sorella Giovanna e al cugino Ettore, dell’impresa di famiglia detenuta anche dai cugini, soci di capitale, Davide, Sara e Daniele.
Ed è proprio dal ricordo d’infanzia di Daniele, che quando entrava in azienda sentiva un mix di odori, tra il ferroso che solo un’officina metalmeccanica emana e quello dell’aroma sprigionato dai distributori automatici nel capannone, che prende vita “Profumo di ferro e caffè”. Questo il titolo del libro che la famiglia Radrizzani ha realizzato in occasione del 70° anniversario dell’impresa. Una raccolta di ricordi di chi ha visto nascere Adr e ci lavora da parecchio tempo, ma anche dei vecchi collaboratori ormai in pensione, dei fornitori, dei clienti e degli amici.
“Adr oggi è una realtà molto più ampia rispetto a quando è nata nel 1954 nell’antico centro storico di Uboldo – continua il Presidente Radrizzani –. Eravamo di fronte alla chiesetta dei Santi Cosma e Damiano, poi ci siamo spostati in Piazza Repubblica fino a che nel ‘61 abbiamo aperto lo stabilimento in cui siamo oggi, attualmente di 30mila metri quadrati. È qui che abbiamo intenzione di mantenere la sede centrale, la gestione, la ricerca e lo sviluppo del Gruppo”.
Una scelta precisa, questa, per far sì che la linea imprenditoriale sia sempre quella della famiglia Radrizzani, anche dopo veri e propri progetti di espansione come quello in programma negli Stati Uniti: “Abbiamo già una
sede commerciale, ma vorremmo aprirne anche una produttiva. Siamo alla ricerca di terreni o società da acquistare nella zona dei Grandi Laghi del Nord America, tra l’Iowa e il Missouri – racconta Chiara Radrizzani –. Si tratterebbe di un investimento tra i 10 e i 15 milioni di euro per terreni almeno 4 volte più estesi di quello che ci servirebbe in una situazione iniziale”. Questo perché, come aggiunge il Presidente Radrizzani, “bisogna guardare avanti. Negli Stati Uniti porteremmo un prodotto più avanzato rispetto al livello tecnologico delle macchine agricole presenti. Avremmo di fronte a noi la stessa sfida che abbiamo affrontato in Brasile, dove abbiamo impiegato vent’anni per affermarci, ma ora non c’è un solo chilogrammo di canna da zucchero che non viaggia su macchine con i nostri assali”.
A indirizzare ogni decisione del Gruppo, l’attenzione alla sostenibilità e alle persone. “Da un lato, ci impegniamo a ridurre l’impatto ambientale attraverso tecnologie innovative, progetti di riciclo e di mobilità sostenibile – sottolinea Chiara Radrizzani –. Dall’altro, poniamo l’accento sul benessere dei nostri collaboratori, creando un ambiente di lavoro sano a favore della produttività e della creatività; promuovendo una cultura inclusiva; investendo nella formazione per sostenere la loro crescita sia professionale, sia personale. Crediamo fortemente che prendersi cura delle persone contribuisca a costruire un gruppo motivato, pronto ad affrontare le sfide del mercato. È così che ci impegniamo a creare valore per le nostre risorse umane, ma anche per i clienti e i partner”.
L’assemblaggio di pezzi montati su vetture come Bmw, Audi e Peugeot. La realizzazione di un sistema per alzare e abbassare i fari della Fiat Multipla. La progettazione di strumenti che interagiscono con gli ascensori e i tapis roulant. Sono solo alcune delle attività portate avanti nel tempo dall’impresa di Gavirate che, quest’anno, spegne 50 candeline. La ricetta per il successo, secondo i titolari, è quella di avere coraggio e visione
Cinquant’anni d’impresa.
90 collaboratori. Quasi
7.000 metri quadrati di stabilimenti distribuiti tra Italia e Romania. Sono questi i numeri della MEBA Srl, realtà che si occupa di elettromeccanica, elettronica, automotive e servizi per le imprese. Un’azienda che ospita il proprio headquarter a Gavirate, lungo le sponde del Lago di Varese e che quest’anno celebra mezzo secolo di attività. “Ogni volta che ripenso a questi cinquant’anni, la mia mente non può fare altro che correre a quegli inizi così emozionanti – afferma Andrea Baggio, titolare dell’azienda insieme alla moglie Daniela Miglierina –. Quello che ci ha sempre guidati è stata la voglia di lavorare sodo. Una dedizione che abbiamo trasmesso in primis ai nostri figli, Matteo e Federica, presenti in azienda, e a tutti i nostri collaboratori”. Passione, coraggio e impegno: sembra essere
questa la chiave del successo per una realtà familiare come MEBA.
Una storia iniziata nel 1974, a Laveno Mombello, dove la famiglia Baggio ha mosso i primi passi nel mondo dell’imprenditoria.
“Abbiamo iniziato la nostra attività prestando servizio ad un colosso della metalmeccanica: la BTicino di Varese – spiegano i titolari dell’impresa –. Abbiamo aperto le porte del nostro magazzino per consentire ai camion
dell’azienda varesina di consegnare il primo carico da lavorare”. Assemblare alcuni dei più iconici interruttori di BTicino: questo il lavoro svolto dalla MEBA nei primi anni di vita. Migliaia i pezzi che venivano sfornati ogni settimana.
Passano gli anni, tra crisi, rinascite e crescita. L’azienda lavenese decide di ampliare il proprio mercato con la ricerca di nuovi clienti. “Svolgere il lavoro di terzista è molto complicato – sottolineano i coniugi Baggio –. Le imprese ti ingaggiano solo se garantisci responsabilità, efficientamento dei costi e risoluzione dei problemi”. È negli anni ‘90 che MEBA prende alcune delle decisioni più strategiche per il proprio futuro: “Abbiamo deciso di intraprendere la nuova frontiera dell’elettronica – spiegano dall’impresa –. Ci era chiaro che l’elettromeccanica, pur rimanendo una base insostituibile del nostro lavoro, avrebbe previsto sempre più spesso l’elettronica all’interno dei suoi prodotti”. Nuovi spazi e più ampi, diversi investimenti messi in campo con una media annua che si aggira intorno ai 300-400mila euro. Nuove tecnologie e un giro di affari più grande: questi i risultati raggiunti in poco tempo.
Negli anni 2000, lo sbarco su nuovi mercati esteri: Tunisia e Romania. Ed è proprio in questi siti produttivi che MEBA assemblea i pezzi che vengono montati nel settore automotive.
Nel 2009, un ulteriore cambiamento: il trasferimento da Laveno a Gavirate. “È stata una scelta necessaria – raccontano i coniugi Daniela e Andrea –. L’attività in Nord Africa ha portato un aumento esponenziale nella movimentazione delle merci. I tir, per arrivare a Laveno, dovevano percorrere una strada stretta, trafficata e scaricare la merce lontano dall’autostrada”. Si tratta di una vera svolta per l’impresa. Non solo in termini di spazi e metratura. In MEBA sono cambiati approccio al lavoro e mentalità. Una visione nuova, più manageriale. “Abbiamo introdotto la formazione dedicata sia alle tecniche produttive, sia ai modelli di funzionamento aziendale”, sottolineano i titolari dell’impresa.
Nuove sfide per la famiglia Baggio: nel 2014 nasce MEBA East, filiale low cost capace di offrire un servizio di assemblaggio elettronico attraverso le tecnologie SMT e THT, sfidando così un mercato sempre più internazionale e competitivo. “Il nostro obiettivo, oggi, è quello di continuare a perfezionare il nostro modello organizzativo in Romania – informano dall’azienda –. Fino a quando non saremo in grado di offrire al cliente una filiera produttiva completa”.
Diversi gli investimenti fatti negli anni: “La nostra forza è stata quella di rimettere la maggior parte degli utili dentro all’azienda stessa,
per darle solidità e prospettiva – ci tengono a sottolineare Daniela e Andrea –. Tra i tanti macchinari acquistati, per fare un esempio, abbiamo comprato uno strumento per realizzare le schede per il funzionamento delle colonnine per la ricarica elettrica delle auto”. È questa una delle tante scelte vincenti di MEBA. Il segreto, dunque, per il successo “è avere visione”, incalzano Daniela Miglierina e Andrea Baggio. L’impresa di Gavirate ha cavalcato anche l’onda della trasformazione digitale. Tutta la produzione, infatti, si basa sulla logica della lean manufacturing: “Si tratta di un procedimento che permette di identificare eventuali fattori di spreco per ottimizzare i processi produttivi”. Sono decine di milioni i prodotti passati dalla MEBA. Alcuni di questi sono rimasti nel cuore di Baggio: “Penso al sistema per alzare e abbassare i fari della Fiat Multipla”. Oggi la realtà gaviratese sta costruendo il proprio fatturato, che nel 2023 ha raggiunto i 9 milioni di euro, su una diversificazione produttiva. “Tra i prodotti in forte crescita ci sono gli strumenti che interagiscono con gli ascensori e quelli legati ai tapis roulant – concludono i titolari di MEBA –. Oltre alla realizzazione di bracci elettrici per abbassare gli appendiabiti per dispositivi medici e di altra natura”.
Un’impresa familiare, nata quasi novant’anni fa, che realizza lavorazioni conto terzi di cromatura dura. È la C.R.S. di Gallarate, realtà varesina particolarmente attenta ai temi della sicurezza nei luoghi di lavoro e della sostenibilità. Sui quali investe ogni anno il 10% del proprio utile netto
Plexiglass, sacchi di plastica, pluriball (il foglio di polietilene con bolle d’aria), cartellette trasparenti, carta da cucina, carta igienica, tovaglie e tovaglioli in tessuto, film in pvc usati come rivestimenti nell’arredamento. Questi sono solamente alcuni dei prodotti che vengono realizzati con specifiche macchine che possiedono componenti cromate. E in provincia di Varese, a Gallarate, opera un’impresa familiare specializzata proprio nella cromatura dura di cilindri, nichelatura di pistoni e rulli, superfinitura di calandre. È la
C.R.S. Srl, nata quasi novant’anni fa. “Il nostro mercato di riferimento è rappresentato dai costruttori e dagli utilizzatori di macchine per materie plastiche, macchine
carta e cartone, macchine da stampa, rulli per macchine da stampa flessografica, macchine tessili, come rulli avvolgitori e di trascinamento, pistoni del settore oleodinamico,
cilindri per il settore petrolifero, navale, portuale, dove è richiesta una resistenza alla nebbia salina e rulli da laminatoio – racconta Raffaella Roncolato, titolare dell’azienda gallaratese –. Siamo una piccola realtà con 23 collaboratori e il nostro fatturato ha origine quasi esclusivamente in Italia”.
L’obiettivo della realtà varesina, “è quello di continuare ad essere un saldo punto di riferimento per la cromatura a spessore e le relative lavorazioni meccaniche – continua la titolare dell’azienda –. Oltre a fornire ai nostri clienti un servizio affidabile e di qualità, con uno sguardo sempre attento alle persone, all’ambiente e ai possibili scenari futuri determinati dal progresso della tecnologia”.
L’impresa gallaratese, infatti, negli ultimi 4 anni ha investito tempo e risorse per migliorare la sicurezza dei macchinari del reparto meccanico, con l’acquisto di nuove macchine e con interventi strutturali su quelle già presenti. “Manteniamo alto il livello di manutenzione degli impianti, soprattutto nel reparto galvanico – specifica Cristina Roncolato, Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione –. I nostri
lavoratori, in questo luogo, sono esposti a sostanze chimiche, tra cui il cromo VI, attualmente oggetto di autorizzazione REACH e da poco divenuta sostanza interessata ad un processo di restrizione da parte delle autorità europee”. Da qui la massima attenzione dell’azienda, che va ben oltre il semplice rispetto della già stringente normativa.
La C.R.S. ha a cuore il tema della sicurezza, proprio per questo, “seguiamo con attenzione il processo, consapevoli che grazie alle caratteristiche progettuali dei nostri impianti e alle manutenzioni costanti, l’esposizione dei nostri lavoratori risulta essere ampiamente inferiore al limite di legge corrente e ai limiti più restrittivi pianificati per il prossimo futuro”. Attualmente, fanno sapere dall’azienda di Gallarate, l’esposizione dei collaboratori è di 92 volte inferiore.
L’impresa tiene particolarmente anche alla formazione dei dipendenti, proprio in tema di sicurezza.
“Utilizziamo ormai da tempo la formula dei break formativi – informa
la Rspp aziendale –. Si tratta di momenti di breve durata e ripetuti nel tempo in azienda allo scopo di formare i dipendenti direttamente sul luogo di lavoro. Sono un ottimo sistema di interscambio culturale. I lavoratori si sentono coinvolti e danno il proprio contributo su temi che stanno a cuore a tutti”. Un progetto a cui C.R.S. sta lavorando in collaborazione con Confindustria Varese.
Altro fronte di impegno per C.R.S. è quello legato all’ottenimento delle certificazioni. “Nel 2007 abbiamo aderito volontariamente alla norma UNI EN ISO 14001, adottando un sistema di gestione ambientale, spinti dalla consapevolezza che il rispetto e la tutela dell’ambiente siano elementi essenziali per garantire la continuità aziendale e siano valori condivisi e rilevanti per i clienti e gli stakeholders oltre che un atto dovuto di responsabilità verso le generazioni presenti e future”, ci tiene a sottolineare Raffaella Roncolato. “Cerchiamo di riciclare, laddove possibile, i rifiuti; riutilizziamo come acqua di risciacquo l’acqua di scarto
dell’osmosi inversa. Abbiamo ridotto gli scarichi e creato un’apposita voce in bilancio ‘fondo per spese ambientali’ dove confluisce ogni anno il 10% dell’utile netto che viene poi utilizzato negli anni successivi per realizzare interventi mirati sulla sostenibilità. Verifichiamo che i nostri fornitori condividano la nostra politica ambientale”.
Più recentemente, C.R.S. ha collaborato anche con le autorità competenti per definire le migliori tecnologie disponibili nel settore della cromatura: “Abbiamo dato il nostro contributo nella compilazione del questionario pubblicato da ECHA nell’ambito della Call for Evidence del processo di restrizione dei cromati – conclude la titolare dell’impresa –. Stiamo lavorando per ottenere la certificazione ISO 9001, integrandola con la ISO14001, già operativa. Attualmente è in fase di realizzazione un sistema di controllo informatizzato dell’avanzamento della produzione: prevediamo il collaudo a breve e l’ottenimento della certificazione entro la fine dell’anno in corso”.
Rubino Spiriti è una startup innovativa del territorio che ha fatto della sostenibilità una vera e propria filosofia d’impresa. Una produzione completamente artigianale e biologica, che utilizza più di 20 ingredienti tra fiori, bacche e radici per realizzare un prodotto premiato anche con il World Liqueur Awards e oggi è presente anche nei locali di New York e Sydney
Dalla preparazione di ricette a base alcolica home made alla produzione artigianale e biologica di un amaro realizzato con miele locale e oltre 20 erbe provenienti dai boschi delle Prealpi lombarde e piemontesi. Dagli esperimenti nella cucina di casa ai locali di New York e Sydney. È questa la storia di Rubino Spiriti, piccola realtà varesina, specializzata nello sviluppo e nella commercializzazione di due principali tipologie di prodotti:
Amaro Rubino Bio e Amaro Rubino Lunatico Bio. “Inizialmente ho mosso i primi passi in questo settore per gioco e per piacere – racconta Matteo Rubino, fondatore della startup innovativa –. Ho iniziato a creare liquori da regalare agli amici. Con il passare del tempo, ho perfezionato l’arte di mescolare erbe, disegnare e stampare etichette, scegliere nomi e riempire bottiglie. Mi sono regalato due anni creativi di sperimentazioni e costanza quasi ossessiva, durante i quali ho fatto ricerche sulle erbe prealpine, ho scovato e conosciuto piccoli coltivatori e ho messo a punto la ricetta”. Una formula che include fiori di camomilla e sambuco, ortica, cumino dei prati e radice di tarassaco. Biologici, locali, artigianali ed ecosostenibili: sono queste le caratteristiche dei liquori di Rubino Spiriti.
“Scegliamo erbe che derivano da un’agricoltura biologica e biodinamica, senza l’aggiunta di alcun aroma o colorante artificiale – precisa ancora il fondatore dell’azienda –. La nostra realtà si colloca tra i primi amari certificati biologici nel mercato internazionale”. Sono diversi, infatti, i premi e i riconoscimenti ottenuti negli anni. Uno dei più recenti, molto prestigioso, è il World Liqueur Awards. “Il nostro amaro è stato premiato come miglior liquore alle erbe del mondo –sottolinea il fondatore dell’impresa –. Per capirci, è lo stesso premio che nel 2018 ha ricevuto il famoso Jefferson”. Un carattere internazionale, che ha
portato i prodotti della realtà varesina oltre oceano. Prima in alcuni locali di New York e poi in Australia, Germania e Francia. “Alcuni distributori stranieri hanno assaggiato, quasi per caso, il nostro prodotto – racconta Rubino –. Gli è piaciuto e hanno deciso di aggiungerlo alla loro proposta”. Ma il vero tratto distintivo dell’azienda è il forte legame con il territorio varesino. “Fiori, foglie, bacche e radici si possono trovare esclusivamente nella terra incastonata tra i laghi e le Prealpi lombarde e piemontesi – ci tiene a sottolineare Matteo –. Tutta la filiera è artigianale e controllata. Dai piccoli produttori fino al processo di lavorazione a mano”. Rubino Spiriti è una realtà consolidata nel territorio e l’amaro varesino è presente sugli scaffali dei più conosciuti e storici locali e negozi del centro città:
biologiche – specifica Matteo Rubino –. L’approccio green riguarda tutta la filiera”. Dalla scelta del packaging all’imballaggio: i materiali utilizzati sono a basso impatto ambientale. “Usiamo prodotti in carta riciclata, tappi in sughero e per le spedizioni preferiamo l’utilizzo di materiali compostabili al comune polistirolo”. Solo per citare qualche esempio.
Limbosco, La Posteria, La Vinothèque, Lineaottantotto, Così Com’è, la Drogheria Vercellini e Paradiso di Ciaccio. Sono solo alcuni esempi. “La maggior parte dei nostri clienti adotta gli stessi principi che ci ispirano. Attenzione all’ambiente, alle persone, alla qualità e genuinità dei prodotti – informa il fondatore dell’azienda –. Riforniamo macellerie, pizzerie, drogherie, cocktail bar, vinerie e botteghe. Tutti locali che hanno a cuore la logica di prodotti a kilometro zero”. Ma non solo Varese e dintorni. La startup è presente anche in tutta Italia, con distributori localizzati e consolidati. Una realtà che ha fatto della sostenibilità una vera e propria filosofia d’impresa. “Non solo i nostri prodotti vengono realizzati con materie prime
Dalle prime 200 bottiglie di test, ad oggi, Rubino Spiriti è cresciuta molto: “Lo scorso anno abbiamo venduto circa 7.000 bottiglie di liquori e il nostro fatturato, nel 2023, è aumentato del 40%”. La realizzazione di piccoli lotti, ogni due mesi, di circa un migliaio di pezzi, riesce a garantire all’impresa una produzione artigianale. “Lo scorso anno siamo sbarcati sul mercato con una nuova versione: Amaro Rubino Lunatico Bio – racconta il fondatore dell’azienda –. Ha un gusto più deciso e meno convenzionale”. Tanti i progetti in cantiere e le sfide per il futuro: “Una delle priorità è quella di internalizzare la produzione, restando sempre artigianali –conclude il fondatore di Rubino Spiriti –. In questo modo potremo soddisfare a pieno la nostra vocazione legata alla sostenibilità ambientale e sociale, a cui teniamo molto. Puntando, per esempio, al riutilizzo degli scarti di produzione per generare un sistema di economia circolare a tutto tondo”.
Lisa Aramini Frei
Non solo post su Instagram o video per TikTok: dietro alla comunicazione c’è anche gestione dei budget, produzione di contenuti e sviluppo di campagne cross mediali che passano dallo sviluppo di interfacce web, all’analisi delle campagne social. Alla Fondazione Its Incom Academy di Busto Arsizio, un futuro comunicatore può imparare “l’arte del mestiere” e mettersi alla prova con i corsi in Digital Marketing Manager e Web Designer
Le nuove tecnologie digitali, oggi giorno, sono alla base della quotidianità delle persone. Per i cosiddetti “boomer”, il loro utilizzo potrebbe risultare di difficile comprensione, ma non per la generazione Z, digitale al 100%. Ma un conto è stare sui social per svago, un altro farne un mestiere. La comunicazione si evolve in maniera sempre più rapida, richiedendo competenze estremamente versatili, che spaziano dalla strategia alla creazione di contenuti. In questo scenario, in cui continua innovazione e new generation di ragazzi super skillati la fanno da padrone, si colloca la Fondazione
Its Incom Academy. La Fondazione, Tecnologie dell’INformazione e della COMunicazione con sede a Busto Arsizio, che da oltre 15 anni forma migliaia di giovani nell’ambito dell’apprendimento tecnico, permettendo così un inserimento nel mondo del lavoro con una cassetta degli attrezzi da professionista.
Particolarità di questo tipo di percorso post-diploma è l’alta formazione tecnica, che termina con un periodo da svolgere interamente in realtà aziendali o di agenzie. Questa esperienza sul campo permette alle ragazze e ai ragazzi di toccare con mano, in prima persona, il mondo del lavoro, formandosi a 360 gradi come futuri comunicatori.
Tra l’ampia offerta formativa di Incom Academy, figurano i corsi in Digital Marketing Manager e Web Designer, creati per rispondere alle esigenze dell’evoluzione comunicativa, formando professionisti in grado di affrontare il mercato con competenze strategiche e creative. Il Digital Marketing Manager, per esempio, non si limita a pianificare le campagne, ma collabora con team creativi e monitora i risultati in tempo reale, adattando le strategie a seconda delle necessità. Questo percorso formativo, della durata di 2 anni e articolato in 2.000 ore tra lezioni, laboratori e stage, prepara i partecipanti a ruoli quali SEO & SEA Specialist, Social Media Manager e Copywriter. Il corso per Web Designer, invece, forma esperti nella realizzazione di interfacce grafiche per diversi media, capaci di declinare la comunicazione in funzione del pubblico e dei canali utilizzati. Anch’esso della durata di 2 anni, offre sbocchi professionali in agenzie di comunicazione o come liberi professionisti. “I corsi – spiega Laura Cattaneo, Responsabile Marketing e Comunicazione di Incom Academy – si differenziano e completano. Il corso di Digital Marketing Manager prepara i giovani ad affrontare la comunicazione dal punto di vista della strategia e del monitoraggio dell’andamento delle attività. Il corso di Web Designer, invece, fornisce gli strumenti per realizzare contenuti creativi sia statici sia dinamici. La parte comune è la comprensione degli obiettivi, del
pubblico e dei canali per poi ideare una strategia corretta e metterla in pratica con creatività. Quando queste competenze lavorano insieme in modo corretto, si ottiene una comunicazione efficace”.
In un contesto in cui l’innovazione tecnologica è all’ordine del giorno, è essenziale che i futuri comunicatori comprendano l’impatto delle nuove tecnologie sul comportamento dei consumatori. L’Intelligenza Artificiale,
ad esempio, viene già inserita nei piani di studio, con lo scopo di insegnare agli studenti il potenziale di queste tecnologie in corsi dedicati quali “Come sviluppare l’AI generativa a supporto delle attività di ricerca” o “Analisi dei bisogni del cliente”. Gli studenti di oggi, nati e cresciuti in un mondo digitale, non solo devono conoscere gli strumenti, ma anche saperli sfruttare con consapevolezza e creatività. Queste esigenze trovano
terreno di crescita nel metodo di insegnamento di Incom Academy, che si basa su un equilibrio tra teoria e pratica, con laboratori, project work e simulazioni che permettono di acquisire competenze direttamente applicabili al mondo del lavoro. Nei primi mesi in Its, i ragazzi e le ragazze acquisiscono, infatti, le basi e le competenze che permetteranno loro di affrontare le richieste dei futuri clienti o del team in cui andranno a lavorare. L’avvicinamento ai lavori di gruppo è graduale, ma al termine del percorso di studi, gli studenti riescono ad acquisire quella famosa visione di insieme che sarà fondamentale nella loro formazione. “La comunicazione – sottolinea Laura Cattaneo – è un processo che coinvolge sempre più queste competenze, ma la base è sempre la medesima: conoscere il contesto, il proprio pubblico di riferimento e l’obiettivo della comunicazione. Da questi dati poi si parte per ideare contenuti che si facciano notare. Anche quando l’impalcatura è perfetta, crolla in assenza di idee, creatività, emozione. David Ogilvy, famoso pubblicitario britannico, diceva che senza una big idea, l’advertising, e la comunicazione in senso allargato, passa inosservato come una nave nella notte”. Anche in questo caso il ruolo degli insegnanti è quello di stimolare la curiosità negli studenti, riportarli al gusto della ricerca e dare loro gli strumenti affinché la big idea arrivi al pubblico e raggiunga l’obiettivo. Gli studenti, cresciuti in un contesto in cui le nuove tecnologie sono la loro quotidianità, vengono guidati dai professori in un percorso di consapevolezza degli strumenti. Un buon comunicatore deve avere conoscenza delle innovazioni tecnologiche, soprattutto in termini di impatto sul consumatore finale e, soprattutto, deve avere una buona visione di insieme per capire come le innovazioni possono contribuire alla realizzazione di un lavoro il più efficace possibile.
Alessia Lazzarin Foto di Agenzia Blitz
“Servono scelte integrate che conducano a modelli capaci di gestire i prodotti in un’ottica lungimirante, indicatori e strumenti di misurazione per la valutazione delle performance e delle azioni messe in campo”. Queste le sfide per le organizzazioni sportive secondo la Professoressa Patrizia Tettamanzi dell’Università LIUC. Anche il mondo che gestisce atleti e squadre è alla ricerca di strategie di sviluppo sostenibile e inclusivo. “Serve maggior imprenditorialità”
Governance strutturata. Visione strategica. Obiettivi di lungo periodo. Sono questi alcuni degli aspetti fondamentali per il successo di una organizzazione sportiva. “Una società che opera nella sport industry è, a tutti gli effetti, un’impresa. Per mantenersi in equilibrio, deve tenere conto necessariamente di un aspetto fondamentale: la sostenibilità economico-finanziaria”. Queste le
parole di Patrizia Tettamanzi, Professore Ordinario di Financial Accounting e Sustainability Reporting all’Università LIUC di Castellanza e curatrice del libro, insieme al collega
Michael Murgolo, “Governance delle Organizzazione sportive: verso un modello di inclusione sociale e sostenibilità”. Il volume analizza il contesto socioeconomico nel quale le società sportive operano. Mette in evidenza aspetti su cui migliorare e opportunità da enfatizzare. Al mondo della sport industry, servono norme in grado di regolamentare in maniera trasparente la gestione delle società. Chiarezza nella composizione dei board. Un approccio responsabile, sia in termini di impatto economico, sia in termini di risultati. “L’industria sportiva si sta plasmando in un settore in forte cambiamento – continua Tettamanzi –. Proprio per questo, sono stati introdotti concetti nuovi come la performance, l’integrità, la politica e le operazioni di business”. Tutti valori che testimoniano il grado di professionalizzazione dello sport. “La governance riguarda tutta la sport industry, dai club agli organismi nazionali –informa la Professoressa della LIUC –. Dalle agenzie governative alle organizzazioni di servizi sportivi e squadre professionistiche”. Il
fulcro del successo ruota intorno ad alcuni elementi imprescindibili: visione strategica e obiettivi di lungo termine. “Le società che adottano questi approcci sono quelle che riescono a navigare le sfide del presente e porsi come leader nel futuro dello sport”, sostiene Patrizia Tettamanzi. Sfogliando il libro scritto dai professori dell’ateneo di Castellanza, emergono aspetti su cui è necessario lavorare e punti di forza da enfatizzare. “Quello su cui bisogna puntare è un salto di qualità nel management sportivo – precisa ancora Tettamanzi –. È necessaria la formazione di una classe dirigente competente, a cui poter affidare la pratica dello sport e, più in generale, di questa industria”. Bisogna, dunque, predisporre regole chiare e strutturate. Possedere competenze per la gestione economica e finanziaria e introdurre nei Consigli di amministrazione
figure professionali con competenze manageriali. Imprenditori, per esempio, con un’esperienza attiva nel mondo industriale.
Un’impresa sportiva funziona esattamente come una squadra. Tutto parte dalla preparazione degli atleti. Formazione, competenze tecniche e team multidisciplinari: queste le prerogative per cavalcare le sfide e cogliere le opportunità del mercato. Il comparto dello sport è un importante driver di sviluppo delle competenze, anche grazie ad una stretta connessione tra professionisti del settore, organizzazioni sportive e ricercatori universitari. “Il mondo del management sportivo è caratterizzato da ampi spazi di miglioramento alimentato dal continuo sforzo di tecnici e club sempre più strutturati –sottolinea la Professoressa Tettamanzi –. Servono scelte integrate che conducano a modelli di governance
capaci di gestire i prodotti sportivi in un’ottica lungimirante, indicatori e strumenti di misurazione per la valutazione delle performance e delle azioni messe in campo dagli organi di governance e dalle organizzazioni di eventi sportivi”.
Lo sport rappresenta una componente essenziale nella vita delle persone, il cui impatto non deriva esclusivamente dagli aspetti finanziari, ma soprattutto dalla sua centralità come elemento di inclusione sociale, salute e benessere. “Gli aspetti di governance e management sono, oggi, sempre più cruciali e le prospettive del settore si determinano in funzione della capacità delle entità di ben amministrarsi, declinando in maniera tangibile la propria accountability nei confronti degli stakeholder”. Questa nuova centralità, dunque, richiede un management sportivo più performante.
I professori della LIUC, proprio nel libro, portano alla luce diverse testimonianze e casi studio. Alcune di queste storie, ad esempio, arrivano proprio dal territorio varesino, da sempre a forte vocazione sportiva.
“La storia della Pallacanestro Varese è un esempio concreto di come lo sport venga inteso come motore e mediatore culturale – racconta Patrizia Tettamanzi –. Quello che sembra aver fatto la differenza, è un approccio manageriale e una corretta gestione amministrativa”. Senza dimenticare gli investimenti in nuove infrastrutture, le sinergie con squadre statunitensi e la valorizzazione del settore giovanile. Un impegno che ha visto protagonista, tra i vari personaggi che si sono succeduti, Toto Bulgheroni, storico imprenditore varesino e sportivo.
“Sono tutte azioni che hanno portato la società della Pallacanestro Varese a diventare un esempio, non solo sul territorio”, sottolinea la Professoressa dell’Università di Castellanza. Lo stesso Bulgheroni, oltretutto, è anche Presidente della società LIUC Sport SSD, che l’ateneo ha voluto creare per promuovere ancora di più l’attività sportiva tra gli studenti.
Un altro aspetto fondamentale è il ruolo degli sponsor nel generare una comune adesione ai valori e al
purpose nell’ambito imprenditoriale.
“Le contaminazioni positive possono e devono essere un potenziatore della voce dell’azienda o del brand sui temi Esg – precisa ancora Tettamanzi –. Un esempio virtuoso, questa volta, arriva da un’impresa gallaratese che, insieme a un partner, ha realizzato una capsule collection per la sponsorizzazione sportiva RS21 Cup Yamamay, utilizzando materiali interamente riciclati”. Protagonista, Barbara Cimmino, co-fondatrice di Inticom Spa di Gallarate e Vicepresidente
per l’Export e l’Attrazione degli Investimenti di Confindustria.
La stessa Università di Castellanza si impegna in questa direzione: “Come ateneo ci stiamo attivando da diverso tempo sulle tematiche legate allo sport, all’inclusione e alla sostenibilità –conclude la Professoressa Tettamanzi –. Abbiamo introdotto un percorso di laurea triennale dedicato al management dello sport, istituito una società sportiva aperta a tutti i nostri studenti e offriamo vari corsi di attività fisica”.
Varese si conferma, anche quest’anno, ai primi posti della classica dell’Indice di sportività stilata ogni 12 mesi da Il Sole 24 Ore. Un indicatore calcolato su 32 parametri, tra cui atleti tesserati, enti sportivi, squadre, risultati, eventi e imprese per lo sport. A livello generale, infatti, il Varesotto si è piazzato al settimo posto nella graduatoria delle province italiane. Buono, come da tradizione, anche il
posizionamento per il movimento paralimpico, categoria dove Varese è al primo posto in Italia per strutture e tesserati e seconda per i risultati dei propri atleti agli ultimi Giochi di Parigi. Un territorio, che continua a vantare un palmarès importante, ma soprattutto la costanza di confermarsi nel tempo: negli ultimi 10 anni, la provincia si è sempre posizionata tra le prime 15 posizioni.
Varese, dunque, come terra di atleti olimpici e paralimpici, squadre e società sportive di primaria rilevanza internazionale in una molteplicità di discipline. Dal basket alla pallavolo, dal canottaggio al ciclismo, dal golf al trekking, per citarne solo alcuni, disponendo anche e soprattutto di un sistema di imprese e di infrastrutture dedicate e di un diffuso know-how per l’organizzazione di grandi eventi.
Una vera e propria vocazione quella per lo sport che il Piano Strategico #Varese2050, portato avanti da Confindustria Varese, vuole valorizzare per trasformare la provincia all’ombra delle Prealpi in una “wellness destination”. Obiettivo: fare della passione di tante persone, società e associazioni uno strumento di rilancio della competitività e della capacità attrattiva di tutto il territorio.
Confindustria Varese e PoliHub, l’innovation park e startup accelerator del Politecnico di Milano, hanno siglato un accordo per unire le conoscenze delle eccellenze manifatturiere varesine con le nuove tecnologie in via di sviluppo nelle migliori startup nazionali ed estere. Obiettivo: guidare le aziende meccaniche, siderurgiche, metallurgiche e delle fonderie nelle sfide del futuro, attraverso opportunità tecnologiche emergenti
Far incontrare il knowhow innovativo delle più promettenti startup deep tech nazionali ed estere con il sapere e il saper fare dell’industria metalmeccanica varesina per agganciare nuovi driver di sviluppo e rafforzare la competitività delle aziende del comparto sui mercati internazionali. Condurre uno scouting tecnologico basato sui trend emergenti, con particolare focus sulle imprese dei Gruppi merceologici “Meccaniche” e “Metallurgiche, Siderurgiche e Fonderie” della Confindustria varesina e i loro bisogni di filiera. Guidare le aziende nelle sfide future e attraverso le più recenti opportunità tecnologiche. Sono questi i principali obiettivi dell’accordo tra Confindustria Varese e PoliHub, l’innovation park e startup accelerator
del Politecnico di Milano che si occupa di accelerare il processo di trasferimento tecnologico dal laboratorio al mercato, selezionando e supportando nuove startup deep tech. “Questa partnership sancisce un altro importante passo verso la realizzazione dell’acceleratore di imprenditorialità Mill –Manufacturing, Innovation, Learning, Logistics che faremo nascere a Castellanza in stretta collaborazione con l’Università LIUC nei prossimi anni e che, in attesa dell’avvio del cantiere fisico vero e proprio, sta già prendendo forma nei servizi da mettere a disposizione delle imprese – afferma Roberto Grassi, Presidente di Confindustria Varese –. In questo percorso crediamo sia fondamentale unire il know-how delle nostre eccellenze manifatturiere con quello di realtà nazionali e internazionali
della ricerca per investire in nuove tecnologie abilitanti di una nuova industria sempre più competitiva e al passo con i trend innovativi del mercato. Vogliamo tessere una rete tra il neo-nascente Mill e i migliori centri di eccellenza del nostro Paese, tra cui proprio PoliHub, a vantaggio del sistema produttivo”.
Una collaborazione che vuole tracciare un percorso, della durata di un anno, verso una sempre maggiore apertura dell’industria all’Open Innovation. Un accordo in linea con il Piano Strategico #Varese2050 dell’Associazione datoriale varesina, che si pone l’obiettivo di rafforzare l’intero ecosistema dell’innovazione locale, anche e soprattutto attraverso l’attrazione di nuove startup, realtà imprenditoriali, talenti e investimenti.
“Il progetto intende sensibilizzare le aziende sulle sfide future e sulle
opportunità emergenti nell’ecosistema internazionale dell’innovazione – sottolineano i Presidenti dei Gruppi merceologici ‘Meccaniche’ e ‘Metallurgiche, Siderurgiche e Fonderie’ di Confindustria Varese, rispettivamente Carlo Del Grande e Massimo Garavaglia –. Con l’expertise di PoliHub vogliamo fornire ai nostri settori chiara comprensione dei cambiamenti tecnologici in atto e delle esigenze che si stanno affacciando sul mercato. Lo scouting tecnologico che avvieremo, infatti, mira a creare connessioni tra le aziende locali e le più promettenti startup nazionali e internazionali, facilitando l’adozione di soluzioni innovative e migliorando l’integrazione delle nuove tecnologie nel nostro sistema produttivo. Vogliamo dotarci di strumenti, conoscenze e relazioni che ci permettano di anticipare e cavalcare le tendenze e seminare una cultura di Open Innovation”.
Una collaborazione che, come sottolinea il Presidente di PoliHub, Marco Bocciolone, “vuole
contribuire alla costruzione della #Varese2050, valorizzando il talento imprenditoriale e l’attrattività del territorio. Vogliamo dare una spinta alla volontà delle imprese locali di aprirsi all’innovazione”. L’obiettivo dell’acceleratore del Politecnico di Milano è di mettere al servizio della Confindustria varesina competenze ed esperienza per sostenere i territori nel proprio processo di innovazione. “La sinergia tra aziende e startup – sostiene ancora il Presidente di PoliHub – è un binomio vincente che, negli anni, ha mostrato come entrambi gli attori coinvolti possano trarre benefici e crescere, grazie alla reciproca contaminazione”.
Avvio di nuovi processi di innovation governance e di Open Innovation nelle aziende del territorio, individuazione di “imprese manifatturiere metalmeccaniche champions”, scouting di startup deep tech: sono queste le principali attività previste dalla collaborazione tra Confindustria Varese e PoliHub. Durante la prima fase dei lavori, alle imprese verrà data l’opportunità
di conoscere e dotarsi di alcuni strumenti per l’implementazione di un modello strategico e organizzativo, che renda possibile e ottimizzi la governance dell’innovazione.
In un secondo momento, verranno identificate all’interno della compagine associativa dei Gruppi merceologici “Meccaniche” e “Metallurgiche, Siderurgiche e Fonderie” di Confindustria Varese alcune imprese, definite champions, che diventeranno i rappresentanti chiave per l’innovazione nel cluster industriale del settore e per l’individuazione dei principali e più rappresentativi bisogni di filiera.
L’ultimo passaggio, infine, prevede l’individuazione delle migliori startup nazionali ed estere deep tech, ovvero tutte quelle nuove e giovani imprese che usano tecnologie ad alto impatto industriale, fondate su scoperte scientifiche o innovazioni ingegneristiche che possano rappresentare soluzioni innovative per le esigenze di sviluppo che emergeranno nel campione varesino di aziende metalmeccaniche
champions.
Proprio su quest’ultimo punto di scouting, i numeri parlano chiaro: il territorio varesino ospita un bacino, ad oggi troppo ristretto, di poco meno di un centinaio di startup. “Di queste, una larghissima maggioranza riguarda startup di sviluppo e gestione di app, dirette ai bisogni dei consumatori –sottolinea il Presidente Grassi –. Per rafforzare il tessuto imprenditoriale locale è indispensabile andare alla scoperta e attrarre sul territorio anche quelle startup sviluppatrici di applicazioni più strettamente manifatturiere. Da qui uno dei motivi fondamentali dell’accordo con PoliHub, che con le sue attività è il naturale generatore di startup di questo tipo e porta di accesso a tutta quella rete di conoscenze in grado di creare nuove forme di collaborazione con il sistema industriale”.
Permettere all’industria metalmeccanica varesina di avviare
nuove collaborazioni con il mondo delle startup sotto varie forme. Ossia, progetti di osservazione degli sviluppi tecnologici per valutare futuri investimenti; incubazione di progetti di ricerca e sviluppo in forma collaborativa e di contaminazione reciproca; co-progettazione e
sperimentazione con programmi di co-design; inserimento della startup come partner nel proprio sistema di offerta, fino a valutare acquisizioni o partecipazioni in equity: questi gli obiettivi finali che si pone di raggiungere l’accordo tra Confindustria Varese e PoliHub.
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TERRITORIO
Come nasce una bobina di plastica
GITA A... Pedalando nella storia: la Piana Gallaratese
ARTE Le prossime mostre del Museo MA*GA
Chiara Mazzetti
Foto di Lisa Aramini Frei
Prosegue il racconto delle professionalità e del saper fare della manifattura made in Varese portato avanti da Varesefocus. Al centro dell’approfondimento di questo numero, il settore della gomma-plastica, in particolare dello stampaggio plastico, con il knowhow e l’innovazione di Parasacchi Srl, impresa familiare di Oggiona con Santo Stefano, che da quasi 80 anni realizza supporti per cavi di qualsiasi natura, dal settore automotive a quello medicale
Tutto parte dai granuli di plastica che, una volta passati tutti i test di conformità e qualità in laboratorio, entrano nel processo produttivo ed alimentano 15 presse ad iniezione. Il materiale passa, quindi, all’interno di una vite, viene fluidificato ed iniettato nello stampo per creare le diverse parti che costituiscono le bobine, con differenti cicli produttivi a seconda delle dimensioni dei pezzi prodotti. Una volta completato, il manufatto viene prelevato da un braccio robotico oppure da un operatore per passare poi alla fase di assemblaggio, non prima però di aver superato il check di qualità. Questo è il procedimento che, da quasi 80 anni, porta alla nascita delle bobine di plastica made in Parasacchi
Srl, impresa familiare di Oggiona con Santo Stefano, arrivata alla quarta generazione, specializzata nello stampaggio plastico.
“Le nostre bobine vengono utilizzate per tutto ciò che si avvolge, cavi elettrici, fili di rame, tubi medicali, fili d’acciaio e per reti agricole.
Copriamo diversi gruppi merceologici, dall’alimentare al tessile, passando per il settore automotive fino ai cavisti di qualsiasi natura, soprattutto cavi nobili, come il rame e le fibre ottiche”, spiega Luisa Parasacchi, titolare dell’azienda fondata dal nonno Marcello nel 1945 per la produzione di particolari tecnici in
plastica destinati al settore elettrico.
In quasi 8 decenni di attività, con il passaggio di testimone di padre in figlio, fino all’ingresso in azienda di una giovanissima Luisa, le cose sono cambiate alla Parasacchi e non poco. “Abbiamo affrontato un vero e proprio processo di rigenerazione aziendale, iniziato nel 2019 con l’ingresso in organico di un nuovo Direttore, Marco Rossi che è stato in grado di traghettare l’impresa verso un cambiamento totalizzante”, spiega la titolare. Grazie ad un’esperienza di oltre 35 anni in realtà multinazionali, di svariati settori, Marco Rossi ha portato in azienda innovazioni e nuove sfide, puntando tutto sul capitale umano:
“La parte più bella del mio lavoro è avere a che fare con le persone – racconta il Direttore –. Il processo di cambiamento avviato in Parasacchi con il mio arrivo è stato proprio improntato sui nostri collaboratori, che abbiamo cercato di valorizzare al massimo, organizzando, ad esempio, una serie di iniziative per coinvolgerli
maggiormente nei processi decisionali aziendali”. Il che si è tradotto nell’utilizzo dei briefing, brevi riunioni organizzate tassativamente all’inizio di ogni giornata lavorativa, per fare il punto di quanto fatto il giorno precedente e di quanto in programma per quello appena avviato. Un momento di confronto diretto, vis-à-vis, che è risultato essere risolutivo di alcune problematiche latenti, con il positivo effetto di un netto miglioramento per quanto riguarda la produttività. E poi ancora l’organizzazione di tavoli tecnici, lezioni settimanali e momenti di formazione per i capi reparto. Fino ad arrivare all’istituzione di una
“Le nostre bobine vengono utilizzate per tutto ciò che si avvolge, cavi elettrici, fili di rame,
tubi medicali, fili d’acciaio e per reti agricole. Copriamo diversi gruppi merceologici, dall’alimentare al tessile, passando per il settore automotive fino ai cavisti di qualsiasi natura, soprattutto cavi nobili”
academy interna, dedicata al delicato tema del passaggio generazionale. “Quando sono entrata io in azienda, al fianco di mio padre Franco – racconta Luisa Parasacchi – mi sono dovuta fare largo, costruendomi da sola un ruolo. Per mio figlio Filippo, che tra qualche anno prenderà le redini dell’impresa, sarà molto diverso. L’academy, tenuta dal Direttore, è nata proprio con lo scopo di creare una figura manageriale forte, tailor made, forgiata sulle specifiche esigenze della nostra realtà. Si tratta di un percorso con tanto di voti, laboratori ed esercitazioni: un modello che, a tendere, ci piacerebbe estendere a tutti i collaboratori e non solo”.
Creare un ambiente conviviale, nel quale tutti si sentissero apprezzati e valorizzati: questo è stato l’obiettivo del percorso di rinnovamento dell’impresa di Oggiona con Santo Stefano che, partendo da materie prime principalmente di produttori italiani, ma anche coreani, realizza
ogni anno all’incirca 2 milioni di bobine di varie dimensioni. “Ne abbiamo in catalogo tra i 200 e i 300 tipi differenti – racconta Luisa Parasacchi –. La bobina viene spesso percepita come un semplice supporto, ma alle spalle di ogni singolo pezzo c’è una tecnicità importante, supportata da numerosi test di tenuta, trazione e anche rotazionali”.
Dietro ad un prodotto all’apparenza semplice da realizzare, in altre parole, si celano diverse professionalità: dal controllo qualità, all’ufficio tecnico, senza dimenticare le competenze amministrative, commerciali e quelle più tecniche degli stampatori, degli assemblatori, dei meccanici e dei magazzinieri. Una macchina complessa, che impiega 45 dipendenti su 3 turni, giorno e notte, 5 giorni su 7.
Rispetto per l’ambiente, unito alla voglia di innovazione e di sperimentare hanno portato, negli anni, anche alla nascita di una linea di bobine green, come racconta il Direttore Rossi. “Il nome racchiude l’essenza del prodotto: la linea Ecoblack è composta da bobine realizzate con materiali riciclati post-industriali. Proprio l’utilizzo di questi materiali va a connotare il profilo ecologico dei manufatti, in un’ottica di economia circolare e nel rispetto dell’ambiente. Abbiamo creato una vera e propria circolarità e, più in generale, investito negli ultimi anni oltre 1 milione di euro in macchinari, sicurezza e attrezzature per il laboratorio qualità, perché crediamo fortemente nello sviluppo aziendale”.
Francesca Cisotto
O-I Italy Spa, Grünenthal e Opella Healthcare Italy Srl del Gruppo Sanofi, queste le prime aziende tester che hanno deciso di aderire al servizio navetta organizzato da Confindustria Varese e BusForFun per decongestionare la rete stradale da e per la zona industriale tra Origgio, Uboldo e Saronno. Obiettivo: facilitare gli spostamenti quotidiani dei lavoratori, ridurre l’uso delle auto private in una delle aree più trafficate della provincia e contribuire alla diminuzione delle emissioni di CO2
Facilitare gli spostamenti quotidiani dei lavoratori, ridurre l’uso delle auto private, contribuire alla diminuzione delle emissioni di CO2. Questi gli obiettivi del progetto di mobilità condivisa che ha preso avvio, nella sua fase di test, lo scorso 23 settembre, dalla sinergia tra Confindustria Varese e BusForFun, azienda attiva nelle soluzioni di mobilità integrata B2B, grazie alla partecipazione delle realtà manifatturiere di Origgio O-I Italy Spa, Grünenthal e Opella Healthcare Italy Srl (Gruppo Sanofi), in qualità di aziende tester.
Un progetto nato in risposta alle necessità manifestate da alcune aziende della zona industriale del Saronnese durante il tour
“Confindustria Varese in ascolto” organizzato dall’Associazione datoriale per raccogliere, appunto, le esigenze delle imprese. Tra queste, quella di un sistema di trasporti più sostenibile
in grado di decongestionare la zona produttiva tra Origgio, Uboldo e Saronno, notoriamente tra le aree più trafficate della provincia.
È da qui che Confindustria Varese ha dato avvio insieme a BusForFun Business ad un’analisi dei flussi del traffico, alimentati dai lavoratori della zona. Uno studio approfondito, questo, a cui ha fatto seguito la realizzazione, da parte di BusForFun, di un vero e proprio piano di mobilità che, per il momento, in questa fase di test, si basa su 2 bus e 6 corse giornaliere. Un periodo di prova che andrà avanti fino alla fine dell’anno e che prevede
3 corse di andata che prelevano i collaboratori delle aziende a partire dalla stazione di Saronno per poi andare verso la zona industriale e, viceversa, 3 di ritorno che a fine giornata li accompagnano indietro, dalle rispettive imprese alla stazione.
Secondo dei calcoli previsionali, si tratta di un servizio che già nella fase di test, dal 23 settembre (data di avvio) al 31 dicembre 2024, con il coinvolgimento delle sole 3 imprese tester, porterà ad una riduzione giornaliera di 107 auto dalla strada con un conseguente risparmio totale di 15.767,96 chilogrammi di CO2
“Più di 500 colleghi possono usufruire del servizio e confidiamo anche molti di più in futuro – spiega Giovanni Marangoni, Direttore dello Stabilimento Grünenthal di Origgio –. Siamo entusiasti di far parte di questa iniziativa che ben si inserisce nel percorso di crescita infrastrutturale e organizzativa che sta avvenendo in Grünenthal ad Origgio negli ultimi anni. Siamo convinti che una migliore connessione del sito con la rete di trasporti possa rendere ancora più attrattiva la nostra realtà per un sempre maggior numero di talenti.
Inoltre, riteniamo che questo possa esser un virtuoso esempio di collaborazione tra le eccellenze aziendali e il territorio”.
Ma non è una buona iniziativa solo in termini di sostenibilità ambientale. Lo sottolinea così Chiara Ponti, Responsabile Sostenibilità di O-I Italy: “Il progetto è davvero molto interessante per la nostra azienda. Secondo noi dare la possibilità alle persone di avere un’alternativa all’utilizzo dell’auto privata significa generare valore, in termini assoluti. Oltre agli evidenti benefici ambientali, l’utilizzo della navetta permette di dedicare il tempo, altrimenti impegnato alla guida, ad attività più costruttive, come ad esempio la lettura o la socializzazione. Un altro aspetto da considerare è sicuramente la diminuzione dei livelli di stress”.
Testimonianze, queste, che mettono in luce quanto la sostenibilità, sociale, oltre che ambientale, ormai sia una strada obbligata per le imprese che vogliono stare al passo con la modernità ed essere sempre più attente al benessere delle persone e della comunità. A confermarlo è Roberto Di Domenico, Direttore dello Stabilimento Opella Healthcare Italy di Origgio: “In Opella Italia stiamo sviluppando numerosi progetti di sostenibilità, che ci hanno permesso di ottenere, nei primi mesi del 2024, la prestigiosa certificazione B Corp, confermando
così il nostro impegno a migliorare costantemente, in linea con la nostra strategia orientata al benessere delle persone e alla salute del pianeta. Lo scorso anno abbiamo compiuto un passo significativo diventando Società Benefit, rafforzando il nostro percorso di responsabilità sociale e ambientale. BusForFun rappresenta un’ulteriore opportunità per migliorare le nostre performance e il nostro impegno in questa direzione. Siamo determinati a proseguire su questa strada, sviluppando iniziative che non solo riducano il nostro impatto ambientale, ma contribuiscano anche al benessere della comunità in cui operiamo e alla creazione di un futuro più sostenibile per tutti”.
“Si tratta di un progetto con cui rispondiamo alle esigenze delle nostre realtà manifatturiere, ma che non si ferma ad una questione meramente pratica di trasporto. La condivisione vuole contribuire alla riduzione delle emissioni carboniche promuovendo in questo modo una mobilità più sostenibile”.
Così il Presidente di Confindustria Varese, Roberto Grassi, sull’iniziativa di mobilità condivisa avviata insieme a BusForFun, con la partecipazione delle aziende tester di Origgio. “Ciò che auspichiamo – continua Grassi – è che questo sia solo l’inizio di una buona pratica che possa essere imitata anche da altre realtà, non solo di Saronno e dintorni, ma in generale sul nostro territorio. L’iniziativa, infatti, parte con alcune imprese che faranno da test, ma è aperta ad altre adesioni”.
“Questo progetto segna un traguardo significativo per il nostro servizio commuting, che affianca le aziende nella realizzazione di trasporti personalizzati per i propri dipendenti, fornendo un’alternativa sostenibile all’uso delle auto private, elemento sempre meno indispensabile per l’assunzione di nuovi giovani lavoratori”, sottolinea Fabio Bozza, Ingegnere dei Trasporti di BusForFun. Le aziende interessate ad aderire al progetto possono contattare Confindustria Varese all’indirizzo: economico@confindustriavarese.it.
Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito web https://commuting.busforfun.com oppure scrivere una mail all’indirizzo commuting@busforfun.com.
Lisa Aramini Frei
L’Università delle Tre Età, nata nel 2023, offre un’ampia gamma di corsi che spaziano dalla letteratura alla medicina, promuovendo il dialogo intergenerazionale. Situata nella suggestiva location della Villa Cagnola di Gazzada Schianno, rappresenta un punto di riferimento per chiunque desideri approfondire le proprie conoscenze e costruire relazioni sociali in un ambiente culturale stimolante
Nella natura dell’essere umano, la voglia di scoprire e conoscere è innata e costituisce l’essenza della vita. C’è chi si ferma alle conoscenze basilari, accontentandosi di ciò che appare in
superficie e chi, invece, si impegna ad approfondire tutto ciò che vede e gli si pone davanti. Dai momenti dedicati alla lettura, alle visite nei musei o al semplice dialogo con gli altri, le occasioni di studio sono infinite. È da questa voglia di condivisione dei saperi e di approfondire le proprie conoscenze che è nata un’Università fuori dagli schemi. In un contesto neoclassico celebre in tutta Italia, ha trovato la sua dimensione UniCagnola, un luogo di formazione e incontro che prende il nome dalla storica Villa Cagnola a Gazzada Schianno, che la ospita. Nata nel 2023 da un gruppo di volontari della Fondazione Cagnola, composto anche da ex docenti liceali e universitari ormai in pensione, il progetto educativo offre corsi che spaziano dalla letteratura alla pedagogia, con diversi laboratori creativi e non solo, all’interno di un vastissimo piano di offerte. Aperta a tutti coloro che desiderano ampliare le proprie conoscenze, l’Università accoglie principalmente un vasto gruppo di studenti composto da persone in pensione, ma trovano il proprio spazio anche ragazzi più giovani. Da qui, il nome Università delle Tre Età. “L’idea era di partire con circa 100 iscritti – racconta Angelo Viganò, docente e responsabile del progetto – un numero di per sé già più che buono. Ma, come spesso accade, il risultato ha superato le aspettative, con oltre 150 iscritti. Anche il numero di docenti è risultato molto elevato, con circa 50/60 professori che offrivano gratuitamente le proprie lezioni”.
Nato nel periodo post-pandemico, il progetto culturale della Villa gazzadese voleva incrementare il senso critico e la conoscenza, ma il vero obiettivo era quello di riaggregare le persone dopo il Covid e creare nuove relazioni. Di
fatto, si è creata una vera e propria famiglia, con studenti che frequentavano persino 18 corsi pur di trascorrere del tempo insieme. I corsi spaziano dalle materie più classiche, come letteratura e pedagogia, a quelle più specifiche come economia e medicina. Oltre a queste offerte, ci sono anche diversi corsi di lingue, dall’inglese al francese e persino lo spagnolo. Alcuni dei corsi tenuti nell’ambito del progetto di UniCagnola sono stati portati anche a Malnate, tra le mura de La Residenza, Casa Albergo per anziani, fiore all’occhiello delle case di riposo per via della sua popolazione principalmente di artisti o virtuosi in pensione. “La particolarità di questa esperienza – spiega Paola Tadiello, organizzatrice dei corsi per il progetto – è stata la partecipazione anche dei cittadini di Malnate. Non abbiamo voluto circoscrivere i 4 corsi ai soli residenti della casa per anziani e questo è stato un vero successo, tant’è che abbiamo già richieste per il prossimo anno”.
Le lezioni seguono il classico calendario accademico, partendo ad ottobre e terminando a maggio, con corsi che si svolgono durante tutto l’arco della giornata e della settimana. Molte le iniziative organizzate nell’ambito del progetto e che si distaccano dal calendario canonico,
come, ad esempio, gli incontri domenicali delle Lectio Magistralis, organizzati nella suggestiva Aula Magna della Villa e che rappresentano un momento di grande approfondimento culturale. I temi affrontati durante gli approfondimenti culturali si articolano in lezioni di filosofia, religione e arte, sempre con un approccio inclusivo e multidisciplinare. “Abbiamo organizzato incontri su temi specifici – sottolinea Angelo Viganò – il primo su Pascal, il secondo sulla letteratura, poi uno sull’arte. L’ultimo è stato una tavola rotonda su come diverse religioni interpretano il testo sacro”.
Villa Cagnola, con la sua bellezza e la sua ricca collezione artistica, offre inoltre uno scenario ideale per i Tè di Cultura, eventi che combinano la presentazione di libri con una visita guidata alla collezione della Villa, curata dalla VAMI, gruppo Volontari Associati Per I Musei Italiani, che nel corso della loro vita hanno contribuito a valorizzare il Sacro Monte e la zona di Castiglione Olona. Un’altra particolarità di questa Università è l’ampia offerta di laboratori pratici, che spaziano dalla rilegatura alla pittura ad acquerello, dal mosaico alla ceramica. Quest’anno è stato aggiunto anche un laboratorio di restauro, che si avvale dell’esperienza di restauratori che già operano sulla collezione artistica di Villa Cagnola. “Abbiamo anche un laboratorio di legatoria – continua Paola Tadiello – nel corso del quale ogni partecipante ha realizzato il proprio libretto utilizzando materiale di recupero”. Questa varietà nell’offerta didattica proposta ha permesso di coinvolgere non solo studenti della terza età, ma anche molti giovani, creando una vera e propria sinergia intergenerazionale. Grazie all’impegno dei docenti, molti dei quali offrono il loro tempo volontariamente e alla risposta entusiasta degli iscritti, l’Università delle Tre Età di Villa Cagnola si sta consolidando come un pilastro dell’educazione e un vero e proprio focolaio di socializzazione.
Alessandra Favaro
Storie di fantasmi e leggende, in questo periodo dell’anno, sono ancora più intriganti e permettono di visitare, con un punto di vista diverso, luoghi storici vicino a casa. Ecco alcune suggestioni per gite in provincia di Varese, alla scoperta di antichi Monasteri, buie cavità naturali e affascinanti castelli. Tra ricorrenze provenienti da Oltreoceano e tradizioni tutte nostrane
Ottobre, ci si creda o meno, è il mese dedicato al mistero. Le leggende e le storie di Ognissanti segnano il passo tra le stagioni, inaugurando quella più buia e carica di introspezione. Alcune tradizioni legate a questo periodo sono, tuttavia, erroneamente attribuite solo ed esclusivamente alle mode native Oltreoceano, da dove proviene, ad esempio, la famigerata festa di Halloween. Ma molte di esse affondano le radici nella cultura locale. Basti pensare all’usanza della “Lumassa” in Veneto e delle “Lumere” in Lombardia. Insomma, quale sia la tradizione o la consuetudine che si intende seguire in questo periodo dell’anno, il mistero diventa protagonista. Il precoce calar del sole e i colori autunnali a fare da cornice, rendono perfette le gite alla scoperta dei misteri e delle leggende della provincia varesina.
A quanto pare, si trova proprio nel Varesotto uno dei luoghi più infestati della regione. Uno dei siti più noti per le sue presunte attività paranormali sarebbe, infatti, il Monastero di Santa Maria
Assunta di Cairate, al centro di una delle leggende più famose della zona. Secondo la tradizione, il monastero fu fondato nel 737 d.C. da Manigunda, una nobile longobarda legata alla corte regia di Pavia. La leggenda narra che Manigunda fece costruire il monastero per sciogliere un voto in seguito ad una guarigione miracolosa.
Nel 2012, il monastero è balzato agli onori della cronaca per un “mistero nel mistero”. Un operaio al lavoro nella struttura scattò una fotografia che, una
volta esaminata, rivelò la presenza di una figura spettrale non visibile al momento dello scatto. Molti hanno collegato questa apparizione al fantasma di Manigunda, la fondatrice del monastero, anche se, dopo analisi e confronti, dai più lo scatto è stato definito un falso. L’episodio ha attirato l’attenzione dei media, portando anche una troupe televisiva della trasmissione “Mistero” ad indagare sul posto. Questo evento ha contribuito ad alimentare l’alone di mistero che circonda il monastero, rendendolo una meta di interesse per gli appassionati di fenomeni paranormali.
A Biandronno, invece, Villa Borghi è al centro di un’altra leggenda locale. La storia risale ai primi anni dell’800 e coinvolge Luigi Borghi e sua moglie Margaret Doyle. Secondo la leggenda, le anime inquiete della coppia continuerebbero ad abitare le stanze della villa. I fenomeni paranormali associati alla loro presenza includerebbero porte che si aprono da sole, strani flussi di aria fredda e
luci che si accendono improvvisamente. La storia narra che Luigi Borghi, inviato a Manchester per studiare le macchine a vapore, conobbe e sposò Margaret. Al loro ritorno in Italia, la famiglia fece costruire la storica dimora. Tuttavia, il loro matrimonio fu presto segnato da incomprensioni e gelosie.
Nel 2012, un fotografo affermò di aver catturato l’immagine del fantasma di Luigi affacciato ad una finestra dell’ultimo piano della villa. Inoltre, si dice che nelle mattine d’inverno sia possibile scorgere la figura spettrale di Margaret emergere dalle acque del lago.
Conosciuto anche come “Tana del Lupo” o “Grotta delle Fate”, l’Antro Mitriaco di Angera è una cavità naturale situata ai piedi della Rocca Borromeo, ritenuto l’unico esempio conosciuto in Lombardia di un possibile luogo di culto dedicato al dio Mitra. Si tratta di una grotta naturale di forma ellittica, al cui esterno sono presenti tracce di antichi rilievi e incavi, probabilmente legati a rituali misterici. Recenti studi archeologici hanno rivelato tracce di frequentazione risalenti al Mesolitico (circa 7.000 a.C.) e la possibile presenza in epoca romana di una struttura esterna simile ad un pronao colonnato.
L’ipotesi è che fosse un luogo di culto legato ad una sorgente d’acqua, probabilmente dedicato alle Ninfe. La leggenda narra che ogni 100 anni si apra
una porta magica che conduce a un mondo fatato. Trovandosi in un terreno privato, l’Antro Mitriaco non è visitabile, ma è possibile recarsi nel centro storico di Angera, al Civico Museo Archeologico, in via Marconi 2, per scoprire tutto sulla sua storia. Tracce di culti misteriosi sono presenti anche a Sesto Calende, dove si trova il “Sass da Preja Buja”, un masso erratico, importante luogo di culto pagano, dove si dice che le bussole impazzissero per le forze misteriose emanate dal sito. Nelle vicinanze sorge l’Oratorio di San Vincenzo, testimonianza di come spesso i luoghi di culto cristiani venissero edificati su antichi siti pagani. E proprio in quest’area, recenti studi archeologici a cura dell’Università di Milano hanno rinvenuto resti di un’antica chiesa e di un vecchio edificio. Per ora gli studiosi non si sbilanciano ma, senza dubbio, quest’area custodisce molti misteri ancora da scoprire. Questa è una zona affascinante per una passeggiata nel periodo autunnale, tra boschi e foglie colorate: un po’ di nebbia renderà il tutto ancora più suggestivo.
A Somma Lombardo, in autunno, il Castello Visconti di San Vito è protagonista di affascinanti visite guidate alla scoperta della sua storia e delle sue magnifiche stanze interne. Il castello nasconde anche diversi misteri intriganti: si narra, infatti, che nei sotterranei, vicino alle cucine, esistesse un passaggio segreto, un tunnel che collegava il ventre del castello con il fiume Ticino, pensato per eventuali fughe improvvise. Inoltre, tra i sommesi, circola la leggenda di una sorgente di acqua purissima nascosta nel castello, anche se questa storia non ha ancora trovato conferma. A portare con sé un mistero affascinante, oltre ad ospitare interessanti iniziative durante il periodo di Halloween, è un altro edificio della provincia di Varese. Si tratta di un Bene Fai, il Monastero di Torba con le sue “monache senza volto”. Su una parete del monastero è raffigurato, infatti, un gruppo di 8 monache, 3 delle quali prive di volto. Secondo la tradizione, mentre l’affresco veniva realizzato, 3 monache si allontanarono dal monastero per motivi sconosciuti. I loro ritratti rimasero così incompleti, con l’ovale del viso vuoto, nell’attesa di essere terminati con le fattezze di nuove monache, cosa che non accadde mai, poiché il monastero fu abbandonato. Ovviamente anche in questo caso, soprattutto tra il popolo del web, è nata una leggenda metropolitana: si dice che gli spiriti di queste 3 monache “senza identità” vaghino ancora oggi per
i campi di Torba, cercando di rientrare nel dipinto. Solo quando ci riusciranno, otterranno un’identità e potranno finalmente accedere al Paradiso. L’edificio, originariamente un castrum militare, fu abitato da monache benedettine che lo arricchirono con la costruzione della chiesa e del monastero nell’VIII secolo. Al secondo piano, dove le sorelle si riunivano per pregare, si trova questo affresco. Gli ovali vuoti dei 3 visi sono perfetti, come se i ritratti fossero sempre stati incompleti .
Il Sasso di Preja Buia a Sesto Calende. Sotto, il Museo di Angera
Le Lumere hanno probabilmente origini celtiche. Si ritiene che siano legate alla festa di Samhain, un momento dell’anno in cui si credeva che il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti diventasse più sottile. Questa celebrazione coincideva con l’inizio di novembre, segnando il passaggio dalla stagione luminosa a quella buia.
Le Lumere (e le Lumasse) venivano accese e posizionate sui davanzali o nei giardini. La tradizione delle Lumere non si limita alle zucche intagliate. In molte famiglie, la sera del 1° novembre si apparecchia ancora la tavola per i defunti, un gesto simbolico di accoglienza e ricordo di chi non c’è più. Inoltre, è comune preparare dolci speciali come il pan dei morti, un biscotto che onora la memoria dei cari scomparsi. Mentre Halloween si diffonde sempre più in Italia riempiendo le città di divertimento, è bene non dimenticare anche questa tradizione che ricorda come, molto prima dell’arrivo di zucche arancioni e “dolcetto o scherzetto”, le comunità locali avessero già il loro modo di celebrare questo periodo dell’anno, mescolando rispetto per i defunti, tradizioni agricole e un pizzico di mistero.
Alessandra Favaro
In Valle Olona è possibile fare un giro in bicicletta, tra natura, arte, musei e imprese, insieme a tutta la famiglia. Partenza dal centro di Cassano Magnago fino a Lonate Ceppino e Tradate, per poi rientrare alla base passando da Cairate, Solbiate Olona e Fagnano Olona. Le ciclopedonali della provincia di Varese, sono perfette per percorsi da intraprendere anche in questo periodo dell’anno
Iprimi mesi autunnali, dai colori aranciati e dal profumo di funghi e zucche, permettono ancora agli amanti delle biciclette di divertirsi sui percorsi ciclopedonali varesini, prima di riporre le due ruote nella stagione più fredda. Qualche giro magari in piano, su strade non rese scivolose da ghiaccio che ad alcune altezze comincia già a farsi vivo o tappeti di foglie in pendenza, è un bel modo per pedalare e chiudere in bellezza la stagione ciclistica.
Gli ultimi giri in provincia Nemmeno a dirlo, le ciclopedonali che caratterizzano la provincia di Varese, molte delle quali abbiamo già descritto nei numeri precedenti di Varesefocus, sono perfette in questo periodo dell’anno. Anzi, se le avete apprezzate con le fioriture primaverili e con i colori estivi, provate a rifarle a novembre. Le linee e i profili sono cambiati e regalano un fascino diverso. Il sole basso e il clima fresco
stancano meno i pedalatori ed è perciò possibile concentrarsi sulla bellezza del percorso e dei panorami. Tra queste, naturalmente la ciclopedonale di Varese è uno dei percorsi più belli anche in autunno. Se si ha voglia di pedalare più a lungo, è possibile prendere il collegamento che unisce questa pista con la ciclopedonale di Comabbio e raddoppiare giro, laghi e scenari, sbucando a Varano Borghi. Il consiglio è di concentrarsi su percorsi già noti, sicuri in questa stagione e di cui si conoscono i tempi di percorrenza. Facendo buio presto, in questi mesi è necessario calcolare bene orari di uscita e rientro. In questo, alcune App di escursionismo possono essere utili nel calcolo preciso di chilometri e di tempi di percorrenza. Se si ha voglia di provare qualcosa di diverso e stare un po’ più a lungo in sella, restare in un’area urbana e visitare nel frattempo interessanti musei lungo il percorso, un bel giro può essere quello della Piana Gallaratese. Un itinerario che tocca luoghi affascinanti anche dal punto di vista storico-culturale, eppure sottovalutati a volte e poco conosciuti persino dagli stessi abitanti.
La Piana Gallaratese in bici
Ci troviamo in Valle Olona e dintorni per scoprire questo itinerario ad anello davvero interessante. Il percorso è nato poco più di un anno fa, in occasione del Giro d’Italia 2023. In concomitanza dell’evento, sono stati ideati diversi percorsi cicloturistici che si snodano lungo le tappe della celebre Corsa Rosa. Tra questi appunto, c’è l’itinerario “Valle Olona: la Piana Gallaratese in bicicletta”, un tour di media difficoltà che si sviluppa principalmente su strade asfaltate che il Giro consiglia alla categoria di ciclisti “famiglia ben preparata”. Una gita su due ruote, insomma, che si può fare tutti insieme, con compagni e figli al seguito, basta non essere neofiti della bicicletta. Con i suoi 50 km di lunghezza e un dislivello complessivo di soli 440 metri, questo percorso si rivela infatti adatto a ciclisti di ogni livello, purché discretamente allenati o dotati di una bicicletta a pedalata assistita. L’itinerario offre un’esperienza ciclistica gratificante, combinando la sfida fisica con la bellezza del paesaggio circostante. Questo percorso propone un’affascinante esplorazione del territorio compreso tra Busto Arsizio e Varese, immergendo i ciclisti in un mosaico di paesaggi che alternano zone agricole ad aree boschive. Nonostante sia una
delle aree più industrializzate della Lombardia, questo percorso accompagna la storia di grandi imprese con affascinanti spazi verdi, incastonati nel tessuto urbano.
Pedalando lungo queste strade, si ha l’opportunità di intraprendere un viaggio nel tempo, scoprendo il ricco patrimonio storico e culturale che caratterizza questi luoghi. Ma quali sono le tappe del tour?
Tour tra natura e città
Si parte dal centro di Cassano Magnago per poi toccare Santo Stefano, Caronno Varesino, salire verso Morazzone e poi Schianno e Bizzozzero fino a Lonate Ceppino e Tradate. Si rientra, quindi, passando da Cairate, Solbiate Olona e Fagnano Olona.
Prima di partire, una piccola deviazione nella città di partenza, Cassano Magnago, è doverosa per ammirare il parco della Magana. È pieno autunno e gli alberi del parco si incendiano con i colori del foliage. Poi, in sella verso Varese, procedendo per Lozza, percorrendo vie secondarie e poco trafficate. Il percorso, in seguito, si innesta sulla pista ciclopedonale della Valle Olona. Questo tratto, ricavato dal tracciato dismesso della ferrovia Valmorea, offre un itinerario pianeggiante e rilassante e davvero scenografico dal punto di vista paesaggistico.
Da qui, pedalando si arriva fino a Tradate e si entra nel centro cittadino. Questo è il momento giusto per una pausa rifocillante, un bel caffè caldo e una visita al museo Fisogni in via Giacomo Bianchi. Un luogo davvero fuori dagli schemi. L’edificio ospita, infatti, la collezione di distributori di carburanti più completa al mondo (Certificata Guinness World Record). Aperto solo su prenotazione con ingresso a offerta libera. Al suo interno, si trova anche la mostra “Boom Economico”: un percorso espositivo realizzato con gli studenti tradatesi per ripercorrere gli anni del boom economico nella città, ricco di foto e testimonianze dell’epoca storica tra gli anni ‘50 e ‘60.
Il Museo conserva numerose opere, pezzi e grafiche disegnati da noti illustratori e designer del ‘900, come quelle di Marcello Nizzoli per Oliofiat e quelle di Lora Lamm, Giorgio
e Plinio Codognato per Pirelli, oltre ai loghi Agip e AgipGas di Luigi Broggini e Federico
Tra le pompe di benzina, i modelli realizzati da Alberto Rosselli e dalla coppia Nizzoli-Olivieri per Agip-Nuovo Pignone (in prestito alla Triennale di Milano) e molti altri.
Dal 2023 il Museo raccoglie anche diverse opere d’arte a tema, realizzate da artisti tra i quali Andy Warhol, Mimmo Rotella e Mario Schifano, solo per citarne alcuni.
Da questo punto, dopo Tradate, si rientra in natura nel parco del Medio Olona, un luogo in cui la storia industriale della provincia di Varese si mescola alla bellezza della natura, dove antichi mulini si specchiano nelle acque di un fiume che ha plasmato il paesaggio per secoli. Il Parco del Medio Olona è un libro aperto sulla storia della regione. Lungo i suoi sentieri, si possono scoprire antiche fabbriche e mulini ad acqua, testimoni silenziosi di un’epoca in cui il fiume era il motore dell’economia locale.
La pista ciclabile Valle Olona offre un modo unico di esplorare il parco, pedalando tra paesaggi, ponti affascinanti e scorci storici. È un viaggio nel tempo e nello spazio e nella modernità, visto che ci si trova in una zona ricca di sviluppo e tecnologia.
Pedalando si arriva anche a Castiglione Olona, gioiello del Rinascimento lombardo. Il percorso ideale parte dalla Collegiata, maestoso complesso che domina il paese dall’alto. Da qui, scendendo verso il centro storico, si incontrano palazzi nobiliari come Palazzo Branda Castiglioni, con i suoi affreschi quattrocenteschi. Proseguendo, merita una sosta il Museo Civico d’Arte Moderna, ospitato in Villa Castiglioni. Poco distante, il Battistero affascina con i suoi dipinti di Masolino da Panicale.
Uscendo dal centro, una piacevole pista ciclabile costeggia il fiume Olona, offrendo scorci suggestivi sulla campagna circostante. Il percorso si conclude idealmente al Monastero di Torba, sito Unesco poco fuori dal paese.
Proseguendo in bici, si rientra a Cassano Magnago, dopo aver fatto un vero e proprio viaggio nella storia del territorio varesino.
Villa Porta è più di un semplice luogo per eventi: è un’esperienza di lusso con un servizio accurato. La scelta ideale per creare ricordi indimenticabili.
Scoprite di più su: www.villaporta.style
Villa Porta è un luogo esclusivo sul Lago Maggiore, perfetto per eventi dai caldi toni autunnali e dalla magica atmosfera di dicembre - meeting aziendali, cerimonie indimenticabili, raffinati matrimoni e cene di fine anno.
Immersa nel suo parco secolare, la Villa offre scenari ogni volta diversi e sempre personalizzabili. Anche nei mesi più freddi, le sale della Ballroom Limonaia e Torretta garantiscono una calda accoglienza senza mai rinunciare all’incantevole vista sul lago.
Luisa Negri
Il Museo MA*GA di Gallarate, in due mostre parallele, espone la storia e il futuro di un linguaggio che, da sempre, distingue il made in Italy nel mondo. Una rassegna che nasce da un progetto del 2009 di Philippe Daverio e che ora prende forma in un racconto del secondo ‘900 fatto di oggetti, produzione artistica, modernità, casa, riscatto, temi sociali e politici, cultura di massa e innovazioni tecniche
Saranno ben 5 mesi di dialogo tra arte e design. A proporre l’appuntamento, dal 13 ottobre 2024 al 2 marzo 2025, è il MA*GA di Gallarate. Che ospiterà in contemporanea 2 percorsi espositivi, paralleli e complementari, accolti in un unico allestimento (per la curatela di Parasite 2.0). Lo scopo è di “raccontare la storia e il futuro prossimo di un linguaggio che continua a distinguere l’Italia nel mondo”. Il tutto nasce da un progetto del 2009 che fu caro a Philippe Daverio. Jean Blanchaert, suo amico, ne ha ricordato sempre l’aiuto dato al Museo, bruciato nel 2013: il primo a raccogliere le firme per la ricostruzione fu proprio Philippe. E ora i curatori Emma Zanella, Vittoria Broggini e Alessandro Castiglioni, hanno potuto concretizzare nella mostra “Arte e Design, Design è Arte”, sostenuta da Ministero della Cultura e Regione Lombardia, quello storico progetto rimandato.
“Una rassegna visionaria e ambiziosa – sottolineano – che intreccia la produzione artistica, l’oggetto di design e dialogo, da una prospettiva estetica ed etica, col fare artistico della modernità”.
L’esposizione comprende 5 sezioni precedute da una prefazione e seguite da una
Dall’alto a sinistra, Bruno Munari, Gioco Zizi, 1954, Produzione Corraini Editore, Collezione MA*GA. Sgabello Mod.220 Mezzadro, Zanotta SpA Italy. A fianco, Luigi Ontani Son, Testa Son paesaggio turrito, 1984, Sergio Buono Courtesy MAMbo
Un’evoluzione sociale e politica era in atto. L’industria del Nord Italia, da tessile “s’era fatta nell’ultimo quarto del XIX secolo metalmeccanica e, nel senso più vasto del termine, chimica”. Notava il critico che, nonostante tale cambiamento, gli architetti milanesi del tempo, frequenteranno gli artigiani e non l’industria. “Il loro mondo lavorativo fu di poca Pirelli e di tanta Brianza”. Il motivo stava nella loro provenienza da una borghesia ormai consolidata, imparentata con la vecchia nobiltà.
ragazzi di buona famiglia”. Proprio
Ecco allora che ad accogliere il visitatore è una serie di poltrone famiglia
La prima sezione della mostra, “Si riparte”, è dedicata al secondo dopoguerra. A un mondo desideroso di riscatto. A prevalere sono ancora le geometrie dell’International Style, che però sembrano farsi più spigolose e appuntite. A raccontare questi anni è il noto servomuto “Cicognino” di Franco Albini, il tavolino tondo in dialogo con la pittura a olio su tela di Emilio Vedova “Urto ‘49”. Ispirata al dramma del conflitto e alla tragedia della guerra, l’opera, di proprietà del MA*GA, fa parte del ciclo delle potenti “Geometrie nere” (dal ‘46 al ’50) di Vedova, caratterizzate da forme scure e pungenti che parlano di violenza e menzogna. Per l’artista lo spazio della tela doveva essere invito al rifiuto del male e a una nuova consapevolezza. Gillo Dorfles con “Immagini Ambigue” e Antonia Campi (si veda il suo originale “Portaombrelli”), nota per l’attività ceramica alla Società Ceramica Italiana (SCI) di Laveno Mombello, portano a loro volta la presenza del Movimento Arte Concreta (MAC) che negli anni ‘50 conduce a forme policrome più libere, pur in un mix di rigore e organicità.
“ben una
classe agraria e nobiliare fino il tono
postfazione, come in un romanzo. Le sezioni non intendono essere sintesi del secondo ‘900 italiano, ma porre una serie di questioni. Perché questa era l’idea di Daverio: il racconto di un cammino in continua evoluzione, intrapreso nel secondo ‘900, maturato attraverso le tante domande e sfaccettature che, in dialogo tra loro, hanno prodotto le trasformazioni del design italiano. Il suo progetto fu scritto con il MA*GA alla fine di un lungo studio sulle collezioni del Museo e sugli artisti che più avevano contribuito a creare liaison significative tra arte e design. Non è un caso che l’Introduzione, a 30 anni dalla nascita della sezione design del MA*GA, apra con un omaggio al saggio di Daverio, “Il design nato a Milano: storia di ragazzi di buona famiglia”. Proprio da quest’opera hanno preso vita le scelte estetiche della rassegna. Ecco allora che ad accogliere il visitatore è una serie di poltrone firmate dai grandi nomi di Giò Ponti, Luigi Caccia Dominioni, Marco Zanuso. Significativo è accanto il ritratto dedicato da Massimo Campigli alla famiglia Ponti. È chiaro che per Daverio il design nasce a Milano, perché nel capoluogo lombardo “ben più che nel Piemonte postunitario o nella Liguria mercantile, una società nuova o borghese si trova a volersi sostituire a quella storica classe agraria e nobiliare che aveva fino ad allora dato il tono del vivere e dell’abitare nei palazzi e nelle ville di tradizione”.
“Quando i salotti erano bianchi” è la seconda sezione. E introduce già agli anni ‘60, a un modello di casa come spazio in cui rappresentarsi seguendo l’eleganza astratta e spazialista dell’arte coeva. A raccontare è quindi l’arte di Lucio Fontana, con le sue “Attese”, in dialogo con le “Lampade sospese” di Bruno Munari. Spunti di riflessione si aprono “sul rapporto ritmico tra pieni e vuoti, assenze e presenze, oggettualità e immaterialità”.
“Dalle libertà personali alle libertà politiche” è il tema della terza sezione. Ci si confronta con un design radicale, siamo sempre negli anni ‘60, che porta a progetti e a dinamiche collettive. Si guarda ai movimenti sociali, in particolare al movimento femminista, traendo ispirazione per un nuovo modo di vivere e abitare. Ne sono esempio i “Moduli componibili” di Kartell, di Anna Ferreri Castelli o le produzioni “Pratone” di Ceretti e quelle di Derossi e Rosso.
Si riflette sulla cultura di massa con sempre meno ironia critica e si accolgono
dell’abitare nei palazzi e nelle ville di tradizione”.
In questa pagina, dall’alto a sinistra, Ettore Sottsass e Perry King, Macchina per scrivere Valentine, 1969, Olivetti. Collezione MA*GA. Richard Sapper e Marco Zanuso, Radio Cubo TS 502, 1964, Brionvega S.p.A. Collezione Brionvega Rivignano Teor UD 1. Philippe Starck, Juicy Salif Spremiagrumi, Alessi
innovazioni tecniche nate dall’osservazione di un nuovo modus vivendi.
Le due ultime sezioni “Gli anni di piombo” e “Milano da bere” sono dedicate, rispettivamente, agli anni ‘70 e al ventennio seguente. Dal buio dei primi, dal terrorismo di casa si punta a una progettazione democratica fatta, come pensava Enzo Mari, di kit, di autocostruzione, ma anche di idee rivoluzionarie. L’utopia è così intesa come sogno perseguibile in ogni campo, tanto più in quello creativo politico, dove può diventare la principale forza progettuale. Lo racconta Ettore
Sopra, Isinnova, Prototipo Letizia, 2022, Collezione
Isinnova Srl Brescia. A destra dall’alto, CHEAP
RECLAIM, ph. Michele Lapini. Arduino
Progetto di Philippe Daverio, a cura di Emma Zanella, Vittoria Broggini e Alessandro Castiglioni
A cura di Chiara Alessi Museo MA*GA
Via Egidio De Magri 1, Gallarate Fino al 2 marzo 2025
Dal martedì al venerdì, dalle 10.00 alle 18.00
Sabato e domenica, dalle 11.00 alle 19.00
Main partner: Ricola, Missoni Spa, Saporiti Spa
Sottsass, con le sue “Metafore” in dialogo con la natura. E, in parallelo con lui, l’Arte Povera di Giulio Paolini e Alighiero Boetti, due grandi artisti che sposano la semplicità della materia. La “Milano da bere”, deve il titolo a una nota pubblicità dell’Amaro Ramazzotti, guarda a una città trainata dal made in Italy che vince sul mercato internazionale. Si veda la leggendaria poltrona Proust di Alessandro Mendini, che rimanda al passato con occhio nuovo. Ma si noti anche l’ironia che indica un modo più leggero di osservare il mondo e persino l’arte: valga l’esempio di Maurizio Cattelan che fa il verso a Lucio Fontana. Anche il design non è da meno. Alessi, da parte sua, si diverte a trasformare i più comuni oggetti domestici in divertenti pezzi da collezione. Gli anni raccontati da Chiara Alessi nel progetto espositivo HYPERDESIGN, ideato per il Premio Gallarate edizione XXVII, ci parlano del nostro presente, il XXI secolo. E qui il romanzo, che continua per le prossime generazioni sui temi di ambiente e sostenibilità, sicurezza e lavoro, inclusività e relazione, è illustrato da diversi protagonisti impegnati in un vero e proprio laboratorio aperto. Che comprende designer, collettivi, progetti etici e sociali. Sono Acta Architect, Archeoplastica, CHEAP, D-air lab, Fondazione Tetrabondi Onlus e Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi Roma Tre, Formafantasma, Giacomo Moor e Liveinslums, Internoitaliano, Isinnova, Odoardo Fioravanti, Parasite 2.0, Sex & the City, Studio Folder.
Luisa Negri
A Masnago le opere di 3 maestri che decisero di vivere a Varese con la loro arte. Amici e protagonisti di un ambito culturale, anche locale, carico di entusiasmi e fertile di proposte in anni di speranza. La mostra, visitabile fino al 31 gennaio 2025, si propone di offrire ulteriori informazioni e materiali che ben documentano l’impegno degli artisti, tra i più importanti esponenti del XX secolo, nel lavoro e nel contesto socioculturale prealpino dell’epoca
Ci sono momenti della storia di un territorio in cui si incontrano e si incrociano magicamente tra loro personaggi ed eventi destinati a lasciare per sempre il segno. Anche Varese ha conosciuto occasioni importanti in cui le è stato dato di essere visitata, frequentata e vissuta da personalità che hanno fatto grande la vita culturale e artistica, non solo locale, ma del Paese. Per una prova, basta visitare la mostra, che sarà aperta fino al 31 gennaio 2025, allestita al Castello di Masnago in 5 stanze della Ala Quattrocentesca e che ha il suo fulcro nella Sala degli Svaghi. Imperniata sugli artisti Enrico Baj, Renato Guttuso e Vittorio Tavernari, conosciuti a livello internazionale, è il felice racconto, a cura di Serena Contini, di “virtuose relazioni varesine”, 3 importanti esponenti dell’arte del XX secolo che erano al centro di un ambito culturale carico di entusiasmi e fertile di proposte e iniziative di primo piano.
Nessuno di loro era in realtà varesino di nascita. Tavernari, nato a Milano nel ‘19, arrivò a Varese essendo stato ricoverato al Kursaal, trasformato in ospedale militare, durante la Seconda Guerra Mondiale. Lì aveva incontrato la futura moglie, Piera Regazzoni, violinista, in occasione di un concerto dedicato proprio ai ricoverati. E per amore di lei e della terra che la ospitava, vi rimase per sempre. Enrico Baj (1924), milanese a sua volta, aveva compiuto da ragazzo qualche scorribanda estiva nel Varesotto, ospite dei nonni, prima di essere “un po’ parigino e un po’ italiano in giro per il mondo”. A incantare lui e la giovane moglie Roberta sarebbe stata, un giorno, una villa abbandonata in mezzo al
Sala “I nudi”. A sinistra, sala “Sensualità e passione”
verde, in quel di Vergiate. “Eravamo entrati nel giardino carichi di curiosità, scavalcando il cancello arrugginito”. Così aveva un giorno raccontato Roberta e lì si erano fermati mettendo casa e studio. Fu, dunque, Enrico a consigliare Guttuso (1911) di allestire in Varese, a sua volta, uno spazio di lavoro nella quiete di Velate. La moglie di Renato, Mimise Dotti, aveva ereditato qui una casa e la coppia era venuta per venderla. Ma, alla vista di un posto così magico, i due avevano cambiato idea. Li aveva conquistati la scuderia, divenuta poi il terzo studio del maestro di Bagheria: dopo quello siciliano e l’atelier romano di Palazzo del Grillo. “L’ho allargato con questa vetrata che tu vedi, che io trovo che è la cosa più bella che è successa nella mia vita, avere un prato che entra nello studio... Io sono felice, ci sto felicemente. E trovo che il Varesotto è tra le zone più belle d’Italia (...) qua sono ricondotto in me stesso”. Così raccontava all’amico carissimo Marcobi, fratello del partigiano martire Walter, suo testimone di lavoro e confidente. Al cui prezioso archivio fu dedicata nel 2022 la mostra “I tempi della pittura”, raccontata anche da queste pagine.
La rassegna attuale si propone di offrire, accanto ad importanti e fondamentali lavori, sia della collezione museale, sia in comodato, ulteriori
informazioni e materiali che ben documentano, con l’aggiunta di una sezione di volumi, lettere, pubblicazioni d’epoca, schizzi d’arte e altro, il loro impegno nel lavoro e nel contesto socioculturale varesino del tempo. A Guttuso sarebbe stata conferita la cittadinanza onoraria di Varese nell’83. Di grande interesse è anche la documentazione del legame tra Baj, Tavernari e Guttuso e lo scrittore e amico Piero Chiara. Che si trasformava non di rado in collaborazione professionale vera e propria, frutto di sottile intesa tra testo letterario e segno grafico: ne sono esempio le pregiate cartelle d’artista in mostra. Si veda quella di “Il povero Turati” (1966) con un racconto di Piero Chiara e due acqueforti di Renato Guttuso e anche “Gli Amanti” (1971), produzione di Tavernari per lo scrittore luinese e, infine, la cartella d’artista del 1990, che a un brano di Piero, tratto dal romanzo “Una spina nel cuore”, affianca un’acquaforte di Enrico Baj. Sempre di Baj sono in sovraccoperta due opere per i romanzi Mondadori di Chiara: “Il Piatto Piange” e “La Spartizione”, entrambi del ‘67. In questo ambiente culturale varesino, non va dimenticato, si collocava e operava un altro
Sopra, sala “Il reale e l’onirico”. A destra, Vittorio Tavernari, Le quattro stagioni
BAJ, GUTTUSO, TAVERNARI: VIRTUOSE
Fino al 31 gennaio 2025
Castello di Masnago
Via Cola di Rienzo 42, Varese
Info: 0332 820409
comune amico, Giuseppe Panza (1923), il conte collezionista che ospitava gli artisti prediletti nella sua dimora biumense, oggi sede museale di arte contemporanea inserita nel circuito Guggenheim. “Il sonno della ragione genera mostri”, una tecnica mista di Guttuso del 1980 e il polimaterico “Carlo Martello a Poitiers” del 1997, di Baj, tra le prime opere del percorso, alludono agli eventi politici e storici vissuti o evocati dai due, che mai si sono sottratti a un confronto aperto e al sostegno dei diritti umani. Esercitato in modo diretto, attraverso l’impegno politico o il proprio lavoro. Così fu anche per Vittorio Tavernari. Nel percorso tra le 5 sale si incontrano anche le grandi opere dei due artisti: “Spes contra Spem”, “Van Gogh porta l’orecchio tagliato nel bordello di Arles”, “Il Gineceo” (opere in comodato della Fondazione Pellin) sono tra i capolavori guttusiani che spiccano con forte impatto coloristico e narrativo. “L’affondamento del Nautilus” e “Il tesoro del Titanic”, entrambi di Baj e Hervé Di Rosa, del ‘93 e ‘94, non sono da meno per la magia del racconto e la forza del segno. Altri famosi lavori, opere di Guttuso, come la notissima “Vucciria”, dove si propone il colorato mercato palermitano in un contesto narrativo ricco di simbologie, dipinti proprio a Velate. L’ultima sala del percorso con “Spes Contra Spem”, nata a sua volta a Velate, rappresenta il momento alto e finale di un percorso di vita: ci sono gli amici più cari, alcuni già morti, la moglie Mimise, l’amica Marta che spalanca la finestra aperta sul mare, mentre la figlia bambina dei custodi della dimora palermitana attraversa correndo la grande sala. Nel fiore tra le sue mani è il segno della freschezza di una giovane vita che prelude al domani. Accanto è la splendida opera di Vittorio Tavernari, quattro pittosculture (parte dei cicli cosiddetti “Cieli”) ispirate dai concerti per violino “Le quattro stagioni” di Vivaldi. Nei tenui ma luminosi colori di Vittorio è piena sintonia con la sublime riflessione dell’amico che, scorrendo il film della propria esistenza, guarda a un finale di luce. Chi volesse può allargarsi all’intero del percorso museale, che dopo il
rinnovamento, tende a esaltare ancor più opere come “La Bambina con i fiori” di Balla e la “Tamar di Giuda” di Hayez, gioielli della collezione che tutti ben conosciamo. Da notare i numerosi ritratti, alcuni anche di benefattori noti del museo. Che lo furono spesso anche dell’Ospedale di Varese, antichissima istituzione. Per ragguagli sulla quadreria varesina dei benefattori ci si può riferire anche a un’opera del 1931 “L’Ospedale di Varese”, scritta da Giovanni Bagaini, fondatore della Cronaca Prealpina, quotidiano storico di Varese nato nel 1888. Di radici milanesi, formatosi alla scuola di Leone Fortis, rimase al suo giornale, che i varesini chiamavano affettuosamente la Bagaina, fino al 1928. Finché non lo cacciò la ingrata protervia del regime. Ma sono rimaste le sue parole, la sua ampia e dotta produzione scritta a documentare eventi e personaggi. Un maestro inarrivabile, che tanto dedicò anche alla conoscenza dei musei e dei suoi fondatori. E degli artisti del suo tempo, pittori e validi ritrattisti come Federico Gariboldi e Giuseppe Montanari, per citarne solo due, autori di delicati ritratti in mostra al Castello di Masnago.
Andrea Della Bella Foto di Agenzia Blitz
Molto più che una competizione sportiva. L’evento organizzato ogni anno dalla società Binda, grazie ad un vasto calendario di appuntamenti, è in grado di tirare la volata anche ad un importante indotto economico stimato intorno ai 5 milioni di euro. Migliaia gli appassionati che arrivano da tutta Italia e dall’estero. Incalcolabili i vantaggi per il territorio in termini di visibilità. Un circo mediatico, ciclistico, culturale in crescita costante che le disavventure meteo di quest’anno di sicuro non fermeranno. Nuovi progetti sono già in cantiere
Il Festival del ciclismo, la Gravel experience, la Crono per gli Amatori, i 3mila della Gran Fondo, la gara Elite Donne e la Tre Valli dei professionisti. In due parole un grande evento, fermato quest’anno solo da ciò che non si può ponderare e organizzare: il meteo. Ma non per questo intaccato nella sua autorevolezza, conquistata edizione dopo edizione.
Ma non è del palmares sportivo che la società Binda può vantare in tanti anni di organizzazione della Tre Valli di cui vogliamo parlare. Bensì della capacità di trasformare una gara da “corsa di preparazione” per competizioni più importanti in un appuntamento da non perdere nel folto calendario internazionale. E ancora, vogliamo parlare della Tre Valli che non vive più... di solo Tre Valli. Oggi, infatti, quando pronunci il nome di questa gara, che ha superato brillantemente il secolo di vita senza dimostrare i suoi 103 anni di edizioni alle spalle, parli di sport ma anche di cultura, di turismo e di economia. Partiamo dall’ultimo aspetto, quello economico e non per questioni veniali, ma per stupire con due dati numerici. I giorni clou del bouquet delle manifestazioni su strada muovono un indotto stimato in 5 milioni di euro. Solo le notti letto vendute dagli alberghi della provincia sono state, nei giorni delle competizioni, 30mila nel 2023. Da anni la Tre Valli dei professionisti gode della diretta TV. “Un passaggio pubblicitario su Rai Due – spiega il patron della Binda Renzo Oldani – vale 150mila euro. La gara va in diretta per 6 ore. Durante le quali milioni di telespettatori possono ammirare, con anche riprese spettacolari, il bello della nostra terra. Un grande spot pubblicitario. Ora sfido chiunque a trovare un altro grande evento della nostra provincia in grado di conquistare una vetrina televisiva così lunga”.
Dall’economia al turismo. Un passo di lato, poiché questo settore è interconnesso con il primo. E qui entrano in gioco gli appuntamenti per gli Amatori. Partiamo dalla Crono, una disciplina per appassionati. Quella
varesina non è l’unica nel suo genere, ma è la prima nell’intero panorama per iscritti: 250 nell’edizione 2024. “Un numero importante –continua Oldani – se si pensa che altre pari fanno non più di 50 partecipanti. Quest’anno poi abbiamo avuto Amatori che provenivano anche dalle Filippine e gli americani che sono venuti qui ci hanno chiesto persino di predisporre le biciclette per non portarle dagli Stati Uniti”.
Nota di cronaca e spunto di riflessione: alla Crono 2024 al via c’era anche qualche amatore di nazionalità russa, segno che lo sport abbatte barriere e confini.
Per non parlare della Gran Fondo e della carica dei suoi 3mila ciclisti. “È il collante tra sport e turismo – continua Oldani –. E se la gara dei professionisti in tv è il giusto esempio di promozione, gli iscritti alla Gran Fondo sono la declinazione concreta che il messaggio della diretta Rai è arrivato al cuore degli appassionati di ciclismo. Che poi scelgono Varese per pedalare e vivere qualche giorno di sport e bellezza nella nostra provincia”. Negli eventi dedicati agli amatori le nazioni rappresentare sono 21. Restiamo ancora sui numeri delle gare: 25 le squadre professionisti uomini e 24 le donne, il massimo di quelle consentite dal regolamento.
Per cucire tutto questo occorre però una grande squadra. E la Binda lo è: 600 volontari, oltre a
una ventina di persone che formano il corpo direttivo della società con vari incarichi. I Comuni coinvolti dalle gare sono 134, ovvero tutta la provincia. “Poi occorre contare la sinergia che c’è tra istituzioni, Prefettura, forze dell’ordine, realtà di soccorso, polizie locali e protezione civile. La Tre Valli – sottolinea Oldani – è l’unica corsa ciclistica al mondo ad avere una cabina di regia interforze, oltre a un punto avanzato della Chirurgia dell’Ospedale di Circolo attivo in piazza Monte Grappa durante la Gran Fondo”.
Oldani quando in sede di presentazione di ogni edizione della Tre Valli dice che “questo è un evento che vive ogni giorno per 365 giorni all’anno”, dice una verità. Poiché il primo pensiero all’edizione successiva, scatta nel momento in cui la carovana dei professionisti lascia la città. E ogni volta, quasi come un mosaico, si aggiunge un tassello.
“Facciamo sport e cultura – continua con una punta d’orgoglio Oldani –. Basti pensare al Festival del ciclismo di quest’anno. Abbiamo raccontato la storia di questo sport, abbiamo portato sul territorio appuntamenti e campioni. La società Binda crede davvero che la Tre Valli possa essere motore imprescindibile dell’economia della nostra provincia”.
E l’anno prossimo ci sarà un nuovo appuntamento: “Il Mondiale di ciclocross Amatori si disputerà nella nostra provincia per due anni consecutivi”. Oldani mentre parla si ferma un attimo e, come il corridore pronto ad andare in fuga, si guarda attorno per cercare gli occhi di chi sta in gruppo e capire qual è il momento giusto per scattare. Uno sguardo rapido. Vede e rivive il momento in cui tutto è partito: “Il giorno in cui sono stati assegnati a Varese i Mondiali del 2008 – conclude – lì abbiamo capito che sarebbe stata l’occasione per fare il salto di qualità”. Il momento per andare in fuga. Un ultimo numero per chiudere in bellezza. La Tre Valli, nella graduatoria delle gare più ambite al mondo, è ottava. Davanti ci sono il Tour, il Campionato del Mondo, il Lombardia e le Olimpiadi. La Milano Sanremo è settimana a un pugno di punti. Dietro il resto dell’universo ciclistico, Tirreno Adriaco, Vuelta e Amstel comprese. Chapeau.
Rubrica in collaborazione con
Enoteca Bottazzi 1957, Besozzo enotecabottazzi.it info@bottazzi1957.com
Ingredienti per 4 persone
4 filetti di salmerino
da circa 150 gr. Cad.
4 foglie di alloro
Olio Limone
Timo
Rosmarino
Salvia
Funghi Porcini secchi
Ricetta dello Chef Pierangelo Costanti, Osteria in Besozzo (Besozzo)
Procedimento
Pulire i filetti di salmerino accertandosi che non vi siano lische, cospargerli quindi di un trito composto da rosmarino, salvia, alloro e timo. Passare i filetti con la panatura di aromi in forno a 130 gradi per 7 minuti. Adagiare il filetto cotto sul piatto di portata e condirlo con una emulsione di olio e limone. A parte, frullare a secco i funghi porcini secchi, in modo da ottenere una polvere. Guarnire il piatto con la polvere di porcini ai lati dei filetti.
Nella così chiamata “Mezza Luna” di Bolgheri, negli anni ’50, la famiglia Frollani si traferisce dalle Marche per continuare l’attività di famiglia nel mondo agricolo, con una spiccata passione per il vino. Sulla Bolgherese, sorge Podere Roseto: i suoi 120 ettari, di cui 45 vitati, sono dislocati tra Bolgheri e Castagneto Carducci.
La visione di Mario Incisa della Rocchetta negli anni ‘30 ha permesso a questo straordinario territorio di capire la sua vocazione per i vitigni di Bordeaux.
Syrah e il Merlot che vengono raccolti
Rosa in Rosa nasce dal connubio tra il Syrah e il Merlot che vengono raccolti leggermente precocemente per mantenere frutto e freschezza. Dopo una fermentazione breve a contatto delle bucce, il mosto continua la sua fermentazione in acciaio per circa 15 giorni e, al termine di un affinamento per 3 mesi in bottiglia, è pronto per essere commercializzato.
Nel calice si presenta di colore rosa cerasuolo, al naso escono immediatamente note di piccoli frutti rossi come ribes e lampone, il Syrah sprigiona sentori di spezie, in particolare pepe nero. Al palato
breve a contatto delle bucce, il mosto continua la sua fermentazione in acciaio in note di piccoli frutti rossi come ribes e spezie, in particolare pepe nero. Al palato
si presenta molto sapido e beverino, nel retrogusto le note fruttate ritornano e si avverte un piacevole sapore di ciliegia. Un rosato estivo dalla grande facilità di beva, ideale con piatti leggeri a base di pesce, carni bianche e formaggi freschi, interessante come alternativa ad un rosso per una grigliata.
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Audi Zentrum Varese propone flotte personalizzate e gestione completa per le imprese, con un’attenzione particolare ai veicoli elettrici e ibridi
Matteo Dall’Ava
Audi Zentrum Varese, come concessionaria ufficiale Audi e parte del gruppo Wendecar Spa, è un punto di riferimento per il settore automobilistico in provincia di Varese. Fondata nel 1963, l’azienda ha costruito una solida reputazione grazie a oltre 60 anni di esperienza nella vendita e assistenza di automobili. Oltre ad
offrire una vasta gamma di veicoli, Audi Zentrum Varese si distingue per un servizio di consulenza specializzato, rivolto in particolare alle aziende e ai professionisti con Partita Iva. Uno dei servizi più interessanti messi a disposizione è Audi for Business, un programma che si rivolge alle imprese con l’obiettivo di supportare la gestione del parco auto aziendale. La divisione fleet agency di Audi Zentrum Varese, dedicata alla gestione delle flotte, mette a disposizione
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delle aziende un team di esperti che si occupano di ogni aspetto legato all’acquisto, al noleggio e all’utilizzo delle vetture. Il vantaggio per le imprese è evidente: non dovranno più preoccuparsi delle complesse dinamiche che riguardano la manutenzione o la gestione amministrativa del parco auto, poiché avranno un fleet manager dedicato che seguirà ogni dettaglio. Questo permetterà loro di concentrarsi sul proprio core business, sapendo che la gestione della mobilità è in mani sicure.
A questo si aggiunge il Service Audi per la manutenzione dei veicoli. Tra i servizi offerti, la possibilità di accedere alla consegna e al ritiro delle vetture 24 ore su 24, l’auto sostitutiva e il monitoraggio a distanza delle lavorazioni. In questo modo, i clienti possono ridurre al minimo i tempi di fermo delle loro vetture, mantenendo l’efficienza operativa della flotta. Inoltre, Audi Zentrum Varese si distingue per l’attenzione alla sostenibilità. La gamma di veicoli offerti include, infatti, numerosi modelli ibridi ed elettrici, così da rispondere alle esigenze delle imprese che vogliono ridurre l’impatto ambientale. Questo aspetto è particolarmente rilevante in un contesto economico in cui le normative europee spingono sempre di più verso una mobilità a basse emissioni. Un ulteriore valore aggiunto per gli imprenditori associati a Confindustria Varese è rappresentato dalla convenzione esclusiva tra Audi e l’Associazione. Questa partnership offre condizioni di acquisto, leasing e noleggio a tariffe agevolate, con sconti cumulabili e vantaggi che rendono l’acquisto di una flotta Audi ancora più competitivo. In qualità di agenzia ufficiale Volkswagen Leasing, aziende e liberi professionisti possono beneficiare di un partner affidabile con soluzioni su misura per le loro esigenze di mobilità.
Maserati Folgore apre un nuovo capitolo nella Motor Valley con una motorizzazione elettrica capace di unire eleganza, innovazione e alte prestazioni
Maserati Folgore non è un modello di auto, ma un viaggio all’insegna dell’elettrificazione, dell’innovazione e del lusso, nel rispetto della migliore tradizione artigianale italiana. Folgore è la spinta, la scintilla che accende un moderno inizio e con la forza dirompente tipica del tuono (“Made in Thunder” è infatti il claim scelto per raccontare questo particolare momento) dà il via a un nuovo capitolo nella grande storia di Maserati,
primo marchio luxury italiano a produrre modelli full electric nella Motor Valley. Sono già 3 le automobili del Tridente ad avere il cuore elettrico Folgore. Si inizia a volare con Grecale Folgore, il primo SUV spinto da un propulsore full electric da 550 CV di potenza per una velocità massima di 220 km/h autolimitati, che permettono alla sport utility di passare da 0 a 100 km/h in 4,1 secondi. Chi ama le emozioni estreme deve necessariamente provare la GranTurismo Folgore. Alla prima vettura completamente elettrica di Maserati, l’azienda di Modena ha regalato performance da brivido: i suoi 761 CV e la trazione AWD le permettono di coprire lo stacco 0-100 km/h in appena 2,7 secondi, con una velocità massima di 325 km/h. Mentre chissà come si vede il cielo a 290 km/h. È la velocità massima (sempre autolimitata) della GranCabrio Folgore, l’elegante e raff inata versione a cielo aperto della pluripremiata sorella grand tourer.
La sport utility ha una batteria da 105 kWh per una autonomia WLTP da 500 km con ricarica in corrente continua
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DC da 150 kW di potenza. Ciò significa aggiungere 100 di autonomia in soli 9 minuti. Autonomia di circa 450 km per le 2 granturismo che condividono un pacco batteria leggermente inferiore da 92,5 kWh, una ricarica in corrente alternata AC da 22 kW e una super ricarica in corrente continua DC da ben 270 kW. In cosa si traducono questi dati? In una ricarica di 100 km in appena 5 minuti oppure passare dal 20% all’80% in 18 minuti. Il nuovo powertrain elettrico di Maserati si basa su solide fondamenta tecniche e ingegneristiche, frutto di ricerche e sperimentazioni continue. Il Tridente esplora l’innovazione elettrica anche attraverso la partecipazione alla Formula E, il campionato del mondo con monoposto 100% elettriche dove è l’unico marchio italiano di lusso in competizione. Lasciatevi sorprendere dalle potenzialità dell’elettrico: l’unico modo per capire se scocca la scintilla tra voi e l’auto è provarla. La Scuderia Blu di Como è aperta a test drive ad hoc, per vivere emozioni senza compromessi.
TERZA PAGINA
A tu per tu con il nuovo Presidente del Museo MA*GA
DAL WEB
Verso Est COMUNICARE Piazze social per adolescenti
Chiara Mazzetti
Foto Stefano Anzini
È il notaio Mario Lainati, da sempre appassionato di arte e cultura, ad aver preso le redini, a partire dallo scorso giugno, del polo museale gallaratese. Un bilancio di quanto messo a terra nei primi mesi di mandato e dei progetti in cantiere, primo tra tutti il “Patto per le Arti” siglato con Confindustria Varese
Appassionato di cultura e di arte da sempre. Ideatore, dal punto di vista giuridico, dell’Associazione Amici del Maga. Socio attivo
del Premio Nazionale Arti
Visive Città di Gallarate, fondato nel 1949 e ancora oggi attivo, a cui si deve molto della fortuna e della nascita del polo museale
gallaratese, istituito nel 1966 con il nome di Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate. Il MA*GA nasceva, infatti, con le opere acquisite durante le prime 8 edizioni del Premio Gallarate. Il notaio Mario Lainati, dallo scorso mese di giugno, è il nuovo Presidente della Fondazione Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Silvio Zanella, forma giuridica del Museo MA*GA. Molte le progettualità in corso e future a cui Lainati ha intenzione di dedicarsi, nel solco della continuità con quanto realizzato dal suo predecessore Angelo Crespi, ma con uno sguardo ben rivolto e aperto alle nuove generazioni.
Presidente Lainati, quali sono gli obiettivi che si è posto all’inizio del suo mandato?
Personalmente sto vivendo (ma sono solo al principio) un’esperienza particolare ed insolita: da autore dell’atto costitutivo del MA*GA e del suo statuto, con la mia nomina a Presidente, sono stato proiettato “all’interno” dell’istituzione fatta nascere con le “carte” e quindi posto in grado di verificare sul campo l’esattezza dell’impianto costitutivo creato teoricamente. La “creatura” è in buona salute, è cresciuta e cresce, grazie all’ottimo rapporto con i fondatori, in primis, il Comune di Gallarate e grazie ad uno staff di prim’ordine costituito da Direttrice e collaboratori molto competenti ed operosi.
Perciò gli obiettivi del mio mandato sono, felicemente, in parte “conservati” e quindi tesi
Con il “Patto per le Arti” si rinverdisce l’antica tradizione che vede, da anni, collaborare industria e cultura, ma con un’importante e maggiore significatività, perché fra impresa e cultura si stabilisce un accordo “federativo” tra due mondi
Le imprese premiate durante l’evento “Patto per le Arti loading...”
ad evitare tutto ciò che possa turbare l’attuale situazione “aurea”. Ma in parte, se possibile, sono anche obiettivi migliorativi. Sotto quest’ultimo aspetto, stiamo lavorando per dare una configurazione giuridica più moderna ed appropriata alle iniziative facenti capo al Premio Gallarate, in sintonia con il suo storico Presidente Giovanni Orsini (non a caso, un imprenditore). Vorrei, inoltre, coinvolgere il più possibile le istituzioni territoriali vicine nella condivisione del progetto che il MA*GA sta portando avanti, nella certezza che un percorso culturale comune non possa che creare vantaggi alla collettività.
Quali sono le progettualità che state portando avanti?
Una delle principali è sicuramente il “Patto per le Arti”, pensato e realizzato insieme a Confindustria Varese per la creazione di un’alleanza strategica tra
il mondo della cultura e quello dell’impresa. Il “Patto per le Arti” segna l’inizio di un’innovativa e strategica alleanza tra due mondi, chiamati a valorizzare il territorio varesino attraverso azioni di co-progettazione e di sostegno di importanti attività culturali, formative, educative che guardano ai pubblici internazionali come a quelli di vicinanza e si muovono all’interno di un orizzonte di mediolungo termine. Con il “Patto per le Arti” si rinverdisce l’antica tradizione che vede, da anni, collaborare industria e cultura, ma con un’importante e maggiore significatività, perché fra impresa e cultura si stabilisce un accordo “federativo” tra due mondi, che ufficialmente dichiarano di considerare un progetto comune di natura culturale, non più rimesso alla sporadica iniziativa individuale. La partecipazione di Confindustria Varese al Patto conferma la funzione
sociale dell’impresa, che non esita a riversare sul territorio una parte dei suoi utili, per favorirne la crescita culturale e formativa.
Come sta procedendo il “Patto per le Arti”?
Lo scorso 1° ottobre è andato in scena l’evento “Patto per le Arti loading...”, una serata, che si è svolta proprio negli spazi del MA*GA, durante la quale le prime 11 imprese che hanno deciso di aderire al “Patto per le Arti”, in qualità di partner, sono state premiate con una scultura dell’artista Chiara Dynys. L’evento è stato pensato per coinvolgere ulteriori aziende in un percorso che vada oltre il semplice mecenatismo, puntando a contribuire all’attrattività del territorio attraverso la valorizzazione della cultura grazie alla responsabilità sociale d’impresa. Ma non finisce qui. Vogliamo approfittare di incontri simili per agganciare i giovani, che sono il nostro futuro. Crediamo che possa essere la giusta occasione per allargare il bacino di utenza e frequentazione del Museo.
Quale rapporto ha il Museo MA*GA con il territorio varesino e soprattutto con le sue imprese?
Il rapporto fra imprese (o meglio, imprenditori) e cultura nel Gallaratese è
antico e per individuarne la nascita bisogna risalire agli anni ‘50-‘60 del secolo scorso. In quel periodo, molti personaggi della società civile, sotto l’impulso illuminato dell’artista e professore Silvio Zanella, animati dal comune amore per l’arte, per lanciare un messaggio culturale alla città di Gallarate, decisero di promuovere e finanziare privatamente un concorso periodico intestato proprio alla città, chiamando a parteciparvi gli artisti che in quel momento erano ritenuti validi o promettenti e che, in caso di favorevole esito, venivano premiati con l’acquisto dell’opera risultata vincitrice. Le moltissime opere acquisite, erano poi donate al Comune di Gallarate per la creazione di una Galleria civica di arte moderna, organismo precursore del MA*GA. Fra i fondatori e promotori delle iniziative del Premio, molti erano e sono imprenditori: solo per fare alcuni nomi, ricordo i Bellora, i Bianchi, i Binaghi, i Buffoni, i Cappellini, i Galdabini, i Giardini, i Guenzani, i Macchi, i Pozzi e poi ancora i Bonomi, i Donato, i Milani, i Missoni, gli Zaro, gli Scandroglio, gli Zibetti. Quindi la partecipazione dell’impresa alla cultura non è una novità, ma un fatto ricorrente e sempre presente nell’ambito territoriale della provincia di Varese.
Silvia Giovannini
In aereo o in treno, leggendo storie di vita, di viaggi e di moda, con sottofondo di musica, quella che preferite, alla scoperta di altri universi, di luoghi “non luoghi” e di piccoli mondi che profumano degli aromi di un tempo. Con questa selezione, vi portiamo alla scoperta di libri che ci auguriamo vi faranno viaggiare, nel tempo e nello spazio
Da sempre l’aeroporto è uno degli spazi fisici che più affascinano le persone. La Treccani lo inserisce tra i non luoghi, che “non significa, come si potrebbe immaginare, luogo che non esiste. Significa invece luogo privo di un’identità, quindi un luogo anonimo, un luogo staccato da qualsiasi rapporto con il contorno sociale, con una tradizione, con una storia”. In realtà, chi viaggia sa bene che non esiste luogo più luogo, più carico di emozioni che si incontrano, tra partenze e arrivi. Malpensa poi non solo ha questa ricchezza emozionale, ma ha un background storico che rende “l’aeroporto della brughiera” una tappa irrinunciabile anche per gli appassionati di storia del volo. “Cascina Malpensa è considerata la culla dell’aviazione italiana”: è questo il punto di partenza di un volume scritto da uno dei principali cultori della storia della “provincia con le ali” e che torna in libreria con una pubblicazione dedicata alla nascita dell’aeroporto civile della Malpensa. L’autore esamina in modo
approfondito la storia che ha portato alla realizzazione dell’aeroporto per scopi civili. In particolare, sottolinea il “determinante contributo della città di Busto Arsizio (con la sua classe politica e imprenditoriale) attraverso la costituzione della Società Aeroporto di Busto SpA. Frutto di una meticolosa ricerca, spiega il perché della scelta di Malpensa e non di altri scali lombardi (su tutti quelli di Lonate Pozzolo e Linate), raccontando con foto e documenti l’inedita e coinvolgente storia di questo aeroporto aperto al traffico civile il 21 novembre 1948. Una storia, quella della Società Aeroporto di Busto SpA, durata quasi 7 anni e che ha portato Malpensa a divenire uno scalo internazionale conosciuto in tutto il mondo fino al passaggio societario all’attuale gestore SEA (Società Esercizi Aeroportuali), avvenuto il 12 maggio 1955”.
Alberto Grampa
Busto Arsizio e l’aeroporto della Malpensa
Pietro Macchione ed., 2024 macchionepietroeditore.it
Paolo Tolu Giulia e i pastorelli sardi Sprint, 2024
Uno spaccato esistenziale e storico di vita contadina, attraverso la storia di due giovanissimi pastorelli, Jacu e Alene, che si innamorano perdutamente in una notte di tempesta. Lui ancora minorenne, lei che rimane incinta. Accanto a loro, guida alla narrazione, la matriarca nonna Gina che accompagna la giornalista Giulia alla scoperta della profondità di un piccolo mondo antico tra vicissitudini, aneddoti e usanze contadine, che profumano dell’aroma del pane appena sfornato, dell’olio artigianale e dei malloreddus fatti in casa. Per l’autore, un nuovo romanzo con note descrittive autobiografiche che va “oltre la siepe del suo modo semantico di raccontare”.
booksprintedizioni.it
“Le
persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone”
John Steinbeck
Stefano Maggi, Pino Tuscano, Fabrizio Barabesi
Il treno alle porte del paradiso. Ferrovia, musica, canzoni, storie Arcana edizioni, 2024
Un treno di presentazioni partito da Varese che “porta santi e peccatori, perdenti e vincenti, puttane e giocatori d’azzardo, anime perse” per citare Springsteen. Hope and dreams appunto, un universo di sogni e speranze che viaggiano sulle rotaie della vita e che questo libro
mette insieme in maniera unica. “Dove c’è una storia di viaggio, c’è un sottofondo musicale. E proprio le 7 note, siano esse maltrattate da una chitarra rock o accarezzate dalla voce di un raffinato cantautore, rappresentano il filo conduttore di un volume che ha lo scopo di provare a narrare il legame presente in decine di canzoni, fra la musica e, appunto, quello che è da due secoli uno dei simboli dell’esistenza di ciascuno di noi: il treno”.
arcanaedizioni.com
Angela Madesani (a cura di) Sguardi di intesa
La moda fotografata dalle donne Nomos, 2024
Il catalogo della mostra fotografica allestita nel centro Saint Benin di Aosta offre uno spaccato del settore tessile e moda, da un punto di vista inedito, attraverso lo sguardo delle donne fotografe di moda, dall’inizio del XX secolo a oggi. Il ruolo della donna sta mutando radicalmente all’interno della società, con le relative evidenze nel settore della moda.
Diventa quindi interessante osservare come, da soggetto privilegiato della fotografia di moda, le donne siano diventate autrici tra le più intelligenti e raffinate. Tra le artiste nel volume: Lee Miller, Tina Modotti, Alice Springs, Elisabetta Catalano, Livia Sismondi, Elsa Robiola.
nomosedizioni.it
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Su e
Si è svolta a settembre la tappa a Singapore e Giappone dell’Open Mind Tour, iniziativa organizzata all’interno del percorso alla scoperta dell’innovazione realizzato da Confindustria Varese con Confindustria Bergamo e Emilia Area Centro. Un viaggio che ha permesso di scoprire realtà all’avanguardia in uno dei luoghi più affascinanti del mondo.
Avviato il nuovo percorso dedicato al Family Business Management, organizzato dal Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Varese, durante il quale vengono approfonditi i temi della gestione, dello sviluppo e del successo delle imprese familiari e i macro-trend di cui le aziende devono tener conto.
Fino al 30 novembre, la Galleria San Fedele a Milano ospita la mostra del fotografo Marco Introini “Restauri a Milano. Dalla basilica di Sant’Ambrogio alla Torre Velasca. 170 anni di storia della famiglia Gasparoli”, organizzata in occasione del prestigioso anniversario dell’impresa di Gallarate.
LATI Industria Termoplastici Spa ha ottenuto la medaglia di platino da EcoVadis, il massimo riconoscimento conferito per l’impegno in sostenibilità. Traguardo che colloca l’impresa di Vedano Olona tra l’1% delle aziende globali con le migliori performance in sustainability.
Villa San Martino a Barasso ospita, fino al 3 novembre, la mostra “Boldini, De Nittis, Zandomeneghi. Il Salotto dell’Ottocento”. L’evento rappresenta un’occasione unica per immergersi nei capolavori del XIX secolo e riscoprire l’arte figurativa dell’800 italiano.
Instagram introduce gli account per gli under 16 per proteggere i più giovani, limitandone le attività e aumentando il controllo da parte dei genitori. Una iniziativa storica ma che solleva qualche scetticismo sulla sua portata
Smettetela di dire cringe! A meno che siate under 16 e che possediate una macchina del tempo. Sì perchè cringe è roba vecchia anche per chi non è entrato negli enta: la stessa Accademia della Crusca, che non è proprio istituzione di primo pelo, la accoglie come parola italiana nel gennaio del 2021. Un’era fa praticamente. Con buona pace di chi si definisce boomer per ostentare una sapiente autoironia, quando una parola arriva ad essere usata da un boomer significa che è vecchia. Matùsa, avrebbero detto negli anni ‘70. Eh già, perchè la lingua si adegua all’uso del parlante con lo stile e la mutevolezza di chi la usa. Stessa cosa si può dire per gli ambiti in cui si comunica. Un esempio? Mettiamo caso che un gruppo di adolescenti prenda l’abitudine di ritrovarsi sempre nella stessa piazza. Cosa succederebbe
se iniziassero a frequentare quella piazza anche gli adulti? Semplicemente, in tempi brevi, gli adolescenti ne cercherebbero un’altra. E se quella piazza si chiamasse Facebook? In breve, farebbero la stessa cosa, spostandosi in piazza Instagram e TikTok, con la predilezione per vie private e nascoste alla luce. E, quindi, non prive di pericoli. Come
proteggerli allora? Andare in quelle vie con una torcia in mano non le renderebbe più sicure. La strada, come sa bene chi ha a che fare con quel target, è tutta in salita. Come evitare che i ragazzi cadano o che cadendo non si facciano troppo male, senza essere presenti? È la domanda di chi affronta il mestiere più difficile del mondo senza manuale, quello di educatore. Per un comunicatore, la domanda non è più semplice. Perchè aumenta la responsabilità. E la complessità delle piazze implica una conoscenza degli spazi
Silvia Giovannini
sempre più affinata. Dal canto loro le piattaforme si attrezzano. “La nuova esperienza è progettata per assistere meglio i genitori e tranquillizzarli in merito alla sicurezza dei loro figli, resa possibile grazie alle dovute protezioni”: questa la filosofia di Instagram alla base dei nuovi account per under 16. Non una soluzione, ma un segnale. Farà la differenza? Sarà l’uso a dirlo: le falle nel sistema, come la possibilità di mentire sull’età o la vaghezza della parola controllo, sono evidenti. La certezza è che il piano debba spostarsi su quello educativo, dei ragazzi, ma soprattutto degli adulti. A partire da una gestione più responsabile delle immagini dei minori, alla maggiore conoscenza degli ambienti che abitano. La realtà, infatti, è che se non si sa “dove” sono, quello è già un problema..