







Roberto Grassi
Presidente Confindustria Varese
Con l’ultimo numero di Varesefocus del 2024, si conclude un anno ricco di spunti di riflessione e analisi. Dalle pagine della nostra rivista, abbiamo affrontato temi chiave per il Varesotto. Siamo partiti con una domanda fondamentale: quanto è inclusiva la provincia di Varese? Successivamente, ci siamo interrogati sul futuro dell’Europa, in occasione delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Abbiamo esplorato i cantieri del Piano Strategico #Varese2050 di Confindustria
Varese, discusso delle opportunità per ripartire con slancio dopo la pausa estiva e analizzato lo scenario dell’informazione del Varesotto. Ora chiudiamo l’anno con un nuovo quesito che chiama in causa la costruzione del nostro futuro: quanto è davvero innovativo il territorio varesino? E, soprattutto, quali strumenti e strategie sono necessari per far crescere Varese nella capacità innovativa e nel fermento imprenditoriale?
Creare un ecosistema competitivo richiede la costruzione di un linguaggio condiviso che faciliti il dialogo tra imprese consolidate e nuove realtà imprenditoriali. L’open innovation emerge, in questo senso, come un elemento cruciale per connettere idee, tecnologie e
competenze, abbattendo barriere culturali e organizzative. Le esperienze locali, di cui parliamo in questa nuova edizione, dimostrano come la collaborazione tra aziende e startup possa generare vantaggi significativi. È il caso di partnership che hanno saputo integrare innovazione e tradizione, favorendo nuove opportunità di crescita. Un altro tassello fondamentale per l’innovazione, come spiegato di nuovo sulle pagine del focus, è rappresentato dal venture capital, un supporto indispensabile per le startup, soprattutto nei primi anni di vita caratterizzati da fragilità finanziarie. Il recente accordo tra Confindustria Varese e AIFI punta proprio a colmare questa lacuna, promuovendo l’accesso a risorse alternative rispetto al credito bancario e agevolando il dialogo con il mercato degli investitori. Iniziative come lo “Sportello Venture Capital” di Confindustria Varese costituiscono un passo concreto verso il riposizionamento del sistema produttivo su nuove traiettorie di crescita e sviluppo. E ciò vale sia per le nuove imprese, sia per quelle già radicate. Anche a queste ultime è ormai sempre più richiesto di aprirsi al mercato dei capitali con percorsi come quello offerto da Borsa Italiana con il progetto Elite, come l’M&A Desk sempre di Confindustria Varese, o come l’approccio al private equity. Non mancano esempi di eccellenza nel panorama varesino che attraverso
le proprie storie, raccontano come la sfida dell’innovazione si giochi non solo sui campi della tecnologia. Abbiamo bisogno di imprese in grado di generare nuove imprese. Di aziende che, impegnate in settori tradizionali e che contraddistinguono da anni Varese nel panorama industriale, siano in grado di gestire passaggi generazionali di successo, perpetrando il saper fare impresa. I processi innovativi devono coinvolgere anche queste sfere di vita aziendale.
Il World Manufacturing Forum 2024 ha lanciato un messaggio significativo, a questo riguardo: l’industria deve guardare ai prossimi anni con una visione strategica, investendo in sostenibilità, tecnologie digitali e leadership. Sociale, tecnologia, governance: questi i tre elementi fondamentali per la competitività. Tre sfide riassumibili in una: sviluppo di competenze. E Varese ha un punto di forza su cui fare leva per uscire vincente da queste transizioni in atto: le sue due Università, la LIUC e l’Insubria, veri centri di eccellenza accademica e di ricerca. Incubatori di innovazione e, quindi, di futuro. Per tutti, non solo per le imprese. Porre i nostri due atenei al centro dei nostri percorsi e politiche di crescita è il miglior investimento che il territorio può fare per il benessere delle sue comunità e per coltivare nuove vocazioni in grado di distinguerci nell’attrazione di quel capitale capace di sostenere qualsiasi ambizione, quello umano.
copertina, Ph. Business Pics /
I numeri dell’innovazione a Varese
La nuova casa degli startupper
Storie di startup per una nuova manifattura
L’industria alla sfida dell’open innovation
Roberto Grassi
Silvia Pagani
Davide Cionfrini
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Le idee d’impresa hanno bisogno di più venture capital
I punti di svolta del manifatturiero Quando l’impresa genera impresa
La trama della storia di Fazzini Glossario dell’innovazione
La ricerca per la vita dell’Insubrias BioPark L’azienda che dà vita alle strade varesine Tra Intelligenza
Artificiale e spirituale Le salviette oftalmiche made in Caronno Pertusella
Alla salute della pelle ci pensa Oeko-Tex
L’educazione al tablet
Le competenze LIUC per ricostruire Mykolaiv
SCIENZA & TECNOLOGIA
LU-VE Group entra nel mercato nucleare Che cos’è il nucleare di nuova generazione?
RUBRICHE SU LUOGHI E BELLEZZA
Come nasce un panettone Il recupero del Castello di Belforte Dove lo spartito s’impara prima dell’alfabeto Alla scoperta di borghi pittoreschi che sembrano presepi I mercatini di Natale varesini (e dintorni) La condizione del desiderio Sognano Betlemme Il regalo 2024 è intelligente Meditazione in movimento RUBRICHE SU
Dal
La sfida della manifattura di aprirsi all’ABC dell’open innovation. La necessità di trovare forme di dialogo e collaborazione tra startup e imprese già affermate. Il confronto generazionale all’interno delle aziende alle prese con il passaggio di testimone tra genitori e figli. La difficoltà del territorio di attrarre e comprendere le esigenze degli startupper innovativi che a loro volta hanno bisogno di bussole per orientarsi nel mercato dei capitali come strumento alternativo al credito bancario. La capacità dell’industria di creare altra industria. Il futuro del sistema produttivo e del fermento imprenditoriale varesino non si gioca solo sui campi dello sviluppo tecnologico. In realtà la partita è ancor prima culturale, strettamente legata alla costruzione di moderne visioni di imprenditoria, di governance e alla condivisione di quello che potrebbe essere definito “un rinnovato vocabolario industriale” ancora tutto da scrivere, come sottolinea il Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Varese, Pietro Conti. Qualche suggerimento arriva dall’ultima edizione del World Manufacturing Forum e da alcune esperienze di successo del sistema produttivo all’ombra delle Prealpi
Davide Cionfrini
Da una parte i primati in termini di addetti nei settori high tech, i podi nazionali per numero di lavoratori in diverse nicchie manifatturiere, la presenza di due Università. Dall’altra i pochi brevetti, gli scarsi spazi per la condivisione e l’incubazione di idee imprenditoriali. In mezzo, la realtà delle startup innovative ben presenti sul territorio, ma non suff icienti alle sue ambizioni. Luci e ombre dei campi su cui si gioca la partita del futuro dell’industria locale. Tra questi, l’open innovation, i passaggi generazionali e la capacità di sviluppare nuove competenze
Varese è la quinta provincia in Italia per numero di addetti impiegati nei settori ad elevato contenuto tecnologico. L’11,3% della forza lavoro della manifattura del territorio, infatti, opera proprio nei comparti che rientrano nella definizione “high tech”. Una percentuale particolarmente elevata se si pensa che la media nazionale si attesta sul 5,3%. In questo primato gioca sicuramente un ruolo fondamentale l’essere terra di industria aerospaziale. Ma non è solo questo. Nella fascia definita medium high tech, infatti, lavora il 31,3% degli addetti manifatturieri del Varesotto. E anche in questo caso il dato è abbondantemente superiore rispetto al 26,5% del resto dell’industria italiana.
5a provincia in Italia per numero di addetti nei settori ad elevato contenuto tecnologico
all’innovazione del sistema produttivo locale, testimoniata anche dalle 101 startup innovative presenti sul territorio e registrate come tali alla Camera di Commercio. Il dato pone la provincia di Varese al 33esimo posto nella classifica nazionale e al quinto in quella regionale.
Italia per numero di addetti
elevato contenuto tecnologico
Italia
(% di addetti nei settori manifatturieri per intensità tecnologica e di conoscenza)
Italia
(% di addetti nei settori manifatturieri per intensità tecnologica e di conoscenza)
Fonte: elaborazioni CENTRO STUDI Confindustria Varese su dati Asia 2021 per addetti nei settori tecnologici
Presenza sul territorio di 2 Università e Centri di ricerca
sul territorio di 2 e centri di ricerca
Fonte: elaborazioni Centro studi Confindustria Varese su dati Asia 2021 per addetti nei settori tecnologici
Sono numeri che rispondono, almeno in parte, alla domanda di quanto sia innovativo il sistema economico e produttivo all’ombra delle Prealpi.
Ogni statistica, però, ha diversi punti da cui può essere vista e interpretata. Se, infatti, in termini assoluti sul numero di startup innovative Varese si piazza nella prima metà della graduatoria italiana, lo stesso dato rapportato al totale delle imprese presenti sul territorio cambia non poco lo scenario. Osservato con queste lenti, infatti, il Varesotto scende in 86esima posizione, secondo l’Indice del Fermento Imprenditoriale redatto dall’Institute for Entrepreneurship and Competitiveness (IEC) dell’Università LIUC per conto di Confindustria Varese. Secondo questa analisi, in termini di innovazione, la provincia varesina si piazza in 76esima posizione, 4 in più rispetto a due anni fa, ma non certo ad un livello che ci si aspetterebbe da uno dei territori più industrializzati d’Italia. Per i ricercatori di IEC, a trainare al ribasso le performance innovative delle imprese varesine è la scarsa “propensione alla protezione dell’innovazione e quindi della tutela della conoscenza attraverso la registrazione di marchi, brevetti e disegni industriali” dove Varese è 79esima, con 3 posizioni guadagnate rispetto alla rilevazione precedente, ma con un trend che non fa certo stappare bottiglie di bollicine per festeggiare.
C’è, però, un altro fattore che la dice lunga rispetto alle potenzialità del sistema economico varesino: la presenza in una provincia di 1.220 chilometri quadrati e quasi 881mila abitanti di ben due Università, l’Insubria e la LIUC. Un patrimonio
Varese su dati Asia 2021 per addetti nei settori tecnologici
di conoscenza non banale che non tutte le aree del Paese possono vantare, soprattutto se si esce da quelle metropolitane e che “ha facilitato nel tempo un rinnovo delle competenze e un’apertura al futuro”, sottolinea il Centro studi di Confindustria Varese nel documento, disponibile al pubblico, “La provincia di Varese in breve – Sintesi dei principali indicatori sociali ed economici”. Un rapporto che mette in evidenza l’elevata propensione
C’è da dire, però, che alle statistiche sfugge un carattere distintivo di un’economia locale manifatturiera, come quella di Varese, fatta per il 90% da piccola industria: ossia quella della silenziosa e diffusa innovazione incrementale che fa parte del lavoro quotidiano dentro i capannoni produttivi proprio delle Pmi. Non ci sono numeri a conferma e in grado di tracciare queste attività. Ma se così non fosse non si spiegherebbero i primati che, tra punti
33a provincia in Italia e 5a provincia in Lombardia per numero di startup innovative registrate sul territorio: 101 in totale
33^ provincia in Italiae 5^ provincia in Lombardia per numerodi start-up innovative registratesul territorio: 101in totale
G -COMMERCIO ALL'INGROSSOEAL DETTAGLIO;RIPARAZIONEDI AUTOVEICOLIEMOTOCICLI 9,00% N-NOLEGGIO, AGENZIEDI VIAGGIO,SERVIZIDI SUPPORTOALLE IMPRESE 3,00%
C -ATTIVITA' MANIFATTURIERE 17,00%
Varese (%sultotale,sezioni ATECO)
F-COSTRUZIONI 1,00%
I-ATTIVITA'DEI SERVIZIDIALLOGGIO EDIRISTORAZIONE 1,00%
J-SERVIZIDI INFORMAZIONEE
M-ATTIVITA' PROFESSIONALI, SCIENTIFICHEE TECNICHE 20,00%
Italiae 5^ provincia in Lombardia per innovative registratesul territorio: 101in totale
C -ATTIVITA' MANIFATTURIERE 14,00% G -COMMERCIO ALL'INGROSSOEAL DETTAGLIO; RIPARAZIONE DI AUTOVEICOLIE MOTOCICLI 3,05% N-NOLEGGIO, AGENZIEDIVIAGGIO, SERVIZIDI SUPPORTO ALLEIMPRESE 2,27% P-ISTRUZIONE 1,00% F-COSTRUZIONI 0,98%
G -COMMERCIO ALL'INGROSSOEAL DETTAGLIO; RIPARAZIONE DI AUTOVEICOLIE MOTOCICLI 3,05%
C -ATTIVITA' MANIFATTURIERE 14,00%
N-NOLEGGIO, AGENZIEDIVIAGGIO, SERVIZIDI SUPPORTO ALLEIMPRESE 2,27%
Italia (%sultotale,sezioni ATECO)
M-ATTIVITA' PROFESSIONALI, SCIENTIFICHEE TECNICHE 23,01%
Fonte:elaborazioniCENTROSTUDI ConfindustriaVarese sudatiregistroimpreseperstart-upinnovativea novembre2023
con il 27% della media nazionale, ma più alto del 22,3% di Milano o del 24,5% della vicina Novara. Le imprese a conduzione familiare sono in provincia di Varese l’83,6%, contro una media nazionale dell’80,9%. Il 12,7% delle aziende varesine, secondo le previsioni, è stata o sarà coinvolta in un passaggio generazionale nel periodo tra il 2023 e il 2025. È qui che si gioca una delle partite più importanti per il futuro dell’imprenditoria varesina: nell’innovazione della governance. Un match, come sottolineato dallo stesso Presidente dei Giovani Industriali varesini, Pietro Conti, che coinvolge “le sfere affettive e le relazioni personali (familiari e non solo); gli ambiti tecnologici; la gestione stessa dei processi di innovazione; la necessità di una maggiore apertura delle nostre imprese al mercato dei capitali; la predisposizione ad attrarre startupper; la costruzione di nuove competenze manageriali sempre più trasversali”.
J-SERVIZIDI INFORMAZIONEE COMUNICAZIONE 51,28%
Italia (%sultotale,sezioni ATECO)
PROFESSIONALI, SCIENTIFICHEE TECNICHE
ConfindustriaVarese sudatiregistroimpreseperstart-upinnovativea
Fonte: elaborazioni Centro studi Confindustria Varese su dati registro imprese per startup innovative a novembre 2023
di forza e punti deboli, comunque contraddistinguono l’industria di questa provincia. Quarta in Italia per numero di addetti nei settori della gomma e delle materie plastiche; ottava nel chimico-farmaceutico (e quarta nel solo chimico); decima nel tessileabbigliamento (e quinta nel solo tessile); decima nel metalmeccanico (e terza nel solo comparto degli aeromobili). Tanto per citare i principali. Fin qui il presente. Ma l’innovazione guarda al futuro e quello dell’industria
della provincia di Varese sta anche in alcuni numeri emersi nell’ultima Assemblea del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Varese, dedicata proprio ai temi dell’open innovation, del dialogo tra imprese e startup e di quello tra diverse generazioni all’interno delle stesse aziende. Dati che tracciano le sfide dietro l’angolo. Anche qui bastano solo pochi esempi: a Varese la percentuale di imprese guidate da over 70 è pari al 28,1%, un dato in pratica in linea
Su questo, sulla capacità di sviluppare nuove competenze, Varese deve fare di più e meglio, sempre secondo gli esperti dello IEC dell’Università LIUC. Mancano alcuni strumenti. In primis, i parchi scientifici e tecnologici, a parte la felice eccezione dell’Insubrias BioPark di Gerenzano, tra le principali realtà in Italia dedicata al mondo biotech (di cui parliamo nelle pagine di “Economia” di questo numero di Varesefocus). Pochi gli spazi per la collaborazione: a livello di co-working e fab-lab, Varese è 74esima. Povera l’offerta di programmi di incubazione, accelerazione ed educazione all’imprenditorialità (51esima). Bassi i numeri di community di innovatori (66esima). Luci e ombre su cui costruire strategie in termini di open innovation, attrazione di startup, brevettazione, passaggi generazionali, nuovi prodotti e processi, valorizzazione delle risorse umane. In una parola: innovazione. Non solo tecnologica, ma anche (e forse soprattutto) legata alla creazione di una nuova cultura imprenditoriale.
Alessia Lazzarin eDavide Cionfrini
Progetti, partnership, community e obiettivi (“obbligatoriamente ambiziosi”) del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Varese che sta lavorando alla costruzione di un “dizionario industriale comune” in grado di agevolare il dialogo tra la manifattura del territorio e le startup, da trasformare in acceleratori di innovazione. Passa anche da qui la sfida dell’open innovation in una provincia industriale in cui le Pmi (ma non solo) sono alla ricerca di know-how e competenze.
Intervista al Presidente Pietro Conti
‘‘V
ogliamo che imprese radicate e startup possano trovare nel nostro Movimento una sorta di Accademia della Crusca in grado di fare da sentinella e punto di incontro per un dialogo basato su un nuovo dizionario industriale comune”. Pietro Conti è il Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Varese. Uno spaccato dell’associazionismo datoriale che rappresenta 238 titolari d’impresa sotto i 40 anni e che,
nell’ambito del Piano Strategico #Varese2050 per il riposizionamento competitivo del territorio sostenuto dal sistema confindustriale varesino, si è ritagliato un compito preciso: quello di “valorizzare, attrarre e incentivare tutte quelle startup che possono essere abilitatrici di una nuova industria, in grado di perpetrare quel saper fare impresa che ha fatto le
fortune del nostro sistema produttivo. E farle diventare partner delle nostre imprese nei loro percorsi di crescita sui mercati”.
Alcune statistiche sembrano mettere in evidenza una certa difficoltà delle imprese varesine nell’azione di innovare. È proprio così?
Per molte delle Pmi del nostro territorio, fare innovazione è un processo ancora complesso e non sempre sviluppabile con le risorse e i tempi necessari. È dunque indispensabile trasferire di azienda in azienda il know-how innovativo presente nelle nostre eccellenze industriali e offrire strumenti concreti in grado di agevolare processi di contaminazione positiva con le startup. Queste ultime possono trasformarsi per la nostra industria in laboratori esterni e acceleratori di innovazione. A patto, però, di saper creare nuove strade di collaborazione e di abbracciare e gestire le dinamiche della open innovation, ancora troppo poco presenti nel mindset della nostra imprenditoria.
In questo, che ruolo può ricoprire il Gruppo Giovani Imprenditori che lei rappresenta?
Vogliamo farci portavoce di un nuovo modo di ripensare l’imprenditoria, tutto da costruire, per rilanciare la competitività del Varesotto. Il nostro è un doppio ruolo: culturale e strategico. Attraverso attività, iniziative e progetti, ci poniamo l’obiettivo di preservare, valorizzare e diffondere la cultura d’impresa tipica del nostro territorio. Un territorio fatto di eccellenze che rappresentano un patrimonio, in profonda trasformazione e alle prese con un riposizionamento competitivo da cui dipenderà il futuro di Varese nella costruzione di un nuovo fermento imprenditoriale, anche attraverso la sperimentazione di nuovi modelli con cui concepire e promuovere il “saper fare impresa”.
Durante l’ultima Assemblea del vostro Movimento, nella sua relazione ha sottolineato la necessità di far nascere un nuovo ecosistema imprenditoriale. Come si concretizza questo obiettivo nella vostra azione?
Per noi giovani imprenditori vuol dire investire nella cultura d’impresa tra le nuove generazioni, creare opportunità di formazione per nuovi imprenditori e contribuire all’orientamento scolastico. Vuol dire enfatizzare una nuova cultura organizzativa aperta al cambiamento. Significa applicare i principi necessari per la costruzione di un linguaggio comune efficace, sia tra le diverse generazioni di persone, junior e senior, che convivono nella società e nelle aziende, con sempre più alti livelli di incomprensione reciproca, sia tra le differenti generazioni di aziende, con le startup da una parte e le realtà manifatturiere più radicate, consolidate e storiche dall’altra.
Due mondi, questi ultimi, però, che sembra fatichino a comprendersi.
Sì, da sempre. Soprattutto nel nostro Paese. Startupper e imprenditori devono trovare, invece, il modo di allenare le reciproche capacità di parlare un solo linguaggio e di intendersi. Alle
imprese il contesto richiede di aprirsi alla contaminazione con le nuove realtà imprenditoriali in erba che strutturate non sono per definizione e che, come tali, non ragionano. In fondo negli stessi incubatori si lavora molto sugli startupper, sulla loro capacità di presentarsi al mercato, meno sulla capacità dell’impresa di dialogare con loro. È anche per questo che come Confindustria Varese, insieme a Confindustria Bergamo e Confindustria Emilia-Centro abbiamo realizzato il percorso Open Mind, con missioni anche all’estero nei contesti più tecnologici dell’imprenditoria mondiale: per creare un comune alfabeto industriale. Un dizionario che, però, alcune startup selezionate, che abbiamo premiato nell’ambito di un contest allargato a tutta la Lombardia, hanno dimostrato di saper padroneggiare. C’è terreno fertile su cui lavorare. Il nostro Gruppo Giovani Imprenditori vuole essere, da una parte, un acceleratore e promotore di nuova imprenditorialità, dall’altra, vuole essere uno strumento per
la creazione di nuovi percorsi di collaborazione e forme di dialogo tra imprese e generazioni. Anche attraverso l’open innovation.
Non sono obiettivi talmente alti da rischiare di diventare irraggiungibili?
Ambiziosi sì, irraggiungibili no. È declinando la nostra azione in progetti concreti e nella scelta dei partner giusti con i quali costruirla che cerchiamo di districare la complessità del momento.
Quali sono questi partner?
Stiamo costruendo progettualità molto concrete insieme all’Università LIUC e la sua Business School, a Servizi Confindustria Varese, alle scuole superiori del territorio con il progetto Latuaideadimpresa, all’incubatore di startup ComoNExT, all’organizzazione no profit InnoVits, al Progetto Generazione d’Industria di Confindustria Varese. È con queste realtà che stiamo collaborando per contribuire a creare una nuova imprenditoria, a cui si affiancano nomi del calibro di PoliHub (con cui stiamo sviluppando, come Confindustria Varese, un percorso di matching nella filiera metalmeccanica) e AIFI, con cui la nostra stessa Associazione ha stretto accordi di collaborazione nell’ambito del Piano Strategico #Varese2050 a supporto della crescita delle startup. Sia con l’obiettivo di aumentare le loro collaborazioni con le supply chain
della nostra industria, sia con lo scopo di offrire strumenti di orientamento all’interno del mondo del venture capital.
Con quali strumenti promuovete il confronto con il mondo delle startup?
Con l’organizzazione no-profit InnoVits, il cui scopo è quello di valorizzare una cultura manageriale innovativa, abbiamo, ad esempio, aperto una collaborazione per agevolare la partecipazione degli aspiranti startupper del territorio ad un percorso (InnoVits Gymnasium) che li può aiutare a mettere alla prova la propria idea o intuizione imprenditoriale prima di trasformarla in un’impresa. Sempre nell’ambito della costruzione di una nuova imprenditoria, inoltre, abbiamo creato una community di startupper (anche non associati a Confindustria Varese), incubata proprio dal nostro Gruppo Giovani, per favorire la contaminazione e la condivisione di idee, oltre che creare occasioni di apprendimento e conoscenza su tematiche di vario genere legate, ad esempio, agli investimenti, alla finanza agevolata e alla proprietà intellettuale.
Quali sono le priorità?
Investire nelle competenze. Siamo in un periodo di carenza di una risorsa preziosa: quella umana. La demografia è impietosa. Dobbiamo saper valorizzare ogni singola ragazza
e ogni singolo ragazzo, offrendo loro percorsi di affermazione professionale e imprenditoriale. Vogliamo che i talenti trovino nella provincia di Varese un ecosistema in grado di agevolare la realizzazione personale di ognuno.
Come misurerete i risultati della vostra azione su questi fronti di impegno?
Misureremo nei prossimi anni le capacità di incidere dei nostri progetti su: quante startup innovative sapremo contribuire a far nascere; quanti passaggi generazionali di successo verranno portati a termine; quanti manager entreranno nei nostri Cda; quante collaborazioni nasceranno tra startup e imprese; quante startup si trasformeranno in Pmi innovative.
Si ritorna agli obiettivi ambiziosi. È inevitabile. Pensiamo, però, che un progetto per volta, una partnership dopo l’altra, formazione dopo formazione, potremo raggiungere risultati tangibili. Stiamo costruendo il nostro pezzettino di #Varese2050. L’ambizione è d’obbligo.
“Abbiamo creato una community di startupper, incubata proprio dal nostro Gruppo Giovani, per favorire la contaminazione e la condivisione di idee, oltre che creare occasioni di apprendimento e conoscenza su tematiche legate agli investimenti, alla finanza agevolata e alla proprietà intellettuale”
Chiara Mazzetti
C’è chi ha inventato un processo produttivo sostenibile, conveniente e scalabile per estrarre cellulosa da scarti agroalimentari. Chi progetta dirigibili a guida autonoma, per analisi geofisiche e ispezioni di infrastrutture nel settore energetico. E chi realizza prodotti e soluzioni basati sull’Intelligenza Artificiale accessibili e utili per altre realtà imprenditoriali. Questi i campi di business di We Are Bi-Rex, FloFleet, AI Know You, 3 startup innovative lombarde premiate dal contest lanciato da Confindustria Varese insieme al proprio Gruppo Giovani Imprenditori
Non si può parlare di innovazione senza pensare alle startup, definite dal vocabolario “organizzazioni di recente creazione che mirano a diventare grandi imprese con un business model scalabile e unico”. Quello che sta alla base di questo tipo di aziende è, infatti, un’idea nuova, capace di traghettare verso strade poco battute ed inesplorate imprenditori in erba, carichi di entusiasmo e progettualità sfidanti. È in questo quadro che Confindustria Varese, insieme al proprio Gruppo Giovani Imprenditori, ha deciso di lanciare un contest nell’ambito del progetto “Start Up Your Ideas”, portato avanti all’interno del Piano Strategico #Varese2050 per alimentare il fermento imprenditoriale del territorio. Obiettivo
del concorso: premiare la migliore startup innovativa e tecnologica della Lombardia, stimolando così intuizioni d’impresa e fornendo ad altri startupper esperienze e occasioni di networking per concretizzare i propri progetti.
Ad aggiudicarsi il gradino più
alto del podio, We Are Bi-Rex, realtà milanese nata dall’incontro di due donne che, un po’ per gioco e un po’ per fortuna, hanno deciso di iniziare a lavorare insieme, arrivando ad un’idea imprenditoriale che ha già incontrato, in pochi mesi, parecchi riscontri positivi. “Io e la mia socia Monica
Ferro – racconta la Ceo e co-founder Greta Colombo Dugoni –abbiamo dato vita, insieme ad un team di 15 persone in totale, a un processo produttivo innovativo, sostenibile, conveniente e scalabile per estrarre cellulosa da scarti agroalimentari, come birra e caffè o gusci di gamberi. Lo scopo della nostra startup è produrre carta e bioplastica sostenibile e lo facciamo utilizzando solventi eutettici (Deep Eutectic Solvents - DES) progettati appositamente per trattare biomasse agricole e alimentari, che consentono l’estrazione di cellulosa e chitina dagli scarti”. Il risultato sono nuove fibre, totalmente green, pensate per il settore del packaging e della carta, prodotte con un procedimento del tutto circolare. “Ogni scarto agroalimentare, che si tratti di crusca, agrumi oppure pomodori, può diventare materia prima – spiega di nuovo il Ceo di We Are Bi-Rex –. Il nostro processo promuove la circolarità: tradizionalmente, per lo smaltimento dei rifiuti, verrebbero utilizzati degli inceneritori, mentre noi, quegli stessi scarti siamo in grado di valorizzarli, contribuendo così ad una riduzione pari al 70% delle emissioni di anidride carbonica che verrebbe generata utilizzando il tradizionale metodo di smaltimento”.
We Are BiRex, partita ad inizio 2024, al momento è in grado di fornire 150 tonnellate di carta al giorno ed ha in programma, entro la
fine dell’anno, di produrre la prima carta igienica al mondo fatta con fibra di crusca. “Ad oggi abbiamo completato il processo di industrializzazione: siamo riusciti ad ottenere il primo cartoncino, la prima carta e le prime stoviglie, realizzate interamente su scala industriale. L’obiettivo è portare i nostri prodotti sul mercato nel più breve tempo possibile. Cerchiamo aziende interessate ad implementare i nostri prodotti”, precisa Greta Colombo Dugoni.
FloFleet, altra finalista, sempre di Milano, del contest indetto dalla Confindustria varesina, è invece specializzata in un campo del tutto differente: la progettazione di dirigibili a guida autonoma. “La nostra startup è nata da un gruppo di amici dell’Università, che hanno deciso di imbarcarsi in un processo e in un’impresa decisamente importante, legata al mondo dell’aeronautica e del volo autonomo, che è la specializzazione che ci lega”. A raccontare la genesi di FloFleet è il Ceo Andrea Cecchi, che spiega come l’intuizione sia partita da una riflessione ambientale: “Cercavamo un metodo più ecologico per realizzare analisi
geofisiche e ispezioni di infrastrutture nel settore energetico, che attualmente immettono nell’ambiente, ogni anno, circa 3 tonnellate di anidride carbonica. Abbiamo perciò pensato ad una possibile soluzione: una nuova tipologia di velivoli, costruiti e progettati appositamente per questo tipo di attività”. Si tratta di dirigibili elettrici a guida autonoma in grado di effettuare analisi geofisiche più precise, rispetto a quelle di aerei ed elicotteri, attraverso l’impiego di tecnologie all’avanguardia, che hanno anche il vantaggio di ridurre costi e impatti ambientali. “I velivoli FloFleet sono un’alternativa economicamente vantaggiosa rispetto ai mezzi che vengono abitualmente utilizzati, con spese operative fino al 50% più basse. Inoltre, sono in grado di ridurre di 10 volte le interferenze elettromagnetiche con i sensori, garantendo dati più accurati e affidabili, essenziali per la mappatura dei terreni”, precisa Cecchi. Obiettivo futuro per la startup milanese? “Diventare un punto di riferimento per quanto riguarda il volo autonomo e la produzione di velivoli, per poi riuscire a far diventare i nostri prodotti mezzi con cui poter effettuare
AI Know You: “Mettiamo tutte le nostre competenze e la nostra passione al servizio dei nostri clienti, che vogliamo rimettere al centro dell’attenzione, anche grazie alla tecnologia”
monitoraggi e trasporti su larga scala”, confessa il Ceo di FloFleet. Arriva da Varese, invece, AI Know You, una startup innovativa che si occupa di realizzare prodotti e soluzioni basati sull’Intelligenza Artificiale che siano facili, accessibili e soprattutto utili per altre realtà imprenditoriali. “Mettiamo tutte le nostre competenze e la nostra passione al servizio dei nostri clienti, che vogliamo rimettere al centro dell’attenzione, anche grazie alla tecnologia”, racconta il Founder & Board Member Mirko Pugliafito. AI Know You, nata nel 2021 da un’intuizione del suo fondatore, forte di una lunga esperienza nell’ambito del customer service, ha ideato una piattaforma in grado di “ascoltare”, attraverso un algoritmo proprietario di analisi della conversazione, le interazioni tra i brand e la propria clientela. Il risultato è un quadro completo della brand reputation di una determinata realtà, con tanto di insights su cui andare ad agire. “In altre parole, questa sorta di grande orecchio, l’AI, ascolta le conversazioni, che possono essere telefoniche, social o anche email e restituisce all’azienda un’idea di cosa stiano dicendo i propri clienti, sotto vari
FloFleet: “I velivoli autonomi FloFleet sono un’alternativa economicamente vantaggiosa rispetto ai mezzi che vengono abitualmente utilizzati, con spese operative fino al 50% più basse”
aspetti – spiega Pugliafito –. Lo step successivo è una classificazione delle informazioni ottenute dall’attività di ascolto, a cui segue la generazione automatica, grazie all’Intelligenza Artificiale Generativa, di risposte per la clientela”. L’obiettivo di questa tecnologia è, in primis, risolvere le
principali problematiche relative ad un prodotto, come, ad esempio, quando verrà consegnato, in modo tale da migliorare il rapporto cliente-fornitore. “Cerchiamo, grazie al lavoro di questa startup, di fornire delle idee, degli indicatori ai brand che ci hanno scelto, permettendo loro di liberare del tempo da dedicare ad attività a più alto valore aggiunto, come ad esempio la vendita o l’organizzazione della produzione”, precisa il Founder & Board Member di AI Know You. All’orizzonte un progetto altrettanto ambizioso: “La nostra aspirazione è quella di continuare a crescere: oggi siamo una realtà che fattura circa mezzo milione di euro e ci stiamo spingendo verso l’introduzione di alcuni nuovi servizi, in grado di avvicinare, sempre di più, l’uomo e l’Intelligenza Artificiale”, conclude Mirko Pugliafito.
We
Are Bi-Rex: “Lo scopo della nostra startup è produrre carta e bioplastica sostenibile e lo facciamo utilizzando solventi progettati appositamente per trattare biomasse agricole e alimentari, che consentono l’estrazione di cellulosa e chitina dagli scarti”
Alessia Lazzarin
Dalla realizzazione di una strategia allo sviluppo di procedure per implementare nuove idee. Dalla divisione di ruoli e responsabilità alla definizione di indicatori di performance. Dal coinvolgimento di stakeholder alla gestione dei processi. Non c’è percorso di innovazione senza un approccio di governance strutturato. Il caso di successo di Futureclo e Boggi Milano e i suggerimenti alle imprese di PoliHub
Cos’è l’open innovation?
In che modo si governa? Quali sono le opportunità per le imprese? Sono queste alcune delle domande con cui, oggi più che mai, le aziende si trovano a dover fare i conti, in uno scenario economico sempre più sfidante e competitivo. Quesiti che sono stati posti al centro di un percorso formativo pensato da Confindustria Varese e PoliHub, l’Innovation Park & Startup Accelerator del Politecnico di Milano, in stretta sinergia con l’Università LIUC, proprio per aiutare
le realtà manifatturiere a destreggiarsi in un contesto in continua evoluzione.
“L’open innovation è una modalità di risoluzione del problema basato sul disaccoppiamento problema-soluzione
– spiega Laura Prinzi, Head of Open Innovation & Corporate Programs di
PoliHub –. In aggiunta ai processi di innovazione interni, per traguardare nuovi orizzonti di crescita, è importante che le aziende si dotino anche di strumenti e competenze che provengano da collaborazioni con soggetti esterni”. Si tratta, quindi, di una vera e propria contaminazione di know-how tra aziende e soggetti diversi, in particolare le startup innovative. Università e incubatori. Centri di Ricerca e acceleratori d’impresa. Un matching di competenze da condividere per poter intraprendere un percorso di open innovation e sfruttare le opportunità di crescita che ne derivano. Processi innovativi, però, che devono essere anche ben governati. “Ogni impresa che sceglie di fare innovation deve introdurre al proprio interno una ‘costituzione dell’innovazione’ – afferma Cosimo Panetta, Founder e Ceo di Aipermind, realtà specializzata in Intelligenza Artificiale e processi innovativi
Una realizzazione di Futureclo per Boggi Milano
per le imprese –. Principi guida, linguaggio comune e una visione d’insieme sono aspetti fondamentali all’interno di un’organizzazione che decide di intraprendere questa strada”. Dalla realizzazione di una strategia chiara allo sviluppo di procedure per implementare nuove idee. Dalla divisione di ruoli e responsabilità alla definizione di indicatori di performance. Dal coinvolgimento di collaboratori e stakeholder alla gestione di tutti i flussi per costruire un ambiente che favorisca la prosperità di intuizioni. Sono questi alcuni dei principali aspetti che disciplinano in maniera trasparente la governance dell’innovazione.
Un sentiero tracciato, dunque, da seguire passo dopo passo. Un modello strategico che in alcune aziende è già realtà. Come nel caso di Futureclo, startup innovativa di Gallarate che si occupa di design innovativo e digitalizzazione per il comparto fashion. “Più di un anno fa abbiamo intrapreso un percorso di open innovation insieme a Boggi Milano, noto brand della moda – racconta German Picco, Ceo e Founder della startup varesina –. Abbiamo messo a disposizione il nostro know-how interno e il nostro background nel mondo della moda e della confezione, per sviluppare un processo digitalizzato attraverso l’utilizzo della realtà aumentata e della stampa 3D”.
In pratica, Futureclo ha realizzato un avatar parametrico che sostituisce il modello di fitting (manichino). In questo modo, attraverso prototipi 3D è possibile verificare la vestibilità del capo in tempo reale. “Una progettualità che ha permesso a Boggi di anticipare ed efficientare tutte le fasi produttive – informa Picco –. I costi di prototipazione fisica sono stati ridotti del 100%, i tempi di realizzazione della collezione sono diminuiti del 50% e quelli di produzione del 70%”. È proprio tra le righe di questa esperienza che si può cogliere la vera essenza dell’open innovation e di un approccio di governance ben pensato. Un brand da anni consolidato nel panorama della moda, che affida le proprie necessità ad un’azienda esterna. In questo caso, una startup innovativa che, come dice la stessa definizione, ha nella propria indole la capacità di saper fare innovazione. Efficientamento dei costi e delle risorse, tempestività e flessibilità sono alcune delle performance raggiunte dalla collaborazione tra Futureclo e Boggi. Un percorso strutturato, appunto, che deve essere fatto step by step. Lavorare in team verso obiettivi comuni è un altro aspetto fondamentale. “La probabilità di avere successo è maggiore allineando gli sforzi, ottimizzando l’allocazione delle risorse e promuovendo una cultura dell’open
innovation – continua Cosimo Panetta –. Non esiste un approccio universale, adatto a piccole e medie imprese o grandi realtà. Bisogna costruire un business model in continua evoluzione”. Questo perché, secondo Panetta, “la percentuale di fallimento quando si parla di innovation è variabile e, spesso, a doppia cifra”.
Costruire un ecosistema di innovazione collaborando attivamente con stakeholder e partner “è un fattore cruciale per lo sviluppo delle imprese. Una menzione particolare va fatta in relazione alla collaborazione con le Università, cantieri di nuove idee”, spiega Laura Prinzi: “Ci sono figure professionali sempre più specializzate oggi”. Innovation Manager, Chief Innovation Officer, Innovation Consultant, Business Development Manager, Digital Transformation Specialist: sono alcune delle nuove professionalità che un’impresa, anche Pmi, deve introdurre se decide di percorrere questa strada.
Gli strumenti per fare innovazione ci sono. Le competenze in questo ambito possono essere allenate. Le opportunità per le imprese sono tangibili. Ma c’è ancora qualche tassello mancante su cui lavorare. “Siamo una provincia con una consolidata tradizione manifatturiera che, però, non riesce a mettere a segno performance brillanti in tema di innovazione – conclude Luca Donelli, Vicepresidente di Confindustria Varese –. Ci sono ancora lacune da colmare, nonostante sul nostro territorio siano presenti gran parte degli elementi che dovrebbero favorire una cultura diffusa dell’innovazione, partendo, per esempio, dalla nascita di startup. Per questo abbiamo stretto un accordo con PoliHub, un primo passo per colmare questo gap, che si inquadra nel nostro Piano Strategico #Varese2050 e che inizialmente sarà rivolto alle aziende meccaniche e siderurgiche. Ma a cui stiamo già facendo seguire altre iniziative, come l’avvio di un corso proprio sull’open innovation insieme alla LIUC Business School”.
L’alto tasso di fallimento delle startup dipende da una causa su tutte: la debolezza finanziaria. Un fattore su cui vuole incidere un recente accordo stretto tra Confindustria Varese e AIFI con l’obiettivo di supportare la diffusione di risorse alternative al credito bancario per lo sviluppo e la crescita delle giovani aziende innovative. Ancora troppo poche quelle sul territorio
Una startup ha il 95% di probabilità di fallire nei primi 4 anni. Per quali cause? Prima fra tutte c’è, secondo i dati di Cb Insights, nel 38% dei casi, l’insolvenza e l’incapacità di raccogliere nuovi investimenti. Solo a seguire intervengono ragioni legate all’assenza di domanda del mercato (35%), presenza di un competitor più forte (20%), business model inefficiente (19%). È su questo fattore di debolezza finanziaria che, almeno sul territorio varesino, vuole incidere il nuovo accordo stretto tra Confindustria
Varese e AIFI – Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capitale e Private Debt, presentato di recente all’Università LIUC di Castellanza. Con un obiettivo: supportare la diffusione di forme di finanza alternativa al credito bancario per lo sviluppo e la crescita delle startup innovative, iscritte come tali al registro speciale della Camera di Commercio.
Dati alla mano, Varese rimane ancora molto lontana dalle prime posizioni della classifica nazionale sulle startup innovative. Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Indice del Fermento Imprenditoriale svolto per Confindustria Varese dal think tank Strategique, con il supporto scientifico di IEC - Institute for Entrepreneurship and Competitiveness dell’Università LIUC, quelle attive sul territorio sono 86. Un numero che pone la provincia varesina nella seconda parte della classifica (84esimo posto) per numero di startup rispetto al totale delle imprese. Simile il quadro delineato dalle Pmi innovative che nella provincia di Varese sono ad oggi 14, numero che la piazza solo 80esima, sempre usando come metro di misura il rapporto sul totale delle imprese presenti sul territorio rispetto alle altre province.
“Il nostro scopo – spiega il Presidente di Confindustria Varese, Roberto Grassi – è quello di dare maggiori opportunità di solidità finanziaria alle nuove idee di impresa che nascono sul territorio e contribuire
così alla crescita del numero di startup e delle probabilità di trasformarle in aziende consolidate. Con un occhio di riguardo a quelle realtà che possono sviluppare nuove tecnologie e idee abilitatrici di una nuova manifattura e di innovazione nelle filiere produttive e dei cluster esistenti”.
Le startup innovative iscritte all’ente camerale già da qualche mese, possono accedere a tutta la rete di attività di rappresentanza e dei servizi offerti da Confindustria Varese alle imprese, aderendo gratuitamente all’Associazione datoriale e con successive agevolazioni nei primi anni post-fase di avvio attività.
Ora, grazie all’accordo con AIFI, potranno contare anche sul supporto dello “Sportello Venture Capital” promosso da Confindustria Varese. Tramite AIFI, dunque, le startup innovative potranno avvantaggiarsi di: un’attività di orientamento verso i diversi player operativi nell’ambito della finanza alternativa; informazioni dirette sul mercato italiano del venture capital; la condivisione di mappe ed elenchi di investitori di venture capital attivi in Italia, avvalendosi dell’Osservatorio VeM – Venture Capital Monitor attivo presso la LIUC Business School. Oltre a poter partecipare a eventi e ad altre iniziative istituzionali e di networking con il resto dell’imprenditoria varesina (e non solo) che verranno ciclicamente organizzati da AIFI insieme a Confindustria Varese.
“L’accordo con Confindustria Varese rientra nelle attività AIFI dedicate a supportare l’orientamento delle startup sul territorio verso i diversi operatori attivi nella finanza alternativa”, dichiara Innocenzo Cipolletta, Presidente AIFI: “La nuova imprenditorialità va valorizzata e guidata, così che possa crescere per diventare un’azienda solida e innovativa capace di stimolare l’economia del Paese”.
Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio VeM – Venture Capital Monitor attivo presso la LIUC Business School nel primo semestre 2024, si
contano 123 operazioni di venture capital in Italia per un valore di 600 milioni di euro, contro le 158 per 510 milioni dello stesso periodo di un anno fa. Per quanto riguarda l’origine dei flussi di investimento, le quote dell’ammontare delle risorse investite sono divise esattamente a metà tra investitori domestici e internazionali. Nel 28% dei round si registra una presenza corporate. I round solo da business angel sono, invece, 16 per 23 milioni di euro.
Per quanto riguarda i settori maggiormente interessati, domina l’Information & Communication Technologies. A seguire: biotecnologie, altri servizi, healthcare, beni di consumo, servizi finanziari, beni e servizi industriali. A livello di regioni la Lombardia stacca tutti con 32 target, contro le 13 del Piemonte, le 9 del Lazio, le 7 dell’Emilia-Romagna e le 5 della Toscana. Seguono via via le altre. Fare in modo che questi strumenti di venture capital si diffondano maggiormente anche nella giovane imprenditoria varesina è il vero scopo dell’accordo tra AIFI e Confindustria Varese, che si inserisce in un quadro più ampio di iniziative messe in campo dall’Associazione datoriale anche insieme alla LIUC. “Il luogo dove abbiamo presentato l’intesa con AIFI – chiosa il Presidente Roberto Grassi – non è stato casuale. Proprio di fronte alla LIUC e insieme alla stessa Università fondata da noi industriali varesini faremo sorgere nei prossimi anni l’acceleratore di imprenditorialità MILL – Manufacturing, Innovation, Learning, Logistics, quella ‘Fabbrica del Sapere e del Saper Fare’ che, come indicato nel nostro Piano Strategico #Varese2050, farà da cabina di regia di competenze e servizi per talenti, giovani, startup, imprese e cluster. Un elemento di attrattività per tutto il territorio e il suo riposizionamento competitivo, che in attesa dell’apertura del cantiere fisico per la sua realizzazione, sta già prendendo forma nelle opportunità che mettiamo a disposizione delle imprese, come dimostra questo nuovo accordo”.
Indirizzare e tracciare nuove vie da intraprendere per ridisegnare il panorama dell’industria mondiale nel prossimo futuro e comprendere come muoversi in un contesto economico internazionale definito volatile, incerto, complesso e ambiguo. Questo l’obiettivo con cui è stato realizzato il Report 2024 presentato durante l’ultima edizione del World Manufacturing Forum
L’ampliamento delle applicazioni tecnologiche industriali. La diffusione sempre più crescente di un’economia sostenibile e digitale. Il confronto uomo-macchina, con l’introduzione in azienda dei co-robot. L’emergere di sistemi cyber-fisici, ovvero sistemi informatici in grado di interagire con il sistema fisico in cui si opera.
Sono queste le principali sfide tecnologiche che, da qui al 2030, interesseranno la manifattura mondiale. È quanto emerge dal Report “Nuove prospettive per il futuro della manifattura” presentato durante la dodicesima edizione del World Manufacturing Forum, l’evento internazionale, che si tiene ogni anno in Lombardia, dedicato al settore e che riunisce imprenditori, istituzioni, manager e rappresentanti del mondo accademico. L’appuntamento, che si è tenuto lo scorso novembre al MIND Innovation District di Milano, è stato organizzato dalla World Manufacturing Foundation, una piattaforma istituita nel 2018 da Confindustria Lombardia, Politecnico
di Milano e Intelligent Manufacturing System, con lo scopo di valorizzare e diffondere la cultura industriale in tutto il mondo.
Il Report realizzato dagli studiosi del Wmf ha visto il coinvolgimento di 20 esperti provenienti da tutto il globo. Professionisti che hanno elaborato 10 raccomandazioni per indirizzare e tracciare nuove vie da intraprendere per ridisegnare il panorama dell’industria mondiale nel prossimo futuro. Comprendere e muoversi in un contesto economico internazionale definito VUCA
David
Romero, Scientific Vice-Chairman
Wmf: “Il Report è un prezioso strumento di pianificazione strategica, previsione e intelligence aziendale per prosperare in un mondo manifatturiero VUCA”
S CARICA IL REPORT 2024
(volatility, uncertainty, complexity, ambiguity) e analizzare quali sono gli aspetti che influenzeranno, positivamente e negativamente, l’evoluzione verso nuove imprese manifatturiere e rinnovati modelli operativi e di business: questo il principale obiettivo posto al centro del Forum internazionale. “In un mondo in cui i cambiamenti nelle dinamiche geopolitiche, economiche e sociali sono sempre più improvvisi, la capacità di un’impresa di anticipare questi shock diventa strategica –commenta Marco Taisch, Scientific Chairman del Wmf –. Lo scopo del Report è quello di offrire alle imprese degli spunti di riflessione e delle possibili azioni di mitigazione degli imprevisti, dando così utili strumenti per affrontare questi mutamenti con un atteggiamento proattivo e anticipatorio”.
L’industria manifatturiera, appunto, è in balia di trasformazioni sempre più complesse. Non solo da un punto di vista della transizione digitale e delle tecnologie a disposizione.
Mutamenti geopolitici, criticità economiche, problemi sociali e aspetti legati alla sostenibilità: sono questi altri punti di svolta che l’industria dovrà tenere in considerazione per riuscire a mantenersi competitiva sui mercati. Secondo i consigli degli esperti del Wmf, “sarà importante sviluppare competenze di adattabilità e resilienza, costruire un team con al proprio interno capacità di leadership. Abbracciare tecnologie di business intelligence e di analisi dei dati che possano aiutare a ridurre l’incertezza e migliorare la resilienza. Serviranno figure in grado di diventare un ‘detective dei dati’, con abilità analitiche e di narrazione dei numeri, per scoprire tendenze nascoste e tradurle in approfondimenti aziendali e stimolare l’azione”, si legge tra le righe del Report. Opportunità per le aziende manifatturiere che devono collocarsi all’interno di un ambiente pronto ad accogliere queste trasformazioni. È importante, quindi, promuovere una
cultura dell’innovazione che sappia valorizzare i vantaggi che derivano dalla trasformazione digitale.
L’introduzione di co-robot e sistemi automatizzati, per esempio, è una tendenza che diventerà sempre di più realtà. “Questo approccio può portare ad un aumento della produttività, una maggiore qualità, migliori condizioni ergonomiche e una riduzione dei costi del lavoro – sostengono gli studiosi del Wmf –. Il settore
Marco Taisch, Scientific Chairman Wmf: “Lo scopo del Report è quello di offrire alle imprese degli spunti di riflessione e delle possibili azioni di mitigazione degli imprevisti”
1. Abbracciare il cambiamento per superare le sfide critiche della produzione in un mondo VUCA;
2. Sfruttare la business intelligence e l’analisi dei dati per affrontare le grandi sfide e le opportunità della produzione;
3. Promuovere l’innovazione al centro della trasformazione manifatturiera;
4. Pianificare strategicamente nonostante il ritmo quotidiano della produzione aziendale;
5. Implementare solide pratiche di gestione del rischio per identificare potenziali minacce e sviluppare misure correttive;
6. Identificare e adottare le migliori pratiche
di produzione per garantire le basi della competitività;
7. Considerare la sostenibilità un’opportunità per il business manifatturiero piuttosto che una sfida;
8. Esplorare nuove tecnologie di produzione in grado di supportare la transizione digitale-green;
9. Investire nella creazione di una pipeline di talenti e nello sviluppo dei futuri leader per un settore manifatturiero forte;
10. Costruire partenariati strategici per creare ecosistemi manifatturieri competitivi.
manifatturiero, già oggi, impiega sempre di più robot collaborativi (cobot) che lavorano a fianco dei dipendenti nelle linee di produzione, soprattutto per l’automazione robotica”. Non si tratta di una sostituzione delle figure professionali presenti nelle aziende, bensì di un bilanciamento tra uomo e macchina. “I cobot possono svolgere compiti ripetitivi e fisicamente impegnativi, permettendo ai dipendenti di concentrarsi su ruoli più complessi, creativi o decisionali”. Utilizzare dati e tecnologie, quindi, per migliorare non solo la pianificazione strategica, ma anche l’esecuzione delle strategie.
In sintesi, secondo gli esponenti del Forum, bisogna avere sempre uno sguardo al futuro, una pianificazione che guardi al medio-lungo periodo. “Lasciarsi ispirare da un approccio innovativo e sostenibile, focalizzato sulla progettazione, ingegnerizzazione e riproduzione di prodotti green lungo tutta la catena di valore”.
Rimanere competitivi in un contesto così volatile, dunque, è possibile. I leader della manifattura del futuro dovranno essere in grado di affrontare problemi complessi e, secondo i redattori del Report, comprendere l’impatto delle loro decisioni. “Nei prossimi anni, il settore manifatturiero globale avrà una breve finestra di opportunità prima di affrontare i diversi argomenti di svolta positivi e negativi. Il mondo industriale deve agire proattivamente per plasmare un futuro positivo e sostenibile per la manifattura e le sue catene di approvvigionamento, riprogettando prodotti, processi e sistemi esistenti”.
Il Report “è un prezioso strumento di pianificazione strategica, previsione e intelligence aziendale per prosperare in un mondo manifatturiero VUCA –ha concluso David Romero, Scientific Vice-Chairman del Wmf –, dove le sfide devono essere affrontate, i rischi devono essere gestiti proattivamente e decisioni audaci devono essere prese per avere successo”.
Chiara Mazzetti
Prima il contributo alla creazione di una startup, poi la fondazione di una seconda. Da una parte per il restauro e il recupero di beni cartacei e culturali danneggiati dall’acqua, dall’altra per fornire alle aziende servizi di risk management grazie alle tecnologie digitali (Intelligenza Artificiale compresa). La storia di Edam Soluzioni Ambientali Srl, realtà familiare di Gallarate, è legata a doppio filo ad altre due idee imprenditoriali che contribuiscono alla sua crescita e al fermento industriale del territorio
‘‘Per quale motivo avete deciso di puntare sulle startup, creandone una e contribuendo a fondarne un’altra?” A domanda diretta, risposta altrettanto diretta: “Perché sono un ottimo modo per coinvolgere talenti e skill diverse da quelle già presenti in azienda”. Cosa hanno a che fare l’universo delle startup e la Edam Soluzioni Ambientali Srl? La storia dell’impresa familiare di Gallarate, fondata nel 1998, è intrecciata a doppio filo con altre due realtà di recente nascita, che hanno, per un verso o per l’altro, contribuito allo sviluppo dell’impresa che si occupa di bonifiche di impianti industriali e decontaminazioni a seguito di incendi, allagamenti ed eventi catastrofici.
“Siamo una società di servizi attiva in 3 ambiti principali: bonifiche nel mondo chimico e farmaceutico, quindi bonifica impianti, reattori, mescolatori
e manutenzione speciale impianti; interventi dopo incendi e allagamenti, ovvero, per farla breve, arriviamo dopo i Vigili del Fuoco per andare a decontaminare gli ambienti coinvolti in un disastro e consentire alle aziende di ripartire o ai proprietari di casa di rientrare nelle loro abitazioni; interventi a seguito di emergenze ambientali, come sversamenti, per cui ci occupiamo della messa in sicurezza ed eventuali bonifiche ambientali”, racconta l’Amministratore Delegato Matteo Bistoletti, in azienda al fianco del padre Oliviero.
“Edam, nel corso degli anni, è sempre stata attenta a ricercare nicchie in cui potersi espandere e crescere. L’obiettivo è ritagliarci una fetta di mercato, mantenendo un certo vantaggio competitivo che però, inevitabilmente, con il tempo tende ad assottigliarsi perché altri arrivano a colmare e colonizzare quello stesso spazio da noi presidiato. In altre parole,
la nostra forza e la nostra condanna, se così la si può definire, è continuare a ricercare l’innovazione”, ammette l’Ad di Edam. Ed è stato proprio quello spirito di ricerca continuamente teso verso la creazione di nuovi servizi e proposte a spingere l’azienda gallaratese ad avvicinarsi al mondo delle startup. “Abbiamo contribuito alla fondazione di Prodoc, nata come realtà a sé stante ed oggi brand di Edam, proprio per andare nella direzione dell’innovazione di processo costante”, spiega ancora Bistoletti. Prodoc è un laboratorio specializzato nel restauro e recupero a seguito di danni da acqua di beni cartacei e culturali, come volumi antichi e pergamene ma anche archivi correnti. Come? Attraverso una tecnologia molto particolare, ovvero un liofilizzatore per carte (in dote solamente a quattro realtà in tutta Europa), solitamente utilizzato in ambito farmaceutico e alimentare.
“Abbiamo declinato nel campo
dei beni culturali questa specifica tecnologia di liofilizzazione, andando a creare, con Prodoc, una sorta di spin-off del nostro core business, ma declinato, per l’appunto, solo in ambito culturale. Per dare un impulso alla neonata società abbiamo messo a segno diversi investimenti, per poi ritirarla ed inglobarla all’interno dell’azienda: devo dire che i risultati non sono tardati ad arrivare”, spiega Matteo Bistoletti.
Altra attività più recente portata avanti da Edam, da inizio 2024, è la creazione di una startup innovativa finalizzata a supportare e condurre attività di ricerca e sviluppo sperimentale nel campo dell’ingegneria delle tecnologie digitali come Spatial Computing (una tecnologia in grado di accelerare la convergenza tra mondo fisico e mondo digitale), VR (realtà virtuale) e Intelligenza Artificiale. “In questo caso, l’obiettivo era diverso rispetto all’innovazione di processo, ovvero tentare di spostare la prospettiva: da sempre lavoriamo in situazioni emergenziali e ci siamo, perciò, chiesti come fare ad aiutare altre imprese ad essere più resilienti sotto questo punto di vista”. La risposta è stata una startup, il cui focus principale è fornire attività di risk management alle aziende, attraverso la mappatura e l’analisi dei rischi e suggerendo poi valutazioni preventive anche con il supporto dell’AI. In parallelo, è in corso anche lo sviluppo di simulatori per l’addestramento di squadre di pronto intervento in situazioni di emergenza e, nel caso specifico, del corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, all’interno dei sedimi aeroportuali. “Stiamo sviluppando un software per realtà aumentata proprio per l’addestramento: lo abbiamo fatto unendo le nostre competenze nella gestione delle emergenze con l’utilizzo di tecnologie innovative, come, ad esempio, la realtà virtuale. Si tratta di un progetto ambizioso e scalabile su cui puntiamo molto”, conclude l’Amministratore Delegato di Edam.
I fratelli Marco e Paolo rappresentano la seconda generazione dell’impresa familiare di Cardano al Campo, attiva nel settore tessile con la produzione di biancheria per la casa. Un testimone ereditato dalla madre, Maria Alberta Zibetti, ancora oggi presente in azienda con il ruolo di Presidente. Un passaggio nel family business non facile, ma che ha portato ad un migliore dialogo intergenerazionale, ad una crescita a doppia cifra del fatturato e all’apertura di ben 13 punti vendita monomarca, passando dal commercio all’ingrosso a quello al dettaglio
‘‘Rappresentiamo una case history di successo dal punto di vista del passaggio generazionale, ma non perché questo sia stato soft. Anzi. Gli elementi chiave che hanno fatto sì che questa fase decretasse una crescita della nostra azienda sono stati l’accettazione dei ruoli di ciascuno e un duro lavoro sinergico. Non senza forti litigi e divergenze di pensiero”. È così che racconta il passaggio di testimone avvenuto nell’impresa di famiglia, Marco Fazzini, Chief marketing officier di Fazzini Srl: l’azienda fondata dal papà, Stefano, nel 1976 a Cardano al Campo e attiva nella produzione di biancheria per la casa.
Quella di cui parla Marco, a capo dell’impresa, insieme al fratello Paolo,
Chief operating officier e alla madre, Maria Alberta Zibetti, Presidente, è una sfida che li ha visti coinvolti da vicino per creare un nuovo dialogo intergenerazionale. Tra loro, ma anche con i collaboratori. Specialmente con quelli che hanno visto i fratelli Fazzini crescere, letteralmente.
Una sfida, oggi, completamente
vinta, quella dell’azienda cardanese, che è un esempio concreto di quanto si possa fare di necessità virtù. A dimostrarlo è il fatturato, via via raddoppiato proprio in quella fase di passaggio di consegne, tra loro e la mamma Maria Alberta. Ma non solo. L’impegno e il dialogo costruttivo, li hanno portati, oggi, ad avere 13 punti
vendita monomarca sul panorama nazionale, da cui deriva il 40% del fatturato. Una fetta del 15%, invece, è frutto di export, specialmente verso la Svizzera e l’Estremo Oriente, mentre il restante 45% arriva dalla vendita a 600 clienti, nonché negozi plurimarca, sparsi sul territorio italiano.
Numeri, questi, che però nascondono un percorso in salita. “La verità – continua a raccontare Marco Fazzini –, è che il nostro testimone, io e mio fratello, lo abbiamo un po’ strappato dalle mani di nostra madre, da sempre fortemente attiva e attenta ad ogni aspetto dell’impresa. Sì, perché, da quando nostro papà è mancato a soli 46 anni, è dovuta entrare necessariamente nella doppia parte di madre e capo d’azienda. In quegli anni non c’era la cultura del passaggio generazionale. Lei si è formata da sola e allo stesso modo, anche noi, quando siamo entrati operativamente nella nostra realtà imprenditoriale, abbiamo lavorato senza una formazione da organigramma. Fino a che ci siamo resi conto che dovevamo unire le forze con criterio. Il cambiamento poi, vero e proprio, si è verificato intorno al 2005, quando abbiamo scelto di passare dalla distribuzione all’ingrosso a quella al dettaglio”.
Una scelta, questa, non solo commerciale: “Diventare un marchio implica la necessità di fare comunicazione attraverso diversi
canali, da quelli più tradizionali, come il sito internet, ai più moderni social network. Ma non solo. Vuol dire guardare il bilancio e il budget aziendale in maniera diversa. Significa vendere online, anche se, per noi, non è una via particolarmente profittevole. Tutto per far conoscere il nostro marchio e migliorare la nostra brand awareness (la notorietà della marca, ndr) – sottolinea Marco –. È stata una scommessa perché negli anni intorno al 2015, in cui abbiamo iniziato ad aprire i primi punti vendita, l’Italia era piena di marchi di biancheria per la casa. Sembrava una follia, ma su questo, nonostante le generazioni e i caratteri divergenti, c’è stato un intento comune. Inoltre, la cosa interessante è che dal 2015 al 2021, in un settore maturo e fermo come il nostro, abbiamo più che raddoppiato il fatturato. Non era scontato”. Ed è sugli aspetti caratteriali che Marco si sofferma come fattori determinanti nella gestione delle scelte e dei ruoli imprenditoriali: “Crediamo fortemente che la crescita che abbiamo registrato sia avvenuta anche grazie al dialogo, andando oltre le differenze di età e di pensiero. Io sono più strategico, mio fratello Paolo è più pragmatico, mentre nostra madre è più impulsiva e creativa. Inevitabile, quindi, andare allo scontro. Ma nonostante questo, anche in una situazione di caos
organizzativo, dove quando litighi con il tuo socio, stai litigando anche con un tuo familiare, abbiamo avuto il buon senso di trovare la sintesi affinché ognuno potesse dare il meglio di sé. Intorno al 2020, poi, abbiamo chiesto a Servizi Confindustria Varese Srl una consulenza per formalizzare tutto l’organigramma e i processi aziendali”. D’accordo con lui, il fratello, Paolo Fazzini: “Siamo molto diversi, è vero. A partire dal percorso di studi che abbiamo svolto. La mamma ha una laurea in lettere, mio fratello si è laureato in filosofia e successivamente ha fatto un Master in gestione di Pmi, mentre io ho studiato economia aziendale e poi ho fatto un Master in marketing e comunicazione. Quando, però, c’è la volontà di cogliere nell’altro quello che a noi stessi manca, diventiamo vincenti. La nostra sfida, più che sull’innovazione tecnologica, consiste proprio in questo, nel continuare a cercare un dialogo intergenerazionale costruttivo. Ed è qui che la società di servizi di Confindustria Varese ci ha aiutato molto. Una volta chiarito il nostro ruolo, a noi stessi, in primis, è stato più facile interfacciarci anche con tutti i collaboratori. È così che abbiamo fatto ordine, sia a livello operativo, sia nei rapporti con le persone, interne all’azienda, ma non solo”.
Fondamentale, come aggiunge Marco, è stato che “tutti e tre abbiamo accettato che ognuno avesse un cappello diverso. Nostra madre si occupa del campionario, io controllo la parte commerciale e la sfera amministrativa, mentre Paolo segue la comunicazione e la produzione che prima seguiva la mamma. Inoltre, abbiamo incominciato a introdurre una terza persona nelle nostre riunioni. Questo ha cambiato totalmente la qualità degli incontri, ora con meno tensione e più formalità. Ma non solo. Con questa strategia, da un lato, non incappiamo in litigi dai toni accesi e, dall’altro, conduciamo con una serenità maggiore l’intera operatività in azienda ma anche la nostra vita personale”.
Private Equity, Venture Capital, fermento imprenditoriale: siamo proprio sicuri di conoscere tutti i termini che riguardano il mondo dell’open innovation? Ecco la spiegazione di alcuni vocaboli utilizzati nella stesura degli articoli del focus di questo numero, redatta con l’aiuto di ChatGPT
PRIVATE EQUITY: forma di investimento finanziario in cui fondi o società specializzate acquisiscono partecipazioni, spesso di maggioranza, in imprese non quotate in borsa. L’obiettivo è migliorare la performance aziendale attraverso strategie di crescita, ristrutturazione o efficientamento, per poi realizzare un profitto mediante la vendita della partecipazione.
VENTURE CAPITAL: tipo di finanziamento che si concentra su imprese emergenti o startup caratterizzate da alto potenziale di crescita. I fondi di venture capital forniscono capitale in cambio di partecipazioni azionarie, spesso coinvolgendosi anche nella governance e nel supporto strategico dell’azienda.
BUSINESS ANGEL: investitore privato, spesso con esperienza imprenditoriale o manageriale, che fornisce capitale e competenze a startup o imprese nelle prime fasi di sviluppo. I business angel investono prevalentemente in progetti ad alto rischio, con l’obiettivo di contribuire alla loro crescita e di ottenere un ritorno economico nel medio-lungo termine.
OPEN INNOVATION: modello strategico che prevede l’apertura dei processi di
innovazione aziendale a contributi esterni, come startup, istituzioni accademiche, fornitori o partner tecnologici. Questo approccio consente di accelerare lo sviluppo di nuove idee, prodotti o servizi sfruttando competenze e risorse al di fuori dell’organizzazione.
STARTUP INNOVATIVA: società di capitali, o in forma cooperativa, che rispetti i seguenti requisiti: costituita da non più di 5 anni; sede in Italia o in un altro Paese dello Spazio Economico Europeo ma con unità produttiva o filiale in Italia; fatturato annuo inferiore a 5 milioni di euro; non quotata in un mercato regolamentato o in una piattaforma multilaterale di negoziazione; non distributrice e di utili; oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di un prodotto o servizio ad alto valore tecnologico; non risultato di fusione, scissione o cessione di ramo d’azienda.
MILL – MANUFACTURING, INNOVATION, LEARNING, LOGISTICS: acceleratore di imprenditorialità, la “Fabbrica del Sapere e del Saper Fare” che nascerà al fianco dell’Università LIUC di Castellanza e che, come indicato nel Piano Strategico #Varese2050 di
Confindustria Varese, farà, grazie al sapere della LIUC e al saper fare delle aziende dell’associazione datoriale, da cabina di regia di competenze e servizi per talenti, giovani, startup, imprese e cluster. Sarà anche la nuova sede di Confindustria Varese.
FERMENTO IMPRENDITORIALE: dinamismo e vivacità nella creazione di nuove imprese e progetti imprenditoriali, spesso alimentati da innovazione tecnologica, evoluzioni di mercato e politiche di supporto a giovani imprenditori. Viene anche calcolato da un indice redatto ogni anno da IEC – Institute for Entrepreneurship and Competitiveness dell’Università LIUC.
PASSAGGIO GENERAZIONALE: processo di trasferimento della guida e della proprietà di un’azienda da una generazione all’altra, generalmente all’interno di un’impresa familiare. È un momento critico che richiede pianificazione per garantire continuità e successo. Il 12,7% delle imprese varesine, secondo le previsioni, è stata o sarà coinvolta in un passaggio generazionale tra il 2023 e il 2025.
WORLD MANUFACTURING FORUM (WMF): evento internazionale che riunisce esperti, leader aziendali, politici e accademici per discutere le sfide e le opportunità del settore manifatturiero globale. È una piattaforma per promuovere la collaborazione e l’innovazione industriale. Alberto Ribolla, Past President dell’allora Unione degli Industriali della Provincia di Varese (ora Confindustria Varese) e di Confindustria Lombardia, è stato il primo Presidente del WMF.
Il Gruppo BPER affianca e supporta gli imprenditori impegnati nel processo di transizione energetica, sia per quanto riguarda il corretto adempimento alle nuove normative nazionali ed europee, che stabiliscono parametri di azione e rendicontazione ancora più stringenti, sia per consentire di presentarsi al mercato con profili di sostenibilità competitivi.
La nuova piattaforma digitale “Target Net Zero”, erogata dalla società di ingegneria Bluefoundation, specializzata in sostenibilità ed energia, fornisce alle Pmi gli strumenti per calcolare le proprie emissioni e le supporta nella redazione del proprio piano di transizione energetica. Si tratta di un progetto nato dall’attività di Open Innovation del Gruppo BPER, coordinata dall’Ufficio Studi, Ricerche e Innovazione, che ha coinvolto direttamente un campione di clienti che hanno partecipato e guidato le fasi iniziali di sperimentazione.
“Target Net Zero” permette, in dettaglio, di misurare la carbon
footprint della Pmi, ovvero l’impatto sull’ambiente dell’emissione diretta e indiretta di gas effetto serra; definire per l’impresa un obiettivo di riduzione delle emissioni in linea con gli standard internazionali; costruire un piano di azione basato su interventi di miglioramento in ottica di riduzione consumi ed emissioni, identificati da esperti in consulenza energetica, sulla base delle migliori sinergie costi/rendimenti; quantificare in via preventiva gli interventi e investimenti in termini tecnici, economici e di sostenibilità; identificare fornitori in grado di fornire e implementare gli interventi necessari.
Tramite questo nuovo strumento, il Gruppo BPER intende supportare le Pmi nella redazione del proprio piano di decarbonizzazione/transizione energetica e accompagnarle con la consulenza e attraverso finanziamenti green allineabili alla tassonomia europea a supporto degli investimenti necessari. Le soluzioni proposte prendono in considerazione numerosi aspetti, quali il settore di operatività, la dimensione dell’azienda, la localizzazione dei siti produttivi e le fonti energetiche adottate, generando una roadmap di investimenti che individua un percorso semplice, dimostrabile e monitorabile.
“BPER è sempre in prima linea nell’affiancare le aziende nel loro percorso di transizione sostenibile –dichiara Stefano Vittorio Kuhn, Chief Retail & Commercial Bank Officer di BPER –. La recente Direttiva europea ‘Corporate Sustainability Reporting Directive’, recepita dal nostro ordinamento, stabilisce obblighi precisi ai quali le aziende devono attenersi. Per questo per noi è importante essere tempestivi nel fornire il supporto necessario alle imprese per adeguarsi alle normative, ma anche per presentarsi al mercato con profili di sostenibilità adeguati e apprezzati da clienti e controparti”. Marco Gianotti Pret, Chief Operating Officer di Bluefoundation, ha aggiunto: “In Bluefoundation, crediamo che le Pmi possano diventare leader nella sostenibilità, grazie ad una struttura snella e con l’ausilio di strumenti adeguati. Target Net Zero è una testimonianza del nostro impegno nel rendere la decarbonizzazione accessibile e praticabile per tutte le aziende. Fornendo le risorse, le conoscenze e gli strumenti necessari, non solo aiutiamo le Pmi a ridurre la loro impronta di carbonio, ma le mettiamo anche in condizione di prosperare in un’economia ‘a basse emissioni’. Insieme a BPER e alle grandi imprese in contatto con le loro filiere, possiamo portare un cambiamento significativo e costruire un futuro sostenibile”.
Nella foto Stefano Vittorio Kuhn, Chief Retail & Commercial Banking Officer di BPER
È un vero e proprio hub scientifico e tecnologico, quello immerso nel verde a Gerenzano, dedicato al settore biotech. Lo stabilimento, da cui sono nati gli unici due antibiotici, usati ancora oggi, a livello mondiale, per curare le infezioni da sala operatoria, è dal 2006 di Fondazione Istituto Insubrico (FIIRV). Un’eredità di circa 167mila estratti batterici dalla vecchia proprietà Pfizer, 20mila nuovi ceppi conservati a -80 gradi e 3 nuove molecole scoperte in quasi 20 anni di attività. Racconta il mondo attorno ai quei 55mila metri quadrati, tra spazio all’aperto, laboratori e 14 aziende, il Direttore Generale, Andrea Gambini
Oltre 15mila metri quadrati tra aree predisposte a laboratori e uffici, circa 35mila di spazio verde e servizi, come mensa e posti auto, per un totale di 55mila metri quadrati divisi in 3 edifici. Un auditorium, 4 sale per meeting e convegni, 167mila estratti batterici, ereditati dalla vecchia proprietà, 20mila nuovi ceppi conservati a -80 gradi in copie di 20 e 3 nuove molecole brevettate in quasi 20 anni di attività.
Sono i numeri dell’Insubrias BioPark. Un vero e proprio hub scientifico e tecnologico, immerso
nel verde a Gerenzano, praticamente al confine con il Parco degli aironi. Stabilimento dell’azienda farmaceutica statunitense Pfizer, fino a che nel 2006 chiuse e, nello stesso anno, la proprietà venne rilevata dalla FIIRV, la Fondazione Istituto Insubrico di Ricerca per la Vita. Un’acquisizione, questa, su iniziativa dell’allora Presidente della Provincia di Varese, Marco Reguzzoni, insieme a Università degli Studi dell’Insubria di Varese e di Como, Repubblica e Cantone Ticino, Comunità di lavoro Regio Insubrica, Fondazione Cardiocentro Ticino, Comune di Busto Arsizio, Gruppo San Donato e Consorzio Italbiotec.
“Rispetto a prima, quando era solo un centro di ricerca unicamente di nuovi antibiotici, ora è anche un parco scientifico e tecnologico, il primo in Italia, dedicato al biotech, aperto alle aziende del settore –spiega il Direttore Generale di FIIRV, Andrea Gambini –. In questi anni, come Fondazione, siamo riusciti a brevettare 3 nuove molecole: due antibiotici e un enzima. Quest’ultimo, consente ai celiaci di eliminare la tossicità contenuta nel glutine; l’abbiamo venduta ad una società inglese e, per fine 2025, sarà in commercio come primo prodotto al mondo con queste caratteristiche, in grado di risolvere questa intolleranza. Mentre le altre due, sono antibiotici ad ampio spettro su ‘gran positivi’, cioè due farmaci, più attivi di qualsiasi altro antibiotico in commercio, per infezioni comuni. Se tendenzialmente un antibiotico generico, su un pannello di 100 batteri di infezioni, riesce a debellarne 91, questi brevettati da noi, ne distruggono 100 su 100. In verità, ne abbiamo scoperti diversi, ma è molto difficile brevettarli per questioni di parametri di tossicità oppure perché ne esistono già altri simili. A livello mondiale, infatti, negli ultimi 15 anni, non è stato immesso in commercio alcun nuovo antibiotico. Ma nella storia di questo centro, ne sono stati trovati altri due importanti.
Si tratta della Ramoplanina e della Dalbavancina: ancora oggi gli unici, usati in tutto il mondo, per curare le infezioni da sala operatoria. Oltre a questa attività, riceviamo commesse di ricerca anche da parte di aziende. Soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Europa, tra Francia, Spagna e Germania. Recenti le richieste da una multinazionale canadese, ad esempio, o dall’Università di Houston”.
Oltre all’attività portata avanti da una ventina di ricercatori della Fondazione, l’Insubrias BioPark ospita, tra gli spazi di Gerenzano, anche diverse imprese tra case chimico-farmaceutiche, laboratori specifici di aziende ospedaliere, realtà imprenditoriali e startup attive nella robotica o nella ricerca scientifica. Quattordici, al momento, quelle presenti. Sono: Agale Srl; Anemocyte Srl; Bioc CheM Solutions Srl; Chemessentia Srl; IGM Resins Italia Srl; Kialab Srl; Life Science Srls; IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi; Roelmi Hpc Srl; Santis Analytical Italia Srl; Servire Srl; Silysiamont Spa; Valtris Specialty Chemicals Limited; Volta Mowers Srl.
“L’Insubrias BioPark è un centro multifunzionale in grado di accogliere diverse imprese e di offrirgli, tramite la nostra società Servire, tutta una serie di servizi – precisa il Dg Gambini –. Si tratta di una scelta precisa quella che abbiamo preso, perché il parco aveva bisogno, da un lato, di trovare risorse per mantenersi e, dall’altro, di essere a contatto e in sinergia con altre realtà attive nel mondo del biotech”.
L’obiettivo? Promuovere la ricerca e la cultura scientifica; sostenere le aziende e le startup dei settori
chimico, scientifico e tecnologico, offrendogli spazi dotati di laboratori e attrezzatura all’avanguardia; favorire il dialogo tra cultura scientifica e imprenditoriale; promuovere un matching strategico tra il mondo industriale radicato sul territorio, le nuove imprese, le startup, le Università e le Associazioni culturali e scientifiche. È così che il parco scientifico e tecnologico vede lavorare, giornalmente, nei propri stabilimenti, circa 200 persone.
In dotazione, a tutte le realtà che si appoggiano all’Insubrias BioPark, apparecchiature all’avanguardia, come, ad esempio, microscopi ottici, celle freezer di varie tipologie, spettroscopi di risonanza magnetica nucleare, spettrometri di massa e un impianto pilota biotecnologico, fermentativo e chimico, completamente automatizzato.
Come tiene a sottolineare Andrea Gambini, “il valore di questo centro è che offre macchinari di ultima generazione che costano cifre molto elevate fino a 400mila euro, ma che aiutano le diverse aziende a concorrere anche per importanti progetti di ricerca. Le imprese ci scelgono perché hanno bisogno di laboratori già attrezzati, dove poter avere tutti i gas tecnici, l’aria compressa, il vuoto, l’acqua demineralizzata e che il mercato immobiliare non offre. Da noi sanno di trovare tutti i servizi tecnici, logistici, ma anche di promozione, formazione e consulenza necessari. Inoltre, per le startup che fanno richiesta dei nostri spazi, abbiamo previsto il canone gratuito per il primo anno di affitto e al 50% per il secondo anno”.
Silvia Giovannini
Riferimento nel settore dei conglomerati bituminosi. Impegno verso tematiche sostenibili, anche sociali. La produzione di Co-bit di Lonate Pozzolo si rivolge a vari ambiti del settore stradale, da quelli di pertinenza comunale fino alle piste degli aeroporti, anche quella di Malpensa.
Una storia, lunga 50 anni, fatta di innovazione e ricerca
‘‘Viviamo un momento storico stimolante per l’innovazione: da una parte lavoriamo perchè il nostro prodotto sia sempre più performante, dall’altra perchè sia sempre più sostenibile”. Le parole di Amedeo Fontana, Consigliere Delegato di Co-bit di Lonate Pozzolo, si potrebbero associare a molti progetti imprenditoriali contemporanei. Risuonano, però, particolarmente eccezionali se contestualizzate in un settore verso il quale esiste ancora una certa diffidenza, che lo considera altamente impattante. Un preconcetto vero e proprio: nella realtà, è tutto il contrario. La Co-bit Conglomerati Bituminosi Spa nasce nel novembre del 1974, in un’area strategica per la sua attività, sia come snodo logistico sia rispetto alle attività cantieristiche, ma anche alle cave di approvvigionamento,
sulla spinta di un gruppo di imprenditori del settore stradale e produttori di materiali inerti (usati soprattutto in edilizia, come ad esempio i conglomerati cementizi e bituminosi).
L’impresa oggi è un riferimento assoluto nel settore dei conglomerati bituminosi. In pratica, la sua produzione si rivolge a vari ambiti del settore stradale, dalle strade comunali alle piste degli aeroporti. Dai prodotti base a tutta la gamma di prodotti speciali, come drenanti e fonoassorbenti o specifici per ambiti diversi come autodromi, linee ferroviarie e canali, fino ai
prodotti plastici a freddo. Arrivata al mezzo secolo di attività, Co-bit guarda ai risultati raggiunti con una certa soddisfazione, ma con la chiara volontà di voler proseguire sulla strada intrapresa, per restare in tema, nel segno di innovazione e sostenibilità. A confermarlo è lo stesso Fontana.
Perchè questo momento storico per voi è particolarmente importante?
La nostra è sempre stata una ricerca continua, sia in termini di impianti e di produzione all’avanguardia, sia in ricerca di tecnologie sempre più pensate per realizzare pavimentazioni
Stabilimento Co-bit a Lonate Pozzolo
sostenibili. Di recente, lo abbiamo testimoniato anche ad Asphaltica, la fiera di riferimento nel settore stradale che si svolge a Bologna Fiere, un’ottima occasione di stimolo e confronto con la filiera di progettisti, pubblica amministrazione e imprese. Oggi, in particolare, è anche il contesto ad essere sfidante. Proprio ad agosto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto dei Criteri Ambientali Minimi per i lavori di costruzione, manutenzione e adeguamento delle infrastrutture stradali. Come si legge nel testo, si tratta di un grande passo in avanti per il raggiungimento degli obiettivi nazionali in termini di economia circolare e di allineamento agli obiettivi del Green Deal europeo e un riferimento per i progetti del Pnrr. Noi in particolare all’interno di Siteb, l’Associazione delle Strade italiane e bitumi, portiamo avanti la riflessione in un gruppo di lavoro specifico.
Nel vostro ambito come si promuove la sostenibilità?
C’è scarsa conoscenza nell’opinione pubblica di quanto faccia il nostro settore, ritenendolo inquinante. Invece
è uno degli ambiti in cui si fa maggiore ricerca avanzata e in cui, rispetto al passato, il cambio di paradigma è più evidente. In questo campo si realizza concretamente l’economia circolare: si va dal riciclo dei materiali stradali, ma anche provenienti da altri settori, come il siderurgico o dai rifiuti solidi urbani. Per non parlare della continua ricerca del contenimento dei consumi energetici e delle emissioni.
E in termini di performance, questo cosa comporta?
Naturalmente l’obiettivo è quello di tradurre questo nuovo paradigma in elevata efficienza, equiparando il prodotto da economia circolare a quello che deriva da risorse naturali. C’è una grande e continua ricerca che ha un triplice obiettivo: migliori performance, minore impatto e minori costi. Per farlo abbiamo messo in campo alti investimenti. Investighiamo tutti i campi dell’innovazione, compresa l’Intelligenza Artificiale, che certamente entrerà a far parte delle logiche di produzione ma che al momento fa i conti con il fatto che abbiamo una grandissima mole di dati.
Per quanto riguarda la provincia di Varese, il vostro legame è evidente: in una battuta, con i vostri materiali sono fatte le strade su cui ci muoviamo. Persino le piste e le zone di raccordo a Malpensa. Ma metaforicamente sostenete anche altri percorsi che portano alla crescita?
Ci piace contribuire alla crescita del sistema socioeconomico, a partire dai più giovani. Ad esempio, siamo sponsor delle squadre giovanili (da U12 a U18) di UYBA Volley. Nell’ambito delle nostre iniziative di responsabilità sociale, proprio in occasione del nostro cinquantesimo anniversario, abbiamo deciso di sostenere la ricerca sulle malattie rare di Fondazione Telethon. Collaborando con l’amministrazione comunale abbiamo poi favorito l’acquisto di un pulmino per ragazzi e anziani diversamente abili. Vogliamo porci nel territorio come una realtà che può dare una mano: questo senz’altro è il risultato di sensibilità personali e condivise, ma è anche un segno per la nostra filiera di cui vogliamo essere portavoce del cambiamento.
Silvia Giovannini
30 candeline quest’anno per Alfe Consulting di Taino. L’età giusta per guardarsi dentro con una certa maturità, ma anche con una forte propensione al cambiamento. Sempre con un punto di riferimento ben saldo, come racconta Angelo Salbego, Ceo dell’impresa specializzata, da una parte, nell’ingegneria industriale e, dall’altra, nella formazione: il valore delle persone
‘‘Il nostro vero valore sono le persone. Ciò per cui noi non siamo disposti a scendere a patti”. La prima frase che si legge sul sito Internet di Alfe Consulting è una sorta di dichiarazione programmatica che non lascia spazio a equivoci. L’impresa di Taino, fondata nel ‘94 da Angelo Salbego e specializzata, da una parte, nell’ingegneria industriale e, dall’altra, nella formazione alle persone sempre per il settore aerospace, prima ancora di guardare all’innovazione tecnologica, che è il suo campo operativo, guarda alle risorse umane. Lo racconta la sua stessa storia: nata nell’orbita dell’esperienza precedente nel settore aeronautico e nei servizi bancari e parabancari, per idea e affettuoso incoraggiamento della moglie di Angelo, Antonella, e chiamata con le iniziali dei figli Alessandro e Federica,
l’azienda varesina fa proprio del suo essere famiglia e poi comunità, il proprio credo. Un’attenzione che si fa coerente nei servizi alle imprese che si dividono in 3 anime di business.
Quella specializzata in servizi dedicati alla salute, sicurezza e qualità, che passa dalla sicurezza sul lavoro, medicina del lavoro, consulenza ambientale e igiene alimentare. Quella legata alla formazione su svariati temi, come antincendio, primo soccorso o HACCP. E infine quella della ingegneria industriale, che offre diverse soluzioni, dalla ottimizzazione dell’efficienza alla preparazione e sostegno nell’effettuare i percorsi di qualifica e certificazioni richiesti dalle aziende, con un forte focus nel settore aerospaziale. Lo racconta il Ceo, Angelo Salbego.
Quali sono i punti di forza di Alfe?
Quella che ci caratterizza è un’estrema competenza specialistica
per supportare i clienti nelle svariate materie con attenzione all’innovazione e, specialmente, a quella tecnologica e digitale. Ma accanto a quelle competenze tecniche e a quella intelligenza di cui oggi giustamente tanto si parla, e cioè
quella artificiale, ci piace pensare che serva applicare soprattutto quella spirituale. Fondamentale per dare valore al contesto socioeconomico in cui operiamo è dare valore alle persone. Questa stessa attenzione ci dice che è bene guardare al passato e celebrare gli anniversari, come abbiamo fatto quest’anno, ma soprattutto è importante essere protagonisti del proprio futuro. La volontà è che la nostra azienda vada avanti, concentrata sul suo mercato, ma anche sul territorio in cui opera, contribuendo a portare valore al sistema socioeconomico e a quello dei giovani, in primis scolastico e universitario. Anticipando e accogliendo il cambiamento senza inseguirlo.
Il concetto di intelligenza spirituale potrebbe sembrare effimero. In realtà è molto concreto. Partendo da qui, come punto di riferimento, stiamo riuscendo a portare avanti il nostro progetto: questo è testimoniato sia dalle persone che fanno parte dell’azienda sia dai nostri stessi clienti, molti dei quali hanno segnato un
tratto importante della nostra storia, costruendo con noi un legame di fiducia e stima reciproca. Siamo partiti semplicemente da una esperienza nel settore e oggi siamo un team di oltre 35 persone. Operiamo in diversi contesti e con clienti importanti, uno tra tutti Leonardo, in particolare nel Nord Italia, nel distretto aerospaziale lombardo. Abbiamo aperto uffici all’estero e abbiamo in previsione di crescere e investire ancora.
E come si sposa questa crescita con la centralità delle persone nel progetto aziendale?
Cresciamo ma teniamo i piedi per terra, ben concentrati sulle nostre persone. Attenzione: il valore alle persone non è solo etica, ma anche pragmatismo. Quando un consulente opera in casa d’altri, andando fisicamente in azienda, deve, oltre ad essere estremamente competente, rappresentare con coerenza i valori aziendali. La cura della relazione è vitale: un professionista può essere un ottimo tecnico o un ottimo ingegnere, ma deve anche saper comunicare. La nostra vita in fondo è fatta di relazioni.
Proprio per questo periodicamente organizziamo dei momenti di riflessione interni per cercare di confrontarci e di darci gli strumenti per vivere relazioni etiche in ambiti fortemente competitivi.
Sembra molto ambizioso. C’è un segreto?
Il movimento per valorizzare le persone passa per forza da un management illuminato e dalla condivisione di valori. L’Illuminismo, per me, è proprio quel momento storico che ha avuto l’obiettivo di cercare nuove idee per cambiare il mondo. Oggi le persone hanno la necessità di ritrovare capacità di discernimento, di uscire dalla corrente impetuosa in cui siamo tutti e guardarsi dentro. Tutto corre veloce, ogni tanto serve fermarsi e tirare una riga per cercare il proprio equilibrio. Se si parte da qui, è più facile costruire relazioni di qualità. Senza dimenticarci poi che intelligenza spirituale non è solo rispetto di noi stessi e delle persone con cui lavoriamo, ma anche rispetto del creato. E questo è alla base della responsabilità sociale d’impresa.
Chiara Mazzetti
Una storia aziendale lunga oltre 60 anni, fatta di cambiamenti continui, nuovi inizi e tanta ricerca. Promeia Italia Srl, nata nel 1961 come Ivers Lee Italia, in poco tempo ha cambiato totalmente pelle, riuscendo a ritagliarsi uno spazio in una nicchia di mercato, puntando su digitalizzazione dei processi, sostenibilità ambientale e proposte green per clienti del calibro di Amazon e Bayer
Varcando la soglia della palazzina in cui si trovano gli uffici di Promeia Italia Srl, un tempo casa del custode, si entra immediatamente in contatto con i prodotti che l’azienda di Caronno Pertusella realizza e commercializza: sono sparsi un po’ dappertutto, sugli scaffali e nelle nicchie ricavate ovunque. Sono lì in bella mostra e raccontano una storia lunga più di 60 anni. Una sorta di montagna russa che ha portato l’impresa a cambiare pelle più volte, fino ad arrivare alla conformazione attuale. “Promeia attualmente sviluppa e produce dispositivi medici, cosmetici ed integratori alimentari, con soluzioni di packaging innovative e sostenibili ed è leader europeo nello sviluppo e nella produzione di salviette oftalmiche per il trattamento e la cura della zona perioculare”. Ad iniziare il racconto, dal presente, è Stefano Costa, Ceo e proprietario dell’azienda caronnese dal 2021. Eppure, all’inizio della sua storia, la realtà che ora dirige Costa era ben diversa: di proprietà di una multinazionale svizzera, Promeia (dal 1961 al 2016 conosciuta come Ivers Lee Italia) aveva un business orientato al confezionamento di farmaci in polvere. Una specializzazione che, negli anni ‘90, aveva consentito all’impresa una grande espansione, dando lavoro ad un numero di collaboratori che si aggirava intorno ai 200. Col passare del tempo, complice il trasferimento all’estero della produzione farmaceutica, l’azienda aveva dirottato la propria produzione verso il confezionamento conto terzi dei più svariati prodotti in bustina, dalle caramelle alle viti e alle rondelle.
E poi il balzo in direzione delle salviette oftalmiche. “È partito tutto da un’intuizione, ovvero puntare sulla progettazione e sulla produzione di dispositivi medici ad alto valore aggiunto – spiega Stefano Costa –. Abbiamo così trovato una nicchia e
ci siamo, parallelamente, specializzati nella realizzazione di formule per questi prodotti. Il mercato evidentemente c’era: abbiamo iniziato producendo 6 milioni di pezzi solo di salviette per occhi, affiancando poi anche quella di salviette detergenti per le lenti degli occhiali”.
Ad oggi, appena 3 anni dopo il netto cambio di business, le salviette per occhi (dispositivo medico) valgono l’80% della produzione di Promeia (120 milioni prodotte nel 2024) e le salviette detergenti per lenti degli occhiali, dei microscopi e dei telescopi rappresentano il restante 20% (50 milioni di pezzi nel 2024).
“In questi primi anni la struttura organizzativa e industriale dell’azienda è radicalmente cambiata – confessa di nuovo il Ceo –. Nel 2019 quando sono entrato in Promeia come Direttore Generale, c’erano 64 dipendenti di cui 45 in produzione: in due anni, 40 persone sono state accompagnate alla pensione o comunque incentivate all’uscita e ne sono state assunte altre 20. Abbiamo fatto investimenti produttivi importanti, soprattutto in qualità e in ricerca e sviluppo, insieme ad un significativo processo di digitalizzazione dei processi. Ci vuole un sito abilitato e qualificato per fare questo tipo di lavoro, macchine ad alta produttività e il via libera del Ministero della Salute, tutte caratteristiche che abbiamo implementato nel tempo”.
L’impresa di Caronno Pertusella, il cui fatturato per il 30% è destinato all’estero, principalmente in Spagna, Francia, Regno Unito e Germania, tra i suoi clienti vanta nomi come Amazon e Bayer e chiuderà l’anno con un ricavo di 8 milioni di euro, in crescita. “Il nostro obiettivo per il futuro è aumentare la produzione del 50% e continuare a crescere, anche nell’organico: nel 2025 vorremmo mettere a segno almeno 5 nuovi inserimenti”, dice Costa.
Un altro aspetto su cui Promeia sta puntando è una proposta ecologica da fornire ai clienti per quanto
riguarda il packaging dei prodotti, ma anche per i prodotti stessi. “Con il progetto Go Green!, varato nel 2023, siamo in grado di proporre materiali naturali, totalmente plastic free come il cotone oppure il bamboo in sostituzione delle salviettine in poliestere, mantenendo le stesse performance, ovviamente. L’astuccio, il foglietto illustrativo, il folder e perfino la shipping box possono essere realizzati in carta riciclata o proveniente da foreste a gestione responsabile”, precisa Stefano Costa.
Ma per Promeia Italia la sostenibilità non è solo e solamente intesa nella sua accezione ambientale. “Siamo attenti a garantire costantemente ai nostri dipendenti occasioni di crescita e pari opportunità, un luogo di lavoro sicuro e pulito oltre ad un trattamento economico sopra la media di settore. Dal punto di vista ambientale, operiamo con oculatezza anche economica: il nostro impianto fotovoltaico, ad esempio, ci consente di essere totalmente autonomi nelle ore di luce. Siamo arrivati a questo risultato prima di tutto riducendo i consumi: impianti industriali di ultima generazione con consumi energetici contenuti; coibentazione degli ambienti; riscaldamento/ condizionamento e illuminazione legato alla reale presenza fisica di persone in ufficio/reparto; utilizzo esclusivo di luci al led”, conclude il Ceo aziendale.
L’impresa di Caronno
Pertusella, il cui fatturato per il 30% è destinato all’estero, principalmente in Spagna, Francia, Regno Unito e Germania, chiuderà l’anno con un ricavo di 8 milioni di euro, in crescita
Francesca Cisotto
La certificazione riconosciuta a livello internazionale controlla l’assenza all’interno dei prodotti tessili, abbigliamento e non solo, delle sostanze nocive per la salute dei consumatori. Ente certificatore per l’Italia, è Centrocot Spa, il centro di ricerca per il comparto tessile di Busto Arsizio. Pioniere varesine, in possesso dello standard da 30 anni, le imprese del territorio A. Molina & C. ed Eurojersey. Nel Varesotto, in totale, sono 25 le realtà imprenditoriali certificate
Sono la A. Molina & C. Spa di Cairate e la Eurojersey Spa di Caronno Pertusella le pioniere nell’industria tessile varesina nella certificazione Oeko-Tex: lo standard, nato nel 1992 in Germania e oggi riconosciuto a livello internazionale, che controlla la totale assenza, nei prodotti tessili, di sostanze nocive per la pelle del corpo dei consumatori e, in generale, per la loro salute. Una certificazione, Oeko-Tex, che
le due imprese varesine hanno da ben 30 anni. Praticamente da quando lo standard è certificato in Italia da Centrocot Spa: il centro di ricerca, certificazione, formazione e prove di laboratorio per l’industria tessile a Busto Arsizio, che, come precisa il Presidente della Camera di Commercio di Varese, Mauro Vitiello, “si vuole trasformare sempre più in un vero e proprio Malpensa Sustainability Hub, ovvero un centro che possa fare da cerniera tra le nuove economie
che si stanno creando e le aziende che con le loro sole forze non riescono ad affrontare sfide come quelle legate alla sostenibilità e che dunque avrebbero bisogno di spazi dove poter studiare e far crescere le nuove generazioni su questi temi”.
Un anniversario importante, quello delle due aziende, A. Molina & C. ed Eurojersey, che è stato premiato anche recentemente dallo stesso Centrocot, durante l’evento dal titolo “Certificazioni e soluzioni digitali per la Green Transition”, organizzato in collaborazione con Camera di Commercio di Varese a MalpensaFiere, nell’ambito del più ampio progetto del programma internazionale “ZDHC Solutions Roadshow”. Ma A. Molina & C. ed Eurojersey non sono le sole aziende del settore tessile nel Varesotto ad essere state celebrate. A ricevere il premio, in totale, tra quelle neocertificate e quelle con la certificazione da oltre vent’anni, sono state 25.
Un premio all’impegno costante di cui le imprese vanno fiere, non tanto per la capacità che ne consegue di essere competitive sul mercato in termini di sostenibilità, quanto per “il fatto che lavorando in uno specifico comparto di tessuti, destinati ad essere a contatto con la pelle dei consumatori, garantire l’assenza di sostanze che, a livello tossicologico, possono essere dannose, sia alle proprie persone in azienda, sia al cliente finale, è una condicio sine qua non (letteralmente,
condizione senza la quale non si può verificare un evento, ndr)”.
È così che spiega il valore di OekoTex, Andrea Crespi, Amministratore Delegato di Eurojersey: l’azienda attiva a livello internazionale nel settore dei tessuti tecnici indemagliabili per diversi comparti, dallo sport all’abbigliamento fino all’intimo. Un po’ come a dire che “avere la certificazione non deve più essere considerato un valore aggiunto”. E continua: “Qualsiasi realtà imprenditoriale che lavora con etica sul territorio europeo, deve essere coerente con i requisiti Oeko-Tex. È una questione prima di tutto etica. Il
certificato impone regole stringenti per cui, da un lato, come imprenditore hai necessariamente un investimento da fare, ma, dall’altro, allo stesso tempo, sai che chiunque comprerà quel tessuto non avrà problemi. Inoltre, per noi, trattando prodotti destinati a svariati campi di applicazione è, a maggior ragione, necessario e doveroso essere rispettosi, non solo dell’ambiente, ma anche di ciò che offriamo all’utente finale per vestirsi”.
D’accordo con lui, Agostino Molina, Presidente della A. Molina & C., l’azienda cairatese attiva nella preparazione, nella lavorazione e nel
Agostino Molina: “Oltre ad essere una garanzia sul prodotto, lo è anche sul processo perché, quando viene fatto l’audit, si controlla che tutto venga svolto secondo le normative.
Qualcuno la definisce una vera e propria sfida ed effettivamente lo è”
commercio all’ingrosso di materiale da imbottitura, piume e fibre tessili: “Oeko-Tex non rappresenta solo il rispetto della salute umana, ma anche dell’ambiente. La abbiamo da 30 anni e questo dimostra come già allora si parlasse di politiche green e di sostenibilità. Non solo ambientale, ma anche economica e sociale. Nel 1994 siamo entrati in questo ambito perché non avevamo alcuna certificazione che desse al consumatore la sicurezza che nei nostri processi e all’interno dei nostri prodotti, non ci fossero sostanze nocive legate alle allergie. Fenomeno tipico della lana e della piuma. È qui, nel risolvere questo problema, che la certificazione ci ha aiutato molto. Oltre ad essere una garanzia sul prodotto, lo è anche sul processo perché, quando viene fatto l’audit, viene controllato che tutto venga svolto secondo le normative. Qualcuno la definisce una vera e propria sfida ed effettivamente lo è. Seguire i vari passi necessari all’ottenimento della certificazione ha dei costi, ma per noi essere certificati è una grande opportunità. Senza dimenticare che sulla sostenibilità c’è molto interesse anche da parte degli stessi consumatori”.
A confermare il fermento intorno al tema è Giuseppe Tronconi, Presidente del Gruppo merceologico Tessile e Abbigliamento di Confindustria Varese: “Nel 2015 oltre la metà
dei nostri connazionali bollava la sostenibilità come una moda passeggera. Oggi, per il 68% della popolazione italiana, è ormai un tema noto e sentito. Non è più tempo di comprare un capo d’abbigliamento guardando solo il cartellino del prezzo, la foggia e la taglia. Chi fa shopping sostenibile vuole conoscere anche l’impatto ambientale e sociale di ciò che indosserà. Informazioni, però, che le etichette obbligatorie per legge, di composizione e manutenzione, non forniscono. È qui che entrano in gioco le certificazioni volontarie”.
Certificazioni che, però, come tiene a sottolineare l’Ad di Eurojersey, Andrea Crespi, “consistono in un insieme di regole che a volte, chi importa capi di abbigliamento dall’altra parte del mondo, non rispetta. Il tessile italiano si può dire sia la Ferrari del settore a livello europeo. Lavoriamo con regole di ingaggio molto stringenti, siamo orgogliosi di questo, ma dovrebbero essere rispettate da tutti. Non solo da chi produce in Europa, ma anche da chi importa il prodotto finito da altri Paesi in cui non ci sono le stesse normative”. Come aggiunge Grazia Cerini, Direttore di Centrocot, “le aziende, a monte della filiera, in possesso della Oeko-Tex, lavorano per garantire agli altri, a valle, di
mettere sul mercato dei prodotti privi di sostanze nocive. Oggi le aziende certificate Oeko-Tex a livello globale sono 35mila. Un numero elevato, perché si tratta di una certificazione che si applica alle materie prime, ai filati, ai tessuti, ma anche ai processi di tintoria e finissaggio, ai prodotti finiti e agli accessori. Trent’anni fa Oeko-Tex testava 100 sostanze nocive, da qui la declinazione ‘Oeko-Tex Standard 100’. Poi, col tempo, per coprire tutte le normative internazionali, ha allargato
il ventaglio di sostanze controllate a 400. Ecco perché vogliamo lavorare insieme alle aziende, affinché dimostrare la capacità di ciò che sono in grado di fare, diventi sempre più semplice”.
“Vogliamo e dobbiamo fare sistema. Insieme. Essere virtuosi nei confronti dell’ambiente deve diventare la cifra distintiva di tutto il nostro settore. Non solo delle singole aziende”, aggiunge il Presidente di Centrocot, Mario Montonati.
“Le certificazioni sono uno degli strumenti più efficaci per le aziende per evitare il greenwashing e per continuare a innovarsi. Rappresentano un sistema di misurazione obiettivo che porta a dei miglioramenti nel lungo periodo. Trasparenza e sostenibilità sono parole vuote se non sono accompagnate da azioni concrete e niente è più evidente e tangibile di un’etichetta e di una certificazione. Sono le
basi per una moda ecosostenibile, circolare, etica e cruelty free. L’auspicio per noi imprenditori, che crediamo fortemente in questi valori, è che il settore tessile possa sempre più farsi portavoce di un’economia green e sostenibile. È per questo che scegliamo di certificare i nostri prodotti con Centrocot”. Così Giuseppe Tronconi, Presidente del Gruppo merceologico Tessile e Abbigliamento di Confindustria
Varese, alla premiazione nel Centro Tessile Cotoniero di Busto Arsizio, delle imprese certificate Oeko-Tex. Oltre 200 le aziende italiane premiate, di cui il 70% provenienti dalla Lombardia. Sono 25 quelle con sede nel Varesotto. Questi i nomi di tutte le premiate varesine: A. Molina & C. Spa; Azienda Foderami Dragoni Spa; Besani Srl; Brugnoli Giovanni Spa e BL Color Srl; Eurojersey Spa;
Eusebio Srl; G. Tosi Spa Tintoria; GommaGomma Srl; Grassi Spa; Junior Srl - Arte Ricami by Adele Zibetti; Maglificio Formenti Snc; Mario Cucchetti Tessuti Srl; Mascioni Spa; Nastrificio di Cassano Spa; Orsa Foam Spa; Ricamificio di Fagnano Srl; Stamperia Olonia Srl; Tessitura Marco Pastorelli Spa; Tiba Tricot Srl; TMR Cederna Fodere Srl; Vago Spa; Valcuvia Srl; Veropiz Srl; Wegal & Tricotel Spa.
Paola Provenzano
Iperconnessione, accesso alla tecnologia e sviluppo delle capacità cognitive in giovane età: come influisce sulla mente umana l’abbondanza o la carenza di stimoli digitali? Dispositivi e connessione continua sono sempre e per forza un male? Queste le tematiche al centro di un ciclo di incontri aperti alla comunità, organizzati dall’Istituto
Comprensivo Ungaretti di Sesto Calende in collaborazione con il Comune e le associazioni genitori del territorio. Ecco alcuni consigli
Bambini che, fin dai primi anni di vita, scorrono il dito su ogni schermo alla ricerca di immagini e contenuti, adolescenti iperconnessi per i quali lo smartphone diventa un’estensione naturale della mano e un mondo digitale da cui anche gli adulti trovano difficile staccarsi, soprattutto dopo che la pandemia ha ridefinito le modalità di utilizzo della tecnologia. Per la mente umana, responsabile delle funzioni comportamentali, dell’apprendimento e della socialità, l’abbondanza o la carenza di stimoli digitali ha un peso significativo. Ma possiamo davvero considerare dispositivi e connessione continua come un male assoluto?
L’iniziativa: un territorio che si interroga
Interrogarsi, ascoltare, porsi delle domande: solo così dall’insicurezza si passa alla consapevolezza e si possono supportare bambini e ragazzi nella crescita. Ed è proprio per contribuire a questo approccio che è stata proposta un’iniziativa dall’Istituto Comprensivo Ungaretti di Sesto Calende in collaborazione con il Comune e le associazioni genitori del territorio. Stiamo parlando di una comunità scolastica che comprende 5 scuole dell’infanzia, 5 primarie e due secondarie e che va dai 3 anni di età all’inizio dell’adolescenza nei 3 comuni di Sesto, Mercallo e Golasecca.
“Abbiamo pensato a 4 incontri gratuiti – spiega Emanuela Melone, dirigente scolastico dell’Istituto
Comprensivo – che sono stati aperti a tutta la comunità, per farci raccontare come aiutare ragazzi e ragazze nella loro crescita in rapporto all’uso delle tecnologie e non solo. Il mondo scientifico ci dice che il nostro cervello è una macchina perfetta se ben stimolata, si modifica sulla base degli stimoli che riceviamo, sulla base delle cose che facciamo che possono influenzarne lo sviluppo in modo positivo e negativo. Gli studi scientifici recenti ci dicono che il cervello dei bambini e degli
adolescenti di oggi è molto diverso da quello di qualche anno fa, questo proprio perché da un lato ricevono molti più stimoli, dall’altro a volte questi stimoli non sempre sono adeguati”.
Capacità di apprendimento, emozioni e sonno
“Negli ultimi anni – spiegano Laura Scala ed Elisa Morrone, Presidente e Vicepresidente del Consiglio di Istituto – l’utilizzo dei device è aumentato a dismisura, diventando strumento di socialità, di studio, persino di attività fisica in alcuni casi, ma rendendo i nostri ragazzi più fragili nella vita reale, con meno capacità di fronteggiare lo stress e meno capacità empatiche”. Eppure, non sono il male assoluto, possono, anzi, diventare uno strumento utile anche per i ragazzi. Da ottobre (mese della salute mentale) fino a gennaio esperti in settori specifici, hanno messo e metteranno a disposizione il loro tempo e la loro professionalità per aiutare genitori, nonni, zii ed insegnanti a comprendere come supportare al meglio la crescita dei bambini.
“Device e iperconnessione cambiano la capacità di apprendimento di bambini e ragazzi in crescita – spiega in particolare Elisa Morrone, che oltre ad essere tra le promotrici dell’iniziativa è anche mamma e Psicoterapeuta – ne modellano emozioni e apprendimento con stimoli che possono avere una ripercussione negativa sullo sviluppo cognitivo e anche sul ritmo del sonno”. Ma come spesso accade il problema non è negli strumenti in sé, bensì nell’utilizzo che se ne fa.
“Aspetti negativi e positivi nonché regole nell’utilizzo – spiega ancora Elisa Morrone – vanno di pari
passo e cambiano con il cambiare dell’età. Ad esempio, i bambini sotto i 3 anni esposti a televisione, smartphone o tablet mostrano disturbi comportamentali e dell’apprendimento con conseguente frustrazione, rifiuto dei limiti e ritardo del linguaggio. Per questo, sotto questa soglia, l’uso dei device è decisamente sconsigliato”.
Con i ragazzi più grandi, fase preadolescenziale e adolescenziale, le difficoltà maggiori si manifestano nell’acquisizione del controllo degli impulsi, rivelano una più grande fatica nel controllo delle emozioni, con prevalenza di ansia, rabbia, frustrazione.
Per questi motivi, una completa libertà di connessione non è mai positiva anche in questa fase di crescita di ragazzi e ragazze. “Meglio dettare dei tempi – dice sempre Morrone, come riferiscono anche gli esperti –, non far utilizzare ai minori i dispositivi dei genitori, che hanno delle profilazioni da adulti e quindi mostrano contenuti non adeguati all’età. È sconsigliato anche l’utilizzo dopo cena, prima di dormire: la stimolazione data dallo schermo non favorisce, infatti, un buon riposo”. Il sonno è fondamentale per lo sviluppo psicofisico, soprattutto per bambini e ragazzi, dal momento che interagisce sul funzionamento emotivo, ma anche sull’apprendimento.
“Il nostro cervello – conclude Morrone – si sviluppa in base a ciò che facciamo e agli stimoli che riceve: un uso eccessivo della tecnologia, soprattutto alla sera, implica cattiva qualità di sonno, scarsa possibilità per il cervello di mettere in atto meccanismi di pulizie e di giorno peggioramento delle prestazioni fisiche, comportamentali, cognitive”.
Alessia Lazzarin
Valorizzazione del turismo. Promozione di una mobilità sostenibile.
Implementazione di tecnologie abilitanti. Propensione verso il comparto industriale. Questi i pilastri di un Masterplan pensato per far risorgere dalle macerie la cittadina ucraina fortemente danneggiata dal conflitto, tuttora in corso. Una progettualità che ha visto protagonisti l’Università di Castellanza, Unece e One Works Foundation. Intervista a Michele Lertora, ricercatore dell’ateneo
L’Università LIUC di Castellanza ha contributo alla redazione di un Masterplan per la ricostruzione della città di Mykolaiv, nona metropoli dell’Ucraina per numero di abitanti che, prima del conflitto russoucraino tuttora in corso, contava 400mila cittadini. Oggi Mykolaiv risulta fortemente danneggiata dai combattimenti, trovandosi in prossimità della linea del fronte. L’iniziativa, soprannominata #UN4UkrainianCities, è stata promossa da Unece, la Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite e dalla Fondazione One Works, realtà che mira a trasformare gli ambienti urbani in spazi sostenibili, inclusivi e ricchi di storia culturale,
coinvolgendo anche l’ateneo e altri soggetti.
“Siamo molto contenti di aver preso parte a questa iniziativa per sostenere la rapida ripresa e la ricostruzione del Paese – afferma Michele Lertora, Coordinatore
ExSUF e ricercatore di LIUC –. Si è trattato di un lavoro corale di studio approfondito, basato su vari fronti come quello dell’urbanistica, dell’architettura e dell’ingegneria. Una progettualità che vuole essere volano per stimolare la crescita economica di
tutto il territorio”.
Creare linee guida strategiche per la rinascita di Mykolaiv e promuovere lo sviluppo di una città del futuro, che sia sostenibile e inclusiva per tutti i suoi abitanti: è con questo spirito che è stato realizzato il Masterplan.
Valorizzazione del turismo, con la costruzione di infrastrutture e alloggi accessibili. Promozione di una mobilità sostenibile, attraverso importanti investimenti nelle infrastrutture. Implementazione di
tecnologie abilitanti per una comunità moderna e innovativa. Propensione verso una politica industriale più competitiva. Coinvolgimento attivo della popolazione locale e definizione di una governance strutturata. Sono questi i 6 principali pilastri su cui la cittadina ucraina dovrà lavorare per risorgere nuovamente.
“Il nostro ruolo come Università è stato quello di analizzare il tessuto socioeconomico della città nel periodo precedente lo scoppio della guerra – informa il Coordinatore Lertora –. A partire da questa analisi, abbiamo poi individuato best practices e pilot projects per la futura ricostruzione, coerenti con le peculiarità industriali e sociali dell’area e finalizzate a potenziare le capacità degli abitanti”. È stata scattata
una fotografia dello stato di salute della cittadina, analizzando sia le problematiche generate dal conflitto sia quelle pregresse, altrettanto necessarie al fine di definire una nuova direzione di sviluppo che permetta a questa metropoli di rifiorire, con nuovi tratti identitari. Mykolaiv sarà una città nuova. Pronta ad accogliere calorosamente i suoi abitanti. Sarà una città moderna, inclusiva e sostenibile. Una città industrializzata. Una metropoli in cui le infrastrutture giocheranno un ruolo fondamentale: “Dovranno essere progettate per essere resilienti, capaci, quindi, di poter resistere a futuri disastri – incalza Michele Lertora –. Anche legati a calamità naturali”. Nuovi stimoli dovranno interessare l’economia locale,
puntando, soprattutto, sul valore delle imprese manifatturiere e sulla manodopera. “Serviranno politiche a favore delle industrie per costruire una nuova competitività e nuove opportunità di lavoro, perchè solo in questo modo si potrà rendere la zona attrattiva e spingere le persone, che sono state costrette a trasferirsi in seguito allo scoppio del conflitto armato, a ritornare”, specifica ancora il ricercatore della LIUC. Mettere a sistema una progettazione urbana innovativa per creare spazi comuni che siano vivibili, funzionali e anche gradevoli esteticamente: questo l’obiettivo. “Rispettando e integrando il patrimonio culturale e l’identità di questa comunità”.
Transizione ecologica è un’altra parola d’ordine per la ricostruzione di Mykolaiv, come sottolinea il ricercatore dell’ateneo castellanzese: “Penso, per esempio, alla necessità di reinventarsi come hub specializzato nelle energie rinnovabili e di definire politiche per facilitare questo processo”. Il lavoro che ha portato alla realizzazione del Masterplan, inoltre, si è concentrato sul suggerire best practices per accelerare la transizione verso la green e blue economy e la realizzazione di zone industriali con condizioni fiscali e burocratiche agevolate.
E infine, ma non per importanza, grande valore dovrà essere dato al turismo: uno dei principali driver di sviluppo di cui ha bisogno la cittadina ucraina per tornare a splendere. Un volano per la crescita economica. “Serviranno strategie per attrarre più visitatori dall’estero”, conclude il ricercatore LIUC. Bisognerà, però, tenere in equilibrio tanti tasselli di un puzzle complesso. Da un lato, la comunità dovrà trarne vantaggi, preservando il suo patrimonio culturale e naturale. Dall’altro, evitare che effetti negativi come l’overtourism, il degrado ambientale o il comportamento irresponsabile dei turisti possa ledere la crescita e lo sviluppo di Mykolaiv.
Francesca Cisotto
La multinazionale di Uboldo, attiva nel settore degli scambiatori di calore ad aria, a partire dal nuovo anno, fornirà alla prima centrale nucleare di nuova generazione del Regno Unito, dei sistemi di raffreddamento. Il progetto garantirà all’UK il 7% dell’energia elettrica da fonti pulite. Le parole del Ceo del Gruppo, Matteo Liberali, ma anche la posizione di Confindustria sullo sfruttamento dell’atomo, tema sempre più caldo nell’agenda politica e che tiene banco anche tra le Big Tech come Google, Amazon e Microsoft
LU-VE Group, la multinazionale con headquarter a Uboldo, tra i primi operatori mondiali nel settore degli scambiatori di calore ad aria e quotata sul segmento Euronext STAR di Borsa Italiana, entra nel mercato nucleare. Più precisamente, l’azienda ha siglato, attraverso la controllata friulana Refrion, un accordo per la fornitura dei sistemi di raffreddamento dei generatori diesel di emergenza dell’isola nucleare di Hinkley Point C nella contea di Somerset: la prima
centrale nucleare di nuova generazione del Regno Unito. Oltre 27 milioni di euro: questo il valore della commessa sottoscritta con la Nuclear New Build Generation Company (NNB), attraverso il Contractor inglese Bouygues Energies & Services. Un progetto ingegneristico la cui fornitura dei primi lotti da parte di LU-VE inizierà nel 2025 e che, una
volta completato, secondo le stime, nel 2031, fornirà il 7% del consumo di elettricità del Regno Unito.
La centrale nucleare di Hinkley Point C, costruita da EDF Energy, divisione britannica della multinazionale francese dell’elettricità EDF SA, è uno dei più grandi progetti realizzati finora in Europa in grado di generare 3.260 megawatt di elettricità. Numeri che rientrano anche nell’obiettivo della Gran Bretagna di ottenere energia elettrica a zero emissioni di carbonio per circa 6 milioni di case, con un risparmio di 9 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno.
Ecco perché, come sottolineano dall’impresa, “si tratta di una collaborazione fortemente strategica per il Gruppo di Uboldo e per i suoi piani di sviluppo, che consente di ampliare le competenze tecniche e l’offerta di soluzioni ad alto potenziale tecnologico in un settore strategico per raggiungere l’obiettivo Net Zero e proteggere l’ambiente dalla minaccia del cambiamento climatico”.
In pratica, i sistemi ad alta tecnologia di LU-VE, progettati per resistere a onde d’urto causate da esplosioni e terremoti, consentiranno
Rendering sistemi di raffreddamento LU-VE
di raffreddare quei generatori diesel di emergenza (i cosiddetti EDG), situati all’interno dell’isola nucleare della centrale, che vengono attivati quando la centrale è disconnessa dalla rete, garantendo così l’alimentazione di componenti critici come il sistema di raffreddamento del reattore, necessario per assicurare un arresto controllato dello stesso in caso di emergenza. Il progetto prevede, dunque, la realizzazione di Air Cooler (sistemi di raffreddamento), con batterie interamente in rame, una struttura in acciaio ad alta resistenza, motori e ventilatori sviluppati in co-design con player internazionali dell’industria nucleare.
Ma non solo. I componenti sono stati studiati per durare almeno 60 anni, un intero ciclo di vita di una centrale. Questo perché uno degli obiettivi di LU-VE, anche in progetti per altri settori, è quello di integrare i
principi e gli standard di sostenibilità, volti alla riduzione dell’impatto ambientale, in tutte le fasi del processo produttivo, dalla progettazione all’ingegnerizzazione dei propri prodotti.
“Siamo orgogliosi di essere stati scelti per lavorare su un progetto di questa portata e complessità –tiene a sottolineare Matteo Liberali, Presidente e Ceo di LU-VE Group –. La commessa di Hinkley Point testimonia l’alta competenza e la capacità innovativa di LU-VE, ma soprattutto conferma il nostro posizionamento competitivo sul mercato. Un risultato raggiunto grazie alla strategia di diversificazione di applicazione dei prodotti che, insieme alla differenziazione geografica, rappresenta uno dei punti di forza del nostro Gruppo. L’ingresso nel settore del nucleare, avvenuto grazie alla nostra controllata Refrion, è
un tassello importante del nostro percorso di crescita, che prospetta nuove opportunità, anche alla luce del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima inviato dal governo italiano a Bruxelles, con l’obiettivo di raggiungere le zero emissioni entro il 2050. Il ringraziamento va a tutto lo ‘special team’ per il grande lavoro svolto con dedizione, passione e una grande competenza tecnica”.
Tema, quello dell’energia nucleare, sempre più caldo, riportato al centro dell’agenda politica del nostro Paese dallo stesso Sistema Confindustriale. Forte e senza mezzi termini il passaggio dedicato a questo argomento dal Presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, durante la sua prima relazione all’Assemblea di Viale dell’Astronomia: “Se l’Europa deve cambiare marcia, anche l’Italia è chiamata a nuove scelte coraggiose. Per cominciare, il ritorno al nucleare è strategico. L’indipendenza energetica è questione di sicurezza nazionale. Allora perché tutti insieme non appoggiamo il nucleare di ultima generazione, invece di continuare a rifornirci a prezzi crescenti dalle vecchie centrali nucleari francesi?” Il monito del Presidente Orsini si basa sulla necessità di un mercato unico dell’energia: “Non possiamo perdere altro tempo. E sappiamo bene che è arrivato il momento, insieme alle categorie economiche e sindacali, di spiegare all’opinione pubblica la svolta e illustrare come i piccoli reattori modulari siano molto più sicuri e meno invasivi sui territori rispetto alle grandi centrali di vecchia generazione. Non è possibile continuare a pagare l’energia fino al 40% in più della media europea. E solo l’utilizzo di energia proveniente da fonti rinnovabili non può soddisfare il nostro fabbisogno energetico”.
Ma a guardare all’atomo come nuova frontiera per rispondere al fabbisogno energetico, sono anche le Big Tech americane, cioè quelle grandi aziende che dominano il settore della tecnologia, dell’informatica e
dell’AI. Un tema, dunque, che tiene banco anche a livello internazionale. L’obiettivo delle Big Tech è quello di alimentare con una fonte pulita i propri data center, ovvero gli hub dove concentrano i vari server dedicati alla propria offerta di Intelligenza Artificiale.
Un esempio è il piccolo reattore modulare costruito da Kairos Power per Google, che dovrebbe entrare in funzione nel 2030. Ma anche Amazon che ha acquistato direttamente un data center già alimentato a energia nucleare e firmato accordi per costruire gli Smr, ovvero gli Small Nuclear Reactor. Si tratta di impianti atomici di dimensioni e potenza ridotte rispetto alle centrali tradizionali che sfruttano tecnologie a fissione, cioè, producendo energia dalla rottura di nuclei di atomi, per sfornare dai 10 ai 300 megawatt di energia. E mentre i colossi Google e Amazon sono interessati a sperimentare i reattori di piccole
Costruzione in corso a Hinkley Point
dimensioni, c’è chi pensa ancora più in grande progettando di riaprire vecchie centrali. È il caso di Microsoft che ha chiesto alla società energetica
Constellation Energy di rimettere in funzione un’unità dell’impianto della storica centrale Three Mile Island, in Pennsylvania.
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Luigi Bignami
Sistemi di sicurezza in grado di disattivare i reattori in caso di emergenza. Riduzione nella quantità di scorie radioattive prodotte, con la possibilità, in alcuni casi, di poterle riutilizzare come combustibile.
Maggiore quantità di energia generata con minor fabbisogno di materiali fissili. Ecco cosa si intende quando si parla, oggi, di centrali a fissione. Breve lezione sulle evoluzioni di sfruttamento dell’atomo che passano anche dai cosiddetti Small Modular Reactors. Tra pro e contro.
E qualche dato ancora da approfondire
All’inizio del 2023, in occasione di un Consiglio dei ministri dell’Energia a Bruxelles, i ministri e i rappresentanti di alto livello di 13 Stati membri (l’Italia era presente in qualità di “osservatore”) hanno riaffermato la loro volontà di rafforzare la cooperazione europea nel campo dell’energia nucleare ed ora, in Italia, il governo in carica ne parla con sempre maggiore interesse. Lo sguardo è diretto verso due possibili strade da percorrere che possono anche fondersi tra loro: quella delle centrali nucleari di “quarta generazione” e quella degli SMR (Small Modular Reactors - Piccoli Reattori Nucleari).
Ma di cosa si tratta esattamente?
Premesso che si tratta in tutti i casi di “centrali a fissione”, ossia centrali dove particolari atomi con elevato numero di protoni (di solito uranio) vengono bombardati da particelle che ne provocano la “fissione”, ovvero la rottura durante la quale fuoriescono particelle ed energia, le centrali nucleari di quarta generazione sono progettate per essere più sicure, efficienti e sostenibili rispetto alle tecnologie nucleari attuali.
Il termine “quarta generazione” si riferisce ad una nuova serie di tecnologie nucleari sviluppate dopo i reattori di prima, seconda e terza generazione e mirano a superare i limiti delle tecnologie precedenti, introducendo importanti miglioramenti in termini di sicurezza, efficienza e sostenibilità. Uno degli elementi più importanti è il fatto che utilizzano sistemi “passivi di sicurezza”, ossia sistemi in grado di intervenire autonomamente senza l’intervento umano o l’uso di energia esterna per disattivare il reattore in caso di emergenza. Questo dovrebbe ridurre il rischio di incidenti catastrofici come quelli di Chernobyl e Fukushima.
Altri elementi che fanno da richiamo sono una riduzione della quantità di scorie radioattive prodotte e, in alcuni casi, la possibilità di riutilizzare le scorie dei reattori attuali come combustibile, diminuendo così sia il volume sia la radioattività a lungo termine dei rifiuti nucleari. Questi reattori poi sono progettati per utilizzare il combustibile nucleare in modo molto più efficiente, estraendo una maggiore quantità di energia e riducendo il bisogno di nuovi materiali fissili.
Alcuni modelli mirano ad utilizzare uranio “impoverito” (ossia con concentrazione di Uranio-235 inferiore a quella utilizzata nelle attuali centrali) e torio, risorse più abbondanti e meno costose. Ad oggi sono allo studio vari tipi di reattori di quarta generazione, come ad esempio i reattori veloci raffreddati a sodio
(SFR) (utilizzano il sodio liquido come fluido di raffreddamento e sono capaci di utilizzare come combustibile le scorie nucleari dei reattori convenzionali); i reattori a gas ad alta temperatura (HTGR) (sono in grado di generare sia elettricità sia calore per scopi industriali): utilizzano un gas, solitamente elio, come fluido di raffreddamento; i reattori a metalli liquidi (LMR) (sfruttano metalli liquidi come piombo o bismuto come raffreddanti. Offrono un alto livello di sicurezza) e altri tipi. Ma l’altra faccia della medaglia di questi reattori vede enormi investimenti iniziali in ricerca, progettazione e infrastrutture, oltre a tempi di costruzione lunghi. Inoltre, anche se i reattori di quarta generazione promettono di ridurre le scorie, rimane il fatto che le producono e, quindi, vi è la necessità di un’adeguata regolamentazione e gestione a lungo termine dei rifiuti prodotti. Non ultimo vi è sempre il fatto che possono comunque incorrere in incedenti non prevedibili.
Ad oggi vi è una sola centrale nucleare di quarta generazione attiva, è la centrale di Shidaowan, nella provincia settentrionale cinese di Shandong. È un impianto di tipo HTGCR, da 200 megawatt (MW) e dunque rientra anche nel tipo degli Small Modular Reactors.
Il governo italiano si è più volte espresso proprio a favore di questi ultimi. Gli SMR hanno una potenza di molto inferiore rispetto ai reattori tradizionali, solitamente non superano i 300 MW, mentre le centrali nucleari classiche superano di gran lunga i 1.500 MW o più, ma sono dotati di maggiore flessibilità e sicurezza. Gli SMR sono progettati per essere costruiti in una fabbrica e assemblati in moduli nel sito di installazione, il che consente una maggiore flessibilità nella progettazione e nella gestione della capacità energetica. I singoli moduli, poi, possono essere utilizzati singolarmente o in combinazione, offrendo la possibilità di espandere
l’impianto gradualmente in base alle esigenze. Sono progettati con sistemi di sicurezza passivi, cioè sistemi che non richiedono interventi attivi per prevenire incidenti, come le centrali di quarta generazione. Grazie alle dimensioni più contenute, gli SMR possono essere installati in siti dove i reattori convenzionali sarebbero impraticabili. Questo li rende particolarmente adatti per Paesi o regioni con infrastrutture limitate o per usi specifici come l’alimentazione di basi militari, miniere e comunità isolate. Un altro fattore di richiamo sarebbe la riduzione dei costi e meno tempo per essere costruiti, riducendo così i rischi finanziari associati ai grandi progetti nucleari tradizionali. Essendo più piccoli rispetto alle grandi centrali, gli SMR richiedono meno spazio e possono essere installati vicino ai centri di consumo, minimizzando l’impatto territoriale e ambientale. Ma ci sono anche altri aspetti da tenere in considerazione, a partire dagli alti costi iniziali di ricerca e sviluppo: il design e la certificazione dei nuovi reattori SMR richiedono ingenti investimenti iniziali.
Inoltre, bisogna fare i conti con l’economia di scala: anche se i costi di costruzione sono inferiori rispetto ai reattori tradizionali, la ridotta capacità produttiva degli SMR potrebbe comportare costi più elevati per unità di energia prodotta, almeno fino a che la tecnologia non sarà diffusa su larga scala. E sono proprio questi aspetti che hanno fatto sì, ad esempio, che a novembre dello scorso anno la NuScale Power, che sarebbe stata la prima azienda statunitense ad ottenere la licenza per una SMR, ha interrotto un proprio progetto da 462 MW da costruirsi nello Utah a causa del basso numero di sottoscrizioni, una volta scontratasi con i costi di produzione. E ad oggi, a fronte di alcune licenze e progetti, vi sono solo 2 SMR in attività (uno in Cina e uno galleggiante in Russia) e altri 5 in costruzione.
TERRITORIO
Come nasce
un panettone
GITA A... I mercatini di Natale varesini
ARTE La mostra dei presepi al Chiostro di Voltorre
Chiara Mazzetti
Foto di Lisa Aramini Frei
A pochi giorni dalle festività natalizie, il viaggio di Varesefocus nella manifattura varesina fa tappa all’Academy gallaratese di IRCA Group , azienda specializzata nella produzione di cioccolato e semilavorati per panificazione e pasticceria. Al centro del reportage la preparazione di uno dei dolci nostrani più iconici, presente sulle tavole di Natale di tutti gli italiani e non solo
Tutto parte da un prodotto, il Dolce Forno Maestro, un mix di 3 ingredienti: farina, lievito madre disidratato e zuccheri. Partendo da questa base, si prepara un impasto con acqua, burro, lievito di birra e lo si lascia lievitare a 18-20 gradi per 12-14 ore. Terminato il tempo di lievitazione, l’impasto sarà quadruplicato e, dopo essere stato privato dell’anidride carbonica, andrà all’interno di un’impastatrice tuffante in grado di simulare il movimento delle braccia umane nell’atto (per l’appunto) di impastare. A seguire, con una rigorosa sequenza di inserimento, vengono aggiunti il sale, lo zucchero, il miele di acacia, JoyPaste Vaniglia Madagascar/Bourbon, una pasta gialla molto intensa con dei pigmenti neri e una pasta di arancia al naturale, uno scorzone di arancia candito Cesarin e triturato. Successivamente si aggiunge il tuorlo d’uovo a filo e, quando l’impasto è diventato una palla uniforme, si può addizionare il burro ammorbidito a temperatura ambiente. Dopo qualche altro minuto in impastatrice, vengono
aggiunti uvetta australiana insieme ai canditi di arancio e di cedro.
A questo punto, l’impasto è pronto per lasciare la macchina in cui è stato per circa un’ora per essere lavorato su una tavola unta di burro: massaggiandolo e dandogli delle pieghe regolari, si uniformizza l’impasto, per renderlo sodo ed emulsionare tutti gli ingredienti.
Dopo un riposo di 90 minuti, l’impasto viene suddiviso in palline da 1.100 grammi l’una e subisce la cosiddetta fase di pirlatura per poi essere inserito all’interno di un pirottino. Seguono quindi 4-6 ore di lievitazione a circa 28-30 gradi: successivamente l’impasto lievitato viene inciso, decorato con una ghiaccia di amaretti, mandorle, zucchero e zucchero a velo e cotto.
Immediatamente post-cottura, viene girato sottosopra, posizione in cui resterà una decina di ore, raggiungendo una temperatura al cuore inferiore ai 25 gradi, in maniera poi da essere impacchettato in speciali sacchetti di moplefan, una plastica microforata per permettere la fuoriuscita dell’umidità in eccesso.
È questo il procedimento che porta alla nascita di un panettone classico,
“Elaboriamo costantemente ricette nuove per i professionisti, nuove modalità di sviluppo di prodotti per pasticceria, facciamo dei test di preparazioni e metodologie. Il nostro lavoro è il dietro le quinte degli esperti: con i nostri preparati, proponiamo innovazione insieme a ricette inedite”
tipo Milano, nell’Academy di IRCA Group a Gallarate, azienda fondata nel 1919 dalla famiglia Nobili, inizialmente produttore locale di prodotti per la panificazione ed ora presente in tutto il mondo con 21 stabilimenti produttivi e commerciali, insieme a 7 Academy, che danno lavoro complessivamente a circa 2.100 dipendenti, di cui circa 300 in Italia. “Elaboriamo costantemente ricette nuove per i professionisti, nuove modalità di sviluppo di prodotti per pasticceria, facciamo dei test di preparazioni e metodologie. Il nostro lavoro è il dietro le quinte degli esperti: con i nostri preparati, proponiamo innovazione insieme a ricette inedite”, spiega Antonio Losito, Corporate Chef di IRCA Group, finalista alla Coppa del mondo del Panettone nel 2022.
IRCA Group, infatti, è in grado di fornire un mix completo di soluzioni per diverse categorie: dal cioccolato alle creme, passando per le decorazioni, la frutta, i pistacchi, i mix per pasticceria e panificazione, fino ad arrivare al gelato artigianale. Il Gruppo, con i suoi brand, serve grandi aziende e artigiani del settore alimentare in oltre 100 Paesi, con più di 1.000 grandi clienti. “Nel 2013 è nato il brand JoyGelato, focalizzato sui prodotti professionali per gelatieri. Dobla, che produce decorazioni prevalentemente di cioccolato, ci ha resi internazionali con diversi stabilimenti in Vietnam, Usa e Belgio. Infine, sono entrate a far parte del Gruppo l’azienda Cesarin di Verona, che si occupa di frutta candita e verdura stabilizzata e la francese Ravifruit, esperta di puree di frutta e frutta congelata – spiega lo Chef Losito –. Nel 2024, IRCA Group ha acquisito Domori Professional, ottenendo i diritti esclusivi per l’utilizzo del brand nel canale B2B. Domori è un’azienda pioniera nel mondo del cioccolato premium, che ha un controllo verticale di tutta la filiera produttiva e segue un processo di lavorazione delicato e rispettoso: fiore all’occhiello è il cioccolato creato con il cacao Criollo, una varietà rara e di altissima qualità”.
Alberto Bortoluzzi
Da luogo strategico per il controllo delle vie di accesso alle città di Milano e di Como, a stabile abbandonato, in totale degrado. Questa la storia della fortificazione eretta appena al di fuori del centro abitato di Varese nel XII secolo, che nel corso del tempo, ha subito svariate trasformazioni. Da qualche mese sono ripartiti i lavori di restauro che hanno l’obiettivo di riqualificare l’intera area per renderla accessibile a turisti e visitatori
Appena usciti dal centro abitato di Varese, sulla strada che porta a Como, dalla cima di una piccola collina alla sua sinistra, si può scorgere quanto rimane di uno degli edifici storici più importanti della provincia di Varese: il Castello di Belforte. Del fasto di un tempo è rimasto ben poco purtroppo, ma il desiderio di lasciare ai posteri testimonianza di quella che è stata una delle presenze storiche più importanti del Varesotto ha spinto il Comune di Varese, proprietario dello stabile, ad intraprendere un tentativo di recupero del Castello. Le sue origini risalgono al XII secolo, quando proprio per la strategicità della posizione, si decise di erigervi una costruzione fortificata, chiamata Belforte (nome che deriva da Bellum-Fortis). La sua posizione permetteva, infatti, di controllare le vie di accesso a Milano e Como e gli altri stati confinanti. Ci sono testimonianze scritte di come questo luogo abbia rivestito un’importanza capitale nello scontro tra Milano e il Sacro Romano Impero, ospitando diverse volte Federico Barbarossa, che lo fece diventare roccaforte imperiale. Nel 1400 il Castello fu espugnato da Como e da qui perse molta della sua importanza, venendo poi successivamente trasformato in una fattoria agricola e poi nella sede abitativa del Marchese Galeazzo Clivio. Nel 1500, la famiglia Biumi, che era venuta in possesso di gran parte dei terreni di quell’area fino al fiume Olona, fece progettare, pare ad opera del Bernascone, una fastosa dimora, che non venne mai completata, se non per un’ala di due piani, con un prospetto a colonne con finestre a timpano rivolte al cortile. Durante la seconda guerra di indipendenza, l’area fu teatro di grandi combattimenti tra Giuseppe Garibaldi, con i suoi Cacciatori delle Alpi, e le truppe austriache del generale Karl von Urban, nella così detta Battaglia di Varese del maggio del 1859. Con il passare degli anni, nel 1969, a seguito del deperimento di parte dello stabile nel suo lato ad Ovest, una parte venne abbattuta e vennero lasciati i restanti 3 lati ed un muro, a delimitare lo spazio destinato ad orto. A seguito di alcuni lavori di messa in sicurezza della costruzione ormai pericolante, nel 2005 vennero rinvenute le prime tracce di antichi affreschi raffiguranti una Madonna in trono con Gesù e un San Sebastiano, salvati perché ricoperti da altri strati di intonaco. Si ritiene facciano parte dell’antica chiesa di Belforte, parte integrante del Castello, anche citate nel “Liber notitiae sanctorum mediolani” del XIII secolo, ad opera di Goffredo da Bussero.
Nel 1990, il Castello di Belforte era ancora parzialmente abitato e il pensiero di recuperarlo ebbe inizio, quando su pressione delle Associazioni Amici della Terra e Italia Nostra, si riuscì ad ottenere che quest’ultimo fosse donato al Comune di Varese.
L’Assessore all’urbanistica di allora Giuseppe Bonomi e il Sindaco Giuseppe Fumagalli, riuscirono a fare in modo che Iper supermercati (con un finanziamento di 200 milioni di vecchie lire) cominciasse a prendersi carico del restauro del Castello, sotto l’attenta vigilanza dell’Architetto Cazzola. Purtroppo, di quel piano di recupero fu portato avanti solo un primo lotto: un tetto, che tuttavia fu in grado di salvare un’ala del Castello. Successivamente, le dimissioni volontarie dell’Assessore alla cultura Giuseppe Armocida, portarono prima ad un’interruzione dei lavori, poi alla trasformazione dello stabile in un ostello, preda di numerosi furti e danneggiamenti, e infine al totale abbandono. Da qualche mese a questa parte, sono ripresi i lavori di recupero e di restauro del Castello. In una prima fase sono state eseguite delle opere atte a mettere in sicurezza il manufatto e a bonificare l’area. Sono stati abbattuti fabbricati abusivi, effettuate importanti opere di disboscamento e portate avanti indagini geofisiche del sottosuolo con i georadar. A seguire si è indetto un bando per aggiudicare il servizio di progettazione di fattibilità tecnica, economica ed esecutiva per i lavori. La cifra stanziata ammonta a 400mila euro. Come spiega l’Assessore Enzo Laforgia: “Con questi interventi si intende rendere fruibile e accessibile il complesso storico, per poter attivare dei percorsi di visita tra le mura. In un secondo momento l’obiettivo è andare oltre e sviluppare una destinazione culturale specifica per il compendio. Verranno valutate le proposte di recupero funzionale e di restauro conservativo del piano terra del corpo centrale, per rendere fruibile la struttura con la creazione di un punto di accoglienza riscaldato per i visitatori”.
In particolare, saranno elementi di valutazione le proposte finalizzate al recupero dell’architettura storica del Castello. “Sarà valutata la valorizzazione degli spazi al pianterreno, focalizzandosi sulle architetture che caratterizzano il monumento e le sue trasformazioni, con la valorizzazione delle pareti affrescate, restaurate e protette. Inoltre, costituiscono elementi di valutazione le proposte per la realizzazione di percorsi di visita accessibili a tutti. Per il consolidamento strutturale, verranno presi in considerazione in modo positivo l’adozione di modalità a contenuta invasività”, precisa Laforgia.
Un metodo giapponese in una scuola musicale tutta varesina.
L’Associazione ImmaginArte, da oltre 20 anni, educa alla musica fin dalla prima infanzia, con una metodologia che coinvolge bambini e genitori, per un apprendimento degli strumenti e della sinfonia a 360 gradi. Il tutto grazie a esercizi basilari, proposti sotto forma di gioco, ripetuti anche in ambiente domestico
Un’Associazione che educa alla musica, mirando non solo a formare potenziali professionisti del futuro, ma anche coloro che si occupano della crescita globale dei bambini, ovvero i loro genitori. ImmaginArte nasce nel 2003 dalla volontà di Carlo Taffuri, insegnante di violino e direttore d’orchestra, con l’intento di creare un luogo dedicato all’educazione musicale dei giovani. Fin dall’inizio, l’obiettivo è stato avvicinare bambine e bambini alla musica, fondando una scuola che accogliesse allievi dai 3 anni in su, per farli poi crescere, umanamente e musicalmente, fino alla maggiore età, momento d’ingresso in Conservatorio.
“Molti dei giovani che hanno studiato da noi poi sono diventati musicisti professionisti – spiega Carlo Taffuri, Presidente e Direttore Artistico dell’Associazione –. Alcuni sono entrati in Conservatorio, dopo diversi anni di studio e oggi sono miei colleghi a tutti gli effetti. È quindi un cerchio che si chiude. Negli anni, poi, abbiamo assistito ad un’importante crescita del livello musicale e del numero dei ragazzi frequentanti.
Sebbene la nostra sede sia a Varese e la nostra volontà sia di restare sul territorio varesino, siamo sempre aperti alla possibilità di trasferirci in ambienti più grandi, per poter ampliare la nostra offerta artistica”.
Il metodo è semplice (almeno sulla carta): introdurre i bambini, fin dalla tenera età, agli insegnamenti musicali, coinvolgendo anche i loro genitori. Questo è il principio cardine della metodologia Suzuki, ideata dal violinista giapponese Shinichi Suzuki, che si basa sull’apprendimento per imitazione, come avviene per l’acquisizione spontanea della lingua madre. Il bambino, a partire dai 2-3 anni, si avvicina alla musica attraverso esercizi basilari, proposti sotto forma di gioco. Il genitore accompagna il bambino nelle fasi di apprendimento, ripetendo a casa, sempre in forma ludica, quanto appreso in aula e creando così un percorso di crescita educativa. “Abbiamo 6 insegnanti specializzati –continua Taffuri – tutti con formazione nel metodo Suzuki. Ogni sezione ha il suo insegnante, da quella propedeutica dei più piccoli fino ai corsi di strumento, armonia e storia della musica. Attualmente abbiamo circa 80 allievi, un numero stabile ogni anno. Struttura portante della scuola è l’orchestra, un’occasione per suonare insieme agli altri ragazzi, imparare il lavoro e lo spirito di gruppo che sarà essenziale in diverse situazioni della vita”.
Élite Ensemble insieme a Hernan Fassa
ImmaginArte vanta 3 orchestre, suddivise per livello di esperienza degli allievi: la prima è per i più piccoli, 4-7 anni, che suonano brani semplici ma ben strutturati e molto didattici, poi c’è UKOM, United Kids of Music, composta da adolescenti fino ai 18 anni che hanno raggiunto esecuzioni e programmi impegnativi, come le sinfonie di Schubert e le serenate per archi di Čajkovskij e Dvořak e, infine, Élite Ensemble, formato dagli attuali allievi più meritevoli e dagli ex studenti. Per far crescere queste orchestre, negli anni, sono stati creati numerosi appuntamenti e tournée, permettendo a ragazze e ragazzi di vivere esperienze musicali in gruppo. Dagli Stati Uniti al Canada e alla Russia, dalla Bulgaria alla Svizzera e alla Francia, fino ai Parlamenti europei, questi viaggi e concerti sono per i ragazzi un grande stimolo, una motivazione forte per continuare ad impegnarsi a suonare. Recentemente l’Associazione ha ampliato la propria attività anche all’interno degli studi televisivi. Contattata dal regista Luca Carcano, la scuola si è occupata della sigla e della colonna sonora del nuovo format televisivo Mediterranean Melodies, condotto da Maria Grazia Cucinotta che andrà in onda su Prime Video a partire da gennaio 2025 e che racconterà la dieta mediterranea. Il lavoro di ImmaginArte è stato quello di valorizzare il progetto con musiche abbinate a diverse zone dell’area mediterranea, con un preciso allineamento culinario e musicale attraverso le aree geografiche prese in esame nelle varie puntate. La musica che accompagnerà questi momenti di presentazione è stata incisa dall’orchestra UKOM. In particolare, la sigla e altri brani del programma sono stati composti da Ludovico Carangi, allievo storico della scuola ed attuale docente.
Tra le attività future della scuola c’è il concerto del 19 dicembre alla Fondazione Molina di Varese, un’occasione sociale e benefica in grado di portare calore agli ospiti della struttura. Un altro impegno sarà la realizzazione di un festival musicale dedicato alla musica argentina, da sempre legata alla tradizione italiana per via dell’influenza degli immigrati nei primi anni del secolo scorso. “Ma casa nostra è Varese – conclude Taffuri – e il nostro obiettivo è quello di avvicinare alla musica anche quei ragazzi che, per questioni economiche, non hanno possibilità di studiarla. Dopo anni di collaborazione con realtà internazionali che operano in tutto il mondo nel sociale attraverso la musica, ImmaginArte sta creando un analogo percorso nella provincia di Varese, attraverso l’offerta di lezioni d’orchestra completamente gratuite in cui i giovani si avvicineranno alla pratica strumentale con gli stimoli e la forza del gruppo”.
Alessandra Favaro
Dove il Natale vive tutto l’anno: un viaggio tra luoghi incantati e remoti della provincia di Varese che preservano una magica atmosfera, non solo durante il periodo natalizio. Tra il Lago Maggiore e le Prealpi, dal Sacro Monte, fino ad Arcumeggia e Boarezzo: ecco alcune tappe per un perfetto tour tra case in pietra, vicoli acciottolati e campanili addobbati a festa
Quando l’inverno avvolge le colline del Varesotto nel suo mantello, alcune località sembrano trasformarsi in presepi viventi. Altre regalano piccoli gioielli che rappresentano la natività con storie affascinanti. Tra il Lago Maggiore e le Prealpi, questi paesi conservano intatta l’atmosfera di un tempo passato, con le loro case in pietra, i vicoli acciottolati e i campanili che svettano verso il cielo invernale e con piccole sorprese che rendono ogni quartiere più magico. Scopriamone alcuni.
La Natività al Sacro Monte
Forse uno dei luoghi più iconici e magici per assaporare il messaggio più autentico del Natale, tutto l’anno, è la terza cappella della
natività al Sacro Monte di Varese. Edificata nel 1605, la cappella si distingue per la sua particolare struttura ellittica e il maestoso portico che accoglie i visitatori. L’interno custodisce un eccezionale gruppo scultoreo in terracotta, opera attribuita al maestro Marco Antonio Prestinari, che rappresenta con straordinario realismo la scena della natività. Le statue, visibili attraverso le grate delle finestre, catturano l’essenza del momento sacro con una teatralità tipicamente barocca.
Le pareti della cappella raccontano l’intera storia della natività attraverso gli affreschi realizzati nel 1658 da Carlo Francesco Nuvolone. Il ciclo pittorico si sviluppa in scene narrative che includono l’adorazione dei Magi, l’annuncio ai pastori, la drammatica strage degli innocenti e la fuga in Egitto, creando un percorso visivo che avvolge il visitatore nella narrazione sacra. Proseguendo, il complesso monumentale offre ai visitatori due rappresentazioni uniche della natività: oltre alle statue della terza cappella, nella cripta del Santuario a Santa Maria del Monte, si può ammirare un prezioso affresco risalente al XIV secolo, testimonianza della lunga tradizione artistica e devozionale del luogo. Il borgo, inoltre, in questo periodo dell’anno è particolarmente fiabesco, tra passeggiate tra i vicoli silenziosi illuminati e panorami fiabeschi che spaziano sulla valle, la città e i laghi nelle giornate terse e sembrano sospesi tra le nuvole nelle giornate di nebbia.
Leggiuno è un’altra destinazione diventata ormai simbolo del Natale in provincia di Varese. Il paese, che ospita uno dei Patrimoni Unesco più conosciuti del Varesotto, l’Eremo di Santa Caterina del Sasso, a Natale si riempie di iniziative per entrare nel giusto mood delle feste. Fino al 6 gennaio 2025, dalle 17.00 alle 23.00, si riaccendono le ormai famose Lucine di Natale. Oltre 850mila led illuminano un percorso lungo circa un chilometro nel centro del paese, tra la chiesa e l’oratorio, trasformandoli in un magico paese natalizio, in cui non manca la natività. La fantasia del creatore Lino Betti non ha limiti e riesce a trasformare in un mondo magico, grazie al suo team di volontari, oggetti di uso comune come vecchie bottiglie di plastica che diventano sculture luminose, in un evento che combina sostenibilità ed incanto.
Non solo: a Leggiuno il Natale è una cosa seria e anche passeggiando lungo il percorso che
Per le strade di Castello Cabiaglio. A sinistra, presepi nel bosco a Vegonno
lo collega a Sangiano, il comune vicino, sarà possibile stupirsi con opere incantevoli. L’Associazione Lezedunum ha rinnovato la tradizionale iniziativa che coinvolge i cittadini nella creazione di un percorso natalizio diffuso sul territorio. Si tratta dell’Itinerario dei Presepi, un progetto originale dove i partecipanti sono chiamati a realizzare i propri presepi posizionandoli in luoghi accessibili o ben visibili dalla strada, creando così un sorprendente itinerario a disposizione di residenti e visitatori. Una galleria d’arte natalizia en plein air che permetterà di vivere l’atmosfera del Natale passeggiando per le vie dei due comuni. Le loro creazioni saranno visitabili fino al 10 gennaio 2025. L’iniziativa si conferma come un’importante opportunità per valorizzare il territorio attraverso l’arte presepiale, creando al contempo un’occasione di aggregazione comunitaria e di riscoperta delle tradizioni natalizie. Non è questa la magia del Natale?
Sono tanti i quartieri e le località che in questo periodo dell’anno sembrano sprigionare un fascino ancora più magico. L’invito, quindi, è spingersi a scoprire luoghi anche vicino casa, ben coperti, per lasciarsi affascinare dalle manifestazioni spontanee che il Natale regala. Castello Cabiaglio, ad esempio, è un borgo in cui il tempo sembra essersi fermato. Le sue vie
acciottolate, le case in pietra e la chiesa di San Giulio diventano lo scenario ideale per rivivere il clima natalizio di una volta. Durante le festività, il paese si anima con presepi artigianali e decorazioni che raccontano storie di comunità e tradizione. Una passeggiata tra le sue stradine, è un invito alla riflessione e alla meraviglia.
Quando la neve copre Aga, minuscola frazione di Casalzuigno, sembra di entrare in una di quelle sfere di vetro che si scuotono per far cadere i fiocchi di neve. Questo piccolo borgo, circondato da boschi e silenzio, incanta per la sua semplicità. Le poche case e le luci calde, creano un’atmosfera da cartolina. Passeggiare qui, con il bianco candido della neve che riflette le luminarie natalizie, è un’esperienza che scalda il cuore.
Arte e comunità anche nei due paesi dipinti del Varesotto, Arcumeggia e Boarezzo, che meritano di essere vissuti anche in questo periodo dell’anno. Arcumeggia e i suoi affreschi d’autore acquistano un fascino speciale durante il Natale. I dipinti sembrano dialogare con le decorazioni natalizie, creando un connubio di arte e magia. Boarezzo si distingue per la sua comunità vivace. Durante le feste, gli abitanti si uniscono per decorare ogni angolo, organizzare eventi, ricreando un ambiente da favola.
Anche quest’anno, Lozza si veste di luci e colori per celebrare le festività natalizie con un ricco programma di eventi. Sabato 14 e domenica 15 dicembre, l’asilo “Ernesta e Carlo Brianza” ospiterà il tradizionale mercatino natalizio. Un’occasione perfetta per trovare oggetti unici e idee regalo, respirando l’atmosfera più autentica di queste feste, insieme ai più piccoli. Le festività si concluderanno in bellezza il 5 gennaio 2025, con la tradizionale Festa della Befana. L’evento, che partirà alle ore 20.00 dalla scuola “G. Pascoli”, rappresenta un momento per tutta la comunità, soprattutto per i piccini, che attendono l’arrivo della simpatica vecchietta con i suoi doni. Lozza, con il suo spirito comunitario, dimostra ancora una volta come la magia del Natale possa essere celebrata con eventi semplici ma ricchi di significato, capaci di unire grandi e bambini in un abbraccio di tradizione e festa.
Passeggiate e sorprese
Arroccato sulle pendici del Monte Piambello, Cuasso al Monte, al confine con la Svizzera e
affacciato sul Lago Ceresio, spesso è una meta amata dagli escursionisti grazie all’ampia rete di sentieri e luoghi iconici come il Convento “Deserto”, il Castello e le antiche trincee della Linea Cadorna. Anche a Natale la località offre qualcosa di speciale: il Villaggio di Natale che sarà visitabile fino al 12 gennaio 2025. Una manifestazione con un grande accento su sostenibilità e solidarietà, realizzata in collaborazione con l’Associazione On, fondata dal personaggio televisivo Max Laudadio.
Chi ama passeggiare nel verde in questo periodo, troverà speciali sorprese anche nei boschi, dove molti usano decorare alberi e passaggi con simboli del Natale, come i mini-presepi nella Piana di Vegonno o ai Laghetasc di Brebbia.
Il territorio varesino nasconde questi e molti altri tesori che, specialmente durante il periodo natalizio, si trasformano in autentici scenari da fiaba. Un invito a rallentare, lasciandosi avvolgere da quell’atmosfera incantata che solo qui si può respirare.
Le campagne attorno ad Azzate
Alessandra Favaro
Dicembre è tempo di bancarelle e atmosfera festosa per piccini, ma anche per adulti. Dai tradizionali appuntamenti in provincia a quelli fuori porta, fino ad arrivare a festeggiamenti per l’Epifania 2025: ecco alcuni suggerimenti per vivere a pieno la magia delle festività, tra canti, decorazioni e artigianato locale. Andando alla scoperta di luoghi e territori da gustare in versione natalizia
Dicembre porta con sé il calore delle luci natalizie e l’atmosfera incantata dei mercatini di Natale. In provincia di Varese, questo periodo si trasforma in un viaggio tra tradizioni, artigianato e sapori che raccontano il territorio, con un tocco di magia. I mercatini che punteggiano la provincia non sono solo eventi, ma vere e proprie esperienze che coniugano lo spirito natalizio con le peculiarità delle località ospitanti. Partiamo?
Varese: le feste tra cultura e tradizione
Il capoluogo della provincia, Varese, non delude mai quando si tratta di celebrare il Natale. Piazza Monte Grappa si veste a festa con bancarelle che propongono artigianato locale, decorazioni natalizie e golosità della tradizione lombarda. Il mercatino di Natale di Varese è in programma
fino al 6 gennaio 2025, un appuntamento fisso che attira non solo i cittadini, ma anche visitatori dalle province vicine. Una delle peculiarità di Varese è la connessione tra il centro città e i suoi dintorni che cambiano scenari e atmosfere. A pochi passi, i Giardini Estensi offrono uno spettacolo magico che merita sempre una visita. Con l’occasione, molti si spingono fino al Sacro Monte, patrimonio Unesco, dove le cappelle e il santuario aggiungono una dimensione spirituale al periodo natalizio.
Lavena Ponte Tresa: aspettando il Natale
Sabato 14 e domenica 15 dicembre, Lavena Ponte Tresa si anima con il mercatino “Aspettando il Natale”, organizzato dalla Pro Loco. Le vie principali del paese si riempiranno di bancarelle che offriranno artigianato, decorazioni natalizie e prodotti locali. Sabato dalle ore 9.00 alle 18.00 e domenica a partire dalle 9.00 fino alle 17.00, i visitatori potranno immergersi in un’atmosfera calorosa e autentica, scoprendo anche la bellezza del piccolo centro affacciato sul Lago di Lugano.
Dumenza: magia tra le montagne
Dumenza, immersa nel verde delle Prealpi, ospiterà il suo mercatino di Natale domenica 15 dicembre, dalle 10.00 alle 18.00. Questo evento, particolarmente amato dagli abitanti locali, si distingue per il forte legame con le tradizioni
La Fiera del Cardinale del 2025 a Castiglione Olona sarà venerdì 6 gennaio, confermando la tradizione di spostare la prima edizione dell’anno nel giorno dell’Epifania. La manifestazione, che si snoda attorno alla centralissima Piazza Garibaldi, nelle vie del centro storico e all’interno delle corti medioevali, si conferma come punto di riferimento per gli appassionati di più settori, artigianato, antiquariato e vintage.
del territorio. Le bancarelle, allestite nel cuore del paese, offrono una selezione di prodotti artigianali e idee regalo che raccontano storie di creatività e passione. Dumenza, con la sua posizione panoramica e la vista mozzafiato sulle montagne, rappresenta una meta perfetta per chi cerca un Natale lontano dalla frenesia cittadina.
A Morazzone, Casa Macchi, nelle domeniche del 15 e del 22 dicembre aprirà le porte con “Natale alle stelle!” L’evento trasformerà il bene Fai in un luogo di meraviglia per i più piccoli. Le visite speciali si arricchiranno con la narrazione di suggestive storie natalizie e l’esperienza culminerà in un laboratorio creativo durante il quale i bambini potranno realizzare decorazioni a tema Christmas.
Ad arricchire il magico percorso natalizio nel Varesotto ci pensa la panoramica piazza Belvedere di Azzate, che si prepara ad ospitare
Il “Magico Paese di Natale” e i “Vicoli di Santa Claus”
Fuori provincia, nel territorio Unesco delle Langhe Roero Monferrato, fino al 22 dicembre andrà in scena l’evento diffuso “Magico Paese di Natale”. Un’edizione speciale, giunta al diciottesimo anno, a conferma della straordinaria crescita di questo appuntamento, inserito da European Best Destinations al settimo posto tra i più importanti mercatini natalizi d’Europa e insignito della menzione di “mercatino più romantico”. Protagonisti dell’atmosfera tipica del Natale saranno il borgo di Govone, dove Babbo Natale ha la sua casa nel Castello Reale, Asti con il celebre mercatino natalizio e San Damiano d’Asti, che ospiterà il Presepe vivente in alcune date di dicembre.
Altra location fuori porta da esplorare nel periodo festivo è Lemna di Faggeto Lario in provincia di Como dove, il 14 dicembre dalle ore 12.00 alle 21.00, si terrà la quarta edizione dei caratteristici “Vicoli di Santa Claus”. Questo evento natalizio trasformerà le stradine del borgo in un suggestivo mercatino, offrendo ai visitatori l’opportunità di scoprire le bellezze del luogo, un lato meno conosciuto ma autentico del comasco.
Le vie di Lemna saranno animate da bancarelle di artigiani e produttori locali, ideali per trovare idee regalo uniche e originali. L’intrattenimento gastronomico sarà garantito da stand di street food, grande novità di quest’anno, attivi a partire da mezzogiorno, per poi culminare in un apericena nella piazza principale, con tanto di musica. Il programma prevede, nel pomeriggio, l’esibizione del coro dei bambini della scuola primaria locale, che allieteranno il pubblico con canti natalizi. La serata proseguirà con le performance di due gruppi musicali, creando un’atmosfera festosa e coinvolgente.
I “Vicoli di Santa Claus” a Lemna
la nona edizione del suo tradizionale mercatino di Natale. Domenica 15 dicembre, questo appuntamento ormai consolidato, trasforma il centro della cittadina in un suggestivo villaggio natalizio con vista. L’evento, dedicato agli hobbisti e caratterizzato da una forte impronta natalizia, si distingue per la sua atmosfera accogliente. La piazza Belvedere, con la sua naturale vocazione panoramica, diventa il palcoscenico perfetto per una giornata di festa nell’attesa di Babbo Natale. Gli espositori presentano creazioni artigianali che catturano l’essenza più autentica del Natale, offrendo ai visitatori la possibilità di scoprire pezzi originali per i loro regali. Nel pomeriggio di domenica 22 dicembre ci sarà, inoltre, una proiezione natalizia, con accesso gratuito, dedicata alle famiglie e ai più piccoli al Cinema Castellani e la sera il suggestivo concerto del Coro Sine Nomina “Il Rito di Santa Lucia” nella chiesa illuminata da candele.
Luisa Negri Foto di Michele Alberto Sereni, courtesy Magonza
Nell’installazione di Arcangelo Sassolino a Villa Panza, l’incertezza della quotidianità, tra timore del pericolo e speranza nell’arte. Fino al 23 febbraio 2025 è possibile ammirare, nelle sale del polo museale di Biumo Superiore, l’imponente opera dell’artista vicentino, una grande macchina che si eleva e si abbassa, sollevando a turno alle estremità della lunga barra, posizionata sopra il parallelepipedo di una gabbia centrale, due lastre di marmo bianco di Carnia
Nelle foto, Arcangelo Sassolino, La condizione del desiderio, 2009-2024
Una nuova installazione a Villa Panza sta suscitando la curiosità dei visitatori. Si tratta di un “giocattolo” ad alta emotività firmato dallo scultore Arcangelo Sassolino, “Time Tomb - La condizione del desiderio”. L’opera, un lavoro site specific ideato nel 2009 per lo spazio espositivo Z33 a Hasselt, in Belgio, riadattato per essere accolto nella Scuderia Grande della villa, sarà visitabile in parallelo alla rassegna in corso “Nel tempo, opere dalla collezione Panza”. Mostra da vedere, che già avevamo raccontato trasportandovi tra opera e opera, scollinando lungo gli impervi crinali dell’infinito andare della vita: dove, chi guarda all’arte e al bello come a un messaggio di quotidiana speranza, trova nello scorrere del tempo il giusto monito a riflettere.
Gabriella Belli, curatrice della programmazione scientifica e delle mostre temporanee di Villa Panza, ha dunque inserito nel nuovo programma espositivo il primo di una serie di project room con interventi site specific, dialoganti con le opere in collezione, destinati a sollecitare la curiosità dei visitatori. Un programma in armonia con la ricerca e l’attività della villa, ma capace di accendere anche nuovi interessi.
Di tempo, di attese e di immaginifici incontri ci parla, si può dirlo senza tema di smentita, anche questo suggestivo lavoro, accolto come ospite atteso a Biumo Superiore, tra le opere collezionate negli anni da Giuseppe Panza. Perché la colossale, robusta, imponente, eppur emozionante costruzione, fatta di lungo e scrupoloso studio, di abilità progettistica, di paziente e duro lavoro di montaggio, non solo si muove in continuazione, ma ha una voce. Una voce di macchina, figlia del materiale pesante e ferroso di cui è fatta. Che sa di lamento, di trattenimento di un’anima che vorrebbe parlare. La voce cambia, tracima a tratti dalla gran macchina come una lama vibrante di sonorità acute e taglienti, corre nell’aria inerpicandosi verso le rotondità delle geometrie dei muri candidi, poi s’acquieta, facendosi a tratti più fluida, a tratti bassa e monotona, poi quasi sommessa preghiera. Un concerto dove fisica e chimica, meccanica e acustica, si giocano assieme il pieno favore di chi viene introdotto nella vasta sala: accosto ai muri, per ragioni di prudenza. Perché la gran macchina si eleva e si abbassa, sollevando a turno alle estremità della lunga barra, posizionata sopra il parallelepipedo di una gabbia centrale, come un metronomo,
due lastre di marmo bianco di Carnia di diversa dimensione, una più piccola, l’altra più grande, sospese a robuste fasce elastiche. Che s’elevano a loro volta fino all’alto soffitto della sala, ne sfiorano le lisce pareti, sopra e sotto. Il primo impatto porta a trattenere il fiato, ma tutto, ti accorgi poi, è stato perfettamente calcolato dall’autore dell’opera con grande perizia ma anche, s’immagina, divertimento e soddisfazione. Lo sforzo dell’elevazione è consentito e favorito dall’incessante lavoro di un compressore ad acqua. Fa compagnia la presenza della guida, una laurea in filosofia e amore per l’arte e scopri che l’emozione che provi, per quella macchina che si offre in mostra in tanto lavoro e ti stupisce col suo gran daffare su e giù e la sua musica speciale, è condiviso anche dalla gentile compagnia femminile che sarebbe lì per informarti, o confortarti, in caso di timore. E invece subisce a sua volta il fascino robotico dell’obbediente e in fondo ciarliera creazione di Sassolino. Questo consente di trovarti a parlare di emozione davanti a quell’ingranaggio calcolato al millesimo da un ingegnere artista, che potrebbe sembrare aver mischiato, e forse s’è divertito a farlo, sacro e profano. Opera che è conferma di quella “precarietà della vita”, di una perenne “esposizione al danno insuperabile”, tema caro a Sassolino, come sottolineato dalla curatrice Angela Vettese. Chi conosce il percorso di Sassolino, scultore nato a Montecchio Maggiore di Vicenza nel 1967, una laurea in ingegneria meccanica conseguita all’Università di Padova, autore a suo tempo di interessanti brevetti per giocattoli che gli consentono di trasferirsi a New York per 6 anni, sa del suo cammino d’artista, abituato a guardarsi attorno, a viaggiare, a confrontarsi con altri mondi e visioni. Non è un caso che il suo amore per la scultura scattò nel 1994, dopo la visita a una retrospettiva di Matisse al MoMa. Vide i “Cut Outs”, grandi opere collage fatte dall’artista ritagliando la carta con le forbici, quando non poteva più dipingere: “Fu una folgorazione, capii che la scultura sarebbe stata la mia strada”, confessa l’artista. Rientrò dopo due anni in Italia, si stabilì a Pietrasanta e iniziò a lavorare coi marmi. Oggi, ormai affermato nel mondo, opera a Vicenza, in una terra che definisce un “Humus ideale”. La sua ricerca tra arte e fisica, tra meccanica e tecnologia apre a nuove possibilità di configurazione della scultura. Velocità, pressione, gravità e tensione, sono alla base di una ricerca rigorosa. Ha “giocato” nelle sue opere con il cemento, con le bottiglie vuote, con pneumatici e anche con lastre di legno destinate allo sfinimento, allo schianto. Oppure salvate all’ultimo momento come in “Purgatory” e “Canto”, due lavori del 2016. Non salva, invece, in “Damnatio Memoriae”, stesso anno, la statua in marmo
lentamente trasformata in polvere da un macchina levigatrice.
Sassolino, racconta a Vettese, s’ispira alla realtà quotidiana, a un mondo che si presenta come un eterno cantiere, un’officina del fare e disfare.
Un luogo, insomma, di scarso appeal estetico e di grande incertezza. Né preme per avere consenso immediato alle sue particolari, forti proposte d’artista.
“L’arte a volte ha tempi lunghissimi, spesso la vita non basta: ha declinazioni diverse (...). A me interessa il fare, il lasciare che l’ispirazione si imponga, il produrre azioni che vivano di vita propria, che troveranno il loro spazio nel mondo. E questo per me è bellissimo”.
Nelle ultime opere prevale la ricerca del divenire, come dice lui “l’ultima ossessione”.
“Diplomazija Astuta” (2022), progettata per il Padiglione Malta della 59esima Esposizione Internazionale d’Arte - la Biennale di Venezia, è una riflessione su “La decollazione di San Giovanni Battista” di Caravaggio. “Per questo lavoro – scrive Marta Spanevello in catalogo – Sassolino progetta macchine che fondono per induzione l’acciaio a 1.500 gradi, che cade in gocce dall’alto in 7 grandi vasche colme d’acqua. Nel precipitare, per un attimo, prima di dissolversi, l’energia prende forma: la materia si trasforma in una luce vivida che tuttavia al contatto con l’acqua delle vasche ‘sibila, si raffredda e si ritira nell’oscurità’”. È del 2023 “No memory whithout loss”, un grande disco a parete ricoperto di colore ad olio. La rotazione del disco su se stesso produce un avvitamento del colore, liquido e vischioso, in spirali a loro volta liquide, che finiscono a terra. Spiega l’artista: “Il disco è un organismo che deve essere ricaricato, riportandovi l’olio colato al suolo. Da un lato è soggetto all’impalpabilità del divenire, che conduce alla consumazione della sostanza. Dall’altro resiste alla caduta, a
A cura di Angela Vettese
Testi in catalogo: Gabriella Belli, Arcangelo Sassolino, Marta Spanevello, Angela Vettese
Villa e Collezione Panza
Piazza Litta 1, Varese
Fino al 23 febbraio 2025
Dal martedì alla domenica, dalle ore 10.00 alle 18.00
ciò che deve necessariamente accadere”. C’è anche qui il senso di una lotta, quella quotidiana che ciascuno verifica ogni giorno su se stesso, il paradosso dell’esistenza. In bilico tra necessità e desiderio.
Lisa Aramini Frei
Un viaggio tra tradizione e innovazione nel suggestivo Chiostro di Voltorre di Gavirate, dove opere natalizie di ogni forma e materiale ricreano in mille forme la scena della natività e un’atmosfera unica e magica. Torna, anche quest’anno, la mostra dei presepi, che si prepara ad accogliere oltre 9.000 spettatori, tra esperienze immersive e polimateriche
Nelle foto, i presepi dell’edizione 2023
Sopra il camino, sotto l’albero o su un tavolo dedicato come un palco per un artista. Insieme all’abete natalizio, le feste arrivano calorose, con luci, cibo, amore e musiche a tema, attese per circa 11 mesi all’anno. Tra i vari simboli che rappresentano il Natale, è sicuramente il presepe che si porta dietro una tradizione tutta italiana e una storia millenaria. Di mille fatture e materiali diversi, si stima che oltre il 55% degli italiani facciano, tradizionalmente l’8 dicembre, il presepe. Con le statuine in legno della Val Gardena o con i pittoreschi personaggi di San Gregorio Armeno a Napoli, questi diorami sono in grado di catapultare chiunque nell’antica Betlemme. Per raccogliere scenografie magiche, di legno, vetro, plastica riciclata o pasta alimentare, ci vuole un luogo dal sapore magico, che sappia trasmettere lo spirito poetico della natività. Il Chiostro di Voltorre, virtuoso esempio dell’architettura medievale nel Varesotto, mette in scena anche quest’anno la sua Mostra dei presepi, con oltre un centinaio di opere. Una collezione che spazia dai presepi tradizionali a quelli di artisti contemporanei, dai diorami complessi alle installazioni di scuole e associazioni locali. “Quest’anno abbiamo voluto alzare l’asticella –racconta Matteo Costa, Presidente della Pro Loco di Gavirate – raccogliendo una varietà di presepi davvero importante. Siamo andati personalmente in giro per le varie mostre a raccogliere queste opere e, con grande orgoglio, siamo riusciti anche ad ottenere un’opera del maestro presepista Mauro Signorelli di Novara. È da luglio che stiamo lavorando a questo progetto e siamo veramente pieni di aspettative”. La mostra nasce dalla volontà
attraversare per poterlo ammirare in tutto il suo splendore. Infatti, le figure e i personaggi saranno a grandezza quasi
locale. “Altra attrazione importante – anticipa Luciano De creata durante la design week del 2018 in Corso Matteotti potrà decisamente particolari”. Grazie a questa iniziativa, i visitatori potranno provare un’esperienza unica, che offre non solo la visione dei presepi, ma che stimola
dell’Associazione di volontari di riproporre una tradizione ormai radicata nella comunità. Già in passato, infatti, veniva ospitata in un vecchio vagone ferroviario della stazione di Gavirate. Questo spazio, pur suggestivo, non era più disponibile: così la Pro Loco è arrivata a cercare una nuova collocazione per l’evento. In virtù di una convenzione tra il Comune di Gavirate e la Provincia di Varese, il Chiostro è ora gestito da diverse Associazioni che lo animano con eventi culturali durante tutto l’anno e questo consente alla Pro Loco di riportare la tradizione dei presepi in una cornice di grande fascino storico e religioso. Tra le tante novità dell’esposizione gaviratese c’è la realizzazione di una Città presepe, ovvero un presepe che non è posto su un tavolino apposito, ma che si deve attraversare per poterlo ammirare in tutto il suo splendore. Infatti, le figure e i personaggi saranno a grandezza quasi naturale, rendendo lo spettatore protagonista vivente del diorama, dove potrà camminare tra case e strutture che riproducono l’ambiente di Betlemme. Questo particolare allestimento ha richiesto mesi di lavoro e l’impegno costante dei volontari dell’Associazione di promozione locale. “Altra attrazione importante – anticipa Luciano De Madallena, direttore della Pro Loco – è quella realizzata dalla Vetreria Torsellini, famosa per la terrazza di vetro creata durante la design week del 2018 in Corso Matteotti a Varese. Loro sono specializzati in queste strutture emozionali e quest’anno ne hanno portata una all’interno del giardino del Chiostro. Il pubblico potrà entrare in questo ambiente immersivo caratterizzato da vetri e specchi, creando effetti visivi decisamente particolari”. Grazie a questa iniziativa, i visitatori potranno provare un’esperienza unica, che offre non solo la visione dei presepi, ma che stimola anche i sensi e l’immaginazione, aumentando così lo spirito delle feste. Insieme alla mostra di presepi, il Chiostro sarà portatore di ulteriore spirito natalizio con la programmazione di due concerti corali, previsti per il 14 e il 28 dicembre all’interno della Sala Capitolare. Per gli appassionati sarà, inoltre, possibile scoprire diverse tecniche presepiali, spiegate direttamente da un presepista locale. La mostra dei presepi sarà visitabile durante i fine settimana di dicembre, con
orari prolungati nei giorni festivi e la possibilità di accedere persino il giorno di Natale. Un segno della crescente rilevanza di questa manifestazione è il numero di visitatori attesi per l’evento. Se l’anno scorso il gioiello di Gavirate ha accolto circa 9.000 persone, quest’anno le aspettative sono decisamente più alte, merito del livello qualitativo delle opere e delle nuove attrazioni introdotte. Per questo motivo sono stati predisposti bus navetta che collegheranno il centro cittadino, la stazione ferroviaria e il centro commerciale di Gavirate al Chiostro, così da offrire un’adeguata accoglienza
Chiostro di Voltorre
Via S. Michele, Gavirate
Fino al 6 gennaio 2025
Giorni feriali dalle ore 14.30 alle 18.30
Domenica e festivi dalle ore 10.00 alle 12.00 e dalle 14.30 alle 18.30
anche a chi viene da lontano. “Il nostro obiettivo – puntualizza Massimo Parola, Sindaco neoeletto di Gavirate – è quello di rendere il Chiostro un polo per la cultura locale, un luogo dove arte, musica e tradizione possano convivere e contribuire alla crescita della comunità. Con questo evento, il primo come Città, nomina ottenuta lo scorso aprile, ci stiamo riuscendo. Inoltre, questa iniziativa è parte attiva della rete di eventi dedicati al Natale promossi dalla Provincia, come le Luci di Leggiuno e le installazioni ai Giardini Estensi di Varese”. Il Chiostro, inoltre, è diventato negli ultimi anni un centro culturale polivalente, grazie all’attività della Pro Loco e di altre associazioni locali e ospita anche matrimoni, con una ventina di celebrazioni già tenute e prenotazioni per la prossima stagione. L’amministrazione ha, inoltre, messo a disposizione il Chiostro per la celebrazione di matrimoni civili, una scelta che è stata accolta con grande entusiasmo da parte della popolazione. In pochi mesi, sono già state celebrate una ventina di cerimonie e sono molte le coppie che hanno prenotato la location per il prossimo anno. Anche questa iniziativa si inserisce nel più ampio progetto di promozione del Chiostro. Oltre alla valorizzazione della bellezza dei presepi, la Pro Loco di Gavirate ha voluto dare un significato più profondo alla mostra, destinando i proventi dei biglietti d’ingresso a finalità benefiche. Quest’anno, infatti, il costo del biglietto servirà non solo a coprire le spese organizzative, ma anche a sostenere progetti sociali locali. Questo gesto sottolinea l’impegno nel voler fare del Natale un momento di condivisione e solidarietà, da passare con la famiglia nei luoghi più evocativi della provincia.
Silvia Giovannini
Non sapete in quale direzione orientarvi per i doni ai vostri cari per il Natale, ormai alle porte? Tra pubblicità, social e suggerimenti che arrivano persino dall’Intelligenza Artificiale, ecco alcuni consigli dei commercianti varesini. Tra proposte solidali, enogastronomiche e preziose, senza dimenticare sostenibilità e alternative green
Il 48% degli italiani dichiara di sentirsi “bombardato” dalle pubblicità; il 42% è travolto dalle troppe opzioni a disposizione e il 41% frustrato dalla quantità di tempo necessaria per prendere la giusta decisione. Il dato, non poi tanto sorprendente, emerge dalla 18esima
Questo Natale illumina il futuro delle persone con disabilità e autismo.
edizione dell’Annual Holiday Shopping Survey di Accenture che evidenzia le principali tendenze sugli acquisti per le feste. Con tutto il rispetto per la ricerca, chiunque già ad agosto si sia imbattuto sui social in sponsorizzate di calendari dell’avvento e ai primi di ottobre si sia ritrovato a dribblare scaffali strapieni di improbabili schiaccianoci decorativi, avrebbe potuto fare la stessa riflessione. L’idea che il giorno più bello dell’anno, per molti, sia diventato un semestre dedicato, da una parte dilata l’atmosfera delle feste, con somma gioia di chi da tempo ha già decorato l’albero e iniziato il rewatching della saga di Harry Potter, dall’altra aumenta l’ansia da prestazione da regalo. La ricerca, tuttavia, è incoraggiante su questo punto: gli italiani intervistati si dichiarano più predisposti verso gli acquisti di Natale rispetto allo scorso anno. Il 79% degli intervistati manterrà stabile (47%) o aumenterà (32%) il proprio budget rispetto allo scorso anno, pur confermando come nel 2023 la propensione ad acquisti ragionati, tra promozioni e confronto dei prezzi. In ogni caso, il 32% non è poco: forse è il momento di stilare la lista dei desideri! Il consiglio per chi i regali preferisce riceverli, se avete già le idee chiare, è quello di disseminare indizi, perchè quest’anno in particolare, alla classica pubblicità e ai consigli di amici e parenti, si aggiunge un terzo suggeritore. Anche nella scelta dei regali,
In alto, orologio Panerai Luminor Marina Carbotech. Sotto, Herbert Beaufort Cart or.
A destra, Collezione Nudo di Pomellato Gioielli in oro rosa e bianco con diamanti e topazio azzurro e topazio blu London.
A sinistra, Catalogo prodotti 2024 “Accendi una scintilla” della Fondazione Piatti
Il 50% degli italiani utilizzerà l’AI per farsi supportare nella scelta dei regali. Un’occasione anche per chi vende, per analizzare meglio la propensione all’acquisto dei clienti
infatti, cresce il ricorso all’AI, novella personal shopper: il 50% degli italiani ha dichiarato che utilizzerà l’Intelligenza Artificiale Generativa per farsi supportare nella scelta dei regali. Un’occasione anche per chi vende per intercettare e analizzare meglio bisogni e propensione all’acquisto dei propri clienti.
Tra innovazione e regali sostenibili, anche nelle confezioni che sempre di più strizzano l’occhio all’economia circolare, abbiamo, come da tradizione, dato uno sguardo alle proposte di alcuni partner di Varesefocus per sorprendere i vostri cari.
Per chi si sta orientando tra i regali solidali anche aziendali, il catalogo “Accendi una scintilla” di Fondazione Renato Piatti onlus, che si dedica alle persone con disabilità e autismo, presenta proposte per tutti i gusti e tutte le tasche. Oltre a poter sostenere un progetto di valore con una donazione e condividerla con dipendenti e partner con biglietti o lettere di auguri solidali personalizzabili, è possibile orientarsi tra i doni pensati per “accendere una scintilla di cambiamento”: si va dal panettone artigianale farcito di Casa Freddozzo di Oleggio o il Parmigiano 24 mesi dal Caseificio
Sky-Dweller è il calibro 9002, un movimento innovativo che offre precisione, resistenza agli shock e una riserva di carica di 72 ore. Con un sistema di calendario annuale Saros, visualizzazione di due fusi orari e la certificazione Superlative Chronometer, è l’orologio perfetto per viaggiatori di ogni età. Proposta preziosa è anche quella della Gioielleria Paternostro 1972, di piazza San Magno ang. Corso Garibaldi a Legnano. La collezione di tendenza è Nudo, l’iconica e amatissima linea di Pomellato, che si identifica nella perfetta combinazione tra l’eleganza delle linee pulite e quella inconfondibile nota di colore vivace delle gemme preziose. “Nude”, libere da griffe, pensate dalla maison per incarnare pienamente lo spirito e il glamour milanese. Taglio e tecnica esaltano l’unicità di ogni pietra, mentre la luce danza sulle 57 sfaccettature. Anelli, bracciali e collane sono nati per permettere a chi li indossa di esprimere il proprio stile attraverso infinite combinazioni. Una su tutte, la linea di gioielli in oro rosa e bianco con diamanti e topazio azzurro e topazio blu London.
Sociale di Soragna, alle varie box realizzate con i prodotti locali e solidali, ad esempio, dal Salumificio Colombo di Crosio della Valle e dalla Cooperativa Orti di Bregazzana. Sia i privati sia le aziende potranno scegliere tra tris di mieli, composte, biscotti, infusi, frutta ricoperta e quant’altro solletichi il palato, cercando sul sito www.accendiunascintilla.it.
Sempre per stuzzicare il gusto, la proposta per i regali di Natale della Enoteca Bottazzi 1957 di via Roncari 30 a Besozzo è per veri intenditori. Si tratta del Brut Grand Cru Carte d’or Tradition Herbert Beaufort, uno Champagne 90% Pinot nero e 10% Chardonnay, affinato almeno 30 mesi sui lieviti, per dargli la grande struttura e vinosità che lo contraddistingue. Un regalo davvero prezioso, importato e distribuito in tutta Italia in esclusiva dalla Bottazzi 1957. Ottimo per i brindisi delle feste insieme ai propri cari. Dalle chicche per i palati ai regali preziosi. La Gioielleria Nicora di via Manzoni 14 a Varese propone la sinfonia dei riflessi dell’Oyster Perpetual Sky-Dweller 2024 di Rolex. Una proposta in due nuove versioni in oro 18 ct, una in oro Everose con quadrante antracite e l’altra in oro giallo con quadrante bianco. Per la prima volta, il modello è equipaggiato con un bracciale Jubilee in metallo prezioso, con inserti ceramici per maggiore durata e comfort. Il cuore dello
Dal momento che il 50% degli italiani chiede consiglio all’AI per scegliere i regali di Natale, abbiamo chiesto suggerimenti a tema di regali sostenibili a ChatGPT. “Scegliere regali sostenibili non solo dimostra attenzione verso l’ambiente, ma anche una consapevolezza crescente che può rendere il Natale più significativo e responsabile”, sottolinea l’Intelligenza Artificiale, indicando svariate tipologie di regalo. Dai prodotti Zero Waste, come contenitori riutilizzabili o kit per il compostaggio domestico, alla moda sostenibile. In alternativa, il suggerimento è quello di regalare esperienze invece di oggetti, come ad esempio un viaggio, un corso di cucina con ingredienti locali, una visita a una cantina biologica. “Le esperienze non solo riducono l’impatto ambientale, ma creano anche ricordi indimenticabili”, spiega. Interessanti anche le opzioni creative e sostenibili per impacchettare i regali, che non solo sono ecologiche, ma aggiungono anche un tocco personale. Ecco alcune idee suggerite da ChatGPT:
1. Carta Kraft riciclata da decorare in modo creativo con nastro in cotone o spago di juta. Timbrature o disegni fatti a mano con inchiostri ecologici. Foglie secche, rami di pino, fiori essiccati o spezie come cannella o anice stellato, che aggiungono un profumo naturale.
2. Tessuti riutilizzabili (Furoshiki) seguendo la tecnica giapponese di impacchettare i regali con tessuti,
come una sciarpa, un fazzoletto o una stoffa colorata, che diventa un regalo aggiuntivo.
3. Confezioni in carta di recupero utilizzando vecchi giornali, mappe o riviste per creare un imballaggio originale.
4. Confezioni in cartone o scatole riutilizzabili da decorare con carta riciclata o feltro o aggiungendo una decorazione fatta a mano come un fiocco di neve o un piccolo albero in legno.
5. Sacchetti di tela come quelli in cotone o lino, ideali per confezionare regali, personalizzandoli con decorazioni fatte a mano come ricami, bottoni o pitture, nastrini in jute o spago di cotone.
6. Confezioni naturali con elementi vegetali con foglie o pigne come decorazione. Oppure rami di abete, agrifoglio o rami secchi, piccole bacche o fiori essiccati.
7. Buste in carta o cartoncino riciclato, una soluzione pratica e sostenibile, soprattutto per regali di piccole dimensioni, personalizzabili con adesivi eco-friendly o timbri.
8. Scatole da scarpe o imballaggi riciclati perfette per contenere oggetti di dimensioni irregolari e che possono essere decorate con un po’ di creatività.
9. Confezioni in rete o sacchetti di juta per regali più grandi come bottiglie o regali voluminosi.
10. Confezionamento con borse di stoffa che poi il destinatario potrà riutilizzare.
Andrea Della Bella
Cintura nera sesto dan, plurivincitore di Campionati italiani, Coppe Italia, con un Europeo in bacheca, oltre ad una Coppa Shotokan. Il maestro Andrea Grasselli, una vita trascorsa sui tatami del BuDoKan di Busto Arsizio, prima come atleta poi come arbitro, parla del karate. Non uno sport, ma un’arte marziale adatta a grandi e bambini, che ha come fine principe quello di migliorare l’essenza dell’uomo
Non è uno sport, bensì un’arte marziale. Anche se la definizione più aderente al karate potrebbe essere “meditazione in movimento”. Parola di Andrea Grasselli, cintura nera sesto dan, una vita nel BuDoKan di Busto Arsizio, prima come atleta plurivincitore di Campionati italiani, Coppe Italia e con un Europeo in bacheca, oltre ad una Coppa Shotokan e poi (anche attualmente) come maestro. Sempre al fianco di Giorgio Gazich, fondatore della società di karate bustocca. Grasselli è anche arbitro internazionale, da poco è stato nominato Presidente nazionale degli arbitri ed è membro della Commissione scientifica nazionale Fitka, che si occupa di fare ricerca sul karate come disciplina con ricadute positive sotto il profilo fisico, fisiologico e psichico. Senza entrare nei dettagli storici, è bene sapere che la Scuola di arti marziali di Busto è affiliata Fitka, ovvero è quella che si rifà al karate tradizionale. E la differenza da quello sportivo la spiega proprio Grasselli: “Dal punto di vista tecnico non c’è differenza tra karate tradizionale e quello sportivo – dice il maestro –. Cambia la filosofia. Ovvero in quello tradizionale il risultato sportivo è un aspetto parallelo, ma non primario dell’arte marziale”. In Italia il karate ha una tradizione piuttosto giovane. A costruire il ponte con
il Giappone fu Hiroshi Shirai, maestro decimo dan, nato a Nagasaki, il 31 luglio 1937 e morto a Milano lo scorso 9 ottobre. È considerato il maestro giapponese che ha maggiormente contribuito alla diffusione del karate in Italia e in Europa a partire dalla metà degli anni ‘60. E proprio per questa sua attività è stato anche premiato, a nome dell’imperatore nipponico, dall’ambasciatore del Giappone in Italia. Shirai ha poi indicato in Carlo Fugazza il maestro del karate tradizionale, mentre la figlia Yuri è l’attuale Presidente della Fitka. Gichin Funakoshi è, invece, il maestro che ha codificato le regole del karate in Giappone e l’ha trasformato in una disciplina da trasmettere a tutti e non di padre in figlio come avveniva in Giappone prima di lui.
“Il karate – ribadisce Grasselli – non è uno sport, ma un’arte marziale che ha come fine principe quello di migliorare l’essenza dell’uomo. Ed è stato il maestro Shirai a codificare i pilastri della nostra disciplina tradizionale. Si tratta di 10 punti in cui si può notare la totale assenza di concetti negativi. Si parla di: fedeltà, amore per tutti, spinta amorevole verso gli altri, pensieri positivi, riconoscenza e rispetto per chi ci ha educato, servizio alle persone fatto con il cuore, in particolare dei propri genitori, di non aver paura di morire, di altruismo e di molta pazienza quando si sta vivendo e cercando di superare un momento di difficoltà”.
Principi che Grasselli ha imparato a fare propri nel corso della sua lunga carriera da karateka. Percorso che è iniziato proprio con il maestro Gazich all’età di 11 anni. “A lui devo tutto quello che ho imparato. Quando ho iniziato a praticare l’arte marziale – racconta Grasselli – non avevo particolari doti fisiche. Anzi, ero piuttosto robusto e negli anni ho dovuto superare tutta una serie di difficoltà. Fino ad arrivare ad essere un atleta della nazionale e a riuscire a vincere un Campionato Europeo. Il mio obiettivo principale è sempre stato quello di migliorarmi come persona e come karateka e i successi sono stati una conseguenza di questo modo di impostare la pratica di quest’arte. E il medesimo approccio l’ho applicato quando, dopo aver smesso con l’agonismo, sono diventato arbitro. E poi, ancora, ogni giorno, nella mia vita professionale”. Andrea Grasselli è laureato in Scienze motorie ed è docente: “Il karate mi ha insegnato anche a costruire un rapporto con i giovani studenti e il mio approccio punta sempre a cercare di tirare fuori il meglio dalla persona che ho di fronte per ottenere il massimo”.
Potenza, coordinazione, concentrazione e ritmo: stiamo parlando di una disciplina che, oltre a tenere in stretta sintonia mente e corpo, contribuisce a uno sviluppo armonico della persona, a partire dalla giovane età. “Chi fa karate sviluppa la propria forza, lavora sulla potenza del gesto e utilizza tutto il corpo: gli arti superiori, quelli inferiori, il busto e i riflessi. Mantenendo sempre alta la concentrazione. Ed è per questo che possiamo definire l’arte una meditazione in movimento”.
Chi inizia a fare karate da piccolo, anche se il BuDoKan è una realtà attenta alla promozione dell’arte marziale nelle scuole del territorio, in genere è perché viene “spinto” dai genitori. “Stiamo parlando di una disciplina inclusiva, adatta a tutte le età – continua Grasselli –. Da noi si allenano bambini a partire dai 6 anni, gli agonisti, ma anche tanti adulti che iniziano in tarda età”. Insomma, per praticare karate non è mai troppo tardi. “Gli adulti decidono di provare nel momento in cui hanno più tempo da dedicare alle proprie passioni. Negli ultimi anni devo dire che a questa disciplina si avvicinano tante donne. Il loro primo obiettivo è quello di imparare tecniche di difesa personale. Partiamo da lì. Molte poi, però, si appassionano e dopo aver appreso le mosse necessarie, scelgono di approfondire l’essenza dell’arte marziale e continuano nel percorso”.
Una chiusura doverosa è sulla tradizione che ha il BuDoKan nella formazione di grandi campioni. Andrea Grasselli, insomma, non è l’unico ad aver reso onore alla scuola bustocca sui tatami nazionali ed internazionali. Tra questi bisogna ricordare i fratelli Zanovello (Christian e Stefano), Alessandra Lazzarini e Kamal Bougdaoua.
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Rubrica in collaborazione con
Enoteca Bottazzi 1957, Besozzo enotecabottazzi.it info@bottazzi1957.com
Ingredienti per 4 persone
12 capesante
1 zucca “delica”
25 gr di burro nocciola alla salvia
1 kg alette di pollo
50 gr sedano, carota, cipolla
10 gr concentrato di pomodoro
200 gr vino bianco
200 gr finferli freschi
50 gr olio evo
2 foglie esterne di verza
Nel cuore delle Langhe, in frazione Bussia di Monforte d’Alba, sorge Cascina Sciulun, un antico podere tipico della tradizione architettonica piemontese. L’edificio è sempre appartenuto alla famiglia Conterno. Negli ultimi anni sono entrati in azienda i due figli di Franco, Daniele e Andrea che, seguendo le orme del nonno, hanno portato freschezza e innovazione in cantina e nei vigneti e continuano l’attività familiare lavorando, con passione e dedizione, i vigneti di proprietà.Dalle punte dei grappoli di Nebbiolo Doc e Docg vinificate in bianco nasce Na’ Punta, vino spumante prodotto con il metodo tradizionale della rifermentazione in bottiglia, spumante che riposa sui lieviti per almeno 40 mesi. La delicata tannicità delle uve di Langa sposa le finissime bollicine del perlage in una nebbia fitta e persistente. Colore giallo tenue con lievissimi riflessi rosati derivanti da una prima fermentazione in legno e dalla lunga permanenza sui lieviti. Il profumo è fine, minerale con note di mela, crosta di pane, frutta secca e vaniglia. In bocca è persistente, lungo, complesso, e si percepiscono tutte le sensazione che avevamo trovato al naso, il finale è asciutto, leggermente amarognolo. Ideale per piatti strutturati, antipasti e azzardando con carni e formaggi grazie alla sua notevole complessità.
Sommelier Bruno Bottazzi
Pulire le capesante e marinarle in una soluzione di acqua, sale e zucchero per 3 ore. Scottare le capesante in una padella di acciaio per pochi secondi per lato e concludere la cottura con del burro. Cuocere quindi la zucca, tagliata in 4 parti, a 170 gradi per 45 minuti coperta con della carta stagnola. Spolparla a caldo, frullarla insieme agli altri ingredienti. Riporre la crema in un sac a poche e mantenere in caldo. Nel frattempo, tostare le alette in forno statico per 25/30 minuti fino a farle diventare dorate. Tostare le verdure in una padella, sfumare con vino bianco, lasciar evaporare, quindi aggiungere il concentrato e le alette arrostite in forno. Aggiungere anche le erbe aromatiche, l’acqua, il ghiaccio e lasciar cuocere per 2 ore. Filtrare e far ridurre il fondo fino alla giusta consistenza. Mantenere in caldo. A questo punto, pulire i finferli eliminando la parte finale del gambo. Inserirli in un sacchetto sottovuoto per cottura con gli aromi e l’emulsione di olio e aceto. Chiudere la busta con una macchina del sottovuoto e cuocere in forno a vapore, a 86 gradi per 25 minuti.
Sbianchire le foglie di verza in acqua bollente salata per un paio di minuti. Raffreddarle in acqua e ghiaccio, asciugarle con della carta assorbente e stenderle su un foglio di silicone. Spennellare quindi la verza con dell’olio da entrambi lati. Lasciarla essiccare in forno statico a 60 gradi per una decina di ore, per poi friggerla in olio a 190 gradi per pochissimi secondi.
Per l’impiattamento, alla base del piatto, creare un cerchio con la crema di zucca calda. Posizionare le capesante scottate, i finferli appena intiepiditi, il fondo di pollo e le chips di verza. Concludere con del burro molto caldo e una grattata di pepe nero.
Motorizzazioni a benzina o elettrificate per vivere il massimo della sportività nel comfort di una sport utility. Struttura leggera, muscolatura avvolgente e dettagli di grande impatto caratterizzando l’ultima nata del marchio spagnolo
Matteo Dall’Ava
Terramar è il nome dell’emblematico circuito di gara di Sitges, vicino a Barcellona, in cui è nato il marchio Cupra. Ma è anche il modello dell’ultima sport utility che completa la gamma del marchio spagnolo votato alla sportività. Ecco perché il suo design enfatizza volutamente il punto in cui la terra
incontra la forza grezza ed elementare del mare. Un’automobile di 4,5 metri dal design audace in cui l’altezza e le dimensioni dei SUV si combinano con un approccio muscolare, caratterizzato da linee ad alto contrasto, tipiche dei progetti più sportivi di Cupra. Il suo frontale, con il prominente shark nose, presenta un cofano lungo e alto disegnato con una forma a V verso la parte inferiore della griglia. Elementi che ne aumentano il dinamismo, a trasmettere un sentimento di fierezza e
CUPRA GARAGE BELFORTE90
Viale Belforte 90, Varese 0332274073 www.belforte90.it
decisione. La parte posteriore dell’auto, per lo stesso principio, culmina in spalle robuste con superfici taglienti e negative, che le conferiscono personalità e carattere. Lungo la parte inferiore della fiancata, salta all’occhio la Rocker Wave, una linea sensuale e ascendente, simile a un’onda che solleva la vettura, conferendole una personalità unica. Struttura leggera, muscolatura avvolgente e dettagli di grande impatto che senza soluzione di continuità entrano nell’abitacolo della vettura. Così, la console centrale adotta una struttura con elementi grafici 3D dall’effetto grezzo, che le attribuiscono consistenza e senso di movimento. Mentre la muscolatura avvolgente si concentra sulle parti morbide e tattili con tecniche di goffratura, debossing e trafori a contrastare la durezza delle strutture. A incuriosire chi la guida e i passeggeri, invece, sono i pezzi color rame. Ecco 3 esempi di un lavoro molto più complesso che richiede, necessariamente, di essere visto dal vivo, come il virtual cockpit dietro il volante e il sistema di infotainment da 12,9”.
Un’auto che ha bisogno di essere guidata per apprezzare la dinamica di guida data dalle sospensioni sportive di serie, dallo sterzo progressivo e dalle pinze freno Akebono. Il tutto moltiplicato per le 5 differenti opzioni di propulsione con 3 diverse tecnologie da 150 a 272 CV: TSI benzina, Mild Hybrid e la nuova generazione e-Hybrid Plug-in, da oltre 100 km di autonomia elettrica. Tra l’altro, quest’ultima motorizzazione accetta la ricarica veloce in corrente continua fino a 50 kW.
Progettata e sviluppata a Barcellona, Cupra Terramar viene prodotta nello stabilimento all’avanguardia Audi di Györ in Ungheria con un listino di partenza di 42.250 euro. Cupra Terramar è già disponibile per i test drive al Cupra Garage Belforte90 di Varese.
Sono sempre di più le aziende non-automotive, che comprendono imprese di vari settori come tecnologia, finanza e servizi, che scelgono auto di lusso per migliorare la propria immagine e beneficiare di nuove agevolazioni fiscali
Matteo Dall’Ava
L'adozione di auto di lusso e supercar, specialmente elettriche, sta vivendo una fase di espansione significativa nelle flotte aziendali, grazie a trend di mercato e alle politiche fiscali in evoluzione. L’ultimo aggiornamento di settembre 2024 dell’Osservatorio UNRAE, l’associazione che rappresenta le case automobilistiche estere operanti in Italia, evidenzia una forte crescita del noleggio a lungo termine (NLT), con le aziende non-automotive che rappresentano il 72,4% degli utilizzatori principali. Questa tendenza riflette l’interesse di settori diversi dall’automotive nell’integrare veicoli di prestigio, inclusi i modelli elettrici, nelle proprie strategie di mobilità.
Le aziende non-automotive, che comprendono imprese di vari settori come tecnologia, finanza e servizi, scelgono sempre più spesso auto di lusso per migliorare l’immagine aziendale e per beneficiare di nuove agevolazioni fiscali. “L’attuale proposta di manovra finanziaria 2025, ancora in fase di approvazione, promette di rivoluzionare il trattamento dei fringe benefit, riducendo la tassazione al 10% per le auto elettriche, rispetto al 50% per quelle a combustione interna”, spiega Rossella Bucca, Ceo di ExecutiveLease, tra i partner delle covenzioni offerte
EXECUTIVELEASE
Via Volturno 37, Brugherio (MB)
https://executivelease.it/
alle imprese da Confindustria Varese. “Questa novità renderebbe ancora più vantaggiosa l’inclusione di supercar elettriche, come l’Audi e-tron RS GT o la Tesla Model S Plaid, nelle flotte aziendali”. L’Osservatorio rivela anche che nei primi 9 mesi del 2024 il 12% dei contratti NLT è stato destinato a veicoli elettrici e ibridi plug-in, a dimostrazione di un trend crescente verso la sostenibilità. Questo dato è particolarmente rilevante per le auto di lusso, in quanto testimonia che il prestigio non è più sinonimo di alte emissioni, ma può anzi combinarsi con una mobilità eco-sostenibile. L’adozione di modelli di lusso a zero emissioni non solo migliora la percezione dell’azienda in termini di responsabilità ambientale, ma permette di ottenere benefici concreti sia per i datori di lavoro sia per i dipendenti.
I vantaggi per le aziende includono
la deducibilità dei costi di noleggio o acquisto e delle spese di ricarica, che, per le auto elettriche, possono arrivare fino al 100% per veicoli a uso esclusivamente aziendale. Questi incentivi, insieme a una minore tassazione sul fringe benefit, possono rendere le auto di lusso elettriche una scelta fiscalmente ed economicamente conveniente. Inoltre, per i dipendenti, un’auto di lusso elettrica assegnata come benefit comporta una tassazione inferiore rispetto ai modelli tradizionali, aumentando il valore netto del compenso. La crescita del NLT e le probabili nuove proposte fiscali renderebbero l’inclusione di auto di lusso elettriche una scelta vantaggiosa per chi desidera unire eccellenza e rispetto ambientale, preparando il terreno per una mobilità aziendale proiettata verso il futuro.
Nel corso dell’evento “La Fabbrica del futuro”, organizzato da Elmec Solar e MC Prefabbricati, sono stati esplorati i nuovi trend nella progettazione degli spazi lavorativi: le aziende creano ambienti sempre più sostenibili e pensati come luoghi “da vivere”.
Ripensare al processo di riqualificazione di un’azienda in un’ottica più sostenibile e integrata nel territorio che la ospita si presenta come una realtà sempre più possibile. Questo è quanto emerso da “La Fabbrica del Futuro. L’evoluzione dell’architettura industriale e l’impiego delle energie rinnovabili per promuovere l’efficienza delle sedi e il benessere delle persone”, evento organizzato da Elmec Solar, l’azienda del gruppo Elmec che si occupa di installare e manutenere impianti fotovoltaici residenziali e industriali, in collaborazione con MC Prefabbricati e con il patrocinio dell’Ordine degli Architetti di Varese. A moderare i diversi interventi con entusiasmo e profonda conoscenza delle tematiche affrontate, la giornalista e divulgatrice Nicoletta Boldrini
Ospite dell’evento l’architetto e urbanista Stefano Boeri, che nel suo intervento dal titolo “Green Obsession: ripensare gli spazi produttivi tra energia e natura”, ha messo in evidenza il valore aggiunto portato dal rispetto per la dimensione ambientale negli spazi di lavoro e di quelli produttivi. I numerosi progetti curati dal suo studio Stefano Boeri Architetti sono caratterizzati da un forte legame con il territorio, sia per l’approvvigionamento di materie prime, sia per il dialogo sempre aperto con la comunità. In questo scenario, anche l’approvvigionamento energetico di un’azienda consente di avvantaggiare la comunità che la circonda: le fabbriche possono diventare veri e propri centri di produzione dell’energia, ad esempio attraverso la creazione di impianti fotovoltaici sui tetti o lo sfruttamento del calore dei data center per il supporto di altre attività.
“La sfida dell’intelligenza artificiale è gigantesca, con potenziali vantaggi enormi ma a costo di un consumo energetico insostenibile. Da un lato, oggi ci sono insediamenti produttivi che hanno saputo lavorare sul territorio - costruendo edifici con funzioni diverse, in una sorta di campus o “fabbrica arcipelago” - rilanciando le esperienze migliori della storia industriale e produttiva del nostro Paese, come Crespi d’Adda e lo straordinario caso di Olivetti a Ivrea. Dall’altro, dobbiamo fare grande attenzione a quei paesaggi legati alla velocissima costruzione di data center come grandi contenitori specializzati, spesso realizzati senza una logica di pianificazione urbana e di riduzione dell’impatto ambientale, che rischiano di diventare strutture altamente energivore se non affiancate, ad esempio, a strategie di recupero del calore emesso”, spiega Stefano Boeri
Nel corso dell’evento, imprenditori e progettisti hanno messo in evidenza una nuova concezione di azienda intesa non solo come luogo produttivo, ma come un contesto che si integra nel tessuto urbano e che mira a diventare un punto di riferimento per la comunità. Nel Campus tecnologico dell’azienda varesina i presenti hanno
potuto assistere a testimonianze dirette di aziende che hanno già affrontato con successo il processo di espansione e innovazione. Tra gli intervenuti, Stefano Romanó, CEO di Tor.Met, Massimiliano Di Caro, General Manager di Raviolificio lo Scoiattolo e Barbara Cimmino Head of CSR & Innovation Yamamay, che hanno raccontato di come le loro aziende si siano sviluppate in armonia con i territori che le ospitano, porgendo sempre un occhio di riguardo ai propri dipendenti, attraverso progetti di welfare aziendale, e anche alle comunità locali. Cimmino, che ricopre anche il ruolo di Vicepresidente di Confindustria, ha inoltre parlato del Progetto MILL (Manifacturing, Innovation, Learning, Logistics), attività legata al Piano Strategico #Varese2050 che Confindustria Varese ha lanciato per il riposizionamento competitivo di tutto il territorio.
“Con grande orgoglio abbiamo ospitato questo importante evento che ci ha dato l’opportunità di aprire le porte della nostra sede a una vera e proprio autorità del settore architettonico-urbanistico come l’Architetto Stefano Boeri e a rappresentanti di aziende che testimoniano come un futuro più verde e a contatto con la comunità sia una realtà possibile. Attraverso lo sfruttamento dei tetti per la creazione di impianti fotovoltaici e l’adesione a comunità energetiche, le stesse aziende possono contribuire all’approvvigionamento sostenibile delle comunità in cui sono inserite. Per aiutare le imprese a capire il potenziale di questi impianti, Elmec Solar ha ufficialmente inaugurato il ‘Laboratorio a cielo aperto’, dove è possibile toccare con mano gli oltre 270 pannelli solari che permettono alla nostra azienda un costante approvvigionamento di energia sostenibile” ha commentato Alessandro Villa, Amministratore Delegato di Elmec Solar
elmecsolar.com
TERZA PAGINA
Un’altra stagione del Chiara volge al termine
DAL WEB
È tempo di sfide
COMUNICARE Il fascino ambiguo della verità
Lisa Aramini Frei
Si è conclusa la 36esima edizione del Premio letterario made in Varese dedicato al celebre scrittore originario di Luino. Vincitrice, tra le opere in concorso edite nel 2024 tra Italia e Svizzera, la raccolta di racconti “La vita è breve, eccetera” di Veronica Raimo. Nella sezione giovani, primo e secondo posto a due fratelli luinesi
Un Premio che da oltre 36 anni promuove la scrittura di racconti, ispirandosi al celebre autore luinese Piero Chiara. Centinaia di persone, attraverso i loro pensieri messi per iscritto, hanno partecipato a questo riconoscimento letterario che, anno dopo anno, richiama l’attenzione sia a livello nazionale sia oltre confine. Il Premio Chiara celebra la forma breve, il genere prediletto dallo scrittore di Luino. L’edizione appena conclusa ha regalato una vittoria al fotofinish: la scrittrice romana Veronica Raimo, con la raccolta di racconti “La vita è breve, eccetera”, edita da Einaudi, ha ottenuto 55 voti, superando per un soffio gli altri due finalisti, Santo Piazzese, “Sei casi
per Lorenzo La Marca”, con 54 voti ed Helena Janeczek, “Il tempo degli imprevisti”, con 38 voti. L’opera vincitrice presenta una serie di racconti dissacranti e talvolta malinconici, in cui le protagoniste sono donne complesse, contraddittorie, in bilico tra relazioni e desideri, libertà e scaramanzia, ribellione e quotidianità. “Non mi aspettavo minimamente di vincere – confessa a Varesefocus Raimo – anzi, avevo scommesso con un’amica che non sarebbe successo. Ora devo pagarle una cena! Esistono pochi premi che valorizzano i racconti: la maggior parte dei riconoscimenti letterari tende a favorire i romanzi. Il Premio Chiara, invece, è importante proprio perché dà risalto a questa forma letteraria. Per questo sono
Per la prima volta il Premio Chiara Giovani, rivolto a ragazzi dai 15 ai 20 anni, ha visto al primo e al secondo posto due fratelli originari di Luino, città natale dello scrittore Piero Chiara: Mario e Claudio Facchetti, rispettivamente di 17 e 15 anni
felice di aver vinto un concorso così speciale”. Mantenendo vivo il legame con Piero Chiara, la kermesse letteraria varesina non si limita a celebrare il passato, ma guarda anche al futuro, promuovendo la scrittura tra i giovani e, come in questa edizione, anche in ambito familiare. Per la prima volta, infatti, il Premio Chiara Giovani, rivolto a ragazzi dai 15 ai 20 anni, ha visto al primo e al secondo posto due fratelli originari di Luino, città natale dello scrittore: Mario e Claudio Facchetti, rispettivamente di 17 e 15 anni. Il tema del concorso giovanile era “Stupore” e i due fratelli lo hanno interpretato in modo originale e personale. “Il mio racconto – spiega Mario Facchetti – è narrato in prima persona e racconta l’intervista ad un uomo anziano, Glauco Alfieri, il più vecchio della provincia. L’intervista inizia con domande classiche, come il segreto della longevità, ma poi si sviluppa in modo più intimo, con l’anziano che paragona i suoi ricordi ad un orto da coltivare. Per me è stata un’occasione per riflettere sul valore della memoria e sull’importanza di preservare i ricordi.”
Anche Claudio ha affrontato il tema in modo personale, raccontando una gita familiare a Castel del Monte. “È un luogo misterioso e
affascinante – racconta
Claudio Facchetti – che mi ha colpito per la sua atmosfera unica. Ho deciso di ambientare lì il mio racconto, ispirandomi anche alla figura di Federico II, detto Stupor Mundi, che riuscì a fare una crociata senza spargimenti di sangue. Nel mio testo, il protagonista esplora il castello e riflette sul senso dello stupore, tema del concorso”.
La vittoria dei fratelli Facchetti rappresenta non solo un riconoscimento ai loro giovani talenti, ma anche un tributo alla terra di Piero Chiara, il cui spirito letterario sembra ancora vivo tra i giovani luinesi. Un altro talento emergente è Laura Pontecorvi, originaria di Latina, che si è classificata al quarto posto e ha vinto anche il Premio “Un racconto per un viaggio”, una categoria al suo secondo anno di vita, con una giuria interamente composta da giovani vincitori ed ex finalisti del Premio Chiara Giovani. “Ho desiderato partecipare per
molto tempo – ha raccontato Laura – anche quando ero troppo giovane per farlo. Solo l’anno scorso ho trovato il coraggio di provare e posso dire di aver fatto bene. Non conoscevo Piero Chiara prima di questo concorso, ma ora sono curiosa di leggere le sue opere”. Un ulteriore riconoscimento, il Premio Regio Insubrica, riservato agli autori del territorio insubre, è andato a Benedetto Viganò per il racconto “Luci oltre la finestra”. Il testo narra la storia di un ragazzo che, guardando fuori dalla finestra, trova nella monotonia della vita quotidiana uno spunto per evadere con la mente e lasciarsi stupire dal mondo. Ad aggiudicarsi il Premio Chiara Inediti, che mette in palio la pubblicazione di una raccolta di racconti edita da Pietro Macchione Editore, sono stati due autori a pari merito: il collaboratore di Varesefocus, Alberto Bortoluzzi, autore di “Long Drink, sessantacinque sorsi di vita vissuta” e Francesco Scaramozzino con “Il
significato della luna”. La Giuria ha voluto, in questo caso, premiare entrambi gli scrittori, riconoscendogli un’analoga qualità nell’offrire due stili narrativi e punti di vista distinti sulla realtà. Da quasi 40 anni, il Premio Chiara continua a promuovere la narrativa breve, un genere letterario troppo spesso trascurato, ma che la kermesse varesina riesce, con il suo ricco calendario di eventi e il grande impegno dei suoi organizzatori, Bambi Lazzati in primis, ad ergere a strumento prezioso di espressione, anche e soprattutto per i giovani e per affrontare le complessità della vita quotidiana. “La mia scrittura è frammentaria –conclude Veronica Raimo – e mi affascinano i racconti imperfetti, quelli che lasciano una sottile frustrazione. Scrivere consente di narrare storie diverse in pochi frammenti, come le tessere di un mosaico. Unite possono formare una visione complessiva della vita di tutti”.
Il mercato dei libri ha registrato per narrativa e saggistica una flessione nei primi 8 mesi di quest’anno rispetto al 2023. Eppure, negli ultimi 5 anni la spesa dei lettori per l’acquisto di libri, secondo l’Associazione Italiana Editori, aveva avuto un aumento di 9 milioni di copie. Chissà se i prossimi mesi non faranno la differenza e regalare un libro a Natale non possa ridare linfa al mercato. L’augurio è che siano proprio le festività a far riscoprire a grandi e piccini il gusto per la lettura di qualità e per le piccole cose belle
Silvia Giovannini
Piccolo Yeti vive in alto fra le montagne innevate, con mamma e papà Yeti, che sono sempre occupati e non hanno tempo per giocare con lui. E così si sente un po’ solo.
Parte da qui un viaggio, raccontato attraverso splendide illustrazioni che accompagnano piccoli e grandi lettori dentro atmosfere invernali. Nel suo viaggio, Piccolo Yeti scoprirà la meraviglia dell’amicizia,
Vorrebbe cercare qualche amico, magari fra gli umani. I suoi genitori, tuttavia, lo mettono in guardia: loro sono molto pericolosi, è bene non averci a che fare. Un giorno però Piccolo Yeti si allontana dalla sua caverna in cerca di un po’ di agrifoglio e si lascia trasportare dal desiderio di esplorare nuove avventure. E quando da lontano vede 3 piccoli esseri umani in passeggiata, non resiste e decide di seguirli di nascosto.
della lettura in compagnia e, insieme, la magia del meraviglioso mondo di Babbo Natale. Un libro arricchito da straordinarie immagini invernali che è un regalo perfetto per le prossime festività per un bambino, ma anche per un adulto dal cuore tenero.
Angelique Leone, Christine Davenier
Piccolo Yeti Nomos, 2024 nomosedizioni.it
“A Natale son tutti più buoni. È il prima e il dopo che mi preoccupa” (Peanuts, Charles M. Schulz)
Luciano Landoni
La vita e l’impresa secondo Valter
Il giornalista varesino, stimata firma delle storie d’impresa locali, racconta nel suo ultimo lavoro la vita di Valter Bellosi, imprenditore brianzolo nel settore del design interno casa.
Classe 1966, terzo dei figli di Giancarlo e Gianpiera Galimberti, l’imprenditore condivide in questo volume un pezzetto della sua storia, ma soprattutto si proietta verso il futuro, lasciando poco spazio ai ricordi del passato e, in special modo, ai rimpianti. “Quello che è stato è stato – aff erma con sbrigativo pragmatismo –, è quello che sarà che conta veramente”.
guerini.it
Riccardo Conte
Un martire della libertà di religione
L’autore napoletano, avvocato milanese, varesino d’adozione, dedica un corposo lavoro a Pietro Giannone (1676-1748), uno dei massimi esponenti del pensiero giurisdizionalista. Per le critiche alla Chiesa, fu perseguitato dall’Inquisizione:
costretto a un esilio di 12 anni, ne trascorse altrettanti in carcere, fino alla morte. “Fu cristiano sui generis: critico nei confronti dei culti non essenziali, delle discussioni teologiche oziose, della proclamazione di nuovi dogmi e del primato petrino. Il suo pensiero è esaminato con particolare riferimento all’opera Triregno, incompleta a causa dell’arresto”.
mimesisedizioni.it
Claudio Bossi
William Nutbean: un malvivente vittoriano redento dal Titanic
Il disastro del Titanic continua ad affascinare generazioni di appassionati: lo conferma anche il successo della recente mostra immersiva milanese. Quella di William Nutbean è una delle tante storie avvincenti: un uomo proveniente da un’infanzia povera e violenta, che si ritrovò coinvolto in uno dei disastri marittimi più noti al mondo. La sua vita cambiò quella notte del 15 aprile 1912, ma per oltre 1.500 persone quella data segnò la fine delle loro storie. La possibilità di cambiare è un tema centrale nella sua vicenda.
Claudio Bossi è uno scrittore e uno storico, considerato tra i più qualificati esperti internazionali della storia del Titanic.
macchionepietroeditore.it
Le ultime notizie dalle #ImpresediVarese dal web e dai social network. Su varesefocus.it e confindustriavarese.it
Generazione d’Industria
decolla da Leonardo
Prende il via la 14esima edizione del progetto di Confindustria Varese, pensato per diffondere la cultura d’impresa nelle scuole e investire
nel talento degli studenti degli istituti superiori tecnici ed economici. Per l’occasione, è stato organizzato un evento di lancio, insieme a Leonardo Elicotteri.
“Conoscere per crescere: nuova finanza d’impresa e mercato dei capitali per lo sviluppo imprenditoriale”: un confronto che si è tenuto nella sede di Borsa Italiana a Milano per approfondire i percorsi che le imprese, soprattutto le Pmi, possono intraprendere per aprirsi al mercato dei capitali.
Raccogliere la domanda di energia del sistema produttivo per fare massa critica e spuntare sul mercato condizioni migliori di quelle che le imprese otterrebbero da sole. È questa la missione che porta avanti da 25 anni Energi.Va, uno dei maggiori consorzi italiani di acquisto di fonti energetiche.
Sui social un racconto settimanale delle startup innovative associate a Confindustria Varese. La prima storia è quella di PopulaRise, startup varesina che si occupa di realizzare contenuti video per aiutare le imprese ad avere maggior visibilità online del proprio brand.
Il vettore di Castellanza ha aperto le proprie porte alle altre imprese nell’ambito del progetto “Fabbriche Vetrina”, promosso dalla rete dei Digital Innovation Hub e da Confindustria Varese. Innovazione, passaggio generazionale, inclusione e sostenibilità i punti di forza al centro dell’incontro.
Etica e trasparenza sono state al centro di un incontro di Glocalnews, il festival del giornalismo organizzato da VareseNews, sulla relazione tra comunicatori d’impresa e giornalisti, che ha messo l’accento sull’importanza del rispetto reciproco e sulla forza delle competenze. Nel dibattito si è parlato del rapporto tra informazione e oggettività. Un binomio che in tempi di AI assume nuove sfumature
Nel settembre del 2000 la prima puntata del Grande Fratello serviva in pasto al pubblico televisivo italiano un piatto ricco di ingredienti che avrebbero portato a riflessioni profonde sulle nuove forme di comunicazione tra trash, intrattenimento e sociologia.
Tra quei concorrenti “pionieri” di un genere, uno degli aggettivi più usati per definire i compagni era “persona vera”. Non onesta, sincera, schietta, ma vera, come punto più alto nella scala di bontà. Un paradosso che se ne abusasse in un ambito del tutto artificioso, ma a pensarci bene questa è l’essenza stessa dei reality. In effetti, in quanti altri ambiti vero e falso sono tirati in ballo con
troppa leggerezza? Senza scomodare l’evangelico “La verità vi farà liberi”, il concetto meriterebbe usi meno superficiali.
Al recente festival del giornalismo Glocalnews, organizzato da VareseNews, Gianfranco Fabi (speaker accanto a Nicoletta Angioni
di SEA, Piero Orlando d’I Comunicazione, Andrea Camurani del Corriere della Sera e Varesenews e Davide Cionfrini di Confindustria Varese) in un incontro sul rapporto tra uffici stampa e giornali, ha magistralmente riportato l’accento su questo. “Bisogna fare attenzione nel parlare di verità”, ha sottolineato il giornalista di recente premiato dall’Ordine con una medaglia per i 50 anni di carriera. Non solo si tratta di un concetto così alto da essere un obiettivo non sempre raggiungibile, ma il suo valore è relativo, soprattutto nel campo dell’informazione. La verità, sì. Ma quella di chi?
Silvia Giovannini
Per giornalisti e comunicatori la ricerca di trasparenza, coerenza, onestà intellettuale è continua, ma si tratta di valori non per forza equivalenti al concetto di verità. Bisogna stare attenti a non farsi abbagliare. Oggi, in particolare, c’è qualcosa che spariglia le carte. Se la verità del dato, elaborata da una Intelligenza Artificiale, entra come nuovo giocatore nel campo dell’informazione, è bene non sottovalutarlo. “ChatGPT è più empatica della metà delle persone che conosco”, dicono spesso i giovani. Come dar loro torto? Ma in quanto a verità, come siamo messi? Lungi da noi fare previsioni, ma un azzardo si: questo sarà uno dei temi del 2025. Se il nuovo concorrente nel nostro Grande Fratello collettivo è la AI, che per sua natura la sa lunga, ma che non per forza “dice la verità”, avere spirito critico sarà l’unica bussola per orientarsi.