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La fotografia del Covid-19 nei polmoni

Le radiografie e soprattutto le TAC del torace sono in grado di individuare un contagio da Coronavirus che si presenta in forma diversa da una tradizionale polmonite batterica. Differenze che permettono di diagnosticare, lastre alla mano, la presenza del virus anche in casi con sintomi lievi e qualche volta addirittura asintomatici

Davide Cionfrini

‘‘Delle sfumate opacità che ricordano il vetro smerigliato e che fanno perdere il tradizionale disegno del polmone”. Ecco come si presenta nelle fasi iniziali il Covid-19 in una radiografia o nelle immagini di una TAC. C’è chi il Coronavirus lo vede negli occhi attraverso un microscopio e chi lo guarda in faccia attraverso le lastre. Tra questi medici c’è Alfredo Goddi, specialista di radiologia e direttore sanitario del Centro Medico SME di Varese. Un punto di vista diverso, il suo, rispetto a quello dei virologi che nel vortice mediatico di questi mesi stanno analizzando l’andamento della pandemia, mettendoci giustamente in guardia da un’emergenza che non è ancora finita. Cosa succedeva nelle radiologie nel momento più critico della diffusione del contagio? Una domanda non banale se si pensa, come pochi sanno, che la presenza o meno del Covid-19 in un corpo si può diagnosticare non solo con i tamponi, ma anche proprio attraverso una radiografia o, ancor meglio, una TAC. “Una polmonite batterica – spiega Goddi – si presenta normalmente nell’immagine che riproduciamo con i nostri esami, come un’unica ‘macchia’ bianca localizzata in un punto preciso, in un lobo o un segmento del polmone. Quando si è di fronte ad un soggetto contagiato dal Covid-19, invece, le ‘macchie’ sono sparse nei polmoni, più piccole, diffuse e sfumate, più grigie che bianche. Come un vetro smerigliato appunto”. Una distinzione che permette dunque ad un centro diagnostico di intercettare i positivi quando sono poco sintomatici. Sì, perché avere modesti disturbi respiratori non vuol dire non avere un interessamento dei polmoni. E di questo ci si rende conto, a volte, solo dopo la guarigione. Anche su questo Goddi, con la sua esperienza, cerca di sfatare miti e dare informazioni poco conosciute: “In diversi soggetti che avevano accusato sintomi lievi o addirittura asintomatici abbiamo registrato dei danni polmonari calcolabili in una perdita del volume del polmone del 20% nei controlli a distanza”. Per chi medico non è “parliamo di una soglia – precisa Goddi – che non produce problematiche evidenti e percepibili dalla persona”. Nessuna difficoltà nella respirazione, dunque. “I problemi, però, potrebbero arrivare nel corso nel tempo. All’insorgere, negli anni successivi, di una bronchite o con l’invecchiamento”. Da qui l’importanza nel post-Covid, di una diagnosi che permetta di intervenire eventualmente “con una fisioterapia respiratoria, una sorta di ginnastica fatta di esercizi di respiro che consentono al polmone di allenarsi e riprendere, almeno in parte, il proprio volume. Come fosse una spugna”, spiega Goddi. Le conferme alle sue parole arrivano da Tiziano Frattini che dirige il Servizio di Radiologia della Casa di Cura Fondazione Gaetano e Piera Borghi di Brebbia: “Il Covid-19 si presenta con addensamenti a smeriglio plurifocali, anche in casi apparentemente asintomatici o all’inizio, quando i sintomi sono ancora lievi”. Quali possano però essere i danni nel tempo “ancora non lo conosciamo appieno, anche se è stata dimostrata la comparsa a distanza di danni polmonari significativi, anche in pazienti all’inizio poco sintomatici”. L’attività di individuazione del Covid attraverso radiografie o TAC è stata fondamentale, soprattutto nei mesi difficili di marzo e aprile, “quando i tamponi non c’erano o erano insufficienti”, ricorda Goddi riportando alla luce una situazione non troppo lontana nel tempo. Al centro diagnostico SME di Varese “non arrivavano i casi conclamati, quelli con sintomi acuti, questi venivano gestiti direttamente dal sistema ospedaliero”, racconta Goddi. “In centri come il nostro, invece, venivano i casi più sfumati o potremmo dire incerti.

Insomma, quelli non ancora inquadrati, a cui magari il medico di base prescriveva un controllo per dare risposte a sintomi banali”. Oggi si farebbe un tampone, ma allora non era facile trovarne. “Con l’esperienza e il passare dei giorni, anche attraverso webinar svolti insieme ai colleghi cinesi, acquisimmo presto il know-how per intercettare il Covid attraverso i nostri esami. Capimmo subito che meglio della radiografia poteva agire la TAC e grazie alla tecnologia in dotazione al nostro centro potevamo svolgerla con una dose non troppo superiore di raggi X, anche a tutela del paziente”. Leggermente diversa, invece, la necessità di intervenire con esami radiologici per un centro come la Casa di Cura Fondazione Gaetano e Piera Borghi di Brebbia: “Per noi – racconta Frattini – l’esigenza era ed è quella di creare tutte le condizioni per una struttura Covid-free. I nostri utenti che arrivavano e arrivano per esempio per le riabilitazioni post-intervento ortopedico, per la riabilitazione neurologica o recupero dopo un’ischemia cardiaca vengono sottoposti a un’indagine radiografica del torace all’ingresso e in caso di risultato equivoco, ad una TAC basale del torace. Inoltre, i pazienti di nuova ammissione rimangono, per un periodo di 7 o 10 giorni, in una sorta di zona limbo con camere singole isolate dal resto della struttura”. Come un’anticamera protetta, in attesa di tutti i responsi necessari. Proprio la particolarità di poter intercettare un contagio da Covid-19 attraverso una TAC potrebbe far venire la tentazione di usare anche questa strada come possibilità di tracciamento del propagarsi del virus “e così in effetti è stato all’inizio dell’emergenza, proprio quando i tamponi erano pochi”, racconta Goddi: “Ma la cosa non sarebbe gestibile e poi non è questa la funzione delle radiologie che invece possono essere utili nel controllo e nel monitoraggio dell’evoluzione delle conseguenze sui polmoni nei soggetti guariti”. La sicurezza, però, prima di tutto: “Nelle nostre sale diagnostiche riusciamo oggi a sanificare gli ambienti in 11-14 minuti grazie ad un sistema di raggi UV che da solo elimina il 95% dei virus, a cui si aggiunge un sistema di ventilazione puntuale di 50 ricambi d’aria completi in un’ora. All’inizio della pandemia, tra un esame e l’altro si dovevano attendere, invece, 60 minuti”. In questo, come in altri casi, sta aumentando dunque la capacità di reazione al Coronavirus che si combatte anche attraverso la tecnologia: “Per noi è fondamentale – chiosa Goddi – la capacità di ricreare con le nostre TAC delle immagini in 3D dei polmoni, più chiare e nitide. Possiamo anche metterle a confronto, per capirne l’evoluzione, con i primi esami eseguiti ai pazienti in corso di ricovero presso il sistema sanitario pubblico. Il software di elaborazione avanzata consente di convertire anche le immagini pregresse in visualizzazione tridimensionale”. La sfida della riabilitazione postCovid, si gioca anche su questa frontiera. ■

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