



Silvia Pagani
Direttore Confindustria Varese
Il benessere sociale in provincia di Varese migliora. È questa la buona notizia che troverete e che potrete approfondire sul nuovo numero di Varesefocus. I dati sono stati annunciati durante l’ultima Assemblea Generale di Confindustria Varese. A illustrarli dal palco lo stesso Presidente di Confindustria Varese, Roberto Grassi, che ha aggiornato la platea di imprenditori, politici, parti sociali, giornalisti e autorità sulle ultime elaborazioni dei ricercatori dell’Institute for Entrepreneurship and Competitiveness della LIUC –Università Cattaneo con le quali è stato stilato il Social Progress Index 2024. Risultato: in un anno il Varesotto ha guadagnato 6 posizioni nella propria capacità di garantire bisogni fondamentali (come un’assistenza medica di qualità, una buona gestione delle acque, sicurezza personale, disponibilità di abitazioni), benessere (declinato sui fronti dell’accesso alla conoscenza, alle informazioni, alla protezione sanitaria e una migliore qualità dell’ambiente), opportunità di realizzazione personale (grazie a diritti e libertà personali garantite, inclusività, livelli di educazione avanzata). Parametri di uno sviluppo che sa andare oltre la semplice crescita economica e che posiziona Varese al 22esimo posto tra
le province italiane. È merito di molti soggetti. Le imprese stanno facendo la loro importante e fondamentale parte. Ma è un risultato condiviso a cui partecipano mondo della cultura, parti sociali, amministrazioni pubbliche, associazioni e cooperative, realtà del volontariato. Per riprendere le parole del Presidente Grassi: “Vediamo crescere e canalizzare gli sforzi di tanti attori del territorio in tal senso. A partire dalla Camera di Commercio di Varese, guidata da Mauro Vitiello. Lo scenario sta mutando in meglio. Dobbiamo continuare su questa strada perché non c’è sviluppo senza progresso sociale”. Con questa convinzione Confindustria Varese si è aperta, in questi ultimi due anni seguiti al lancio del Piano Strategico #Varese2050, alla collaborazione con il mondo culturale attraverso, ad esempio, il Patto per le Arti, sottoscritto insieme al Museo Maga di Gallarate e alla partecipazione alla Fondazione del Museo Volandia. Così come ci siamo maggiormente aperti al mondo del sociale impegnandoci sui temi del lavoro nelle carceri, insieme alla Casa Circondariale di Busto Arsizio; della parità di genere, insieme a Provincia e Prefettura e con l’attività di certificazione delle imprese attraverso la nostra società Servizi Confindustria Varese; dell’avviamento al lavoro dei disabili, insieme alle Fondazioni Piatti e Bellora e all’impresa sociale Pappaluga; del
contrasto al disagio giovanile, insieme al Ponte del Sorriso e all’Associazione Karakorum; dei rifugiati, con la firma di un protocollo di intesa con Prefettura, parti sociali ed enti del terzo settore, finalizzato a favorire l’inclusione attraverso il lavoro. Lo ribadiamo ancora una volta: non è questione di essere buoni. E nemmeno buonisti. È volontà di contribuire a dare vita, come parte sociale e insieme alle imprese, ad una società più giusta e a fare del territorio un’area attrattiva per giovani, persone, talenti. Fa parte di questa azione anche la diversa narrazione delle nostre comunità attraverso le pagine di Varesefocus. Come facciamo con questa nuova edizione in cui parliamo di itinerari turistici da riscoprire, di nuovi metodi di approccio ai problemi della terza età, di Intelligenza Artificiale, di iniziative di integrazione attraverso il lavoro e che mettono insieme industria, cooperative, mondo della pasticceria, di formazione delle nuove generazioni sui fronti tecnologici, di iniziative imprenditoriali che escono dai laboratori di ricerca delle nostre Università per diventare startup. Tante piccole e grandi storie diffuse che speriamo possano ispirare e diventare sempre più numerose. Perché sono la sintesi di quella #Varese2050 che vorremmo.
C’è tanto fermento sociale che vediamo crescere e che vi vogliamo raccontare.
In copertina il Lago di Monate. Credit karlo54/stock.adobe.com
I lavori in corso per la #Varese2050
Il cantiere delle startup
Il cantiere dell’innovazione
Il cantiere Esg
Il cantiere filiere e cluster
Roberto Grassi
Silvia Pagani Davide Cionfrini
Piazza Monte Grappa, 5
21100 Varese
T. 0332 251.000 - F. 0332 285.565 M. info@varesefocus.it reg. n. 618 del 16/11/1991 - Trib. Varese
Paolo Marchetti
Roto3 Srl
Via per Turbigo 11/B - 20025 Castano Primo (Mi) T. 0331 889.601
Servizi Confindustria Varese Srl
Via Vittorio Veneto, 8/E 21013 Gallarate (VA) - T. 0331 774.345
Servizi Confindustria Varese Srl
M. commerciale@servizi.confindustriavarese.it
T. 0331 774.345
Varese migliora nel progresso sociale
Lake lovers L’alternativa della piscina
Tutte le strade della farmaceutica portano a Origgio Quando l’informatica incontra l’arte Molto più di un gelato
STARTUP
La startup che studia e alleva le sanguisughe
La cultura d’impresa premia i migliori studenti varesini
Alzi la mano chi vuole studiare i robot
UNIVERSITÀ
La mappa dei magazzini nella regione logistica
Milanese
SCIENZA & TECNOLOGIA
Le domande da porsi sull’AI
RUBRICHE SU LUOGHI E BELLEZZA
Come nasce un arredo da esterno
L’Officina del Sapere
La terza età del gioco
La Via delle api Sentieri di Pace
Alla scoperta dell’Anello di San Quirico
Omaggio a Sylva L’umanità dell’arte
I campioni di lancio di Busto Arsizio
SU
E DIGITALE
Terza pagina
I lavori in corso di Confindustria
Varese per la costruzione di una nuova competitività e attrattività del sistema produttivo del territorio si concentrano su filiere produttive, startup, ecosistema dell’innovazione, Esg. All’indomani dell’Assemblea Generale degli industriali varesini, il punto della situazione sull’implementazione e la fase esecutiva del Piano Strategico lanciato dall’Associazione datoriale per rilanciare lo sviluppo non solo economico. Centrale rimane l’obiettivo di incidere anche sul progresso sociale su cui la provincia sta migliorando il proprio posizionamento, come emerge dagli ultimi dati del Social Progress Index
Non solo la creazione dell’acceleratore d’impresa Mill al fianco della LIUC – Università Cattaneo. Dopo il lancio del Piano Strategico per il riposizionamento competitivo del territorio, Confindustria Varese ha aperto 4 cantieri progettuali sui temi delle filiere produttive, delle startup, dell’Esg e per la costruzione di un nuovo ecosistema dell’innovazione. Il punto della situazione in un’intervista al Presidente Roberto Grassi: “Tra i nostri obiettivi c’è quello di aumentare la collaborazione tra sistema produttivo e il Jrc di Ispra”
‘‘Innovativa, tecnologica, sostenibile, inclusiva, europea”. In una parola: “Industriale”. È questa la provincia varesina che immagina per il futuro il Presidente di Confindustria Varese, Roberto Grassi. Aggettivi qualificativi di un territorio con i quali ha concluso la sua relazione all’Assemblea Generale 2024 degli industriali all’ombra delle Prealpi. Il contesto: gli stabilimenti di MV Agusta Motor sulle sponde del Lago di Varese. Il tema: quello dell’innovazione. Ma soprattutto di come costruire una nuova competitività per le imprese. A partire dall’implementazione, con azioni concrete, del Piano Strategico #Varese2050: “Siamo da tempo nella fase di execution”, precisa Grassi: “Subito dopo la sua presentazione alla nostra Assemblea Generale del 2022, abbiamo avviato progetti concreti. Stiamo realizzando azioni a supporto delle filiere, delle startup, dell’innovazione, dei temi Esg”. Quattro cantieri per costruire un futuro di crescita per il territorio, avviati anche a fronte di una promessa: “Nuove idee, nuove tecnologie generano nuovi investimenti ed aumentano la produttività di tutti noi e la competitività del sistema. Ne siamo così coscienti che la costruzione di un ecosistema dell’innovazione e sviluppo delle startup, a partire dai nostri cluster industriali territoriali, è diventata il centro dell’azione di rinnovamento competitivo che abbiamo intrapreso con il Piano Strategico #Varese2050. Serve un acceleratore d’impresa e di innovazione. Un impegno che, come
Confindustria Varese, ci siamo presi nei confronti del territorio e che stiamo rispettando con il progetto Mill che sorgerà al fianco della LIUC”.
Presidente Grassi, a che punto è il progetto Mill?
Dopo aver superato la fase autorizzativa, ora Mill è entrato nella fase progettuale. Abbiamo lanciato un beauty contest a cui hanno partecipato diversi studi di architettura italiani. Le proposte ci sono già state tutte consegnate e nelle scorse settimane abbiamo svolto la fase di selezione. Stiamo programmando la presentazione del concept e dello studio di architettura che progetterà il cantiere.
E nel frattempo? Confindustria Varese cosa sta facendo per contribuire a quel fermento imprenditoriale, la cui crescita è uno dei principali pilastri del suo Piano Strategico?
Come abbiamo sempre detto, Mill non è solo un’infrastruttura. Il cantiere che andremo ad aprire a Castellanza servirà a costruire l’hardware il cui software ha già iniziato a lavorare.
Qual è la meta a cui ambite con questi accordi?
Obiettivi di queste collaborazioni sono di allargare i confini del confronto, fare scouting su nuove tecnologie, tracciare la strada su quella che viene definita open innovation. È per questo che abbiamo avviato un percorso che partirà quest’anno in via sperimentale per le imprese metalmeccaniche (e che in parte già facciamo per altri settori) articolato in più fasi: l’esplorazione delle opportunità, attraverso le missioni tecnologiche di Open Mind con Confindustria Bergamo e Confindustria Emilia Area Centro; la formazione ai processi di innovazione; la creazione di community di innovatori; la contaminazione del sistema produttivo con il mondo delle startup. Quelle che nascono sul territorio sono troppo poche. Dobbiamo attrarne di più, dobbiamo far sì che i nostri ragazzi abbiano il coraggio di sviluppare le loro idee, dobbiamo cercare le startup di deep technology che offrano, non solo ideazioni di app, ma nuovi spunti manifatturieri alle filiere industriali esistenti e portarle qui. Occasioni per dar vita a questa contaminazione tecnologica oggi ce ne sono veramente tante.
Ci può fare qualche esempio concreto?
Mentre progettiamo e costruiamo le mura di Mill, riempiamo di contenuti i servizi e la nuova azione di rappresentanza che lì avranno sede e sviluppo. Così si sono rafforzate ulteriormente le alleanze con LIUC, co-partner naturale di Mill, ma stiamo contemporaneamente allargando le maglie di una rete di collaborazioni che nella visione del futuro ci porterà ad ampliare e moltiplicare le possibilità di azione. A partire dagli Its per poi arrivare al sistema universitario, di ricerca e di incubazione. Sono così nati i progetti con ComoNext, con InnoVits, con Sodalitas, con Fondazione Ergo. Grazie a Confindustria Bergamo abbiamo avviato contatti con il Kilometro Rosso e con altri joint lab, come quelli nati nell’ambito dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. Ultimo, in ordine temporale, l’importante accordo che abbiamo stretto con il Politecnico di Milano per il tramite di PoliHub.
Pensiamo ai filoni applicativi dell’Intelligenza Artificiale, alla cyber security, alla digitalizzazione
di processi e prodotti, alla ricerca sui materiali di nuova generazione, al bioprinting, alle occasioni legate all’energia (come quelle sull’idrogeno), alla motoristica, alle batterie di nuova generazione, alla carbon capture, al biotech. Perché queste opportunità tecnologiche possano essere colte e declinate in maniera efficace nel sistema produttivo abbiamo anche riletto la nostra base associativa, clusterizzandola per competenze tecnologiche, mercati di sbocco e filiere. Ciò al fine di raccogliere bisogni omogenei e per tracciare nuovi sistemi di collaborazione.
Quali vie possono percorrere le imprese per creare nuovi canali di collaborazione con il sistema della ricerca? Verso quali strade indirizzarsi?
L’idea che abbiamo lanciato durante l’ultima nostra Assemblea Generale è quella di guardare, contemporaneamente, all’Europa e al territorio. Su questo Varese può giocare una carta vincente che altri sistemi economici e produttivi non hanno.
A cosa si riferisce?
Alla valorizzazione della presenza a Ispra del Joint Research Center, l’unico in Italia e il più grande in Europa. Una cittadella della scienza con 2.000 persone (il 70% delle quali ricercatori), 200 edifici e 40 laboratori, che, all’interno dell’Unione Europea, ha il compito di anticipare gli scenari scientifici e tecnologici per fornire supporto alle decisioni politiche e nella misurazione dei loro effetti. Come Confindustria Varese, in questo ultimo anno, abbiamo iniziato a confrontarci con maggiore intensità con il Jrc e di questo devo ringraziare il site manager, Rien Stroosnijder.
Su cosa avete lavorato insieme al Jrc?
La dimostrazione concreta di una più stretta integrazione delle attività dei laboratori di Ispra con il contesto manifatturiero del territorio è il recente rinnovo del Collaboration Agreement
tra la nostra LIUC – Università Cattaneo e il Jrc. Un accordo che rafforza la collaborazione scientifica tra i due enti, con l’obiettivo di orientare le politiche europee su temi cruciali come la sostenibilità, la trasformazione digitale e industriale, la sanità.
Con quali prospettive?
Di fare, come sistema produttivo locale, da apripista per un ulteriore passo in avanti: il coinvolgimento di tutto il nostro Sistema Confindustriale di rappresentanza a livello nazionale. L’apporto al dialogo con il Jrc che tutta Confindustria potrebbe garantire è quello delle esperienze sul campo, dei dati e delle evoluzioni del contesto competitivo industriale di cui le imprese sono protagoniste e che le stesse potrebbero condividere con i ricercatori europei. Accorciando così le distanze tra ricerca scientifica, ricerca applicata e implementazione nell’economia reale. Una collaborazione strutturata tra Jrc e Confindustria (tema su cui abbiamo già iniziato a confrontarci con il Neopresidente Emanuele
Orsini) potrebbe fare da cerniera tra ricerca, politica e imprese. Se il modello decisionale europeo è “Science for policy”, attivare, come Sistema Confindustriale, un dialogo con le fondamentali attività di ricerca dei laboratori di Ispra non solo è lungimirante, ma doveroso.
“L’apporto al dialogo con il Jrc che tutta Confindustria potrebbe garantire è quello delle esperienze sul campo, dei dati e delle evoluzioni del contesto competitivo industriale di cui le imprese sono protagoniste e che le stesse potrebbero condividere con i ricercatori europei”
Sviluppare un ambiente imprenditoriale favorevole alla nascita di nuove aziende con particolare attenzione a quelle che possono prendere avvio attorno alle specializzazioni industriali del territorio e che possano maggiormente contribuire all’aumento della competitività e alla creazione di prosperità locale. Questo l’obiettivo del progetto strategico “Start Up Your Ideas” di Confindustria Varese
In provincia di Varese le startup e le startup innovative sono ancora troppo poche. Se ne contano solo 86. Un numero che colloca il Varesotto nella seconda parte della classifica italiana (84esimo posto). Un quadro simile è delineato anche dalle piccole e medie imprese innovative che all’ombra delle Prealpi sono, ad oggi, 14. Posizionando la provincia all’80esimo posto nella graduatoria nazionale del rapporto con il totale delle imprese del territorio. Una fotografia, quella scattata dall’ultimo aggiornamento dell’Indice del Fermento Imprenditoriale realizzato per Confindustria Varese dal think tank Strategique con il supporto scientifico dell’Institute for Entrepreneurship and Competitiveness della LIUC –Università Cattaneo, che pone l’accento su alcune criticità e aspetti su cui lavorare. “La capacità di innovazione del sistema produttivo locale sta
rallentando in una fase storica, in cui, invece, c’è bisogno di forti accelerazioni sia nella transizione digitale, sia in quella ambientale e, ancor di più, in quella sociale –afferma Pietro Conti, Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Varese –. È debole l’intero ecosistema dell’innovazione in termini di disponibilità di strutture, servizi e operatori dedicati e risorse per incentivare, supportare e trattenere idee di business e giovani talenti”. Questo il punto di partenza che ha
spinto il Movimento, nel 2023, a lanciare il progetto “Start Up Your Ideas”. Il primo, in ordine di tempo, ad essere stato avviato da Confindustria Varese per la concreta attuazione di una delle 5 linee d’azione del Piano Strategico per costruire la Varese del futuro. “Il nostro obiettivo è quello di sviluppare un ambiente imprenditoriale favorevole alle startup con particolare attenzione a quelle che possono nascere attorno alle specializzazioni industriali del nostro territorio e che maggiormente possano contribuire all’aumento della competitività e
alla creazione di prosperità locale – sottolinea il Presidente Conti –. È fondamentale disegnare una politica di attrazione di giovani e talenti a supporto delle startup e delle imprese della provincia attraverso la creazione di maggiori e migliori opportunità di lavoro; serve, poi, attuare una politica di attrazione dei capitali di finanza innovativa”. Attraverso iniziative di private equity, venture capital o crowdfunding e favorendo lo sviluppo e l’attrazione di intermediari finanziari dedicati, aprendo canali privilegiati con operatori già esistenti sulle principali piazze nazionali e internazionali. “Crediamo sia importante proporre percorsi di sviluppo imprenditoriale, già a partire dagli studi superiori – continua Conti –. Investire nelle attività accademiche e post-laurea orientate all’imprenditorialità, sfruttando il legame che ci unisce con la nostra Università, la LIUC. Intensificare la collaborazione con incubatori o acceleratori di startup e con cui creare percorsi comuni soprattutto in vista della costruzione di Mill, la fabbrica del sapere e del saper fare. Oltre a favorire la connessione e il matching tra startup e imprese associate per sostenere l’open
innovation”. Organizzazione di eventi e workshop, tavoli di confronto, visite aziendali in realtà di successo, incontri con scuole e Università: queste alcune delle iniziative che il Progetto “Start Up Your Ideas” mette a disposizione delle realtà varesine.
Più nel concreto, il Presidente del Movimento cita alcuni esempi di iniziative che i giovani imprenditori varesini portano avanti: “Con ‘Latuaideadimpresa’, un concorso di idee imprenditoriali rivolto agli studenti degli ultimi 3 anni delle scuole secondarie di secondo grado, vogliamo diffondere la cultura d’impresa. Il contest permette agli studenti di avvicinarsi al mondo aziendale e delle startup, oltre a sviluppare una serie di soft skills sempre più richieste dalle aziende”. Progettualità, però, che non si rivolgono solo a giovani studenti, ma a tutti gli startupper e imprenditori. Confindustria Varese ha, infatti, firmato un accordo con InnoVits, organizzazione no profit che valorizza una cultura manageriale innovativa, per favorire la nascita di nuove startup innovative. “Un acceleratore a disposizione di futuri manager per mettere alla prova la propria idea o intuizione prima di trasformarla in
un’impresa vera e propria – informa il Presidente del Gruppo Giovani –. È questo il servizio messo a disposizione per tutti quegli aspiranti startupper che sono pronti ad intraprendere la strada dell’imprenditoria”. Sul sito Internet dell’Associazione, è disponibile, inoltre, una sezione dedicata al Progetto, dove è possibile trovare news e aggiornamenti su queste tematiche. “È anche stata realizzata una vera e propria guida all’interno della quale sono contenute informazioni specifiche su come aprire una startup, quale contratto collettivo di lavoro applicare, di quali agevolazioni e bandi finanziari poter usufruire”, sottolinea ancora Conti. Un’altra attività portata avanti riguarda il racconto, con articoli, podcast o video-interviste, di storie di startup sul magazine che state leggendo: Varesefocus, edito da Confindustria Varese. “Un’azione concreta per diffondere idee innovative, esempi virtuosi e best practice – conclude il Presidente del Ggi Varese –. Con l’obiettivo di creare una rete di conoscenza tra le realtà varesine. Convinti che l’effetto emulazione sia uno degli strumenti da sfruttare per aumentare il fermento imprenditoriale”.
Networking con Università, centri di ricerca e cluster. Matching tra aziende. Monitoraggio delle strategie europee tramite la delegazione di Confindustria a Bruxelles. Analisi delle sfide per filiere. Diffusione della cultura dell’Open Innovation: queste alcune delle attività portate avanti da Confindustria Varese per un nuovo ecosistema tecnologico
Un territorio dal grande patrimonio manifatturiero, come quello varesino, per poter essere considerato innovativo e dinamico, deve possedere due requisiti: da un lato, avere capacità brevettuale, dall’altro, orientarsi al futuro attraverso la
nascita di nuove startup o piccole e medie imprese innovative. In questo contesto, Varese conferma il proprio posto (76esimo) rispetto all’anno scorso. Se si considera il 2022, invece, la provincia è cresciuta di 4 posizioni. Per quanto riguarda la propensione alla protezione dell’innovazione e, quindi, di tutela della conoscenza attraverso la registrazione di marchi, brevetti e disegni industriali, il Varesotto guadagna terreno, ma resta comunque in 79esima posizione. Rispetto alla classifica di trend (per questa dimensione calcolata sugli ultimi 20 anni, dal 2002 al 2022), la provincia si trova, infatti, solo all’82esimo posto. È questo il quadro delineato dall’ultima edizione dell’Indice del Fermento Imprenditoriale realizzato per Confindustria
Varese, dal think tank Strategique e con il supporto scientifico dell’Institute for Entrepreneurship and Competitiveness della LIUC –Università Cattaneo. Un andamento non particolarmente brillante, che ha spinto l’Associazione a lavorare per la costruzione di un ecosistema dell’innovazione in grado di rilanciare la competitività del territorio. Non solo
nascita di nuove imprese e diffusione di una cultura della brevettazione. Ma anche attrazione di investitori e capitali a supporto: questi gli obiettivi che l’Area Ricerca e Innovazione, in stretta sinergia con l’Area Digitalizzazione di Confindustria Varese, porta avanti come concreta attuazione di una delle linee strategiche di #Varese2050. “Per fare innovazione bisogna innanzitutto saper lavorare insieme – afferma Luca Donelli, Vicepresidente di Confindustria Varese –. È di fondamentale importanza creare collaborazioni con Centri di Ricerca, Enti e Università. Inoltre, serve costruire una comunità di imprenditori ed innovatori che sappia coinvolgere anche le aziende più piccole delle filiere. Il sistema innovativo varesino si rafforza solo se ha a disposizione ed utilizza un set di strumenti a supporto delle diverse fasi del processo di innovazione”. La parola d’ordine è: networking. Matching tra aziende per opportunità di sviluppo. Monitoraggio delle strategie europee tramite la delegazione di Confindustria a Bruxelles. Analisi delle sfide innovative per filiere. Diffusione della cultura dell’Open Innovation. Sono alcune delle opportunità messe a disposizione delle imprese varesine dalla Confindustria locale. Sono diverse, inoltre, le iniziative già avviate. Una, per esempio, riguarda il tema della brevettazione: “Knowledge Share è la più grande piattaforma brevettuale italiana per lo scouting di tecnologie provenienti dal mondo della ricerca pubblica, messe a disposizione degli industriali – continua il Vicepresidente Donelli –. In questo modo, un’azienda interessata ad innovare un proprio prodotto o servizio può verificare l’esistenza di brevetti già disponibili, entrando direttamente in contatto con gli inventori. Sono fiducioso che questo strumento possa consentire a tante realtà del territorio di accelerare il proprio percorso di sviluppo e sia in grado di valorizzare la ricerca pubblica con opportunità di applicazione concrete”.
Progetti europei, bandi e finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo sono altri aspetti di forte interesse per le realtà manifatturiere. Oltre all’apertura verso l’orizzonte europeo, grazie alla stretta collaborazione con l’ufficio confindustriale a Bruxelles, che rappresenta un’occasione preziosa per ampliare la capacità innovativa, la vocazione internazionale, la visibilità e la credibilità delle imprese. Confindustria Varese, infatti, porta avanti una campagna di sensibilizzazione e orientamento sulle opportunità per l’innovazione finanziata a livello locale, nazionale ed europeo oltre a partecipare attivamente a progetti di ricerca e innovazione su tematiche rilevanti per il territorio e il tessuto imprenditoriale e a offrire supporto nella scrittura e presentazione di progetti sui vari bandi messi a disposizione della Regione, così come dalla Ue o dal Governo italiano. Un fronte d’impegno locale portato avanti in stretta sinergia anche con il Sistema nazionale di Confindustria, con iniziative e attività per sensibilizzare, sempre di più, le realtà manifatturiere di tutta Italia. Come spiega Andrea Bonfanti, nel suo doppio ruolo di Presidente della Piccola Industria di Varese e Vicepresidente della Piccola
Industria di Confindustria con delega a Innovazione, Ricerca e Sviluppo: “A livello nazionale c’è grande interesse verso il tema dell’Intelligenza Artificiale e delle sue applicazioni nelle aziende per ottimizzarne ed efficientarne i processi produttivi. Dal risparmio energetico all’utilizzo dei macchinari, fino alle risorse impiegate negli investimenti”. È importante costruire una rete stretta di competenze e fare sistema, “rafforzando il legame lungo tutta la filiera per continuare ad essere competitivi sui mercati internazionali. Nel 2023 e anche quest’anno sono stati organizzati da Piccola Industria nazionale dei roadshow che, coinvolgendo le Confindustrie dei vari territori, hanno dato parola ad imprenditori di diverse realtà per raccontare le proprie esperienze sugli investimenti 4.0, sulla gestione dei dati e sull’introduzione dell’Intelligenza Artificiale nei propri processi produttivi – racconta Bonfanti –. Abbiamo riscontrato dei risultati di partecipazione molto positivi. È indispensabile trasferire di azienda in azienda il knowhow innovativo delle eccellenze manifatturiere presenti in Italia. Per le piccole e medie imprese, sicuramente, è un percorso più lungo e complicato. Servono strumenti concreti da poter scaricare a terra”.
VAI ALLA PAGINA
Francesca Cisotto
È sul campo della sostenibilità che, secondo una crescente percentuale del sistema produttivo, si gioca la partita più importante in termini di competitività. A dirlo sono i numeri. Sia quelli degli investimenti già avviati, sia quelli relativi ai programmi che le imprese sono pronte a far partire nei prossimi mesi. È in linea con questo fermento sulle iniziative green, sociali e di governance che Confindustria Varese ha dato il via a “VarESG”: un progetto volto a supportare le aziende del territorio nel proprio percorso di transizione verso nuovi modelli di sviluppo
Sono pari al 46% le imprese intervistate dal Centro Studi di Confindustria Varese che, nell’ambito di una recente rilevazione, hanno dichiarato di aver effettuato almeno un investimento in sostenibilità nel corso del 2023. Una percentuale, questa, che, secondo le previsioni, è destinata a salire nel 2024 di 3 punti percentuali con il 49% delle aziende che ha dichiarato di avere in programma, per
l’anno in corso, dei progetti green. Sempre secondo questa analisi, il 55% delle realtà imprenditoriali varesine che, lo scorso anno, ha investito in programmi sostenibili lo ha fatto per un miglioramento nei processi aziendali. A seguire, ci sono quelle che hanno investito in tecnologie (50%) e quelle che hanno puntato sul prodotto (23%). Mentre un 48% ha effettuato altri tipi
di investimenti come, ad esempio, in pannelli fotovoltaici, diagnosi energetica, certificazione ISO14001, carbon footprint e life cycle analysis. In ottica di previsioni, invece, rappresentano una fetta del 34% le realtà imprenditoriali del Varesotto che hanno dichiarato di voler investire, nel corso del 2024, nella rendicontazione di sostenibilità ambientale, sociale e di governance (Esg).
La sostenibilità è ritenuta strategica dalla stragrande maggioranza delle imprese. Più precisamente, in una scala da 1 a 5 (dove 1 è nullo e 5 è cruciale), il 48% delle realtà aziendali del Varesotto dà a questo elemento un grado di importanza massimo: tra il 4 e il 5.
È in questo scenario di crescente attenzione del sistema produttivo locale per i temi ambientali, sociali e di
governance che si inserisce “VarESG”: il progetto di Confindustria Varese, parte del più ampio Piano Strategico #Varese2050, redatto dall’Associazione datoriale, per il riposizionamento competitivo del territorio dei prossimi anni.
L’obiettivo: supportare le imprese nel proprio percorso di transizione verso la sostenibilità, in tutte le sue declinazioni.
Più precisamente, si tratta di un progetto che intende accompagnare gli imprenditori in quella fase, in continua evoluzione, dei processi legati ai criteri Esg (Environmental, Social, Governance), con una triplice azione di supporto: nelle attività di rendicontazione della sostenibilità, ma anche in quelle di analisi del posizionamento; nella formazione e nella sensibilizzazione dei manager e, più in generale, della popolazione aziendale; nella comunicazione di investimenti, progetti e buone pratiche, nonché nei processi organizzativi.
Questo perché, ormai, “l’impresa sostenibile non è solo una scelta, ma una necessità”. A rimarcarlo è Barbara Cimmino, neoeletta Vicepresidente di Confindustria nazionale con
delega all’export e all’attrazione degli investimenti, che ha tenuto a battesimo il progetto “VarESG”, quando ancora ricopriva la carica di Vicepresidente dell’Associazione datoriale varesina. “Siamo in un momento cruciale della storia economica europea e italiana, dove l’unica possibilità di competere negli scenari globali, è quella di fare sistema all’interno del Paese, tra industrie, con il supporto dei corpi intermedi, innovando e tenendo conto della prosperità sociale e del rispetto dell’ambiente – tiene a sottolineare Cimmino –. Con l’avvio di ‘VarESG’, le aziende di qualsiasi dimensione, spesso disorientate, possono trovare in Confindustria Varese un punto di riferimento per ogni aspetto legato alle tematiche di sostenibilità”.
Per la Vicepresidente di Confindustria “gli Esg non sono solo un’opportunità di sviluppo e crescita per le singole aziende, ma rappresentano anche una chance per rafforzare le filiere produttive, in un contesto sempre più complesso. La capacità di affrontare le transizioni sociali, ecologiche e di governance è diventata un fattore chiave di competitività. Ecco perché è essenziale
fornire alle imprese strumenti concreti e operativi, applicabili in modo flessibile a ogni singola realtà aziendale, in base alla loro dimensione, settore di appartenenza, filiera e mercato. È con questo spirito che Confindustria Varese, con la collaborazione della propria società di servizi, Servizi Confindustria Varese Srl, vuole supportare le aziende nella scelta del percorso più corretto e meno dispendioso”.
Strategica, in questo terreno, anche la sinergia tra imprese che, come precisa la Vicepresidente Cimmino, “si trovano su un fronte comune di innovazione e apprendimento continuo, tanto che le esperienze e le soluzioni di una, possono servire all’altra, senza nuocere alla competitività. Per questo le imprese devono collaborare a progetti comuni. #Varese2050 è la possibilità che ci viene data di fare rete in modo strutturato”.
Senza dimenticare quanto sia necessario “continuare ad investire, oltre che nella digitalizzazione, anche in risorse umane, formando profili professionali con nuove competenze, necessarie ad affrontare il passaggio da un’economia lineare ad una circolare – evidenzia Barbara Cimmino –. Impensabile non avere in azienda, ad esempio, un PLM (Product Lifecycle Management, ndr) strutturato per contenere tutte le informazioni di tracciabilità di componenti e prodotti finiti oltre che tutte le informazioni necessarie a misurare gli impatti. Senza questa misurazione e una corretta applicazione delle politiche e delle azioni per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, sarà difficile, per le aziende, restare sul mercato e avere un opportuno accesso alla finanza regolare e agevolata. Per questo, suggerisco alle aziende di anticipare alcune azioni collegate all’innovazione di processo e di prodotto e di guardare al tema della compliance come un ostacolo capace di migliorare l’efficienza aziendale più che un mero fardello burocratico”.
VAI ALLA PAGINA CLUSTERIZZAZIONE FILIERE DI CONFINDUSTRIAVARESE.IT
Paola Margnini
Responsabile Centro Studi Confindustria Varese
Mappare tutta la base associativa, riclassificando ogni impresa secondo 3 parametri distintivi: il prodotto, la tecnologia ed il mercato di sbocco. Con lo scopo di mettere in evidenza i legami che si stanno creando tra aziende appartenenti a settori differenti. Questo il lavoro portato avanti dal Centro Studi di Confindustria Varese per progettare iniziative per la costruzione della #Varese2050
Filiere e cluster sono due parole entrate prepotentemente nell’uso comune e rappresentano, sempre più, il nuovo modo di leggere i sistemi produttivi. Laddove tradizionalmente si guardava ad un
settore come unità di riferimento, ora si tende ad analizzare le filiere che lo compongono e che spesso si estendono ad altri settori contigui.
Cambia il punto di osservazione e migliora la capacità di intervento a supporto della competitività del territorio. È da questa semplice constatazione che prende corpo il progetto del Piano Strategico #Varese2050 che mette al centro una rilettura dei cluster per sviluppare azioni.
Allora si era adottato l’approccio di Michael Porter sul concetto di cluster, intesi come aggregazioni regionali di imprese, fornitori e istituzioni operanti in un particolare campo di attività, ovvero in settori strettamente correlati tra loro, che permettono di superare la tipica logica di filiera verticale e consentono di guardare alle specializzazioni con una prospettiva più
orizzontale, che meglio si inserisce nei trend competitivi attuali.
Con questa impostazione la think tank Strategique aveva, quindi, realizzato nel Piano Strategico #Varese2050 una mappatura dei cluster del territorio, facendo emergere le specializzazioni economiche in cui Varese dimostra “una eterogeneità produttiva molto ampia, configurandosi come un territorio ancora caratterizzato da una pluralità di specializzazioni, che spaziano dal tessile alla meccanica, dall’aeronautica al chimico-farmaceutico, dalla plastica e gomma alla carta e stampa. Tra queste, sono 4 le specializzazioni più distintive del territorio, le ‘punte di diamante’ della provincia, rispetto al resto del tessuto industriale italiano: il cluster aerospaziale, quello delle materie plastiche, gli elettrodomestici e, ovviamente, il cluster della produzione tessile”.
Da questa visione macro-territoriale ha preso spunto la fase realizzativa della linea strategica numero 2 di #Varese2050, che si propone di mettere i cluster al centro delle strategie di sviluppo del territorio rinforzando le specializzazioni esistenti, costruendo sulle specializzazioni emergenti e promuovendo la related variety tra cluster.
Per dare corpo a questa azione, il Centro Studi di Confindustria Varese ha mappato, con un paziente lavoro di analisi, tutta la base associativa, riclassificando ogni impresa secondo 3 parametri distintivi: il prodotto, la tecnologia ed il mercato di sbocco. Ogni impresa è stata, quindi, analizzata e riclassificata in base a quello che produce, informazione che normalmente si possiede anche facendo riferimento ai codici Ateco, ma aggiungendo un prezioso set di informazioni su come lo produce (tecnologia) e per chi lo produce (mercato di sbocco).
Ciò ha permesso di ottenere non una semplice mappatura delle imprese basata sui numeri (numero di imprese e relativi addetti), ma una mappatura basata sul sistema di relazione tra
le imprese. Quindi una autentica ricostruzione di filiera, che mette in evidenza i legami che si costruiscono tra aziende che appartengono a settori differenti, ma hanno un comune mercato di sbocco oppure quelli tra imprese che hanno mercato di sbocco differente, ma utilizzano una tecnologia simile.
Il lavoro svolto dal Centro Studi è stato quello di passare dal macro al micro, costruendo vere e proprie mappe di competenza che costituiscono un prezioso apporto alla realizzazione di progetti: obiettivo è capire quali possano essere le interrelazioni attorno a cui costruire possibilità di incontro tra le imprese (matchmaking) per le imprese, ma anche quali progetti possono essere sviluppati per rafforzare la competitività delle filiere, a partire dall’esame di come si mettono in relazione le une con le altre: gli esempi applicativi possono essere differenti, uno dei primi utilizzi che ne è stato fatto riguarda la ricostruzione della filiera di coloro che possono contribuire alla costruzione di un impianto per energia ad idrogeno, accompagnata dalla rilevazione di quanti possono essere i consumer.
Insomma, si è sviluppata una metodologia di analisi che consente una grande granularità degli interventi e permette azioni personalizzate. Si tratta di un progetto trasversale, quello dei cluster, che però diventa abilitante per tutte le altre progettualità legate al Piano Strategico #Varese2050 di Confindustria Varese, che entreranno nella grande casa del Mill, la fabbrica del sapere e del saper fare che sorgerà a Castellanza, al fianco della LIUC – Università Cattaneo.
Per dirla come affermato recentemente al quotidiano La Prealpina dalla Vicepresidente di Confindustria Varese, Claudia Mona: “Il nostro obiettivo è quello di creare i presupposti di nuove relazioni tra imprese appartenenti a settori e comparti tra loro diversi ma strettamente legati. Non solo in una logica di catena di fornitura, ma anche per impostare strategie comuni nello sviluppo e applicazione di nuove tecnologie o percorsi condivisi di transizione verso una maggiore sostenibilità, lì dove la singola azienda non può bastare a se stessa. In questo, l’esperienza accumulata da Confindustria Varese nella gestione del Lombardia Aerospace Cluster può essere valorizzata a vantaggio di altre specializzazioni manifatturiere e per attività di matchmaking”.
La Vicepresidente di Confindustria Varese, Claudia Mona: “Il nostro scopo è di impostare strategie comuni o percorsi condivisi di transizione verso una maggiore sostenibilità, lì dove la singola azienda non può bastare a se stessa e dar vita ad attività di matchmaking”
Fernando G. Alberti e Federica Belfanti
Nell’ultima edizione del Social Progress Index, elaborato dagli esperti dell’Institute for Entrepreneurship and Competitiveness della LIUC – Università Cattaneo, la provincia varesina avanza di 6 posizioni classificandosi al 22esimo posto in Italia per capacità di offrire ai propri cittadini benessere e opportunità di realizzazione, così come di garantire i bisogni fondamentali. Tutti elementi su cui costruire una nuova attrattività per persone, talenti, investimenti e startup
Sei posizioni guadagnate e un ottimo 22esimo posto per la provincia di Varese nell’ultima edizione del Social Progress Index realizzato da IEC - Institute for Entrepreneurship and Competitiveness della LIUC –Università Cattaneo, per conto di Confindustria Varese, nell’ambito del Piano Strategico #Varese2050. Il Social Progress Index è l’unico
strumento non economico di misurazione del progresso sociale riconosciuto a livello internazionale e basato su una metodologia robusta costruita in oltre 20 anni di ricerca sul tema dall’organizzazione noprofit Social Progress Imperative, che dal 2013 lo realizza per 169 Paesi nel mondo e di cui IEC è partner italiano.
Misurare lo sviluppo del territorio andando “oltre il Pil”, oltre i semplici
indici economici: questo l’obiettivo che si pone il progetto. Lo sviluppo economico di un territorio non va, infatti, necessariamente di pari passo con i progressi compiuti in campo sociale ed ambientale. Ciò significa che un aumento del reddito pro-capite può non corrispondere automaticamente ad un miglioramento diffuso negli aspetti che determinano la qualità della vita delle persone. Ricordando le parole di apertura di Nicolas Sarkozy alla commissione sulla “Misurazione del rendimento economico e del progresso sociale” presieduta dai premi Nobel Joseph Stiglitz, Amartya Sen e l’economista francese Jean-Paul Fitoussi, “non cambieremo il nostro comportamento se non cambieremo il modo in cui misuriamo la nostra performance economica”.
Oggi, per essere attrattivo nei confronti delle persone, dei talenti, degli investimenti, delle startup, un territorio deve saper lavorare anche sulla propria dimensione sociale, secondo un principio di competitività che guarda non solo alle proprie imprese, ma anche allo standard di vita dei propri cittadini. Come indirizzare, dunque, gli interventi e guidare l’azione nei territori e nelle comunità per migliorare il benessere della
popolazione? Partendo dal misurare le 3 dimensioni di cui si compone il progresso sociale: bisogni umani fondamentali, fondamenti del benessere, opportunità. Un totale di 12 componenti e 62 indicatori finali per ciascuna delle 107 province italiane.
Come si posiziona Varese nella classifica nazionale? Il 2024 segna per la provincia varesina un netto avanzamento in classifica, grazie ad un miglioramento delle performance soprattutto nella prima dimensione dell’indice, quella dei bisogni umani fondamentali, dove guadagna ben 9 posizioni ed una ulteriore progressione di 6 posizioni nella terza dimensione, quella delle opportunità. Ciò a compensazione della perdita, invece, di 6 posizioni nel secondo pillar del Social Progress Index, quello legato ai fondamenti del benessere. Scopriamo più in dettaglio le performance della provincia in ciascuna dimensione dell’indice (nell’infografica, la scorecard completa della provincia in cui si riporta per ogni dimensione,
In miglioramento la dimensione legata alla qualità ambientale, a dimostrazione di tutti gli sforzi e gli avanzamenti compiuti dalle imprese e dagli stakeholder del territorio nel percorso verso la sostenibilità di prodotti e processi: Varese guadagna 6 posizioni grazie ad un avanzamento soprattutto nella qualità dell’aria e nella gestione dei rifiuti urbani
componente ed indicatore che compongono l’Indice, il punteggio complessivo, il posizionamento nella classifica nazionale, ed una comparazione delle performance rispetto alle altre province della Lombardia. Quest’ultima viene rappresentata da un semaforo a 3 colori: verde se le performance della provincia di Varese sono migliori rispetto a quelle regionali; giallo se neutro, ossia in linea con la media regionale; rosso se inferiori).
Bisogni umani fondamentali
Grazie ad un significativo miglioramento nei risultati ottenuti dalla provincia in alcune componenti, Varese giunge in 12esima posizione nella dimensione dei bisogni umani fondamentali, sfiorando la top 10. Migliora soprattutto nella dimensione legata alla gestione dell’acqua e dei servizi igienici territoriali (+21 posizioni) e in quella relativa al “riparo”, ovvero alla disponibilità per i cittadini di spazi abitativi adeguati, sicuri e sostenibili economicamente, dove un progresso di ben 29 posizioni fa giungere la provincia in 42esima posizione. Peggiora leggermente la componente legata alla sicurezza, che resta comunque quella in cui la provincia si posiziona meglio. Seppur perdendo 6 posizioni, resta, infatti, decima a livello nazionale. A penalizzare il territorio, un peggioramento sostenuto nella sicurezza stradale ed in particolare nella mortalità giovanile in incidenti stradali (-23 posizioni).
Fondamenti del benessere
Tra le 3 dimensioni del Social Progress Index, quella relativa ai fondamenti del benessere è l’unica a registrare un declino. La provincia ha, infatti, perso 6 posizioni rispetto all’anno precedente, scivolando al 26esimo posto nazionale. In questa dimensione, Varese si conferma tra le migliori province in Italia per quanto riguarda l’accesso alla conoscenza,
dove si posiziona 18esima nel ranking nazionale, seppur perdendo 3 posizioni, e in quella legata alla salute e al benessere, dove resta 12esima nonostante un calo di 2 posizioni rispetto all’anno scorso. In queste 2 dimensioni, Varese si distingue in Italia principalmente per il livello di competenze alfabetiche (9na), competenze numeriche (18esima), nonché per l’indice di sportività, dove, seppur in lieve declino, si conferma nella top 10 nazionale, al 9no posto. In miglioramento la dimensione legata alla qualità ambientale, a dimostrazione di tutti gli sforzi e gli avanzamenti compiuti dalle imprese e dagli stakeholder del territorio nel percorso verso la sostenibilità di prodotti e processi. Varese guadagna 6 posizioni grazie ad un avanzamento soprattutto nella qualità dell’aria (PM10 e PM2.5) e nella gestione dei rifiuti urbani. Ancora ampio margine di manovra, invece, in materia di energie rinnovabili (dove Varese è solo 97esima, in calo di 2 posizioni) e nella disponibilità di verde urbano (dove perdendo una posizione scende al 69esimo posto).
Sessantesimo posto in classifica per la dimensione dell’accesso alle informazioni. Nonostante una buona disponibilità di banda larga (Fttc), la provincia dimostra ancora difficoltà nel compiere progressi verso una maggiore digitalizzazione delle proprie attività amministrative e di governo. Se guardiamo all’ICity rank, Varese si conferma nella seconda metà della classifica nazionale, in 78esima posizione, a seguito di un calo di ben 10 posizioni rispetto all’edizione precedente.
Nella dimensione legata alle opportunità, che misura la capacità del territorio di offrire pari opportunità ai propri cittadini di affermare sé stessi in ambito personale, professionale e formativo, Varese sale di 6 posizioni, giungendo
così sul 43esimo gradino nazionale. A trainare la salita in classifica, un avanzamento nelle dimensioni legate alla libertà e scelta personale (48esima, in crescita di 5 posizioni) e quella legata all’educazione avanzata (dove guadagna 6 posizioni ed è oggi 35esima). Andando ancora più nel dettaglio di ciascuna componente, notiamo che la provincia ha migliorato in modo sostanziale il suo posizionamento rispetto all’incidenza di Neet (persone che non lavorano, non studiano e non cercano lavoro) sulla popolazione, dove è salita di ben 20 gradini, giungendo quest’anno in 13esima posizione e nella partecipazione alla formazione continua, dove grazie ad un salto di 39 posizioni, si posiziona oggi 31esima in Italia. Ampi spazi di miglioramento restano, invece, nella capacità della provincia di ridurre il Gender Pay Gap (77esima), migliorare i servizi per l’infanzia (70esima) ed ampliare l’offerta culturale (67esima). Peggiorano lievemente le dimensioni legate ai diritti personali e all’inclusività, dove la provincia perde, rispettivamente, 2 e 3 posizioni. Varese si conferma tra le ultime posizioni in Italia per la partecipazione dei giovani all’amministrazione pubblica (91esima) e peggiora notevolmente le proprie performance in termini di Gender Gap anche nella partecipazione al mondo del lavoro, dove scende di 26 posizioni (60esima).
Nel complesso, dunque, un buon risultato per la provincia di Varese che dimostra e conferma il proprio impegno a migliorare la qualità di vita dei propri cittadini. I risultati del Social Progress Index devono aiutare gli stakeholder del territorio a identificare gli elementi e le aree su cui ancora investire e lavorare insieme, dettando le priorità di intervento. La progressiva implementazione del Piano Strategico #Varese2050, procede proprio in questa direzione.
Non sono solo i residenti del Varesotto a cedere alla bellezza di un bagno fresco nei laghi del territorio. A scegliere gli specchi d’acqua dolce all’ombra delle Prealpi, per un tuffo alternativo al classico mare, nei mesi più caldi dell’anno, sono, sempre di più anche milanesi, svizzeri, tedeschi, francesi, inglesi, austriaci e olandesi. Le aspettative per la nuova stagione di alcuni operatori del settore dei lidi sul Lago Maggiore, di Monate e di Lugano. Le novità riguardanti il Lago di Varese, senza dimenticare il gioiellino di Ghirla
Stessa spiaggia, stesso lago. Di Varese, ma anche Maggiore, di Monate, di Ghirla e di Lugano. Nel Varesotto si è aperta un’altra stagione estiva all’insegna della balneabilità. Il trend dopo la pandemia è in crescita. Sono sempre di più gli italiani, così come gli stranieri, che scelgono, per un tuffo alternativo rispetto al classico mare, gli specchi d’acqua dolce all’ombra delle Prealpi, la cui qualità è in miglioramento, così come l’attrattività e le occasioni di svago tra canoe, pedalò e i più moderni sup.
A trarne vantaggio un indotto turistico su cui confluiscono investimenti sia pubblici, sia privati. Tra azioni di valorizzazione delle sponde da parte delle singole amministrazioni, modernizzazione dei lidi e nuove idee di ristorazione.
A raccontare il valore delle acque lacustri è Nicoletta San Martino, Assessore alla Tutela ambientale, Sostenibilità Sociale ed Economia Circolare del Comune di Varese: “Questa è la terza estate in cui sarà possibile fare il bagno al Lago di Varese. Tramite l’Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale abbiamo un monitoraggio costante di molti parametri relativi allo stato dell’acqua, parliamo quindi di dati affidabili. Tre anni fa le località balneabili erano solamente Schiranna e Bodio Lomnago poi, a seguito di diversi interventi, sono via via aumentate. Quest’estate, la balneabilità (oltre che a Bodio e nelle spiagge all’interno del Parco Zanzi, in quella dei fotografi, nei pressi della Società Canottieri Varese e del lido della Schiranna, ndr), dovrebbe essere garantita anche nelle località di Gavirate, Cazzago Brabbia e Biandronno”. E continua: “Il Lago di Varese è tutto balneabile, ma essendo una zona protetta abbiamo identificato delle aree precise. Non è possibile rendere tutto accessibile. Ci sono dei limiti da rispettare. La nostra premura è quella di conservare la flora e la fauna. La balneabilità deve essere
qualcosa di sostenibile dal punto di vista innanzitutto ambientale. Senza dimenticare il suo valore turistico, perché il lago è sempre bello da visitare, ma poter fare anche il bagno va considerato un plus. In più si tratta di un’opportunità di svago e relax per tutti e a costo zero. Soprattutto per quelle famiglie che non possono permettersi una vacanza all’estero o fuori provincia. Non è da poco potersi rinfrescare gratuitamente nel lago a pochi chilometri da casa. È importante essere consapevoli di questa ricchezza sul territorio. Per questo, in collaborazione con le Associazioni del terzo settore, cerchiamo di sensibilizzare sia grandi sia piccini con diverse attività ricreative per far conoscere le caratteristiche del nostro lago”.
Quella di cui parla l’Assessore San Martino è una valorizzazione delle sponde che si ha anche tramite la gestione dei singoli lidi. Sono una dimostrazione quelli sul Lago di Monate: uno dei più piccoli della Lombardia ma che, come tiene a sottolineare Giacomo Sartorio, Titolare de Il Larice Club di Cadrezzate “è uno dei più puliti in Italia”. Basti pensare anche alle località di Travedona Monate e Osmate, ad esempio. “Si tratta di sponde tutte balneabili –precisa Giacomo Sartorio –, perché abbiamo un collettore di raccolta acque sporche, che le spinge nella fognatura. Per noi che con il lago ci lavoriamo, il fatto che i nostri ospiti possano fare il bagno è un valore importante. La scorsa estate, al netto di maggio
piovoso, è stata un’ottima stagione. Tra il servizio spiaggia, i 12 pedalò, le 15 canoe e i diversi sup, ma anche il bar, il ristorante, la zona picnic con 26 barbecue e le aree dedicate a sport, bambini e cani, abbiamo raggiunto i numeri del periodo pre-Covid. Non li abbiamo superati, ma ci siamo andati vicini. Anche quest’anno è partito male per via del meteo, ma contiamo di recuperare. Noi continuiamo ad investire. Ogni anno cerchiamo di migliorarci aggiungendo ciò che ci richiede la clientela. Le persone che passano da noi sono per l’80% italiani, ma a seconda dei periodi abbiamo anche turisti francesi, tedeschi, inglesi e olandesi. Quello che ricercano sono innanzitutto l’ordine, la pulizia e la tranquillità. Ecco perché evitiamo qualsiasi strumento musicale, tranne un leggero sottofondo nella zona bar”.
E se Monate è quello più piccolo, il Lago Maggiore è sicuramente quello più grande che bagna la provincia di Varese, oltre che il secondo più esteso d’Italia. Tantissime le spiagge che offre per fare un tuffo dalla costa varesina: da Zenna a Colmegna, ma anche, scendendo, Brezzo di Bedero, Laveno Mombello, Ispra, Ranco, Angera e Sesto Calende, ad esempio.
Tra queste, quella del lido Le Serenelle di Luino, che da quest’anno ha una nuova gestione. “Siamo subentrati da poco alla storica direzione di Barbara Conti – racconta uno dei nuovi Titolari, Luca Brusa –, ma siamo certi che le nostre competenze nel food & beverage, abbinate alla bellezza del luogo, ci porteranno molte soddisfazioni. Oltre alla parte restaurant, offriamo anche una spiaggia balneabile attrezzata e completa di molo. I nostri clienti arrivano anche da qui, con la barca. È anche per questo che puntiamo sul perfezionamento della qualità, indirizzandoci su un target sempre più ricercato. Le Serenelle è sempre stato un punto di riferimento per la comunità di Luino, ma negli anni ci siamo resi conto che piace molto anche al turista straniero, prevalentemente
svizzero, svizzero-tedesco e tedesco”. La provincia dei 7 laghi è bagnata anche dal Lago di Ghirla: un bacino lacustre, situato a Nord della Valganna, molto più piccolo rispetto agli altri, a tratti profondo e dalle acque gelide, ma anche questo balneabile. Una risorsa preziosa per gli amanti dei pedali grazie alla ciclopedonale della Valganna, situata sulla sponda occidentale del lago, che porta fino in Svizzera.
Ed è proprio salendo ancora un po’ verso i confini elvetici che si trova un altro lago balneabile, molto rinomato tra turisti stranieri e non solo: quello di Lugano, conosciuto anche come Ceresio. A raccontare come va il turismo nella zona, è Giuseppe Godi, Titolare del lido Beach Bar di Brusimpiano: “Dipendiamo molto dal meteo, quest’anno abbiamo già perso praticamente 2 mesi di lavoro, dovevamo aprire a Pasqua, ma abbiamo dovuto rimandare a metà aprile. Per questo non è facile delineare un andamento. Senza contare il calo netto dovuto ai 2 anni di pandemia, anche se ora stiamo sicuramente recuperando i numeri del pre-Covid. Si tratta di una risalita che è favorita da un turismo che non manca nella zona, ma per diventare ancore più attrattivi, sarebbero necessarie delle iniziative
L’Assessore di Varese
Nicoletta San Martino: “La balneabilità deve essere qualcosa di sostenibile dal punto di vista innanzitutto ambientale. Senza dimenticare il suo valore turistico perché il lago è sempre bello da vedere ma poter fare anche il bagno è un plus”
per sviluppare il trasporto pubblico. I nostri turisti, al netto di quelli domenicali, provenienti dai comuni limitrofi e da Milano, sono al 90% stranieri. Si dividono principalmente in svizzeri, austriaci e olandesi. La nostra è una spiaggia che da sempre è rinomata per essere balneabile, in tantissimi si fermano qui per fare un bagno in una giornata di relax o per riposarsi dopo un giro in mountain bike. Ecco perché siamo attrezzati di ombrelloni e lettini, oltre che di pedalò, canoe, kayak e sup per i più sportivi”.
Chiara Mazzetti e Lara Lollini
Che si tratti di voglia di sicurezza oppure di necessità di un contesto protetto o ancora di bisogno di convivialità, relax e divertimento per grandi e piccini, sono sempre di più le persone che scelgono di trascorrere le calde giornate estive a bordo vasca. A confermalo, i numeri di Assopiscine secondo cui il settore, a livello italiano, è arrivato a valere oltre 1,2 miliardi di euro. Le esperienze di alcuni operatori del Varesotto, da Nord a Sud della provincia
Oltre 1,2 miliardi di euro: questo il valore del fatturato aggregato del settore piscine, a livello italiano, nel 2022 (ultimi dati disponibili), rilevato da Assopiscine, Associazione che rappresenta una filiera produttiva di oltre 2.300 imprese progettatrici, costruttrici, installatrici e manutentrici di piscine, che impiegano un totale di più di 15mila addetti. Nello specifico, il 15% di questi 1,2 miliardi sarebbe generato dalla domanda di strutture ad uso pubblico, soprattutto turistiche. Negli ultimi 2 anni, sempre stando alle stime di Assopiscine, il comparto ha registrato un importante balzo in
avanti di ordinativi, con un aumento del 13%, di gran lunga superiore alla media annuale del 5% rilevata nei 10 anni precedenti. La motivazione? Una sempre maggiore attenzione degli italiani alle tematiche legate al benessere, specialmente in seguito alle restrizioni del periodo Covid. L’Italia è il quarto mercato in Europa per volumi di vendite, con ordini principalmente da committenti privati, che rappresentano l’85% del totale. Le previsioni per il 2024 sono anch’esse positive: ci si aspetta una crescita dell’8% a livello complessivo e del 20% se riferita al solo comparto turistico. I dati di Assopiscine, in altre parole, sembrano delineare quello che
può essere definito (con un gioco di parole) un vero e proprio fenomeno di costume. Che sta prendendo sempre più piede anche in provincia di Varese.
A confermare questo trend sono le parole di Paola, Responsabile del Club Villa Sant’Uberto di Busto Arsizio: “Le persone, secondo la nostra esperienza, hanno sempre più voglia di vivere l’ambiente della piscina, principalmente per socializzare e questo bisogno di socializzazione è letteralmente esploso dopo la pandemia. La piscina del nostro Club privato ha sempre rappresentato un posto sicuro in cui incontrarsi e una destinazione adatta in cui conoscersi ed interagire all’aria aperta”.
Tornare a stare insieme, in un luogo vicino a casa, ma lontano dal centro cittadino abitato e trafficato quanto basta per immergersi in una realtà vacanziera: questo l’obiettivo che accomuna un numero sempre più crescente di persone. “La piscina viene percepita come una meta di fuga, pur restando a portata di mano – precisano di nuovo da Villa Sant’Uberto –. Non è necessario, infatti, mettersi in auto e rischiare di rimanere bloccati in infiniti viaggi come quando si decide di trascorrere una giornata al mare. Molti hanno la sensazione di essere in vacanza quando sono in piscina, di poter respirare”. Ma non solo. “Un fenomeno curioso che abbiamo notato
di recente, legato probabilmente all’aumento dello smart working, è la scelta di molti businessmen di lavorare a bordo piscina. In un ambiente rilassante, con musica di sottofondo, servizi di ristorazione e pool bar a disposizione, anche una comune giornata lavorativa può prendere una piega inaspettata”.
Non solo relax, convivialità e garanzia di sicurezza, ma anche igiene e un contesto protetto. “Chi sceglie la piscina lo fa per motivi ben presici, anche decidendo di spendere qualcosa in più rispetto ad una gita al lago che, nella maggior parte dei casi, risulta meno cara”, afferma Marcello Boerchi, Responsabile dello Stadiumfit di Besozzo. “Il controllo qualitativo delle acque che viene ripetuto più volte al giorno, unito alla presenza costante di assistenza e bagnini fanno sì che le famiglie, specialmente quelle con bambini, prediligano luoghi sorvegliati e riparati come le piscine, per le proprie ore di svago estivo. Noi, ad esempio, organizziamo diversi campus ogni anno, dedicati proprio ai più piccini”, precisa Boerchi. L’intrattenimento dei piccoli di casa è un altro fattore dirimente nelle scelte di molti genitori che, in una giornata di relax a bordo piscina, ricercano anche passatempi alternativi e sicuri per i propri figli. “Altra opportunità di divertimento in sicurezza nella nostra struttura –racconta di nuovo Marcello Boerchi – sono dei trampolini elastici che abbiamo installato all’interno di una vecchia piscina dismessa, trasformata per l’occasione in una palestra. Questo servizio, disponibile in abbinamento all’ingresso in piscina, offre ai genitori la possibilità di intrattenere i propri figli, affidandoli alle cure del centro”. Bambini felici, genitori felici, in altre parole. Ma a frequentare le vasche varesine non sono solamente i nuclei familiari. “Vendiamo moltissimi abbonamenti estivi, ad un target che va dai 18 agli 80 anni, principalmente perché, stando alla nostra esperienza, sempre più persone passano le ferie
qui in provincia e non si spostano altrove per le proprie vacanze. Questo significa che molti, adolescenti e non solo, si presentano all’ingresso alle 9.00 del mattino e restano fino alle 19.00 di sera. Tra le diverse tipologie di abbonamenti che proponiamo, i più utilizzati sono sicuramente gli stagionali con sdraio riservata, un servizio molto simile a quello offerto dalle spiagge marittime”.
Anche gli amanti degli sport, del verde e della natura possono trovare nella piscina una valida alternativa al mare o agli specchi d’acqua lacustri. “Organizziamo diversi eventi, dalle feste di compleanno ai team building e delle volte anche matrimoni. Per i più sportivi ci sono campi da calcio, da paddle, da green e beach volley e anche un’area per il golf. La nostra offerta è molto variegata perché cerca di rispondere ai bisogni più diversi”, spiega Lorenzo Schapira, Titolare dell’Idea Village di Olgiate Olona. Il che significa pensare fuori dagli schemi e immaginare la piscina come un luogo di aggregazione, per ogni fascia d’età, capace di intercettare necessità e richieste di una clientela ampia e variegata. “Il nostro obiettivo era creare un locale unico nel suo genere: abbiamo perciò scelto di aggiungere, in affiancamento ai classici servizi, un qualcosa di innovativo, ossia
una discoteca. Siamo stati una delle prime a cielo aperto in Lombardia ad attirare così tanti clienti – precisa Schapira –. La nostra volontà è offrire un’esperienza il più completa possibile. Potersi divertire senza doversi spostare da un luogo all’altro e senza doversi rinchiudere al chiuso, come succede nella maggior parte delle discoteche classiche. Abbiamo perciò esteso l’orario di apertura della piscina, allungano la giornata di svago e relax dei nostri clienti. I giovani, molto spesso, abbinano le due cose: si pagano due ingressi separati, uno dedicato solo alla piscina e uno per la serata in discoteca. Così dopo un giorno al sole e un aperitivo al tramonto, inizia il divertimento serale all’aperto immersi nel verde”.
Ad essere attratti da questa tipologia di svago sono anche molti stranieri. “Il mese di luglio è in assoluto quello maggiormente frequentato, da una clientela molto differenziata: si passa dagli stagionali, a pacchetti di ingressi multipli più flessibili, ma anche tante entrate singole, come ad esempio nel caso degli stranieri, per la maggior parte europei, che vengono da noi perché ci troviamo in una zona di passaggio e altamente trafficata, non molto distante dall’aeroporto di Malpensa”, chiosa Lorenzo Schapira.
Alessia Lazzarin
Oltre 29 strutture globali. Quasi 15 milioni di euro investiti negli ultimi 3 anni. Più di 3.000 esperti tra cui 600 chimici, 70 biologi, 225 scienziati senior e 400 specialisti della qualità e della regolamentazione. Questi sono solamente alcuni dei numeri di Curia Italy Srl, multinazionale che ha il suo headquarter in provincia di Varese
Quando si varca il cancello dello stabilimento varesino di Curia Italy Srl, situato nella zona industriale di Origgio, sembra di entrare in un parco immerso nel verde. Percorrendo la strada che porta agli uffici operativi si incontrano cartelli stradali che indicano il
pericolo di attraversamento di animali selvatici. Proseguendo qualche metro, sulla sinistra, si possono scorgere all’interno di un recinto 6 daini che si muovono in una grande zona boschiva a loro dedicata. Camminando per il parcheggio, si intravede qualche scoiattolo che corre sugli alberi. Non passa inosservata, inoltre, la presenza di una vera e
propria colonia felina (più di 10 gatti per l’esattezza) tra gli stabili della multinazionale. Un’ambientazione non del tutto tipica, forse, per un sito industriale come quello di Curia. Realtà che opera a livello globale nel settore della farmaceutica e che si occupa dell’attività di ricerca, sviluppo e produzione sia di principi attivi, sia di farmaci.
Il contesto esterno dello stabilimento, però, rispecchia perfettamente l’anima di questo colosso manifatturiero. “Abbiamo a cuore il tema dell’ambiente, della sostenibilità e della biodiversità. Ci prendiamo cura dell’ecosistema che ci circonda e del luogo che ci ospita tutti i giorni”. È con queste parole che Leonardo de Paolis, Amministratore Delegato di Curia Italy Srl, introduce uno dei tanti fronti di impegno portati avanti dall’azienda: quello ambientale. Ma non è il solo. Benessere dei dipendenti, politiche di welfare aziendale e buone prassi in tema di sicurezza sul lavoro: sono
queste alcune delle priorità che contraddistinguono il sito produttivo italiano. Un sito composto da 3 stabilimenti: 2 situati in provincia di Milano e uno in provincia di Varese. A Origgio, appunto. Dove ha sede l’headquarter.
La presenza di una flora e fauna così ricca sono degli esempi visibili dell’attenzione che Curia pone verso l’ambiente. “Qualcosa di meno visibile, ma molto più importante, invece, è il nostro impianto di cogenerazione che utilizza gas naturale per produrre energia elettrica che rifornisce tutto lo stabilimento”, ci tiene a sottolineare l’Ad de Paolis. Attuare politiche di work-life balance per i propri dipendenti è un’altra attenzione della multinazionale: “Abbiamo messo in campo diverse iniziative per permettere ai nostri collaboratori di raggiungere un buon equilibrio tra vita privata e professionale – prosegue l’Amministratore Delegato –. Pur essendo un’industria produttiva con un gran numero di persone impiegate negli impianti di fabbricazione, abbiamo introdotto lo smart working”.
All’interno del sito varesino è presente un’infermeria dove, in alcuni giorni della settimana, un medico e un’infermiera si dedicano ai dipendenti che sono sottoposti a sorveglianza sanitaria, specialmente quelli che lavorano nei reparti chimici. “Per le figure che ricoprono ruoli d’ufficio, invece, abbiamo stipulato delle convenzioni con alcuni centri per effettuare screening gratuiti”. Una mensa aziendale. Un ampio spazio verde dove bere un caffè o fare una pausa respirando aria pulita. Una tensostruttura nuova per condividere momenti conviviali. Sono alcuni dei benefit che Curia Italy si impegna a offrire alle proprie persone.
“Nel sito varesino, il più grande e importante, operano più di 250 persone – precisa de Paolis –. Si tratta sia di figure specializzate nelle fasi produttive, sia di figure global e corporate che sono punti
di riferimento in tutto il globo per Curia”.
Negli ultimi 3 anni, Curia Italy ha investito circa 19 milioni di euro, di cui 11 solo nello stabilimento varesino. L’Amministratore Delegato incalza: “Curia punta ad essere sempre più flessibile verso le esigenze di mercato. Lavoriamo con sostanze complesse. Il nostro ruolo è quello di proteggere e tutelare i nostri dipendenti e, allo stesso tempo, garantire la fabbricazione di prodotti di qualità”.
Un tema, quello della sicurezza sul luogo di lavoro, fondamentale per una realtà sotto direttiva Seveso (per la prevenzione dei grandi rischi industriali). Diverse, quindi, le buone prassi messe in campo. Una su tutte decisamente considerevole: “Abbiamo introdotto una ‘glove box’, un raccoglitore per il trattamento di sostanze liquide particolarmente aggressive –conclude l’Amministratore Delegato della multinazionale –. Si tratta di
un sistema chiuso che permette all’operatore di accedere al reattore e di poter caricare la sostanza pericolosa senza mai essere esposto a una potenziale fuoriuscita o perdita del prodotto”.
Una rete mondiale di più di 29 strutture guidata da un team di oltre 3.000 esperti. Tra questi, più di 600 chimici, 70 biologi, 225 scienziati senior e 400 specialisti della qualità e della regolamentazione. 350 sono i programmi di scoperta di farmaci e 564 i brevetti rilasciati.
Silvia Giovannini
Foto di Tatiana Moscagiuro
L’idea di Assi Srl, storica azienda varesina del settore digitale, è semplice: regalare un’esperienza unica ai propri clienti e stakeholder per fidelizzarli grazie alla scoperta della collezione della Fondazione Marcello Morandini che espone le opere artistiche, di design e architettura dell’artista varesino. Un caso esemplare del legame sempre più stretto tra impresa e valorizzazione del territorio
idea di avvicinare la nostra impresa al mondo dell’arte nasce da una affinità di spirito: da sempre siamo attenti al territorio, alle sue peculiarità e al suo sviluppo e ci sembrava coerente unire questa sensibilità con un obiettivo aziendale molto concreto”. È Barbara Mentasti, Marketing Manager di Assi Srl a raccontare l’iniziativa che ha portato il mondo dell’impresa varesina letteralmente dentro a quello dell’arte, alla scoperta della Fondazione Marcello Morandini. Un progetto espositivo, nato nel 2016, per volontà dello stesso artista e che ha trovato casa proprio in centro Varese grazie alla ristrutturazione e riconversione di Villa Zanotti, una delle preziose architetture del primo ‘900 che ne caratterizzano il patrimonio.
L’iniziativa di Assi Srl, del febbraio scorso, racconta molto di quell’attenzione contemporanea del mondo imprenditoriale a quello dell’arte, che passa dal classico mecenatismo, promosso anche grazie all’Art Bonus, fino ad una più ampia visione della responsabilità sociale che nella valorizzazione del patrimonio locale vede uno dei suoi ambiti privilegiati d’azione. E racconta molto, soprattutto, di un’azienda che si occupa di digitalizzazione e che del valore della rete ha fatto proprio uno dei suoi punti di forza.
L’idea è semplice: Assi Srl ha deciso di regalare un’esperienza ai propri clienti e stakeholder portandoli, in una serata riservata ed esclusiva, alla scoperta della collezione artistica della Fondazione, in compagnia di guide d’eccezione: lo stesso Marcello Morandini e la moglie Maria Teresa. “La scelta di proporre questa iniziativa, che non è un semplice evento, ma un’esperienza vera e propria, sicuramente partiva da un entusiasmo e da una passione personale di alcuni tra noi in azienda, ma non solo: l’intento era molto
concreto e in linea con il nostro core business”, racconta Mentasti. “Il desiderio del team, in particolare di Emanuele Bellini, Ad della società, era quello di permettere ai nostri partner di vivere un’esperienza emozionante e unica nel suo genere, scoprendo l’arte in uno spazio impareggiabile e con il valore aggiunto della guida dell’artista, ma anche il desiderio di creare un’opportunità per l’incontro di persona. I nostri clienti, infatti, conoscono perfettamente la nostra realtà aziendale, servizio e prodotto, ma non conoscono dal vivo tutta la nostra squadra. Se, ad esempio, i sistemisti sono volti noti per i partner, una parte del nostro team, come gli sviluppatori, è essenzialmente una... voce! Una voce nota certamente, grazie a uno scambio di informazioni e un contatto costante, spesso di lunga data, ma pur sempre una voce. L’idea era, quindi, favorire questo incontro dal vivo e, contemporaneamente, creare una relazione tra i clienti stessi, che si conoscono attraverso i nostri progetti, ma non necessariamente tra di loro. Ci sembrava un’occasione privilegiata quella di associare la potenza dell’arte contemporanea e di un luogo che esso stesso racconta una storia preziosa al nostro stile di professionisti”. Uno stile che ha da sempre accompagnato la storia di Assi Srl ed è testimoniato da una straordinaria apertura al territorio, con il sostegno a progetti vari, come tipologia e finalità, ma accomunati da uno scopo etico. Da quelli benefici, con la vicinanza alle iniziative della Fondazione
Ascoli e del Comitato Maria Letizia Verga, a quelli sportivi, come la collaborazione con Pallacanestro Varese, a quelli verso il mondo dei giovani, come, in particolare, la partnership con Confindustria Varese per la realizzazione del Pmi Day, l’iniziativa di orientamento che l’Associazione dedica ogni anno ai ragazzi delle scuole medie. Un’apertura che potrebbe sembrare insolita per un’impresa specializzata nelle soluzioni IT ma che, invece, ne caratterizza proprio il dna di realtà costantemente orientata al futuro. Fin da quando, nel 1980, viene fondata ISA Srl Informatica e Sistemi Applicativi, che sviluppa e verticalizza software gestionali e resterà sempre l’altra anima di Assi Srl, che è invece specializzata nella consulenza all’infrastruttura sistemistica e nello sviluppo di applicazioni web. “Il nostro è un lavoro che, per sua natura, si basa sulla costante attenzione al nuovo e alle soluzioni su misura sia lato software sia hardware”, spiega la Responsabile del marketing. “Per esempio, le nostre ultime creazioni, di cui siamo estremamente orgogliosi, sono EMAform, un software per la gestione della formazione e SisPlanWeb 4.0, un programma per rappresentare, visualizzare, tracciare e gestire le tempistiche e l’avanzamento della produzione aziendale. Questi, come tutti gli altri progetti, si basano sempre su necessità reali e specifiche. Per restare in tema artistico, si può ben dire che le nostre soluzioni sono ‘pennellate’ sulle esigenze dei clienti”, conclude Barbara Mentasti.
Francesca Cisotto
CioccoGelateria è il progetto congiunto nato dalla partnership tra l’industria alimentare di Gallarate Irca, la Cooperativa San Carlo di Tradate e la Pasticceria Buosi. Tre realtà che stanno lavorando alla trasformazione di una già esistente gelateria sociale in una location che possa essere anche una cioccolateria. L’obiettivo: dare lavoro con maggiore continuità, per tutto l’anno alle persone con disabilità psichica, intellettiva e alle donne vittime di violenza
Un’occasione di riscatto, per imparare un lavoro, per sentirsi utili e, in alcuni casi, per dare letteralmente una svolta alla propria vita. Questo ciò che si propone di offrire alle persone con disabilità psichica e intellettiva e alle donne vittime di violenza la CioccoGelateria sociale che aprirà intorno a novembre nel centro storico di Tradate. Un progetto congiunto nato dalla sinergia di 3 realtà imprenditoriali, provenienti da diversi settori, del Varesotto: Irca Spa, l’impresa con sede a Gallarate, attiva nella produzione di cioccolato e semilavorati per la panificazione e la pasticceria, Cooperativa sociale San Carlo di Tradate, che si occupa dell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate nei settori dell’industria, ma anche del commercio, dei servizi
e dell’agricoltura e Pasticceria Buosi, con sede a Varese e a Venegono Superiore.
Il progetto parte dalla rivisitazione della Gelateria sociale della Cooperativa tradatese, già avviata nel corso del 2021. Praticamente, non si tratterà di una seconda bottega dolciaria, ma della stessa, ristrutturata in modo tale da poter essere sia una gelateria per le stagioni più calde dell’anno, sia una cioccolateria per quelle più fredde. Il che significa poter dare un lavoro, ai ragazzi e alle ragazze della Cooperativa, tutto l’anno. Non solo in estate.
Più precisamente, Cooperativa San Carlo mette a disposizione la sua Gelateria sociale, Buosi fornisce le proprie miscele e Irca offre la formazione adeguata, con la sua Academy, affinché i collaboratori imparino al meglio l’arte del mestiere.
“Quella con San Carlo e il Maestro Pasticcere, Denis Buosi, rappresenta una partnership di valore tra realtà di diversa estrazione, che permette di offrire prodotti di qualità ai clienti e concrete opportunità di lavoro a persone che difficilmente otterrebbero analoghe occasioni. È un’iniziativa pensata per costruire un modello di eccellenza e dare un messaggio importante al territorio e alla comunità in tema di inclusione sociale – sottolinea il Ceo di Irca, Massimo Garavaglia –. Questo progetto testimonia il nostro impegno nel fare leva sulla formazione, che offriamo con la nostra Irca Academy, come elemento chiave non solo per lo sviluppo del nostro business ma anche per la nostra strategia Esg. Le persone sono al centro di questa strategia e crediamo che tutti dovrebbero avere l’opportunità di
imparare e diventare chef”.
A precisare il valore della sinergia tra le parti è il Presidente della Cooperativa San Carlo, Maurizio Martegani: “Volevamo dare alle persone la possibilità di lavorare tutto l’anno e non solo nella bella stagione. Da questa intenzione, attraverso la convenzione (ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 276/2003, ndr) della Legge Biagi (per cui un’azienda può adempiere all’obbligo di assumere persone svantaggiate, affidando delle commesse di lavoro a delle cooperative sociali, ndr), abbiamo deciso di intraprendere questo percorso con Buosi e Irca. Due realtà imprenditoriali il cui coinvolgimento è fondamentale perché, in questo modo, siamo riusciti a combinare, in un unico progetto, le cose migliori che ognuno di noi è capace di fare. Abbiamo pensato che così si potesse creare una bella sinergia e non ci siamo sbagliati. La Cooperativa
quest’anno spegne 40 candeline e quello che abbiamo tentato di mettere in pratica, soprattutto negli ultimi anni, è di rinnovarci sotto l’aspetto delle commesse. Fino agli anni 2000 si tendeva ad affidare a questi ragazzi delle attività di assemblaggio e confezionamento o, comunque, delle mansioni molto semplici. Quasi da catena di montaggio. Ora i tempi sono cambiati e anche noi cerchiamo di assegnargli qualche attività più dinamica, che possa offrire loro più stimoli e una maggiore soddisfazione personale. Desideriamo che si mettano in gioco e si sentano utili. Ecco perché stiamo cercando di spenderci sempre di più per capire gli spazi di business utili a sviluppare l’inclusione lavorativa delle persone disabili”.
Non a caso lo slogan del progetto è: “Molto più di un gelato”. Sì, perché, come aggiunge il Presidente della Cooperativa, Maurizio Martegani,
Martegani, Cooperativa San Carlo: “Fino agli anni 2000 si tendeva ad affidare a questi ragazzi delle mansioni molto semplici. Ora i tempi sono cambiati e anche noi cerchiamo di assegnare loro qualche attività più dinamica, che possa offrirgli più stimoli e una maggiore soddisfazione personale”
“non fa piacere solo a chi lo mangia. Fa del bene anche a chi lo serve. Dal punto di vista delle persone a cui
diamo un lavoro, il fatto che qualcuno riponga fiducia in loro, gli dà carica e si trasforma in una riconoscenza immensa verso la Cooperativa e le persone che lavorano con noi. Nella nostra mano tesa, non vedono solo un lavoro o la possibilità di imparare una professione, ma intravedono soprattutto una seconda possibilità di vita. E lo noti dai loro occhi, oltre che da come si pongono rispetto a dei problemi che si presentano nella quotidianità. Prendono tutte le cose in un modo diverso, con più entusiasmo ECONOMIA
e positività. Inoltre, a sostenerli sia sotto l’aspetto emotivo, sia in quelli più pratici, ci sono i nostri educatori, preparati anche per quanto riguarda il lato psicologico. Un esempio concreto di rinascita è la nostra responsabile della gelateria. È una donna che ha ricominciato la sua vita da capo, si è messa in gioco con noi e ora, se volesse aprire una sua attività in proprio, saprebbe essere autonoma. Gestisce tutto lei, dalla produzione del gelato all’attenzione verso la clientela, passando per la gestione dei fornitori
Cooperativa San Carlo mette a disposizione la sua Gelateria sociale, Buosi fornisce le proprie miscele e Irca offre la formazione adeguata affinché i collaboratori imparino al meglio l’arte del mestiere
delle miscele”.
La donna di cui parla Martegani, continua a raccontare Denis Buosi, Titolare dell’omonima Pasticceria, “è fuggita dal Pakistan per violenza, è stata accolta in una delle Case rifugio della Cooperativa Baobab e poi ha iniziato a lavorare nella Gelateria sociale in cui collaboro, perché avendo oltre 30 collaboratori al lavoro nelle pasticcerie, siamo tenuti al rispetto dell’obbligo di assumere anche delle persone con disabilità. È da qui che, per ottemperare a questo dovere, rifacendomi alla convenzione (art. 14, ndr) della Legge Biagi, data la complessità del mestiere e dunque l’impossibilità, talvolta, dell’inserimento lavorativo di queste persone, ho iniziato ad affidare delle commesse a Cooperativa San Carlo. Ed è sempre da qui e dalla mia amicizia con Massimo Garavaglia che è nato il coinvolgimento anche di Irca. Un giorno, parlando del più e del meno, gli ho raccontato tutte queste cose e lui mi ha risposto ‘vogliamo partecipare anche noi’. Abbiamo creduto sin da subito che unendo le competenze potessimo crescere e aiutare ulteriormente questi ragazzi. Ora, il prossimo passo a cui stiamo lavorando è quello di far conoscere, attraverso una buona strategia di comunicazione, questo tipo di sinergie anche ad altre aziende. Dal nostro punto di vista si tratta di collaborazioni che hanno un valore morale e sociale inestimabile”.
Alessia Lazzarin
Dalla ricerca scientifica nel laboratorio universitario dell’Insubria di Varese alla nascita di una vera e propria impresa. La storia de ILFARM Italian Leech, realtà che ospita sul territorio allevamenti indoor e outdoor di questi invertebrati. Sollievo per contratture muscolari, disturbi cutanei e ipertensione arteriosa: questi alcuni dei benefici della Hirudoterapia, una tecnica di medicina naturale integrativa che viene utilizzata da medici, fisioterapisti e veterinari
Èla prima e, ad oggi, unica, impresa italiana abilitata all’allevamento di sanguisughe della specie Hirudo verbana a scopo scientifico e terapeutico. È nata meno di due anni fa come spin-off dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese. Dall’attività di ricerca scientifica nel laboratorio universitario alla creazione di una startup. Questo il percorso che ha portato i professori e i ricercatori Nicolò Baranzini, Annalisa Grimaldi, Laura Pulze e Francesco Acquati a fondare ILFARM Italian Leech. “Ci occupiamo dell’allevamento e del
mantenimento di questi invertebrati adulti e giovani, della cura degli stadi embrionali e del loro sviluppo – raccontano i professori e fondatori della startup varesina –. Oltre a svolgere un’attività di ricerca per conoscere gli effetti benefici che ne derivano dal loro utilizzo”. Una realtà presente sul territorio con 2 sedi: “In Università si trovano i laboratori di ricerca per le attività di R&D della startup e per la formazione di studenti e dottorandi – informano i founder –. Crosio della Valle ospita il centro di allevamento e riproduzione indoor dotato di acquari e ambienti a temperatura controllata per la
stabulazione (allevamento, ndr) delle sanguisughe”. Ambienti pensati per avere tutte le caratteristiche necessarie alla sopravvivenza e riproduzione degli invertebrati. “In questa sede, inoltre, è presente una zona adibita alla vendita all’ingrosso degli invertebrati, considerati ‘animali da compagnia’”.
Una tecnica, quella della Hirudoterapia, che ha origini molto antiche e si ispira alla medicina naturale integrativa. Trattamenti sulle persone, medicina veterinaria e ricerca scientifica sono alcuni degli ambiti in cui vengono utilizzate le sanguisughe. Senza dimenticare l’aspetto ambientale: “Gli habitat in cui vivono questi animali sono sempre più minacciati, a causa del continuo sfruttamento dei corsi d’acqua – informano i professori –. Le aspettative future lasciano intendere che la loro salvaguardia sarà fortemente necessaria”. ILFARM, inserendosi in uno dei principali programmi di finanziamento dell’Unione europea dedicati alla conservazione della biodiversità, “giocherà un ruolo fondamentale nel preservare dall’estinzione le due specie, H. medicinalis e H. verban”, specificano ancora Baranzini, Grimaldi, Pulze e Acquati.
I benefici che derivano dall’applicazione degli invertebrati sono diversi, assicurano i professori: migliorano le condizioni delle vene varicose, dei problemi alle articolazioni, degli ematomi e dell’osteoartrite. Creano sollievo per le contratture muscolari, l’epicondilite, la fascite plantare, i disturbi cutanei e sottocutanei, i foruncoli, l’acufene, l’angina pectoris, le malattie neurologiche, l’ipertensione arteriosa e l’herpes.
“Nella saliva della sanguisuga sono presenti diversi principi attivi, dotati di attività analgesica, antibatterica, antinfiammatoria e anticoagulante. Inoltre, la rimozione a livello locale del sangue trova importanti applicazioni per il trattamento di patologie infiammatorie e infezioni
localizzate”, precisano da ILFARM. In molti Paesi europei, si tratta di una pratica terapeutica ampiamente diffusa. In Italia, invece, è un metodo con ancora poco seguito, con un potenziale di crescita notevole. Tra gli obiettivi della startup c’è proprio quello di diffondere questa cultura
terapeutica a livello nazionale. Gli startupper, infatti, sostengono che una buona percentuale di medici, fisioterapisti, naturopati, veterinari e aziende ospedaliere stia iniziando ad approcciare la Hirudoterapia. Un metodo che viene utilizzato anche in ambito veterinario.
“Da secoli, diverse specie animali come i cavalli, i bovini e gli ovini – precisano –, sono alla ricerca spontanea di pozze d’acqua popolate da sanguisughe”. Cani, gatti e cavalli sono tra i mammiferi più predisposti a questa pratica per trattare patologie come infiammazioni articolari, edemi, artrosi e disturbi del sistema muscolo-scheletrico. Questo invertebrato viene utilizzato anche nella ricerca scientifica: “Si tratta di un modello sperimentale alternativo ai vertebrati – informano i ricercatori –, ampiamente utilizzato per studiare i meccanismi che regolano la risposta immunitaria, la rigenerazione tissutale, il funzionamento del sistema nervoso e valutare l’impatto ambientale di diversi tipi di inquinanti e nanomateriali derivanti da attività antropiche”.
Vengono anche utilizzati come “animali da compagnia” e spediti, in tutta Italia, con questa specifica. “La nostra attività di vendita all’ingrosso degli invertebrati avviene tramite corriere – spiegano i ricercatori varesini –. Tra le 24 e 48 ore gli animali arrivano a destinazione”. La startup mette a disposizione dei propri clienti un kit di sanguisughe domestico all’interno del quale si trova tutto il necessario per prendersi cura di queste creature. “I clienti, successivamente, possono decidere di accudire la sanguisuga come fosse un animale domestico oppure scegliere di affidarsi ad un medico competente per l’utilizzo terapeutico”. Niente fai da te.
L’applicazione delle sanguisughe per i trattamenti non è dolorosa. “Si avverte un fastidio che è soggettivo e dura pochi secondi – precisano ancora dalla startup varesina –. Per alcuni si tratta di un pizzicotto, per altri di una leggera scossa elettrica. Questo perché nella saliva dell’invertebrato sono presenti delle molecole anestetiche”. Per applicare le sanguisughe è necessario un ambiente sterile, la pelle deve essere pulita con una soluzione fisiologica. “La presenza di profumi o odori
forti provoca fastidio”, specificano i ricercatori. Una volta applicato, l’animale si stacca in maniera autonoma. “Al trattamento segue un periodo di sanguinamento minimo che può durare circa 12 ore, ma che è fondamentale per ottenere i benefici desiderati”.
Nel momento in cui vengono applicate, le sanguisughe trasmettono molteplici effetti positivi: antidolorifici, antinfiammatori, antibatterici, anticoagulanti. “L’utilizzo delle sanguisughe è monouso, non possono essere riutilizzate su altre persone”. Una volta usate, le sanguisughe possono essere tenute in casa da chi volesse continuare a prendersene cura oppure, soprattutto in Europa, “si usa rispedire all’azienda l’animale che viene, successivamente, reintegrato in un habitat adatto anche in prospettiva di una riproduzione”.
Un’attività imprenditoriale e di
ricerca che richiede una conoscenza approfondita e competenze tecniche. “Siamo tutti professori e ricercatori universitari – informano gli startupper –. Il nostro team è composto da 2 zoologi, un genetista e una biologa sanitaria”. ILFARM è una startup molto giovane. Le prospettive di crescita in questo mercato sono positive. “Abbiamo fondato l’impresa a settembre del 2022, ma contiamo di espanderci e crescere in modo esponenziale, anche e soprattutto tenendo conto delle richieste del business”. Attualmente sono una cinquantina le sanguisughe al mese che vengono spedite in tutta Italia, con un trend in costante crescita. “Siamo l’unica azienda presente sul territorio nazionale che effettua questo servizio – concludono i fondatori della startup –. L’obiettivo è quello di strutturarci per diventare un punto di riferimento nazionale per il nostro core business”.
Sono più di 300 le alunne e gli alunni delle scuole elementari, medie e superiori che sono stati celebrati durante la seconda edizione dell’Education Day, un grande evento pensato da Confindustria Varese e dalle aziende per valorizzare l’impegno di centinaia di giovani di ogni età con borse di studio o riconoscimenti per progetti di giornalismo, invenzioni o nuove idee imprenditoriali
Ipremi al merito di 100 bambini e bambine delle scuole elementari che si sono riscoperti inventori di giocattoli tecnologici grazie alle imprese meccaniche e siderurgiche varesine. Il riconoscimento agli alunni di 3 classi delle scuole medie che hanno saputo realizzare una vera e propria rivista giornalistica sul tema della libertà, con il concorso indetto dalla Piccola Industria. La consegna delle borse di studio ai 60 migliori studenti individuati dagli Istituti Tecnici Industriali ed Economici del territorio che coltivano ogni giorno la nuova “Generazione d’Industria”. I trofei assegnati alle migliori idee d’impresa degli startupper in erba arrivati sul podio provinciale di una competizione pensata dal Gruppo Giovani Imprenditori. Questi alcuni dei momenti che si sono tenuti durante la seconda edizione dell’Education Day, un grande e unico evento organizzato da Confindustria Varese per riconoscere il merito di tutti quei giovani che si sono maggiormente distinti all’interno dei 4 progetti che l’Associazione, insieme alle proprie imprese associate, porta avanti con le scuole per coltivare nelle nuove generazioni la cultura d’impresa: il Progetto Eureka (per le scuole elementari), il Pmi Day (per le scuole medie), il Progetto “Generazione d’Industria” e la competizione Latuaideadimpresa (per le scuole superiori).
“Abbiamo premiato i migliori studenti, di ogni età, del Varesotto, in una giornata dedicata a più di 300 studenti e studentesse delle scuole elementari, medie e superiori del territorio”, spiega il Presidente di Confindustria Varese, Roberto Grassi, nel descrivere l’evento che si è tenuto nel mese di maggio al Centro Congressi Ville Ponti di Varese: “Anche per quest’anno scolastico appena concluso siamo riusciti a raggiungere tutte le scuole varesine”.
Sono stati coinvolti bambini e bambine di 6 anni, insegnando loro
l’arte del “saper fare” attraverso la costruzione di modellini tecnologici, ma non solo: “Abbiamo, insieme alle imprese varesine, consegnato borse di studio agli alunni più meritevoli delle scuole superiori – continua il Presidente Grassi –. Abbiamo organizzato visite aziendali, lezioni in aula e stage. Ci siamo aperti al confronto con il corpo docente”.
In sinergia con il Gruppo Giovani Imprenditori dell’Associazione, precisa ancora Grassi: “Abbiamo supportato alcune classi nella realizzazione di diversi progetti aziendali che ora possiamo valutare di trasformare in vere e proprie startup, per alimentare il fermento imprenditoriale della provincia”. Tante iniziative e progettualità con un unico filo conduttore: quello di continuare ad investire nella formazione delle nuove generazioni. “Cercando di rendere sempre più attrattive – conclude il Presidente di Confindustria Varese –, anche grazie alla collaborazione e all’ascolto dei ragazzi e delle ragazze, le nostre realtà industriali che hanno un estremo bisogno di trovare nuove forme di dialogo con i giovani”.
Il progetto Eureka ha premiato gli alunni delle scuole elementari vincitori della gara di costruzione di giocattoli organizzata a livello nazionale da Federmeccanica e a livello locale dai Gruppi merceologici di Confindustria Varese delle imprese “Meccaniche” e delle “Siderurgiche, Metallurgiche e Fonderie”.
I premiati:
Classe quarta della Scuola Leonardo Riva di Leggiuno, con il giocattolo Pharaoh’s challenge: Pietro Angelone; Rebecca Basso; Tommaso Bigarella; Letizia De Falco; Edoardo Gaglione; Fatima Zahara Hamdaoui; Cristian Kowalczyk; Juri Mantovani; Enea Moiraghi; Josuè Palumbo; Riccardo Pennazzato; Elio Ricciardi; Erika Rigato; Martina Rimoldi; Santiago Sanchi; Irene Serra; Filippo Slongo. Classe 5D della Scuola Enrico Fermi di Cassano Magnago, con il giocattolo “Superpista”: Lorenzo Abogo Bigoune; Dawood Akhtar; Irene Albanese; Aysha Noor Ali; Edoardo Bellini; Alessandro Boscolo; Nicole Cusano; Susanna Farè; Vittoria Ferrario; Francesco Fornasa; Davide Frascino; Alessandro Giannini; Alessandro Grandesso; Gabriele Gussoni; Sofia Khodri; Iris Laffranchi; Andrea Marcatini; Gloria Marchetti; Nicholas Mori; Matteo Portadibasso; Giovanna Paola Rossi; Simone Rudello; Luca Salvalaggio; Riccardo Scillieri. Classe 4A e 4B della Scuola Pontida di Busto Arsizio, con il giocattolo “Luna Park della Storia” (hanno vinto il premio della critica): Alessandro Andreone; Lina Baccouchi; Carola Cremon; Tommaso Dell’ordine; Arian Khan Faisal; Daniele Ferri; Ahmed Muhammad Hanzala; Francesco Hu Ling Bing; Liia Elena Hyza; Ismail Kumvich; Yassin Mohamed; Moataz Rahmouni; Marisol Rakaj; Maristella Rakaj; Febe Renzullo; Lemuel Renzullo; Francesco Scalici; Giada Scolaro; Rebecca Sudoso; Riccardo Tuzzolino; Mohammed Adem Lalistuu; Stefano Alabiso; Arius Alvarez Cardenas; Emma Dalla Zorza; Amelia Dapi; Emma De Girolamo; Cristian De Santis; Matteo Girola; Bilal Issifou; Mohammad Zayn Khahdoker; Amanda Lazzari; Chiara Licciardello; Thomas Locaso; Sofia Macarenco; Luis Martinez Ceron; Christian Mistretta; Alessandra Narkaj; Camilla Oddo; Evelyn Piscitello; Giuseppe Ruffino; Ahmed M.A. Salama Hamza; Edoardo Santi; Evelyn Serena Trovato; Pietro Virdis.
Classe 5A della Scuola Gianni Rodari di Cassano Magnago, con il giocattolo “Attenti alla buca!!!” (ha vinto un premio speciale dalla giuria popolare ed è stato votato da 9500 persone): Lisa Aceti; Beatrice Battagliero; Ivan Bertipaglia; Tindaro Buglisi; Alessandro Calì; Edoardo Carluccio; Camilla Di Iorio; Ludovica Frodà; Aurora Galletta; Ambra Gjonaj; Leonardo Gonzato; Edoardo Gorletta; Alesia Iancu; Moemi Pirillo; Maurizio Torretta; Oliver Velaj; Emma Zaffaroni.
Nell’ambito del Pmi Day sono stati premiati gli studenti delle scuole medie che si sono distinti con la realizzazione di una vera e propria rivista sul tema della libertà, a seguito delle visite virtuali e in presenza svolte in alcune aziende, lo scorso novembre, come momento di orientamento dedicato a quasi 4.000 ragazzi in procinto di scegliere la scuola superiore. Un’iniziativa, questa, organizzata dal Comitato Piccola Industria di Confindustria Varese.
I premiati: 1° classificata: classe 3C dell’Istituto Comprensivo “M. Longhi” di Viggiù con la rivista “Appunti di libertà”. I nomi dei ragazzi: Mirko Anzaldi; Riccardo Baietti; Dejan Bajrakurtaj; Emma Belluzzi; Nicolò Bottoni; Emanuele Buzzi Di Marco; Greta Domi; Axel Sigfrido Ferrari; Sofia Luigina Gentile; Sabrina Germanà Pistone; Ginevra Leto Barone; Maria Isabella Lorini; Saira Mastropaolo; Anna Mikhaylik; Valentina Monaco; Amelie Maria Orioli; Elisa Piaia;
Mattia Picotti; Trevis Rosato; Mirco Rozzato; Mila Tuana Giumel; Erick Viola; Sabrina Viscomi; Alice Zambon.
2° classificata: classe 3F dell’Istituto Comprensivo “G. Galilei” di Tradate con la rivista “Liberi Dentro”. I nomi dei ragazzi: Mah Noor Ahmed; Erica Bordonali; Anita Bujaj; Federico Giuseppe Calabrò; Anthony Castiglioni; Mattia D’amico; Matteo Ferioli; Filippo Fortunato; Riccardo Fortunato; Elia Ghirardini; Kejsi Gjozi; Burak Gozudok; Ginevra Medile; Matilde Piatti; Domenico Francesco Priolo; Chiara Ravasi; Cesare Reina; Mattia Righetto; Nora Sgarella; Leonardo Ursu; Leonardo Valoroso.
3° classificata: classe 2C della Scuola Secondaria di primo grado “Sally Mayer” di Cairate con la rivista “Libertà va cercando”. I nomi dei ragazzi: Laura Baldini; Gabriele Barretta; Cristian Bollini; Alice Bulegato; Rafael Campos; Riccardo Castiglioni; Greta Cerrato; Samuele Chianese; Sara Citterio; Lorenzo Frattini; Dean Gjeli; Ilaria Guerini Rocco; Flori Kallashi; Diego La Forgia; Micol Maffezzoni; Stefano Maresca; Giulia Molinaro; Gioele Natilla; Marc Axel Oyoua Cyrille; Leonardo Paolillo; Laura Sacchetta.
Generazione d’Industria
Sono state 60 le borse di studio consegnate ai migliori studenti indicati dagli Istituti Tecnici Industriali Economici del territorio che aderiscono al Progetto Generazione d’Industria.
Le borse di studio di Generazione d’Industria per l’anno scolastico 2023/2024 sono andate a:
ISIS “I. Newton” di Varese: Diego Bonaffini, Daniele Centanin, Umer Guasi, Alice Ingallina;
ISIS “A. Ponti” di Gallarate: Aurora Brusatori, Mirko Comendulli, Tommaso Fortina, Simone Micalizzi, Alessandra Provasi; ISIS “C. Facchinetti” di Castellanza: Alessandro Franzoni, Davide Domenico Paolini, Riccardo Salemme, Andrea Tassi;
ITIS “G. Riva” di Saronno: Emanuele Bordin, Andrea Cattaneo, Mirko Milici, Giorgia Premoli, Mattia Stefano Valentini;
IPSIA “A. Parma” di Saronno: Christian Cavallucci, Lorenza Di Lernia, Ayoub El Farissi, Lorenzo Zappalà;
ISISS “L. Geymonat” di Tradate: Chiara Briancesco, Mauro Giacomini, Nicolò Alberto Martorana, Simone Pigozzo;
ISIS “J.M. Keynes” di Gazzada: Mattia Coronetti, Lorenzo Fiore, Sara Folador, Lorenzo Ossola, Giulia Pinton, Celestino Resteghini; ISIS “Città di Luino - Carlo Volontè” di Luino: Riccardo Bertoli, Federico Porrini, Joseph Quispe, Serena Ranzoni, Riccardo Resca, Mattia Serafin;
IIS “C.A. Dalla Chiesa” di Sesto Calende: Andrea Soldati, Francesco Marino, Bruno Livio Dimasi, Sasha Vezzosi, Hasini Rupasinghe, Andrea Rosa;
ITE “E. Tosi” di Busto Arsizio: Jingyu Matteo Hu, Michele Zorzi; ITE-LL “Gadda-Rosselli” di Gallarate: Elisa Lin Li Yang, Valentina Ferretti; ITCS “G. Zappa” di Saronno: Alice Alberio, Andrea Scaramella; ISISS 2Don L. Milani” di Tradate: Francesca Uslenghi, Tommaso Trombetta;
IIS “E. Montale” di Tradate: Federico Accorsi, Nicolò Napolitano; ISIS “E. Stein” di Gavirate: Alessia Nicolini, Alessia Penzo; ITET “F. Daverio - N. Casula - P.L.
Nervi” di Varese: Giulia Bambozzi, Mariasol Aylime Bonsignori; ISIS “Valceresio” di Bisuschio: Sofia Bettoni, Martina Lunetta. Nell’ambito di Generazione d’Industria, una menzione speciale è andata ai 2 Project Work realizzati dalla Classe 5A MEC (Meccanica Meccatronica Energia) dell’ISIS Newton di Varese insieme all’azienda Secondo Mona di Somma Lombardo e dalla classe 5A AFM (Amministrazione, Finanza e Marketing) dell’ISISS “Don L. Milani” di Tradate insieme a KPMG.
Sono stati premiati i 3 progetti saliti sul podio della fase provinciale del concorso indetto dal Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Varese, in collaborazione con i Sistemi Formativi di Confindustria e rivolto agli studenti degli ultimi 3 anni delle scuole superiori chiamati a formulare idee d’impresa per l’avvio di una startup, con relativo business plan e video di presentazione.
L’ISIS Valceresio di Bisuschio ha dominato il podio, vincendo primo, secondo e terzo posto.
Medaglia d’oro: classe 4E RIM con il Progetto “Baby Circle – promuovi la sostenibilità”. I nomi dei giovani sono: Martina Lunetta, Alex Caprioli, Altea Puorro, Martina Romeo, Giulia Corso, Maia Cavinato.
Medaglia d’argento: classe 4P PSC con il Progetto “Valce Warm”. I nomi dei giovani sono: Thomas Dalle Nogare, Martina Finarolli, Federica Guarino, Nicole Monterosso, Omar Naffati, Silvia Paganin.
Medaglia di bronzo: classe 4A AFM con il Progetto “H2ecO”. I nomi dei giovani sono: Sara Comolli, Matteo Tasca, Stefano Caruso, Lorenzo Resta, Naima Sahil, Lirind Shahini.
Francesca Cisotto
Ripartirà a settembre, con una seconda edizione, il Corso Ifts in Automazione e Robotica, organizzato a Luino dalla Fondazione Incom. Un percorso post-diploma in apprendistato, della durata di un anno, che, tra 400 ore di formazione in aula e 600 in azienda, si propone di formare quei giovani che desiderano specializzarsi nell’Industria 4.0. 15 i posti disponibili per imparare un mestiere fortemente richiesto dalle aziende del territorio
‘‘H
o fatto il Liceo delle Scienze
Applicate di Luino, poi ho tentato la strada universitaria ma mi sembrava di continuare il percorso liceale, fatto prettamente di studi teorici. Così ho deciso di lasciare la carriera accademica, buttandomi letteralmente in un corso Ifts postdiploma di robotica. Non avevo idea di cosa fosse perché si dà per scontato che un diplomato liceale scelga di proseguire gli studi con l’Università. Il mio bagaglio era quindi vuoto in merito, non avevo alcun tipo di background nel campo dell’elettronica e dell’automazione, ma avevo voglia di
imparare un lavoro. Ed è esattamente ciò che fa questo corso: offre la possibilità di mettere in pratica quello che i professori e i professionisti aziendali spiegano. Si vedono molte casistiche non considerate nei libri, ma che nel lavoro di tutti i giorni capitano spesso. Ecco perché questo percorso è proprio quello che sognavo”. È così che racconta la sua esperienza Riccardo Minetti, studente in apprendistato alla Spm Spa di Brissago Valtravaglia tramite il Corso Ifts in Automazione e Robotica di Luino della Fondazione Its Incom: il percorso post-diploma, della durata di un anno, che è nato nel 2023 per volere di alcune aziende della zona del Luinese. E che dopo i buoni risultati della prima edizione, ora è
pronto per l’avvio della seconda, in programma per settembre.
L’obiettivo? Sempre lo stesso e duplice. Da un lato, preparare le figure professionali di cui le stesse realtà manifatturiere necessitano, dall’altro, offrire ai più giovani una possibilità concreta di trasformare il proprio percorso di studi in un lavoro. Senza dimenticare un altro scopo con cui nasce questa sinergia tra scuola e sistema industriale: cercare di far fronte alle specifiche esigenze di quelle imprese più a Nord della provincia, che quotidianamente si confrontano con le dinamiche imposte al sistema economico e sociale dall’area di confine. Prima fra tutte, far fronte alla carenza di personale qualificato a causa della fuga delle figure professionali verso la vicina Svizzera.
È da qui e dal desiderio di fare del Varesotto un luogo capace di attrarre, formare e trattenere talenti, che continua la collaborazione delle aziende con la Fondazione Its Incom per preparare i futuri professionisti dell’Industria 4.0.
“Il corso ha confermato la sua validità, per questo abbiamo deciso di riproporlo anche per il prossimo anno – sottolinea Giovanni Berutti, Presidente della Spm Spa, azienda tra le prime promotrici del progetto –. L’unica differenza sarà nel programma in cui andremo ad integrare le correzioni e gli accorgimenti che questa prima edizione ha permesso di raccogliere. I ragazzi, specialmente quelli che hanno collaborato nella
nostra realtà, mi sono sembrati tutti soddisfatti. Sono entrati in azienda come studenti ‘imbarazzati’ e in soggezione, ma poi, in pochi mesi, hanno acquisito sicurezza e si sono integrati bene, imparando a lavorare in gruppo, soprattutto con i colleghi di generazioni diverse. Si tratta di giovani che dovranno andare avanti a formarsi, ma attraverso questa esperienza hanno sicuramente acquisito le basi per affiancarsi con maggiore competenza ai colleghi più anziani e continuare il processo di formazione che, specialmente nel nostro settore, non finisce mai”.
I giovani diplomati tra i 18 e i 24 anni, una volta intrapreso questo percorso formativo, vengono da subito assunti dalle imprese con un contratto di lavoro in apprendistato. Una condizione prevista per l’inizio
del percorso, che, potenzialmente, e con buone probabilità, si può poi trasformare in un contratto a tempo indeterminato al termine della formazione.
Come specifica Rosaria Ramponi, Direttrice della Fondazione Its Incom, “il timore delle aziende, talvolta, è quello di assumere dei ragazzi che poi, con le competenze acquisite, accettino proposte di lavoro in Svizzera. Una sfida, questa, che gli imprenditori hanno deciso di affrontare partecipando all’iniziativa proprio per la necessità di trovare e trattenere giovani talenti. Motivo per cui le aziende hanno anche confermato la disponibilità a mostrare agli studenti delle scuole le loro realtà imprenditoriali e le opportunità professionali di cui il mondo del lavoro ha bisogno, già durante la
fase informativa dell’orientamento e dell’open day. Undici i ragazzi che hanno partecipato a questo primo anno. La metà di loro non arrivava da un percorso tecnico, ma liceale. Un fattore, questo, che non ha inciso a livello formativo, anzi. Ciò che è importante per le imprese è la voglia di imparare di questi giovani, tanto che diverse realtà manifatturiere si sono espresse nel voler assumere, a tutti gli effetti, lo studente in apprendistato. Dal canto loro, i ragazzi hanno apprezzato la formazione molto specialistica fatta sia in aula, sia nelle realtà di prestigio del territorio, grazie agli esperti del settore”.
Quella di cui parla la Direttrice Ramponi è, infatti, un’offerta formativa che, anche nella seconda edizione, si baserà su una preparazione a tutto tondo sul campo, tra 400 ore di lezione
in aula, tenute dai professionisti delle imprese aderenti e dai maggiori produttori a livello globale in ambito robotico, quali, ad esempio, Fanuc, Omron, Mitsubishi e Siemens, e 600 ore di formazione nelle stesse aziende partner per una formazione “on the job”. Il tutto, quindi, a stretto contatto con gli esperti delle realtà imprenditoriali, che per quelle ore con i ragazzi metteranno il cappello di veri e propri professori. 15 i posti disponibili per imparare un mestiere, ma soprattutto per diventare tecnici di cui hanno fortemente e sempre più bisogno le imprese.
Programmatore PLC e HMI, sviluppatore SW lato robot, progettista di moduli software di automazione e robotica. Queste le figure professionali che potrà andare a ricoprire il giovane apprendista che, in seguito al percorso Ifts di Luino, saprà svolgere attività come, ad esempio, comprendere il
codice utilizzato nella progettazione, nello sviluppo e nella gestione di sistemi di automazione; settare l’architettura del controllo automatico e fissare la topologia, i protocolli e i parametri di funzionamento della rete di telecomunicazione industriale; gestire il funzionamento del sistema di automazione, adottando soluzioni tecnologiche per la verifica dimensionale dei componenti, controllando il corretto funzionamento delle macchine e intervenendo con procedure preventive, prescrittive, diagnostiche e manutentive del sistema.
“Si tratta di un’ottima opportunità di studio e di lavoro – aggiunge Matteo Pozzi, studente in apprendistato alla Monteferro Spa di Monvalle –. Dopo un percorso informatico all’Itis di Luino dove ho studiato diversi linguaggi di programmazione, ho scelto di proseguire i miei studi con
questo Ifts. L’ho trovata una buona alternativa al percorso universitario, in cui essenzialmente ci si forma sui libri, così da poter applicare quelle stesse nozioni teoriche sul campo. Se hai voglia di imparare un lavoro nel settore della robotica è la scelta giusta”.
Oltre a Spm Spa e Monteferro Spa, sono diverse le aziende che hanno aderito al progetto fin dalla prima edizione dell’anno che si è appena concluso e che garantiranno la loro collaborazione anche nella seconda. Tra queste: Autolab Srl di Mesenzana, Delsa Srl di Grantola, Fogliani Spa di Busto Arsizio e Rettificatrici Ghiringhelli Spa di Luino.
Per saperne di più
Il ruolo degli hub logistici negli ultimi anni è cambiato profondamente. Non si tratta più di semplici luoghi destinati esclusivamente allo stoccaggio delle merci. Oggi si parla di veri e propri stabilimenti, strutture complesse e articolate, anche e soprattutto dal punto di vista tecnologico.
A spiegare il fenomeno è Martina Baglio, Responsabile dell’Osservatorio
Immobiliare Logistico della LIUC
L’estensione dei magazzini
nella Regione Logistica Milanese (un’area che parte da Novara e arriva fino a Brescia, includendo Varese e Piacenza Sud) rappresenta il 35% della dotazione
in Italia. Il 50% degli immobili a uso logistico si concentra in un raggio di 40 chilometri da Milano. Il 75% è collocato a meno di 5 chilometri dal casello o svincolo autostradale più vicino. La superficie edificata, negli ultimi 10 anni, è aumentata del 50%, passando da 10 milioni di metri quadrati di superficie coperta a 15,8. È quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio sull’Immobiliare Logistico (Osil) della LIUC Business School di Castellanza. Uno studio che ha sondato magazzini, centri distributivi, piattaforme logistiche, transit point (dove la merce viene stoccata temporaneamente) e terminal intermodali presenti nella Regione Logistica Milanese (Rlm), per analizzarne la distribuzione spaziale e l’evoluzione temporale. La ricerca è stata presentata durante
un evento dal titolo “Infrastrutture e logistica: elementi chiave per la competitività”, promosso da Unioncamere Lombardia in collaborazione con Regione Lombardia. “Abbiamo mappato 802 magazzini lombardi per una superficie complessiva di 12 milioni di metri quadrati – spiega Martina Baglio, Responsabile dell’Osservatorio della LIUC –. Un quadro complessivo che ci ha permesso di catalogare tutti i nodi logistici strategici attraverso i quali transitano le merci con diverse origini e destinazioni e su cui si fonda gran parte della ricchezza generata dal sistema economico lombardo”.
Il ruolo dei magazzini all’interno delle supply chain nel corso degli anni è cambiato profondamente. “Non si tratta più di semplici luoghi destinati esclusivamente allo stoccaggio delle merci – continua Baglio –. Oggi gli hub logistici sono veri e propri
stabilimenti, strutture complesse e articolate, anche e soprattutto dal punto di vista tecnologico”. All’interno vengono gestite attività di valore aggiunto come, per fare qualche esempio, l’organizzazione della parte di e-commerce o le fasi del packaging. Un comparto diventato driver fondamentale e strategico per l’economia italiana. Lo testimonia il fatto che nell’ultimo decennio le dimensioni numeriche e di metratura dei magazzini sono aumentate in modo esponenziale. “La vera chiave di questo sviluppo è sicuramente l’accessibilità autostradale – continua Martina Baglio –. I principali hub logistici si trovano, infatti, lungo i collegamenti più importanti come l’A1, l’A4, l’A8 e l’A7 che attraversano da Nord a Sud la regione”. Ci sono, però, secondo lo studio dell’Osservatorio della LIUC, anche province con un minor indice di accessibilità legate ad una presenza limitata di caselli autostradali. Milano è sicuramente una delle province con il maggior numero di magazzini: “Ne possiede il 37% rispetto a quelli della Regione Logistica Milanese, ossia il 29% in termini di superficie coperta”. Pavia, Piacenza,
Novara e Mantova sono, invece, sede privilegiata degli insediamenti di grandi dimensioni. “La provincia di Lodi è quella che presenta la maggior vocazione logistica anche in ragione della sua conformazione, distribuita simmetricamente rispetto all’autostrada A1 con 3 caselli autostradali – informa la Responsabile dell’Osservatorio –. Quella di Brescia, al contrario, evidenzia la sua vocazione industriale e Cremona quella agricola”.
Lo studio svolto dai ricercatori dell’ateneo di Castellanza ha messo in luce un altro aspetto. In Lombardia si assiste al fenomeno del “logistics sprawl”: i magazzini più grandi sono situati ad una distanza di 20 o 30 chilometri dalle principali aree urbane, mentre i magazzini di prossimità si trovano nelle vicinanze delle aree periurbane. “La dimensione media di un hub logistico è pari a 16.000 metri quadrati e varia in funzione della tipologia – informa Martina Baglio –. Cresce tanto più ci si allontana dal capoluogo milanese: 8.000 metri quadrati entro 10 chilometri e 20.000 metri quadrati oltre 40 chilometri”.
Altro tema particolarmente
rilevante, secondo i ricercatori della LIUC, è quello della scarsa sovrapposizione dei magazzini rispetto alla mappa dei terminal intermodali. Nella Regione Logistica Milanese ci sono oltre 40 scali ferroviari merci di cui 18 terminal intermodali, inclusi i 2 interporti fuori Regione (Novara e Piacenza). “Negli ultimi 15 anni sono stati effettuati importanti investimenti per lo sviluppo dell’intermodalità – spiega la Responsabile dell’Osservatorio –. Gallarate, con l’hub di Hupac è un esempio di successo”.
Lo studio, infine, ha messo in luce la necessità di definire a livello regionale delle regole che consentano la corretta pianificazione del territorio e del consumo di suolo. “Se per i magazzini di grandi dimensioni si va alla ricerca di terreni edificabili e facilmente accessibili – conclude Martina Baglio – per i magazzini di prossimità spesso si cercano soluzioni che prevedono la riconversione di aree industriali o commerciali dismesse, laddove i maggiori costi dovuti alla bonifica si compensano con la location favorevole rispetto ai mercati da servire”.
Roberto Grassi Presidente Confindustria Varese
Proponiamo qui di seguito l’editoriale del Presidente Roberto Grassi con cui si apre lo speciale realizzato da Varesefocus sui sistemi di Intelligenza Artificiale Generativa in occasione dell’Assemblea Generale di Confindustria Varese.
Un lavoro di approfondimento condotto da Luca Mari e Francesco Bertolotti, Professore e ricercatore della Scuola di Ingegneria Industriale della LIUC – Università Cattaneo.
Il numero è sfogliabile online
Nell’ultimo anno Varesefocus si è occupato a più riprese di Intelligenza Artificiale, con articoli firmati da Luca Mari e Francesco Bertolotti, rispettivamente Professore e ricercatore della Scuola di Ingegneria Industriale della LIUC – Università Cattaneo. Un lavoro minuzioso e accurato che abbiamo voluto raccogliere in un numero speciale del nostro magazine, realizzato in occasione dell’Assemblea Generale 2024 di Confindustria Varese dedicata, non a caso, alle nuove frontiere dell’innovazione.
Quello che troverete nelle pagine, però, non è un semplice copia e
incolla di articoli precedenti. Mari e Bertolotti hanno aggiornato, rivisto e ampliato i testi alla luce delle più recenti novità ed evoluzioni di quella che, in uno dei loro stessi pezzi, viene definita una rivoluzione culturale, ancor prima che tecnologica. Ogni articolo è come un capitolo di un libro di alfabetizzazione sui sistemi di Intelligenza Artificiale Generativa, che si chiude ogni volta con un dialogo con GPT-4 di OpenAI. Il che ci dà il curioso punto di vista che il chatbot ha su se stesso riguardo ai vari temi che abbiamo voluto trattare.
Il nostro viaggio parte da una riunione di redazione con ChatGPT per essere poi scandito da tappe rappresentate da quelle domande che
sempre più persone, aziende e decisori politici si stanno ponendo. Quali sono le possibilità di uso e le funzionalità dei sistemi di Intelligenza Artificiale Generativa? Quali differenze ci sono tra il meccanismo di apprendimento di queste realtà e quello del cervello umano? Cosa può fare un chatbot per un’impresa? Quanto gli agenti di IA influiranno in futuro sui processi di formazione, sul mondo del lavoro e sulla società nel suo complesso, in particolare nello svolgimento della vita democratica? Arriveremo un giorno ad avere sistemi artificiali con una propria coscienza, una propria responsabilità e una propria etica, distinte da quelle degli esseri umani che li addestrano? Non vorrei deludere i lettori, ma non daremo delle risposte a tutte queste domande. Non è lo scopo di questo speciale che, però, grazie ai Prof. Mari e Bertolotti, fornisce chiavi di lettura e capacità di interpretazione di uno scenario complesso. Non vogliamo dare delle verità, ma condividere ragionamenti. In questo senso, vi invito a leggere il dialogo con ChatGPT, che troverete sotto forma di conversazione con l’inventore della bomba atomica, Robert Oppenheimer, sul tema dell’etica. Incalzato dalle domande del Professor Mari, ad un certo punto, il nostro Oppenheimer virtuale sostiene: “È cruciale stabilire norme chiare e linee guida etiche per lo sviluppo e l’uso dell’Intelligenza Artificiale. Queste normative dovrebbero essere sviluppate con il contributo
di esperti tecnici, etici e legali per garantire che siano sia praticabili che giuste”. È un punto fondamentale di questo nostro racconto che ci sentiamo di sottoscrivere. Così come sarà dirimente, nei prossimi anni, “assicurarsi che ci sia un’ampia partecipazione pubblica nei dibattiti su come l’Intelligenza Artificiale dovrebbe essere sviluppata e utilizzata”. Ciò per “garantire che le tecnologie riflettano i valori e le esigenze di tutta la società, non solo di una élite tecnologica o politica”. Con questo speciale abbiamo voluto iniziare a fare la nostra parte. Perché, come recita l’imprenditore del racconto con cui si chiude questa pubblicazione, anche lui generato da GPT-4, i successi a cui sapremo dar vita con l’Intelligenza Artificiale non saranno mai merito della tecnologia in sé, ma del modo in cui sceglieremo di utilizzarla: “L’innovazione tecnologica è una marcia inarrestabile, ma la direzione che prende dipende dalle scelte che facciamo”. Buona lettura.
“L’inizio di un nuovo mondo”: è questo il titolo di copertina dello Speciale di Varesefocus sull’Intelligenza Artificiale realizzato in occasione dell’Assemblea Generale 2024 di Confindustria Varese, che si è tenuta lo scorso 17 giugno nell’headquarter di MV Agusta Motor. Un’edizione straordinaria ora disponibile per la consultazione online (vedi il Qr Code presente in questa pagina) i cui articoli sono firmati dal Professor Luca Mari e dal ricercatore Francesco Bertolotti della LIUC – Università Cattaneo. L’approfondimento parte con una vera e propria riunione di redazione tenuta insieme a ChatGPT. D’altronde il dialogo con questo chatbot è una costante di tutto il numero. Ogni articolo, infatti, si chiude proprio con una conversazione con l’AI per approfondire il suo punto di
vista sui vari temi via via trattati. Non solo e non tanto questioni tecnico/pratiche. Nello speciale si affrontano argomenti come la possibilità di uso e gli strumenti di questa tecnologia. I suoi possibili sviluppi futuri e gli impatti sul mondo del lavoro. Le analogie con il funzionamento del cervello umano. Le potenzialità per le imprese. Fino alle questioni etiche, di responsabilità e alle future conseguenze sullo svolgimento della vita democratica. Ad accompagnare i testi, immagini realizzate con sistemi di AI.
A chiusura: qualche consiglio per letture di approfondimento.
SFOGLIA IL NUMERO ONLINE
Come nasce un arredo da esterno
Chiara Mazzetti
Il reportage fotografico di Varesefocus, dedicato ai mestieri e alle professioni dell’industria manifatturiera varesina, fa tappa alla Roda Srl, azienda attiva nel settore della produzione di mobili in legno, acciaio inox, alluminio e non solo, destinati all’outdoor. Tra modellazione 3D, concept di designer, industrializzazione innovativa e una spiccata attenzione alla sostenibilità
Metallo, legno e corda. Imbottiture, materiali tecnici e fantasie abbinabili in svariate combinazioni. I mobili di arredo outdoor che produce Roda Srl partono da materie differenti e vanno a finire in varie parti del mondo, ma hanno tutti in comune la medesima passione e professionalità, che inizia dalla progettazione e termina con la spedizione. Tutto parte da 2 tipologie di ingaggi: uno fatto di commesse contract, che prevedono la realizzazione di articoli su richiesta e uno che afferisce al catalogo Roda. In quest’ultimo caso, il primo passo lo compie l’Ufficio Marketing attraverso analisi di mercato esterne ed interne, al termine delle quali viene stabilito quale sia il prodotto più richiesto in quello specifico periodo, con tanto di caratteristiche e range di prezzo ipotizzati. Tutte queste informazioni confluiscono, quindi, all’interno di un documento tecnico che viene consegnato ad un designer: a partire da quelle indicazioni, viene sviluppato un progetto insieme ad una proposta concreta, fatta di concept e render. Una volta apportate le dovute modifiche e definita la fase di avvio
dell’articolo, si passa alla selezione di un Project Manager a cui il prodotto viene affidato e che dovrà seguirne tutte le fasi di realizzazione attraverso un cronoprogramma preciso. Next steps: modellazione 3D e prototipia, che durano solitamente 2 mesi, a cui segue una fase di confronto con architetti e designer che “aggiustano” il prototipo, affinché sia pronto per essere presentato al Salone del Mobile, tappa fondamentale nello sviluppo di quasi
tutte le collezioni. A questo punto, si passa all’industrializzazione vera e propria, della durata di circa 3-4 mesi. È in questa fase che le due tipologie di legni più utilizzati da Roda, il teak proveniente dal Sud-Est asiatico (Vietnam, Thailandia e Birmania) e l’iroko africano o sudamericano, prendono letteralmente forma nella falegnameria aziendale, in cui lavorano una decina di addetti altamente specializzati. L’asse grezzo inizia il suo viaggio nella segheria, dove subisce la prima sgrossatura e si trasforma in prismati lavorati. Da qui, passando attraverso macchine tradizionali come bordatrice, levigatrice, spazzolatrice e più moderne come quelle a controllo numerico a 5 assi che servono soprattutto per lavorazioni piane, quadrotti di legno della misura di 50 x 50 centimetri iniziano a diventare la gamba di un tavolo oppure lo schienale di una sedia. Questo è il procedimento che porta alla nascita
dei complementi di arredo da esterni di Roda, destinati per il 70% all’estero, in particolar modo alla Svizzera, uno dei migliori mercati dell’azienda.
“Ogni collezione, pur essendo nata da designer diversi, funziona in combinazione con il resto del catalogo. Fa parte del brief che diamo ai designer inizialmente”, racconta Andrea Macchi, Direttore Sviluppo Prodotto e Produzione dell’impresa che dà lavoro a circa 110 dipendenti, divisi nelle 2 sedi varesine di Gavirate e di Bodio Lomnago, senza contare quelle estere di Montreal e Bangkok.
“Parlando invece di contract, oggi può essere nostro cliente un hotel che richiede degli arredi customizzati oppure un importante studio di architettura che personalizza una nostra collezione già esistente. Tra le realizzazioni a cui abbiamo lavorato di recente, c’è ad esempio, il Caffè Amazzonico di Montecarlo, davanti al casinò, che abbiamo allestito sia nelle zone interne sia in quelle esterne. In ogni caso, in ciascuno dei nostri pezzi, seppur pensati specificatamente per clientela e mercati differenti, il marchio e lo stile di Roda sono inconfondibili”, precisa Macchi.
Grande varietà di proposta ed un catalogo in continuo riassortimento, tuttavia, non sono sinonimo di alti costi di stoccaggio in magazzino.
“Andiamo a scomporre il prodotto nelle sue singole componenti – spiega di nuovo il Direttore Sviluppo Prodotto aziendale – in modo da ridurre gli
stock e gli sprechi, dando, allo stesso tempo, massima flessibilità possibile al cliente che può scegliere, per esempio, la composizione di una seduta con o senza i braccioli ed in seguito la rifinitura con cinghie di 13 colori differenti, includendo anche quelle in acrilico riciclato”. Sostenibilità, infatti, per Roda significa prestare attenzione alla logistica, all’utilizzo di materiali di supporto quasi totalmente riciclabili oppure provenienti da scarti di tessuti per tendaggi, presenti in abbondanti quantitativi nelle lavorazioni tessili e che, altrimenti, andrebbero buttati e soprattutto alla qualità, che si traduce in durevolezza dei prodotti. Ma non è tutto qui: per l’impresa varesina a fare la differenza sono soprattutto le persone, specialisti sempre più difficili da reperire, che Roda forma costantemente. “Il nostro best seller oggi, stabile da 10 anni, è una sedia in metallo, totalmente cordata a mano. Ogni sedia
simile è composta da circa 300 metri di corda: ci vogliono dalle 4 alle 5 ore per cordarne una. Fino ad un paio di anni fa, questo tipo di lavorazione era destinata all’outsourcing, fino a quando abbiamo iniziato un dialogo con la Cooperativa Sociale Settelaghi, letteralmente la porta accanto ai nostri reparti produttivi di Bodio. Con nostra sorpresa, abbiamo trovato grande professionalità in persone in gravi difficoltà psicofisiche. In brevissimo tempo siamo riusciti a traslare tutta la produzione e ad oggi sono 5-6 gli addetti della Cooperativa che lavorano praticamente a tempo pieno solo per noi. È motivo di grande orgoglio per Roda poter dare lavoro e formare chi ne ha più bisogno”, conclude Andrea Macchi.
L’asse grezzo inizia il suo viaggio nella segheria, dove subisce la prima sgrossatura. Da qui, passando attraverso macchine tradizionali e più moderne, quadrotti di legno della misura di 50 x 50 centimetri iniziano a diventare la gamba di un tavolo oppure lo schienale di una sedia
Silvia Giovannini
Negli spazi confiscati alla mafia in uno stabile nel centro di Busto Arsizio, nasce una realtà in cui prendono vita percorsi formativi gratuiti pensati per le persone in difficoltà. È qui che gli “Amici della Grassi 1925”, Associazione che raggruppa i dipendenti e gli ex dipendenti della Grassi Spa di Lonate Pozzolo, hanno avviato un progetto per insegnare un mestiere alle donne (straniere e non) che desiderano lavorare nel settore tessile
In via Quintino Sella a Busto Arsizio si respira aria nuova e voglia di fare, nello stabile al numero 7 tinteggiato di un programmatico verde speranza. Negli spazi che un tempo sono stati quelli di una ex pizzeria confiscata alla mafia, oggi le attività fervono. Per la precisione dalla primavera del 2023 e dalla inaugurazione del 21 marzo, Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafie. Grazie alla O.d.V Società San Vincenzo De Paoli, in primis, che ha preso in mano le redini dell’immobile riqualificato con i fondi di Regione Lombardia e ribattezzato “L’Officina del Sapere”. Grazie alle imprese che, accogliendo lo stimolo della San Vincenzo, hanno offerto la loro collaborazione per progetti specifici pensati per un luogo che, staccandosi dal passato, possa garantire un nuovo futuro. E se è vero che la dignità di un essere umano passa dal lavoro, lo scopo di fondo di questo progetto è di puntare sulla formazione. A raccontarlo è Silvana Marangoni della San Vincenzo: “L’idea era di dare valore alle persone, con interventi precisi e mirati e grazie all’aiuto di una rete di collaborazioni con il Comune, l’ufficio di collocamento e con imprese del territorio. Siamo partiti da progetti semplici ma molto concreti, come corsi di italiano per rifugiati ucraini per poi passare alla formazione vera e propria, organizzando corsi gratuiti per l’inserimento lavorativo delle persone in difficoltà. La chiave è stata l’apertura reciproca del terzo settore, il nostro,
al mondo delle aziende. Il tutto grazie ad incontri con persone e realtà sensibili, come la Grassi Spa di Lonate Pozzolo, nome storico di riferimento nel settore tessile e, in particolare, tessile tecnico o come l’Aquatechnik Group, azienda di Magnago, in provincia di Milano, di sistemi per impianti idraulici o tecnici, specializzata nella lavorazione della plastica. I corsi, realizzati grazie a queste aziende, sono quest’anno alla seconda edizione”. E come si svolgono queste iniziative? “Nel nostro caso, l’azienda affida in comodato d’uso gratuito delle macchine da cucire industriali per la confezione e fornisce poi la formazione grazie alle competenze e alla passione dei volontari che fanno parte dell’Associazione senza scopo di lucro ‘Amici della Grassi 1925’”, spiega Gaetano Natoli, memoria storica dell’impresa Grassi e oggi anima del sodalizio. Una realtà alla quale dal 2019 aderiscono dipendenti ed ex dipendenti, dell’azienda tessile di Lonate Pozzolo, ma anche i loro amici e familiari, nata per mantenere nel tempo i rapporti consolidati durante l’esperienza lavorativa, anche celebrando la memoria e che, alle attività più ricreative, affianca impegni concreti a sostegno di progetti benefici. Ad esempio, raccolte fondi o progetti come quelli dell’Officina del Sapere di Busto Arsizio, appunto. Alla sua seconda edizione, il percorso strutturato dalla “Amici della Grassi 1925” vede un’attività formativa spalmata su un trimestre per 2 giorni a settimana e destinata a 5 donne di nazionalità diverse, per lo più Sudamericane. “In un periodo di tempo molto concentrato, l’obiettivo è quello di preparare le persone ad avere alcune competenze iniziali ma molto pratiche”, spiega Natoli. “Si parte dall’osservazione dei passaggi di un confezionamento tessile, dal tagliato al capo ultimato, per poi apprendere i rudimenti di un macchinario industriale e arrivare a realizzare un indumento finito vero e proprio. Lo scopo è fornire le competenze di base per favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, ma non solo”.
Silvana Marangoni (Società San Vincenzo De Paoli):
“L’idea era di dare valore alle persone, con interventi precisi e mirati e grazie all’aiuto di una rete di collaborazioni con il Comune, l’ufficio di collocamento e con imprese del territorio”
“L’obiettivo finale è aiutare le persone a pensare e, in particolare, le donne ad essere autonome”, aggiunge Marangoni. “La formazione e il lavoro servono principalmente a questo: a far crescere la fiducia e a favorire un cambiamento culturale. Non possiamo nasconderci, ad esempio, che spesso dobbiamo lavorare anche per rinforzare la motivazione delle persone, che va oltre quelle che possono essere le problematiche oggettive. Questo è fondamentale perché possano essere effettivamente collocate. La nostra ambizione poi è che altre imprese, prendendo ad esempio la bella e generosa esperienza con l’azienda Grassi e i volontari della ‘Amici della Grassi 1925’, vogliano farsi avanti per realizzare con noi percorsi simili. In questo spazio noi puntiamo sulla concretezza. Cerchiamo persone che vogliano fare, sapendo che è giusto fare”, conclude Silvana Marangoni.
I dati della tua azienda sono il tuo vero patrimonio. Sono il tuo lavoro quotidiano, la tua storia, le competenze che hai acquisito nel tempo
Che sia per un attacco hacker o per un guasto, la tua infrastruttura IT deve essere sempre aggiornata e performante per mantenere i tuoi dati al sicuro
Scegli un Partner IT competente e a dabile nel tempo, scegli Guttadauro e avrai:
•Continuità operativa garantita in qualsiasi momento.
•Un recupero rapido di tutti i tuoi dati e dei tuoi applicativi in caso di guasto.
•Una protezione completa contro gli attacchi informatici.
•Un partner solido e a dabile che ti seguirà nell’evoluzione tecnologica della tua infrastruttura, adeguandola alle ultime novità in termini di performance e sicurezza
Il nostro reparto IT svolge analisi accurate delle esigenze del cliente, proponendo le migliori soluzioni in termini di:
Richiedi una consulenza gratuita.
Contatti: ict@guttadauro.it · (+39) 800 009346
Sito Web: guttadauro.it
Una sperimentazione di 6 mesi e un gruppo di 13 anziani alle prese con i Serious Games, videogiochi non ludici utilizzati come metodologia di riabilitazione fisica e cognitiva. La RSA San Gaetano di Caidate si è resa protagonista di questo particolare metodo riabilitativo, frutto delle ricerche dell’azienda milanese Imaginary e promosso dalla Fondazione Amplifon, che ha donato sistemi audio e video alla casa di riposo varesina
In una verde località, Caidate, sorge una residenza in cui gli anziani hanno modo di rimettersi a giocare, connettendosi a un mondo per loro inesplorato e riuscendo anche a migliorare la loro qualità di vita. Questo è ciò che succede alla Casa di Riposo San Gaetano – Opera Don Guanella, dove l’innovazione tecnologica è entrata portando nuove metodologie per la riabilitazione degli anziani attraverso soluzioni all’avanguardia che integrano telemedicina e realtà virtuale, i cosiddetti Serious Games. “Abbiamo partecipato ad una sperimentazione durata 6 mesi – racconta Luca Lodi, Educatore e Referente Educativo dell’RSA caidatese –che ha coinvolto 13 dei nostri ospiti in attività di riabilitazione cognitiva e motoria attraverso questi giochi virtuali. Nel concreto, l’anziano, posto di fronte ad uno schermo con un lettore di movimento, diventa protagonista del gioco ambientato in diversi scenari. Attraverso piccoli movimenti è richiesto loro lo svolgimento di task necessari per arrivare al completamento di un’attività. L’utilizzo della strumentazione non è stato immediato, considerando che molti dei nostri ospiti non hanno mai avuto esperienze di gaming. La prima sfida, dunque, è stata capire se
gli anziani riuscissero o meno ad interagire con questo sistema”. Dopo qualche prima incertezza, gli ospiti della Casa di Riposo San Gaetano sono riusciti ad apprendere facilmente la modalità richiesta per utilizzare gli strumenti, merito anche dell’interfaccia grafica che richiamava ambienti di vita comune, come una cucina di un’abitazione, una sala che andava riassettata oppure un giardino con tanto di ortaggi.
Questo ha permesso una migliore interazione con la tecnologia, rendendo le azioni chiare e comprensibili, cosa che sarebbe risultata pressoché impossibile se fossero stati impiegati scenari più astratti come navicelle spaziali, più tipici dei games prettamente ludici. Attraverso le attività di gioco virtuale, ogni partecipante doveva compiere azioni specifiche come afferrare oggetti muovendo le mani o spostarsi da una parte all’altra per evitarne altri, come nel gioco che richiama la pesca, dove veniva richiesto di raccogliere pesci ed evitare meduse o quello del giardinaggio in cui bisognava raccogliere fiori ed evitare api, utilizzando un braccio o una gamba, a seconda delle istruzioni fornite. Tra i 100 ospiti della Casa di Riposo San Gaetano, 13 sono stati selezionati per aderire alla sperimentazione su fattori di comprensione dell’utilizzo dello strumento, capacità fisico-cognitive e di sopportazione della sperimentazione durata 6 mesi.
“Il nostro team, composto dal servizio educativo e fisioterapico – continua Luca Lodi – si è occupato di impostare il sistema di gioco in base alle esigenze dei singoli pazienti, ad esempio, prediligendo giochi di movimentazione motoria se occorreva focalizzarsi sulla riabilitazione fisica o di stimolazione cognitiva, a seconda degli obiettivi prefissati. I risultati positivi sono stati evidenti per la maggior parte degli anziani coinvolti, soprattutto per coloro che hanno ‘giocato’ con maggiore frequenza”. Anche se le attività venivano svolte singolarmente, i
“giocatori” hanno avuto modo di confrontarsi fra di loro, raccontando l’esperienza anche ai parenti in visita. Ma come e dove ha avuto avvio questa sperimentazione innovativa? Tutto è partito delle ricerche dell’azienda milanese Imaginary, che realizza sistemi di riabilitazione da remoto attraverso i Serious Games. Imaginary ha portato avanti un progetto, rinominato Rehability, a cui ha preso parte anche Fondazione Amplifon. “Abbiamo sempre lavorato a grossi progetti di ricerca finanziati dalla Commissione europea – racconta Lucia Pannese, cofondatrice di Imaginary –, studiando come utilizzare i videogiochi per scopi terapeutici. Dodici anni fa abbiamo iniziato ad esplorare la teleriabilitazione, trasformando esercizi di fisioterapia e stimolazione cognitiva in task funzionali presentati sotto forma di gioco interattivo”. Questo passaggio è stato realizzato con un approccio scientifico, mantenendo sempre l’efficacia degli esercizi tradizionali, ma aggiungendo la componente interattiva del gioco. Ogni attività è stata costruita insieme ai pazienti, in modo che fosse motivante e interessante per loro. Tale approccio ha permesso di mantenere l’efficacia della terapia tradizionale, aggiungendo il vantaggio di poter essere eseguita anche a casa, con la supervisione asincrona a distanza di uno specialista. Il progetto è presente anche in
regioni come le Marche, dove viene applicato non sul singolo ospite, ma su gruppi, aumentando la socializzazione e la collaborazione e anche all’estero, in Paesi come Spagna, Olanda e Portogallo. Ogni adattamento del gioco è personalizzato dallo specialista per il singolo paziente, tenendo conto delle specifiche esigenze di ciascuno. “Il sistema è già multilingua e non presenta bias culturali – puntualizza Lucia Pannese –. Abbiamo già alcuni centri all’estero, ma il nostro obiettivo è espanderci ulteriormente”.
Come si inserisce, in questo quadro, Fondazione Amplifon? Nell’ambito della propria progettualità chiamata “Ciao!”, la Fondazione ha sostenuto il progetto Rehability di Imaginary, donando sistemi audio e video alla RSA caidatese e finanziando la sperimentazione. “Il nostro obiettivo iniziale, durante il periodo pandemico, – spiega Maria Cristina Ferradini, Amministratore Delegato di Fondazione Amplifon – era connettere gli anziani isolati nelle RSA con le famiglie, tramite tablet, telefoni e sistemi di video connessione di altissima qualità, con schermi da 23 pollici. Constatato l’alto gradimento degli strumenti, utilizzati anche dal personale stesso delle RSA, ci siamo evoluti
ampliando le dimensioni dei sistemi di video connessione. Gli schermi sono arrivati ad essere grandi fino a 85 pollici, permettendo così la fruizione ad un gruppo di persone più numeroso. È a questo punto che ci siamo resi conto che questi schermi così grandi potevano offrire anche contenuti di intrattenimento. Abbiamo, perciò, iniziato con lo yoga e ora, superato ampiamente il periodo Covid, abbiamo oltre 220 strutture connesse in quella che è diventata una vera e propria comunità digitale che ogni giorno si ritrova, per circa un’ora, per svolgere attività con tematiche differenti, che spaziano dall’arte terapia, ai viaggi, passando per il teatro, i musical, i giochi digitali e le rassegne stampa. Abbiamo così creato una sorta di palinsesto di valore per gli anziani”.
Tra le tante attività innovative che vengono svolte all’interno della realtà caidatese, ci sono anche una serie di iniziative dedicate agli ospiti affetti da Alzheimer. Una di queste è la “terapia del viaggio”, fiore all’occhiello della struttura, avviata nel 2014. La “terapia del viaggio”, o del viaggiatore, consiste in un set chiuso ricostruito all’interno di un vero vagone del treno, posto nei giardini della struttura, che, attraverso una serie
di schermi simula un viaggio, favorendo la percezione di movimento. “Questa terapia non farmacologica aiuta a rilassare gli anziani affetti da demenza che mostrano comportamenti erratici come il wandering, la tendenza a camminare senza meta – racconta Giorgia Magnoni, Educatrice all’interno della Casa di Riposo –. L’esperienza viene personalizzata con video di viaggi in treno, scelti in base ai bisogni terapeutici degli anziani. Il treno è utilizzato anche per scopi ludici e favorisce la socialità tra i pazienti, consapevoli che, in realtà, si tratti di una finzione”.
Un’altra applicazione è il Family Express: in questo caso, i familiari degli ospiti possono condividere l’esperienza del viaggio insieme ai propri cari, creando un contesto intimo e significativo.
Utilizziamo le più moderne apparecchiature per la ricerca di microspie e software spia.
Grazie ad un nuovo sistema siamo in grado di accertare in pochi minuti se il vostro smartphone è sotto controllo.
Richiedi l’intervento di un nostro tecnico.
Contattaci al numero 331 455 53 75 o visita il nostro sito.
Realizzare un percorso di poco meno di 3 chilometri che colleghi la stazione di Castronno allo Spazio Materia, futura nuova sede di VareseNews, per diffondere la cultura della biodiversità, fornire notizie e informazioni sulla natura e sul lavoro degli gli apicoltori. Questo il progetto portato avanti dal noto quotidiano online varesino, che ne ha fatto anche un documentario
Le api, quando escono dall’alveare per andare a cercare il nettare e il polline per nutrirsi, fanno un percorso di circa 3 chilometri, la stessa distanza (all’incirca) che divide la stazione di Castronno dallo Spazio Materia, nuova sede di VareseNews. Da questa suggestione, nata nel corso di una delle presentazioni della neonata “casa” del noto quotidiano online varesino a Sant’Alessandro di Castronno, l’apicoltore Federico Tesser dell’azienda agricola Fonteincantata di Casciago ha lanciato l’idea: perché non creiamo una “Via delle api” qui, con la sede di VareseNews al centro di tutto, per diffondere la cultura della biodiversità, dare notizie e aiutare a far circolare un certo tipo di informazioni sulla natura, sulla funzione di questo insetto fondamentale per la biodiversità e sul lavoro che fanno gli apicoltori. Un’idea che rientra alla perfezione nel progetto che il quotidiano varesino ha per la sua nuova sede, lo Spazio Materia, che nasce da una ex scuola primaria, la scuola “Marconi”, chiusa dall’amministrazione comunale di Castronno per mancanza di alunni: “In quell’edificio è passata tanta energia – commenta il Direttore Marco Giovannelli –. Qui sono passate tante generazioni, la scuola è un luogo magico, si gioca, si impara, ci si relaziona con gli altri, si ascolta, si incontra, perché la scuola è vita. Riaprire una scuola in un borgo è un’esperienza forte, coraggiosa”.
E lo Spazio Materia non sarà solo la redazione di un giornale, ma un vero e proprio incubatore di tante realtà ed esperienze diverse, avendo come punti cardine 5 temi: informazione, formazione, life e cultura, sostenibilità e turismo. Proprio legata a questi ultimi 2 concetti, sostenibilità e turismo, ma anche a quello della formazione, la “Via delle api” è sembrata una sintesi perfetta. L’idea, in fase di sviluppo, è quella di realizzare un percorso che colleghi la stazione di Castronno allo Spazio Materia, una via di poco meno di 3 chilometri, percorso per un primo pezzo inserito nel tessuto urbano di Castronno, fino ad arrivare all’area feste del paese, poi per la maggior parte immerso nel verde di una pista ciclabile preesistente nel comune di Castronno. Sul tracciato verranno posizionati una serie di pannelli informativi, 8 in tutto partendo dalla stazione, con il racconto del ciclo di vita delle api, informazioni sulla produzione del miele, notizie sulla tutela delle api e curiosità di varia natura sul lavoro degli
apicoltori e su cosa si può fare con miele, cera e pappa reale. I pannelli e le strutture saranno realizzati in materiali ecosostenibili, mentre il contenuto sarà elaborato grazie al supporto di apicoltori e associazioni di categoria già coinvolte nel progetto, che è ancora in fase di sviluppo e quindi è aperto ai contributi di chi vorrà e potrà diventarne protagonista. Nel giardino della ex scuola di Sant’Alessandro sarà poi posizionato un apiario didattico raggiungibile dallo Spazio Materia, visibile anche dall’esterno. Il progetto prevede il coinvolgimento futuro delle scuole del territorio: sarà un percorso ideale per una gita scolastica di un giorno, con il percorso, la visita all’apiario didattico e la visione del documentario di VareseNews sulle api che si chiama “Un anno con le api”, realizzato da Marco Corso e Thomas Massara da un’idea di Tommaso Guidotti e Federico Tesser. Tra i temi toccati nel documentario e nelle puntate pubblicate su VareseNews in “Un anno con le api” c’è quello del cambiamento climatico che sta mettendo in difficoltà anche le api e gli apicoltori. Anche quest’anno maggio non è stato un “buon mese”: quello che dovrebbe essere il mese della fioritura dell’acacia, nettare fondamentale per la produzione del miele, negli ultimi anni è diventato un mese freddo, con più vento e precipitazioni intense che distruggono i fiori e tolgono alle api il loro nutrimento. Tutto ciò crea un circolo vizioso, per cui le api non escono più in massa per cercare cibo e riprodursi, stanno nell’alveare e mangiano anche il miele in eccesso, privando inevitabilmente gli apicoltori del surplus con il quale erano soliti produrre il miele. Un cambiamento al quale le api non si sono ancora adeguate e che vivono male, condizionando anche le produzioni di miele previste per i mesi successivi. I dati fanno riflettere. Se fino a pochi anni fa la media di produzione per un alveare del territorio varesino poteva arrivare fino a 15/20 chili di miele d’acacia, prodotto di cui il Varesotto è stato per anni ricchissimo, da qualche anno è un successo se si arriva a 2 chili per alveare: spesso e volentieri non si riesce a ricavarne nemmeno uno, condizionando pesantemente il prosieguo della stagione e, da non sottovalutare, facendo alzare anche il prezzo di un prodotto fino a poco tempo fa più che accessibile e che, con l’andare del tempo, rischia di diventare disponibilie per pochi.
Per informazioni e curiosità o per sostenere questo progetto è possibile contattare tommaso.guidotti@varesenews.it.
Alessandra Favaro
Svariati, in tutta Italia, gli itinerari che commemorano le vicende delle due Guerre Mondiali: Varese non fa eccezione. Tra reperti, fortificazioni e le trincee che avrebbero dovuto difendere il Paese durante il primo grande conflitto. Nel Varesotto sono 9 i percorsi escursionistici che guidano alla scoperta dei segreti della Linea Cadorna, la cosiddetta “Frontiera Nord”, costruita come sistema di fortificazioni lungo il confine settentrionale italiano a partire dal 1915, mai divenuto campo di battaglia
Sono diversi i Sentieri della Pace in Italia. Ognuno, in modo differente, ricorda e commemora un capitolo importante della storia italiana. E la provincia di Varese non fa eccezione, con alcuni dei percorsi più affascinanti dedicati a questo tema. Parliamo del Sentiero della Pace in Valcuvia, in una delle valli oggi più verdi e wild del territorio, testimone silenzioso di un momento storico. A questo si aggiunge un piccolo museo nel centro del paese, per conoscere da vicino e in loco, la storia e le vicissitudini legate alla Linea Cadorna, la cosiddetta “Frontiera Nord” della Grande Guerra. Il Sentiero della Pace legato alla Linea Cadorna, in realtà, in provincia di Varese abbraccia ben 9 itinerari, tutti a Nord al confine con la Svizzera. Percorsi contraddistinti dalla segnaletica gialla e rossa (ovvero della Linea Cadorna) che accompagnano attraverso antiche fortificazioni e le famose trincee che hanno caratterizzato lo svolgersi della Prima Guerra Mondiale in queste valli. Ma facciamo un passo indietro nel tempo.
La Linea Cadorna
La Linea Cadorna, conosciuta anche come Frontiera Nord, fu un sistema di fortificazioni difensive costruito lungo il confine settentrionale italiano durante la Prima Guerra Mondiale. Prende il nome dal generale Luigi Cadorna, che ne fu il principale ideatore e supervisore. La linea di difesa si estendeva per circa 150 chilometri, dal Lago Maggiore fino al Passo dello Stelvio, coprendo una
Il Centro Documentale “Frontiera Nord Linea Cadorna”. In apertura, lo sbarramento della Valcuvia
vasta area del Nord Italia. L’obiettivo principale era proteggere il confine italiano da eventuali invasioni da parte delle forze austro-ungariche e tedesche durante la Prima Guerra Mondiale. Per questo, la Frontiera Nord comprendeva un complesso sistema di trincee, bunker, postazioni di artiglieria, strade militari e altre strutture difensive progettate per ostacolare l’avanzata nemica.
I lavori di costruzione iniziarono nel 1915 e coinvolsero migliaia di soldati e operai. La realizzazione delle fortificazioni richiese un ingente dispiegamento di risorse e un notevole sforzo logistico.
Nonostante la sua imponenza, la Linea Cadorna non fu mai messa alla prova durante la Prima Guerra Mondiale, poiché il fronte italiano rimase prevalentemente stabile. Durante la Seconda Guerra Mondiale, le fortificazioni sul Monte San Martino furono teatro di un importante scontro tra i partigiani e i tedeschi, la “Battaglia di San Martino”.
Oggi, i resti della Linea Cadorna rappresentano un significativo patrimonio storico e culturale. Molte delle strutture difensive sono ancora visibili e visitabili e offrono agli esploratori
l’opportunità di scoprire e comprendere meglio questo rilevante capitolo della storia italiana. Luoghi come il Museo della Frontiera Nord di Cassano Valcuvia contribuiscono a preservare la memoria di questo imponente sistema difensivo e delle vicende ad esso legate.
9 itinerari da vivere
Oggi il Sentiero della Pace ripercorre questi luoghi storici, offrendo passeggiate nei boschi lombardi sulle orme delle due Guerre Mondiali. Sono disponibili 9 percorsi che permettono di esplorare le fortificazioni e rivivere in parte l’esperienza quotidiana dei soldati. Per conoscere questo capitolo della storia d’Italia si possono infatti percorrere diversi itinerari turistico-didattici, dai più impegnativi ai più semplici alla portata di tutti. Questi sono: da Santa Maria del Monte al Forte di Orino; Viggiù - Monte Orsa e Monte Pravello; Porto Ceresio - Monte Derta - Bocchetta Stivione; Marzio - Monte Piambello - Bocchetta dei Frati; Viconago - San Paolo - Monte La Nave; Montegrino Valtravaglia - Monte
A Cassano Valcuvia si trovano due importanti
tratti della Linea Cadorna: uno vicino alla chiesa di San Giuseppe e l’altro sulle pendici del Monte San Martino. Questi tratti sono costituiti principalmente da trincee, postazioni di combattimento e gallerie scavate nella roccia
Oggi, i resti della
rappresentano
significativo patrimonio storico e culturale
Sette Termini; San Michele - Monte Pian Nave; Cassano Valcuvia - Monte San Martino; l’anello base di Cassano Valcuvia.
Proprio a Cassano Valcuvia si trovano due importanti tratti della Linea Cadorna: uno vicino alla chiesa di San Giuseppe e l’altro sulle pendici del Monte San Martino. Questi tratti sono costituiti principalmente da trincee, postazioni di combattimento e gallerie scavate nella roccia. L’anello base è lungo circa 5 chilometri. In un paio d’ore si può percorrere tranquillamente, visto anche lo scarso dislivello (si parla di circa 160 metri). Al tempo di percorrenza vero e proprio però sono da aggiungere le soste e le visite alle diverse fortificazioni e trincee che si troveranno lungo il cammino. Tra i principali manufatti: il ridotto di San Giuseppe, il sistema fortificato delle località Visighee e il Büs e Bocc, una località pianeggiante dove cominciano a vedersi molte fortificazioni e manufatti della Linea Cadorna.
L’anello base
Per partire, si può lasciare l’auto nel parcheggio di fronte al Municipio di Cassano Valcuvia, in piazza IV Novembre. Si inizia con una breve camminata verso il colle di San Giuseppe, una collina fortificata a Est del paese. Seguendo i segnali, si trova un sentiero poco impegnativo che porta alla Chiesa di San Giuseppe e alle sue cappelle della Via Crucis. Giunti al colle, è possibile esplorare il Ridotto, un complesso di trincee e passaggi sotterranei situati sotto la chiesa. Questi cunicoli, illuminati artificialmente e accessibili solo con visite guidate, presentano numerose postazioni per fucilieri, depositi di munizioni e punti di fuoco per mitragliatrici.
Scendendo verso Cassano Valcuvia e poi a circa 150 metri, svoltando a destra, ecco un sentiero che conduce rapidamente a un altro sistema di fortificazioni, composto da postazioni situate in località “Donata”. Tornando in paese, si attraversa il parco Marco Giani e ci si addentra nel centro storico. Seguendo sempre
le indicazioni, dopo poco si toccherà una strada sterrata che incrocia poi una strada militare lastricata. Risalendo quest’ultima, si arriva alla località Büs e Bocc. Oltrepassata la radura, si inizia l’esplorazione dei primi manufatti della Linea Cadorna: gallerie, trincee e postazioni di tiro. Da qui, è possibile godere di un panorama verdissimo sul centro di Cassano Valcuvia e sulla collina di San Giuseppe. Proseguendo lungo il percorso, si giunge in località Visighee. Salita la scalinata che porta a una postazione per bombarda e ai camminamenti superiori, percorrendoli, si raggiunge una pista forestale e svoltando a destra in direzione Cassano, si scende rapidamente verso il centro del paese, mantenendo sempre la stessa direzione.
A Cassano Valcuvia si trova anche il Centro Documentale “Frontiera Nord Linea Cadorna”, un importante museo che raccoglie testimonianze legate alla costruzione della Linea Cadorna e alle battaglie della Seconda Guerra Mondiale. Il museo è stato creato grazie alla generosità della famiglia del partigiano Marco Giani. Le prime sale del museo illustrano le caratteristiche e lo sviluppo delle opere di fortificazione, ma al suo interno si trovano anche documentazioni sulla Battaglia di San Martino, sezioni dedicate alla geologia, geomorfologia, fauna, flora e aspetti naturalistici del territorio della Valcuvia e molto altro.
Per esplorare fortificazioni e strutture militari nascoste nella natura bisogna considerare attentamente la stagione migliore, dato che alcuni percorsi sono situati in montagna e nel bosco. La primavera offre senza dubbio condizioni ottimali, poiché il fogliame non ha ancora raggiunto la massima estensione, garantendo così una buona visibilità. L’autunno presenta una situazione ambivalente: se da un lato la caduta delle foglie agevola l’identificazione dei manufatti nei boschi, dall’altro l’accumulo di fogliame sui sentieri può celare pericolosi avvallamenti. L’inverno, con le sue giornate brevi e il rischio di sentieri ghiacciati, richiede particolare cautela durante le escursioni. In estate, infine, la vegetazione può ostacolare l’accesso ad alcuni siti di interesse, ma è talmente rigogliosa e ombrosa da regalare un’esperienza affascinante e rinfrescante. L’importante è scegliere il percorso più adatto alla stagione e alla propria preparazione. È possibile scaricare percorsi, cartografia, mappe virtuali e schede tecniche sul sito: www.provincia.va.it/lineacadorna.
Dona il tuo 5x1000 a Fondazione Renato Piatti. Per i bambini con disabilità e autismo la tua firma diventa subito assistenza, terapie e riabilitazione.
Quando fai la dichiarazione dei redditi porta con te il nostro codice fiscale e firma nel primo riquadro dedicato al “Sostegno degli enti del terzo settore iscritti al RUNTS...”
Firma e scrivi il nostro codice fiscale per destinare il tuo 5x1000 ai bambini con con disabilità e autismo. SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE ISCRITTI AL RUNTS...
Alessandra Favaro
Un percorso affascinante, di circa 10 chilometri, che si snoda intorno all’omonimo monte, tra boschi di castagni e robinie, vigneti locali e storia, con affaccio panoramico sul Lago Maggiore. Un itinerario, da affrontare a piedi oppure in bicicletta, adatto a tutte le stagioni, che parte e termina dalla località Uponne, una frazione del comune di Ranco. Interessante deviazione è il Sentiero delle Erbe e degli Alberi, un affascinante itinerario naturalistico situato ad Angera
L’Anello di San Quirico è un itinerario escursionistico che si snoda intorno all’omonimo monte, tra i comuni di Ranco e Angera, in provincia di Varese. Questo trekking, che in totale conta una lunghezza di circa 10 chilometri, offre la possibilità di immergersi nella natura del Lago Maggiore, scoprendo al contempo luoghi ricchi di storia e tradizioni che riportano alle attività d’un tempo. Un percorso adatto a tutti, da godere in ogni periodo dell’anno. Si può fare anche in bicicletta, dove diventa terreno perfetto per chi ama pedalare fuoristrada con gravel, mountain bike o bici da downhill. Un itinerario oggi ancora più amato, sia da pedoni sia da ciclisti. Se da sempre infatti questa camminata, insieme a quella che accompagna verso la chiesetta di San Quirico, è la più apprezzata da chi abita nei dintorni, oggi lo è ancora maggiormente, dopo il disastroso incendio
del 2022 che mise in ginocchio la zona. A distanza di 2 anni, l’area è stata riqualificata con interventi che negli scorsi mesi hanno visto il compimento. Un motivo in più per tornare a vivere l’area, nel rispetto della natura e dei suoi luoghi.
Tra boschi e vigneti, con vista sul Verbano
Il punto di partenza e arrivo dell’Anello è la località Uponne, una frazione del comune di Ranco, facilmente raggiungibile e dotata di un piccolo parcheggio. Da qui ci si addentra subito in un verde bosco di castagni e robinie, seguendo il sentiero ben segnalato. La prima parte è in leggera salita, ma il fondo è agevole e l’ambiente fresco e ombroso. Si passeggia bene, tra il silenzio degli alberi. Qualche casetta e sorpresa lungo il percorso: una pila di sassi che testimoniano il passaggio di altri escursionisti, un tronco dipinto e man mano ci si immerge nel verde tra vecchie case di pietra in disuso e bosco fitto. Dopo circa 2 chilometri, una deviazione permette di raggiungere la cima del Monte San Quirico, a 408 metri di altitudine. Qui sorge l’antica chiesetta dedicata al santo bambino martire Quirico, risalente almeno al XIII secolo. Dalla sommità si gode di una vista spettacolare sul Lago Maggiore e sulla Rocca di Angera. Qui è stato di recente ripristinato l’ultimo tratto di strada, rendendolo di nuovo percorribile agevolmente dopo l’incendio di 2 anni fa. Si tratta di un punto panoramico suggestivo, con un
piccolo pianoro dove fare una sosta e ammirare anche l’antica chiesetta. Questo è il punto di arrivo perfetto per i ciclisti amanti delle salite fuoristrada: c’è persino una tradizione, il primo dell’anno, di trovarsi proprio in quel punto, dopo una pedalata o una camminata, per brindare al nuovo anno che verrà. Ritornati sul percorso principale, si prosegue tra prati e vigneti, i caratteristici “ronchi” dove si produce il vino locale. Un tempo la produzione di vino in questa zona era più estesa, come testimonia anche l’antico torchio presente nella vicina Rocca Borromeo di Angera. Oggi, esistono cantine locali che si sono distinte per la qualità del vino prodotto proprio qui, tra le quali una ad Angera. Il sentiero a mezza costa regala vedute panoramiche sul Verbano e sulle colline circostanti, in un susseguirsi di terrazze coltivate, muretti a secco e piccoli scorci rurali.
Sulle tracce della storia, fino alla Rocca Borromea
L’Anello di San Quirico ricalca in parte l’antica strada che collegava un tempo Ranco e Angera, permettendo così di riscoprire testimonianze del passato. Oltre alla già citata chiesa sulla cima del monte, lungo il tragitto si incontrano cappelle votive, vecchie cascine e la settecentesca
Chiesa della Madonna della Riva a Ranco. Ma è soprattutto deviando per la maestosa Rocca Borromea di Angera che si fa un vero e proprio tuffo nella storia. Questo castello medievale, che domina il lago dall’alto di un promontorio, merita senz’altro una visita. Dall’Anello è facilmente raggiungibile, allungando il percorso di circa 3 chilometri tra andata e ritorno.
Percorribile tutto l’anno, l’Anello di San Quirico sa regalare emozioni diverse in ogni stagione. In primavera è un’esplosione di verde e di fioriture nei prati e il bosco si risveglia con tenere foglie. In estate offre refrigerio tra le fronde degli alberi e invita a un tuffo nelle acque del lago al termine della passeggiata. Con l’autunno scoppiano i colori caldi dei vigneti e dei castagni, in un foliage spettacolare (per cui attenzione, a chi pedala, al fondo scivoloso per via del tappeto di foglie). E in inverno, con un po’ di fortuna, si potrà ammirare il paesaggio imbiancato dalla neve, in un silenzio ovattato. L’assenza di foglie permette anche una più ampia veduta dei panorami sul lago dall’alto.
Qualche consiglio pratico: il percorso è ben segnalato, ma sono comunque consigliati scarpe da trekking, un abbigliamento adeguato alla stagione e kit antiforatura per i ciclisti. Per gli amanti della fotografia, l’alba e il tramonto regalano luci magiche sul lago e sui vigneti ma è necessario calcolare bene i tempi, soprattutto del ritorno, per non ritrovarsi nel bosco al buio. L’Anello di San Quirico è un concentrato di natura, storia e panorami: è bene non lasciare traccia del proprio passaggio e se si è in bicicletta, ricordarsi sempre che lungo il sentiero potrebbero esserci pedoni. Non uscire dai sentieri, per non danneggiare il bosco e i suoi abitanti è una buona regola.
La vista dalla cima
della collina
Possono delle piante raccontare la storia plurimillenaria di Angera e il suo Museo Diffuso? Da questa domanda ha preso origine un percorso interessante che coinvolge i 5 sensi: vista, udito, olfatto, accompagnano alla scoperta della flora del Colle di San Quirico, intrecciando archeologia e botanica, medicina e magia, arte, cucina e devozione popolare. Questo è il Sentiero delle Erbe e degli Alberi: un affascinante itinerario naturalistico situato ad Angera, per cicloturisti e amanti delle passeggiate che si snoda tra il lungolago, il borgo e le pendici della collina di San Quirico. La passeggiata è alla portata di tutti e presenta un dislivello di soli 50 metri, comoda anche per chi ama pedalare a livello amatoriale. Il percorso inizia da Piazza della Vittoria e prosegue verso Sud, lungo viale Repubblica. Dopo aver superato il Palazzo Comunale, si imbocca via Marconi sulla sinistra, dove al numero 2 si incontra il Civico Museo Archeologico, il sito numero 1 del Museo Diffuso di Angera. Vale la pena fare una visita. Continuando lungo via Achille Piazzi e via Monte Rosa, si arriva all’incrocio con via Cervino. Da qui si imbocca via S. Quirico fino a raggiungere via Prato Fiorito e via ai Ronchi, arrivando, infine, alla zona Carée. La particolarità di questo sentiero è che incrocia proprio l’Anello di San Quirico e si possono quindi percorrere entrambi, anche in due momenti diversi. Il Sentiero delle Erbe e degli Alberi è stato mappato ed è entrato a far parte della rete di tracciati riconosciuti sia da Regione Lombardia (con il codice 614E) sia dal Club Alpino Italiano (CAI). La mappa si può scaricare sul sito del turismo della città di Angera (www.angera.it). Un’esperienza rilassante tra storia e natura, per una giornata all’insegna del benessere e della scoperta: dalla saponaria all’artemisia, dalla semplice ortica al tarassaco, fino alla verbena, al luppolo selvatico e all’iperico, erbe semplici da scoprire passeggiando.
Luisa Negri
Alla Pinacoteca cantonale Giovanni Züst di Rancate, in Canton Ticino, è in mostra l’arte della giovane artista svizzera, scomparsa prematuramente a soli 23 anni, insieme alle opere delle colleghe donne che onorarono il suo tempo. Tra cui i fiori di campo di Adelaide Borsa, i ritratti di Irma Giudici Russo e i lavori di Margherita Osswald-Toppi, che ispirò lo scrittore Hermann Hesse per uno dei suoi migliori racconti, “L’ultima estate di Klingsor”
Breve la vita di Sylva Galli. A soli 23 anni la malattia spezzava il filo d’oro d’una esistenza vissuta in pienezza di spirito, di genialità, di intelligente attenzione al mondo prediletto. Quello dell’arte, della creatività esercitata partendo dallo sguardo sul cerchio familiare fatto di oggetti domestici, di ritmi lenti e sereni, di visioni e ambienti rassicuranti. Ma dove sarebbe potuta arrivare la linfa limpida e cosciente di quella creatura nata per raccontare, coi colori e i flussi calmi degli oli sulla tela, però densi e volitivi se la mente o il cuore, più che la mano, lo richiedeva? Ci sono, nelle sue opere di ragazza colta e attenta alle vicende artistiche, tutti gli umori e le passioni, il dolore e la gioia degli artisti da lei avvicinati, studiati, amati. O spiati con la speranza (ma guardando le sue opere oggi possiamo dire certezza) di strappare segnali preziosi. Furono tutte indicazioni utili ad accompagnarla in quel percorso docile, ma tenace, di arte e di vita che s’aspettava. Splendida e giusta scelta quella della Direttrice della Pinacoteca Züst di Rancate, prima di lasciare il suo museo, dopo anni di rassegne di grande impegno e passione, di ricerca e altissima qualità, di dedicare la sua ultima mostra a una giovanissima, ma già notevole artista, falciata da un destino impietoso.
Sylva Galli, I genitori alla finestra; sopra, Sylva Galli, Autoritratto
Crudele tanto più se, percorrendo le sale davanti alle sue belle tele o a un’affascinante testa femminile in gesso da Sylva finemente modellata, ti interroghi perché mai si erano dovuti spegnere per sempre, così presto, quei colori, quegli azzurri veli sulle spalle nude, quelle nuche di donna, in piedi davanti allo specchio. E perché dover lasciar languire per sempre le esplosioni matissiane di fiori nei vasi smaltati in cobalto delle sue opere? Ci sono Monet e Toulouse-Lautrec, ma anche Renoir e Degas, nelle vibrazioni dei veli trasparenti, nei corpi femminili, quasi da ballerina, animati di un garbato vigore, ma schermati da gentilezza, raccontati da Sylva. E c’è anche il nostro solitario Morandi che molto doveva piacerle: per la sua arte, come dimostrano alcune belle nature morte della giovane dichiaratamente morandiane. Soffermandosi sul suo quotidiano, simbolico universo di oggetti comuni, per Morandi “nulla era più surreale, nulla più astratto del reale”. E per quella prudenza di sguardi umani che lo portava a osservare, come Sylva anche faceva, il mondo esterno dalla finestra. Non aveva il coraggio, la giovanissima Sylva, di esporre le sue tele e gli altri lavori in cui si è cimentata. Non partecipava alle rassegne artistiche ticinesi, dicendo di non sentirsi pronta per il giudizio del pubblico. Tutto partiva in realtà da una coscienza di donna che si misurava coi massimi livelli, che conosceva il meglio dell’arte che l’aveva preceduta o le scorreva vicino, perché l’aveva studiata e avvicinata negli studi compiuti. Finché anche la guerra si era messa di traverso. Eppure, la produzione che si vede in mostra era già ampia e varia e capisci che quei quadri a lei noti, quei pittori prima derisi, poi acclamati nei musei del mondo, ma anche quelli già più vicini a lei nella contemporaneità, li aveva già fatti passare tutti. Accogliendoli nel suo cuore e nei suoi occhi, assimilandoli in certe pennellate cariche di prodigiosi indizi coloristici che sarebbero piaciuti persino all’esigente Vincent. Sì, anche Vincent le è vicino, nella decisa volontà di lei di aggiungere pennellata a pennellata, lavoro a lavoro, tono su tono. Ogni giorno e ogni notte. E ogni solco è un pensiero, una dedica all’occhio che guarda, una preghiera; con lo sguardo fisso a quell’universo
stellato e irraggiungibile che, come sapeva bene lei, anche Vincent van Gogh aveva osservato nelle notti d’attesa dalla sua camera di Arles. Ti consola allora sapere come in quel lampo abbagliante di vita, Sylva avesse già visto e compreso il meglio, non sola, ma in compagnia degli artisti prediletti. La sua tavolozza era per lei, non solo nei momenti più alti, uno strumento musicale: arpa divina, per elevarsi ad altezze di rara qualità. Se
le furono apparentemente precluse, secondo alcuni spicci giudizi, in realtà le aveva toccate già: e stavano in quel suo paradiso terreno del fantasticare di mano e di cuore e di colori, pur nell’apparente ristretto spazio domestico. Dove ritrae la fisicità longilinea della madre e del padre affacciati al balcone, di se stessa seduta: la minuta figura, l’abitino da casa con le maniche celesti a sbuffo, lo sguardo acuto, le lunghe gambe accavallate sulla sedia di paglia. Non per nulla alcune sue opere sono state accolte a Palazzo Pitti a Firenze, alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma e nel Museo d’Arte della Svizzera Italiana di Lugano, quale dono della famiglia. La maggior parte dei lavori sono, invece, di proprietà della stessa che le ha distribuite tra i suoi membri e si è data il nobile compito di
onorarle e custodirle per sempre. Sylva era nata a Bioggio nel 1919, da Battista, dirigente bancario e da Maria Angela Stoppa, appartenente a una benestante famiglia contadina. Scrisse di lei il sensibile critico e artista vigezzino Giuseppe de Magistris: “Non era, anche a detta dei genitori, che se n’erano accorti ben presto, una ragazza comune. Garbata ma decisa, finiti gli studi liceali rivelò subito il suo temperamento artistico, raro soprattutto per la sicurezza con cui si sviluppò in seguito. Un giorno, infatti, terminati gli studi ginnasiali, la ragazza dichiarò chiaramente che intendeva studiare disegno. Fu accontentata”. Si diploma così alla scuola cantonale di Lugano, poi frequenta il Technicom di Friborgo e anche l’Akademie Wabel di Zurigo, una scuola privata di nudo e di paesaggio aperta dall’artista Henry Wabel. La famiglia, già privata dalla morte precocissima dell’unico figlio primogenito, lascia fare, dedicandole ogni attenzione. Ma si accorge al ritorno a casa che la sua salute pare minata, forse per il freddo e le privazioni sopportate in quel suo intenso fare. “Io vedo nei suoi lavori –scrive il cugino Antonio Galli – piuttosto il frutto di un continuo lavorio interiore, quasi presagisse di non poter perdere tempo, di dover vivere intensamente ed esprimere i propri sentimenti attraverso le opere che ci ha lasciato”. Fu vista fin dagli anni ‘60 come simbolo di una femminilità autentica, libera in se stessa, piuttosto che nella dimostrazione propagandistica e sbandierata di un femminismo di facciata.
Fino all’8 settembre 2024
Pinacoteca cantonale Giovanni Züst, Rancate (Mendrisio), Canton Ticino, Svizzera. A cura di Mariangela Agliati Ruggia e Giulio Foletti con la collaborazione di Alessandra Brambilla
Anche per questo alle ottime opere di Sylva si affiancano nelle sale opere di altre artiste, a volte anche scrittrici e autrici di testi dedicati alle arti o alle biografie femminili, alcune dedite ad una pittura non professionale, altre, anche precedenti cronologicamente la vita di Sylva, molto stimate artisticamente. Si vedano i fiori di campo di Adelaide Borsa, un pastello su carta di inarrivabile leggerezza e in contrapposizione quelli vivacissimi di Rosetta Leins o i sublimi ritratti di Irma Giudici Russo, come il “Pastorello” e, incredibile per profondità e trasparenze, “Il vestito a scacchi” (1935). La giovane coppia di Margherita Osswald-Toppi rimanda, anche per l’atmosfera dei caldi colori usati, ad Hermann Hesse, che si ispirò alla donna ritratta per uno dei suoi migliori racconti “L’ultima estate di Klingsor”.
Luisa Negri
Direttore dei Musei Civici varesini per oltre 20 anni. Insegnante al Seminario di Venegono Superiore, al Liceo Classico Cairoli e al Liceo artistico di Varese. Scrittore di svariate opere divulgative dedicate proprio al territorio varesino. Di recente assegnatario del Premio Rosa Camuna per meriti culturali. Intervista a Silvano Colombo, artefice di numerosi e importanti eventi di richiamo, tra cui la prima mostra di Renato Guttuso nel Varesotto
Silvano Colombo, storico dell’arte, insegnante e scrittore noto nel territorio varesino e non solo, è stato entusiasta artefice, ogni volta che la sua professionalità l’ha richiesto, di numerosi eventi di primo piano. Si è raccontato in una gradevole autobiografia edita nel 2021 dall’editrice Menta e Rosmarino, dal titolo “Una persona alla mano”, che dà conto del tanto lavoro fatto. La riproduzione di un suo ritratto nel 1940, opera del pittore Federico Gariboldi, lo mostra bambino, il ciuffo all’aria, gli occhi sorridenti, il colletto candido inamidato. A Silvano Colombo è stato, inoltre, assegnato lo scorso maggio, dal Presidente della Regione Lombardia, il Premio Rosa Camuna per meriti culturali, soprattutto per gli studi sul Sacro Monte, Patrimonio dell’Umanità.
Una vita dedicata all’arte. Chi l’ha incamminata su quella strada? Certamente mio nonno materno, Enrico Bianchi, il “campanatt”. Non ho dubbi. È stato Enrico, proprietario per tradizione familiare di un’importante ditta di campane, a spingermi a leggere i libri di storia dell’arte. E poi sono nato a Varese, nel 1938, il 22 novembre, festa di Santa Cecilia, da papà Alberto e mamma Fiordalice. La musica mi è amica.
Come andò?
Nonno Enrico custodiva nella libreria del suo studio diversi volumi di storia dell’arte, mi piaceva molto leggerli e osservarne le illustrazioni. Forse anche per quelle ore di solitario rapimento sono diventato uno studente del locale Liceo Classico Cairoli prima, dell’Università di Pavia poi. Qui mi sono laureato in Lettere Moderne nel 1961 con una tesi in Storia dell’arte che ottenne il massimo dei voti. Risiedevo in quegli anni al collegio Cairoli, un cognome che
ritorna nella mia vita più volte. Perché fui poi al Liceo varesino dedicato a Ernesto Cairoli, eroe del Risorgimento morto a Varese nel 1859, in veste di insegnante, subito dopo l’abilitazione. A chiamarmi negli anni ‘60 era stato il Preside Felice Bolgeri.
Partiamo dalla scuola, le piaceva insegnare?
Sì, mi piaceva davvero. È insegnando che t’accorgi di essere tu a imparare tante cose. Solo nel tempo trovi gli strumenti giusti per confrontarti al meglio coi ragazzi, traendone contenuti profondi di conoscenza, di umanità e di verità. Su richiesta dei presidi, sempre a corto di docenti, mi dividevo spesso tra cattedra e incarichi professionali in ambito pubblico. Ho insegnato per alcuni anni anche al Liceo artistico varesino, ne ero stato tra i fondatori e al Seminario di Venegono Superiore, dove ho avuto come allievo il futuro cardinal Mario Delpini.
Da Direttore dei Musei Civici varesini, dal ‘66 all’89, cercò subito di avvicinare i varesini a Villa Mirabello.
Quando, avendo vinto il concorso, assunsi l’incarico dirigenziale succedendo a Mario Bertolone, ebbi l’impressione di avere aperto un grande garage in cui stava parcheggiata una Ferrari, ma fuori uso per mancanza di carburante.
Quali erano i problemi?
Mancava un rapporto importante con il mondo della scuola. Il motivo fondamentale, come capii subito, era l’assenza di riscaldamento. Non era possibile accogliere i ragazzi in inverno nelle sale gelide. Ne parlai col sindaco Ossola, che riuscì a fornire l’antica struttura della villa di un adeguato impianto. Le visite passarono dalle 6.000 all’anno a 25.000/30.000. Gli allievi visitatori furono poi il tramite tra Villa Mirabello e le famiglie: portavano i genitori al museo. Per assecondare questo interesse organizzai il sabato, in sede, ore di lezioni di storia dell’arte con diapositive, aperte a tutti. Negli anni piovvero anche donazioni importanti per il museo: come la “Tamar di Giuda” di Francesco Hayez e “Sera d’autunno” di Giuseppe Pellizza da Volpedo. Mi assegnarono, inoltre, l’incarico di Direttore della biblioteca di Via Sacco. Decisi di aprire al pubblico una emeroteca. Arrivavano ogni giorno giornali nazionali e internazionali. Ci fu subito grande risposta di lettori.
Nel 1984 esponemmo per la prima volta la famosa grande opera di Guttuso “Spes contra Spem”. Giunsero 25.000 visitatori
Grandi eventi di scultura e pittura di quegli anni varesini sono ancora oggi ricordati.
È vero, la prima mostra fu nel ‘74 con lo scultore Vittorio Tavernari. Seguirono Angelo Frattini nel ‘75, Floriano Bodini nel ‘77 a Villa Mirabello. Nell’83 proponemmo la grande mostra dedicata a Francesco Cairo, curatori Mina Gregori, Giovanni Testori Marco Rosci e Giovanni Romano e il sottoscritto. Fu la prima volta che l’amministrazione comunale si impegnava in proprio. Ma già nell’62 avevo contribuito alle ricerche, scovando inediti documenti originali e all’allestimento della rassegna dedicata al Morazzone a Villa Mirabello, per conto dell’Ente Turistico.
Avvenne sotto la sua direzione anche la prima mostra di Renato Guttuso.
Sì. Nell’84 esponemmo allora per la prima volta la famosa grande opera “Spes contra Spem”. Giunsero 25.000 visitatori.
Che ricordo ha di lui?
Un bellissimo ricordo. E grazie a quella mostra, l’artista si riconciliò con i varesini. Lo incontrai in un ristorante della città: lui era lì con amici, io con l’Assessore alla Cultura Salvatore Caminiti. Ci salutammo, io aggiunsi: “Assessore, dobbiamo fare una mostra dedicata al maestro”. Guttuso si rabbuiò: “Da anni mi è stata promessa, ma ancora non l’ho vista”. Lo pregai allora di venire a visitare la mostra di Cairo, che era in corso. Venne e rimase colpito. Nella rassegna guttusiana che realizzammo l’anno successivo, ripropose poi la sua testa del Battista che lo aveva emozionato quel giorno. Conservo un caro ricordo dell’evento: una foto di me, mio padre e Guttuso scattata dal fotografo Gino Oprandi. Il pittore mi omaggiò con un’opera riproducente un particolare del giardino di Velate, che inserii nella collezione museale. Purtroppo, non l’ho più vista esposta.
Ha scritto molte opere fondamentali, ma anche diverse divulgative (per i tipi di Lativa) dedicate a Varese, che ebbero molto successo: come “In Giro per Varese”, “Carissimi nonni”, “L’Ora stravagante”. Ma il Sacro Monte è probabilmente l’argomento prediletto.
“In Giro per Varese” è un libro a me molto caro, lo dedicai alla mia giovane sposa Bianca, mancata poi troppo presto. Quanto al tema sacromontino, è il mio prediletto e anche uno dei più importanti, con quello riguardante Castiglione Olona. Mi sono divertito a raccontare più volte ai lettori le entusiasmanti vicende della Fabbrica del Rosario, nata nel XVII secolo dalla volontà di padre Giambattista Aguggiari e di suor Tecla Maria Cid, dalla tenacia del Bernascone, l’architetto detto il Mancino e dalla carità dei pellegrini della Via Sacra. Dove vennero erette le cappelle dedicate ai 15 misteri del Rosario. Ho avuto anche il piacere di aprire al pubblico, per la prima volta nel 1970, il Museo Lodovico Pogliaghi. Me lo chiese Enrico Cattaneo, allora prefetto della Biblioteca Ambrosiana. Castiglione, con lo splendore di Masolino, mi ha sempre attratto e ne ho scritto più volte. Molti gli incontri in pubblico con l’arte, chiamando esperti e critici noti. E fui dal 1995 Assessore alla Cultura nello stesso Comune, per un paio d’anni. Mi aff idarono poi qui incarichi organizzativi, in funzione di Direttore della Collegiata.
Chi ricorda con maggior piacere nella sua vita fatta di tanti incontri? Giulio Andreotti, intervenuto all’inaugurazione della mostra di Guttuso nell’84, Papa Giovanni Paolo II, che conobbi in occasione della visita privata da lui concessa a una delegazione del Seminario di Venegono il 12 marzo 1986 e Rita Levi Montalcini. La incontrai al Forum Ambrosetti nel 1999. Li univano formidabili intuizioni e conoscenze, soprattutto la medesima, felice curiosità di avvicinarsi agli altri.
“Una persona alla mano” così la definisce l’editore della sua autobiografia, uscita per i tipi di Menta e Rosmarino nel 2021. Ho caro questo libro per l’attenzione dell’amico Alberto Palazzi e perché la grafica è di Elisa ‘Gians’, figlia della mia seconda consorte Franca. Mi consente soprattutto di ripercorrere, con Frida, la nipotina, il cammino di una vita dedicata all’arte. Proprio come nonno Enrico faceva con me, conducendomi per mano per le vie di Varese.
Da un antico cascinale, nasce uno spazio esclusivo a pochi chilometri da Milano. Una destinazione d'eccezione dove concedersi momenti di relax, in armonia con la natura che la circonda.
Un club immerso in oltre 60.000mq di splendido verde, con piscina all’aperto, pool bar, ristorante, ampi spazi interni ed esterni e un ricco calendario di eventi.
Villa Sant’Uberto sarà a disposizione dei soci fino a Settembre dal lunedì alla domenica, martedì escluso.
VialeToscana,200-21052
Andrea Della Bella
Peso, disco, giavellotto e martello: queste le 4 discipline di atletica leggera, in cui la Pro Patria Arc di Sacconago sforna da anni talenti, grazie alla guida tecnica del Presidente della polisportiva, Gian Mario Castaldi. Ma come si diventa medaglie d’oro di questi sport? Con tanto impegno e una preparazione che può durare anche 10 anni
5secondi, forse anche uno di meno: 4.
Un lampo. Qualcosa che dura poco, pochissimo. Ma che deve sfiorare la perfezione. E per trasformare quei 4/5 battiti dell’immaginaria lancetta dei secondi, bisogna lavorare anni. Circa 10, per diventare un atleta di alto livello di lancio del martello.
L’atletica è la grande madre sotto la cui ala protettiva sono raggruppate le 4 discipline di lancio: peso, disco, giavellotto e appunto il martello. Che si chiama così poiché deriva da un’antica disciplina nella quale vinceva l’atleta che gettava un vero e proprio martello, come quello utilizzato dai fabbri, più lontano di tutti. La versione “primitiva” di questo sport è praticata ancora oggi negli Highland Games, i tradizionali giochi scozzesi.
A Busto Arsizio, anzi a Sacconago, alla pista di atletica e casa della Pro Patria Arc, invece, crescono i campioni della moderna disciplina di lancio. Sotto la guida tecnica, ma anche umana, di Gian Mario Castaldi, Presidente della polisportiva, allenatore delle discipline di lancio ed ex martellista con un occhio di
riguardo per chi in pedana va con l’attrezzo che conta una testa metallica di forma perfettamente sferica, un cavo costituito da un filo d’acciaio ed un’impugnatura.
Sotto la sua guida tecnica sono cresciuti Marco Lingua, che nel 2008 ha conquistato la sua prima Olimpiade (Pechino) e Giacomo Proserpio, uno dei migliori martellisti italiani. Oltre a Matteo Masetti, campione olimpico di giavellotto alle Deaflympics, ovvero i Giochi olimpici silenziosi per atleti sordi. Non solo. Da poco si sono laureati Campioni Regionali, proprio a Busto Arsizio, Filippo Migliano e Paola Castaldi nel martello maschile e femminile e Ilaria Villa nel disco donne. Tre atleti “targati” Pro Patria, cresciuti sotto la guida del maestro, ma che hanno disputato le prove con le divise delle società di Saronno e Cus Pro Patria Milano. Nel palmares del tecnico ci sono anche 18 partecipazioni in nazionale, 9 titoli italiani e 59 titoli regionali conquistati con atleti allenati da lui. Ma torniamo a quei pochi secondi in cui il martellista deve trovare il giusto equilibrio tra forza, potenza, velocità, coordinazione, tecnica e convogliare il tutto nell’esplosività finale che trova l’apice nel momento in cui le mani mollano la presa e affidano al volo la sfera metallica. Un battito di ciglia dietro al quale c’è tantissimo lavoro. E prima ancora l’intuizione di chi, nel bambino che inizia a fare atletica, ha già intravisto le doti del lanciatore di martello.
“Sono stato un atleta, anzi un velocista – spiega Castaldi – poi con l’Università ho interrotto l’attività e dopo qualche anno ho ripreso. Non avevo più il fisico per la corsa e così ho iniziato con i lanci. Un giorno il mio allenatore, in vista di una gara, mi ha convocato per il martello”. Già, perché nel vasto panorama dell’atletica, in una società, sono pochi quelli che si dedicano ai lanci. E tra questi sono pochissimi quelli che scelgono la disciplina del martello.
“Infatti – continua Castaldi – non ci sono gare fino ai 14 anni d’età. A Busto però facciamo eccezione. Quando individuo un atleta che ha le potenzialità, iniziamo a lavorare per questa disciplina. Interiorizzare i movimenti è importantissimo e quindi bisogna iniziare da giovanissimi”.
Castaldi, per capire chi può avere un futuro, guarda due cose negli atleti: i piedi e gli occhi. “I piedi perché devono essere velocissimi e gli occhi perché solo lì si può vedere se in quel ragazzo o in quella ragazza brucia il sacro fuoco per l’atletica. Del resto, il martello richiede allenamenti tosti e per molti anni”. Ovvero: gli amici vanno in giro a divertirsi e l’atleta si deve allenare, facendo molta attenzione all’alimentazione e “sacrificando” parte del
tempo libero dopo gli impegni scolastici, per dedicarsi alla disciplina sportiva. “Per preparare un martellista di livello – continua Castaldi – servono 10 anni”. Un’eternità se si pensa ai pochi secondi in cui tutto si consuma. Ma la preparazione è articolata e “ci si dedica ai lanci fin da subito”.
E in pedana che si apprende la tecnica. “Possiamo dire che la preparazione di un martellista prevede 3 fasi. Quella con gli attrezzi. I più pesanti servono per migliorare la forza, i più leggeri per aumentare la velocità di esecuzione. Poi bisogna lavorare in palestra con i pesi sulla forza e sulla potenza, poiché conta quanti chili si sollevano, ma anche quanto velocemente li si sollevano. Infine, c’è tutta la preparazione in pista con corsa, scatti, salto a ostacoli”. Non ci si annoia, insomma. E, anche se nella fase del lancio in pedana si è soli, in gara la presenza degli avversari si fa sentire e la classifica è il vero convitato di pietra. Non c’è simultaneità nel martello come invece può accadere con la corsa. E non ci sono resistenza, costanza e strategia come succede nelle lunghe distanze come i 10mila metri. E ancora, non è detto che vinca il più forte. Nel martello solo chi sa lanciare va più lontano degli avversari. “Tutto vero – conclude Castaldi – ma chi è in gara ha ben presente tutto ciò che succede attorno a lui e soprattutto, anche se in pedana ci va da solo, sa bene come sono posizionati i suoi avversari”.
Immersa tra le acque serene del lago, l’abbraccio verdeggiante del parco e le maestose montagne, Villa Porta offre ai suoi ospiti esperienze uniche sia in occasioni private che aziendali.
A pochi passi da Luino, Varese e Lugano, la struttura è situata all’interno di 10.000 mq di natura rigogliosa in cui si apprezzano sentieri romantici, l’originale Serra d’epoca e un pittoresco porticciolo… un’oasi di vera tranquillità!
Con la sua energia, Lara Luz è il cuore della Proprietà dal 1994, già della famiglia Luz dal 1971.
Il suo entusiasmo si ritrova nella mission aziendale, fortemente orientata all’eccellenza del servizio e al rispetto dei valori di una lunga tradizione nell’hotellerie.
Scoprite di più su: www.villaporta.style
Rubrica in collaborazione con
Enoteca Bottazzi 1957, Besozzo enotecabottazzi.it
info@bottazzi1957.com
600 gr di farina
400 gr di semola rimacinata di grano duro
10 uova intere
Olio
Sale
Ingredienti per il ragù
400 gr di carne di maiale
400 gr di carne di vitello
400 gr di carne di manzo
2 kg di passata di pomodoro
600 gr di burro
Salvia
Cipolla
Sale, pepe
1 bicchiere di vino bianco
Per realizzare le chitarrine, disporre la farina su un tavolo a fontana e unire uova, sale e olio. Sbattere le uova con una forchetta e mischiare pian piano con la farina, quindi impastare a mano. Lavorare bene l’impasto: quando sarà liscio e omogeneo, coprirlo con uno straccio umido e lasciare riposare per mezzora. Quindi infarinare il tavolo di lavoro e con l’aiuto di un mattarello stendere la pasta. Appoggiare la pasta sulla chitarra e stendere con il mattarello per ottenere la pasta alla chitarra.Per il ragù, macinare la carne al disco grosso, preparare il soffritto con la cipolla tritata in una casseruola col burro. Far rosolare bene fino a quando si colorisce. Aggiungere un mazzetto di salvia, la carne tritata e far rosolare bene. Quindi unire la passata di pomodoro. Lasciare cuocere per circa 2 ore, mescolando ogni tanto a fuoco basso.
alla chitarra.
salvia rosolare bene. Quindi unire la passata di pomodoro.
Ricetta dello Chef Pedrinelli Venanzio, Da Venanzio (Induno Olona)
“I Perlari”
di Montorio, in una delle zone vocate alla
A pochi chilometri ad Est di Verona, nel comune di Montorio, in una delle zone vocate alla coltivazione di vitigni autoctoni e alla produzione di vini d’eccellenza quali il Valpolicella
Superiore, il Ripasso e l’Amarone, la tenuta Villa San Carlo, proprietà della famiglia Pavesi dal 1958, è un’oasi di verde incontaminato: 70 ettari di cui 20 vitati. La collina, dominata dall’elegante villa colonica del XVII secolo, è arricchita da antichi terrazzamenti a secco e dal suolo calcareo con una perfetta esposizione a Sud-Ovest ed un microclima ideale. Una magica trama di vigneti e olivi immersi in una ricca fascia boschiva. Questo è il segreto che si nasconde dietro ai profumi eleganti dalle note fruttate e speziate, agli aromi intensi ed ai sapori equilibrati di questi vini di carattere e grande struttura. Oggi l’azienda, sotto la guida esperta di Antonia e Cristina Pavesi, ha l’obiettivo di creare vini di territorio, di alta qualità in grado di esprimere tutto il meglio della Valpolicella. Una delle espressioni più tipiche è la Valpolicella ripasso superiore “I Perlari”: il vino dopo la normale fermentazione in acciaio viene fatto ripassare a dicembre sulle vinacce fresche di amarone. Questa pratica di lavorazione e il suo affinamento in legno ne esaltano il colore e la complessità.Il vino si presenta di colore rosso rubino intenso, al naso si avvertono aromi di frutta rossa, tra cui prugna e mora e un delicato profumo di rosa rossa, menta e spezie. In bocca è morbido, strutturato, caldo e rotondo con retrogusto di spezie dolci, frutta matura, ottimo equilibrio tra struttura e acidità. Perfetto con primi piatti al ragù e carni arrosto, divertente anche in aperitivo con affettati.
Sommelier Bruno Bottazzi
Maggiore consapevolezza, economia locale dinamica e benefici ambientali: sono i fattori che stanno spingendo la mobilità verso il noleggio a lungo termine, a cui la provincia di Varese sembra essere molto interessata. A rivelarlo sono i dati dell’Associazione
Nazionale dell’Industria dell’autonoleggio
ANIASA, l’Associazione Nazionale dell’Industria dell’autonoleggio, ha stilato il suo Rapporto 2024. La scena italiana vede un settore del noleggio veicoli in forte crescita, con una robusta ripresa post-pandemia e un’attenzione crescente verso l’innovazione tecnologica e la sostenibilità. Il mercato del noleggio ha registrato un significativo incremento del fatturato, passando da 13 miliardi di euro nel 2022 a 14 miliardi nel 2023. Le immatricolazioni hanno raggiunto un nuovo record con 525.000 unità, rappresentando il 29,7% del mercato automobilistico italiano. La clientela del noleggio a lungo termine ha raggiunto 254.000 soggetti, tra cui 90.000 aziende, 3.000 pubbliche amministrazioni e 161.000 privati. L’analisi del rapporto evidenzia che le immatricolazioni nel noleggio a lungo termine sono cresciute del 22%, con una forte preferenza per le auto a diesel e mild hybrid diesel, che rappresentano il 41% delle immatricolazioni aziendali. In questo contesto nazionale, la provincia di Varese si distingue per un crescente interesse verso il noleggio a lungo termine, come sottolinea
Rossella Bucca, Responsabile di ExecutiveLease. “La sua crescita può essere attribuita a diversi fattori: da un lato, la consapevolezza riguardo i vantaggi del noleggio a lungo termine è aumentata grazie alle campagne di sponsorizzazione e al passaparola. Dall’altro, le piccole e medie imprese della zona hanno apprezzato i benefici economici e gestionali di questa soluzione per le loro flotte aziendali”, spiega Bucca. “Inoltre, l’adozione del noleggio a lungo termine garantisce alle aziende di avere un parco auto sempre fresco, poco inquinante e di poter aderire con maggiore serenità all’utilizzo di vetture elettriche”.
Come partner di mobilità per Confindustria Varese, ExecutiveLease supporta gli imprenditori nella scelta del
ExecutiveLease Via Volturno 37, Brugherio (MB)
parco auto più rispondente alle esigenze aziendali. Nel 2023, le aziende clienti si sono orientate prevalentemente verso crossover ibridi e veicoli commerciali leggeri con motorizzazione diesel, con un crescente interesse per le vetture di alta gamma alimentate a ibrido. Le prospettive per il noleggio a lungo termine nella provincia di Varese sono promettenti. “Attraverso l’avanzare della tecnologia e dell’introduzione di veicoli elettrici e ibridi, il noleggio a lungo termine potrebbe diventare ancora più attraente, offrendo soluzioni di mobilità sempre più ecologiche, senza il timore del deprezzamento del parco auto”, analizza Rossella Bucca.
Il settore del noleggio a lungo termine si pone, quindi, come un pilastro fondamentale del mercato automotive nazionale, con un ruolo chiave nella transizione verso una mobilità sostenibile. La provincia di Varese rappresenta un esempio di come questa modalità, simbiotica in un contesto locale dinamico e innovativo, promuova l’efficienza e la sostenibilità per imprese e privati.
Da monovolume a crossover: ecco come evolve la nuova Renault Scenic E-Tech della Casa francese, nata nel 1996 e giunta alla quinta generazione. Disponibile in 5 livelli di equipaggiamento nelle concessionarie Renault Paglini di Castellanza, Gallarate, Azzate e Varese
Nata nel 1996 e giunta ormai alla sua quinta generazione, la nuova Renault Scenic E-Tech 100% elettrica abbandona il suo design da monovolume compatta per diventare una crossover. Un look sofisticato che si esprime nelle sue generose dimensioni di 4,47 metri di lunghezza per 1,86 di larghezza e 1,57 di altezza. Ventisette anni di innovazione che l’hanno portata a vincere il titolo di Auto dell’Anno 2024 davanti alla BMW Serie 5 e alla Peugeot 3008. La silhouette riprende elementi delle sport utility, con una linea di cintura ribassata e linee fluide che richiamano le berline. Il frontale è caratterizzato da un cofano importante e una calandra con motivi a losanga a integrare il logo “Nouvel’R” di Renault. I deflettori aerodinamici insieme alle maniglie delle porte a scomparsa e ai cerchi in lega da 20” migliorano ulteriormente l’aerodinamica e l’efficienza del veicolo. Costruita sulla piattaforma modulare CMF-E, la nuova crossover adotta motorizzazioni da 125 kW (170 CV) e da 160 kW (220 CV). La scelta delle batterie varia da 60 kWh
a 87 kWh, a garanzia di un’autonomia massima di 620 km (WLTP): servono 30 minuti di corrente continua per recuperare fino a 300 km di autonomia. Un’architettura che grazie alla piattaforma modulare CMF-EV assicura una guida agile con un raggio di sterzata di soli 10,9 metri.
A bordo della Scenic E-Tech Electric, il sistema multimediale OpenR Link con Google integrato offre un’esperienza utente basata su Android Automotive 12, con incluse oltre 50 app scaricabili da Google Play. Il cockpit digitale OpenR combina un display TFT da 12,3” e un touchscreen verticale da 12” per una gestione intuitiva di tutte le funzioni del veicolo. La grafica moderna e i comandi vocali avanzati rendono l’interazione con il sistema semplice e
Concessionaria G & G Paglini Spa Castellanza, viale Don G. Minzoni 12, Tel 0331338811
Gallarate, viale Lombardia 24, Tel 0331338877
Azzate, via Piave 20, Tel 0332454495
Varese, viale Valganna 130, Tel 0331338888
immediata. La pianificazione dei percorsi è ottimizzata grazie alla collaborazione con Google, che tiene conto di fattori come il pre-condizionamento della batteria e le condizioni meteo. La Scenic E-Tech Electric è equipaggiato con oltre 30 sistemi di assistenza alla guida (ADAS) per garantire la massima sicurezza. Tra questi, il Safety Coach fornisce consigli personalizzati per una guida responsabile, mentre il sistema Active Driver Assist migliora le prestazioni di guida autonoma di livello 2, adattando velocità e traiettoria in modo predittivo. Disponibile in 5 livelli di equipaggiamento nelle concessionarie Renault Paglini di Castellanza, Gallarate, Azzate e Varese, Renault Scenic E-Tech 100% elettrica parte da 29.050 euro al netto degli incentivi statali.
Seguendo il filo di Napoleone
Storie di energia
L’inclusività di Lady Whistledown
Silvia Giovannini
La varesina Federica Mancini, storica dell’arte, esperta di conservazione dei beni culturali e responsabile di collezioni al Louvre, svela il suo nuovo progetto che la porta a “dipanare la matassa” di un pezzo importante, anche economico, di storia francese, tra espressioni artistiche, società e tessile-moda. Sono oltre 6.000 i disegni dedicati alle uniformi dei diplomatici in corso di catalogazione al Museo parigino
Sembra nata per spiegare la serendipità l’ultima avventura di Federica Mancini a Parigi. Varesina, classe ‘75, laureata in lettere moderne all’Università Cattolica di Milano, Federica, storica dell’arte, esperta di conservazione dei beni
culturali e responsabile di collezioni, è approdata nientemeno che al Museo del Louvre quasi 25 anni fa. Fin da giovanissima il suo sogno nel cassetto è stato quello di lavorare tra le prestigiose mura del Museo, il suo “place to be”, dove oggi si occupa di opere di scuola italiana,
in particolare genovese e lombarda, dal XV al XVIII secolo al Dipartimento di Arti grafiche. Il suo è un mestiere di passione, ma anche di grande precisione e impegno, sempre allo studio rigoroso e scientifico delle “sudate carte” che raccontano non solo di arte, in senso stretto, ma anche di storia e cultura. Un curriculum notevole, arricchito anche da un master alla Sorbona e alla Scuola del Louvre e da un numero importante di pubblicazioni, tra cui l’opera “Disegni italiani dal Museo del Louvre. Disegni genovesi XVI-XVIII secolo”, in inglese e francese. La nuova sfida professionale la porta, quasi per caso, in un campo del tutto nuovo, a inseguire la storia dell’arte ma anche quella del tessile-moda sulle tracce di personaggi del calibro di Napoleone. “Una rilettura del concetto di potere!”, sintetizza così Mancini che, nella
catalogazione di oltre 6.000 disegni dedicati alle uniformi dei diplomatici, ha scoperto un mondo che superava la sua immaginazione. L’occasione nasce dalla catalogazione di un fondo di disegni conservato al museo del Louvre, acquistato prima della chiusura alla casa di ricamo Brocard nel 1995, che l’ha portata a iniziare e quasi terminare un dottorato di ricerca all’Università CergyPontoise. L’atelier, ormai specializzato nel restauro delle decorazioni ricamate di abiti diplomatici ma anche di mobilio, custodiva gli studi preparatori per le ricamature dei capi tessili che oggi assumono un valore inestimabile e che il Louvre vuole far conoscere. Tra gli obiettivi deontologici del Museo c’è, infatti, quello della condivisione della cultura: la catalogazione delle opere è fondamentale non solo per la ricerca e la conservazione,
“Il campo dei disegni da ricamo rimane praticamente inesplorato. Questo progetto mira ad esplorarlo e a raccontare la genesi dell’industria del lusso, concentrandosi sulla parte della creazione stilistica del capo”
ma anche per la divulgazione. “E non si può mettere a valore un’opera di qualsiasi genere e comunicarla se non la si conosce profondamente”, spiega Mancini.
Oltre 6.000 disegni: un’opera immane. Cosa ne è emerso?
Quest’ultima mia avventura è nata quasi per caso: si rendeva necessaria la catalogazione di un consistente corpo di disegni che si è rivelato una vera miniera d’oro. Non si trattava solo di abiti di personaggi di alto rango, diplomatici, funzionari e religiosi, ma anche di personale di servizio e persino decorazioni d’interni, tendaggi o elementi delle carrozze. I disegni più noti erano destinati al giorno dell’incoronazione di Napoleone ad imperatore, ma di fatto si ripercorre tutta la storia francese fino a fine ‘800, durante i primi decenni della Terza Repubblica (1870-1920). È risultato subito evidente che se ne sarebbe ricavato un censimento storico di valore inestimabile, in grado di dare un’idea dell’intensissima attività sartoriale e della diffusione mondiale del modello parigino.
È partita da un territorio con una forte vocazione tessile, per trovare il tessile al Louvre! Sembra di dipanare un filo. La sorpresa, in effetti, è stata quella di poter ricostruire uno
spaccato tanto prezioso di storia della moda, in special modo della ricamatura, ma anche delle filiere produttive, della vita e delle relazioni di sarti e stilisti parigini. Le opere restituiscono un ritratto dell’epoca molto vivace, a partire da una visione chiara dei rapporti gerarchici e del potere, che passano anche da abiti e decori, mettendo in luce le abitudini di governanti e diplomatici.
Cosa l’ha colpita di questa storia di potere?
La raffinatezza. Indubbiamente emerge uno spaccato del mondo del potere e della moda, che si intrecciano, che sono insieme savoir-faire ma soprattutto lusso e sfarzo. Un’attenzione al dettaglio, che caratterizzava le uniformi diplomatiche oltre due secoli fa, con obiettivi simili alla haute couture, da un
punto di vista tecnico, ma portando avanti un discorso in filigrana, decisamente più sottile e complesso.
Si discosta un po’ dai suoi lavori più legati all’arte strettamente intesa... Fin da ragazza, quando ho preso il patentino di guida turistica, ma già prima dai banchi di scuola, la mia passione per la storia dell’arte era ben chiara così come la speranza di lavorare al Louvre. In questo versante del ricamo nel tessile ho potuto apprezzare un mondo nuovo, come Agatha Christie alla ricerca degli indizi nascosti sui disegni, con iscrizioni di nomi, date, ruoli amministrativi insieme al motivo da ricamare, con indicato se a filo d’oro, d’argento, su velluto o panno. Federico Zeri diceva che per capire un’opera è fondamentale studiarne la cultura che la circonda. In questo lavoro posso vedere il
progetto da una angolazione nuova che diventa anche storia della cultura ed economica. Da una parte c’è l’obiettivo di riabilitare il disegno come forma d’arte a tutti gli effetti, restituendogli il giusto prestigio, dall’altra quello di mettere in luce una produzione poco conosciuta, perché spesso gli archivi dei laboratori non sono stati conservati. Il campo dei disegni da ricamo rimane praticamente inesplorato. Questo progetto mira ad esplorarlo e a raccontare la genesi dell’industria del lusso, concentrandosi sulla parte della creazione stilistica del capo. E sulla storia della maison Picot e dei proprietari successivi con le sue influenze e il prestigio a livello internazionale, per restituire a tutti quei nomi, all’inizio sconosciuti, il loro spessore di professionisti e persone protagonisti di un mondo scomparso.
Silvia Giovannini
Piccole cose comuni che custodiscono grandi storie di un tempo e di oggi. Piccole cose che raccontano anche di mondi diversi, tra arte, design e creatività e di quegli stessi talenti che passano anche dai social network e da lavori pensati per allenare la fantasia dei bambini. In una manciata di libri, viaggi in profondità dentro alla memoria e nel futuro
‘‘I
bozzetti del Museo storico della comunicazione”.
Dagli archivi del Museo storico della comunicazione di Roma, che fa capo al Ministero delle Imprese e del made in Italy, emerge un tesoro di circa 1.700 bozzetti per francobolli mai nati, cioè veri e propri bozzetti per lavori mai realizzati concretamente o relativi a uno stadio precedente rispetto a quello con cui alla fine sono arrivati agli sportelli postali.
Reperti storici, dunque, raccolti in un corposo volume, edito dalla casa editrice gallaratese Prodigi Edizioni e realizzato dallo stesso Museo in collaborazione con l’Unione stampa filatelica italiana.
Lavori opera di artisti che in quasi un secolo si sono cimentati in una modalità comunicativa particolarmente difficile date le minuscole dimensioni del prodotto finale.
Da Ercole Arseni a Rita Cavacece, da Guido Crepax a Renato Ferrini, da Andreina Grassellini a Corrado Mancioli, da Tranquillo Marangoni a Corrado Mezzana,
da Ugo Ortona a Carlo Parmeggiani, da Paolo Paschetto ad Augusto Sezanne, da Mario Siniscalco a Guido Vero. Di ogni reperto viene proposta l’immagine, associata a titolo, descrizione sintetica, categorie tematiche principali, autore, misure, codice d’inventario attribuito dal Museo. Opere che raccontano la storia, dai grandi personaggi alle battaglie, dalle espressioni artistiche ai monumenti fino a costume e società. Senza dimenticare il dietro le quinte di un settore affascinante, quello della produzione filatelica, ricco di spunti culturali e che oggi ha il fascino di un piccolo mondo antico. Il tutto organizzato cronologicamente dal 1922 al 2000 quando il digitale mette definitivamente in soffitta la gran parte delle tradizionali corrispondenze cartacee.
Fabio Bonacina (a cura di) Creatività per un francobollo Prodigi, 2023 prodigisrl.com
“A volte penso che l’unica cosa che amo di più del fatto di essere un adulto è il diritto di comprare caramelle quando e dove voglio”
Ryan Gosling
Paolo Soru
Storie di caramelle
Morellini, 2023
Il nuovo lavoro dello scrittore, psicologo-psicoterapeuta e docente, originario di Nuoro e varesino d’adozione, è un viaggio dentro alla memoria.
Protagonista Saverio Danti, medico ormai in là negli anni, rimasto solo, stanco del suo lavoro e pieno di ricordi, che si mette alla ricerca di sé con la consulenza e l’aiuto di una psicologa in un percorso introspettivo in cui “raccontare e raccontarsi alla ricerca di un senso che a volte sembra nascondersi, ma che sempre viene ricercato, perché senza non si può vivere”. Possono i ricordi e le parole diventare protagonisti di una storia? Una domanda aperta anche per il lettore.
morellinieditore .it
Enrica Ferrazzi, Maria
Antonietta Stocchino
Gli occhi dei bambini
Guida alla salute visiva dei nostri figli
Edizioni Sonda, 2024
Con gli occhi, i bimbi imparano a conoscere. Ma non si tratta di una capacità innata: da scarsa alla nascita, la vista matura nei
primi anni influenzando lo stile di vita. Cosa potrebbe
accadere se qualcosa ne ostacolasse lo sviluppo?
Come accorgersene? Quando rivolgersi a un oculista? È possibile far prevenzione? Una guida per offrire uno sguardo (per l’appunto!) su ciò che bisogna sapere e fare fin dai primi mesi. Un’autrice varesina e molti contributi scientifici. Con la prefazione di Paolo Nucci e della social pediatra Carla.
sonda .it
Martina Agostino
Se io HO, tu HAI!
Officina Editoriale Milena, 2023
L’autrice di questo volume è una creator di contenuti dedicati ai bambini: tutorial creativi, giochi con i cartoni, filastrocche e attività divertenti e facili che possono essere uno spunto per genitori ma anche per insegnanti. Il libro, illustrato da Natasha Grillo, è la storia di un piccolo grande ippopotamo che ha paura di tutto e vive protetto dalla sua mamma. Spinto dalla fame, si avvicina un po’ troppo al pentolone del villaggio vicino, rovesciandolo. Spaventato, corre nella foresta, ma viene raggiunto da una bambina che condivide con lui una fetta della sua anguria. Riuscirà il gesto gentile di una nuova amica a fargli trovare un po’ di coraggio?
Instagram @sos ziamarty
Support the university that works. Support the future. Support LIUC.
Una donazione che funziona e che è efficace crea valore per te, per il territorio in cui vivi, per le persone che lo abitano e per un futuro che guarda più avanti. Contribuire alla realizzazione del nostro progetto di università significa collaborare attivamente per generare benessere collettivo
Le ultime notizie dalle #ImpresediVarese dal web e dai social network. Su e
Efficiency Day
Autoconsumo, CER, fotovoltaico, come strumenti per ridurre costi e migliorare la sostenibilità. Questi i temi al centro della terza edizione dell’evento organizzato da Confindustria Varese con la sua società Servizi Confindustria Varese alla LIUC – Università Cattaneo per riflettere sulle sfide legate all’energia.
Sono 170 candeline quelle che l’azienda gallaratese, riferimento nel settore restauro e manutenzione edilizia, soff ia sulla torta di compleanno, celebrandolo con vari eventi. Tra questi, “Il cortocircuito - Argomenti di architettura contemporanea tra conservazione e trasformazione” al Museo Maga di Gallarate.
L’EMBA di LIUC
Business School nel
podcast Vita d’impresa
Il mondo delle imprese richiede sempre maggiori competenze trasversali e di alto profilo. Un master può essere la risposta a questa domanda? A rispondere, nella nuova puntata del podcast di Confindustria Varese, è Massimiliano Serati, Direttore della Business School di LIUC.
Terzo accordo in 3 anni tra Confindustria Varese, Cgil, Cisl e Uil. La firma è stata occasione per premiare le buone pratiche di: Acsa Steel Forgings, Airport Handling, BetonCablo, BTicino, Zeiss, Curia, Forgiatura Marcora, Irca, Leonardo, Lu-Ve, Naturex, O-I Italia, SEA, Stf Loterios, Tecniplast e Vector.
È nato il Gruppo merceologico “Infrastrutture, Trasporti e Turismo” di Confindustria Varese. Presieduto da Roberto Paciaroni di Hupac, il Gruppo rappresenta un ampio spaccato economico sempre più importante all’interno del sistema economico varesino.
Silvia Giovannini
Body positivity, inclusione della disabilità, integrazione multietnica, sostenibilità e responsabilità sociale entrano nel meraviglioso mondo delle serie tv e della pubblicità per arricchirla di valore. Abbandonati i toni scioccanti delle pubblicità progresso, fascino e creatività contemporanei entrano a buon diritto nella narrazione commerciale. A partire dalla nota, e seguitissima in tutto il mondo, nuova stagione di Bridgerton
Gentili Lettori... se questo incipit non vi sorprende, la riflessione fa al caso vostro. Siete, infatti, tra quanti si sono certamente resi conto che nello spettacolare mondo artefatto dell’evasione più pura, quello delle serie televisive, sono entrati a buon diritto, e non certo di soppiatto, temi che fino a qualche anno fa erano confinati ad ambiti ben più ristretti. Body positivity, inclusione
della disabilità, integrazione multietnica (in questo caso, forzando decisamente la storia) entrano nella nuova stagione di Bridgerton, di cui Lady Whistledown è uno dei personaggi cardine, con una naturalezza apparente, che in realtà è rivoluzionaria. La stessa naturalezza con cui il mondo della pubblicità, lontano anni luce dalle campagne “progresso” che negli anni ‘90 miravano a colpire lo spettatore con un pugno allo stomaco per
educarlo suo malgrado, oggi racconta valori etici e integrazione con la leggerezza della normalità. L’obiettivo non è più il green o il rainbow washing, ma diffondere obiettivi che restano ambiziosi, ma non sono ritenuti nè eccezionali nè strumentali.
Anche quando si tratta di temi paradossalmente taboo, come la diversità di genere o l’orientamento sessuale. Ed è così che la vocazione alla sostenibilità ormai famosa sui social network di Giovanni Storti (del noto trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo) diventa la chiave della campagna basata sul riuso del legno promossa da Gruppo Saviola o le minime regole di buon senso sul non buttare per terra i rifiuti, diventano il cuore dell’efficace comunicazione di Ichnusa: “Se deve finire così, non beveteci nemmeno”. Non si tratta di politicamente corretto, ma di
“normalizzare” (con tutto il peso che questa parola porta con sé), rompere stereotipi, introdurre una narrazione etica nuova che sia anche crossmediale. Questi i nuovi obiettivi di un mondo che, evidentemente per sua natura, non è sempre etico nè sostenibilile. Basti pensare che la stessa British Academy of Film and Television Arts (BAFTA) mette in guardia dai consumi del settore cinema e audiovisivi, che nonostante una visione eco diffusa, sono troppo elevati. Eppure, anche su questo si sta lavorando: a Cinecittà, ad esempio, nel 2022 è stato firmato un corposo impegno a integrare i principi di Esg all’interno delle attività. Non siamo ai titoli di coda: a differenza dei vestiti di Penelope Featherington, il mondo è ben lontano dall’essere green. Ma molto si sta muovendo in questo senso e la comunicazione può fare, e fa, la sua parte.