Brain. Aprile 2023

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LA SCUOLA ISTRUISCE MA NON EDUCA

Intervista al professor

Galimberti: “Bambini in balia delle pulsioni”

Come la depressione segue il ritmo delle stagioni

i contributi

Il climatologo Luca

Mercalli: “La Terra ha la febbre”

Sette religiose un dramma anche psicologico

Anno IV | N. 4 | Aprile 2023
Con di Barillà, Cattolico, Cuomo, D’Ettore, Fagiolini, Gazzanni, Koukouna, Piccinni, Pietrini, Spiti.

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La vaccinazione contro il papilloma virus

è raccomandata e gratuita per le ragazze e i ragazzi a partire dagli 11 anni di età.

Quando i disturbi dell’umore sono frutti di stagione non graditi

Siamo in aprile il mese di apertura del cambiamento della stagione. Da una parte l’inverno che resiste prima di uscire, con le sue ultime giornate di freddo, dall’altra l’estate che preme per entrare con le giornate di sole.

È un continuo scambio tra giorni caldi ed assolati e giorni freddi e grigi. Se potessimo rappresentarli con un grafico, vedremmo fasce di grigio sempre più fini e rade e strisce di luce sempre più robuste e fitte che si intrecciano in questo periodo di passaggio dal grigio verso la luce. A volte la stessa giornata le contiene entrambi. Anche l’umore dei sapiens subisce la stessa sorte. In particolare, di quelli sensibili alle variazioni climatiche. Benessere e malessere si intrecciano, in questo periodo, con oscillazioni ricorrenti e continue.

Non è raro in questo periodo sentirci dire “sono stanco ed assonnato”, “le mie energie sono andate giù ed ho meno voglia di fare le cose”, “mi sento ansioso ed il mio colon irritabile si è risvegliato”.

La primavera è uno sconvolgimento grandioso e complesso per la natura: orsi, ghiri, marmotte, scoiattoli, rettili, anfibi, ricci, pipistrelli si risvegliano dal letargo inverna-

le. Gli uccelli migratori, che erano partiti alla fine dell’estate per andare a svernare nelle terre calde, ritornano. Le piante hanno una esplosione di vitalità e si rivestono di verde e di fiori dopo essersi spogliate in autunno.

L’uomo, con tutte le sue peculiarità, è una parte della natura, è una entità integrata in questa “rivoluzione” e si modifica anch’esso sia nell’ambiente interno all’organismo che nel rapporto con la realtà attraverso il comportamento.

Ogni essere umano si modifica in modo differente: anche in questo siamo diversi l’uno dall’altro. Ci sono soggetti poco predisposti e dotati di una minore sensibilità che non avvertono niente di più che una generica riduzione della concentrazione, una passeggera irritabilità, modesti disturbi della qualità o della quantità del sonno. Ci sono persone, maggiormente predisposte e sensibili, che invece avvertono i disagi in maniera sostanziale fino al configurarsi di un vero e proprio disturbo: il Disturbo Affettivo Stagionale (SAD nell’acronimo inglese per Seasonal Affective Disorder).

Il disturbo affettivo stagionale è un’entità clinica caratterizzata da sintomi che si verificano nelle stagioni di passaggio, prima-

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EDITORIALE
di Armando Piccinni

vera/autunno, con la remissione completa per il resto dell’anno (tipicamente inverno o estate). Possibili fattori di rischio includono: familiarità per i disturbi dell’umore, sesso femminile, abitare in aree comprese nelle latitudini settentrionali, e la giovane età (dai 18 ai 30 anni).

I pazienti affetti da SAD presentano solitamente sintomi depressivi definiti “atipici” come incremento dell’appetito per i carboidrati, aumento di peso e ipersonnia. Quest’ultima è associata ad addormentamento precoce, risveglio tardivo e sonnolenza diurna. Vi è l’alterazione del “ritmo circadiano” ossia del “ritmo sonno-veglia”.

Questa condizione si verifica anche in condizioni parafisiologiche come nel jet lag ma è presente in molti disturbi psichiatrici come i disturbi dell’umore, alcuni disturbi d’ansia ed, appunto, il disturbo affettivo stagionale.

La stagionalità esprime un importante fattore soprattutto nei soggetti con suscettibilità alla malattia e modula numerose variabili psicologiche: il cronotipo, il sonno, l’alimentazione, le funzioni metaboliche e del sistema nervoso autonomo, la termoregolazione, la neurotrasmissione e la risposta ormonale. La risposta più importante ai cambiamenti stagionali è comunque quella del sistema dell’umore.

Per poter fare diagnosi di questo disturbo devono essere assenti episodi non stagionali, durante un periodo di almeno due anni e gli episodi depressivi stagionali devono superare numericamente in modo sostanziale gli episodi depressivi non stagionali che possono essersi verificati durante l’arco di vita dell’individuo.

Nel tentativo di spiegare l’origine del disturbo sono state prese in considerazione diverse variabili climatiche come il numero di ore di luce giornaliere (fotoperiodo), le ore giornaliere di sole e la temperatura, tutte correlate tra loro.

Un importante elemento di possibile causalità sembra essere la correlazione tra i livelli di serotonina e la SAD. I soggetti affetti da questo disturbo avrebbero un’alterazio -

ne della regolazione della serotonina e dei livelli della proteina che trasporta la serotonina. La serotonina contribuisce alla stabilizzazione dell’umore.

Altrettanto rilevante appare la valutazione dei livelli di secrezione di melatonina. Soggetti affetti da disturbo affettivo stagionale possono avere difficoltà con la sovrapproduzione di melatonina. La ghiandola pineale, che produce melatonina, aumenta la sua produzione a dismisura con il diminuire della luce: quando i giorni invernali diventano più bui, la produzione di melatonina aumenta e, come risposta, i soggetti con disturbo affettivo stagionale si sentono assonnati e letargici, oltre a riportare una desincronizzazione dei ritmi endogeni ed un’alterazione dell’architettura del sonno.

La combinazione di riduzione della serotonina ed aumento della melatonina influenzerebbe i ritmi circadiani, che sono sincronizzati per rispondere ai cambiamenti ritmici luce-buio che occorrono giornalmente e durante ciascuna stagione. I soggetti con disturbo affettivo stagionale hanno una ritmicità alterata e questo rende più difficile l’adattamento di tutto l’organismo.

Una minor esposizione della pelle alla luce del sole durante l’inverno causerebbe, inoltre, una minor produzione di Vitamina D. Una mancanza o insufficienza di Vitamina D è stata associata a sintomi depressivi clinicamente significativi.

Alcuni autori hanno confermato in questo disturbo l’associazione tra alterazione dei livelli di serotonina, melatonina, alterazione dei ritmi circadiani e Vitamina D.

Il ciclo giorno/notte rappresenta il principale sincronizzatore circadiano e varia con la latitudine. È stato dimostrato che la popolazione umana si adatta alle variazioni della lunghezza del giorno alle differenti latitudini ed esiste una storia evoluzionistica dei geni che regolano il ritmo circadiano.

È possibile che sia proprio questo adattamento genetico a regolare i meccanismi implicati nelle variabili ambientali correlate al fotoperiodo e coinvolte, come fattori di rischio, in molte malattie psichiatriche, quali

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EDITORIALE

la stagione di nascita, il paese di residenza, il lavoro a turni e le altre abitudini di vita implicate nei ritmi. Il cronotipo (caratteristica personale che definisce, nell’ambito della giornata, maggiori livelli di attività) sembrerebbe, infatti, influenzato dalla stagione di nascita: gli individui nati in primavera ed estate, stagioni associate a un fotoperiodo più lungo, avrebbero prevalentemente un cronotipo serotino, a differenza dei soggetti nati in autunno e in inverno che sarebbero portatori di un cronotipo mattutino, essendo quelle stagioni associate a un fotoperiodo più breve.

Soggetti adolescenti sani con cronotipo serotino, sarebbero più sensibile ai cambiamenti stagionali, rispetto ai cronotipi mattutini o intermedi.

Non esiste quindi, al momento, una definizione certa o una conoscenza definitiva delle cause per cui l’uomo risente in maniera a volte drammatica della variazione della stagione.

È possibile che delle conoscenze nuove riguardo l’influenza che elementi fisici (come l’elettromagnetismo) possano avere sul nostro siste -

ma nervoso. Le cariche elettriche diffuse nell’atmosfera hanno un’importante azione sulle metereopatie. I portatori di disturbi dell’umore sono soggetti particolarmente sensibili ad agenti chimici e fisici, a volte molto più della media della popolazione. Ulteriori ricerche in questa direzione potrebbero darci spiegazioni nuove ed inaspettate del rapporto dell’uomo con il mondo che lo circonda.

Brain Apr 2023 5 EDITORIALE

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EDITORIALE

Quando i disturbi dell’umore dsono frutti di stagione non graditi di Armando Piccinni

PRIMO PIANO Perché siamo depressi in base alle stagioni di Cuomo, Koukouna, Barillà, Cattolico, Spiti, Fagiolini

Brain

Anno IV | N. 4 | Aprile 2023

Testata registrata al n. 6/2019

del Tribunale di Lucca

Diffusione: www.fondazionebrf.org

Direttore responsabile: Armando Piccinni

Organo della Fondazione BRF Onlus via Berlinghieri, 15 55100 - Lucca

Brain Apr 2023 7 LA SCUOLA ISTRUISCE MA NON EDUCA Intervista al professor Galimberti: “Bambini in balia delle pulsioni” Anno IV | N. 4 | Aprile 2023 Come la depressione segue il ritmo delle stagioni Il climatologo Luca Mercalli: “La Terra ha la febbre” Sette religiose un dramma anche psicologico Con contributi di Barillà, Cattolico, Cuomo, D’Ettore, Fagiolini, Gazzanni, Koukouna, Piccinni, Pietrini, Spiti.
L’inquinamento provoca depressione e mette ansia di Alessia Vignoli
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SOMMARIO

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Il climatologo Mercalli: “la Terra ha la febbre” di Carmine Gazzanni

L’INTERVISTA

“Bambini in balìa delle pulsioni. La scuola italiana al massimo insegna, ma non educa più” di Carmine Gazzanni

L’INCHIESTA

Il dramma (anche psicologico) delle sette religiose di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni

L’APPROFONDIMENTO

Superstizione e tabù, quando le credenze diventano pericolose di Federica Apruzzi

CONTRIBUTO

Psicoterapia e stimolazione cerebrale non invasiva di Davide D’Ettore

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NEUROSCIENZE

Dallo yoga alla corsa: lo sport come arma contro la depressione di Alberto Volpi

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Perché procrastinare può nuocere bene anche al cervello di Alessandro Righi

Bringe drinking: i giovani con lo sballo da alcol di Alessia Vincenti

Danni da zucchero: 45 malattie diverse associate ai cibi dolci di Alessandro Righi

La depressione potrebbe avere indicazioni biologiche di Alessandro Righi

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Individuati 4 sottotipi diversi di autismo di Francesco Carta

TITOLI DI CODA

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Èprimavera anche per la psichiatria? di Pietro Pietrini

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PERCHÉ SIAMO DEPRESSI IN BASE ALLE STAGIONI

I sintomi sono molto comuni e possono durare fino al 40% dell’anno

di Alessandro Cuomo, Despoina Koukouna, Giovanni Barillà, Matteo Cattolico, Alessandro Spiti, Andrea Fagiolini*

*Università di Siena, Dipartimento di Medicina Molecolare e dello Sviluppo. Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Dipartimento di Salute Mentale e Organi di Senso

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Il disturbo affettivo stagionale (in inglese, Seasonal Affective Disorder o SAD), noto anche come “depressione stagionale”, è una condizione caratterizzata da sintomi depressivi che si manifestano ogni anno nel periodo del cambio stagione, di solito dalla primavera-estate all’autunno-inverno. Nella maggior parte dei casi, infatti, si verifica in autunno o in inverno (tanto che il disturbo è conosciuto anche come “depressione invernale” o “Winter SAD”), ma alcune persone possono esperire questa condizione anche in primavera/estate (e si parla, in questo caso, di “Spring SAD”). Il SAD è considerato un disturbo relativamente comune, con una prevalenza che tende a variare tra le popolazioni, con maggiore prevalenza a latitudini più elevate per motivi riconducibili alla foto-esposizione.

Il disturbo affettivo stagionale non è elencato nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5-TR) come entità nosologica separata, ma è presente come specificatore “con pattern stagionale” all’interno del capitolo relativo ai disturbi dell’umore. Considerare la stagionalità come uno specificatore dei disturbi dell’umore deriva dal fatto che circa il 70% delle persone depresse riporta sintomi più intensi durante l’inverno e meno intensi durante l’estate. Per soddisfare i criteri diagnostici del DSM-5 per il Disturbo Depressivo Maggiore con pattern stagionale, la depressione deve essere presente solo in un periodo specifico dell’anno (per es., in autunno o in inverno) e la remissione completa deve verificarsi in un periodo caratteristico dell’anno (per es., in primavera). Per poter formulare la diagnosi, l’individuo deve presentare almeno 2 episodi conclamati nei 2 anni precedenti, e gli episodi

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PRIMO PIANO

Il disturbo affettivo stagionale non è elencato nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5-TR) come entità nosologica separata, ma è presente come specificatore “con pattern stagionale” all’interno del capitolo relativo ai disturbi dell’umore.

stagionali devono essere sostanzialmente più numerosi degli episodi non stagionali. Il SAD è una sindrome relativamente comune con effetti significativi sull’umore e sul funzionamento psicosociale. È particolarmente problematica in quanto è, per definizione, una sindrome ricorrente con sintomi che possono durare fino al 40% dell’anno.

Responsabile del SAD sarebbe una particolare sensibilità ai cambiamenti della luce (o fotoesposizione) dei pazienti con disturbo dell’umore: una riduzione dell’esposizione alla luce ritarda/allunga il ciclo sonno-veglia incrementando il rischio di depressione, mentre un aumento di questa, riduce il ciclo sonno-veglia incrementando il rischio di mania. Questo effetto è verosimilmente mediato dall’ipotalamo, nello specifico dal nucleo soprachiasmatico, il quale si comporta da orologio biologico interno, controllando il ciclo sonno-veglia. La variazione della durata del “fotoperiodo” (ovvero la durata del periodo di illuminazione giornaliera) con notti più lunghe e giorni più corti nel periodo invernale, e l’efficacia antidepressiva mediante Terapia della Luce, dimostrano ulteriormente come alterazioni dei ritmi circadiani contribuiscano all’insorgenza della SAD. Numerosi studi hanno individuato inoltre una correlazione tra la durata del fotoperiodo e la gravità della depressione.

I trattamenti disponibili per il SAD includono la terapia della luce, la farmacoterapia e la psicoterapia, e possono essere utilizzati da soli o in combinazione, a seconda delle condizioni dei singoli pazienti. Nessun trattamento ha dimostrato di essere più efficace degli altri in tutti i pazienti, per cui la scelta del trattamento, o combinazione di trattamenti, deve essere personalizzata sulla base

di caratteristiche specifiche di ciascuna persona affetta.

Tuttavia, la terapia della luce (Bright Light Therapy BLT) ha un ruolo consolidato nel trattamento del disturbo affettivo stagionale (SAD) ed è spesso indicata come il trattamento di scelta. La terapia della luce ad oggi si è dimostrata efficace in 19 studi clinici randomizzati rispetto al placebo, presentando un’efficacia complessiva del 42% superiore a placebo. La BLT per la depressione stagionale consiste nell’esposizione a una luce di intensità pari 10.000 lux per 30 minuti al giorno, di solito

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PRIMO PIANO

entro 1 ora dal risveglio al mattino. Come ogni antidepressivo efficace, il BLT ha il potenziale per precipitare un episodio ipomaniacale o maniacale in individui suscettibili. Altri effetti avversi comuni includono irritazione agli occhi, irrequietezza e mal di testa transitori, qualora il trattamento non venga effettuato in maniera errata. Le lampade usate per la BLT non sono comunque una fonte significativa di luce ultravioletta (UV). Oltre al suo ruolo consolidato nella SAD, la BLT può essere efficace nella depressione non stagionale, come agente potenziante dei far-

maci antidepressivi. Uno studio ha rilevato infatti che la combinazione di 30 minuti di BLT al giorno in associazione a 20 mg di fluoxetina migliora significativamente il disturbo depressivo maggiore non stagionale, accelerandone il miglioramento clinico.

Secondo l’American Psychiatric Association, il SAD può essere trattato con l’intera gamma di trattamenti farmacologici disponibili per il trattamento del Disturbo Depressivo Maggiore, con preferenza verso Fluoxetina e Sertalina, che hanno mostrato risultati migliori negli studi clinici. Bruproprione, un antidepressivo dopaminergico, è stato approvato invece dalla Food And Drug Administration (FDA) per la prevenzione della SAD. In questo caso, il farmaco viene solitamente iniziato in autunno prima dell’inizio dei sintomi depressivi e continuato fino alla primavera.

Per quanto rigurda la psicoterapia, quella che presenta maggiori evidenze scientifiche è la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) che può aiutare i pazienti a identificare e modificare i pensieri e i comportamenti disfunzionali, favorendo dunque un’adeguata gestione dello stress tramite condotte sane, come l’aumento dell’attività fisica e un’adeguata igiene del sonno.

Grazie ai trattamenti disponibili, sebbene il Disturbo Affettivo Stagionale costituisca ancora un disturbo frequente e invalidante in termini di frequenza e intensità di sintomi, la qualità della vita dei pazienti può essere migliorata clinicamente, con buone possibilità di successo sia in termini di miglioramento dei sintomi che in termini di ritorno a una buona qualità di vita e un buon funzionamento in ambito sociale, relazionale e lavorativo.

Responsabile del SAD sarebbe una particolare sensibilità ai cambiamenti della luce (o fotoesposizione) dei pazienti con disturbo dell’umore: una riduzione dell’esposizione alla luce ritarda/ allunga il ciclo sonno-veglia incrementando il rischio di depressione, mentre un aumento di questa, riduce il ciclo sonno-veglia incrementando il rischio di mania.

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PRIMO PIANO

L’INQUINAMENTO PROVOCA DEPRESSIONE E METTE ANSIA

Incredibile studio britannico: così lo smog incide sullo stato mentale

C’è veleno nell’aria di città, e lo sappiamo. L’inquinamento provoca malattie, e non solo fisiche. Provocherebbe infatti anche ansia o depressione. E non solo in soggetti predisposti, che hanno sofferto di questi disturbi già in passato. C’è una serie importante di “nuovi malati” di ansia e depressione causati dall’inquinamento cittadino. Uno studio di proporzioni notevoli, lungo parecchi anni (sedici) e che ha coinvolto centinaia di migliaia di cittadini, è stato effettuato in Gran Bretagna, su un campione scelto in base all’età non più giovane, e a nessun trascorso di ansia e depressione nel passato.

Partiamo da una conclusione se si vuole apparentemente scontata: chi vive in una grande città inquinata ha più possibilità di ammalarsi di ansia o depressione. Dietro però ci sono numeri e dati sorprendenti. La

ricerca, condotta sui cittadini britannici che vivono in città, è basata su numeri insolitamente elevati: quasi 400mila cittadini coinvolti (per l’esattezza, 389.185), e già essi stessi “selezionati”. Sono stati infatti non conteggiati i soggetti che già soffrivano o avevano sofferto in passato di ansia e depressione. Gli esiti di questo grande studio sono stati pubblicati all’inizio di febbraio da Jama Psychiatry, rivista mensile dell’American Medical Association, che si occupa di salute mentale e scienze comportamentali.

LO STUDIO

Sotto accusa è il particolato, inquinante tipico delle città e degli ambienti industriali, che è composto da sostanze solide o liquide sospese nell’aria. compresi metalli, fumo, particelle carboniose. Il particolato è considerato dall’Oms (Organizzazione mondiale della Sanità) can-

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PRIMO PIANO
di Alessia Vignoli

cerogeno, quindi c’è già abbastanza per considerarlo pericoloso. Ma può comportare, in alternativa o insieme all’insorgenza di un tumore, altri danni. Un altro dato della ricerca è la durata dell’operazione, che copre un arco di quasi vent’anni. Infatti i partecipanti sono stati individuati in un arco di tempo che va dal 13 marzo 2006 al primo ottobre 2010. Alla fine dello studio, a 13.131 persone è stata diagnosticata la depressione e a 15.835 l’ansia. L’esposizione al particolato corrisponde a una maggiore probabilità e gravità di ansia e depressione. Più colpiti i maschi che le femmine. Qualora l’esposizione

agli inquinanti venisse stemperata, anche ansia e depressione potevano regredire.

I ricercatori, a margine del loro studio, hanno sottolineato come i risultati dello studio non siano lineari, con pendenze più ripide a concentrazioni più basse e tendenze di plateau a esposizioni più elevate. Secondo gli autori dello studio, le “associazioni non lineari” possono essere molto utili per definire le politiche di controllo dell’inquinamento atmosferico. Vedremo se qualche Stato recepirà anche questa ricerca nel contrasto all’inquinamento.

Sotto accusa è il particolato, inquinante tipico delle città e degli ambienti industriali, che è composto da sostanze solide o liquide sospese nell’aria. compresi metalli, fumo, particelle carboniose.

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PRIMO PIANO

IL CLIMATOLOGO MERCALLI: “LA TERRA HA LA FEBBRE”

Serve una reale inversione di tendenza per evitare il peggio. L’allarme lanciato a Brain da Luca Mercalli, meteorologo, climatologo e divulgatore scientifico, noto al pubblico italiano per la partecipazione a trasmissioni di successo come Che tempo che fa, è più che netto: «è come se la Terra avesse la febbre».

Che cosa intende?

Proviamo a usare una metafora medica. Abbiamo intossicato l’atmosfera scaricando da 200 anni miliardi di tonnellate di gas serra il più importante dei quali è la Co2, l’anidride carbonica. Come tutte le intossicazioni, quando abbiamo un eccesso, abbiamo un sintomo che è la febbre, l’aumento della temperatura del pianeta, che nell’ultimo secolo è salita di 1,1°. È come se aumentassimo la temperatura umana da 37° a 38°. Diciamo che la terra ha 38° di febbre.

Quale sarebbe la cura?

Il medico dopo la diagnosi ci dice che per smettere di essere intossicati bisogna seguire una dieta, in sostanza togliere la Co2 in eccesso. Per fare questo bisognerebbe abbandonare i combustibili fossili, attuare la cosiddetta transizione energetica. Ci vorranno molti anni ma abbiamo perso tempo. Il medico che ci ha detto dell’intossicazione, ce l’ha detto 50 anni fa e noi abbiamo tergiversato, negando l’evidenza proprio come fa un paziente che non ha ancora un sintomo evidente. Il medico ti consiglia di fare una dieta per il colesterolo alto ma se ti senti e non hai sintomi non la segui, poi arriva l’infarto.

Quanto tempo abbiamo già perso?

Purtroppo, abbiamo perso 50 anni, già negli anni 70 avremmo dovuto far questa svolta anche perché eravamo la metà della popolazione terrestre odierna. Ora si tratta di mettere in atto l’Accordo di Pari -

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Il Pianeta si sta ammalando e con esso aumentano i rischi stagionali per la popolazione mondiale. Ecco perché
PRIMO PIANO
di Carmine Gazzanni

gi sul clima, firmato nel 2015 che ci dice che se diminuiamo rapidamente le emissioni mondiali di Co2 possiamo contenere l’aumento di temperatura al di sotto di due gradi nel 2100. Per la nostra metafora medica vuol dire avere la febbre a 39° ovvero non guarire, ma almeno fermarsi sotto i 39°. Se invece non facciamo niente e lasciamo che tutto vada senza vincoli alle emissioni la temperatura salirà di 4° e vuol dire arrivare a 41° o 42°. Se per il corpo umano questo significa morte, per il pianeta significa ambiente inospitale alla vita con eventi estremi, aumento della siccità, alluvioni, innalzamento del livello del mare.

Quali sono gli effetti sulla nostra vita?

Noi ci siamo evoluti come specie grazie a un certo clima e se le condizioni non saranno più idonee per noi, lo saranno invece per le zanzare, forse alcuni scarafaggi, ma non per l’umanità. Con il troppo freddo non viviamo bene ma sopravviviamo, con il troppo caldo no, moriamo. I nostri colleghi che lavorano in Antartide, per esempio, sopravvivono coprendosi adeguatamente mentre a temperature sopra i 50° il corpo umano non può sopravvivere, può resistere solo poche ore.

Quale crede sia la percezione di questi rischi da parte dei cittadini?

I cittadini hanno una percezione molto variabile. C’è una piccola parte che ha ben chiaro ciò che sta accadendo, ma la maggioranza è

La dispersione scolastica, «è un fenomeno complesso che coinvolge diverse dimensioni della vita sociale della persona di minore età e della comunità in cui vive: dai servizi per la prima infanzia alla formazione professionale, dalle politiche sociali a quelle abitative e del lavoro».

17 Brain Apr 2023
PRIMO PIANO

“Noi ci siamo evoluti come specie grazie a un certo clima e se le condizioni non saranno più idonee per noi, lo saranno invece per le zanzare, forse alcuni scarafaggi, ma non per l’umanità. Con il troppo freddo non viviamo bene ma sopravviviamo, con il troppo caldo no, moriamo”.

molto legata ai condizionamenti del momento. Si oscilla tra considerarlo un problema o solo un fatto marginale ma solo fino a quando poi non diventerà evidente, proprio come un infarto. È una malattia che un giorno ti da un dolorino poi passa e te ne dimentichi, poi fai dei controlli e scopri che hai un malanno più grave e sarà incurabile. Stiamo agendo così.

Quali sono le ragioni di questo atteggiamento?

Ci sono interessi economici grandi, sono resistenze psicologiche perché alle persone piacerebbe sentire ‘vabbè, questo problema non è reale’ e quindi è meglio negare. Siamo in fortissimo ritardo per prendere le decisioni opportune. Di transizione si parla solo perché ci sono troppi ostacoli, perché abbiamo vincoli, problemi e comunque non sta avvenendo abbastanza in fretta. Invece, devo dire, che le spese militari si fanno con grande leggerezza: miliardi e miliardi per le armi sono usciti fuori in un attimo mentre per la transizione non ci sono mai.

Quali sono i concreti effetti del cambiamento climatico sulla vita?

Le ondate di calore sono molto

gravose per la popolazione, si muore, soprattutto tra gli anziani. Basta ricordare che l’anno 2003, primo di caldo tropicale in Italia e Europa, sono morte 70 mila persone. Per il 2022 non abbiamo ancora i dati definitivi ma probabilmente saranno oltre 30 mila questo perché il corpo umano per il troppo caldo va in stress. Poi abbiamo i problemi legati agli eventi estremi, se ti arriva l’alluvione in salotto, sei direttamente minacciato in pochi minuti. E poi ci sono i problemi diluiti nel tempo come la siccità che incide sull’alimentazione in agricoltura. In Africa se c’è siccità brutalmente si muore di fame, noi della parte ricca del mondo compreremmo ciò che manca ma fino a quando? Si diffondono inoltre malattie tropicali a causa di insetti che non c’erano come la zanzara tigre che un tempo non poteva riprodursi per il troppo freddo mentre ora abbiamo quattro malattie tropicali che prima non avevamo: la chikungunya, il virus Zika, la febbre dengue e quella occidentale. Non mancano, infine, disturbi psicologici come l’eco ansia nei giovani, è giusto che si diffonda ma non basta l’ansia, bisogna fare qualcosa.

Quali sono i consigli che si sente di dare e che applica anche nella sua vita?

Consumare e sprecare meno, isolare termicamente la propria casa, mettere i pannelli solari se si può, viaggiare di meno soprattutto in aereo, usare di più il telelavoro, fare vacanze a corto raggio, mangiare meno carne e cercare di far durare più a lungo gli oggetti.

18 Brain Apr 2023
PRIMO PIANO

Fumettisti contro lo stigma della malattia mentale

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“BAMBINI IN BALÌA DELLE PULSIONI LA SCUOLA ITALIANA AL MASSIMO INSEGNA, MA NON EDUCA PIÙ”

Intervista al filosofo Umberto Galimberti: “La filosofia andrebbe insegnata dalla prima elementare”

20 Brain Apr 2023
di Carmine Gazzanni

«Sa cosa diceva Immanuel Kant? Che bene e male si possono anche non definire. E questo perché ciascuno di noi li sente naturalmente, avverte naturalmente cosa sia il bene e cosa invece il male. Oggi non è più così». A parlare è uno dei più grandi pensatori del nostro tempo, Umberto Galimberti. Il filosofo e psicanalista italiano ha un potere raro, a maggior ragione oggi: scardinare con la chiarezza e il garbo propri dei grandi maestri, quelle visioni, quelle tesi, quei paradigmi che spesso riteniamo inossidabili. E il tutto con la forza del ragionamento.

Mi scusi, in che senso non è più vero quello che allora diceva Kant?

Semplice: i ragazzi non capiscono la differenza fra insultare un professore o prenderlo a calci, corteggiare una ragazza o stuprarla. E, mi creda, non sto esagerando. Se leggiamo le risposte di alcuni ragazzi accusati di stupro, ai giudici rispondono sminuendo l’atto. Non c’è risonanza emotiva dei propri comportamenti e questo è pericoloso.

Da cosa nasce tutto questo?

C’è una ragione ben precisa: i lobi che governano il razionale arrivano a svilupparsi compiutamente intorno ai 20 anni. E quindi prima gli adolescenti sono in balìa delle pulsioni che, essendo tali, sono indeterminate. E qui subentra il ruolo dei formatori: le pulsioni vanno orientate.

E oggi questo non avviene?

Quando già a 7-8 anni un bambino viene sommerso dal virtuale a tal punto che questo stesso virtuale sostituisce quasi la sfera del reale, ciò diventa un problema. I bambini oggi vengono bombardati da suggestioni provenienti dal web. E così vengono trascinati dalle pulsioni proprio perché non hanno un consapevole controllo razionale. Secondo lei perché

21 Brain Apr 2023
L’INTERVISTA

“Quando già a 7-8 anni un bambino viene sommerso dal virtuale a tal punto che questo stesso virtuale sostituisce quasi la sfera del reale, ciò diventa un problema. I bambini oggi vengono bombardati da suggestioni provenienti dal web. E così vengono trascinati dalle pulsioni proprio perché non hanno un consapevole controllo razionale”.

hanno successo le cosiddette challenge che vanno di moda sui vari social come TikTok o Instagram? Proprio per questa ragione.

Crede stia cambiando anche l’orizzonte emozionale e di crescita dei più piccoli?

Sì, perché ormai l’identità non è più il reperimento di ciò che propriamente siamo, non ci si conosce e questa identità viene costruita in base alla quantità di follower. L’apparire ha un primato rispetto all’essere. Come detto, noi nasciamo con delle pulsioni e chi non impara a gestirle diventa un bullo. Dalle emozioni bisognerebbe passare ai sentimenti. Ma i sentimenti non sono una dote naturale, ma culturale. Ecco perché è fondamentale il ruolo della scuola.

Non a caso, nel suo saggio Il libro delle emozioni (Feltrinelli), sottolinea come i nativi digitali si illudono quasi di governare il web dato che in realtà sono immersi in questo mondo.

Sì, se pensa al fatto che né io né lei siamo liberi di non avere un telefonino o un computer. Questo significa che la tecnica è già esondata dal suo campo ed è diventata società. I ragazzi immersi in questo mondo hanno una modificazione del loro pensiero, così come l’informatica è strutturata a lavorare in codice binario, loro si stanno adeguando a rispondere soltanto “sì” e “no”. Questo è un grande impoverimento del pensiero, poiché in una società complessa come la nostra non si può pensare secondo schemi semplicemente alternativi.

Lei a riguardo è chiaro su un aspetto: ci sono forti responsabilità del nostro sistema scolastico.

Le dico chiaramente quello che penso: la scuola oggi non fa nulla a riguardo. Al massimo - e non sempre - istruisce, ma non educa. Gli insegnanti sono spesso impreparati davanti alla necessità di formare un

bambino o un adolescente. Un aiuto potrebbe arrivare dalla filosofia?

Io ho sempre detto che secondo me la filosofia dovrebbe essere insegnata sin dalla prima elementare, e questo perché la filosofia è un atteggiamento innato nell’animo umano. I bambini per primi pongono domande che sono filosofiche. Le faccio un esempio di quanto mi è accaduto solo pochi giorni fa. Camminavo per strada e ho incontrato un bambino con la sua mamma. E il bimbo a un certo punto ha detto: “Dio non esiste perché Dio non ha la mamma”. Sembrerebbe una frase banale, una battu-

22 Brain Apr 2023
L’INTERVISTA

ta quasi. Ma in realtà quel bambino cercava il principio di causalità che è uno dei cardini del ragionamento filosofico. In quel modo il bambino ha dimostrato che stava cercando tramite la ragione, tramite il pensiero, un orientamento nel mondo. La filosofia da sola, però, non basta.

In che senso?

Torniamo alla scuola: è necessario che gli insegnanti siano empatici. Guardi, aveva ragione Platone quando diceva che la mente non si apre se prima non si apre il cuore. È assolutamente vero. E la conoscenza, a sua volta, permette di gestire le pulsioni e le emozioni, come detto. E qui viene

in aiuto Eschilo, quando diceva che il dolore è un errore della mente. Se la tua testa è vuota, il tuo dolore è devastante, se hai uno schema di interpretazione, lo attutisci.

E allora occorre riformare la scuola italiana?

Occorre cambiare il paradigma. Sia chiaro: io sono assolutamente a favore della scuola pubblica, ci mancherebbe. Però ad esempio non è un caso che all’estero gli insegnanti prima di cominciare a lavorare vengano sottoposti a test di personalità: serve proprio per comprendere il loro grado di empatia. Le dico di più: pochi giorni fa mi ha scritto un preside che gestisce un plesso scolastico del Sud con 1.500 studenti. Mi ha detto che il 40% degli insegnanti sono professionisti falliti dato che avrebbero voluto fare altro nella vita, il 40% contano invece i giorni che mancano alla pensione, il 20% sono invece svogliati. Così come si può pensare non solo di istruire ma anche di educare i nostri ragazzi?

Ci sono allora delle responsabilità da parte dello Stato?

Lo Stato non ha mai concepito la scuola come luogo di insegnamento ma come luogo di posti di lavoro. Si dirà: gli insegnanti sono pagati poco. È verissimo. Ma sono pagati poco perché sono di ruolo. E allora io dico: aboliamo il ruolo. Le ripeto: la scuola dev’essere pubblica al mille per mille. Ma è vero che, ad esempio nelle scuole paritarie, laddove il dirigente ha la possibilità di scegliere l’insegnante, di fare prima contratti a termine e così via, il tipo di rapporto con gli studenti e il grado di empatia cambiano. Il docente dovrebbe essere empatico, carismatico, il docente deve essere un trascinatore. Io ho paura dei docenti che pur demotivando continuano a restare in cattedra e intanto magari non c’è spazio per qualche giovane.

“Io ho sempre detto che secondo me la filosofia dovrebbe essere insegnata sin dalla prima elementare, e questo perché la filosofia è un atteggiamento innato nell’animo umano. I bambini per primi pongono domande che sono filosofiche”.

23 Brain Apr 2023
L’INTERVISTA

IL DRAMMA (ANCHE PSICOLOGICO) DELLE SETTE RELIGIOSE

Gli abusi sessuali e economici che si nascondono dietro la manipolazione mentale

24 Brain Apr 2023
di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni

L’ultimo tragico caso è avvenuto a Roma. A fine gennaio due donne, Luana Costantini (54 anni) e la madre Elena Bruselles (83) sono state trovate senza vita nel loro appartamento a Roma. Un macabro ritrovamento dietro cui si nasconderebbe - ma le indagini sono ancora in corso - una setta esoterica, dalle tinte sataniche: se il decesso di Luana risalirebbe a cinque giorni prima del ritrovamento (dunque intorno a metà gennaio), la madre sarebbe morta da oltre 30 giorni, tanto che il suo corpo era ormai mummificato.

C’è in effetti qualcosa che non torna in una vicenda che a prima vista sembrerebbe una tragedia familiare. È forte il sospetto degli investigatori che l’anziana donna, malata di Alzheimer, possa essere deceduta nel corso di un rito esoterico portato avanti dalla figlia, infermiera in una casa di cura: nella loro abitazione sono stati trovati candelabri, tuniche, formule magiche e centinaia di bottiglie di birra vuote. Così si è appreso che la figlia potrebbe appartenere a un movimento occultista noto sul web col nome Cubytrix. Un ulteriore tassello di questa indagine viene dal nome dell’ex fidanzato di Luana, che la polizia avrebbe rintracciato a Taurisano, in provincia di Lecce. Parliamo di Paolo Rosafio o, come si faceva chiamare, lo sciamano Shekinà Shekinà, che era a capo della piccola comunità di fanatici dell’occulto e del paranormale, Cubytrix appunto, cui anche la donna aveva aderito.

Soltanto le indagini diranno se c’è un legame tra le due morti e l’appartenenza al mondo dell’occultismo. Un mondo più diffuso di quello che si creda perché, come spiega lo psicologo Luigi Corvaglia, uno dei massimi esperti in Italia del tema, «si parla di questo fenomeno poco in modo ap-

25 Brain Apr 2023
L’INCHIESTA

Tenere il conto di quanti siano i culti abusivi e quante persone siano coinvolte è molto difficile. Pochi sanno che nel 1998 se ne interessò anche il Viminale con l’allora ministro Giorgio Napolitano. Venne stilata una corposa relazione inquadrando la presenza in Italia di 76 movimenti settari, ma da allora nulla più è stato fatto.

propriato. Se ne parla invece molto quando ci scappa il morto, perché crea un hype morboso, ma purtroppo non si approfondisce il tema, lo si dipinge a pennellate rosso sangue e poi invariabilmente l’interesse cala fino a quando il ciclo non ricomincia. Il tema invece merita di essere costantemente presente nella nostra riflessione, perché riguarda un fenomeno sociale enorme che coinvolge una moltitudine di persone che sono soggette a forme subdole di servitù. Merita attenzione perché, protetti da un mal compreso diritto alla libertà di scelta, personaggi senza scrupoli sopprimono qualunque libertà e qualsivoglia scelta delle persone che catturano». Ed è proprio questo il tratto distintivo dei cosiddetti “culti abusivi” o “coercitivi”, che solitamente, in modo errato, chiamiamo “sette”: veri e propri microuniversi, «gruppi totalitari - continua Corvaglia - in cui vige la chiusura rispetto al mondo circostante, che viene caricato di connotazioni negative, e nei quali si applicano forme di coercizione collettiva nei confronti dei singoli membri, anche mediante la stimolazione del senso di colpa e della paura». Alla chiusura nei confronti del mondo esterno, si applica una dipendenza dalla comunità grazie al cosiddetto “love bombing”, un vero e proprio bombardamento d’amore che, in assenza soprattutto di forti legami sociali o familiari, finisce con l’irretire il soggetto fino a renderlo adepto.

UN FENOMENO SOTTOTRACCIA

Tenere il conto di quanti siano i culti abusivi e quante persone siano coinvolte è molto difficile. Pochi sanno che nel 1998 se ne interessò anche il Viminale con l’allora ministro Giorgio Napolitano. Venne stilata una corposa relazione inquadrando

la presenza in Italia di 76 movimenti settari, ma da allora nulla più è stato fatto. Oggi una stima ottimista parla di oltre 500 tra comunità, organizzazioni abusanti, culti distruttivi, santoni e vere e proprie sette. «Si può legittimamente parlare di oltre 4 milioni di persone coinvolte in questo mondo tra adepti, fuoriusciti, familiari», ci rivelò non a caso un investigatore della Polizia, appartenente alla cosiddetta SAS - Squadra Anti-Sette, quando scrivemmo “Nella Setta” (Fandango)

26 Brain Apr 2023
L’INCHIESTA

giusto una manciata di anni fa. Lo stesso investigatore che ora accenna a un exploit: «Con la pandemia i numeri sono aumentati. Al bisogno di risposte si è aggiunta la paura, terreno fertile per tutti i culti abusanti». Nonostante questo, però, le istituzioni sembrano chiudere con sempre maggiore forza gli occhi. Lo spiega Lorita Tinelli, psicologa, fondatrice del Cesap (Centro Studi Abusi Psicologici) e autrice del libro “Sette e manipolazione mentale” da poco uscito per

Piemme: «Le attività di un gruppo settario sono legate molto al carattere narcisista del suo leader, che trova tutti i modi per assoggettare a sé gli individui di suo interesse, fondamentali per nutrire il suo ego. Eccesso di amore, affabulazione e mistificazione sono le prime armi del successo di un guru. Ma poi c’è anche il bastone, ovvero l’induzione del senso di colpa, di vergogna e di inadeguatezza se non si riesce a sostenere le regole del gruppo e l’ideologia dominante».

VIOLENZE E ABUSI

È su questo doppio binario che si muovono i culti distruttivi. Una volta che vige una profonda manipolazione mentale, qualsiasi tipo di abuso può essere compiuto. Anche sessuale. Come nel caso di Mauro Cioni, l’ex sacerdote che, dopo aver abbandonato la tonaca (sospeso «a divinis» dopo aver messo incinta una fedele), fonda negli anni 2000 una comunità nota come la “setta di Montecchio”, in provincia di Arezzo, proponendosi come unico apostolo di Dio. «Il messaggio – si legge nelle carte processuali - è recepito soprattutto dalle donne, anziane e giovani, nelle quali inculca i concetti di fedeltà e obbedienza assoluta al Capo, nella convinzione che solo accettandolo come messaggero di Dio, anche nel corpo, potevano guadagnarsi la salvezza». Tutto ruota attorno agli abusi: «Con delle carezze su di me, con degli atti su di me, tu dimostri di accettare dio, perché in me tu accetti dio», diceva Cioni. E così cominciavano le tenerezze. Poi gli abbracci. I «toccamenti dei genitali». Infine i rapporti orali «con frequenze anche settimanali», perché il seme di Cioni era il seme di Dio. La dipendenza delle adepte era totale, e comprendeva anche questioni amorose, lavorative, famigliari. Un esempio? Dalle indagini emerge come fosse proprio

Oggi una stima ottimista parla di oltre 500 tra comunità, organizzazioni abusanti, culti distruttivi, santoni e vere e proprie sette. «Si può legittimamente parlare di oltre 4 milioni di persone coinvolte in questo mondo tra adepti, fuoriusciti, familiari», ci rivelò non a caso un investigatore della Polizia, appartenente alla cosiddetta SASSquadra Anti-Sette, quando scrivemmo “Nella Setta” (Fandango) giusto una manciata di anni fa.

27 Brain Apr 2023
L’INCHIESTA

Quelli sessuali sono solo alcuni degli abusi che vengono commessi all’interno delle organizzazioni. Altre volte, anche quando non ci sono abusi, si arriva a creare una comunità totalmente alternativa allo Stato, con proprie regole, una propria costituzione, una propria bandiera, monete, tempi, partiti.

il guru a decidere anche chi dovesse sposare chi. Alla fine di un complesso iter processuale nel 2021 la vicenda si è chiusa con una condanna a 14 anni. Esito simile ha toccato anche Rodolfo Fiesoli, detto il profeta, che per 40 anni ha regnato sulla comunità agricola che lui stesso aveva creato nel Mugello: il Forteto. Al suo interno era riuscito a sponsorizzare un nuovo modello pedagogico che gli consentiva di ricevere anche minori in affidamento - senza però che ci fosse alcuna convenzione col Tribunale dei Minori o con la Regione Toscana - e a imporre delle regole inquietanti. Dentro il Forteto erano sconsigliati i rapporti eterosessuali, in virtù di quelli omosessuali; le donne - così come scritto in sentenza - venivano indicate come inferiori rispetto agli uomini perché «impure e puttane»; era sostenuta una denigrazione costante della famiglia di origine, con la quale i legami erano fortemente ostacolati; era vietatissimo intraprendere rapporti con persone all’esterno della comunità, ed esercitare qualunque tipo di attività ricreativa, culturale, sportiva ed educativa. A tutti i membri veniva imposta la permanenza in comunità, dove il lavoro aveva orari massacranti e il salario - eccetto poche centinaia di euro - era assorbito dalle casse della comunità. Perfino ai malati veniva impedito di ricorrere alle istituzioni pubbliche per le necessarie cure. Si raggiungeva il paradosso: Fiesoli si prestava a suturare ferite con ago e filo. Un inferno in cui violenze e abusi erano la norma, in cui tutti erano tenuti a confessare fantasie sessuali anche se di fatto non le avevano mai avute perché altrimenti le “storie” erano estorte con botte e maltrattamenti. «Ho dovuto raccontare che mi sono messo un kinder nell’ano e anche a volte i tubi del dentifricio», ha confessato una delle vittime durante il processo.

L’APOCALISSE È VICINA

Quelli sessuali sono solo alcuni degli abusi che vengono commessi all’interno delle organizzazioni. Altre volte, anche quando non ci sono abusi, si arriva a creare una comunità totalmente alternativa allo Stato, con proprie regole, una propria costituzione, una propria bandiera, monete, tempi, partiti. Emblematico è il caso di Damanhur, comunità nata negli anni Settanta fra Torino ed Ivrea, dove ci si battezza con il nome di un animale e di una pianta (all’interno vivono, tanto per dire, Elfo Frassino, Stambecco Pesco, Orango Riso), e nel quale tutti i membri - circa mille, da tutto il mondo - cercano la felicità spirituale sulle tracce del fondatore scomparso Falco Tarassaco, di mestiere ufficiale osteopata.

In altri casi ancora, nel momento in cui gli adepti sono soggiogati, è molto frequente che si lavori gratuitamente o che si ceda anche l’intero stipendio se viene chiesto dal guru. In palio, d’altronde, c’è la salvezza dell’anima. Che avvenga tramite cibo, tramite lezioni e percorsi di vita

28 Brain Apr 2023
L’INCHIESTA

o giochi esoterici, sono dettagli. Riccardo è un ex anziano dei Testimoni di Geova (incarico simile a quello dei vescovi per i cattolici) in Puglia: «Mi ricordo quando i miei genitori, che sono rimasti fedeli a Geova e con cui non ho più rapporti dopo la mia fuoriuscita poiché mi considerano a tutti gli effetti morto, credevano al tempo della Guerra del Golfo che quella sarebbe stata la fine del mondo». Una precedente previsione aveva invece indicato l’apocalisse nel 1975. In effetti, a sentire i testimoni, questi sono anni potenziali per la battaglia di Armagheddon, termine con cui si indica «lo scontro finale tra i governi umani e Dio. Anche oggi - precisano dalla WatchTower, il centro internazionale dei testimoni - questi governi e i loro sostenitori si oppongono a Dio, rifiutando di sottomettersi al suo dominio. La battaglia di Armaghedon metterà fine al dominio umano». Quando? «La Bibbia mostra che Armaghedon ha luogo durante l’invisibile presenza di Gesù, che è iniziata nel 1914», come si dice nel versetto 24 del libro di Matteo. Concetti,

questi, stampati nella mente di tutti i fedeli e, soprattutto, dei “prescelti” che vivono all’interno della Betel di Roma, sulla Bufalotta, sede italiana dei testimoni. D’altronde quella pare essere una zona mistica. Poco lontano sorge anche la chiesa italiana dei mormoni, culto in forte ascesa e balzato alle cronache per la costruzione di un tempio multimilionario. Ma non è tutto: «Nel nostro Paese esiste - riflette ancora Tinelli - un folto sottobosco di gruppi o santoni, anche ispirati dalle filosofie new age, che interpretano date e profetizzano eventi». Tra i più noti spiccano Giorgio Bongiovanni - lo “stigmatizzato”, che sostiene di avere contatti con gli extraterrestri - e Antonio Malatesta, leader dei “Monaci Durjaya” nel torinese. Ce ne parla Cecilia, fuoriuscita da qualche anno dopo un’esperienza scioccante: «Il guru era solito tenere lezioni specifiche sulle armi da combattimento come il bastone, il dab, la lancia, il kukri, il chakra e le altre armi della tradizione». Questa passione del guru, secondo le nostre fonti regolarmente dotato di porto d’armi, era nota agli adepti: «Ci disse – racconta Cecilia – che tutti noi avremmo dovuto imparare a sparare: i tempi erano pericolosi e con le armi avremmo potuto difendere l’orto dagli attacchi».

EVOLUZIONE SETTARIA

Scovare tale fenomeno diventa sempre più complicato anche perché le stesse organizzazioni tendono a evolversi, ramificarsi, differenziarsi. Nell’ultimo periodo, ad esempio, non è raro potersi imbattere nelle cosiddette “psicosette” o movimenti “del potenziale umano” che già nella relazione del 1998 venivano riconosciuti capaci di provocare una «completa destrutturazione mentale negli adepti, conducendoli spesso alla follia e alla rovina economica».

Scovare tale fenomeno diventa sempre più complicato anche perché le stesse organizzazioni tendono a evolversi, ramificarsi, differenziarsi. Nell’ultimo periodo, ad esempio, non è raro potersi imbattere nelle cosiddette “psicosette” o movimenti “del potenziale umano”.

29 Brain Apr 2023
L’INCHIESTA

«Uscire da un’organizzazione distruttiva equivale un po’ a morire», spiega M. che ha passato oltre tre lustri in una nota comunità alle porte di Perugia.

«Sei obbligato a recidere tutti i legami dentro la comunità, fuori spesso non c’è più nessuno ad attenderti, e il conto in banca è vuoto».

In 24 anni la situazione si è aggravata. «Purtroppo - prosegue Lorita Tinelli - si è moltiplicata la presenza di gruppi che hanno avanzato proposte di ampliamento di attività di apprendimento, di memoria, ma anche di arricchimento. Spesso con slogan del tipo “genio in 21 giorni”, “sette esami in sette giorni”, “diventi ricco in sette giorni”. In un’epoca di grande crisi come quella che viviamo, la fragilità umana è sempre più a rischio per simili trappole». Esattamente come accaduto a B., 19enne in conflitto adolescenziale con i genitori, con grande difficoltà a proseguire gli studi universitari. «Ha aderito - rivela Tinelli - ad uno di questi percorsi con slogan e rassicurazioni. Dopo un percorso a forte impatto emotivo, ha lasciato i genitori e l’Italia. Sognava in grande, ma si è trovato a reclutare ragazzi come lui e a lavorare in nero dal guru per sopravvivere».

TAGLIATI FUORI

«Uscire da un’organizzazione distruttiva equivale un po’ a morire», spiega M. che ha passato oltre tre lustri in una nota comunità alle porte di Perugia. «Sei obbligato a recidere tutti i legami dentro la comunità, fuori spesso non c’è più nessuno ad attenderti, e il conto in banca è vuoto». Se lo Stato non ha ancora attuato alcuna attività di sostegno - economica o psicologicatutto resta in mano a organizzazioni volontarie che operano sul territorio, come l’Associazione Italiana Vittime Sette (AIVS). «Il nostro primo obiettivo - spiega il presidente Francesco Brunori - è quello di informare. Facciamo una prima assistenza a chi si mette in contatto con noi, aiutiamo a creare ponti con altre ex-vittime, tramite professionisti psicologi e legali cerchiamo di mettere in moto un sostegno reale. Nel caso ci siano gli

estremi di una denuncia, forniamo poi tutti gli elementi possibili alle istituzioni per un avvio di indagine. Le organizzazioni settarie fanno ancora molta, troppa paura ed è per questo che bisogna parlarne».

Facile a dirsi, meno a metterlo in pratica. Come denuncia Lorita Tinelli: «Negli Usa vi sono diversi studiosi e giornalisti che, pur ricevendo reazioni aggressive da parte da Scientology continuano a fare informazione. In Italia si fa molta fatica. È risaputo purtroppo che la TV di Stato non tocchi tematiche inerenti ai Testimoni di Geova e a Scientology. Mi rendo conto che non sia facile affrontare gruppi palesemente aggressivi, ma riscontro che in altri Paesi la loro azione sia sottoposto a delle valutazioni differenti».

30 Brain Apr 2023
L’INCHIESTA
Una scena del film “Eyes Wide Shut” (1999) di S. Kubrick.

Ovviamente le organizzazioni rigettano ogni accusa, specificando di essere solo dei credo religiosi. Bisogna però evidenziare sul tema una diversità di trattamento tra il nostro Paese e gli altri. Tutto nasce da una raccomandazione del Consiglio d’Europa nel 1999 con cui si chiedevano agli Stati membri una serie di misure di prevenzione, informazione e contrasto. L’azione però non è stata omogenea. In Francia è attivo un osservatorio interministeriale sui culti distruttivi e nel 2001 è stata addirittura promulgata una legge che punisce «l’abuso di debolezza». «Una linea similespiega Corvaglia - è stata seguita dal Belgio, prima con una commissione parlamentare, poi con una legge che segue la logica di quella francese». In

Germania si è arrivati alla definizione di incostituzionalità di Scientology, cosa che ha fatto nascere uno scontro acceso (tuttora in corso) tra le autorità tedesche e i fedeli di Hubbard nel 2007. Spagna, Portogallo e Svezia hanno attivato commissioni e osservatori. L’Italia invece non ha fatto nulla: dopo l’abolizione - a giusta ragione, poiché troppo arbitrario - del reato di plagio nel 1987, è rimasto un vulnus che si è cercato di colmare con varie proposte di legge presentate nel corso delle ultime legislature. Tutti disegni, però, puntualmente abortiti. Insomma: nessun osservatorio, nessun monitoraggio, nessun reato che punisca chi manipola e abusa. Mentre le organizzazioni si moltiplicano. Nell’ombra.

Se lo Stato non ha ancora attuato alcuna attività di sostegno - economica o psicologica - tutto resta in mano a organizzazioni volontarie che operano sul territorio, come l’Associazione Italiana Vittime Sette (AIVS).

31 Brain Apr 2023
L’INCHIESTA

SUPERSTIZIONE E TABÙ QUANDO LE CREDENZE DIVENTANO PERICOLOSE

Fra

Siamo degli animali sociali, diceva Aristotele nella Politica. Oggi viviamo in un contesto che permette di poter decidere liberamente e in qualsiasi momento chi o cosa si vuole essere, anche se il bisogno di appartenenza si conferma vitale alla sopravvivenza dell’uomo. Mai come in questo tempo, però, si rivela complicato identificarsi in qualcuno, legarsi davvero ad un gruppo, trovare personalità simili alle proprie.

Con l’evoluzione sono cambiati i termini, ma la sostanza è la medesima: ognuno di noi appartiene a un segmento psicografico (termine utilizzato in psicologia per descrivere la suddivisione degli individui nella società in base alle loro condivisibili passioni, ideologie, sentimenti, ndr). Si tratta di una modalità di categorizzazione della realtà in cui

le bolle sociali sono “sottoculture”, “tribù” o “controculture”. Farne parte è l’unico modo in cui gli esseri umani possono adattarsi ad una realtà che si rivela in continua evoluzione e che tende ad emarginare sempre di più le minoranze.

La forza che tiene insieme queste aggregazioni sono i forti sentimenti dei partecipanti, uniti dalla condivisione del peso decisionale che accomuna gli individui. Spesso il processo decisionale affrontato in compagnia è più importante della decisione stessa. Si rivela comunque davvero complicato dare un nome a tutti i sottogruppi esistenti. Un esempio? Il termine LGBTQ+ che vede il segno + comprendere un’infinità di generi spesso poco conosciuti all’interno della comunità stessa.

Non bisogna poi dimentica -

32 Brain Apr 2023
L’APPROFONDIMENTO
segmenti psicografici e credenze oggettivate: appartenere ad un gruppo e appendere al muro una staffa di cavallo di Federica Apruzzi

re che l’uomo per alleggerirsi dal sentimento di insicurezza che lo pervade si affida a delle credenze oggettivate o a delle “verità soggettive”. Anche qui non manca la varietà delle suggestioni, dal cornetto al collo per affrontare al meglio un colloquio di lavoro, al non voler attraversare la strada dopo un gatto nero. Le credenze oggettivate tendono a negare la razionalità e la socializzazione, per affidarsi a pratiche che inducono a compiere azioni inspiegabili dal punto di vista razionale spesso fondate sull’esistenza di influssi arcaici e sovrannaturali. «Si tratta - spiega il professor Massimo Bustreo, psicologo e docente presso l’università IULM - di elementi che influiscono sull’essere umano ogni giorno e lo sollevano dal senso di responsabilizzazione, che sempre più spaventa soprattutto i giovani nelle scelte della vita. Siamo costantemente messi alla prova ma non dobbiamo lasciare che abbiano il sopravvento su di noi».

Cosa differenzia le credenze oggettivate dalla superstizione?

Molti elementi. La sfortuna stessa, per esempio, è una credenza oggettivata che agisce sul nostro comportamento. Ha delle basi scientifiche? No, ma la maggior parte di noi ci crede perché l’uomo ha il costante bisogno di attribuire una causa ad ogni evento. Anche il premio Nobel per la fisica Louis Néel aveva una staffa di cavallo appesa nel suo studio. Di certo da un illustre erudito della scienza non potresti aspettartelo. Insomma, è il solito “non è vero ma ci credo”. Alcune credenze sono antichissime. Come, per esempio, il “se rompi lo specchio hai 7 anni di sfiga” che ha radici storiche. Nasce nel Medioevo, quando rompere uno specchio significava lavorare anni solo per

poterne ricomprare un altro dato l’elevato costo.

Quanto le credenze oggettivate possono rivelarsi pericolose?

La gente quando capisce di non poter avere il controllo sugli eventi spesso perde il senno. Tutto ciò è riconducibile ad un Super-Io freudiano debole, invaso da un crescente sentimento di insicurezza.

Il proiettare i nostri sentimenti, emozioni, aspettative, sensazioni su idee e oggetti che non hanno alcun potere speciale, se non quello che noi attribuiamo loro, ci dà non solo la sicurezza nel futuro ma soprattutto la speranza nella consapevolezza e nel cambiamento.

“La sfortuna stessa, per esempio, è una credenza oggettivata che agisce sul nostro comportamento. Ha delle basi scientifiche? No”.

33 Brain Apr 2023
L’APPROFONDIMENTO

PSICOTERAPIA E STIMOLAZIONE CEREBRALE NON INVASIVA

di Davide D’Ettore*

*Professore Ordinario di Psicologia Clinica, Dipartimento di Scienze della Salute - Università di Firenze; Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e della Salute e Neuropsicologia.

Con il termine “Stimolazione cerebrale non invasiva” (Non-Invasive Brain Stimulation, NIBS) ci si riferisce all’uso di metodi, che non comportano alcun intervento chirurgico, per stimolare il cervello a scopi terapeutici. Per intervenire sull’attività neuronale si usano fondamentalmente due tipi di tecniche:

1) La Stimolazione Magnetica Transcranica (Transcranial Magnetic Stimulation, TMS), in cui per modulare l’eccitabilità corticale in determinate aree del cervello si impiega un campo magnetico, prodotto da una bobina appoggiata sul cuoio capelluto; tale campo elettromagnetico induce un transitorio passaggio di corrente elettrica in una specifica regione cerebrale causando la depolarizzazione neuronale, cioè impulsi nervosi, che dovrebbe produrre effetti terapeutici.

2) La Stimolazione Elettrica Transcranica (Transcranial Electric

Stimulation, tES), che può essere somministrata in vario modo (per esempio impiegando corrente alternata o continua), consiste invece nell’applicazione di correnti elettriche al cuoio capelluto per mezzo di almeno due elettrodi; tale procedura ha il vantaggio di essere meno costosa, più facile da somministrare e da trasportare, anche se forse un po’ meno precisa nella localizzazione dell’area cerebrale bersaglio.

A partire dalla fine degli Anni Ottanta del secolo scorso tali forme di stimolazione transcranica non invasive hanno dimostrato buone evidenze empiriche di efficacia nel trattamento di disturbi mentali quali il disturbo depressivo maggiore e il disturbo ossessivo compulsivo in prima istanza, ma dati più recenti ne dimostrano l’utilità anche per il disturbo da stress post-traumatico e i disturbi da uso di sostanze. Più recentemente hanno cominciato ad apparire dati che indi-

34 Brain Apr 2023
I vantaggi di un uso combinato dei due metodi che consentono di stimolare il cervello a scopi terapeutici, senza interventi chirurgici
CONTRIBUTO

cano che la NIBS potrebbe costituire un promettente strumento addizionale da accostare alla psicoterapia e alla farmacoterapia, come loro potenziamento.

Le psicoterapie, soprattutto quelle la cui efficacia è stata dimostrata in modo scientifico (come ad esempio la terapia cognitivo-comportamentale o quella interpersonale), costituiscono una forma di esperienza di apprendimento controllata, che agisce sulla neurofisiologia del cervello promuovendo la plasticità neurale, influenzando l’espressione dei geni e il funzionamento sinaptico (epigenesi) e, forse, inducendo anche neurogenesi. Studi condotti sulla depressione maggiore e il disturbo da stress post-traumatico hanno dimostrato la presenza di cambiamenti mediati dalla psicoterapia nella corteccia prefrontale dorsolaterale e ventromediale, nella regione temporale e in strutture come la corteccia cingolata, l’insula, l’ippocampo e l’amigdala. Tutte queste aree sono importanti per la regolazione delle emozioni, la presa delle decisioni, la codifica e la rievocazione dei ricordi, così rappresentando le regioni chiave cui indirizzare gli interventi psicoterapeutici.

Appare, quindi, particolarmente importante appurare se la stimolazione cerebrale non invasiva di queste strutture possa costituire un fattore che amplifica, potenzia e consolida l’efficacia delle psicoterapie.

Un recentissimo articolo apparso sull’importante rivista internazionale Neuroscience and Biobehavioral Reviews, di cui lo scrivente è uno dei coautori, si pone appunto la meta di effettuare una rassegna sistematica, allo scopo di valutare la letteratura scientifica attualmente esistente per accertare l’efficacia dell’associazione di NIBS e psicoterapia.

Sono stati evidenziati 13 studi per

la TMS e 11 per tES; in alcuni casi la NIBS veniva fatta prima della psicoterapia, come innesco facilitante, in altri simultaneamente nel corso della seduta, in altri infine dopo di essa come consolidamento.

L’associazione fra TMS e psicoterapia (in genere terapia cognitivo-comportamentale) si è dimostrata efficace per la depressione maggiore, per le fobie e per il disturbo da stress post-traumatico, anche in studi randomizzati e controllati (quelli di qualità più elevata); tale associazione si è rivelata efficace anche per il disturbo ossessivo-compulsivo, ma solo in studi a caso singolo o naturalistici, quindi di qualità inferiore.

Per quanto riguarda la tES e la sua associazione alla psicoterapia, la ricerca l’ha dimostrata efficace per la depressione maggiore anche in studi randomizzati e controllati (sebbene ve ne sia uno che non ha rilevato vantaggi dall’associazione), per la dipendenza da oppioidi ma non per l’alcolismo, per il disturbo d’ansia generalizzata e il disturbo da stress post-traumatico (anche se non in modo particolarmente rilevante), ma non per il disturbo di binge eating.

In conclusione, è possibile affermare che vi sono prove favorevoli alla potenziale utilità di associare paradigmi mirati di NIBS alla psicoterapia (pre, durante e post le sedute), al fine di aumentarne l’efficacia e consolidarne gli effetti. Era già nota l’efficacia della NIBS da sola, ma questo suo uso in associazione con la psicoterapia, di recente introduzione (come evidenziato dallo studio qui riassunto), apre nuove e interessanti possibilità, di cui potranno avvalersi le persone con vari disturbi mentali, che potranno rivolgersi alle strutture italiane, dove è presente la strumentazione per la NIBS e contemporaneamente si offrono servizi di psicoterapia.

Le psicoterapie, soprattutto quelle la cui efficacia è stata dimostrata in modo scientifico (come ad esempio la terapia cognitivo-comportamentale o quella interpersonale), costituiscono una forma di esperienza di apprendimento controllata, che agisce sulla neurofisiologia del cervello promuovendo la plasticità neurale, influenzando l’espressione dei geni e il funzionamento sinaptico (epigenesi) e, forse, inducendo anche neurogenesi.

35 Brain Apr 2023
CONTRIBUTO

DALLO YOGA ALLA CORSA: LO SPORT COME ARMA CONTRO LA DEPRESSIONE

La ricerca di un team australiano sull’attività fisica

36 Brain Apr 2023
di Alberto Volpi

L’attività fisica è una preziosissima alleata contro la depressione, l’ansia e il disagio psicologico in generale, mostrando un’efficacia contro i sintomi – perlomeno nelle condizioni lievi e moderate – ben 1,5 volte superiore a quella garantita dai farmaci e dal counseling, un supporto rivolto a persone con problemi di diverso tipo (relazionali, sul lavoro, con i figli etc etc).

Diversi studi avevano già mostrato in precedenza la forte associazione positiva tra il praticare sport e i benefici per la salute mentale; tali vantaggi, fra l’altro, si manifestano sin dalla tenera età, come dimostrato da una ricerca della Norwegian University of Science and Technology (NTNU), nella quale è stato osservato un ridotto rischio di sintomi depressivi nei bambini impegnati nelle attività sportive. Non serve nemmeno “impegnarsi” troppo, visto che basterebbe appena un’ora di sport a settimana per contrastare la depressione, come emerso da un altro studio del Black Dog Institute pubblicato sull’American Journal of Psychiatry.

A determinare che l’attività fisica ha un’efficacia contro depressione e ansia superiore di 1,5 volte ai medicinali è stato un team di ricerca guidato da scienziati dell’Allied Health & Human Performance dell’Università dell’Australia del Sud (UniSA), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell’Health and Use of Time (HUT) Group. I ricercatori, coordinati dal professor Ben Singh, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto un peculiare studio chiamato “a ombrello” (umbrella review), nel quale hanno analizzato statisticamente i risultati di molteplici revisioni sistematiche e meta-analisi di studi randomizzati

37 Brain Apr 2023
NEUROSCIENZE

A determinare che l’attività fisica ha un’efficacia contro depressione e ansia superiore di 1,5 volte ai medicinali è stato un team di ricerca guidato da scienziati dell’Allied Health & Human Performance dell’Università dell’Australia del Sud.

e controllati, tutti dedicati alla relazione tra l’esercizio fisico e la salute mentale. Nello specifico, hanno coinvolto nell’indagine poco meno di cento articoli scientifici, per un totale di oltre 1.000 trial e quasi 130mila partecipanti. Come indicato nell’abstract dello studio, le popolazioni coinvolte erano composte da adulti sani, con disturbi mentali e con diverse comorbilità (patologie sottostanti di natura cronica).

Dall’analisi statistica sono emersi i significativi benefici offerti dall’attività fisica contro depressio -

ne, ansia e disagio psicologico in generale. Il professor Singh e colleghi hanno osservato che tali vantaggi risultavano particolarmente efficaci quando i programmi di esercizio abbracciavano un arco temporale di 3 mesi (12 settimane) o meno; quelli troppo lunghi avevano un impatto ridotto. Inoltre l’attività fisica ad alta intensità – da valutare sempre assieme al proprio medico curante – era associata ai migliori risultati. Sebbene l’attività fisica offrisse benefici praticamente a chiunque, alcune categorie ne erano più avvantaggiate. Fra esse i pazienti affetti da depressione, infezioni da virus dell’HIV e malattie renali, così come le donne incinte, le neo mamme e i soggetti sani, come spiegato nello studio.

I ricercatori hanno anche scoperto che non tutti gli esercizi hanno la stessa efficacia. Lo yoga e altre attività che coinvolgono anche la mente, ad esempio, sembrano più efficaci contro l’ansia, mentre quelli più di resistenza come corsa, bicicletta e affini offrono i migliori risultati contro la depressione. È bene però ricordare che, sebbene evidentemente l’attività fisica garantisca enormi benefici, non può sostituirsi a una cura o a una terapia nel caso in cui un paziente abbia sintomi rilevanti che richiedono l’intervento di uno specialista.

38 Brain Apr 2023
NEUROSCIENZE

PER RESTARE SEMPRE INSIEME

Il microchip è il modo migliore per ritrovare il tuo amico a quattrozampe in caso di smarrimento.

E allora cosa aspetti?

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COS’È IL MICROCHIP E A COSA SERVE?

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PERCHÉ PROCRASTINARE PUÒ NUOCERE BENE ANCHE AL CERVELLO

Rinviare senza fine può essere sintomo di stress e isolamento sociale

La tendenza a rinviare ciò che prima o poi si sa di dover fare non solo rende difficile raggiungere i propri obiettivi, ma può avere anche un effetto negativo sulla salute mentale. Impossibile? Niente affatto. È esattamente quanto emerge da una ricerca realizzata su una coorte di studenti universitari svedesi da parte di ricercatori guidati da Fred Johansson del Department of Health Promotion Science della Sophiahemmet University di Stoccolma. La ricerca ha mostrato come gli studenti che hanno una spiccata tendenza a procrastinare i propri impegni soffrono più frequentemente di ansia, depressione e sintomi da stress, dormono peggio durante la notte e soffrono di dolori ricorrenti, oltre a sperimentare maggiori livelli di solitudine ed essere più esposti al rischio a lungo termine di andare incontro a problemi economici. «La procrastinazione può essere definita come la tendenza a rinviare volontaria-

mente una serie di azioni che dovrebbero essere compiute, anche quando si ha già la percezione che il rinvio darà effetti negativi. È un fenomeno che si presenta soprattutto tra le persone più giovani» dicono gli autori della ricerca, pubblicata sulla rivista Jama Network Open e ripresa dal Corriere della Sera. Si legge nell’articolo: «Viene stimato che circa la metà degli studenti universitari incappi in comportamenti di procrastinazione problematici e di un certo rilievo, come ad esempio posporre lo studio ai fini di un esame o la scrittura di relazioni dovute. La procrastinazione può anche essere descritta come una forma di fallimento del comportamento di autoregolazione ed è correlabile a tratti di personalità come l’impulsività, la distraibilità e il basso livello di coscienziosità. «La tendenza di un individuo a ricorrere alla procrastinazione resta relativamente stabile nel tempo, anche se specifici comportamenti di procrastinazione

40 Brain Apr 2023
NEUROSCIENZE
di Alessia Vignoli

sono influenzati da fattori di contesto, come il livello di avversione nei confronti del compito che si dovrebbe affrontare. In effetti, per alcuni studenti la procrastinazione può anche essere un comportamento occasionale, che si presenta in relazione a specifici compiti accademici, mentre in altri individui rappresenta una disposizione più stabile di personalità e in questo caso è più probabile che finisca per influire sia sui risultati scolastici sia sullo stato di salute».

Il problema, però, è che si cade in una specie di circolo vizioso: il manifestarsi di questo tipo di problemi finisce per generare ulteriori difficoltà che provocano nuovi comportamenti di rinvio. Il fatto che la procrastinazione si rilevi soprattutto fra gli studenti universitari è verosimilmente dovuto all’organizzazione di questi studi, di solito poco strutturati e che quindi richiedono un elevato livello di autoregolazione.

C’è tuttavia la possibilità di interrompere il circolo vizioso. Uno dei motivi per i quali si rinvia un compito è che, prima ancora di provare ad affrontarlo, lo si percepisce come impegnativo e scoraggiante. In questo caso può essere utile tentare di immaginarlo non più come un compito unico, una singola montagna da scalare, ma come una serie di impegni spezzettati, ciascuno dei quali può così apparire più a portata di mano. E se si riesce in tal modo a raggiungere un primo obiettivo, e poi un secondo, e così via, ciò che resta da fare viene progressivamente percepito come sempre meno impegnativo. Utile anche una riorganizzazione del proprio tempo, ad esempio facendo ricorso a una programmazione settimanale in un’agenda sulla quale sono annotate attività sia di lavoro sia di svago. Infine, se proprio non si riesce da soli a smettere di rinviare, si può chiedere a qualcuno con cui si convive di svolgere

il ruolo di controllore delle attività. Ma è forse un diretto lavoro cognitivo sui pensieri lo stratagemma che può risultare più utile. Chi procrastina spesso ha una precognizione negativa sull’esito del proprio impegno, si convince dell’inutilità dello sforzo dal momento che comunque alla fine quel compito non sarà realizzato a dovere. Il principio del cambiamento cognitivo sta proprio in questo: riuscire a individuare questi pensieri negativi e a riconoscerli come non scontati, per poter avviare un processo di cambiamento interno.

Il fatto che la procrastinazione si rilevi soprattutto fra gli studenti universitari è verosimilmente dovuto all’organizzazione di questi studi, di solito poco strutturati e che quindi richiedono un elevato livello di autoregolazione.

41 Brain Apr 2023
NEUROSCIENZE

BRINGE DRINKING I GIOVANI CON LO SBALLO DA ALCOOL

Èmaschio, giovane e vive al Nord. È questo l’identikit del binge drinker, il forte consumatore di alcolici e superalcolici (sei o più bicchieri in una sola occasione) che va alla ricerca dello “sballo” soprattutto nel fine settimana. Una moda preoccupante, venuta dai Paesi nordici e sempre più diffusa anche in Italia, con punte di oltre il 21% negli uomini della Provincia autonoma di Trento, dove si registra anche il maggior numero di bevitori fuori pasto (15% di tutti gli intervistati). Sono alcuni dei dati che emergono dalle prime rilevazioni sul consumo di alcolici in Italia del sistema di sorveglianza Passi (Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia), iniziativa promossa nel 2006 dal ministero della Salute e realizzata dal Centro nazionale di epidemiologia dell’Istituto superiore di sanità allo scopo di tenere sotto osservazione l’evoluzione dei fattori di rischio per la salute della popolazione italiana.

Secondo la fotografia scattata dalle Asl, il 42% dei 18-34enni che fanno binge drinking (dall’inglese, “abbuffata di alcolici”) consuma bevande fuori pasto: una percentuale che scende al 16% nella fascia di età tra i 35-49 anni e al 9% tra i 50-69enni. Inoltre, il 60% dei giovani che ha fatto un uso smodato di alcol negli ultimi 30 giorni concentra nel week-end il consumo di bevande alcoliche. Il binge drinking sembra comunque una prerogativa degli uomini: appena il 2% delle donne riferisce questa modalità di consumo. Anche se si tratta di un fenomeno prettamente giovanile, sorprendentemente non è estraneo anche a una fetta di popolazione anziana: i dati delle Asl di 19 Regioni indicano infatti che nel 2007 più del 5% delle persone tra i 65 e i 69 anni ha consumato 6 o più bicchieri in un’unica occasione.

Il sistema Passi evidenzia nette differenze tra regioni settentrionali e meridionali: mentre in Trentino il binge

42 Brain Apr 2023
NEUROSCIENZE
Il 42% dei 18-34enni sono avvezzi alle “abbuffate” di alcolici
di Alessia Vincenti

drinking riguarda circa il 24% dei ragazzi nella fascia di età tra 18-34 anni, in Emilia Romagna interessa un giovane su dieci. La regione più virtuosa è la Campania, con il 3% di binge drinker. Un gradiente tra Nord e Sud esiste anche nel consumo abituale di vino o birra. Mentre in Trentino ed Emilia Romagna il 69% degli intervistati ha dichiarato di aver consumato almeno un’unità alcolica (circa un bicchiere di vino) negli ultimi 30 giorni, in Campania lo ha fatto solo il 48% del campione analizzato.

Un problema strettamente legato al consumo di alcol, in particolare il consumo ludico ed esagerato, è quello della sicurezza stradale. Tra chi ha dichiarato di aver guidato un’auto o una moto

negli ultimi 30 giorni, circa il 14% si è messo alla guida dopo aver bevuto 2 o più bicchieri nell’ora precedente. Non dimostrano maggiore prudenza neanche i più anziani: la guida sotto l’effetto dell’alcol riguarda infatti il 12% dei 65-69enni. Allarmanti, poi, i dati tra i bevitori smodati: in Emilia-Romagna il 40% dei binge drinker si è messo al volante sotto l’effetto dell’alcol. Da sottolineare che questo dato è superiore al valore pur elevato (30%) registrato in Trentino, nonostante che i consumi complessivi in questa provincia siano maggiori. Un fatto, questo, che potrebbe essere spiegato con l’efficacia delle campagne informative messe in campo nella provincia di Trento per contrastare gli incidenti stradali.

Il binge drinking sembra comunque una prerogativa degli uomini: appena il 2% delle donne riferisce questa modalità di consumo.

43 Brain Apr 2023
NEUROSCIENZE

DANNI DA ZUCCHERO 45 MALATTIE DIVERSE ASSOCIATE AI CIBI DOLCI

Quasi la metà rientra tra i disturbi metabolici o endocrini

Che lo zucchero faccia male, è cosa ormai nota. Quello che forse non si conosceva ancora è la lista precisa e analitica delle malattie associate al consumo di cibi dolci. Quarantacinque in tutto. Tanti sono i disturbi, le malattie, le disfunzioni che hanno un’associazione con i cibi zuccherati. Diciotto rientrano nella categoria dei disturbi metabolici o endocrini (diabete, sindrome metabolica, gotta, obesità ecc…), dieci sono di natura cardiovascolare (ipertensione, infarto, ictus), sette ricadono nella classe dei tumori (tumore del seno, della prostata, del pancreas) e dieci appartengono a un gruppo misto formato da asma, carie, depressione.

La soglia che permette di ridurre l’effetto negativo dello zucchero sulla salute è di sei cucchiaini da tè di zucchero al giorno. Che però, bisogna precisarlo, comprende lo

zucchero aggiunto e lo zucchero già presente negli alimenti.

Di studi che mostrano gli effetti nocivi dell’eccessivo consumo di zucchero ce ne se sono un’infinità. Lo studio in questione è stato pubblicato sul British Medical Journal. Si tratta di una “umbrella review”, ossia di una analisi delle meta-analisi, che è il tipo di indagine scientifica più approfondito e dettagliato che si possa eseguire. I ricercatori hanno passato in rassegna 73 meta-analisi (67 di studi osservazionali e sei di studi randomizzati controllati) per un totale di 8.600 studi su 83 diversi problemi di salute legati al consumo di zucchero nei bambini e negli adulti.

Per ogni tipo di associazione emersa, gli scienziati hanno indicato il grado di affidabilità delle evidenze scientifiche che ne erano alla base, distinguendole in “grado alto”, “moderato”, “basso” o “mol -

44 Brain Apr 2023
NEUROSCIENZE
di Alessandro Righi

to basso”.

Ebbene, sono state trovate prove evidenti dell’associazione tra una dieta ricca di zucchero e svariati problemi di salute raggruppati in quattro categorie: malattie metaboliche, patologie cardiache, cancro, disturbi vari.

Sul fronte delle disfunzioni endocrine e metaboliche, lo zucchero è legato ad alterazioni dell’indice di massa corporea nei bambini e a cambiamenti di peso in bambini e in adulti, alla gotta, a ipercolesterolemia, iperuricemia, diabete autoimmune latente negli adulti, sindrome metabolica, obesità, diabete di tipo 2, fegato grasso e accumulo di grasso nei muscoli.

Altrettanto convincenti sono i risultati degli studi che mostrano un’associazione tra il consumo eccessivo di zucchero e le malattie cardiovascolari. La dieta zuccherata aumenta il rischio di malattia coronarica, ipertensione nei bambini, negli adolescenti e negli adulti e ictus. È stata osservata inoltre una significativa associazione dannosa tra il consumo di zuccheri e l’aumento del rischio di cancro della mammella, del carcinoma epatocellulare, del cancro alla prostata, del cancro al pancreas. Il consumo di zucchero è associato a un aumento del rischio di cancro in generale e del rischio di morte per ogni tipo di cancro. Asma nei bambini, disturbo da deficit dell’attenzione e dell’iperattività (Adhd), carie dentali, depressione, steatosi epatica non alcolica completano il quadro degli effetti nocivi degli zuccheri.

Non esiste, o almeno finora non è stato individuato, alcun effetto benefico dello zucchero. La presunta associazione con un minor rischio di glioma avanzata in qualche studio, spiegano i ricercatori, si basa

su dati deboli e va interpretata con cautela.

Secondo gli autori della “umbrella review”, l’aumento di peso, l’accumulo di grasso ectopico, l’obesità e le malattie cardiovascolari, possono essere in gran parte attribuiti al consumo eccessivo di zuccheri contenenti fruttosio, presenti, per esempio, nelle bibite zuccherate che sono la principale fonte di zuccheri nella dieta dei più giovani. Ed è anche per questa ragione che diversi Paesi hanno introdotto la cosiddetta “sugar tax”.

La soglia che permette di ridurre l’effetto negativo dello zucchero sulla salute è di sei cucchiaini da tè di zucchero al giorno. Che però, bisogna precisarlo, comprende lo zucchero aggiunto e lo zucchero già presente negli alimenti.

45 Brain Apr 2023
NEUROSCIENZE

LA DEPRESSIONE POTREBBE AVERE INDICAZIONI BIOLOGICHE

Tutto ruoterebbe attorno alla glicina. Lo studio pubblicato da Nature

Un amminoacido comune, la glicina, può fornire un segnale di “rallentamento” al cervello, contribuendo probabilmente alla depressione maggiore, all’ansia e ad altri disturbi dell’umore in alcune persone. A scoprirlo, sono stati gli scienziati del Wertheim UF Scripps Institute for Biomedical Innovation & Technology. La scoperta, pubblicata sulla rivista Science, migliora la comprensione delle cause biologiche della depressione maggiore e potrebbe accelerare gli sforzi per sviluppare nuovi farmaci ad azione piu’ rapida per tali disturbi dell’umore difficili da trattare, ha affermato il neuroscienziato Kirill Martemyanov, autore dello studio.

«La maggior parte dei farmaci per le persone con depressione impiegano settimane prima che facciano effetto, se mai lo fanno. Sono davvero necessarie nuove e migliori opzioni»,

ha affermato all’Agi Martemyanov, che presiede il dipartimento di neuroscienze presso l’istituto di Jupiter. La depressione maggiore è tra i bisogni sanitari più urgenti del mondo. I numeri sono aumentati negli ultimi anni, soprattutto tra i giovani adulti. Con l’aumento della depressione, del numero di suicidi e delle spese mediche, uno studio dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie nel 2021 ha stimato l’onere economico a 326 miliardi di dollari all’anno negli Stati Uniti. Martemyanov ha affermato che lui e il suo team di studenti e ricercatori post-dottorato hanno trascorso molti anni a lavorare a questa scoperta. Non si sono proposti di trovare una causa, tanto meno una possibile via di trattamento per la depressione. Invece, hanno posto una domanda fondamentale: in che modo i sensori sulle cellule cerebrali ricevono e trasmettono segnali nelle cellule?

46 Brain Apr 2023
NEUROSCIENZE
di Alberto Volpi

Qui sta la chiave per comprendere la visione, il dolore, la memoria, il comportamento e forse molto altro, sospettava Martemyanov.

Nel 2018 il team di Martemyanov ha scoperto che il nuovo recettore era coinvolto nella depressione indotta dallo stress. Se i topi non avevano il gene per il recettore, chiamato GPR158, si sono dimostrati sorprendentemente resistenti allo stress cronico. Ciò ha offerto una forte evidenza che il GPR158 potrebbe essere un bersaglio terapeutico, ha affermato. Ma cosa ha inviato il segnale? Una svolta è arrivata nel 2021, quando il suo team ha risolto la struttura del GPR158.

Quello che hanno visto li ha sorpresi. Il recettore GPR158 sembrava un morsetto microscopico con un compartimento, simile a qualcosa che avevano visto nei batteri, non nelle cellule umane. «Di solito i recettori come GPR158, noti come recettori accoppiati a proteine G, legano le proteine G. Questo recettore si legava a una proteina RGS, che è una proteina che ha l’effetto opposto dell’attivazione», ha affermato Thibaut Laboute, ricercatore del gruppo di Martemyanov e primo autore dello studio. Da decenni gli scienziati catalogano il ruolo dei recettori cellulari e dei loro partner di segnalazione. Quelli che ancora non hanno segnalatori noti, come GPR158, sono stati soprannominati “recettori orfani”. La scoperta significa che GPR158 non è più un recettore orfano, ha detto Laboute. Invece, il team lo ha ribattezzato mGlyR, abbreviazione di “recettore metabotropico della glicina”. «Un recettore orfano è una sfida. Vuoi capire come funziona», ha detto Laboute. «Ciò che mi rende davvero entusiasta di questa scoperta è che potrebbe essere importante per la

vita delle persone. Questo è ciò che mi fa alzare la mattina». Laboute e Martemyanov sono elencati come inventori in una domanda di brevetto che descrive i metodi per studiare l’attività del GPR158. Martemyanov è un cofondatore di Blueshield Therapeutics, una startup che studia gli sviluppi del GPR158. La stessa glicina viene venduta come integratore alimentare classificato come miglioramento dell’umore. È un elemento costitutivo di base delle proteine e colpisce molti tipi di cellule diversi, a volte in modi complessi. In alcune cellule invia segnali di rallentamento, mentre in altri tipi di cellule invia segnali eccitatori. Alcuni studi hanno collegato la glicina alla crescita del cancro alla prostata invasivo. Sono necessarie ulteriori ricerche per capire come il corpo mantiene il giusto equilibrio dei recettori mGlyR e come l’attività delle cellule cerebrali è influenzata, ha detto. Ha intenzione di continuare a farlo. «Abbiamo un disperato bisogno di nuovi trattamenti per la depressione», ha detto Martemyanov. «Se possiamo mirare a questo con qualcosa di specifico, ha senso che possa essere d’aiuto. Ci stiamo lavorando ora», ha concluso l’autore.

La depressione maggiore è tra i bisogni sanitari più urgenti del mondo. I numeri sono aumentati negli ultimi anni, soprattutto tra i giovani adulti. Con l’aumento della depressione, del numero di suicidi e delle spese mediche, uno studio dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie nel 2021 ha stimato l’onere economico a 326 miliardi di dollari all’anno negli Stati Uniti.

47 Brain Apr 2023
NEUROSCIENZE

INDIVIDUATI 4 SOTTOTIPI DIVERSI DI AUTISMO

Per ogni tipologia potrebbero andar bene terapie specifiche

C’è chi ha più competenze linguistiche, chi ha meno capacità di interagire con gli altri, chi ha più atteggiamenti ossessivi. Non esiste solo un tipo di autismo ma almeno 4 sottotipi diversi e, per ognuno, potrebbero andar bene alcune terapie ma non altre.

A individuarli è una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Neuroscience, che li ha distinti e classificati in base all’attività cerebrale e al comportamento.

Un precedente studio aveva utilizzato algoritmi e Machine Learning per identificare 4 sottotipi biologicamente distinti di depressione. Basandosi su questo, i ricercatori della Weill Cornell Medicine di New York City, guidati da Amanda Buch, hanno integrato i dati di «neuroimaging» con i dati di espressione genica per capire se esistono sottogruppi tra gli individui con autismo.

Sfruttando l’apprendimento automatico per analizzare i dati di 299 persone con la sindrome e 907 senza sindrome, hanno identificati 4 sottotipi o gruppi.

Due gruppi avevano un’intelligenza ver-

bale superiore alla media. Di questi, uno aveva anche gravi deficit nella comunicazione sociale ma comportamenti meno ripetitivi, mentre l’altro aveva comportamenti più ripetitivi ma meno compromissione sociale; le connessioni tra le parti del cervello che elaborano le informazioni visive erano iperattive nel sottogruppo con più disabilità sociale ma deboli nel gruppo con comportamenti più ripetitivi.

Gli altri due gruppi avevano gravi menomazioni sociali e comportamenti ripetitivi, associate a scarsa abilità verbale: nonostante alcune somiglianze comportamentali, i ricercatori hanno scoperto modelli di connessione cerebrale completamente distinti in questi due sottogruppi.

Il team ha anche analizzato l’espressione genica che spiegava le connessioni cerebrali atipiche, individuando molti geni collegati all’autismo. «Per personalizzare le terapie - concludono i ricercatori - sarà importante prendere di mira questa diversità. È difficile identificare la terapia ottimale quando tutti vengono trattati come uguali, quando ognuno di loro è unico».

48 Brain Apr 2023 NEUROSCIENZE
di Francesco Carta

È primavera anche per la psichiatria?

*Professore Ordinario, Scuola IMT Alti Studi Lucca

Il periodo che segna la fine dell’inverno e accompagna il risveglio della primavera è, da molti anni, dedicato alla divulgazione della conoscenza del cervello, delle sue funzioni e delle sue malattie. Si comincia con la Settimana del Cervello, che si svolge in tutto il mondo la terza settimana del mese di marzo, seguita dalla giornata mondiale del sonno, quindi da quella del disturbo bipolare dell’umore, non a caso il 30 marzo, giorno del compleanno di Van Gogh, per arrivare al 2 Aprile, giornata della consapevolezza dell’autismo.

In questi giorni, nei cinque continenti si susseguono, quasi senza soluzione di continuità, eventi ed iniziative rivolte al grande pubblico, che trovano larga eco sugli organi di stampa e social di diversa natura. Diffondere la consapevolezza dei disturbi mentali tra le persone comuni, al di fuori della cerchia ristretta degli addetti ai lavori, è il primo e fondamentale passo per combattere l’ignoranza e lo stigma che avvolge tuttora la malattia mentale. Pregiudizi, luoghi comuni, sensi di colpa e di vergogna ancora oggi rallentano il processo diagnostico e terapeutico, con sofferenza e danni per l’individuo tanto gravi e dura -

turi quanto, nella gran parte dei casi, facilmente evitabili, o perlomeno largamente mitigabili, con una diagnosi tempestiva e la pronta messa in atto di adeguati interventi terapeutici. Se poi si considera che la maggior parte dei disturbi psichiatrici esordisce nell’adolescenza, si comprende quanto devastanti possano essere le conseguenze del mancato intervento. Un adolescente su cinque soffre di un disturbo psichiatrico che si protrarrà nell’età adulta. Il 67 percento di tutte le dipendenze colpisce la fascia d’età tra i 12 e i 17 anni; se si includono i giovani fino ai 25 anni, la percentuale sale al 90%. Negli Stati Uniti, il suicidio è la seconda causa di morte nei giovani tra i 15 e i 24 anni d’età, preceduta solo dagli incidenti stradali. Poco consola che nel nostro Paese, dove ancora forti rimangono i legami famigliari e la rete sociale, i dati siano meno drammatici di quelli del resto d’Europa e di altre zone del Pianeta, con 1,5 suicidi ogni 100.000 giovani contro i 10 su 100.000 dell’Estonia o della lontana Nuova Zelanda. Questi eventi estremi non sono che la punta dell’iceberg della sofferenza psichica dell’adolescenza, fase della vita che vede il conseguimento della

Brain Apr 2023 49
TITOLI DI CODA

maturità sessuale e nella quale il cervello va incontro ad un radicale rimodellamento sinaptico, con un processo di maturazione dei lobi frontali che perdura ben oltre la soglia legale della maggiore età, arrivando al suo completamento nell’ultima parte della terza decade di vita. Una fase della vita di grandi cambiamenti e, anche per questo, di particolare vulnerabilità. Quanto contribuisce il disagio psichico al fenomeno della dispersione scolastica – abbandono degli

studi o scadimento del rendimento scolastico – che in Italia riguarda ben un quarto dell’intera popolazione scolastica?

Ci piace pensare che il fiorire delle iniziative di consapevolezza delle malattie mentali proprio in questo periodo dell’anno non sia una mera coincidenza temporale, ma il segno di una nuova stagione di conoscenza e lotta allo stigma in Psichiatria, essenziali per la prevenzione e la cura della sofferenza mentale.

50 Brain Apr 2023
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