L'abbraccio numero 109

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L’ABBRACCIO

Il Gioco d’Azzardo Patologico

Giocare è una emozione naturale ma lasciarsi sopraffare dal gioco e riporre la propria vita nelle mani di un’entità esterna e salvifica denominata fortuna, vincita o Jackpot diventa un problema sia individuale che collettivo, quindi un problema sociale.

Quando il gioco diventa patologico si porta via tutte le energie, tutte le risorse, tutto il patrimonio.

L’Agenzia delle Dogane ci dice che gli italiani spendono più di 111 miliardi di euro l’anno in scommesse. Questa immensa somma proviene essenzialmente da persone in cerca di riscatto sociale e di una salvezza affidata al caso.

Sfortunatamente l’attuale società è viziata da scenari pubblicitari che promettono la facile risoluzione dei problemi e la felicità a portata di clic.

Come affrontare la patologia del gioco d’azzardo?

Investire in prevenzione, soprattutto con i giovani, può rafforzare le difese?

I servizi di supporto psicologico possono lenire le ferite?

Come si può fare per rafforzare l’identità delle persone?

Con questi interrogativi e consci dell’importanza del tema abbiamo interpellato esperti del settore e a questi siamo infinitamente grati.

Buona lettura!

Rivista trimestrale di informazione del CEIS Genova
16126 Genova • Via Asilo Garbarino, 6/B • Telefono 010.25.46.01 - Fax 010.25.46.002 r.a. N. 109 • 2° Trimestre 2023 • N. 2 del 2023 • Prezzo 1,00 euro Autorizzazione Tribunale di Genova 26/94 • Iscrizione al R.O.C. n° 16776 del 17/04/2008 Poste Italiane S.p.A. sped. abb. postale • D.L 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 N° 46) art 1 comma 1, DCB Genova
2023 n109 Enrico Costa
Il gioco d’azzardo patologico Editoriale di Luciano Squillaci 3 Giochi:
modello concessorio rafforzato per la tutela della salute e della legalità di Antonio De Donno 5 Gioco d’azzardo. Diamo i numeri di Sonia Salvini 8 Non è un gioco.
epidemia sommersa. di Luciano Gualzetti 10 Rincorrere la fortuna tra la speranza e l’amarezza di Luca Pallavicini 13
d’azzardo industriale e boom dell’online, tra ragioni del profitto e diritti della persona di Maurizio Fiasco 15
Alessio Masnata 18
un
L’Azzardo,
Gioco
L’azzardo non è un gioco di

L’ABBRACCIO

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Siamo qui perché non c’è alcun rifugio dove nasconderci da noi stessi. Fino a quando una persona non confronta se stessa negli occhi e nei cuori degli altri, scappa. Fino a che non permette loro di condividere i suoi segreti, non ha scampo da questi. Timoroso di essere conosciuto né può conoscere se stesso né gli altri, sarà solo. Dove altro se non nei nostri punti comuni possiamo trovare un tale specchio? Qui insieme una persona può alla fine manifestarsi chiaramente a se stessa non come il gigante dei suoi sogni né il nano delle sue paure, ma come un uomo parte di un tutto con il suo contributo da offrire. Su questo terreno noi possiamo tutti mettere radici e crescere non più soli come nella morte, ma vivi a noi stessi e agli altri.

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Il gioco d’azzardo patologico

Ormai, da tempo, ci siamo convinti di vivere un periodo storico particolarmente complicato, citando la pandemia prima e poi la guerra come fossero fattori determinanti del disagio generalizzato che caratterizza il nostro oggi, e non invece semplici elementi acceleratori che hanno consentito al male di vivere, anche sommerso, di esplodere in tutta la sua drammatica realtà. Il fenomeno delle dipendenze, in particolare l’azzardo, ha raggiunto negli ultimi anni una dimensione preoccupante, aumentando e modificando modalità di diffusione e tendenze di consumo. E certo la pandemia non ne ha limitato la portata e la drammaticità. Anzi, droga, alcol, gioco d’azzardo, hanno trovato nuovi spazi, nuovi mercati, a cominciare dal web. Oggi, teoricamente, è sufficiente un cellulare connesso alla rete per generare un giocatore d’azzardo patologico.

Il covid ha evidenziato maggiormente quanto siano profonde le fragilità, le sofferenze, le solitudini. Il mondo si è fermato e siamo stati costretti a guardarci dentro, scoprendo che sofferenza e angoscia di vivere hanno trovato sollievo nell’uso continuativo di sostanze e nel gioco, come fuga dalla solitudine e da se stessi, sedativi ingannevoli per sopravvivere.

L’azzardo è una dipendenza particolarm ente insidiosa, che provoca una forte destabilizzazione relazionale, affettiva, sociale ed economica, drammaticamente sottovalutata dalla società in termini di pericolosità, complice l’inadeguatezza degli interventi e soprattutto una carenza culturale ed informativa. I giocatori e le loro famiglie, quando arrivano a chiedere aiuto, il più delle volte, non considerano la patologia in quanto tale, ma si ritengono solo portatori di un problema di carattere economico ed al limite sociale o educativo. Quasi mai si ritengono persone con un problema di dipendenza. Eppure, come la droga, l’azzardo è un problema trasversale che sta interessando tutte le fasce d’età e non solo i più giovani, sempre più soli e a stretto contatto con le nuove tecnologie ed internet, e come la droga è un disturbo ossessivo compulsivo specificamente definito dal DSM-5 come dipendenza comportamentale.

La tendenza che più allarma è la normalizzazione di un fenomeno che rappresenta, in Italia, un nuovo agente di povertà per le famiglie e il maggior reddito per le mafie. Una normalizzazione che sta determinando, in diverse regioni, una sorta di marcia indietro rispetto la normativa più restrittiva, in termini di distanze ed orari di apertura delle sale gioco, che negli anni passati aveva consentito quanto meno di porre alcuni limiti al dilagare scriteriato delle slot e delle sale scommesse.

Un messaggio diseducativo, “tutto è normale e quindi è consentito” che colpisce soprattutto i più giovani, vittime di un disagio silenzioso, strisciante, sottotraccia, che sempre più spesso trova sfogo nella dipendenza o nella depressione. Un vuoto relazionale che rende ancora più vulnerabili, soprattutto gli adolescenti, di fronte ad una normalizzazione dell’eccesso sempre più pericolosa e concreta.

La complessità di una dipendenza come quella da gioco d’azzardo impone una riflessione di sistema. Una dipendenza subdola che distrugge tutto ciò che sta intorno alla persona: la famiglia, la salute, l’economia, il lavoro, persino la rete amicale, e che necessita, anche più delle altre forme di dipendenza, di un intervento integrato che tenga conto di tutta questa complessità. Occorre fare fronte comune, società civile, servizi pubblici, territori, comuni, regioni, scuole, Chiesa, per sostenere ed accompagnare tutti coloro che si trovano dentro questo vortice di morte, lavorare per il sostegno ai familiari, impegnare risorse nel sistema di cura e nel sostegno economico, accompagnare le persone ai servizi.

Ed è necessario mettere al primo posto la formazione, l’informazione, la prevenzione. Promuovere una corretta cultura del benessere contrapponendosi alla normalizzazione del gioco d’azzardo, come un effetto collaterale di poco conto di una società liquida che inneggia al facile profitto.

Secondo i dati dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli

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(AdM), nel 2022 gli italiani hanno speso 140 miliardi di euro per il gioco. Al contrario, i fondi stanziati dallo Stato per il contrasto alla dipendenza da gioco, già di per sé insufficienti, spesso non vengono neanche spesi integralmente dalle Aziende sanitarie sui territori.

Si stima che in Italia, oggi, l’azzardo coinvolge una popolazione di circa 5,2 milioni di ‘abitudinari’, di cui circa 1,2 milioni sono considerati problematici, ovvero con dipendenza patologica.

Numeri enormi che non possono lasciare indifferenti. E che dovrebbero preoccupare ancora di più se si tiene conto dell’evoluzione che ha caratterizzato il mercato del gioco. Il periodo di lockdown lo ha mostrato ampiamente ed ha portato ad un nuovo modello di gioco rispetto al passato, solitario, decontestualizzato (ad ogni ora ed in ogni luogo), con regole semplici che ne consentono una facile accessibilità e grande velocità, favorendo la compulsività, e per questo rivolto ad ampie fasce di interlocutori, come gli adolescenti, tra i quali è molto diffuso attualmente il gioco delle macchine videopoker. I veri beneficiari dell’azzardo restano le lobbies finanziarie e, nella stragrande maggioranza dei casi, le organizzazioni malavitose, che utilizzano le sale slot come “lavatrici” per i soldi sporchi e che spesso ricattano i giocatori problematici, gestendo il grande mercato parallelo dell’usura.

La grande ossessione del guadagno immediato, legato alla fortuna ed ingannevole, si manifesta come una fame compulsiva irrefrenabile, che risucchia intere famiglie nel lastrico economico e nella disperazione con “punti di gioco” alla portata di tutti e a pochi passi da scuole, chiese e luoghi di aggregazione giovanili per non parlare del facile accesso sul web, in particolare per i più giovani.

Diventa quindi assolutamente necessario uscire da questa indifferenza, da questa anestesia emotiva che diventa un rifugio infido, sintomo di un malessere più profondo, dove vince spesso l’immagine e il culto dell’essere vincenti a tutti costi.

Abbiamo bisogno di attivare una campagna seria e duratura di sensibilizzazione, investendo su attività di informazione e formazione dei rischi, sulla cultura del benessere, dell’educazione civica, sul senso di comunità dove la persona si senta davvero parte di un

tutto. E’ tempo di contrastare seriamente la criminalità organizzata, che si nutre e si arricchisce a scapito di queste fragilità. E’necessario lanciare e promuovere la cultura della cooperazione, perché la disperazione di una sola persona è il fallimento di tutta la società e della comunità intera. Da qui è fondamentale creare alleanze territoriali per prendersi cura collettivamente di tutti, tramite un patto educativo e culturale che difenda la dignità delle persone, soprattutto quelle più fragili, tramite un processo di contaminazione del benessere. Creare contenitori di speranza, in cui abbiano accoglienza giovani, adulti e anziani, perché il gioco d’azzardo è trasversale e sovrasta tutte le fasce d’età, in cui si possano coniugare paradigmi e tessuti sociali inclusivi (scuola, parrocchie, oratori, comuni e istituzioni)

Abbiamo infine bisogno di una Legge nazionale chiara, che stabilisca distanze e limiti alle giocate, oltre a prevedere interventi preventivi puntuali ed immediati, per evitare che le persone finiscano nella dipendenza patologica. Norme che uniformino gli interventi e i provvedimenti nelle Regioni e nei territori. Aspettiamo, altresì, il decreto sul riordino del gioco d’azzardo e siamo pronti a collaborare per iniziare a costruire percorsi di prevenzione organici, strutturali, fiduciosi che vengano messi a disposizione finanziamenti stabili, finora esigui e mal gestiti. Occorre infine trattare il gioco patologico, come peraltro tutte le altre forme di dipendenza senza sostanza o comportamentali, per ciò che realmente sono, riportando le relative deleghe all’interno di unico Dipartimento Nazionale per le dipendenze.

Ad oggi, infatti, la suddivisione di competenze tra segmenti diversi dello Stato non consente di portare avanti una seria politica unitaria di contrasto, di prevenzione e cura per le dipendenze patologiche.

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Giochi: un modello concessorio rafforzato per la tutela della salute e della legalità

Ringrazio il CEIS Genova per l’invito ad esprimere il mio pensiero su di un tema di così forte impatto sociale quale quello delle dipendenze da gioco.

In premessa devo però precisare che le mie competenze in ambito socio-sanitario sono limitate e che, come Presidente dell’Osservatorio Giochi, Legalità e Patologie dell’Eurispes e come magistrato, ho avuto modo di interessarmi in primo luogo degli aspetti della legalità relativamente all’area del gioco pubblico, ovvero quello regolamentato dallo Stato attraverso il sistema concessorio, e di quelli assai preoccupanti che vedono la presenza dell’illegalità e della criminalità organizzata.

Certo, le numerose ricerche realizzate negli scorsi anni dall’Osservatorio, hanno affrontato anche il tema della dipendenza da gioco d’azzardo (D.G.A., prima indicata dal punto di vista clinico come G.A.P. ovvero gioco d’azzardo patologico). In tale ambito il nostro contributo ha segnalato, per un verso, che il cittadino in difficoltà in molte regioni non è adeguatamente assistito dai Servizi per le Dipendenze (SerD), per l’altro che le legislazioni regionali e i regolamenti comunali varati con l’obiettivo di limitare i rischi di “azzardopatie”, pur apprezzabili negli intenti non raggiungono o corrono il rischio di non raggiungere realmente il loro obiettivo e, in qualche misura possono risultare addirittura controproducenti.

Andando con ordine, dalle Ricerche di ambito territoriale il nostro Osservatorio ha dovuto constatare che l’offerta socio-sanitaria è carente.

In primo luogo, si manifesta una grande difficoltà a intercettare i giocatori patologici. I “numeri” dei cittadini presi in carico dai SerD sono poco significativi sia in valore assoluto sia in relazione all’allarme sociale che sempre più si accompagna al tema delle “azzardopatie”. Per fare un esempio, in tutta la regione Liguria nel 2021

le Asl hanno assistito 450 cittadini.

Inoltre, in molti SerD non sono applicati specifici protocolli per le dipendenze sine substantia, che per altro assai spesso rientrano in un quadro di “comorbilità”: droghe, alcol, tabagismo. Da questo punto di vista si potrebbe fare molto di più, e lo stesso vale per l’area della prevenzione attraverso attività di informazione e sensibilizzazione sui rischi del gioco che dovrebbe essere intensificata a partire dalle scuole.

Per ciò che riguarda gli strumenti principali che tutte le Regioni hanno normato nelle proprie legislazioni sul gioco, – la Liguria è stata la prima ad approvare, nel 2012, una specifica legislazione in materia – essi sono riassumibili nel cosiddetto “distanziometro” e nella possibilità da parte dei Comuni di stabilire gli orari di esercizio delle attività del gioco. (...) Ora, la validità di questi strumenti per la finalità della limitazione dei rischi di insorgenza della dipendenza da gioco è dubbia. Quanto al “distanziometro”, ovvero al divieto di installazione di esercizi per l’offerta di gioco legale entro una determinata distanza (300-500 metri) da una serie di luoghi “sensibili” (scuole, chiese, ospedali, circoli culturali, ecc.), il nostro Osservatorio fin dal 2018, nell’ambito di una Ricerca sulla regione Puglia, ha dovuto constatare che mentre la “distanza” dei luoghi dell’offerta di gioco può rappresentare una disincentivazione per il giocatore cosiddetto “sociale”, per il giocatore “problematico” e per quello “patologico” il fatto di doversi spostare per giocare in zone distanti dai luoghi di lavoro e di abitazione, in genere più frequentati e dove si è più conosciuti, non rappresenta uno scoglio; anzi, al contrario, il giocatore “patologico” predilige proprio la condizione di tendenziale anonimato che si realizza in luoghi ed aree meno frequentate.

Questa valutazione espressa dall’Osservatorio ha

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trovato conferma in quanto segnalato nell’importante ricerca pubblicata, sempre nel 2018, dall’Istituto Superiore di Sanità.

Inoltre, dagli approfondimenti svolti è emerso che l’applicazione del “distanziometro” rischierebbe di generare, in buona parte dei territori, un vero e proprio effetto espulsivo dell’offerta del gioco pubblico. Dalla mappatura effettuata sempre dall’Osservatorio di alcune aree urbane (Torino, Roma), contenente le diverse tipologie di luoghi “sensibili”, è risultato che l’effetto espulsivo dell’offerta di gioco legale interesserebbe tra il 97 e il 98% delle strutture esistenti. Ho usato il condizionale perché, malgrado tutte le legislazioni regionali abbiano contemplato al momento del varo dello strumento del “distanziometro” una originaria moratoria di 3/5 anni per l’adeguamento e la ricollocazione delle istallazioni e degli esercizi esistenti, con l’approssimarsi delle scadenze tutti i Consigli regionali hanno nuovamente legiferato, “allungando” di ulteriori anni la moratoria o, come nel caso della Liguria, rimandando l’applicazione di questo strumento all’avvenuta emanazione di un auspicabile “piano nazionale sul GAP”.

In sostanza, si può affermare che il “distanziometro”, a causa delle sue contraddizioni e della pratica impossibilità di essere applicato per come previsto ed in modo disomogeneo sul territorio nazionale, attende che il legislatore nazionale disegni una cornice

di princìpi e regole generali per garantire una certa uniformità, pur riservando alle regioni spazi di manovra per le specificità delle rispettive aree, ma preservando spazi territoriali adeguati all’offerta legale. In proposito, il nostro Osservatorio negli scorsi anni è stato audito da diversi Consigli regionali e dalle competenti Commissioni parlamentari. Nel corso di queste audizioni abbiamo avuto modo di illustrare quanto qui riassunto, e di segnalare il rischio inscindibilmente collegato alla compressione significativa dell’offerta legale: quello di avvantaggiare e lasciare spazi al gioco illegale e a quello gestito dalla criminalità organizzata. Su questo tornerò più avanti.

L’altro elemento che caratterizza le legislazioni regionali sul gioco, varate a partire dal 2012, è rappresentato dalla riserva per i Comuni di regolare gli orari di apertura dell’offerta di gioco pubblico. Qui la questione diviene più sfaccettata, nel senso che le ordinanze sindacali variano da Comune a Comune. Tendenzialmente, al fine di ridurre le opportunità di gioco nel corso della giornata, si è operato per comprimere gli orari di apertura di questi esercizi (ovvero di funzionamento degli apparecchi da gioco), fino ad un minimo di 8 ore quotidiane, in alcuni casi con interruzioni giornaliere e concentrazione delle aperture/funzionamento nella seconda serata. Anche in questo caso si è osservato che la creazione di fasce-ghetto può permettere ai giocatori più incalliti di sentirsi maggiormente a proprio agio, e la limitazione oraria della possibilità di gioco può

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aumentare il tasso di compulsività. Quanto osservato non intende oscurare i rischi rappresentati dalle “azzardopatie” sul piano sociale, sanitario e individuale, ma solo contribuire a segnalare che il doveroso impegno contro la dipendenza da gioco non può prescindere da una visione complessiva e da una reale e realistica valutazione degli effetti di quanto viene avanzato per contrastarla.

In conclusione, vorrei accennare alla tematica a me più congeniale: la lotta all’illegalità che, come magistrato, affronto da decenni; da sempre la gestione del gioco illegale rappresenta uno dei core business della criminalità organizzata. Il processo che nell’ultimo quarto di secolo ha portato lo Stato a regolamentare il gioco, per sottrarlo ai circuiti illegali già presenti e attivi, ha avuto il merito di limitare in buona parte lo spazio della criminalità che da sempre ha gestito quello clandestino, lucrando cifre enormi e, al contempo, assicurandosi il controllo del territorio.

Le Ricerche dell’Osservatorio dell’Eurispes hanno confermato un elemento da me sempre riscontrato: più si comprime l’offerta legale, tanto più spazio si lascia

a quello illegale. E se è vero che non mancano segnali di infiltrazioni criminali anche nella filiera legale (come peraltro avviene anche in molti altri settori industriali), da inquirente posso confermare che in questo ambito regolamentato è possibile verificare e contrastare le eventuali illegalità, mentre ciò diventa molto più arduo nell’area della piena illegalità, dove non esiste un modello prestabilito di riferimento ma una accentuata mutevolezza legata anche all’evoluzione tecnologica, e le regole dello Stato e le autorità competenti incontrano ostacoli e difficoltà di controllo e repressione dei reati.

Non si possono ignorare le criticità emerse in alcuni segmenti del gioco legale rispetto alle quali occorre rafforzare ancora di più la rete di controlli e la prevenzione dei tentativi di infiltrazione criminale. Al contempo, va constatato che gli interessi criminali si concentrano nei business paralleli al sistema concessorio dello Stato, che sfruttano piattaforme online poste all’estero e meccanismi illeciti talora molto sofisticati.

Ritengo occorra avere la consapevolezza che il sistema legale va rafforzato e che è necessaria molta attenzione al profilo della sua distribuzione territoriale per evitare la sua totale marginalizzazione fuori dai centri abitati.

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Gioco d’azzardo. Diamo i numeri

di Sonia Salvini, responsabile del Piano Regionale Gioco d’Azzardo di Alisa e membro dell’Osservatorio Nazionale per il contrasto della diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave

Ho iniziato a guardare al mondo delle dipendenze attraverso i consumi, partendo dai dati. Tutti i fenomeni hanno bisogno di avere una dimensione, di essere misurabili per poter andare oltre agli stereotipi che utilizziamo per orientarci. Il gioco d’azzardo ha pochissimi dati ufficiali e ancora vive di opinioni. “Tutti giocano”. La prima trappola è nel nome. Gioco. Da cui si fatica a liberarsi e che, per definizione, non rimanda ad alcun rischio. Più in generale, molte persone sostengono di non avere mai giocato d’azzardo semplicemente perché non fanno rientrare in questa categoria alcuni giochi come il Gratta&Vinci o il Totocalcio. Come si stabilisce dunque la soglia tra il gioco e l’azzardo, tra il ludico e il patologico? Si fissa con l’ammontare del denaro impiegato e, ancor più congruamente, con il tempo sociale di vita usato da chi gioca. L’ammontare del denaro impiegato, si traduce in quello disponibile che fino ad un certo “investimento” non altera lo standard di vita e che, progressivamente, porta invece a spendere più di quanto si possa, attingendo ai risparmi, chiedendo prestiti, indebitandosi. Il tempo sociale di vita è quello sottratto alla famiglia, al lavoro, ad altro passatempo.

I dati sommersi, grazie alle indagini campionarie, ci permettono di dare qualche numero. L’ultima rilevazione, molto empirica, proviene dall’Istituto Superiore di Sanità che fornisce un’immagine epidemiologica abbastanza importante: ci dice, infatti, che l’esperienza di gioco riguarda circa 18 milioni e mezzo di adulti e circa 700.000 minori. Di questi 18 milioni e mezzo di persone adulte, l’Istituto Superiore di Sanità ne seleziona circa 5,1 milioni di giocatori abitudinari; all’interno del sottoinsieme degli abitudinari, l’indagine seleziona 1 milione e mezzo di giocatori problematici, dove si trova la patologia. Se noi guardiamo ai dati regionali (liguri), le persone con disturbo da gioco d’azzardo sono solo 450. L’8% circa delle persone prese in carico dai servizi. Stessa percentuale si può trasferire a livello nazionale, rendendo vano l’appello all’emergenza.

In realtà noi sappiamo dai dati e da quanto ci riportano i volontari delle associazioni di auto-mutuo-aiuto e antiusura, che esiste un sommerso esteso di persone che hanno un problema di dipendenza da gioco ma che non si rivolgono ai Servizi per le Dipendenze, in parte perché non riconoscono la dipendenza e in parte perché danno la priorità alle urgenze date dall’indebitamento, dai problemi in famiglia e nel lavoro. Questo significa che c’è una domanda silente di presa in carico terapeutica, che di conseguenza esiste un potenziale di bisogno molto esteso che deve essere intercettato.

Come per tutte le sostanze, nel tempo si osservano cambiamenti. Cambia la sostanza, la modalità di assunzione, il contesto, la motivazione. Il gioco d’azzardo di cui parliamo oggi non è quello dal corredo iconografico affascinante che si praticava nei casinò e che vedeva coinvolte poche persone, perlopiù appartenenti alla classe agiata. Oggi abbiamo un gioco d’azzardo industriale, basato su tecniche di marketing che tendono a coinvolgere e catturare fasce di consumatori per ciascuna delle quali viene tracciato un profilo: secondo la composizione anagrafica, la condizione sociale-reddituale, la differenza di genere. Il gioco d’azzardo attuale, con i 111 miliardi di euro di flusso di transazioni, è gioco per le masse.

In generale, le persone non hanno conoscenze di base né riguardo alla patologia del gioco d’azzardo, né riguardo ai meccanismi neurologici a essa sottostanti. I concetti fondamentali sono tre (i) il fatto che il gioco patologico non è un vizio, ma un disturbo classificato all’interno del DSM V (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali); (ii) la spiegazione dei processi neuroplastici, cioè delle modifiche cerebrali che avvengono a seguito della ripetuta esperienza del gioco; (iii) la spiegazione dei meccanismi epigenetici nello sviluppo della dipendenza.

Cosa ci dicono i clinici? Che la dipendenza si forma con l’esperienza di gratificazione da esito incerto di un evento e che questa gratificazione diventa additiva

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se la frequenza è crescente. Per tornare al tempo dedicato al gioco: una persona a rischio passa ore a giocare anche se il gioco è rapidissimo: le slot machines concludono la giocata in sei secondi. L’alta frequenza del susseguirsi delle puntate consente di prolungare il trattenimento della persona nel gioco. In sostanza, mentre nel gioco fisico la struttura dell’impianto porta all’esaurimento del budget in 4, 5 turni di gioco, nel gioco digitale occorrono circa 20 turni per esaurire quello stesso budget. Le slot machines hanno suoni, colori, luci, sedute, studiate per contribuire a “rimanere”. Il gioco online compensa con maggiore tempo per esaurire la giocata. Quindi, la reiterazione è la struttura fondamentale di questo nuovo e tecnologicamente molto avanzato tipo di approccio al gioco. La reiterazione richiede tempo, tempo sottratto ad altro, a sé, alle relazioni, allo studio e lavoro. Quindi la regolazione sul tempo ricade sulle dinamiche della dipendenza e inciderebbe, se il decisore pubblico la assumesse per regolarla, in una strategia di riduzione dell’offerta.

Con il passaggio al gioco digitale, l’ampiezza dei consumatori è cresciuta e sono sempre più numerose le fasce giovanili. Preoccupa l’attività di gaming, praticata dai bambini attraverso giochi on line. Giochi che non prevedono vincite in denaro e che quindi non si possono definire azzardo, ma che hanno meccanismi simili e vanno a rafforzare la motivazione a continuare il gioco; assecondano quello che un bambino cerca: autonomia, competenza (illusoria possibilità di condizionare l’evento – partita) e la socialità che si attua nel giocare con amici coetanei, anche se distanti comunque presenti.

Rispetto ai giovanissimi, dall’indagine ESPAD del CNR

(studio europeo sui consumi tra gli studenti 15-19 anni) emerge che nell’ultimo anno ha giocato il 44% degli studenti 15-19 anni. L’8,2% ha giocato d’azzardo online. Gli studenti giocatori con profilo “a rischio” sono il 9,3%. Gli appartenenti a questa categoria si caratterizzano per un peggior rendimento scolastico e una maggiore predisposizione a mettere in atto comportamenti a rischio, compreso il cyberbullismo e il coinvolgimento nelle “challenge”, sfide e/o prove che bisogna affrontare per poter entrare a far parte di un gruppo o di una community.

Inquadrato il fenomeno, è facile arrivare alla conclusione che il paradosso è nella schizofrenia che sottende l’offerta. Sempre più ampia, sempre più sofisticata, sempre più invadente. Non palesemente pubblicizzata ma non ostacolata. Gioca, ma responsabilmente. E le persone cadono nella rete, giocano, diventano dipendenti.

Lo Stato non protegge nell’unico modo possibile: contrarre l’offerta.

Nel frattempo, gli addetti ai lavori dietro le quinteoperatori dei Servizi, il mondo dell’associazionismo e dell’autoaiuto, collaborano a costruire programmi che vanno dalla prevenzione all’intercettazione precoce, dalla presa in carico fino alla cura. Sempre più visibili. Negli ultimi anni il gioco d’azzardo anche al Festival della Scienza, un laboratorio di prevenzione per capirne i meccanismi. Programmi di prevenzione al gioco d’azzardo nelle scuole, laboratori teatrali, spazi di ascolto e accoglienza, sportelli informativi, un camper dedicato. Presenti e visibili sul territorio, hanno accettato la sfida. Riportare al valore del tempo, alla responsabilità etica, alla competenza per scegliere di non perdere. Con l’intenzione di vincerla.

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Non è un gioco. L’Azzardo, epidemia sommersa.

La Consulta Nazionale Antiusura da diversi anni ha intercettato l’azzardo come un fenomeno poliedrico e complesso che impatta non solo sulla vita economica, e sociale, ma anche sulla salute di una fetta importante della popolazione del Paese. È stata pioniera con gli appelli alle istituzioni e alla società civile contro il dilagare dell’azzardopatia. Le Fondazioni Antiusura non potevano non essere critiche nei confronti di uno Stato che negli anni ha consentito che l’Italia diventasse il terzo Paese al mondo per offerta di gioco. Ma l’azzardo non è un gioco. Uccide l’economia legale a beneficio di quella illegale. Benché negli ultimi anni le associazioni no slot abbiano fatto un grande lavoro per fare emergere il fenomeno in tutta la sua intensità, resta ancora sommerso il dramma di milioni di famiglie coinvolte in maniera diretta o indiretta dalla azzardopatia, dall’usura, dai fallimenti, dai suicidi. Temi connessi tra loro, che in un’ottica sistemica con le problematiche collegate all’accesso al credito, abbiamo messo di recente a Bari al centro di un confronto con la Campagna Mettiamoci in Gioco, la Caritas italiana e l’ABI. Secondo l’Istituto Superiore della Sanità, l’esperienza di gioco riguarda circa 18 milioni e mezzo di adulti e circa 700.000 minori. Di queste 18 milioni e mezzo di persone adulte, circa 5,1 milioni sono giocatori abitudinari; all’interno del sottoinsieme degli abitudinari, l’indagine seleziona 1 milione e mezzo di giocatori problematici. Lo scenario è di un business in continua espansione. I centri scommesse spuntano in ogni dove, dalle Dolomiti a Palermo. La crisi finanziaria del 2008, la pandemia, la guerra ucraino-russa, l’aumento delle materie prime e dell’inflazione hanno costretto molte attività commerciali a chiudere perché non ci stavano nei costi. Molte di queste attività sono state soppiantate dai centri scommesse. I dati diffusi dall’Agenzia delle Accise, Dogane e dei Monopoli (ADM) stimano che nel 2022 gli italiani per le varie tipologie di gioco hanno speso fino a 140 miliardi di euro, con un aumento del 30%. La Relazione conclusiva della Commissione

bicamerale antimafia sul gioco d’azzardo ha fatto emergere l’incremento esponenziale della raccolta di puntate ai vari giochi autorizzati osservato negli anni compresi dal 2006 al 2010, passando da 35,42 miliardi di euro a 61,43 miliardi di euro, e l’ulteriore balzo da 79,90 miliardi di euro nel 2011 a 110,80 miliardi di euro registrati nel 2021. È emerso anche che negli ultimi venti anni la distribuzione del gioco d’azzardo in concessione statale è divenuta capillare, fino a ricomprendere nel 2017 circa 238.000 punti di vendita distribuiti sull’intero territorio nazionale. A consuntivo del biennio della pandemia (2020-21), l’insieme degli apparecchi automatici “a moneta metallica” si è poi “attestato a circa 254.000 unità distribuiti in 51.837 locali. In un contesto di continuo incremento degli affari per i privati, ma anche per le mafie. È la Direzione Investigativa Antimafia a dirlo nella sua relazione semestrale relativa all’analisi sui fenomeni di criminalità organizzata di stampo mafioso del secondo semestre del 2021, sottolineando come lo specifico settore oltre che fonte primaria di guadagno verosimilmente superiore al traffico di stupefacenti, alle estorsioni e all’usura. Rappresentando inoltre uno strumento che ben si presta a qualsiasi forma di riciclaggio.

Il mondo associativo ha molto insistito affinché fosse ammonita qualunque forma di pubblicità e sponsorizzazioni ai giochi d’azzardo e alle scommesse, (radio, tv, stampa, “canali informatici digitali e telematici, inclusi i social media”), comprese le manifestazioni sportive, culturali o artistiche. Rispetto a tale “divieto assoluto”, (decreto-legge n. 87 del 2018), però, vi è stata una parziale “apertura” da AGCOM con “Linee guida”, deliberate il 18 aprile 2019. E poi, sono tante le forme di pubblicità indirette o aggiranti le norme che si riscontrano. Il punto di forza dell’azzardo sta nella perdita di controllo del giocatore patologico, che è disposto a tutto, anche mettersi al servizio della criminalità. Diventa pertanto anche limitativo quantificare il business di azzardopoli contando le

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giocate o ricavi annuali. L’azzardo rappresenta una forma di potere della criminalità sull’economia legale.

Con questi numeri è facile comprendere come il gioco d’azzardo patologico cresca in maniera esponenziale nel nostro Paese. La ludopatia, meglio dire azzardopatia, come riconosce l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è una vera e propria malattia mentale, con sintomi specifici, con impulsi incontrollabili a giocare d’azzardo o a fare scommesse in denaro. Le associazioni no slot si sono tanto battute affinché la ludopatia entrasse nei LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza del Servizio Sanitario Nazionale. Con il decreto-legge 13/09/ 2012 n. 158 (“Balduzzi”) e con il DPCM 12 gennaio 2017, vi è finalmente il riconoscimento pubblico delle patologie correlate all’azzardo e quindi l’obbligatorietà per lo Stato di prevedere un sistema di cura, che comporta dei costi non trascurabili per il Servizio Sanitario Nazionale. Costi che erodono per intero la quota delle entrate dello stato su questa posta di bilancio pubblico. L’aspetto fondamentale dell’azzardopatia da tener presente è che si può controllare la malattia, ma non si guarisce mai del tutto. Non esiste l’azzardopatico tipo o il soggetto più a rischio. Basta guardare con attenzione quando si va nelle tabaccherie, le persone chine sui biglietti a grattare o sulle macchinette sono giovani, anziani, uomini, donne, operai, casalinghe, pensionati, imprenditori, professionisti. Si può cadere nella trappola dell’azzardo in qualsiasi momento della vita. L’azzardo

si nutre di silenzio e vergogna. Sono i primi steccati da superare. Il giocatore patologico non ammetterà mai a sé stesso di soffrire di azzardopatia, le persone che gli sono più vicine provano un senso di vergogna a parlarne per chiedere aiuto perché si teme il giudizio. Gli esperti di compulsione del gioco affermano che parlarne con una persona di fiducia, non necessariamente un professionista, è proprio il primo passo verso l’uscita dal tunnel. Ascoltare senza giudicare è la prima forma di aiuto che si possa offrire. Purtroppo, la gente comune, che non ha competenze, le prime considerazioni che fa sono del tipo “te la sei cercata”, “ti sei giocato lo stipendio”. Sono stoccate che peggiorano la situazione, perché l’azzardopatia è una malattia vera propria che dà crisi di astinenza, è considerata alla pari della tossicodipendenza non specializzata. Far uscire la vittima dall’isolamento può aprire ai percorsi successivi, che sono di rivolgersi al medico di famiglia, al Sert o ai centri di auto-aiuto gruppi dei giocatori anonimi. Le Fondazioni Antiusura che vengono cercate quando la situazione debitoria ed economica è ormai al limite, dopo i primi ascolti indirizzano le vittime verso i centri specializzati che possano sostenere anche le famiglie dei giocatori compulsivi. La Consulta Nazionale Antiusura ha riscontrato, che con la pandemia si è ribaltato il rapporto tra il gioco sul territorio e quello on line, notoriamente più insidioso soprattutto per i minorenni, a favore del secondo (nel 2015 i mld erano

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70 nel territorio vs 15 dell’on line; nel 2021 sono stati 40 vs 70) aumentando la sovraesposizione del rischio azzardo.

Queste fragilità sociali richiamano il Governo ad assumere una posizione che segni un’inversione di rotta decisa rispetto al passato, che la Consulta ha riassunto in un documento, reso anche pubblico. L’appello si snoda in quattro mosse:

1. l’approvazione di una legge di riordino complessivo del settore del gioco d’azzardo, che va definita, di concerto, dai ministeri della Salute, del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Economia e Finanze, e che preveda la riduzione dell’offerta del gioco d’azzardo”.

2. Inoltre, si chiede “la salvaguardia della possibilità, per Regioni ed Enti locali, di intervenire con normative e regolamenti sull’offerta del gioco nel proprio territorio”.

3. E “l’obbligo dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli a fornire pubblicamente e periodicamente i dati sul settore

4. Infine, si chiede “attenzione al tema della dipendenza dal gioco d’azzardo nella ridefinizione del sistema sanitario e sociosanitario, in un’ottica di medicina di prossimità e di assistenza territoriale, come previsto nel Pnrr”.

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Rincorrere la fortuna tra la speranza e l’amarezza

Nel 2019 il gioco d’azzardo ha raccolto centodieci miliardi di euro, in Italia, nel 2020 ottantotto miliardi, suddivisi tra quarantanove online e trentanove fisicamente, negli esercizi commerciali. La pandemia ha di fatto ridotto il fenomeno, mantenendo però un regime altissimo di traffico monetario. Chi è dentro al fenomeno ora girerà gli occhi da un’altra parte, è normale, è naturale, ma dovrebbe avere la voglia e la curiosità di leggere fino in fondo questa pagina, insieme a tutte le altre che affrontano il problema.

Con i dati alla mano scopriamo che nel 2020 ottantotto miliardi sono stati raccolti, settantacinque distribuiti in vincite, tredici sono il guadagno, spartito tra lo

Stato, per sei miliardi e gli esercizi, le attività, per sette miliardi. Quindi, se non sbaglio, TREDICI miliardi sono il costo della giocata, un’effettiva e grande perdita. Analizzando un anno strano, considerando che ad oggi i numeri sono solamente cresciuti e il fenomeno si è amplificato.

Se parlassimo degli utili di un Teatro, un cinema, uno stadio, avremmo la consapevolezza che il prezzo di un biglietto abbia restituito emozioni, cultura, vicinanza; sarebbe stato un possibile luogo di incontro. Se parlassimo di agenzie di viaggi, di supermercati, di librerie, di bar, parleremmo ancora di una umanità che si raccoglie, che si esprime, che impara, che si incontra, che si prende cura. Invece parliamo di una dipendenza,

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di un disagio sociale su cui si lucra, di una malattia che può colpire chiunque in qualsiasi momento.

La stranezza è che ancora si giochi quando la cultura, la matematica, la psicologia, spronino e comunichino il male che ne deriva, in termini di impoverimento, dipendenza e alienazione; quando sia scientificamente definita la perdita e nel lungo termine sia evidente.

Esistono diversi punti di vista. Dostoevskij scriveva ne Il giocatore: “ora ho bisogno di denaro a qualsiasi costo”, sperando nella fortuna, credendo che quella via fosse quella giusta, forse l’unica percorribile. Rincari, fragilità e perdite, cambiamenti irreversibili che hanno messo in ginocchio famiglie e singoli, hanno reso la vita ancora più difficile, amplificando le fragilità e restituendo situazioni di sopravvivenza al limite della dignità, per cui a tratti, ma spesso, è andata persa la speranza, quella nel lavoro, nella produttività, nel talento (tanto spontanea al nostro sangue e alla nostra popolazione) e sono emerse le dipendenze.

C’è un altro punto di vista, quello degli esercenti che hanno accolto queste attività, forse senza pensarci troppo, anch’essi per chiudere il bilancio, per finire il mese, per pagare i dipendenti o, banalmente, l’affitto. Per loro servono alternative, quantomeno per chi ha la forza e il coraggio di guardare dietro al business e alla malattia e sceglie di cambiare rotta. Studiare nuove vie, opportunità, restituendogli margini nuovi, può essere un volano efficace verso la riduzione del problema.

Nel 2021 il gioco d’azzardo ha raccolto centoundici miliardi, superando i vertici raggiunti prima del Covid, l’Erario ne ha guadagnati, solo per sé 8,408; le vincite sono salite a novantacinque miliardi e mezzo, le giocate

sono quindi costate 15 miliardi e mezzo. Sorgono alcune riflessioni, emergono spontanee e semplici: l’aumento delle vincite sembra quasi solleticare la speranza nella giocata, quella forza che, alla resa dei conti, è più potente e resistente perfino della paura; dove finiscono tutti questi soldi? Quanto costano i percorsi terapeutici di guarigione dalle dipendenze, ai privati e quanto alla sanità pubblica?

Non bastano le righe e le parole, emergono ulteriori domande e riflessioni e ragionamenti da condividere e scenari da imbastire, altri da esplorare, sicuro un mondo da cambiare.

Abbiamo tutti bisogno di alternative alle dipendenze e siamo tutti dipendenti, basta pensare al gesto che fa il nostro pollice sullo schermo del cellulare per aggiornare le notifiche, abbassiamo una leva, come una slot machine. Quante volte al giorno ripetiamo questo gesto? (Ho smesso di contarle stamattina alle 7:00).

L’umanità ha bisogno di umanità, quella che il lockdown, il coprifuoco, le quarantene e le paranoie, ci hanno portato via, e con essa ha bisogno di speranza, quindi di opportunità, che bisogna costruire coma Stato, come Associazioni, come Enti, con e dalle Istituzioni.

Tornando alla matematica, che si fonda sulla semplificazione, una indicazione è essenziale ed è l’unica che possa portare al successo: smettere tutti di giocare, anche chi compra un biglietto l’anno, meno si gioca, meno malati ci sono. Più si gioca, più malati ci saranno.

«Capisco, ma desiderare i soldi non deve condurre alla follia! Il giocatore - Fëdor Dostoevskij

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Gioco d’azzardo industriale e boom dell’online, tra ragioni del profitto e diritti della persona

Nell’arco di appena cinque anni la composizione organica dei giochi d’azzardo in Italia (come già da tempo nel resto dei paesi europei) è radicalmente cambiata. Ancora nel 2017 circa 26 miliardi di euro erano stati puntati attraverso la rete internet, a fronte di altri 75 versati dai punti di raccolta nelle strade e nelle piazze delle città. Dunque, per ogni euro scommesso “da remoto” ne risultavano tre da un luogo fisico. Nell’anno 2021 le proporzioni si sono capovolte: il 67 per cento si è movimentato nei canali digitali e il restante (quello che i Monopoli denominano “gioco fisico”) è finito nelle slot machine, per i tagliandi di gratta e vinci e per lotto e lotterie, con le cartelle del bingo, ai videogiochi che simulano corse di cavalli nei bar e nelle tabaccherie e, sempre restando a quanto praticato con un supporto materiale, alle ricevitorie con sale che si aprono sui marciapiedi o nei centri commerciali.

La differenza è notevole, e dalle molte conseguenze: per il profitto privato, per le entrate fiscali, per la condizione della persona, per i tempi e la durezza ulteriore delle dipendenze patologiche che si diffondono. Vediamole con cura, sia immaginando gli sviluppi sia prendendo atto delle nuove prove che dovrebbero affrontare quanti operano nel campo dell’assistenza e della ricerca.

Cominciamo con il segnalare un tratto molto rilevante di quel che sta saturando l’universo del gioco d’azzardo: l’impiego degli algoritmi nelle piattaforme online, che attivano una sorta di pedinamento costante di chi consuma scommesse e invia denaro alle “sfide” che apre dal display dello smartphone. La persona, parliamo proprio dell’individuo singolo, è ben conosciuta nei suoi movimenti, nelle emozioni, negli impulsi nel corso della giornata (comprese le ore notturne). Si registra in un sito dei casinò online, entra con facilità nelle sale con i colori

creati con i pixel del suo device mobile che, meglio di un braccialetto elettronico, invierà al “banco” (il server del concessionario) un flusso costante di informazioni.

Per quei pochi (o quei tanti, non è noto il dato) che vorranno uscire, il percorso è in salita. Pochi click per entrare, molti minuti per uscire. Tempo che soffia contro la motivazione di terminare il gioco cui è arrivata – e dolorosamente – la persona piombata nella dipendenza da azzardo. Il popolo di uomini e donne in addiction è composito: lavoratori precari e professionisti stressati in una giornata pesante, casalinghe e studenti, pensionati e militari, medici, professori, disoccupati. Il web è una rete a strascico, e porta via chi incontra.

I tecnici dei casinò e dei siti di scommesse online hanno compilato i profili dei quattro milioni e mezzo di persone con un “conto di gioco” (in media, ogni cliente ne ha 2,5, di account). Ne ricavano, minuto per minuto, i cluster (gruppi di consumatori omogenei) affinché sia amministrato – con la massima personalizzazione possibile – il comportamento di giocatori. Il Garante della privacy tace, l’AGCOM nel 2019 si risparmiò di porre le regole (e definì “offerta commerciale” l’advertising delle scommesse…), in perfetta coerenza con i servizi che fino a quattro anni fa un’università, per lo più statale, forniva alle major dell’azzardo online.

Fermiamoci su questo particolare, corredandolo con le informazioni essenziali. Dunque, nel gioco d’azzardo online non esiste anonimato. Se il gestore di un bar con le slotmachine o di una sala di quartiere “vede” i clienti, e li conosce “di persona”, le piattaforme online si spingono molto lontano. Hanno l’anagrafe dei clienti (nome, cognome, età, sesso, residenza, luogo di collegamento e tutto il resto ricavabile dal codice fiscale). Il server registra il tempo di gioco (volta per volta e poi con

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statistiche ottimizzate) il denaro versato (idem) gli orari e i luoghi di collegamento (ibidem) in treno, in casa, in ufficio e alla fermata dei bus. Tutto è tracciato. Tali big data sono più preziosi dell’oro e dei diamanti.

Quando poi la persona giocatrice si collega (esattamente come quando è in una sala slot) la gamma “armocromatica” dei display ottimizzata per generare trance ipnotica sulla percezione della dinamica di luminosità, come le frequenze sonore (mi bemolle e si bemolle, corrispondenti a quelle delle aritmie cardiache) concorrono a fidelizzare quel particolare cliente. Si comprende allora lo scenario che si va consolidando.

La persona, davanti a tale intrusione, è quasi del tutto privata di protezione giuridica dall’ordinamento. È avvenuta la rivoluzione del digitale, anche, forse soprattutto nel gioco d’azzardo. La normativa è quella, già insufficiente in generale, per le mere transazioni commerciali nel web o per la profilatura degli utenti dei milioni dei siti internet. Niente di dedicato alla

“commercializzazione” di quel prodotto sui generis che sostiene un business grazie alla fidelizzazione dei clienti con l’addiction. Il gioco d’azzardo, occorre ricordarlo a tanti economisti silenti, consente un margine di profitto fondamentale grazie alla vigenza, anche in questo campo, della “legge di Pareto”. Che così recita: fatto cento il valore di un’attività economica, l’utilità marginale deriva dal 20 per cento dei clienti perché a essi si deve l’80 per cento degli acquisti.

Declinato per la materia dell’azzardo, e avvalendosi di una lettura della ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità del 2018, significa che dei 18 milioni e mezzo di italiani adulti che almeno una volta giocano nel corso dell’anno, il focus va posto sui 5 milioni e 100 mila che lo fanno abitudinariamente. All’interno di questi ultimi ve ne sono oltre un milione e mezzo che l’ISS individua come “problematici” (nel senso del problematic gambling, ovvero in addiction). Ed ecco i ricavi1, ovvero le perdite pro-capite, rispettivamente dai tre profili di consumatori.

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1 M. Fiasco, Relazione su L’impatto del danno economico nel Disturbo da Gioco d’Azzardo, al convegno nazionale sul disturbo da gioco d’azzardo, promosso dalla Regione Veneto, dalla ULSS2 e con il patrocinio di Alea, Castelfranco Veneto 9-10 marzo 2023.

In media un giocatore occasionale (qualcuno lo definirebbe praticante del “gioco responsabile”) perde durante i dodici mesi 289 euro; l’abitudinario (parliamo ovviamente dell’abitudinario medio) ne lascia al banco “solo” 861; il “patologico” ne perde 8334, vale a dire 23 euro al di’. Tratti conti aggregati ecco i valori: 3,9 miliardi di euro sono incassati con le perdite dei “responsabili”; 3,1 sono consegnati dagli “abitudinari” a rischio e ancora non patologici, ma 12,5 derivano dagli addicted. Il calcolo che abbiamo compiuto, va precisato, è “al netto” dei 670 mila minorenni studenti, tra i quali quasi 70 mila (68.850) sono valutati come “problematici”.

La conclusione è di una evidenza schiacciante: il business è derivato dalla dipendenza patologica delle persone, ovvero da una condizione di sofferenza che viene costruita con un sofisticato progetto industriale, ancora sconosciuto quanto ai suoi interna corporis. Perché? Tra le cause segnaliamo una curiosa asimmetria, proprio in materia di dati, in verità necessari al fine di conoscere per deliberare nell’interesse pubblico. Ebbene, quel che è ben trattato dall’industria dei giochi d’azzardo – ovvero l’anagrafe dei giocatori online – è stato fino al dicembre

scorso risolutamente non trasmesso al ministero della Salute. Lì, sarebbe avvenuto un rovesciamento della prospettiva, perché i cluster di popolazione giocatrice più remunerativa (per i concessionari) sarebbero divenuti la base per ricavare l’epidemiologia esatta delle patologie da azzardo.

L’indisponibilità dei dati analitici ha infatti privato, negli anni del boom del gioco d’azzardo industriale di massa, l’Autorità nazionale in materia sanitaria degli essenziali elementi per imporre di bilanciare gli interessi economici (privati) e quelli fiscali (pubblici) con la salvaguardia della Salute, ovvero del diritto che la Costituzione (articolo 32) tutela quale fondamentale e irrevocabile.

Solo nel gennaio di quest’anno le amministrazioni competenti (ADM e MEF) si sono impegnate a trasmettere i dati, ufficiali e di interesse pubblico2 ,all’Osservatorio ministeriale.

Parafrasando l’indimenticabile maestro Mario Lodi, viene da pensare “C’è speranza se questo accade al Vho3”, e dunque al risveglio di attenzione della nostra Sanità.

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L’azzardo non è un gioco

Dal 2017 mi occupo attivamente, nell’ambito del ventaglio di interventi proposti dal nostro Centro di Solidarietà, di cura, riabilitazione e contrasto al fenomeno del Gioco d’azzardo Patologico, accogliendo e seguendo persone compromesse dalla dipendenza in questione, coordinando inoltre una squadra di colleghi inseriti nei progetti di prevenzione e promozione della salute all’interno delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado. Nel 2016 incoraggiato dal collega Giovanni Lizzio che già da anni aveva portato alle attenzioni del nostro Centro di Solidarietà questo nuovo, si fa per dire, problematico scenario ho iniziato ad avvicinarmi, formarmi e sensibilizzarmi alla tematica sociale dell’azzardo.

Da subito ho potuto comprendere che il problema non era affatto una novità per il nostro territorio, ma un fenomeno sommerso e radicato nella vita di molti cittadini. Le richieste di supporto arrivate allo sportello e le storie dei nostri utenti, rivissute nei loro colloqui, hanno confermato il lato oscuro dei luoghi in cui è promessa la vincita di cifre economiche e promossa la cultura della scommessa e dell’azzardo con investimenti monetari.

Le fotografie presentate spesso figurano situazioni di importanti fatiche individuali. Storie di vita all’interno delle quali il gioco d’azzardo ha preso sempre più spazio, portando a gravi conseguenze finanziarie, con ripercussioni familiari e sociali. Molte persone seguite sono arrivate da noi solo dopo la perdita del lavoro, delle relazioni significative o per situazioni finanziarie di sovraindebitamenti, a causa degli elevati costi del gioco d’azzardo. Nonostante l’impegno del personale ed i supporti ministeriali arrivati in soccorso alle azioni di contrasto al fenomeno dell’azzardo a livello regionale e locale spesso solo alcuni cittadini accedono o hanno fatto accesso ai servizi di ascolto, consulenza e terapia, mentre tanti altri continuano a giocare, aggravando la loro situazione finanziaria nella speranza che una fortunata vincita possa finalmente sistemare tutto.

È proprio qui che sta il maggiore pericolo del gioco d’azzardo, pericolo rappresentato dal fatto che si può

instaurare nel soggetto una dinamica di dipendenza patologica, con valenze spesso croniche e recidivanti, che rendono faticosa e a volte impossibile una gestione razionale degli affetti e degli investimenti economici.

La speranza auspicabile è che la cultura cambi, a favore di maggiori consapevolezze e responsabilità verso la propria salute e quella del prossimo.

Le persone devono conoscere i rischi associati alla dipendenza da gioco d’azzardo, in particolare i giovani soggetti sempre di più a stimoli provenienti dal mondo dell’online. È importante che la società sia incoraggiata a riconoscere il problema e ad appoggiare chi sta lottando contro il gioco d’azzardo patologico, eliminando lo stigma che spesso viene associato alle dipendenze.

Cambiano i termini infatti rispetto alle dipendenze fisiche da sostanze rimane la superficialità che spesso tende a banalizzare il problema del DGA - Disturbo da Gioco d’Azzardo Patologico, perché è importante parlare delle cose con il loro nome, a favore di erronee interpretazioni di vizi. Le persone che soffrono di questa dipendenza, infatti, hanno bisogno di ricevere aiuti provenienti da personale formato e qualificato per uscirne e ricostruire le loro vite. Le interpretazioni provenienti dagli ambienti circostanti, che spesso descrivono la persona compromessa come soggetta

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da un vizio estinguibile con un po’ di impegno, non favoriscono il riconoscimento precoce dei sintomi di malattia e quindi l’instaurarsi di un trattamento precoce della problematica.

A Genova dal 2019 il Progetto Game Over - l’Azzardo Divora che si colloca nel quadro del Piano Regionale GAP - DGR 773/2018, promuove l’attivazione di una Rete di Servizi Coordinati dai Ser.D della ASL3 in collaborazione con gli Enti del privato Accreditati per il contrasto di fenomeni azzardo-correlati in tutti i distretti sanitari genovesi. Il Piano Game Over - L’ Azzardo Divora vuole incidere sul fenomeno del gioco d’azzardo problematico nel territorio genovese, infatti, oltre che con l’attivazione di occasioni di cura e reinserimento sociale, anche tramite la sensibilizzazione della popolazione generale sui rischi connessi all’azzardo e quindi l’attivazione di percorsi di prevenzione specifici per la popolazione giovanile per potenziare il loro senso critico.

Il ventaglio di interventi attivi e coordinati tra di loro

sul territorio è ampio, in risposta ad una problematica che non risparmia nessuno, poiché nessuna fascia di età o strato sociale ne è esente.

I fattori di pressione culturali, commerciali e la moderna industria del gioco intercettano infatti le vulnerabilità dei loro clienti con prodotti sempre più appetibili e curati nei più piccoli dettagli. Siamo infatti consapevoli che numerose volte chi si avvicina alle emozioni restituite dal gioco d’azzardo spesso non cerca un profitto economico ma principalmente un rifugio da fatiche personali ed emotive.

La seduzione del gioco sta nell’illusione di poter eliminare le proprie sofferenze delegando all’esterno la soluzione a tutto, ad una “ruota della fortuna” che promette pienezza e riconoscimenti.

Per noi l’educazione e la cura partono da qui dal dialogo e dal confronto con il gruppo ed il prossimo per fare cadere giudizi, colpe e distorsioni a favore di un percorso di responsabilizzazione verso se stessi, la propria salute e la collettività.

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