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Giochi: un modello concessorio rafforzato per la tutela della salute e della legalità
di Antonio De Donno, Procuratore di Brindisi e Presidente dell’Osservatorio Giochi, Legalità e Patologie dell’Eurispes
Ringrazio il CEIS Genova per l’invito ad esprimere il mio pensiero su di un tema di così forte impatto sociale quale quello delle dipendenze da gioco.
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In premessa devo però precisare che le mie competenze in ambito socio-sanitario sono limitate e che, come Presidente dell’Osservatorio Giochi, Legalità e Patologie dell’Eurispes e come magistrato, ho avuto modo di interessarmi in primo luogo degli aspetti della legalità relativamente all’area del gioco pubblico, ovvero quello regolamentato dallo Stato attraverso il sistema concessorio, e di quelli assai preoccupanti che vedono la presenza dell’illegalità e della criminalità organizzata.
Certo, le numerose ricerche realizzate negli scorsi anni dall’Osservatorio, hanno affrontato anche il tema della dipendenza da gioco d’azzardo (D.G.A., prima indicata dal punto di vista clinico come G.A.P. ovvero gioco d’azzardo patologico). In tale ambito il nostro contributo ha segnalato, per un verso, che il cittadino in difficoltà in molte regioni non è adeguatamente assistito dai Servizi per le Dipendenze (SerD), per l’altro che le legislazioni regionali e i regolamenti comunali varati con l’obiettivo di limitare i rischi di “azzardopatie”, pur apprezzabili negli intenti non raggiungono o corrono il rischio di non raggiungere realmente il loro obiettivo e, in qualche misura possono risultare addirittura controproducenti.
Andando con ordine, dalle Ricerche di ambito territoriale il nostro Osservatorio ha dovuto constatare che l’offerta socio-sanitaria è carente.
In primo luogo, si manifesta una grande difficoltà a intercettare i giocatori patologici. I “numeri” dei cittadini presi in carico dai SerD sono poco significativi sia in valore assoluto sia in relazione all’allarme sociale che sempre più si accompagna al tema delle “azzardopatie”. Per fare un esempio, in tutta la regione Liguria nel 2021 le Asl hanno assistito 450 cittadini.
Inoltre, in molti SerD non sono applicati specifici protocolli per le dipendenze sine substantia, che per altro assai spesso rientrano in un quadro di “comorbilità”: droghe, alcol, tabagismo. Da questo punto di vista si potrebbe fare molto di più, e lo stesso vale per l’area della prevenzione attraverso attività di informazione e sensibilizzazione sui rischi del gioco che dovrebbe essere intensificata a partire dalle scuole.
Per ciò che riguarda gli strumenti principali che tutte le Regioni hanno normato nelle proprie legislazioni sul gioco, – la Liguria è stata la prima ad approvare, nel 2012, una specifica legislazione in materia – essi sono riassumibili nel cosiddetto “distanziometro” e nella possibilità da parte dei Comuni di stabilire gli orari di esercizio delle attività del gioco. (...) Ora, la validità di questi strumenti per la finalità della limitazione dei rischi di insorgenza della dipendenza da gioco è dubbia. Quanto al “distanziometro”, ovvero al divieto di installazione di esercizi per l’offerta di gioco legale entro una determinata distanza (300-500 metri) da una serie di luoghi “sensibili” (scuole, chiese, ospedali, circoli culturali, ecc.), il nostro Osservatorio fin dal 2018, nell’ambito di una Ricerca sulla regione Puglia, ha dovuto constatare che mentre la “distanza” dei luoghi dell’offerta di gioco può rappresentare una disincentivazione per il giocatore cosiddetto “sociale”, per il giocatore “problematico” e per quello “patologico” il fatto di doversi spostare per giocare in zone distanti dai luoghi di lavoro e di abitazione, in genere più frequentati e dove si è più conosciuti, non rappresenta uno scoglio; anzi, al contrario, il giocatore “patologico” predilige proprio la condizione di tendenziale anonimato che si realizza in luoghi ed aree meno frequentate.
Questa valutazione espressa dall’Osservatorio ha trovato conferma in quanto segnalato nell’importante ricerca pubblicata, sempre nel 2018, dall’Istituto Superiore di Sanità.
Inoltre, dagli approfondimenti svolti è emerso che l’applicazione del “distanziometro” rischierebbe di generare, in buona parte dei territori, un vero e proprio effetto espulsivo dell’offerta del gioco pubblico. Dalla mappatura effettuata sempre dall’Osservatorio di alcune aree urbane (Torino, Roma), contenente le diverse tipologie di luoghi “sensibili”, è risultato che l’effetto espulsivo dell’offerta di gioco legale interesserebbe tra il 97 e il 98% delle strutture esistenti. Ho usato il condizionale perché, malgrado tutte le legislazioni regionali abbiano contemplato al momento del varo dello strumento del “distanziometro” una originaria moratoria di 3/5 anni per l’adeguamento e la ricollocazione delle istallazioni e degli esercizi esistenti, con l’approssimarsi delle scadenze tutti i Consigli regionali hanno nuovamente legiferato, “allungando” di ulteriori anni la moratoria o, come nel caso della Liguria, rimandando l’applicazione di questo strumento all’avvenuta emanazione di un auspicabile “piano nazionale sul GAP”.
In sostanza, si può affermare che il “distanziometro”, a causa delle sue contraddizioni e della pratica impossibilità di essere applicato per come previsto ed in modo disomogeneo sul territorio nazionale, attende che il legislatore nazionale disegni una cornice di princìpi e regole generali per garantire una certa uniformità, pur riservando alle regioni spazi di manovra per le specificità delle rispettive aree, ma preservando spazi territoriali adeguati all’offerta legale. In proposito, il nostro Osservatorio negli scorsi anni è stato audito da diversi Consigli regionali e dalle competenti Commissioni parlamentari. Nel corso di queste audizioni abbiamo avuto modo di illustrare quanto qui riassunto, e di segnalare il rischio inscindibilmente collegato alla compressione significativa dell’offerta legale: quello di avvantaggiare e lasciare spazi al gioco illegale e a quello gestito dalla criminalità organizzata. Su questo tornerò più avanti.
L’altro elemento che caratterizza le legislazioni regionali sul gioco, varate a partire dal 2012, è rappresentato dalla riserva per i Comuni di regolare gli orari di apertura dell’offerta di gioco pubblico. Qui la questione diviene più sfaccettata, nel senso che le ordinanze sindacali variano da Comune a Comune. Tendenzialmente, al fine di ridurre le opportunità di gioco nel corso della giornata, si è operato per comprimere gli orari di apertura di questi esercizi (ovvero di funzionamento degli apparecchi da gioco), fino ad un minimo di 8 ore quotidiane, in alcuni casi con interruzioni giornaliere e concentrazione delle aperture/funzionamento nella seconda serata. Anche in questo caso si è osservato che la creazione di fasce-ghetto può permettere ai giocatori più incalliti di sentirsi maggiormente a proprio agio, e la limitazione oraria della possibilità di gioco può aumentare il tasso di compulsività. Quanto osservato non intende oscurare i rischi rappresentati dalle “azzardopatie” sul piano sociale, sanitario e individuale, ma solo contribuire a segnalare che il doveroso impegno contro la dipendenza da gioco non può prescindere da una visione complessiva e da una reale e realistica valutazione degli effetti di quanto viene avanzato per contrastarla.

In conclusione, vorrei accennare alla tematica a me più congeniale: la lotta all’illegalità che, come magistrato, affronto da decenni; da sempre la gestione del gioco illegale rappresenta uno dei core business della criminalità organizzata. Il processo che nell’ultimo quarto di secolo ha portato lo Stato a regolamentare il gioco, per sottrarlo ai circuiti illegali già presenti e attivi, ha avuto il merito di limitare in buona parte lo spazio della criminalità che da sempre ha gestito quello clandestino, lucrando cifre enormi e, al contempo, assicurandosi il controllo del territorio.
Le Ricerche dell’Osservatorio dell’Eurispes hanno confermato un elemento da me sempre riscontrato: più si comprime l’offerta legale, tanto più spazio si lascia a quello illegale. E se è vero che non mancano segnali di infiltrazioni criminali anche nella filiera legale (come peraltro avviene anche in molti altri settori industriali), da inquirente posso confermare che in questo ambito regolamentato è possibile verificare e contrastare le eventuali illegalità, mentre ciò diventa molto più arduo nell’area della piena illegalità, dove non esiste un modello prestabilito di riferimento ma una accentuata mutevolezza legata anche all’evoluzione tecnologica, e le regole dello Stato e le autorità competenti incontrano ostacoli e difficoltà di controllo e repressione dei reati.
Non si possono ignorare le criticità emerse in alcuni segmenti del gioco legale rispetto alle quali occorre rafforzare ancora di più la rete di controlli e la prevenzione dei tentativi di infiltrazione criminale. Al contempo, va constatato che gli interessi criminali si concentrano nei business paralleli al sistema concessorio dello Stato, che sfruttano piattaforme online poste all’estero e meccanismi illeciti talora molto sofisticati.
Ritengo occorra avere la consapevolezza che il sistema legale va rafforzato e che è necessaria molta attenzione al profilo della sua distribuzione territoriale per evitare la sua totale marginalizzazione fuori dai centri abitati.