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Gioco d’azzardo. Diamo i numeri

di Sonia Salvini, responsabile del Piano Regionale Gioco d’Azzardo di Alisa e membro dell’Osservatorio Nazionale per il contrasto della diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave

Ho iniziato a guardare al mondo delle dipendenze attraverso i consumi, partendo dai dati. Tutti i fenomeni hanno bisogno di avere una dimensione, di essere misurabili per poter andare oltre agli stereotipi che utilizziamo per orientarci. Il gioco d’azzardo ha pochissimi dati ufficiali e ancora vive di opinioni. “Tutti giocano”. La prima trappola è nel nome. Gioco. Da cui si fatica a liberarsi e che, per definizione, non rimanda ad alcun rischio. Più in generale, molte persone sostengono di non avere mai giocato d’azzardo semplicemente perché non fanno rientrare in questa categoria alcuni giochi come il Gratta&Vinci o il Totocalcio. Come si stabilisce dunque la soglia tra il gioco e l’azzardo, tra il ludico e il patologico? Si fissa con l’ammontare del denaro impiegato e, ancor più congruamente, con il tempo sociale di vita usato da chi gioca. L’ammontare del denaro impiegato, si traduce in quello disponibile che fino ad un certo “investimento” non altera lo standard di vita e che, progressivamente, porta invece a spendere più di quanto si possa, attingendo ai risparmi, chiedendo prestiti, indebitandosi. Il tempo sociale di vita è quello sottratto alla famiglia, al lavoro, ad altro passatempo.

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I dati sommersi, grazie alle indagini campionarie, ci permettono di dare qualche numero. L’ultima rilevazione, molto empirica, proviene dall’Istituto Superiore di Sanità che fornisce un’immagine epidemiologica abbastanza importante: ci dice, infatti, che l’esperienza di gioco riguarda circa 18 milioni e mezzo di adulti e circa 700.000 minori. Di questi 18 milioni e mezzo di persone adulte, l’Istituto Superiore di Sanità ne seleziona circa 5,1 milioni di giocatori abitudinari; all’interno del sottoinsieme degli abitudinari, l’indagine seleziona 1 milione e mezzo di giocatori problematici, dove si trova la patologia. Se noi guardiamo ai dati regionali (liguri), le persone con disturbo da gioco d’azzardo sono solo 450. L’8% circa delle persone prese in carico dai servizi. Stessa percentuale si può trasferire a livello nazionale, rendendo vano l’appello all’emergenza.

In realtà noi sappiamo dai dati e da quanto ci riportano i volontari delle associazioni di auto-mutuo-aiuto e antiusura, che esiste un sommerso esteso di persone che hanno un problema di dipendenza da gioco ma che non si rivolgono ai Servizi per le Dipendenze, in parte perché non riconoscono la dipendenza e in parte perché danno la priorità alle urgenze date dall’indebitamento, dai problemi in famiglia e nel lavoro. Questo significa che c’è una domanda silente di presa in carico terapeutica, che di conseguenza esiste un potenziale di bisogno molto esteso che deve essere intercettato.

Come per tutte le sostanze, nel tempo si osservano cambiamenti. Cambia la sostanza, la modalità di assunzione, il contesto, la motivazione. Il gioco d’azzardo di cui parliamo oggi non è quello dal corredo iconografico affascinante che si praticava nei casinò e che vedeva coinvolte poche persone, perlopiù appartenenti alla classe agiata. Oggi abbiamo un gioco d’azzardo industriale, basato su tecniche di marketing che tendono a coinvolgere e catturare fasce di consumatori per ciascuna delle quali viene tracciato un profilo: secondo la composizione anagrafica, la condizione sociale-reddituale, la differenza di genere. Il gioco d’azzardo attuale, con i 111 miliardi di euro di flusso di transazioni, è gioco per le masse.

In generale, le persone non hanno conoscenze di base né riguardo alla patologia del gioco d’azzardo, né riguardo ai meccanismi neurologici a essa sottostanti. I concetti fondamentali sono tre (i) il fatto che il gioco patologico non è un vizio, ma un disturbo classificato all’interno del DSM V (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali); (ii) la spiegazione dei processi neuroplastici, cioè delle modifiche cerebrali che avvengono a seguito della ripetuta esperienza del gioco; (iii) la spiegazione dei meccanismi epigenetici nello sviluppo della dipendenza.

Cosa ci dicono i clinici? Che la dipendenza si forma con l’esperienza di gratificazione da esito incerto di un evento e che questa gratificazione diventa additiva se la frequenza è crescente. Per tornare al tempo dedicato al gioco: una persona a rischio passa ore a giocare anche se il gioco è rapidissimo: le slot machines concludono la giocata in sei secondi. L’alta frequenza del susseguirsi delle puntate consente di prolungare il trattenimento della persona nel gioco. In sostanza, mentre nel gioco fisico la struttura dell’impianto porta all’esaurimento del budget in 4, 5 turni di gioco, nel gioco digitale occorrono circa 20 turni per esaurire quello stesso budget. Le slot machines hanno suoni, colori, luci, sedute, studiate per contribuire a “rimanere”. Il gioco online compensa con maggiore tempo per esaurire la giocata. Quindi, la reiterazione è la struttura fondamentale di questo nuovo e tecnologicamente molto avanzato tipo di approccio al gioco. La reiterazione richiede tempo, tempo sottratto ad altro, a sé, alle relazioni, allo studio e lavoro. Quindi la regolazione sul tempo ricade sulle dinamiche della dipendenza e inciderebbe, se il decisore pubblico la assumesse per regolarla, in una strategia di riduzione dell’offerta.

Con il passaggio al gioco digitale, l’ampiezza dei consumatori è cresciuta e sono sempre più numerose le fasce giovanili. Preoccupa l’attività di gaming, praticata dai bambini attraverso giochi on line. Giochi che non prevedono vincite in denaro e che quindi non si possono definire azzardo, ma che hanno meccanismi simili e vanno a rafforzare la motivazione a continuare il gioco; assecondano quello che un bambino cerca: autonomia, competenza (illusoria possibilità di condizionare l’evento – partita) e la socialità che si attua nel giocare con amici coetanei, anche se distanti comunque presenti.

Rispetto ai giovanissimi, dall’indagine ESPAD del CNR

(studio europeo sui consumi tra gli studenti 15-19 anni) emerge che nell’ultimo anno ha giocato il 44% degli studenti 15-19 anni. L’8,2% ha giocato d’azzardo online. Gli studenti giocatori con profilo “a rischio” sono il 9,3%. Gli appartenenti a questa categoria si caratterizzano per un peggior rendimento scolastico e una maggiore predisposizione a mettere in atto comportamenti a rischio, compreso il cyberbullismo e il coinvolgimento nelle “challenge”, sfide e/o prove che bisogna affrontare per poter entrare a far parte di un gruppo o di una community.

Inquadrato il fenomeno, è facile arrivare alla conclusione che il paradosso è nella schizofrenia che sottende l’offerta. Sempre più ampia, sempre più sofisticata, sempre più invadente. Non palesemente pubblicizzata ma non ostacolata. Gioca, ma responsabilmente. E le persone cadono nella rete, giocano, diventano dipendenti.

Lo Stato non protegge nell’unico modo possibile: contrarre l’offerta.

Nel frattempo, gli addetti ai lavori dietro le quinteoperatori dei Servizi, il mondo dell’associazionismo e dell’autoaiuto, collaborano a costruire programmi che vanno dalla prevenzione all’intercettazione precoce, dalla presa in carico fino alla cura. Sempre più visibili. Negli ultimi anni il gioco d’azzardo anche al Festival della Scienza, un laboratorio di prevenzione per capirne i meccanismi. Programmi di prevenzione al gioco d’azzardo nelle scuole, laboratori teatrali, spazi di ascolto e accoglienza, sportelli informativi, un camper dedicato. Presenti e visibili sul territorio, hanno accettato la sfida. Riportare al valore del tempo, alla responsabilità etica, alla competenza per scegliere di non perdere. Con l’intenzione di vincerla.

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