
5 minute read
Il gioco d’azzardo patologico
Editoriale di Luciano Squillaci, Presidente della F.I.C.T - Federazione Italiana Comunità Terapeutiche
Ormai, da tempo, ci siamo convinti di vivere un periodo storico particolarmente complicato, citando la pandemia prima e poi la guerra come fossero fattori determinanti del disagio generalizzato che caratterizza il nostro oggi, e non invece semplici elementi acceleratori che hanno consentito al male di vivere, anche sommerso, di esplodere in tutta la sua drammatica realtà. Il fenomeno delle dipendenze, in particolare l’azzardo, ha raggiunto negli ultimi anni una dimensione preoccupante, aumentando e modificando modalità di diffusione e tendenze di consumo. E certo la pandemia non ne ha limitato la portata e la drammaticità. Anzi, droga, alcol, gioco d’azzardo, hanno trovato nuovi spazi, nuovi mercati, a cominciare dal web. Oggi, teoricamente, è sufficiente un cellulare connesso alla rete per generare un giocatore d’azzardo patologico.
Advertisement
Il covid ha evidenziato maggiormente quanto siano profonde le fragilità, le sofferenze, le solitudini. Il mondo si è fermato e siamo stati costretti a guardarci dentro, scoprendo che sofferenza e angoscia di vivere hanno trovato sollievo nell’uso continuativo di sostanze e nel gioco, come fuga dalla solitudine e da se stessi, sedativi ingannevoli per sopravvivere.
L’azzardo è una dipendenza particolarm ente insidiosa, che provoca una forte destabilizzazione relazionale, affettiva, sociale ed economica, drammaticamente sottovalutata dalla società in termini di pericolosità, complice l’inadeguatezza degli interventi e soprattutto una carenza culturale ed informativa. I giocatori e le loro famiglie, quando arrivano a chiedere aiuto, il più delle volte, non considerano la patologia in quanto tale, ma si ritengono solo portatori di un problema di carattere economico ed al limite sociale o educativo. Quasi mai si ritengono persone con un problema di dipendenza. Eppure, come la droga, l’azzardo è un problema trasversale che sta interessando tutte le fasce d’età e non solo i più giovani, sempre più soli e a stretto contatto con le nuove tecnologie ed internet, e come la droga è un disturbo ossessivo compulsivo specificamente definito dal DSM-5 come dipendenza comportamentale.
La tendenza che più allarma è la normalizzazione di un fenomeno che rappresenta, in Italia, un nuovo agente di povertà per le famiglie e il maggior reddito per le mafie. Una normalizzazione che sta determinando, in diverse regioni, una sorta di marcia indietro rispetto la normativa più restrittiva, in termini di distanze ed orari di apertura delle sale gioco, che negli anni passati aveva consentito quanto meno di porre alcuni limiti al dilagare scriteriato delle slot e delle sale scommesse.
Un messaggio diseducativo, “tutto è normale e quindi è consentito” che colpisce soprattutto i più giovani, vittime di un disagio silenzioso, strisciante, sottotraccia, che sempre più spesso trova sfogo nella dipendenza o nella depressione. Un vuoto relazionale che rende ancora più vulnerabili, soprattutto gli adolescenti, di fronte ad una normalizzazione dell’eccesso sempre più pericolosa e concreta.
La complessità di una dipendenza come quella da gioco d’azzardo impone una riflessione di sistema. Una dipendenza subdola che distrugge tutto ciò che sta intorno alla persona: la famiglia, la salute, l’economia, il lavoro, persino la rete amicale, e che necessita, anche più delle altre forme di dipendenza, di un intervento integrato che tenga conto di tutta questa complessità. Occorre fare fronte comune, società civile, servizi pubblici, territori, comuni, regioni, scuole, Chiesa, per sostenere ed accompagnare tutti coloro che si trovano dentro questo vortice di morte, lavorare per il sostegno ai familiari, impegnare risorse nel sistema di cura e nel sostegno economico, accompagnare le persone ai servizi.
Ed è necessario mettere al primo posto la formazione, l’informazione, la prevenzione. Promuovere una corretta cultura del benessere contrapponendosi alla normalizzazione del gioco d’azzardo, come un effetto collaterale di poco conto di una società liquida che inneggia al facile profitto.
Secondo i dati dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli
(AdM), nel 2022 gli italiani hanno speso 140 miliardi di euro per il gioco. Al contrario, i fondi stanziati dallo Stato per il contrasto alla dipendenza da gioco, già di per sé insufficienti, spesso non vengono neanche spesi integralmente dalle Aziende sanitarie sui territori.
Si stima che in Italia, oggi, l’azzardo coinvolge una popolazione di circa 5,2 milioni di ‘abitudinari’, di cui circa 1,2 milioni sono considerati problematici, ovvero con dipendenza patologica.
Numeri enormi che non possono lasciare indifferenti. E che dovrebbero preoccupare ancora di più se si tiene conto dell’evoluzione che ha caratterizzato il mercato del gioco. Il periodo di lockdown lo ha mostrato ampiamente ed ha portato ad un nuovo modello di gioco rispetto al passato, solitario, decontestualizzato (ad ogni ora ed in ogni luogo), con regole semplici che ne consentono una facile accessibilità e grande velocità, favorendo la compulsività, e per questo rivolto ad ampie fasce di interlocutori, come gli adolescenti, tra i quali è molto diffuso attualmente il gioco delle macchine videopoker. I veri beneficiari dell’azzardo restano le lobbies finanziarie e, nella stragrande maggioranza dei casi, le organizzazioni malavitose, che utilizzano le sale slot come “lavatrici” per i soldi sporchi e che spesso ricattano i giocatori problematici, gestendo il grande mercato parallelo dell’usura.
La grande ossessione del guadagno immediato, legato alla fortuna ed ingannevole, si manifesta come una fame compulsiva irrefrenabile, che risucchia intere famiglie nel lastrico economico e nella disperazione con “punti di gioco” alla portata di tutti e a pochi passi da scuole, chiese e luoghi di aggregazione giovanili per non parlare del facile accesso sul web, in particolare per i più giovani.
Diventa quindi assolutamente necessario uscire da questa indifferenza, da questa anestesia emotiva che diventa un rifugio infido, sintomo di un malessere più profondo, dove vince spesso l’immagine e il culto dell’essere vincenti a tutti costi.
Abbiamo bisogno di attivare una campagna seria e duratura di sensibilizzazione, investendo su attività di informazione e formazione dei rischi, sulla cultura del benessere, dell’educazione civica, sul senso di comunità dove la persona si senta davvero parte di un tutto. E’ tempo di contrastare seriamente la criminalità organizzata, che si nutre e si arricchisce a scapito di queste fragilità. E’necessario lanciare e promuovere la cultura della cooperazione, perché la disperazione di una sola persona è il fallimento di tutta la società e della comunità intera. Da qui è fondamentale creare alleanze territoriali per prendersi cura collettivamente di tutti, tramite un patto educativo e culturale che difenda la dignità delle persone, soprattutto quelle più fragili, tramite un processo di contaminazione del benessere. Creare contenitori di speranza, in cui abbiano accoglienza giovani, adulti e anziani, perché il gioco d’azzardo è trasversale e sovrasta tutte le fasce d’età, in cui si possano coniugare paradigmi e tessuti sociali inclusivi (scuola, parrocchie, oratori, comuni e istituzioni)
Abbiamo infine bisogno di una Legge nazionale chiara, che stabilisca distanze e limiti alle giocate, oltre a prevedere interventi preventivi puntuali ed immediati, per evitare che le persone finiscano nella dipendenza patologica. Norme che uniformino gli interventi e i provvedimenti nelle Regioni e nei territori. Aspettiamo, altresì, il decreto sul riordino del gioco d’azzardo e siamo pronti a collaborare per iniziare a costruire percorsi di prevenzione organici, strutturali, fiduciosi che vengano messi a disposizione finanziamenti stabili, finora esigui e mal gestiti. Occorre infine trattare il gioco patologico, come peraltro tutte le altre forme di dipendenza senza sostanza o comportamentali, per ciò che realmente sono, riportando le relative deleghe all’interno di unico Dipartimento Nazionale per le dipendenze.
Ad oggi, infatti, la suddivisione di competenze tra segmenti diversi dello Stato non consente di portare avanti una seria politica unitaria di contrasto, di prevenzione e cura per le dipendenze patologiche.