VIII - Aprile 2021

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C U LT U R A

U N G IR O N E P E R C H I D IC E “ D A N T E D A Y ” E N O N “ D A N T E D Ì”

C O N S ID E R A Z IO N I S U L L A C O M M E D IA

A N D R E A S C U R A T T I, 5 c c

Cari lettori di Etcetera, sono io, il vostro amichevole Andrea di quartiere e per l’ennesima volta sono qua a parlarvi - indovinate un po’ di chi? - di Dante! Come al solito: niente tediosa parafrasi o commento drena-vita, ma pensieri, leggeri da leggere, sul Sommo Poeta nel giorno in cui - lui scrive - “nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai in una selva oscura, che la diritta via era smarrita.” Dopo tre anni sulle “sudate carte” della Commedia posso dire che, alla fine del Canto XXXIII del Paradiso, mi sono sentito un po’ vuoto: dopotutto Dante in questi tre anni mi ha accompagnato in questo mio percorso di vita qual al Majo, e senE t C e t e r a M a jo r a n a

za di lui oggi non sarei qua a scrivere questo articolo, così come non ci sarei stato, altre infinite volte, per tutti gli articoli a lui dedicati. Ho iniziato a scrivere per Etcetera con un “cappuccino”, quei brevi articoli che proponiamo sulla nostra pagina Instagram (@etceteramajorana, e lesti, seguitela!), sull’Amore e Petrarca; tempi lontani, tempi bui, tempi da primo lockdown nazionale. È stato proprio lì che Dante mi ha parlato: aveva già iniziato a farlo all’inizio dell’anno, ma avevo i tappi nelle orecchie: a quanto pare non volevo ascoltare il dolce canto della sirena; poi a un certo punto mi ha tirato uno schiaffone, una cinquina sulla guancia che mi ha lasciato le cinque dita 5

impresse, con annesso: “Ti sto parlando, ascoltami.” Ho dovuto guardarlo in faccia e ci rimasi di sasso, stupefatto, “ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso/ tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo/ de la mia grazia e del mio paradiso.” (Comm., Par., XV, vv. 34-36). ‘Sto bastardo mi aveva fatto male, ma non sentivo dolore.

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