Architettiverona 132

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CONSIGLIO DELL’ORDINE

• Presidente

Matteo Faustini

VicePresidenti

Paola Bonuzzi

Cesare Benedetti

Segretario

Chiara Tenca

Tesoriere

Leonardo Modenese

Consiglieri

Andrea Alban, Michele De Mori, Andrea Galliazzo, Roberta Organo, Fabio Pasqualini, Francesca Piantavigna, Leopoldo Tinazzi, Paola Tosi, Enrico Savoia, Alberto Vignolo

Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959

Terza edizione • anno XXXI n. 1 • Gennaio/Marzo 2023

rivista.architettiverona.it

DIRETTORE RESPONSABILE

Matteo Faustini

EDITORE

Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona Via Santa Teresa 2 — 37135 Verona

T. 045 8034959 — F. 045 592319 architetti@verona.archiworld.it

https://architettiverona.it/rivista/

DIRETTORE

Alberto Vignolo

REDAZIONE

Federica Guerra, Angela Lion, Luisella Zeri, Laura Bonadiman, Damiano Capuzzo, Filippo Romano, Leopoldo Tinazzi, Marzia Guastella, Giorgia Negri, Nicolò Olivieri, Giulia Biondani, Federico Morati, Luca Ottoboni, Lisa Ceravolo, Alice Lonardi rivista@architettiverona.it

DISTRIBUZIONE

La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta all’indirizzo https://architettiverona.it/distribuzione/

CONCESSIONARIA ESCLUSIVA PER LA PUBBLICITÀ

Cierre Grafica

Paolo Pavan: T. 348 530 2853 info@promoprintverona.it

STAMPA

Cierre Grafica www.cierrenet.it

ART DIRECTION, DESIGN & ILLUSTRATION

Happycentro www.happycentro.it

CONTRIBUTI A QUESTO NUMERO

Ada Arduini, Fausto Caliari, Luciano Cenna, Michele De Mori, Stefania Marini, Francesco Monicelli, Marco Nico, Ilaria Sartori, Valeria Nicolis

CONTRIBUTI FOTOGRAFICI

Lorenzo Linthout, Marco Toté

SI RINGRAZIANO

Ketty Bertolaso, Federica Provoli, Claudia Tinazzi, Chiara Ventura

L’etichetta FSC ® garantisce che il materiale utilizzato per questa pubblicazione proviene da fonti gestite in maniera responsabile e da altre fonti controllate.

Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.

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024 EDITORIALE Cent’anni tra solitudine e moltitudini di Alberto Vignolo

034

PROGETTO Immancabile vista di Laura Bonadiman

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PROGETTO Due per uno di Marzia Guastella

040

PROGETTO Varazioni sul bianco di Giulia Biondani

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PROGETTO Lessico contenuto di Filippo Romano

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INTERIORS Le mille luci di un panino di Luisella Zeri

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PROGETTO Bianco di pianura di Angela Lion

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INTERIORS

Una cucina in fermento di Federico Morati

2023 #01
23 066 INTERIORS Una serie di fortunate coincidenze di Nicolò Olivieri 068 SAGGIO Il palazzo Giusti a San Quirico di Francesco Monicelli 076 DOSSIER Alla Rotonda ultima fermata 078 DOSSIER Riforma Botta di Leopoldo Tinazzi 084 DOSSIER Nutrirsi d’arte di Lisa Ceravolo 086 DOSSIER La Stazione Frigorifera Specializzata. Cronistoria di una nascita di Michele De Mori 090 DOSSIER Presidio culturale di Ada Arduini, Fausto Caliari 094 DOSSIER Finale di partita di Federica Guerra 100 ODEON Lezione di disegno di Luca Ottoboni 104 ODEON Altre Arene di Marzia Guastella 107 ODEON Quando il gioco si fa duro di Alice Lonardi 109 ODEON Obiettivo architettura di Giorgia Negri 112 ODEON In azione in un Baleno di Stefania Marini 115 ODEON
mette il becco LC
sacrificio delle corti agricole di Luciano Cenna 116 QUASI
Laura Bonadiman 120 STUDIOVISIT OFF
progetto integrato
costruzione di Marco Nico 124 PORTFOLIO
muro alle nuvole di Valeria Nicolis 132
Ci
Il
ARCHITETTI Per la Villa dei Mosaici di
Dal
alla
Dal

Cent’anni tra solitudine e moltitudini

Non è una ricorrenza di quelle epocali e travolgenti, non ci saranno feste comandate e bande di paese a omaggiarla, e forse potrebbe sembrare una celebrazione persino retorica e superflua. Ma l’occasione della cifra tonda solletica il cerimoniale, tanto più quanto il giro di boa segna il passaggio di un intero secolo bello pieno. Del resto i lettori di questa rivista, per lo più architetti o comunque cultori della materia, dovrebbero già sapere di cosa stiamo parlando. O no?

Si dà infatti il caso che nell’anno del Signore 1923 venne normata per legge nel Regno d’Italia (sic) la professione dell’architetto, con la conseguenze istituzione degli Ordini provinciali.

Ecco dunque l’occasione secolare: il compleanno degli Ordini! Tutti pieni di gioia, pronti a folleggiare e a comporre qualche bell’archi-trenino tra frizzi e lazzi?

Forse lo scenario tratteggiato è un po’ azzardato, perché non ci si deve nascondere che gli Ordini professionali in genere non godano certo di buona fama. Di fatto il loro statuto, schiacciato tra il vituperato

ruolo di corporazione e un più auspicabile ruolo culturale e di coesione sociale mai pienamente raggiunto, è percepito dai più come un inutile fardello (e l’annuale quota di iscrizione, obbligatoria per esercitare la professione, un balzello come tanti).

A rimarcare questa percezione ci si è messo il legislatore, quando ha inquadrato gli ordini come “enti pubblici non economici”, gravandoli di un sovraccarico burocratico

abnorme, che ne stritola le strutture rendendo sempre più gravosa in primis l’ordinaria amministrazione, e soprattutto lasciando sempre meno energie ai tentativi di far sì che non ci si riduca solo allo stretto necessario ex lege. Di contro, dire queste cose dalle pagine di una rivista edita da un Ordine – cosa questa non richiesta né normata da alcuna legge, ma frutto di un’azione volontaria che porta avanti l’intuizione di ebbe l’iniziativa

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Testo: Alberto Vignolo
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L’anniversario della legge del 1923 che regolamentò la professione di architetto

nel lontano 1959 – significa che uno spiraglio al baratro normativo comunque c’è. E c’è chi, nonostante tutto, per le più varie motivazioni che ognuno potrà addurre, compreso il caso o la noia – si trova per un certo periodo di tempo a far parte degli organi di governo della struttura: spesso pentendosene, a volte capendo che comunque, piaccia o meno, qualcuno deve pur farlo, altre volte provando per l’appunto a far sì che riesca ad avere un senso, anche se un senso non ce l’ha. Tutto ciò che è pura prassi amministrativa – l’iscrizione all’albo, la gestione degli aggiornamenti professionali – pare strano debba restare ancorata a

uffici provinciali (!) mentre il mondo va avanti e stiamo addirittura per entrare nel metaverso, qualunque cosa esso sia. Siamo, ad essere onesti, un puro retaggio del passato. Ma essendo parte dello status quo siamo probabilmente inamovibili ed eterni, perchè la consuetudine, il conformismo e il rassicurante “si è sempre fatto così” governa purtroppo le italiche gesta. Neanche per scherzo qualcuno si sogna di proporre una qualche riforma, forse perché lo stesso concetto di riforma, a forza di tentativi mai pienamente attecchiti, è consumato, stanco e avvilito.

Rimane una riflessione out of the box sulla necessità, o quanto meno sulla opportunità, di un organismo sul modello di quelli anglosassoni, su base volontaria, quale camera di confronto e compensazione sulle problematiche relative alla professione e soprattutto come strumento per fare massa critica in termini culturali e, perché no, politici in senso lato. Oggi purtroppo questo ruolo è assai pallido – toc toc, Cnappc: c’è qualcuno? – e nonostante le moltitudini di architetti che ancora esercitano la professione in tutti modi e le denominazioni possibili,

una certo senso di solitudine è purtroppo generalizzato.

“Ma l’Ordine cosa fa, cosa dice? Perché non fa?” eccetera. Lamenti che attraversano le generazioni, gli anni, e forse l’intero secolo. Cento e non più cento?

Ma intanto godiamoci i festeggiamenti. Auguri a tutti gli architetti, beatamente racchiusi nella loro splendida solitudine! •

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« L’occasione della cifra tonda solletica il cerimoniale, tanto più quanto il giro di boa segna il passaggio di un intero secolo bello pieno »
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01-02. Marco Introini, alcune immagini dal progetto “Repubbliche marinare” nell’ambito della Biennale di Pisa Tempo d’Acqua, 2019. Cfr. pp. 109-111. Foto di Gustav Willeit Cfr. pp. 38-43.

Lessico contenuto

Una residenza estiva posta su un terreno in forte pendenza affacciato sulle rive del Benaco propone un modello insediativo integrato nel paesaggio e misurato nell’uso dei materiali

Progetto: Architekten Mahlknecht Comploi

Testo: Filippo Romano

Foto: Günter Richard Wett

2023 #01 PROGETTO
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Torri del Benaco

Lo studio diretto da Thomas Mahlknecht e Igor Comploi nasce nel 2006 e fa parte di un gruppo di giovani architetti emergenti che ha saputo rinnovare il clima dell’architettura altoatesina, occupandosi fin da subito di progetti prevalentemente residenziali e mostrando una particolare sensibilità nelle scelte tecnologiche e nel rapporto che queste possano instaurare con il contesto. Questo ha dato loro la possibilità di sperimentare diversi sistemi e linguaggi edilizi, dalle costruzioni in legno a quelle in calcestruzzo, reinterpretando le tecniche tradizionali ed adattandole alle forme dell’abitare di oggi. Il progetto della Ferienhaus SH a Torri del Benaco nasce dalla volontà della committenza di realizzare una residenza estiva per una famiglia che potesse essere coerente con il territorio, instaurando un dialogo con il paesaggio naturale e con i tipici colori del contesto del Garda.

Il lotto messo a disposizione dei progettisti era stato individuato all’interno di un’area residenziale in affaccio sul lago, caratterizzata da una morfologia in forte pendenza. Il progetto prevedeva il totale rimaneggiamento dell’area mediante la demolizione dell’edificio esistente risalente agli anni Ottanta e privo di particolare qualità, e la costruzione di un nuova abitazione che potesse ben integrarsi con

01. Scorcio dell’affaccio del volume posto alla quota superiore.

02. Veduta verso il paesaggio lacustre dall’interno del soggiorno.

03. Planimetria generale.

04. Il fronte sud-est del volume superiore dove si trova l’accesso.

il contesto paesaggistico. La prima fase di pulizia dell’area dalla vegetazione selvatica riporta alla luce la presenza di alcuni ulivi secolari, prima rilevati e poi conservati all’interno del lotto.

L’altra peculiarità di questo progetto nasce, in accordo con la committenza, da una scelta tipologica precisa: gli schizzi iniziali portarono all’idea di due blocchi completamente indipendenti che seguono l’andamento naturale del pendio, garantendo l’affaccio verso il paesaggio, e che separano la zona giorno, a una quota più alta, dalla zona notte, col-

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«
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Da questo progetto emerge il senso della misura nell’uso dei materiali, nelle scelte tipologiche e nel rapporto con il paesaggio »

05-06. Piante alla quota superiore e inferiore.

07. Il patio e l’albero di quercia visto dalla zona giorno.

08. Lo spazio esterno della zona notte che affaccia sul lago.

09. L’ingresso all’abitazione e il dettaglio della panca di legno.

legandole attraverso lo spazio esterno. Sebbene la concezione tipologica fosse particolarmente interessante, i vincoli urbanistici hanno, di fatto, introdotto il tema di un indispensabile collegamento fra i due corpi edilizi, da cui, tuttavia, sono nate nuove occasioni progettuali.

Un elemento ipogeo a una quota intermedia articola il sistema di distribuzione fra i volumi, definendo un impianto planimetrico chiaro ed efficace. Il primo corpo dell’abitazione è un volume emergente a cui si accede nella parta più alta del lotto, e affaccia direttamente sullo spazio esterno, dove si trovano la piscina e uno spazio a verde. La configurazione interna è quella di un grande spazio aperto sul paesaggio che accoglie, oltre agli ambienti di servizio, la cucina e il soggiorno, dove un camino in posizione centrale scandisce gli ambienti interni. La qualità dello spazio è arricchita da un suggestivo patio posto al piano inferiore, il quale permette alla luce naturale di illuminare lo spazio distributivo e una sauna finlandese ricavata nel sottosuolo.

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Lessico contenuto
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Qui una quercia da sughero attraversa i due livelli fino a distaccarsi dalla copertura, bucata in corrispondenza del patio. Anche la disposizione interna della zona notte è concepita secondo una formula tipologica non convenzionale: non c’è una stanza principale, bensì quattro camere da letto con servizi, identiche per tipologia e dimensione. L’idea, nata in sintonia con la committenza, è che la casa possa essere vissuta senza alcuna gerarchia, a favore di una flessibilità d’uso dell’alloggio: le stanze sono di fatto prive di armadi che si trovano invece nello

spazio distributivo dove possono essere riposti i propri oggetti. L’intero edificio è realizzato attraverso un unico sistema costruttivo in calcestruzzo isolante (foam glass), usato come materiale monolitico per tutte le strutture verticali e orizzontali. Questa tecnologia trae vantaggio dal granulato di vetro schiumato, che sostituendo la ghiaia ha caratteristiche termiche molto performanti e un peso limitato rispetto al calcestruzzo tradizionale.

La scelta del colore, fra il beige e il verde oliva, rappresenta l’intenzione di ricercare una cromia che

PROGETTO ARCHITETTONICO architetti Mahlknecht Comploi

DIREZIONE LAVORI arch. Igor Comploi

COLLABORATORI arch. Thomas Mahlknecht, arch. Melamie Marmsoler

STRUTTURE ing. Ulrich Kauer

DATI DIMENSIONALI

area lotto: 1.035 mq

volume edificato: 1.222 mci

CRONOLOGIA

Progetto e realizzazione: 2016-2018

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COMMITTENTE Privato

potesse ben inserire l’intervento all’interno del contesto, quasi a rendere l’edificio un corpo muto che accompagnandolo, si integra al suolo. Questo sistema, oltre a permettere un approccio quasi rudimentale riguardo al dettaglio architettonico, senza alcun ricorso a ulteriori livelli di isolamento o a una particolare attenzione a eventuali sensibili ponti termici, dona all’abitazione un aspetto autentico. Tutto ciò che si vede all’interno e all’esterno dell’edificio è struttura, senza alcun tipo di rivestimento. Le superfici materiche del calcestruzzo a vista trasmettono l’idea di robustezza attraverso un linguaggio asciutto e rigoroso, dove sostanza costruttiva e finiture coincidono. Questo tipo di approccio, apparentemente elementare, prevede in re-

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10. Sezione di progetto. 11. Veduta interna della zona giorno.
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12-13. Il fronte verso la piscina del volume superiore: giorno e notte.
Lessico contenuto 10

MAHLKNECHT COMPLOI

Fondato nel 2006 dagli architetti Thomas Mahlknecht e Igor Comploi, lo studio comprende attualmente Melanie Marmsoler, Luca Perathoner, Lukas Stuffer, Costanza Cocchi eTobia Comploi. Nel corso degli anni si è occupato in particolare di progetti residenziali, principalmente nell’area di riferimento dei soci tra Ortisei e Bressanone (BZ). Numerose sono le pubblicazioni all’attivo e i progetti premiati.

www.mahlknecht-comploi.com

altà un’attenta e dettagliata progettazione esecutiva a monte della fase cantieristica, in cui tutti gli impianti tecnologici devono essere pensati e installati all’interno dei casseri delle strutture. I serramenti, così come i pavimenti in legno di rovere oliato e il curato mobilio su disegno in olmo, completano e donano all’abitazione un atmosfera intima e domestica.

Da questo progetto emerge, oltre che un’attenta lettura del contesto da parte degli autori, il senso della misura nell’uso dei materiali, nelle scelte tipologiche e nel rapporto con il paesaggio. Un intervento che predilige un lessico espressivo contenuto, a vantaggio di un’elegante semplicità nel porsi di fronte al territorio gardesano. •

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Immancabile vista

Una villa unifamiliare pensata come un dispositivo ottico orientato verso il paesaggio lacustre esprime un modernismo nordico calato sulle pendici del Garda assieme ai suoi progettisti

Progetto: Perathoner Architects

Testo: Laura Bonadiman

Foto: Aldo Amoretti

2023 #01 PROGETTO
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Costermano sul Garda

Provenendo da Garda e procedendo verso l’abitato di Costermano, nascosto da un piccolo oliveto, si scorge un volume bianco, in netta contrapposizione con il costruito limitrofo.

Villa Belvedere, una residenza privata progettata dallo studio Perathoner Architects di Selva di Val Gardena, nasce dalla demolizione di un’abitazione esistente e si pone su un terreno leggermente in pendenza.

A motivo della sua collocazione, è nata la scelta progettuale di gestire in maniera completamente differente l’uno dall’altro i fronti dell’edificio, diversi in base all’intorno su cui affacciano.

Giungendo dalla strada di accesso, posta a nord, l’edificio è ben visibile, complice anche una recinzione di modesta altezza. A conseguenza di ciò, sui fronti che affacciano verso le aree di passaggio pubblico, le aperture sono ridotte al minimo; poche e studiate, alcune nascoste, per preservare la privacy dei residenti. Al contrario il fronte sud, quasi del tutto vetrato, si apre al paesaggio e permette una vista che spazia dal verde collinare fino alla sponda del lago. La contrapposizione che caratterizza le facciate si ritrova anche nei due livelli fuori terra da cui è composta la villa. Il basamento è disegnato come un elemento a sé, un blocco monolitico caratterizzato da un rivestimento in pietra naturale che sostiene il piano superiore. Quest’ultimo contrasta con la rigidità e la sobrietà del livello sottostante sia per i particolari giochi geometrici, che vedono alternarsi sbalzi pronunciati a sfondati, sia per il rivestimento, caratterizzato da cemento bianco a vista con aggregati in marmo di Carrara.

Un ulteriore livello interrato completa l’edificio, con spazi di deposito e un

parcheggio accessibile mediante un ascensore per auto.

Ogni livello è autonomo e ospita un appartamento a cui si accede mediante una scala interna. Gli ambienti di servizio, quali i bagni e gli elementi di collegamento, sono disposti a nord, non avendo necessità di numerose aperture. L’affaccio a sud è riservato alle camere e al soggiorno con cucina a vista; attraverso le ampie vetrate

circostante.

02. Planimetria generale.

03. Veduta panoramica dalla terrazza e dettaglio degli aggetti con i tagli che garantiscono continuità visiva.

questi spazi hanno, al piano terra, accesso diretto al solarium e alla piscina a sfioro e, al livello superiore, accesso a una terrazza panoramica.

L’ambiente del soggiorno, come fulcro della casa, costituisce un prolungamento della stessa verso il paesaggio, trovando sede in uno spazio

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01. Scorcio del fronte sud in dialogo con il paesaggio
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« Forma e posizione degli aggetti sono studiate per garantire un equilibrio ottimale tra incidenza della luce e ombreggiatura »

completamente vetrato da cui si può godere appieno del panorama. Il cemento bianco utilizzato per la pavimentazione esterna permea anche l’interno dell’abitazione, facendo sì che diventino un tutt’uno, sensazione accentuata ulteriormente dalla scelta di mantenere internamente il medesimo colore bianco per pareti e parti strutturali. Unici elementi dissonanti i serramenti a contrasto di colore scuro.

Gli ambienti disposti a sud vengono ombreggiati dalle coperture aggettanti, la cui forma e posizione sono studiate attraverso simulazioni digitali per garantire un equilibrio ottimale tra l’incidenza della luce e l’ombreggiatura, specialmente durante i mesi estivi.

I particolari tagli che caratterizzano gli aggetti fanno sì che la copertura non venga percepita come un ostacolo

ma vi sia continuità visiva con il paesaggio circostante.

L’edificio risalta distintamente nel contesto abitativo in cui è inserito. Il colore, le forme, delimitano uno spazio di grande carattere; aperture e vetrate offrono giochi di luce ed ombre che vengono ancor più risaltati dal sole.

La necessità di luce che possono richiedere le abitazioni montane, di cui lo studio Perathoner è sicuramente maestro, ha trovato sulla sponda del lago di Garda un ottimo interprete, che ha saputo dar luogo anche in questo contesto a un’interessante prova di progettazione. •

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04-05. Piante piano primo e piano terra. 06. Il fronte nord, con poche e studiate aperture, garantisce la privacy dei residenti. 07. Visuale dal corridoio d’ingresso. 08. Dettaglio dei giochi geometrici del fronte nord.
05 04 06 Immancabile vista

COMMITTENTE Privato

PROGETTO Rp Architects arch. Rudolf Perathoner

IMPRESE E FORNITORI Schweigkofler SRL (opere edili)

CRONOLOGIA

Progetto e Realizzazione: 2018-2019

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09. Sezione di progetto. 10. Veduta dal soggiorno: la continuità visiva è resa evidente dall’utilizzo del cemento bianco sia in esterno che negli interni per pareti ed elementi strutturali.
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11. Il fronte sud della villa caratterizzato dalle ampie vetrate, con il solarium e la piscina a sfioro.

PERATHONER ARCHITECTS

Fondato nel 2004 da Rudolf Perathoner, lo studio di architettura Perathoner ha base a Selva di Val Gardena. La ricerca di funzionalità oltre che di bellezza è alla base della sua filosofia, con forme innovative e non convenzionali, integrando in maniera armoniosa le architetture all’interno del paesaggio circostante. Attivo soprattutto in Alto Adige, ha portato la sua architettura sulle sponde del lago di Garda; i suoi progetti spaziano da costruzioni private e pubbliche, a commerciali e turistiche. Lo studio è stato riconosciuto con numerosi premi, tra i quali l’Iconic Award: architettura innovativa,il Big See Architecture Award e il premio Architizer+ Awards.

www.archperathoner.com

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Variazioni sul bianco

Quattro candidi volumi posti in un contesto di grande bellezza paesaggistica a Marciaga ripropongono il modello abitativo della villa di vacanza sul Garda

Progetto: Asaggio

Testo: Giulia Biondani

Foto: Gustav Willeit

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2023 #01 PROGETTO
Costermano sul Garda

È solo dal 2016 che il comune di Costermano, posto nell’entroterra gardesano, ha acquisito ufficialmente il suffisso “sul Garda”, rappresentativo di una posizione territoriale che gode da più parti di una invidiabile vista in direzione dello specchio lacustre. Mai un semplice cambio di denominazione fu più rappresentativo di un’attribuzione simbolica che, nella realtà dei fatti, si è manifestata in un’intensa accelerazione dei processi di trasformazione del territorio, per la maggior parte dei casi proprio incentrati a valorizzare la oramai conclamata vista “sul”. Tra le sue frazioni, quella di Marciaga gode in particolare di scorci di grande bellezza, ed è qui che si colloca l’intervento di seguito presentato.

Si tratta di un gruppo di quattro ville unifamiliari per una destinazione sostanzialmente turistica, che rap-

presenta il motore trainante dell’edilizia e dell’economia locale. Un ampio appezzamento incolto in un’area di declivio e terrazzamento in località

Beati Alti – anche in questo caso il nome è ben rappresentativo del contesto – posto ai margini di un edificato sostanzialmente anonimo risalente ad epoche diverse, ha rappresentato l’occasione per un investitore nordico di portare con sé i propri architetti di fiducia, anch’essi sudtirolesi, coinvolti per dare forma a questo progetto. L’impianto che ne è derivato comprende quattro ville che nascono dal medesimo modello tipologico, basato sulla sovrapposizione tra un volume principale e un secondo volume dalle dimensioni più contenute. Ulteriori rientranze e aggetti dei volumi formano terrazze e coperture piane; la specificità di ciascun edificio si plasma sia in funzione dell’orientamento

01. Il rapporto tra il volume bianco di una delle quattro ville e la veduta verso il golfo di Garda.

02. Inquadramento terrioriale: in rosso le sagome dell’intervento realizzato.

03. Scorcio dei prospetti principali delle due ville poste sul fronte dell’area.

04. Planimetria generale.

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nel contesto che del rapporto reciproco all’interno del lotto. L’andamento sostanzialmente pianeggiante dell’area ha infatti comportato uno studio attento delle viste verso il lago – il bene più prezioso, e di conseguenza “costoso” – e delle introspezioni per garantire la privacy dei futuri abitanti. Di conseguenza l’organizzazione distributiva degli edifici gioca sull’alternanza tra zone giorno – a piano terra per i due edifici sul fronte dell’area, al primo piano per quelli posteriori – e zone notte. Scale e servizi sono posizionati a monte, da cui derivano prospetti sostanzialmente ciechi con poche calibrate aperture. I fronti a lago sono invece caratterizzati dalle geometrie “a nastro” che collegano solette dei balconi e coperture, generando ombre profonde funzionali al riparo estivo dal soleggiamento. Entro tali conformazioni predomina

il paradigma ‘tutto vetro’ dei grandi serramenti continui a tutta altezza e dei parapetti parimenti in cristallo. L’uniformità materica e cromatica dei volumi rigorosamente bianchi e “mediterranei” è contrastata dalle variazioni sul tema a livello dei basamenti, dove prevalgono le scelte dei fruitori di ciascuna abitazione tra intonaci rustici dalle tinte materiche ai listelli verticali lignei.

Il modello abitativo della villa di vacanza trova la sua sublimazione nelle piscine singole che, in un analogo gioco di variazioni, punteggiano ciascun giardino ponendosi ora in parallelo ora perpendicolarmente ai volumi, disegnando così le propaggini nel verde per questi privilegiati abitanti “sul Garda”. •

2023 #01 PROGETTO 42 06
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Variazioni sul bianco 05-06. Piante piani terra e primo delle due coppie di ville. 07-09. Al bianco delle strutture si giustappongono materiali differenti per ciascun edificio. 10. Veduta di una delle scale interne.

PROGETTO ARCHITETTONICO

Asaggio arch. Gian Marco Giovanoli arch. Erica Speranzin

CRONOLOGIA

Progetto e Realizzazione: 2019-2020

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COMMITTENTE Privato
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2023 #01 PROGETTO 44
11-12. Vedute interne di due ambienti con le grandi pareti vetrate a inquadrare gli scorci sul Garda.
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13. Particolare dell’aggetto di uno dei grandi balconi protesi verso il lago. Variazioni sul bianco

Armin Sader e Gian Marco Giovanoli si conoscono durante gli studi in architettura a Innsbruck prima e in seguito a Firenze. dove si laureanocon una tesi sull’areale ferroviario di Bolzano sotto la supervisione del professor Marino Moretti. Nel 2012 fondano lo studio di architettura ASAGGIO, acronimo dei due nomi ed espressione letterale della loro filosofia. Lo studio si occupa prevalentemente di architettura privata in ambito residenziale e ricettivo e di interior design. www.asaggio.it

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ASAGGIO

Bianco di pianura

Due differenti declinazioni di un medesimo paradigma progettuale danno luogo alle interpretazioni dei rispettivi progettisti nei confronti del territorio della pianura veronese

2023 #01 PROGETTO
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Progetto 1: arch. Federico Cappellina Progetto 2: Studio Bomer Testo: Angela Lion San Bonifacio, Cerea

Il tema progettuale, nella ricerca professionale di un architetto, è sicuramente un momento di sintesi, manifestazione di esperienze e sensibilità che rappresentano nell’insieme il proprio vissuto lavorativo. Molti sono i fattori che concorrono alla definizione di questo racconto tridimensionale, che trova il suo finale nel costruito. Pur manifestandosi nella loro unicità, i due esempi proposti hanno alcuni punti di comunanza. Due ville, ovvero case unifamiliari di un certo agio, collocate in aree defilate della provincia, l’una a San Bonifacio, lungo la direttrice est verso Venezia, e l’altra a Cerea, nella cosiddetta Bassa veronese. Un primo elemento immediato di comunanza è decisamente il total white in un contesto, quello provinciale, che si caratterizza per un’architettura della tradizione, dove predominano i colori caldi del mattone faccia a vista o delle tinte ‘terre naturali’. Un secondo elemento è dato dal tratto pulito e dalle linee squadrate, quasi a volersi insinuare nel territorio con discrezione. Diversa, o per meglio dire strettamente individuale, la formazione e l’esperienza dei rispettivi progettisti, e le esigenze della committenza privata.

L’esperienza professionale ultraventennale di Federico Cappellina lo ha visto impegnato in grandi studi, sia in Italia che all’estero, su tutti quello di Peter Eisenman a New York, dove capisce il significato del pensiero purista e l’importanza della rappresentazione bidimensionale, degli schizzi, dei dettagli costruttivi e quella del 3D e dei plastici, che consentono di dare forma all’idea progettuale. “L’armonia dei contrasti” è la sintesi di questo progetto, sostiene Cappellina. Costruita in nove mesi, questa dimora si insinua nel territorio con un segno volumetrico deciso, di forte temperamento. La geometria della pianta nasce dall’intersezione di due assi principali in un gioco di pieni e vuoti. Ne derivano due facciate opposte: da un lato un fronte austero, senza finestre, che separa lo spazio privato dal contesto urbano, dall’altro la facciata retrostante che incornicia gli spazi interni aprendosi direttamente sul giardino. Solidità e leggerezza, pieni e vuoti, dentro e fuori: i contrasti si compenetrano in un’unità formale volta a valorizzare non solo

MD Home

01. Il fronte principale: veduta della villa dalla strada.

02. Ortofoto del lotto con l’intervento nel suo insieme.

03. Planimetria di progetto.

04. Il percorso che conduce all’ingresso dell’abitazione.

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l’impianto architettonico, ma soprattutto l’armonia compositiva degli spazi e dei dettagli, inquadrati dalle ampie finestre. I grandi infissi annientano il limite tra indoor e outdoor: delineano le ambientazioni che da fuori si percepiscono come contemporanei quadri di vita domestica.

Le soluzioni interne definiscono lo stile della casa, rispondendo ai desideri e alle esigenze dei proprietari. L’ingresso, situato all’incrocio delle geometrie compositive, conduce all’ampio open space che all’interno del primo volume ospita il living e la cucina, affacciati sul giardino con la piscina e l’area relax prospiciente la grande vetrata. Il secondo volume è riservato alla zona notte: la camera padronale, con bagno privato e cabina armadio, contempla la vista sul giardino.

Anche gli interni vengono definiti a tavolino: l’estetica minimal non si contraddice con l’aspetto conviviale dell’area. Le soluzioni personalizzate e glamour contraddistinguono non solo gli spazi collettivi della casa – rovere per i pavimenti e resina alle pareti – ma anche quelli accessori, con soluzioni ricercate per ciascuno dei bagni.

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05. Veduta d’insieme dal giardino. 06. L’affaccio del volume destinato alla zona giorno verso lo spazio aperto.
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07. Dettaglio con il volume della zona notte in primo piano.

COMMITTENTE Privato

PROGETTO ARCHITETTONICO

E DIREZIONE LAVORI arch. Federico Cappellina

CONSULENTI

ing. Stefano Tosadori (progetto energetico e impianti) ing. Riccardo Sinicato (strutture)

IMPRESE E FORNITORI

Ambrosi costruzioni (opere edili), Arduin (impianti elettrici), Cunico (impianti idraulici), D&V (infissi), EXRG (impianti), Maffi Legno, FPL Arreda, Mario Dall’Ava (giardino)

CRONOLOGIA

Progetto e Realizzazione: 2016-2017

132 49
08 10 09
08. Scorcio del fronte su strada. 09. Prospetto e sezioni di progetto. 10. Veduta nottura.
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11-12. Vedute degli spazi interni: la zona giorno e la cucina.
11 12
13. Infilata sul corridorio. Bianco di pianura

Gli architetti Luigi Merlin – socio fondatore – e Filippo Zago (seconda generazione, figlio dello storico socio geometra Daniele Zago), laureatisi l’uno presso lo IUAV di Venezia e l’altro al Politecnico di Milano, portano avanti l’esperienza dello Studio Tecnico Bomer, fondato a Cerea nel 1976. Proprio a Cerea si trova l’edificio residenziale che presentiamo, posto nella quiete del paesaggio agrario ma al contempo vicinissimo ai servizi del cen-

tro abitato. La tipologia residenza unifamiliare si sviluppa orizzontalmente su un unico piano fuori terra, grazie alle ampie dimensioni dell’area di pertinenza, circa 11.000 mq.

La peculiarità di questo progetto si manifesta nella pulizia delle linee e dei volumi: una grande L rovesciata definisce, assieme a un volume più piccolo a servizio della piscina e dell’outdoor, una forma introversa nei confronti del paesaggio, una sorta di fortezza moderna per la privacy dei suoi abitanti. Un impianto apparentemente semplice, ma com-

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16
Villa FC
15 14
14. Infilata sul corridoio. 15. Veduta della corte interna verso la piscina. 16. Planimetria generale.

plesso nella tecnica costruttiva soprattutto per le ampie luci interne prive di pilastrature e setti, che avrebbero interrotto la continuità degli spazi, e nello studio degli impianti, completamente mascherati dai ribassamenti che ne danno una visione d’insieme. Linee semplici, pulite, asettiche e acromatiche, quasi a voler raggiungere uno stato di purezza. L’insieme suggerisce un’idea di silenzio e riflessione: la casa diventa un ‘porto sicuro’, un luogo di tranquillità e protezione rispetto alla frenesia del quotidiano che sta al di fuori di quelle mura. Non a caso le pareti perimetrali verso la strada sono per lo più continue, con pochi tagli sul fronte, a definire in modo ineluttabile l’intimità familiare. Grandi vetrate guardano, invece, verso lo spazio interno del giardino.

La villa planimetricamente è ben articolata, ma minimale nella definizione degli alzati, chiusi orizzontalmente da tetti piani con importanti sporti di gronda. L’orientamento del fabbricato sul lotto, non del tutto canonico, è dettato appunto dalla volontà di creare una zona intima molto privata, quella attorno alla piscina, grazie all’incrocio dei due volumi

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17. Veduta interna della zona soggiorno-cucina. 18. Pianta di progetto.
19 Bianco di pianura
19. Il fronte di accesso all’abitazione.
17 18

COMMITTENTE Privato

PROGETTO ARCHITETTONICO E DIREZIONE LAVORI

studio Bomer, arch. Luigi Merlin, arch. Filippo Zago

CONSULENTI

ing. Franco Barbieri (progetto energetico e impianti) ing. Alex Merotto (strutture)

IMPRESE E FORNITORI

Lazzari Vittorio, Mebo (opere edili), Elettroimpianti Passarin, Dimensione Bagno (impianti), Carminati (serramenti)m Se.fin, Altea Smart Distribution

CRONOLOGIA

Progetto e Realizzazione: 2017-2019

che vi si protendono e che chiudono la parte più interna alla vista dalla via pubblica. Verso quest’area, il fabbricato si propone con una prevalenza di vuoti su pieni: le ampie vetrate aprono lo spazio interno verso il giardino, la piscina e il parco retrostante. Il lotto, che prima guardava alla campagna rurale coltivata, subisce una trasformazione sostanziale: è piantumato a bosco con essenze di medio e alto fusto lungo i lati nord e ovest.

Grande attenzione ha la componente energetica: dalla scelta dei materiali da costruzione alla progettazione fino alla realizzazione degli impianti. La struttura portante è interamente realizzata in legno con pannelli X-LAM. •

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20. I fronti del volume abitativo a L verso la corte si riflettono nella piscina.
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21. L’area relax nel volume indipendente adiacente alla piscina.

Due per uno

Varianti e invarianti di un approccio progettuale al tema della residenza unifamiliare che trova nel luogo di realizzazione una lettura appropriata

Progetto: H21 Studio

Testo: Marzia Guastella

Foto: Diego Zendrini

2023 #01 PROGETTO
01
Verona, Sant’Ambrogio di Valpolicella

Esistono relazioni visive e concettuali, nelle opere di un architetto, che diventano la naturale espressione di una cultura del progetto propria dell’autore. Non si parla di stile, la cui definizione, legata alla singolarità dell’opera, meglio si adatta al mondo dell’arte; si tratta piuttosto di un linguaggio in grado di produrre una riconoscibilità per la persistenza di aspetti immutabili che, di volta in volta, si combinano al carattere variabile della forma, necessario per sperimentare nuove percezioni e instaurare una sintonia con il contesto. Le residenze progettate dall’architetto Christian Piccoli che presentiamo racchiudono questo pensiero, e offrono un’occasione per rivelare varianti e invarianti di uno schema progettuale che trova nel luogo di realizzazione una lettura appropriata.

Tra i vigneti di Gargagnago, nel comune di Sant’Ambrogio di Valpolicella, l’abitazione unifamiliare dai lineamenti contemporanei mostra un carattere autentico che riflette la tradizione locale. La geometria semplice e l’uso di materiali come la pietra richiamano le tipiche abitazioni della bassa Valpolicella e inseriscono dolcemente la costruzione nel paesaggio collinare del luogo. Il progetto nasce da una precisa suggestione: un basamento in

pietra sormontato da un grande coperchio metallico e svuotato in prossimità di punti essenziali per garantire una migliore relazione con l’esterno. Con un salto di qualche chilometro, il punto di osservazione si sposta nella frazione veronese di San Michele Extra dove, a pochi passi da villa Buri, si trova la seconda abitazione nella quale gli stessi elementi di autenticità e contemporaneità si traducono in un’architettura dai tratti decisamente più rigorosi. La scelta di demolire un precedente edificio degli anni Cinquanta – adibito in parte a spazio commerciale – ha guidato l’architetto verso la re-

alizzazione di una nuova costruzione che si adagia sulla sagoma della preesistenza dichiarata tramite l’uso di intonaco bianco; in questo modo, il progetto mantiene inalterato il fronte su strada e inserisce un importante ampliamento verso sud-est caratterizzato dall’uso di murature in pietra, che riprendono la cinta muraria del parco adiacente, e da ampie vetrate aperte verso la tranquilla campagna.

L’accostamento dei materiali, insieme ad alcune componenti strutturali, rappresenta il punto di connessione tra le due abitazioni. Entrambe pre-

01. Dettaglio della struttura metallica che denota il disegno del volume.

02. Planimetria generale.

03. L’edificio in una veduta angolare dalla strada: l’intonaco bianco individua la sagoma della preesistenza.

04. Il “segno” grafico della linea della copertura.

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San Michele Extra, Verona
04
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« Nonostante la contrapposizione cromatica e materica, le strutture mantengono sempre un disegno ben visibile tramite la continuità degli elementi primari »

05-07.

08. Veduta dal giardino con la grande piscina a sfioro.

09.

sentano, infatti, una struttura massiva autoportante mista contraddistinta dalle delicate sfumature della pietra – un insieme di Nembro, Verdello, sasso di fiume e pietra Piasentina – stuccata con malta a base di calce color sabbia. Gli elementi metallici contrastano questa nuance, prevalentemente chiara, con un intenso marrone brunito nel primo caso e un grigio antracite nel secondo, riprendendo i frammenti più scuri della composizione. Nonostante la contrapposizione cromatica e materica, le strutture mantengono sempre un disegno ben visibile tramite la continuità degli elementi primari che attraversano o protendono dalle murature in un gioco di equilibrio compositivo tra pieni e vuoti. Ogni componente è parte di questo equilibrio ma presenta anche una sua unicità. La copertura piana dell’abitazione di San Michele Extra sembra modellarsi sull’edificio con la leggerezza e la flessibilità di un cartoncino il cui bordo è accentuato da un profilo metallico. Un’idea ben diversa da quella di Gargagnago, che ripropone le curve di livello del vicino colle attraverso l’inclinazione della copertura a falde la cui struttura, in legno con travi a vista,

2023 #01 PROGETTO 56
La contrapposizione cromatica e materica degli elementi.
07 Due per uno 06
La sezione evidenzia le diverse quote del terreno e degli spazi interni.
05

COMMITTENTI Privati

PROGETTI ARCHITETTONICI E DIREZIONE LAVORI

H21 Studio

arch. Christian Piccoli

CONSULENTI

San Michele Extra: ing. Alessandro Andreoli (strutture e impianti meccanici)

per. ind. Michele Bonetti (impianti elettrici)

Gargagnago: ing. Daniele Bolcato (strutture) ing. Massimiliano Zanardi (impianti meccanici)

ing. Mauro Vinco (impianti elettrici)

IMPRESE E FORNITORI

Gargagnago:

Impresa Edile Aliprandi (opere civili), GET (impianti meccanici), Servizi Elettrici (impianti elettrici), Sandri Serramenti (serramenti)

CRONOLOGIA

San Michele Extra, Gargagnago

Progetto e Realizzazione: 2018-2021

si nasconde dietro un profilo in rame dalla texture indefinita per effetto del processo di ossidazione ancora incompleto.

La copertura rappresenta quella componente variabile che caratterizza fortemente le due abitazioni al punto da influire sulla configurazione di alcuni elementi progettuali, tra cui la pensilina d’ingresso. I diversi punti di flesso delle falde si riflettono sulla struttura metallica inclinata attraverso i quattro vertici ad altezza differente; il particolare disegno individua l’accesso principale e si innesta a una recinzione lineare che simula l’effetto di doghe in legno camuffando la natura del materiale metallico chiaramente percepita nella seconda abitazione dove la recinzione filtrante acquisisce tridimensionalità – per la sistemazione sfalsata dei moduli in lamiera forata con dimensioni e tonalità di grigio

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09

Gargagnago, Sant’Ambrogio di Valpolicella

10-11. Piante di progetto.

12-13. Anche qui il contrasto materico accentua il disegno della struttura.

14. La copertura a falde e l’uso della pietra inseriscono l’abitazione nel contesto.

15. Veduta della zona living.

Due per uno

differenti – e si collega a un ingresso più statico. Il riferimento al materiale ligneo non è casuale; il legno si combina infatti alla pietra e al metallo diventando uno dei materiali di queste realizzazioni, con una chiara differenza nei punti di applicazione che si distinguono principalmente tra interno ed esterno. Entrando nell’abitazione ambrosiana si percepisce fin da subito un’atmosfera calda e accogliente conferita dal delicato tappeto in faggio naturale della zona living che riveste anche l’intera scala e si estende per tutto il secondo livello. Nello stesso ambiente, si trova una boiserie in legno laccato color écru che diventa il fulcro dell’assetto planimetrico interno per la semplicità con la quale consente diverse funzioni – libreria a vista o porta abiti – e nasconde totalmente l’accesso verso gli spazi di servizio tramite porte a filo muro e a tutta altezza. Anche il duplice carattere degli infissi in abete rosso, che esternamente esibiscono un profilo metallico coordinato agli elementi circostanti, sottolinea come la presenza del legno sia prettamente riservata allo spazio interno. L’impiego del legno nella residenza veronese trapela invece già dall’esterno; un

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10 11 13 12

rivestimento in listelli di abete termotrattato caratterizza il volume aggettante che racchiude le cucine presenti al piano terra e al piano interrato. Osservando la soletta a sbalzo in pietra Serena si percepisce la continuità materica tra i due livelli che non si limita solo al rivestimento in legno ma riguarda anche le murature in pietra e le grandi vetrate ottenendo l’effetto di un volume compatto che attraversa il piano orizzontale e si incastra con esso. Chiude la comparazione dei progetti una considerazione sull’aspetto funzionale senz’altro legato a quello dimensionale. Se da un lato, infatti, a Gargagnago la costruzione si fonda sui canoni della residenza, con una piccola eccezione data dallo studio professionale per il quale si utilizza un accesso secondario autonomo, dall’altro a San Michele Extra la funzione residenziale diventa il punto di partenza per organizzare una molteplicità di servizi che offrono spazi confortevoli e punti di vista insoliti. La spa al piano terra scruta l’area esterna con la grande piscina a sfioro, dalla forma stretta e allungata, mentre riversa l’acqua nel patio del piano interrato in cui è presente la vasca idromassaggio

con il solarium, sulla quale si affaccia una piccola area docce e l’ampia vetrata della palestra. L’intreccio visivo e materiale di questi spazi sfrutta le diverse quote del terreno mantenendo il medesimo linguaggio dell’interno, dove la riduzione dell’altezza rispetto alla sagoma originale e la diversificazione dei solai in base alle esigenze funzionali hanno generato una spazialità articolata che si distribuisce intorno alla corte centrale – illuminata dalla grande apertura in alto – in una promenade, tra i vari livelli, intenzionalmente ispirata ai principi loosiani. •

H21 STUDIO

Fondato da Christian Piccoli (Verona, 1973) lo studio H21 si occupa prevalentemente di architettura residenziale privata, come la villa a Pescantina

“sotto il segno del moderno” presentata in «AV» 97 (pp. 18-23) o l’intervento tra lago e collina a Torri del Benaco (cfr. «AV» 100, pp. 40-45).

www.h21studio.it

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14 15

Le mille luci di un panino

Progetto: VicenziDalbon

Testo: Luisella Zeri

Foto: Anna Ciresola

Nella variegata offerta del cibo da strada, l’hamburger ha da sempre nutrito l’immaginario comune dell’alimento mordi e fuggi, in una proposta gastronomica che soddisfa senza impegnare. Dopo aver strizzato l’occhio all’America e aver originato i fenomeni di costume degli anni Ottanta, il panino a strati vive un nuovo pezzo della sua storia diventando alimento complesso per il quale si ricerca la qualità degli ingredienti, si studiano nuove combinazioni di sapori, si persegue la filosofia della stagionalità e del Km0. Consumare l’hamburger diventa un’esperienza da esaltare, e alla più classica offerta delle catene globali si affianca l’apertura di locali in cui i consumatori trovano spazi studiati “alla carta”.

A Verona fra questi locali vi è Bigger Burger, attività che affianca al servizio per asporto già presente in Veronetta un nuovo locale. Per farlo ha affidato l’intervento allo studio VicenziDalbon, dando ai progettisti carta bianca nel processo che ha portato un’officina per motociclette a diventare un ristorante giovane e divertente. In una misurata ricetta architettonica, strato dopo strato come un panino realizzato ad arte, ha preso vita il locale che possiamo godere attraverso le vetrine di Viale Colombo 101. Se dovessimo stilare un’ipotetica lista degli ingredienti, il primo sarebbe si-

curamente la luce, elemento generativo di colore, atmosfera e arredo. Lo spazio gode di tre grandi vetrine che assicurano l’illuminazione diurna, mentre al calar della sera, nel chiaro intento di realizzare uno spazio che sia auto pubblicitario, le vetrine si accendono e diventano l’elemento attraverso cui far filtrare un sistema di illuminazione dimmerabile a controllo computerizzato. Le superfici si colorano e diventano telo proiettante, così

da distinguere le zone e valorizzare lo spazio. Il locale è così esperienza per i sensi, dove però è necessario salvaguardare la qualità del prodotto e la percezione delle caratteristiche dei panini e dei loro contorni. Al sistema di illuminazione generale si affianca quindi un insieme di punti luce sospesi direttamente su ciascun tavolo. La luce in questo caso permette di godere dei piatti, ma scandisce anche il ritmo dei posti a sedere che diventano elemento vincolato alle sospensioni, con un ingegnoso sistema di prolunghe agganciabili fra un pia-

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01
« La grafica è stata studiata da Michele Verzè, giovane designer veronese con base a Sidney, in sinergia con lo studio VicenziDalbon »
Una stratificazione di scenari illuminotecnici disegna gli spazi di una hamburgeria tra materiali di recupero e innesti industriali

no e l’altro per realizzare all’occorrenza tavolate con più ospiti. Nell’interno, luce naturale e artificiale dominano perché il progetto ne dà risalto attraverso una palette di colori tenui. La particolare scelta delle finiture, infatti, è un ulteriore ingrediente della ricetta progettuale. Lo stile è chiaramente industriale, in un’ottica low budget e di recupero. Il progetto però va oltre il classico accostamento di acciaio e legno: ai materiali preesistenti si affiancano l’osb per rivestire la parete di fondo, il policarbonato per la partizione fra cucina e sala, la lamiera zincata per il bancone, ferro e legno per le sedie che ricordano quelle dei banchi scolastici. Naturale conseguenza è la scelta di non mascherare gli impianti tecnologici e di lasciare a vista il pilastro centrale in calcestruzzo e alcune pareti perimetrali.

Ad armonizzare le diverse sfumature

è il pavimento alla palladiana scoperto sotto un rivestimento in gomma, che con il suo mix di colori neutri diventa il filo conduttore tra i materiali utilizzati.

L’ingrediente che ha il ruolo di esaltare tutti gli altri è il colore, sotto forma di precise ma puntuali pennellate affiancate alla palette chiara dei materiali. Se la luce è la forma che il colore assume di notte, durante il giorno a colpire l’occhio sono gli elementi simil-vegetali sospesi, un richiamo al viale alberato oltre le vetrine, e la panca in metallo grigliato blu elettrico posta sulla parete di fondo del locale. Sopra la panca spicca un murales dai colori sgargianti realizzato alla maniera dei décollages di Rotella, con manifesti pubblicitari sovrapposti incollati alla parete e in parte strappati. Questo elemento, assieme a sacchet-

01. Insegne colorate caratterizzano la parete di fondo del locale.

02-03. Il locale nella sua configurazione notturna e nella versione diurna.

COMMITTENTE

Bigger - Roberto Formentini

PROGETTO ARCHITETTONICO

arch. Martino Vicenzi, arch. Sebastiano Dalbon

COLLABORATORI

Michele Verzé (graphic design) arch. Chiara Grapulin (progettazione e sicurezza)

IMPRESE E FORNITORI

Marian Fartade (opere edili), C&G di Gasparini Daniele (imp. elettrici), Termoidraulica Fontana (imp. idraulici), Davide Orientale (lucidatura pavimenti), Antonio Brandiele (lavorazione ferro), Cecchetto arredamenti (tavoli e sedie), Forme di Luce (illuminazione)

CRONOLOGIA

Progetto e realizzazione: 2022

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02
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ti, menù, scatole e altri supporti cartacei, fa parte del più ampio progetto di revisione dell’immagine coordinata del marchio predisposta in occasione dell’apertura del nuovo locale. La grafica è stata studiata da Michele Verzè, giovane designer veronese con base a Sidney, in sinergia con lo studio VicenziDalbon fin dai primi schizzi, ed è chiaramente ispirata al concept che sta alla base del progetto architettonico.

Tutto nel locale di Viale Colombo 101 parla di ricerca e attenzione unitaria al particolare. Infatti, se è stato così facile raccontare il progetto come fosse una ricetta, è proprio perché nell’intento di ricreare un’esperienza unica nel gustare il piatto, si è riusciti a mantenere saldo l’ingrediente principale, ovvero perseguire l’obiettivo della qualità. Buon appetito, il panino è servito. •

2023 #01 INTERIORS 62
04. Assonometria generale: fin dai primi schizzi luce e colore hanno contraddistinto il progetto. 05. Materiali industriali, colori neutri e verde a cascata per gli interni del locale. 06. Veduta notturna dall’esterno con le vetrine illuminate e l’insegna.
04 05 06 Le mille luci di un panino 07
07. I punti luce sospesi mettono in evidenza la qualità dei prodotti.

Progetto: arch. Andrea Grigoletti

Testo: Federico Morati

Foto: Marco Totè

Nel cuore di Veronetta, nella cornice di un importante palazzo di primo Novecento a due passi dal Giardino Giusti, l’architetto Andrea Grigoletti instaura un prolifico dialogo con il giovane chef Hakim Bensalah e con lo spazio scelto per ospitare un vero e proprio laboratorio culinario, il Madres.

L’allestimento del Madres è il risultato dell’incontro tra una precisa idea di cucina e specifiche soluzioni progettuali, dove le esigenze funzionali della committenza si sono intrecciate in simbiosi con l’ambiente costruito dal progetto architettonico.

L’esperienza di una visita al locale inizia dal marciapiede lastricato di via Muro Padri: già da qui le vetrine agiscono come una sorta di anteprima dell’elegante spazio interno, dove i delicati giochi di luce evidenziano con precisione gli elementi caratterizzanti del locale. In ingresso, quando le temperature sono abbastanza stabili da consentirlo, siamo accolti da alcuni fermentatori che iniziano subito a fornire indizi sull’esperienza culinaria offerta. Proseguendo oltre, ci si presenta un unico spazio dominato dal lungo banco in legno chiaro che, al modo dei ristoranti orientali, funge da tavolo di servizio per i commensali, trasformandoli in spettatori delle preparazioni che avvengono all’interno dell’area di lavoro. Il resto del lo-

Una cucina in fermento

cale è completato da alcuni tavolini, da una panca che corre lungo la parete laterale e dalle scaffalature che circondano l’intero ambiente.

L’area di lavoro rimane però il vero cuore del locale: qui un’isola centrale cattura l’attenzione del commensale-spettatore, tutte le attrezzature di lavoro rimangono nascoste al di sotto della linea del banco, mentre sullo sfondo persistono le scaffalature che circondano anche l’area di servizio.

01. Lo spazio tra i tavolini e il banco: in penombra sullo sfondo il collegamento ai locali di servizio.

02. Veduta dall’ingresso esemplificativa dei rapporti tra finiture di superficie, materiali e luci.

03. Schizzo di progetto del banco, dell’isola di lavoro e della relativa illuminazione.

132 63 INTERIORS
Materiali, colori e finiture di superficie tra giochi di luce e penombre mettono in scena un dialogo tra architettura degli interni e una precisa idea di cucina
01 02 03

Lo studio dell’illuminazione è senza dubbio uno dei componenti fondamentali del progetto, i giochi di chiaro-scuro sono un mezzo per evidenziare alcuni particolari elementi del locale e, al contempo, dedicare il giusto spazio di pausa tra un elemento e l’altro. Lunghi cilindri a sospensione illuminano puntualmente i piani di servizio evidenziando i posti a sedere; una barra orizzontale illumina l’isola nell’area di lavoro, mentre faretti e strisce led risaltano le particolari porcellane e bottiglie disposte sulle scaffalature.

Persino il varco di collegamento con la bianca e luminosa cucina sul retro, che contrasta con la luce soffusa dell’ambiente principale, diventa un vero e proprio elemento che partecipa all’ambiente di servizio con una nota di vibrante vitalità, tipica delle cucine professionali.

Anche le finiture, le superfici e le cromie scelte concorrono ad esaltare i giochi di luce. Su una base di tinte scure e neutre spicca il legno chiaro utilizzato per il banco, i tavolini e la panca, risaltando quindi i luoghi dove prenderanno posto i clienti. Il pavimento è una superficie liscia e grigia sulla quale si proiettano le ombre delle persone e degli arredi, dando vita a una variabile composizione di geometriche sfumature. La grande altezza del soffitto, interamente dipinto di nero, viene spezzata dall’inserimento di pannelli in lamiera forata che compattano e raccolgono lo spazio attorno al banco di servizio, contribuendo a creare una particolare atmosfera intima e conviviale allo stesso tempo. Il progetto sottolinea l’importanza di scegliere le superfici con cura e posizionare gli arredi con precisione, ma anche l’attenzione nella scelta del co-

2023 #01 INTERIORS 64
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04-05. Schizzo di progetto e veduta delle scaffalature e dei ripiani con gli oggetti esposti. 06. Veduta d’insieme del banco con al centro l’isola di lavoro, sullo sfondo il luminoso passaggio con la cucina e le scaffalature. Una cucina in fermento

lore, delle luci e delle finiture al fine di esaltare i cibi serviti e gli oggetti in esposizione, passando per il minuzioso studio delle altezze di sedute e ripiani. Il Madres è l’esempio pratico di un progetto – e di un progettista – che è stato capace di capire le esigenze del suo committente e, proprio come un sarto cuce l’abito sulle forme del suo cliente aggiustandole dove serve, costruire uno spazio unico e “su misura” animato dalla vivacità dello staff del Madres. •

COMMITTENTE

Madres – Hakim Bensalah

PROGETTO ARCHITETTONICO

arch. Andrea Grigoletti

IMPRESE E FORNITORI

Todeschini Costruzioni (opere edili)

Forme di Luce (illuminazione)

Elettroimpianti QZ (impianti elettrici)

Idrotecnica snc di Castelletti

Andrea & C. (impianti idraulici)

Biorgeco (sistemi di aspirazione e depurazione)

Zorzi (attrezzatura professionale)

NIKO (arredo su misura)

CRONOLOGIA

Progetto e realizzazione: 2021

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07. I tavolini illuminati puntualmente e, attraverso la vetrina, scorcio su via Muro Padri. 08. Veduta della vetrina dall’esterno del locale. 09. Planimetria generale.
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Una serie di fortunate coincidenze

Progetto: Canegattosuperstudio

Testo: Nicolò Olivieri

A ridosso di Porta Vescovo, in prossimità del Bastione delle Maddalene da cui prende il nome, il primo novembre 2021 è stato inaugurato il wine bar Maddalene. Ritroviamo all’opera in questa occasione i progettisti di Canegattosuperstudio (cfr. «AV» 111, pp. 18-25). Seduti sui tavolini del locale “cane e gatto”, alias Nedda e Luca, raccontano le coincidenze che hanno portato alla nascita di questo progetto.

Tutto nasce da una scommessa tra i committenti, Marcello e Alessia, che avendo l’occasione di acquistare un locale chiedono agli architetti di fiducia un’opinione sullo spazio per immaginare eventuali possibili sviluppi. Nedda e Luca passano poi da consulenti progettisti a soci, per iniziare un ragionamento che ancora non aveva una definizione precisa tra un bar diurno, un piccolo bistrot o un’enoteca specializzata. A tagliare la testa al toro è stato il coinvolgimento di Giampaolo, un conoscente esperto di vini naturali, grazie al quale l’idea del locale prende una forma più precisa: la curiosità di Nedda e Luca ha fatto il resto. L’ambiente che ne risulta ha un impianto molto chiaro nonostante i diversi livelli tra piano strada, un mezzanino utilizzato per la conservazione dei vini, e una cantina come spazio conviviale e di degustazione.

Raccontato così sembra un locale come tanti, ma sono i dettagli a fare la differenza. Il cantiere, come spesso accade nei restauri, è stata una rivelazione di manufatti ed elementi che sono stati conservati e che, assieme alla matericità delle finiture, concorrono al carattere degli spazi.

Dall’ingresso, il bancone col piano in pietra si appoggia alla vetrina creando una connessione con l’esterno; l’alzato è realizzato con la tecnica

giapponese che consiste nel carbonizzare le assi di legno per poi raschiarle, così facendo acquistano un colorito caldo e una durata pressoché eterna. Sul lato opposto del bancone troviamo una panca su disegno rivestita in velluto verde, tavoli e lampade (Venini) di recupero e una struttura metallica come espositore per le bottiglie. La cosa che colpisce di più però non sono gli elementi di arredo ma le finiture delle pareti. Già nella realizzazione della loro abitazione Nedda e Luca hanno iniziato una ricerca sugli intonaci, riutilizzano la

2023 #01 INTERIORS 66
Elementi di recupero e una ricerca sperimentale sugli elementi di finitura caratterizzano gli spazi di un wine bar a Veronetta
02
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« Artigianale il locale, artigianale il vino che custodisce, e il modo per apprezzarlo è proprio spendendoci del tempo »

terra argillosa di scavo e miscelandola con aggreganti per finire le pareti. Anche in questo caso si sono messi in gioco: per la parete retro panca hanno miscelato un tritato di bottiglie sminuzzate e vagliate che rendere la superficie vibrante sui toni del verde. L’intonaco del bagno, invece, è stato arricchito con frammenti di specchio che danno una luminosità unica. Per il pavimento della zona bar sono state utilizzate cementine anni Trenta provenienti da un’altra ristrutturazione in cantiere nello stesso periodo. Anche i gradini che conducono al mezzanino sono di recupero, mentre la pavimentazione è frutto di un esperimento, utilizzando un rullino punzonato dei primi del Novecento per dare al micro-cemento un effetto storicizzato. Per il deposito dei vini vini sono state invece utilizzate reti da conigliere.

Scendendo nell’ultima sala, troviamo un pavimento in Pietra di Prun posata a spina di pesce, un disegno dei progettisti messo a punto per un progetto di qualche anno fa. Nove matasse di fil di ferro disposte in un quadrato 3x3 compongono sulla facciata il logo del locale, nove elementi come le nove lettere di Mad-dal-ene.

Chi sia il gatto e chi il cane non l’ho ancora capito, ma sicuramente la sinergia tra i due ha portato a un ottimo risultato. Artigianale il locale, artigianale il vino che custodisce, e il modo per apprezzarlo è proprio spendendoci del tempo sorseggiando un buon bicchiere di vino.

Grazie Nedda e Luca per la birretta e la bella chiacchierata. Si, alla fine, essendo un piovoso pomeriggio d’inverno, abbiamo optato per una birra artigianale sorseggiata adagiati sul comodo divanetto in velluto verde. •

COMMITTENTE

Maddalene srl

PROGETTO ARCHITETTONICO canegattosuperstudio

arch. Nedda Taioli, ing. Luca Zenari

CONSULENTI ing. Andrea Fornari (impianti)

IMPRESE E FORNITORI

Livio Taioli (opere murarie), Lugi Morandini (falegname), Igino Gaole (idraulico), Matteo Massalongo (elettricista), Dennis Cengia (cartongessi), Penta Systems srl (serramenti in ferro), Zumerle serramenti (serramenti in alluminio), Zivelonghi Luigi Flavio (pietra della Lessinia)

CRONOLOGIA

Progetto e realizzazione: 2021

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01. La panca in velluto verde sovrastata dalla struttura in ferro e da lampade di recupero. 02. Pianta piano terra, pianta mezzanino e interrato e sezione. 03. Scorcio del mezzanino con lo stoccaggio dei vini. 04. Il fronte su strada con il logo in primo piano. 05. Particolare di una finitura delle pareti. 06. Il bancone con il piano in pietra; sulla parete di fondo un aggregato di argilla.
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Il palazzo Giusti a San Quirico

Un brano di storia urbana attraverso la ricostruzione delle vicende familiari legate a una nobile famiglia veronese e al palazzo attestato su via Mazzini ben riconoscibile al di là delle variazioni subite nel tempo

Testo: Francesco Monicelli

Foto: Lorenzo Linthout

SAGGIO

Nel numero 130 di “ArchitettiVerona” (luglio-settembre 2022) è apparso un saggio intitolato Santa Maria in Stelle, un borgo del Rinascimento, dove era protagonista la famiglia Giusti di San Quirico, dal nome dell’antica contrada cittadina di residenza, appunto nella parrocchia di San Quirico, chiesa distrutta che si trovava nell’attuale piazzetta Scala a Verona. Forse a qualche lettore è sorta la curiosità di sapere quale è palazzo Giusti. Al numero civico 19 di via Mazzini, già via Nuova Lastricata, si nota una facciata di dimensioni contenute. La forometria è rappresentata da due portali al piano terreno: quello di sinistra, ogivale, tardo, quello di destra, pure ogivale, antico. Notevolissima la decorazione scultorea del portale antico, in parte rinascimentale, in parte con reminiscenze tardo gotiche. In chiave di volta, entro uno scudo torneario, lo stemma Giusti: una testa di fanciullo (il giusto prima di essere corrotto dal passare degli anni, forse originariamente il marchio con il quale i Giusti contrassegnavano i panni lana di loro produzione).

La forma dello scudo non è casuale, la scelta di quello da torneo vorrebbe alludere a una origine cavalleresca e non mercantile della famiglia. In corrispondenza dei due portali, al piano superiore si trovano due finestre murate trilobate con cornici scolpite in marmo ammonitico.

Al centro della facciata, in corrispondenza del punto d’incontro delle due diagonali che uniscono la finestra di sinistra con il portale di destra e quella di destra con il portale di sinistra, si trova una nicchia quadrangolare, protetta da un architrave sporgente sempre in marmo ammonitico con scolpite decorazioni caratteristiche sia del primo rinascimento che del tardo go-

tico. All’interno della nicchia è affrescata una scena sacra (probabilmente la resurrezione di Lazzaro) databile alla metà del Cinquecento e forse attribuibile a Francesco Moro, detto il Torbido, che viveva presso i Giusti di San Quirico.

Per capire come si sviluppava il resto del palazzo, bisogna ricorrere alle cartoline degli inizi del Novecento che pubblicizzano l’Albergo Ristorante Accademia. Si può così intuire che la facciata su via Mazzini era una finta facciata, dietro la quale si apriva un grande cortile-giardino rettangolare sul quale affacciavano gli edifici abitativi. Il modello della “finta facciata” lo troviamo anche in palazzo Dal Verme Da Lisca in via Carlo Cattaneo, civico 7.

All’interno della corte-giardino, tra i due portali d’accesso su via Mazzini, si trovava un puteale in marmo rosso

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01. Particolare del fastigio con i delfini di una finestra del pianterreno della facciata di casa Giusti su via Scala. 02. La porzione della casa Giusti databile ai primi lustri del Cinquecento compresa tra via Scala e vicolo Scala.
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03. Verona. Giardino Hôtel Accademia. Cartolina non viaggiata.

ammonitico con scolpiti vasi di fiori e ghirlande, databile al 1458, oggi trasferito nel cortile di palazzo Sebastiani inglobato nel complesso della Biblioteca Civica. Probabilmente in origine il pozzo era collocato al centro della grande corte. Sul lato opposto a quello d’ingresso, si apriva una facciata con il portale d’accesso centinato a sinistra e due finestre architravate a destra.

Il primo piano era caratterizzato da una esafora tardo quattrocentesca, scolpita in marmo, a luci trilobate divise da colonnine (tuttora esistente all’interno di un cavedio dell’Albergo Accademia). All’esafora era sovrapposta una loggia a sei luci centinate, probabilmente frutto di una sopraelevazione. Il lato destro, con semplici aperture architravate, era decorato a fresco con il motivo del bugnato a diamante. Il lato sinistro risultava, invece, caratterizzato da un lungo ballatoio che correva lungo il primo piano, sul quale affacciavano due monofore trilobate con cornici scolpite, ballatoio sostenuto da mensole lapidee con una semplice rin-

ghiera in ferro battuto. Anche questo è un elemento riscontrabile nel palazzo Da Lisca di via Cattaneo. È probabile che in origine il ballatoio girasse tutto attorno al cortile, cosa che spiegherebbe la presenza delle due finestre trilobate in facciata, oggi murate.

Da una fotografia pubblicata da Maria Teresa Cuppini nel 1981, si nota che i lavori di copertura del cortile hanno portato l’esafora al livello di calpestio della copertura stessa. Dalla medesima fotografia si comprende anche che la loggia del secondo piano è stata eliminata e che l’edificio è stato sopraelevato. La stessa foto ci dà, però, anche la possibilità di “leggere” meglio il lato sinistro. Infatti, alle due finestre trilobate del primo piano corrispondevano al piano superiore altre due monofore trilobate in asse con le sottostanti, mentre al terzo, e ultimo piano, risultava una loggia a cinque luci, in origine centinata, suddivisa da colonnine in pietra, che Stefano Lodi presume trattarsi di una altana appartenuta alla casa dei Montagna. L’ipotesi che la gran-

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04-05. Particolari del cavedio dell’Hôtel Accademia dopo la copertura del cortile-giardino.
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Giusti a San Quirico 05
06. Il cortile di palazzo Sebastiani con la vera da pozzo del 1458 dei fratelli Tomeo e Simone Schiavi da Marano proveniente dal cortile-giardino di palazzo Giusti di San Quirico.
Il palazzo
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de corte ospitasse un brolo-giardino, lo si deduce dal fatto che nelle anagrafi contradali di San Quirico del 1514 troviamo tra i famigli del conte Uguccione un “Hieronimo fruidor” di anni 22; e in quelle del 1596 tra i famigli del conte Claudio un “Giovanni zardinier” di anni 78.

Stefano Lodi, che ha studiato lo Iustianum di Santa Maria in Stelle (trattato nel succitato saggio in “ArchitettiVerona” 130/2022), ha allargato la sua indagine anche su questa residenza cittadina dei Giusti. In origine la proprietà dell’isolato era della famiglia Montagna. Si trattava di cinque case murate, copate e solarate, in parte confinanti con Anna e

Bartolomeo Guantieri figli di Marco Guantieri, famiglia di cui si conserva la cappella gentilizia all’interno della vicina chiesa conventuale dei Serviti intitolata a Santa Maria della Scala.

Bonsignorio Montagna, vedovo con una figlia, aveva sposato in secondo voto Zilia Campagna che gli aveva dato un figlio premorto al padre. Con atto del 10 maggio 1446, Zilia portava in dote al secondo marito Lelio

Giusti di San Vitale Muro Novo tanto le case di San Quirico che le proprietà di Santa Maria in Stelle. Dalle anagrafi contradali del 1481 Zilia risulta morta. Con Lelio vivono il primogenito Giusto, pure giurista, con la moglie Lucia d’Arco, e il secondogenito Zenovello con la moglie Amabilia Rangoni e le tre figlie Teodora, Morizia e Aurelia. L’alto tenore della famiglia è attestato dalla presenza di dodici tra servi e serve, un gastaldo a Santa Maria in Stelle con moglie e un figlio, un fattore a Gazzo, un vicario a Gazzo con moglie una figlia e due serve, un gastaldo a Gazzo con moglie e tre servi, cinque carrozze a disposizione del “magnifico” conte Lelio, e due carrozze per vicario e gastaldo.

Per quanto concerne le case di San Quirico, Lelio il 19 luglio 1457 aveva inoltrato al Consiglio cittadino una supplica per eseguire lavori di riordino, miglioramento e abbellimento al complesso. Al maggio del 1458 (Raffaello Brenzoni) risale il contratto tra Lelio Giusti e i fratelli Tomeo e Simone Schiavi da Marano, scalpellini,

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07. Verona - Pozzo Antico (1500) dell’Hôtel Accademia. Cartolina viaggiata il 02-01-23. 08. La facciata di palazzo Giusti di San Quirico in via Giuseppe Mazzini civico 19, già via Nuova Lastricata.
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09. La stessa facciata quando l’edificio ospitava i grandi magazzini Upim.

Il palazzo Giusti a San Quirico

per una vera da pozzo ottagona e due centenari per olio in pietra bianca. Sono a questi anni e, con ogni probabilità, a queste maestranze, che risalgono il portale ogivale d’ingresso su via Mazzini, le finestre trilobate e l’esafora.

Il 13 luglio 1488, sei anni dopo la morte di Lelio, i figli Giusto e Zenovello sciolgono la fraterna per dividersi il patrimonio paterno. La divisione non deve essere stata priva di difficoltà se il 6 ottobre 1490 una sentenza arbitrale sancisce la divisione dell’immobile di San Quirico in due entità distinte con la demolizione delle scale esistenti e la messa in opera di due ingressi separati con relative scale. Viene anche costruito un portico a ridosso dell’ingresso da via Mazzini. Uno dei due fratelli, forse Giusto, tra il 1488 e i lustri successivi, interviene sulla facciata di via Scala, angolo vicolo Scala. Edificio non finito (adiacente palazzo Sambonifacio rimodernato su progetto di Adriano Cristofoli) che conserva l’impaginatura a tre piani con fasce marcapiano, nove finestre su tre assi e un poggiolo angolare con parapetto in pietra. Le finestre centinate del

primo piano presentano stipiti scanalati desinenti in capitelli con rosetta, ghiere con perline e una palmetta a rafforzare la chiave di volta. Le finestre del secondo piano rettangolari sono concluse da timpani triangolari. Più originali le finestre del piano terreno, rettangolari e munite di inferiate a museruola. In particolare, le due centrali, concluse dalla prima fascia marcapiano sopra la quale è scolpito un fastigio con due delfini con le code in aderenza che sostengono una palmetta. Il motivo del delfino è ripreso da una scultura romana collocata tra le pietre angolari della fabbrica medesima.

Il complesso ha subito molteplici variazioni per essere adattato a esigenze diverse, dal commerciale all’alberghiero, per cui risulta difficile comprendere la consistenza degli interni, di cui sopravvivono due colonne su piedistallo concluse da capitello ionico, che Stefano Lodi riconduce al linguaggio di Francesco da Castello (1486-1570). Inoltre, dall’atto di divisione del 1488 apprendiamo l’esistenza di una “sala vechia” e di una “sala longa”. Il fuoco del primogenito Giusto si estinguerà con la discen-

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10. La facciata di palazzo Sambonifacio in via Scala dopo il rifacimento di Adriano Cristofoli del 1750.
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11. Salone da ristorante - Albergo Accademia - Verona. Cartolina non viaggiata..

dente Isabella, nata intorno al 1581. Isabella sposa Ludovico Sambonifacio e questi beni passano ai Sammbonifacio, i cui discendenti risultano risiedere in San Quirico nelle anagrafi del 1625 e del 1633, mentre nelle anagrafi dal 1652 al 1692 (quelle ancora esistenti) non appare più alcun membro dei Sambonifacio, ma solo loro inquilini. Per altro dal 1618 al 1717 parte degli immobili di San Quirico, vengono affittati dai Sambonifacio all’Accademia dei Filotimi. Uguccione, figlio del secondogenito Zenovello, lascia quattro figli: Giulio sposato alla vicentina Flaminia Pagliarini, da cui avrà Giulio

Cesare marito di Chiarastella Marogna, genitori di Cassandra, Laura e Fulvia; Ascanio che testa nel 1564 lasciando eredi i fratelli; Francesco sposo di Valeria Beroldi, dalla quale avrà Claudio, e Cesare, scapolo, che testa nel 1596. Il 6 marzo 1604, in base a una sentenza arbitrale, avviene la divisione dei beni di Cesare tra il nipote Claudio e le cugine Cassandra, Laura e Fulvia. Dopo la morte di Claudio Giusti (testamento 1608), la moglie Ippolita Allegri si trasferisce nelle case degli Allegri in contrada San Nazzaro.

Nelle anagrafi del 1614 risultano abitare a San Quirico Francesco de Montis, sarto, e Antonio de Menegatis, artigliere, con le loro famiglie, inquilini delle sorelle Cassan-

dra, Laura e Fulvia; e Francesco de Landrinis inquilino della contessa Vittoria figlia di Claudio. Nelle anagrafi del 1652, invece, risultano risiedere a San Quirico tre distinti nuclei Giusti: Francesco, secondogenito di Claudio, vedovo con due figli, due serve, un cocchiere, un fattore; Giovan Battista con la moglie Laura Mandelli una figlia, cinque servi e un cocchiere; la sorella Caterina vedova Mutti con quattro figli e nessun servo. Giovan Battista e Caterina dovrebbero essere figli di Gaspare, primogenito di Claudio, morto intorno al 1625. Nelle anagrafi del 1675 viene censito Cesare (fu Uguccione di San Pietro in Carnario, terzogenito di Claudio) con la moglie Margherita legittimata Sambonifacio, con quattro figli, una balia, due servi, uno staffiere e un cocchiere. Così nelle anagrafi del 1681 però con sei figli e solo due servi, indice di ristrettezze economiche. Le anagrafi del 1692, le ultime consultabili per San Quirico, non riportano più nessun Giusti.

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« Al numero civico 19 di via Mazzini, già via Nuova Lastricata, si nota una facciata di dimensioni contenute »
12. Giardino dell’Hôtel Restaurant “Accademia” Cav. G. MasproneVerona. Cartolina non viaggiata. 13. Particolare del bassorilievo di età romana inserito nelle pietre angolari di casa Giusti tra via Scala e vicolo Scala.

Il palazzo Giusti a San Quirico

14. Particolare della facciata di casa Giusti su via Scala.

15. Particolare del portale tardo gotico della facciata di palazzo Giusti in via Mazzini, 19.

16. La parte inferiore della pala d’altare di Antonio da Vendri proveniente dalla parrocchiale di Santa Maria in Stelle. Londra, National Gallery.

DIAMO UN VOLTO AI GIUSTI DI SAN QUIRICO

Alla National Gallery di Londra è conservata la parte inferiore di un quadro a olio su tela che potrebbe raffigurare dei membri della famiglia Giusti. Si tratta invero della parte inferiore della pala d’altare, probabilmente centinata, attribuita ad Antonio da Vendri (Vendri 1485? - Verona 1545) proveniente dalla parrocchiale di Santa Maria Assunta a Santa Maria in Stelle e smembrata alla metà del XIX secolo per essere venduta sul mercato antiquario. Al Museo di Castelvecchio di Verona sono conservati tre frammenti della parte superiore della pala raffiguranti: Madonna col Bambino, san Sebastiano, san Rocco (Enrico Maria Guzzo).

Per capire se si tratti effettivamente di un ritratto di gruppo dei Giusti

di San Quirico o delle Stelle (Guzzo propende per i membri di una confraternita e data la pala intorno al 1530), possiamo porci la domanda del perché la prima figura di giovane sulla sinistra, appaia con la bocca coperta da un lembo del cappello del giovane che gli è accanto. Invero potrebbe trattarsi di Vincenzo Giusti, muto, nato intorno al 1528. Il padre è Giovan Francesco Giusti di San Quirico, proprietario di Palazzo Montagna alle Stelle, jureconsulto e kavalier, nato nel 1485 circa e morto ante 1544, figlio di Giusto III e Lucia d’Arco. Giovan Francesco ha una sorella maggiore, Teodora nata intorno al 1480, professa a Santo Spirito, una seconda sorella, Lucrezia, nata intorno al 1482 e morta ante 1506. Una terza sorella, Egidia, nata nel 1487 circa sposata nel 1525 al medico Antonio Frisoni. Una quarta sorella,

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Timotea, morta molto presto, e una quinta sorella Aurelia sposata a Gabriele Vimercati. Giovan Francesco in primo voto aveva sposato Caterina Serego, che gli aveva dato tre figlie: Alessandra, nata nel 1504 circa, Cassandra, nata nel 1505 circa, ed Eleonora, nata intorno al 1510. Moglie e figlie risultano tutte morte post 1514 e ante 1517.

Dalle anagrafi del 1544 (per la contrada di San Quirico mancano gli anni dal 1518 al 1540, ma è solo nel 1544 che riappare la famiglia di Giovan Francesco) Giovan Francesco risulta deceduto, mentre sono censiti la seconda moglie Margherita Sambonifacio, nata intorno al 1502, il primogenito Giusto IV, nato nel 1527 circa, che sposerà ante 1546 Lucrezia Malaspina; il succitato Vincenzo, muto (che risulta sposato solo nel 1570 con Paola, ignoto il casato, nata

intorno al 1550, dalla quale avrà un figlio morto infante); Ludovica, nata intorno al 1531, sposata nel 1553 a Giovan Francesco Malaspina. Non risulta la figlia Lucrezia, già professa a San Daniele, ricordata dalla madre Margherita nel testamento del 21 aprile 1562. Ora se effettivamente la prima figura è quella di Vincenzo, è necessario spostare la datazione della pala agli anni Quaranta. Accettata questa ipotesi, la figura centrale di uomo barbuto maturo dovrebbe essere Giovan Francesco, morto ante 1544. Quindi la commissione della pala dovrebbe risalire al più tardi ai primi mesi di quell’anno, ma potrebbe essere precedente.

Il primogenito Giusto IV dovrebbe essere il giovane con cappello. La figura femminile di profilo che guarda l’uomo barbuto maturo, ossia Giovan Francesco, potrebbe essere la secon-

da moglie Margherita Sambonifacio. Così le figure femminili a destra con velo monacale, potrebbero ritrarre, la giovane, Lucrezia monaca a San Daniele e, l’anziana, Teodora professa a Santo Spirito, rispettivamente figlia e sorella di Giovan Francesco. Le altre figure femminili, tutte con il caratteristico copricapo chiamato balzo, potrebbero raffigurare la figlia di Giovan Francesco, Ludovica, e le sorelle di Giovan Francesco, Egidia e Aurelia. Se così fosse, la figura maschile orante tra il giovane Giusto e il padre Giovan Francesco, potrebbe ritrarre uno dei due cognati di Giovan Francesco, il medico Antonio Frisoni (morto però ante 1541) o Gabriele Vimercati. •

Cenni bibliografici

Raffaello Brenzoni, Il puteale dei Giusti in San Quirico, in «Studi Storici Veronesi», VI (1955-1956), pagg. 127-133.

Maria Teresa Cuppini, L’arte a Verona tra XV e XVI secolo, in Verona nel Quattrocento, Verona 1981 (Verona e il suo territorio, IV/1), pagg. 301-302.

Stefano Lodi, Lo Iustianum. Una villa umanistica nei pressi di Verona, in «Italia medioevale e umanistica», XXXIX, 1996. Enrico Maria Guzzo, Il patrimonio artistico veronese nell’Ottocento tra collezionismo e dispersioni (prima parte), «Atti e Memorie dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona», CLXIX (19921993), pagg. 486-488 nota 64.

NB Mentre l’archivio Giusti del Giardino è conservato presso l’Archivio di Stato di Verona, è ignoto il destino dell’archivio Giusti di San Quirico o delle Stelle e dei fuochi da questo derivati.

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vincenzo, muto figlio di g f giusto iv figlio di g f antonio frisoni o gabriele vimercati cognati di g f
egidia? sorella di g f aurelia? sorella di g f
giovan francesco giusti di san quirico margherita sambonifacio moglie di g f
ludovica?
figlia
di g f
lucrezia figlia di g f teodora sorella di g f Elaborato del progetto originario, ing. Pio Beccherle (1929).

Alla Rotonda ultima fermata

Ci è parso doveroso ritornare, a costo di sembrare noiosi, sui progetti che hanno interessato gli ex Magazzini Generali di Verona nel quadrante meridionale della città. I lettori più affezionati ricorderanno infatti le molte occasioni di dibattito, gli articoli e i contributi a proposito di quest’area, ritenuta strategica per lo sviluppo della città a partire dalle ragioni che hanno portato alla dismissione delle attività che ospitava, riallocate fuori dalla città consolidata grazie al lungimirante progetto del Quadrante Europa. Molto è stato detto, dunque, su ciò che avrebbero potuto rappresentare per Verona gli ex Magazzini Generali, a ragione o a torto: ma ora è il momento di raccontare ciò che sono diventati nel momento in cui stanno per giungere a termine i lavori pluriennali che abbiamo visto a lungo in cantiere, sia come semplici passanti lungo l’asse di viale del Lavoro sia come “vicini di casa” partecipi dell’intera vicenda in qualità di ospiti del Magazzino 15 sulla punta settentrionale dell’area, dalla sede del nostro Ordine. Mentre si sta dunque completando la sistemazione del grande spazio urbano

racchiuso – un tempo – dal recinto triangolare dei Magazzini, l’attenzione è tutta rivolta alla Rotonda, ovvero alla magnificente Stazione Frigorifera Specializzata, con la sua singolarissima e inconfondibile architettura a pianta centrale.

I temi in campo sono molteplici, dai modi del progetto firmato da Mario Botta assieme a SM Ingegneria, che completa il disegno degli edifici 23-26 già da tempo in funzione come uffici, all’uso prevalentemente commerciale della Rotonda con l’innesto di una parte espositiva dedicata all’arte contemporanea.

Su tutto ciò aleggia la memoria di questi luoghi, quella recente della stagione gloriosa condotta dall’associazione Interzona e quella passata, che ha portato alla nascita di un brano di città così ricco di significati.

Riforma Botta

Le vicende e gli esiti del progetto che hanno portato all’attesa apertura della ex Stazione Frigorifera ai Magazzini Generali

Nutrirsi d’arte

Com’è Eataly, dagli spazi commerciali e di ristoro alla inedita contaminazione con l’arte contemporanea

La Stazione Specializzata.FrigoriferaCronistoria di una nascita

Le ragioni, i protagonisti e le tappe che hanno portato alla costruzione di uno spettacolare connubio tra tecnologia e architettura

Presido culturale

Dal 1993 al 2016 le attività promosse dall’associazione Interzona hanno rappresentato l’unico presidio a testimonianza della memoria dei luoghi e del loro potenziale

Finale di partita

Un bilancio “conclusivo sull’operazione Magazzini Generali e sulla retorica dello sviluppo urbano di Verona Sud

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Riforma Botta

La visione dell’architetto ticinese Mario Botta per i Magazzini generali di Verona trova forma compiuta con l’apertura della ex Stazione Frigorifera

Testo: Leopoldo Tinazzi

Il recupero dell’ex-Stazione Frigorifera Specializzata dei Magazzini Generali è senza dubbio l’opera architettonica più significativa e controversa della recente storia urbana veronese. Il lungo percorso amministrativo, i passaggi di proprietà e il cambio in corsa della destinazione d’uso con relativo progetto di restauro hanno acceso un dibattito infuocato, che ha tenuta altissima l’attenzione dei media e della comunità degli addetti ai lavori negli ultimi vent’anni. Non di meno, l’edifico della Rotonda, rappresenta il gioiello dell’architettura produttiva scaligera e, in quanto tale, è visto come il simbolo dell’intera ZAI storica. Non c’è da stupirsi quindi se, analogamente, la vicenda e gli esiti del suo restauro hanno concentrato in sé prima le aspirazioni e poi le reazioni dell’opinione pubblica cittadina, riguardo alla più ampia questione dell’intero comparto agricoloindustriale e della conseguente trasformazione di Verona Sud.

Non è oggetto di questo articolo una valutazione della complicata faccenda politica e urbanistica di cui l’edificio è paradigma, ma lo è solamente una descrizione dell’intervento di recupero in quanto tale, nei suoi aspetti architettonici, partendo comunque da un necessario inquadramento storico-critico. La nascita della Stazione Frigorifera (anche chiamata Stabilimento Ortofrutticolo) risale al 1929, anno in cui, in pieno Ventennio, il governo cittadino decise di dotare il fiorente settore primario provinciale di una struttura all’avanguardia su disegno dell’ingegnere Pio Beccherle, che facilitasse gli scambi commerciali, ponendosi come crocevia della distribuzione della frutta tra l’Italia e il nord Europa.

La caratteristica conformazione planimetrica radiale è infatti dovuta a motivi logistici, poiché, in quanto stazione, prevedeva l’entrata, lo stazionamento e l’uscita di vagoni merci tramite le otto gallerie che lo attraversano, suddividendolo in altrettanti comparti, sede delle camere frigorifere di stoccaggio. Il cuore di questo edificio scambiatore era la piattaforma a binario girevole, finalizzata allo smistamento dei convogli, che si trovava nella sala centrale, sotto la grande cupola che caratterizza così indelebilmente il paesaggio urbano. La messa in moto dello

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01. Stazione Frigorifera: il portale di accesso principale sul lato nord, da cui entravano i convogli ferroviari.

02-03. Gli svuotamenti strutturali al piano primo per le gallerie dedicate alle mostre d’arte e la sala centrale portata al suo grado zero durante i lavori (foto di Alessandra Chemollo).

04. La cucina in struttura metallica che occupa lo spazio al centro dell’edificio.

stabilimento era supportata da enormi apparati impiantistici, che insieme alle imponenti nervature strutturali, costituivano l’organismo dell’avveniristico edificio-macchina.

Il complesso venne inaugurato nel 1930 e fino agli anni Sessanta operò al servizio del commercio ortofrutticolo, quando, date le mutate condizioni economiche ed infrastrutturali, iniziò via via ad essere trasformato in deposito di autoveicoli provenienti dalla Germania, venendo pesantemente modificato all’inizio della decade successiva al fine di agevolare questa nuova funzione. L’apertura e la crescente espansione del decentrato Quadrante Europa ne decretarono la dismissione, avvenuta ufficialmente nel 1982. Da allora lo stabile, entrato in possesso del Comune di Verona, rimase in stato di abbandono, fino all’inizio degli anni Novanta, quando vi si insediarono le attività dell’associazione culturale Interzona, facendolo tornare in vita principalmente come sito di spettacoli teatrali e installazioni artistiche. Il successo di questa iniziativa riportò la Rotonda sotto l’occhio dell’attenzione pubblica, fino all’apposizione nel 1999 del vincolo su tutto il

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compendio dei Magazzini Generali da parte della Soprintendenza, in qualità di archeologia industriale per i suoi aspetti materiali e immateriali. Da qui in poi si è avviato un periglioso intreccio politico-amministrativo che, dopo la sdemanializzazione dell’intera area a favore della Fondazione Cariverona nel 2002, ha visto il progressivo smantellamento del complesso e la modifica dell’assegnazione a polo della cultura, portando allo sviluppo dell’attuale progetto di recupero, il cui fiore all’occhiello è rappresentato dalla rimessa in pristino della Rotonda, recuperata e parecchio trasformata per essere portata alla funzione commerciale, come dimora del supermercato di eccellenza alimentare Eataly.

La progettazione è stata sviluppata a partire dal 2009 dagli studi dell’architetto Mario Botta e dell’ingegner Claudio Modena, dapprima con una proposta ancora legata alla destinazione culturale e successivamente con l’attuale configurazione.

La prima versione prevedeva la realizzazione di

un teatro, il cui apice compositivo risiedeva nella creazione di una suggestiva platea semicircolare incassata sotto la cupola al centro dell’edificio. Questa trasformazione, seppur già mettesse in conto un radicale intervento sulle strutture e sui dispositivi macchinistici d’epoca, si riallacciava idealmente alla recente storia della costruzione, utilizzata come macchina per la messa in scena. In questo senso si sarebbe stabilita una continuità con quanto avvenuto dal 1993, dotando Verona di un nuovo auditorium all’avanguardia (se non altro per il brillante trapianto tipologico), così come lo era stata la stazione a suo tempo.

La storia ha però voluto deviare il suo corso e, con la caduta della destinazione culturale, nel

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« Il recupero dell’ex Stazione Frigorifera Specializzata
è senza dubbio l’opera architettonica più significativa e controversa della recente storia urbana veronese »

2014 la proprietà ha commissionato al gruppo di progettazione una variante che potesse recuperare l’immobile al fine di poterlo affittare commercialmente. I lavori si sono protratti fino al 2022, quando la nuova sede di Eataly Verona è stata finalmente inaugurata. Il progetto realizzato ha previsto sostanzialmente un ripristino della struttura che potesse portare ad un contenitore urbano il più possibile neutro e dall’alta flessibilità, anche in vista di future suddivisioni e cambi d’uso. Questo ha inevitabilmente comportato una serie di demolizioni selettive e innesti strutturali che hanno trasformato l’edificio. Se da un lato le strutture verticali principali sono state recuperate, ugualmente alla cupola e a molti paramenti esterni, dall’altro i solai e le coperture sono stati sostituiti. Molto è cambiato anche a livello di circolazione, con l’innesto di numerosi corpi scala per la salita tra i vari livelli (terra, mezzanino e primo). Il nuovo utilizzo come sede di Eataly prevede infatti un format che, oltre alla zona vendita, divisa per settori e assimilabile a quella di un mercato tradizionale, contiene anche un ristorante e, ai piani superiori, una galleria d’arte con annessi spazi per eventi.

COMMITTENTE

Fondazione Cariverona (fino a 2015)

Patrizia Real Estate Management

MASPERPLAN arch. Mario Botta

RECUPERO DELLA STAZIONE

FRIGORIFERA “LA ROTONDA”

E DEGLI EDIFICI ADIACENTI

PROGETTO ARCHITETTONICO

Mario Botta architetti

SM Ingegneria: ing. Claudio Modena

PROGETTO STRUTTURALE E SICUREZZA SM Ingegneria

PROGETTO IMPIANTI ELETTRICI E MECCANICI Manens-Tifs

IMPRESE

EcoDem (primo stralcio)

ATI Fedrigoli - Lonardi - SerpelloniMeneghini (secondo stralcio)

ICM (terzo stralcio fase A)

Arcas - Bouygues (terzo stralcio fasi B e C)

DATI DIMENSIONALI

superficie Rotonda: 13.700 mq

importo lavori: ca. 200 milioni € (intero comparto Magazzini Generali)

CRONOLOGIA

Fine lavori: 2022

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05-06. Sezione planimetria a livello terra del primo progetto firmato Botta e Modena per la realizzazione di un grande auditorium. 07-08. L’enoteca e lo spazio mercato di Eataly.
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MARIO BOTTA E I MAGAZZINI GENERALI

Risale al 2014 questa breve intervista in cui Mario Botta tratteggiava i caratteri del suo progetto per il recupero del grande recinto degli ex Magazzini Generali di Verona. La proposta al tempo prevedeva per il grande spazio aperto “un giardino con un roseto, per reintrodurre i profumi all’interno della città, il tutto delimitato dal muro di conta che verrà aperto con dei fornici ma resterà come perimetro più virtuale che reale”.

VIDEO

https://architettiverona.it/video/ magazzini-generali-01/

Il layout della nuova sistemazione ha previsto quindi il seguente assetto: dall’entrata, in senso orario, si trovano il mercato, la grande black room museale (con i due compressori superstiti), il ristorante, l’enoteca e la libreria, disposti a raggiera all’interno dei settori trapezoidali che compongono il piano terra, a loro volta suddivisi in una parte sul lato esterno generalmente aperta al pubblico e una più interna dedicata ad aspetti più funzionali (depositi merce,

uffici, servizi). A collegamento di questi macrocomparti, le ex-gallerie di preraffreddamento sono state adibite a spazi ibridi distributivo-espositivi. Da queste si raggiunge il centro della costruzione, dove l’ambiente a tutta altezza della cupola accoglie una grande cucina ottagonale, realizzata in struttura metallica. Questo nodo centrale è il nucleo dell’edificio e su di esso affaccia anche il piano primo, attraverso grandi portali, tagliati sul muro d’imposta

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del soprastante tamburo finestrato. A questo livello un corridoio circolare collega le varie stanze, di cui tre destinate alla galleria d’arte contemporanea Eataly Art House e le altre a sale per eventi.

L’aggiunta di queste funzioni ha lo scopo di rendere l’ex Stabilimento Ortofrutticolo un contenitore culturale, in aggiunta alla primaria vocazione di tempio dedicato all’enogastronomia.

Può essere considerato abbastanza, rispetto alle potenzialità del monumento post-industriale veronese per eccellenza? Tralasciando le questioni a monte, forse lo si potrà valutare in seguito alla risposta del pubblico, che ne potrebbe decretare un successo altrimenti difficile da conseguire. Sta di fatto che alla città è stato restituito un edificio, che, seppur non restaurato archeologicamente, è stato modernizzato e riprogettato con cura. Le scelte di finitura esterne come quelle interne ne hanno restituito un’immagine contemporanea, magari non del tutto filologica, ma sicuramente capace di dialogare con lo spirito del fabbricato. I pavimenti in cemento con colori diversi per ogni settore, gli intonaci ruvidi e grossolani, gli innesti strutturali e i corpi scala faccia a vista, le

lamiere grecate dei soffitti con impianti pendinati, i controsoffitti in lamiera stirata che riprendono lo zigzag degli shed e gli infissi (interni ed esterni) dai profili essenziali, sono la dimostrazione di una sapiente capacità di progettare il contemporaneo all’interno di contesti ex-industriali, così come all’esterno l’ineccepibile dettaglio delle lattonerie di bordatura delle lastre metalliche di falda, fatte incrociare con i tamponamenti dei sopraelevati portali delle gallerie. Queste sono solo alcune delle scelte progettuali effettuate dallo studio Botta, all’interno di un lavoro di alto valore architettonico.

Al di là degli aspetti costruttivi, una critica, nell’opinione di chi scrive, può essere mossa invece a livello distributivo, riguardo alla decisione di posizionare al centro della Rotonda l’imponente cucina, che seppur di ottimo disegno, avrebbe più felicemente lasciato spazio a un grande vuoto. Così come, invece, sul piano dell’inserimento urbano, la realizzazione del prospiciente parcheggio a raso, rappresenta un’occasione persa per riallacciare più efficacemente l’area dei Magazzini Generali al quartiere di Borgo Roma.

Sicuramente con il passare del tempo raccoglieremo i frutti di quanto seminato, ma, come già detto, le perplessità sulla vicenda urbanistica e il rimpianto per la mancata preservazione archeologica, non possono ora che trasformarsi nella speranza che l’attuale formula goda del successo auspicato e riporti questo prezioso manufatto al centro della vita dei cittadini veronesi. •

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12 Una delle ex gallerie di preraffreddamento allestita a ristorante.

13. Sezioni di progetto.

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09. Alcuni “strappi” delle opere dei writes sugli esterni della Rotonda allestiti nello spazio sulla storia dell’edificio al piano terra. Piante piano primo e piano terra.
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Nutrirsi d’arte

E improvvisamente è arte. Camminando lungo i flussi commerciali di Eataly ci si imbatte, quasi con il rischio di non accorgersene, nei tre raggi dell’Art market, uno spazio dedicato all’arte da vedere e da comprare. Alle pareti ci sono infatti allestimenti temporanei tematici, uno dedicato alla fotografia, uno ai giovani artisti e un altro infine gestito direttamente da una serie di importanti gallerie italiane e internazionali, che creeranno le proposte che i collezionisti potranno essere stimolati ad acquisire, conoscendo così nuove forme di sperimentazione tra banchi alimentari e installazioni artistiche. Accanto quindi a una composizione di Bruno Munari o una foto firmata dall’agenzia Magnum Photos troviamo il loro cartellino con descrizione, autore, datazione e prezzo. Il budget per le opere varia tra i 200 e i 20mila euro circa. Per impossessarsi dell’opera non ci serve in autonomia, come si fa dai vicini scaffali del market, ma ci si deve rivolgere al desk dedicato; la soddisfazione dell’impulso non è quindi immediata ma sicuramente questa formula rappresenta un’occasione che consente un avvicinamento inconsueto all’arte e che ne dà valore. Grazie a Eataly Art House (E.ART.H) si articola così un nuovo luogo per l’arte dalla doppia anima, culturale e commerciale, con l’obiettivo di promuovere la conoscenza delle arti visive presso

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01-02. L’Art Market nei corridoi radiali al piano terra di Eataly.
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Com’è Eataly, dagli spazi commerciali e di ristoro alla inedita contaminazione con l’arte contemporanea
Testo: Lisa Ceravolo

il grande pubblico. Un luogo d’arte accessibile, immerso nelle vesti di uno spazio dedicato ad un altro piacere e bisogno della vita, il cibo. Cibo e bellezza si conoscono da sempre, l’armonia e lo sguardo li accomuna: infatti c’è chi mangia con gli occhi!

E mentre al piano terra troviamo espressioni artistiche con un livello di accessibilità inaspettato e gratuito, per accedere all’offerta espositiva principale, l’Art House, si deve salire di un piano e pagare un biglietto: ed ecco che inizia la visita degli ampi spazi espositivi – circa 2.500 metri quadrati in totale – dedicati a mostre temporanee di arte contemporanea e di fotografia.

Due le sale principali, con la caratteristica di essere trasformabili e che si adattano bene alla funzione che ospitano e che anzi possono anche essere fonte di ispirazione, come è successo nel caso dell’artista ghanese Ibrahim Mahama che ha realizzato una delle sue installazioni in uno dei raggi valorizzando e rievocando la funzione d’origine, l’accesso dei treni. Anche qui al primo piano, le pareti neutre con intonaco dalla finitura a grossa grammatura danno continuità luminosa agli spazi, assieme al soffitto bianco e ai pavimenti in battuto di cemento. Semplici setti espositivi articolano le sale, avvolgendo il visitatore o creando percorsi tematici. Le due mostre di apertura (ottobre 2022-gennaio 2023) sono le personali di Ibrahim Mahama (1987, Tamale, Ghana) a cura di Eva Brioschi, e di Anton Corbijn (1955, Strijen, Paesi Bassi) a cura di Walter Guadagnini. Sempre allo stesso piano, l’impegno di E.ART.H. nel comunicare l’arte al grande pubblico si traduce nella possibilità di organizzare momenti formativi –workshop, seminari, talk e attività didattiche – nella sala congressi da 300 posti e nei locali adiacenti, che ospitano una selezione di oggetti di design e sculture luminose, e che proseguono il racconto delle molteplici espressioni artistiche attivate dalla nuova istituzione.

Ci vorrà un po’ di tempo per osservare se la convivenza tra commercio e cultura potenzierà un nuovo approccio all’arte e se la città riconoscerà anche questa identità a Eataly scegliendo quindi cibo e arte come piatto unico. •

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03-04. Gli spazi di Eataly art House (E.art.h) con le mostre inaugurali dedicate agli artisti Anton Corbijn e Ibrahim Maahama (courtesy the artists and E.art.h. ).

La Stazione Frigorifera Specializzata. Cronistoria di una nascita

Le ragioni, i protagonisti e le tappe che hanno portato alla costruzione di uno spettacolare connubio tra tecnologia e architettura

Inaugurati nel loro primo impianto il 13 maggio 1927, i Magazzini Generali di Verona furono costantemente interessati dall’aggiornamento delle strutture, in virtù del sempre maggiore successo che stavano riscuotendo. Infatti, non si era ancora conclusa la prima fase di ampliamento, sempre su progetto dell’ing. Giuseppe Tromba, che entrò nel vivo la proposta per la costruzione di un grande centro di esportazione per i prodotti orto-frutticoli1

Una struttura la cui localizzazione era ambita anche dalla città di Bologna. Proprio per prevalere su quest’ultima, nell’aprile del 1929 il consiglio di amministrazione dei Magazzini Generali diede alle stampe un opuscolo per illustrare «l’importanza di Verona come centro di produzione e come punto di obbligato transito di prodotti orto-frutticoli»2 presentandolo ad un incontro sul tema, organizzato dal Governo, al quale parteciparono tutte le più importanti cariche politiche veronesi. L’incontro fu positivo per entrambe le contendenti: il 14 giugno il Ministro delle comunicazioni, on. Costanzo Ciano, firmò il decreto che concedeva la rispedizione dei prodotti ortofrutticoli sia a Verona che a Bologna. Bisognava quindi muoversi in fretta per essere i primi a costituire l’importante centro, che avrebbe portato grande sviluppo per l’economia della città.

Già nei primissimi giorni di luglio venne conferito incarico all’ingegner Pio Beccherle, all’epoca consulente della Cassa di Risparmio, per «l’immediata elaborazione di un progetto per lo sviluppo del lavoro di refrigerazione della frutta e dei trasporti e per la valorizzazione della concessione della rispedizione»3; inoltre, fu finanziato un viaggio per studiare le

01-02. La Stazione frigorifera durante le operazioni di movimentazione dei carri ferroviari (1930 circa) e utilizzata quale scenografia per la mostra dei carri ferroviari (marzo 1934). 03-06. Schemi illustrativi del progetto per lo stabilimento ortofrutticolo con indicate le diverse funzioni. Si noti, in questa prima versione (ottobre 1929), l’inserimento di due gallerie affiancate all’ingresso principale, poi non realizzate.

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Testo: Michele De Mori
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organizzazioni e visitare gli impianti di Monaco di Baviera, Berlino, Amburgo e Francoforte sul Meno. Nessuno dei grandi impianti tedeschi visitati si configurava, però, quale esempio ideale della nuova struttura. Una struttura che, secondo le parole del consiglio, doveva raggruppare in sé tre servizi fondamentali: «il nucleo ferroviario, il freddo per la conservazione e il trasporto, la lavorazione della frutta»4

Seguendo queste indicazioni, il 16 settembre l’ingegner Beccherle presentò al consiglio il progetto di un “edificio-macchina” nel quale la tecnologia del freddo e dei trasporti veniva fusa con la configurazione architettonica tipica dei depositi con piattaforma girevole, dalla pianta circolare – o semi circolare – da tempo diffusi in tutti i maggiori impianti ferroviari dell’epoca.

Nucleo centrale della struttura era proprio la piattaforma girevole dal diametro di 18 metri, che poteva ospitare due vagoni contemporaneamente; attorno a questa si sviluppava il cosiddetto “anello del freddo” dal diametro di circa 70 metri, nel quale erano situate otto celle dalla forma trapezoidale per la refrigerazione della merce intervallate da altrettante gallerie disposte in modo radiale. Di queste, la principale, rivolta a nord-ovest, permetteva l’ingresso allo stabilimento ed il raccordo alla rete ferroviaria; era, inoltre, l’unica nella quale si effettuavano le operazioni di caricamento del ghiaccio all’interno dei vagoni, grazie alla presenza di due grandi macchine poste al piano primo, affiancate da due locali ad uso ghiacciaia. Le altre sette gallerie erano destinate al raffreddamento dei carri; due di queste consentivano di uscire anche direttamente verso l’esterno, per accelerare le operazioni. Tra le celle di conservazione e le gallerie di carico e scarico erano presenti delle porte e degli sportellini coibentati per facilitare la movimentazione della merce. Inoltre, attorno all’“anello” erano situate le sale per la lavorazione della frutta, che portavano così l’edificio a raggiungere il diametro esterno di 107 metri. Nella sala posta a sinistra della galleria principale si trovava la sala macchine. Le celle e le gallerie erano, inoltre, coperte da un piano superiore utilizzato quale magazzino per il grano. In ultimo, nella sala centrale,

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07. Pianta generale dello stabilimento ortofrutticolo (ottobre 1929) con indicate le funzioni delle diverse zone.

08. Dépliant pubblicitario dei Magazzini Generali con indicate le località raggiunte, 1928.

09. La sala centrale con piattaforma girevole allestita per la mostra dei carri ferroviari, marzo 1934.

dal diametro di 24 metri, si innalzava una cupola, alta fino a 30 metri, il cui scopo principale era, grazie alle finestrelle poste a coronamento della base, fornire ampia illuminazione all’interno, nonché permettere l’uscita dell’aria più calda seguendo il principio della convezione termica naturale5 Sottoposto al vaglio tecnico dell’ingegner Stefano de Stefani, dopo meno di un mese, il progetto, dalla potenzialità «praticamente illimitata»6, ottenne parere favorevole. La spesa fu quantificata in 5 milioni di lire, somma concessa dalla Cassa di Risparmio attraverso l’ipoteca delle proprietà dei Magazzini Generali.

Il 26 ottobre venne indetta la gara per l’assegnazione delle opere murarie, alla quale furono invitate alcune tra le più importanti imprese edili di Verona: Tosadori Arturo Nicola, Ferlini e Roncari, Ing. Luigi Bertelè & C., Lucillo Brazzoli. Sarà quest’ultima ad accaparrarsi i lavori, contrattualizzati il 31 ottobre 1929. Il 4 novembre presero il via le opere che, il 18 dello stesso mese, Mussolini approvò con grande entusiasmo. Di tutta risposta, il Consiglio indicò che

lo stabilimento ortofrutticolo specializzato veronese avrebbe iniziato il suo funzionamento «il 24 maggio 1930 - VIII, annuale della nostra entrata in guerra»7 Una volta definito il progetto architettonico, rimaneva da sviluppare il ben più complesso e articolato impianto frigorifero. Questo, oltre ad avere una capacità di produzione di 600 quintali di ghiaccio al giorno in blocchi di circa 25 kg ciascuno, doveva poter raffreddare le due ghiacciaie alla temperatura di -3°C, le otto celle con una temperatura compresa tra +2°C e +4°C; le sette gallerie con temperatura tra 0°C e +2°C. Per determinare la migliore soluzione venne istituita, nel novembre del 1929, una commissione di studio composta dall’ingegner Alberto de Stefani quale Presidente, gli ingegneri Pio Beccherle e Giuseppe Tromba come membri e il dott. Anselmo Guaita con il ruolo di segretario. Furono, quindi, contattate alcune tra le più importanti ditte specializzate italiane ed europee e, dopo un attento confronto, la scelta ricadde sulla Barbieri & C. di Bologna in quanto il suo progetto

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« Oggi di questo spettacolare connubio tra tecnologia e architettura non rimane quasi più alcuna traccia »

si presentava «certamente il più completo e il più organico tra quelli esaminati»8. La soluzione proposta prevedeva un impianto alimentato da tre compressori all’ammoniaca con una potenzialità di 400.000 frigorie/ora l’uno.

Da notare in fatto che tutti gli acquisti delle forniture venivano gestiti direttamente dal consiglio di amministrazione, anche al fine di una maggiore rapidità decisionale. Nel gennaio del 1930 fu stipulato il contratto per la fornitura del sughero catramato con la ditta Maccherani di Follonica, per ben 2.500 m³ di materiale; tutte le porte furono commissionate alla veronese Fratelli Conforti; la grande piattaforma girevole alla Società Nazionale Officine di Savignano; la costruzione della cupola alla Società Anonima Ferrobeton di Roma. Cupola che venne, successivamente, rivestita con vernice “Metalluminia 929”, in grado di riflettere i raggi solari ed evitare, così, di surriscaldarne la superficie.

A lavori ben avviati, i cui stati di avanzamento venivano vidimati dall’ingegner Tromba, il 3 marzo 1930 l’ingegner Beccherle espresse al consiglio la necessità di provvedere ad ulteriori opere,

quali: l’ampliamento delle sale lavorazione frutta; il potenziamento del frigorifero; la costruzione di una cabina di trasformazione per l’energia elettrica; la realizzazione di un impianto automatico, di tipo pneumatico, per il trasporto del grano a servizio del vasto magazzino sovrastante il frigorifero, necessario in modo da renderlo completamente autonomo dal resto della struttura. Il tutto con un aumento della spesa da 5 a 7 milioni di Lire.

Proseguendo a ritmi sostenuti, i lavori furono completati in tempo per l’inaugurazione di domenica 8 giugno 1930. La stazione frigorifera, era stata completata a tempo di record e un gigantesco fascio littorio, opera della ditta Conforti, issato sulla cupola ricordava come il Regime ne fosse stato il principale artefice.

Oggi di questo spettacolare connubio tra tecnologia e architettura non rimane quasi più alcuna traccia. Purtroppo il recente recupero non è riuscito a tutelare e salvaguardare il vero valore di quell’“edificio-macchina” – all’epoca ammirato da tutto il mondo – consegnandoci un guscio vuoto privato del suo cuore pulsante. •

10. Prospettiva generale del complesso dei Magazzini Generali (ottobre 1929) con evidenziate le ipotizzate fasi di sviluppo. Il disegno è opera del pittore veronese Guido Trentini.

11. Veduta della sala macchine realizzata dalla ditta Barbieri di Bologna, 1930.

1 De Mori, 2017, pp. 34-36.

2 Archivio di Stato di Verona, Ente Autonomo Magazzini Generali di Verona, Libri verbali del Consiglio di Amministrazione, libro 3, 1927-1931, pag. 111.

3 Ivi, p. 116.

4 Ivi, p. 119.

5 Ferretti 1930; Stradelli 1930.

6 Archivio Provincia di Verona, Carteggio Storico, b. 2257, 1961-1965, cat. III, cl. 13. Magazzini Generali di Verona, Per la costruzione di uno stabilimento orto-frutticolo specializzato, assemblea straordinaria del 12/10/1929, p. 19. «Poiché può consentire la spedizione di ben 150 vagoni refrigerati in 24 ore».

7 Archivio di Stato di Verona, Ente Autonomo Magazzini Generali di Verona, Libri verbali del Consiglio di Amministrazione, libro 3, 1927-1931, pag. 132.

8 Ivi, p. 173.

Riferimenti bibliografici

De Mori, M., La nascita dei Magazzini Generali di Verona, «Appunti di studio sull’industria a Verona», III, Verona, 2017. Ferretti U. 1930, La Stazione Frigorifera Ortofrutticola dei Magazzini Generali di Verona, in «Rivista del Freddo», n. 8, pp. 381-410.

Stradelli A. 1930, La stazione frigorifera specializzata per frutta e verdure in Verona, in «L’ingegnere», n. 7, pp. 434446.

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Presidio culturale

“Dovete darci un documento ed entrare cinque alla volta e per non più di due ore: ci sono le rotaie e qualcuno potrebbe farsi male”. Inizia così, nel 1993, il primo sopralluogo di Interzona nell’area degli ex Magazzini Generali con un funzionario dell’ufficio Patrimonio del Comune di Verona, proprietario dell’area. I Magazzini Generali erano sempre stati considerati un corpo avulso dalla città, una barriera impenetrabile da aggirare che manteneva distanti i quartieri limitrofi.

All’inizio, a parte alcune zone, l’area è in perfetto ordine: gli uffici con sedie e scrivanie in legno massello anni Trenta coperte di moduli da riempire. Accese le spie rosse e gialle sui pannelli in marmo grigio striato pieni di manometri in bronzo della sala macchine della Stazione Frigorifera. Ma è soprattutto il ronzio della corrente elettrica a ricordare che tutto potrebbe ripartire da un momento all’altro. Più avanti affiorano qua e là i primi segni di spoliazione, del degrado che qualche anno dopo avrebbe devastato l’area giustificando le selvagge demolizioni eseguite in seguito.

Con regolare contratto deliberato in Giunta, Interzona prende in affitto per mille lire al metro quadro uno spicchio di soli 700 mq, ma strategico, perché passando dall’unico corridoio si trova il sancta santorum dell’edificio, ovvero il cellone, un’enorme cella frigorifera metallica e stellare la cui imponente pianta ad arco di cerchio non ne lascia intravedere i contorni. Da quel momento la cupola diventerà l’essenza stessa di Interzona, la sua musa ispiratrice, e il destino dell’associazione si intreccerà con quello dei Magazzini Generali.

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Testo: Ada Arduini, Fausto Caliari 01. L’interno della Rotonda nel 1999 per una rassegna cinematografica dedicata ai registi Ciprì e Maresco.
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02. Grafica per la rasegna Locomotiva cosmica, 1994.
Dal 1993 al 2016 le attività promosse dall’associazione Interzona hanno rappresentato l’unico presidio a testimonianza della memoria dei luoghi e del loro potenziale

Formalmente associazione culturale, Interzona si può definire una comunità culturale site specific che per più di 30 anni ha promosso arte all’interno di luoghi abbandonati dalle forti connotazioni architettoniche. La sua vocazione collaborativa le ha permesso di intrecciare relazioni con innumerevoli istituzioni e realtà culturali e a livello europeo è tuttora membro di Trans Europe Halles (teh.net), rete di spazi culturali in edifici industriali, in cui la rigenerazione è legata a un’esigenza e a un coinvolgimento dei cittadini. Interzona ha anche sempre avuto una speciale attenzione verso il riutilizzo creativo di materiali usati o di scarto per animare, progettare e riqualificare gli spazi.

Nel 1993 Interzona inaugura la propria attività culturale stabile presso la Stazione Frigorifera n. 10 con una grandiosa festa a cui accorre mezza città, tanta era l’aspettativa e il desiderio dei giovani di vivere nuove esperienze.

Nel 1999 l’intera area degli ex Magazzini Generali viene vincolata come bene di archeologia industriale nei suoi aspetti materiali e immateriali con l’intento di farne un Polo Culturale, mai realizzato.

Nei primi anni 2000 la Fondazione Cariverona acquisisce l’area; quasi la metà degli edifici è utilizzata a vario titolo, tra cui il Teatro Tenda. Nel 2005 l’associazione Interzona viene sfrattata dalla Stazione Frigorifera e dopo un anno e mezzo ottiene di potersi spostare nel magazzino 22 che la Fondazione Cariverona ristruttura sommariamente; impossibile però ottenere dalla proprietà un contratto tale da permettere lo sviluppo organico di una

03. Interzoniane in azione.

04. Propiezione sull’estradosso della cupola in occasione della rassegna Locomotiva Cosmica, 1994.

05. Il “cellone” durante la performance Strumenti a perdifiato di Giovanni Morbin, 1996.

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ASSOCIAZIONE INTERZONA

Interzona è un laboratorio per l’arte e la cultura indipendente nato a Verona nel 1992, che ha condotto la maggior parte del suo percorso all’interno dei Magazzini Generali. L’associazione si impegna come centro di produzione culturale con particolare attenzione alle esigenze giovanili, stimolando e coadiuvando la ricerca artistica, storica e sociale.

https://www.izona.it/

Trans Europe Halles:

https://teh.net/member/ interzona/)

Design Handbook for Cultural Centres:

https://www.culturepartnership. eu/upload/editor/2017/designhandbook.pdf

Petizione ottobre 2022

https://www.change.org/p/ salviamo-la-memoria-deimagazzini-save-the-memoryof-the-magazzini-verona-italy/ dashboard

programmazione artistico-culturale dotata della visione che Interzona avrebbe potuto coltivare. L’associazione resterà attiva all’interno del 22 senza una vera e propria interlocuzione con la proprietà, e verrà definitivamente allontanata nel 2016, con un preavviso di poche settimane e senza una spiegazione coerente (il Magazzino 22 è a tutt’oggi ancora inutilizzato).

In 23 anni di attività l’associazione culturale Interzona ha organizzato un migliaio di concerti, tesserato quasi 80 mila persone alle quali ha proposto musica, teatro, rassegne, incontri, cinema, installazioni...

Sul palco imponente della Stazione Frigorifera Specializzata prima e del Magazzino 22 poi si sono esibiti gli artisti jazz dell’avanguardia newyorchese che roteavano attorno al genio di John Zorn, poi centinaia di band che spaziavano dal post rock all’indie, dal noise al blues, dal reggae al trip hop,

dall’elettronica al punk rock. Gruppi che se non erano già famosissimi sarebbero esplosi da l ì a poco. Impossibile nominarli tutti, ma per Verona fu una rivoluzione: per le serate agli ex Magazzini Generali arrivavano da tutta Italia e la fama di quel luogo potente crebbe a dismisura, varcando presto i confini nazionali. Anche perché a Interzona contemporaneamente, si organizzavano importantissime rassegne teatrali: nell’immensa, bellissima e suggestiva cella frigorifera, quella che chiamavano il “cellone”, si sono esibite più volte tra le compagnie d’avanguardia più importanti al mondo, a partire dalla Societas Raffaello Sanzio. Poi i Motus, i Masque, Valdoca, Fanny e Alexander, il Teatrino Clandestino, Pippo Delbono... E nel 2000 Interzona vinse pure il premio Ubu per la rassegna “Prototipo”, vale a dire il riconoscimento teatrale più prestigioso in Italia. Tra le installazioni artistiche, indimenticabile, poi,

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« Tre generazioni hanno vissuto attivamente quello spazio grazie a un intimo intreccio di relazioni personali, professionali e sociali »
06. Lo spazio del “cinemino”, 1995. 07. Suggestioni morfologiche circolari per gli allestimenti al di sotto della cupola.

la Locomotiva Cosmica con i Fehrfeld Studios e le loro sculture cinematografiche tra cui l’incredibile e suggestiva proiezione di un immenso occhio che guardava la città all’esterno della cupola. E tra le rassegne, invece, basta ricordare Kurzfilme (cortometraggi inediti in Italia), Fuori formato, i preziosi corti a 16 millimetri, il Klezmer Express, le serate di musica ebraica all’ex museo ferroviario, l’omaggio ad Alberto Grifi, il tributo a Bill Viola oltre al cinema e la televisione di Ciprì e Maresco. Con le sue rassegne ha lasciato il segno nella cultura locale e nazionale: mostre, incontri, collaborazioni internazionali come il Trans Europe Halles, adesione alla rete di centri culturali indipendenti con i quali ha dato vita a diversi progetti. Con Interface nel 2006 si aprì alle associazioni culturali dei Paesi prossimi all’ingresso nella UE; con Note a margine, invece, valorizzò gli artisti emergenti. Con Intersezioni, nel 2003, puntò i riflettori, di nuovo, sui luoghi sottratti alla vita cittadina come Castel San Pietro, l’ex Mercato Ortofrutticolo e, appunto, la Stazione frigorifera (da un articolo di Marzio Perbellini).

La programmazione artistica di Interzona è sempre stata di valenza e sguardo europei e l’associazione ha permesso per anni la fruizione, la manutenzione e la riqualificazione di spazi dismessi che altrimenti i cittadini non avrebbero potuto ammirare e vivere, il tutto grazie al lavoro di decine di volontari, che hanno costruito vera cittadinanza attiva con assemblee, gruppi di discussione sui diritti civili, laboratori di pratiche politiche, preziosi momenti di convivialità, scambio e relazione conciliati dalla cura per il cibo (biologico, vegetariano e vegano, già nei primi anni Novanta!).

La ristrutturazione di Mario Botta della magnifica Stazione Frigorifera la trasforma in un effimero guscio vuoto, cancellandone l’identità per asservire al meglio le sue nuove funzioni commerciali, la spoglia dei preziosi elementi caratterizzanti che la elevavano potentemente a luogo immaginifico dell’anima e che proprio per questo ne giustificavano il vincolo integrale originale, perché con il tempo era divenuta opera d’arte; vincolo ribadito con ben due sentenze del Consiglio di Stato rimaste lettera morta. Ora si può davvero dire che sia spenta e abbandonata in

un deserto di idee, lontanissima dalla sua energia primordiale.

Nell’ottobre dell’anno scorso, raccogliendo le firme di 2.000 persone, Interzona ha sentito il bisogno di testimoniare che l’inaugurazione di Eataly è la fine di un’idea e rappresenta lo sgombero definitivo di un luogo animato da migliaia di cittadini, di tre generazioni che hanno vissuto attivamente quello spazio grazie a un intimo intreccio di relazioni personali, professionali e sociali, e la cancellazione di una memoria sedimentata in trent’anni di attività. •

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08-10. L’ultima stagiuone di Interzona negli spazi del Magazzino 22, tra concerti e la folla per un evento di ArtVerona.

Finale di partita

Un bilancio “conclusivo” sull’operazione Magazzini Generali e sulla retorica dello sviluppo urbano di Verona Sud

Quando nel 2020 «ArchitettiVerona» si interessò ancora una volta1 del grande progetto degli ex Magazzini Generali, rimandammo il giudizio al completamento del cantiere che in quel momento era in fase avanzata di realizzazione, ma con esiti ancora dubbi sulle definitive destinazioni dell’edificio più rappresentativo del comparto – la Rotonda – e soprattutto sulla definizione degli spazi aperti, che più ancora dell’edificato avrebbero dato senso e sostanza all’intervento complessivo.

Oggi i giochi sono fatti e il cantiere è in fase di chiusura: la demolizione del muro di cinta dei Magazzini ha esposto i risultati dell’imponente progetto agli occhi della cittadinanza e alla verifica di quello che avevamo chiamato più volte “il più importante intervento di rigenerazione urbana a Verona”. Ma siamo sicuri che si sia trattato davvero di rigenerazione urbana? Proviamo a tirare le somme di quanto accaduto e a riflettere sugli esiti complessivi dell’operazione.

Possiamo sintetizzare l’iter dell’intervento attraverso alcune fasi cruciali: la dismissione dei Magazzini avvenuta a partire dal 1982, il successivo passaggio degli immobili al Comune di Verona nel 1987, il Decreto di Vincolo del marzo 1999, il PRUSST del 2000-2005 e il relativo Piano Particolareggiato del 2002, la cessione a Fondazione Cariverona nel 2003, la Variante al PRG del 2007. E poi i cantieri aperti a partire dal 2010 circa e praticamente terminati a fine 2022. Nel corso di questi anni si sono susseguite diverse amministrazioni, si sono consumate speranze antitetiche, si è parlato di rigenerazione urbana, di

archeologia industriale, di Poli culturali e finanziari ma anche di produttività degli interventi e del ruolo delle Fondazioni bancarie. Di fatto il cantiere dei Magazzini è stato, oltre che un cantiere edilizio, anche un grande cantiere di idee. Qual è allora l’esito “finale”, al di là degli edifici scintillanti e un po’ contraffatti che ne sono usciti?

Ci sembra di poter parlare di quanto avvenuto solo per esclusione. Sicuramente l’area non è stata investita da un processo di rigenerazione urbana,

che è cosa ben diversa dal restauro architettonico (ma si è trattato davvero di restauro, o piuttosto di ricostruzione?). Attivare politiche di rigenerazione presuppone un processo che parte dal basso attraverso pratiche di partecipazione sociale, per comprendere e soddisfare necessità espresse dalla comunità. La rigenerazione urbana prevede il recupero di spazi da destinare ad attività che qualifichino non solo il mero comparto ma tutta l’area di riferimento, con funzioni che rispondono a esigenze

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Testo: Federica Guerra

reali della collettività coinvolta, che alzino il livello dei servizi carenti o che diano forte “miglioramento alla qualità del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale con particolare riferimento allo sviluppo di servizi sociali e culturali”2.

D’altra parte, gli interventi attuati non hanno risolto l’annoso problema della frattura tra i quartieri di Borgo Roma e Golosine, perché anche se il muro di cinta dei Magazzini è stato per la maggior parte demolito, mancano i presupposti urbanistici perché i due quartieri possano essere in qualche modo collegati, visto che le funzioni “forti”, in termini di attrattività, si svolgono tutte sull’asse nord-sud del famoso Cardo –presente fin dalla Variante Gabrielli, mai contraddetta3 – che rimarcava di fatto la cesura tra i quartieri. Ancora, riferendoci al grande vuoto prospiciente la Rotonda, non possiamo parlare di un’area

01. Il “vomitorio” della rampa di accesso alla grande autorimessa interrata.

02. Planimetria generale con il disegno degli spazi aperti (progetto Botta-Modena) in fase di completamento.

03. Veduta verso viale del Lavoro: al centro uno dei cinque terminali di superficie dell’autorimessa, sul fondo la Manifattura Tabacchi.

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03

1

06-07.

“AV” si è interessata con continuità dello sviluppo di Verona sud a partire da un numero monografico, il 79 del 2007, e in seguito con una rubrica intitolata Finestra su Verona sud e, da ultimo, ancora nel 2020 sul numero 121 con il saggio “Quel pasticciaccio dei Magazzini”.

2 Così viene definita la rigenerazione urbana negli obiettivi di investimento del PNRR. Ma definizioni simili si trovano in una vasta letteratura tra cui, ad esempio: P. Di Biagi, La città pubblica. Edilizia sociale e riqualificazione urbana a Torino, Allemandi, 2008; F. Alberti, Processi di riqualificazione urbana. Metodologie innovative per il recupero dei tessuti urbani esistenti, Alinea, 2006.

3 È interessante rileggere a questo proposito la critica arguta e puntuale che fece Alessandro Tutino sull’impianto generale del Piano Gabrielli nel già citato “AV” 79 del 2007.

4 Dalla Relazione Tecnica Illustrativa allegata alla Variante al Permesso di costruire n. 06.03/000104/2015: “Per consentire agli alberi che si troveranno sopra le autorimesse di avere la terra necessaria al loro radicamento e alla crescita in sicurezza e naturalezza viene previsto un ricoprimento minimo dell’impalcato di copertura con circa 90cm di ghiaia e terreno vegetale”.

verde a servizio della collettività. Il disegno che si è configurato per il parterre a copertura del grande parcheggio interrato risulta totalmente auto referenziato e non tenta di costruire rapporti con le altre aree verdi esistenti e di progetto (il Parco di Santa Teresa o il futuro Parco dello scalo ferroviario). Il rigido disegno geometrico delle losanghe ricorda piuttosto quello di un parco reale seicentesco alla Le Nôtre, con il rigoroso ritaglio di percorsi e aiuole, piuttosto che spazi collettivi funzionali e attrezzati. Si tratta ovviamente di una scelta compositiva degna di assoluto rispetto, ma forse poco coerente con la storia del luogo, col suo passato industriale e anche con la matrice stessa dell’idea di giardino come luogo recintato, laddove il recinto è invece venuto a mancare.

Attraversando lo sconfinato vuoto tra gli edifici, non riconosciamo nemmeno la logica che direziona i percorsi fondamentali, perché se l’ingresso principale a Eataly è stato spostato sul lato prospicente Viale dell’Agricoltura, perché allora una grande allée punta direttamente all’originale ingresso della Stazione Frigorifera che ha, di fatto, perso il suo ruolo? Una

ulteriore, forse non secondaria, perplessità riguarda la possibilità di vita delle promesse piante ad alto fusto, come previsto nelle Relazioni di progetto4, nel poco terreno disponibile sopra gli impalcati dell’autorimessa, ammesso che la piantumazione di alberi risponda per coerenza compositiva al progettato giardino.

Ma ancora, per esclusione, non sembra che la realizzazione della smisurata autorimessa interrata (1.800 posto auto), al di là dell’assolvimento degli obblighi in tema di dotazione di standard, risponda a una visione lungimirante degna di una città europea: si tratta di fatto di un grande attrattore di traffico su gomma, lontano da una visione incentrata sul trasporto pubblico da e verso il centro cittadino. Per non parlare del grande parcheggio a raso verso Santa Teresa, che non sembra aspettare altro che di essere occupato da nuovi edifici, con buona pace degli standard e del consumo di suolo.

La sistemazione viabilistica avviata con l’apertura di Eataly ha poi messo in evidenza come tali opere, realizzate a titolo di “compensazione” a servizio della collettività, siano in realtà interamente al servizio

2023 #01 96 DOSSIER
04. Uno scorcio dell’autorimessa interrata. 05. Magazzini all’imbrunire.
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Veduta esterna e scorcio dall’interno di un corpo scalaascensore dell’autorimessa.

della fruizione degli edifici stessi, a scapito delle proporzioni tra i vuoti e i pieni, delle gerarchie tra gli spazi e della percezione di profondità e prospettiva dei luoghi, che andavano invece attentamente considerate nella progettazione di tali interventi. Quello che appare infine incomprensibile è il senso attribuito al superstite Magazzino 22, ultimo rimasto tra gli edifici della fase edificatoria degli anni Cinquanta, abbandonato al suo triste destino di rotatoria di ingresso a Eataly: né restaurato né abbattuto, sembra rappresentare un monito per ciò che poteva essere e non è stato, per ciò che è stato e non potrà tornare. Come la Gedächtniskirche di Berlino o il Memoriale della Pace di Hiroshima, sta lì a ricordarci quale fosse il forte carattere di questi edifici, che fascino avessero quegli spazi e che alchimia avevano saputo costruire. •

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Ricardo Bofill Taller de Arquitectura x Diorama. Cfr. pp. 109-111.

100. Lezione di disegno

A Castelvecchio la mostra con una selezione dei disegni donati ai musei civici da Ferruccio Franzoia nel solco della lezione di Carlo Scarpa di cui l’architetto feltrino è stato allievo

107.

Quando il gioco si fa duro

Con Aperto per gioco si è inaugurata una nuova stagione degli incontri di AV3 grazie al dialogo tra i lavori dello studio GRRIZ e l’espezienza del Tocatì

109. Obiettivo architettura

Un dialogo sulla rappresentazione di luoghi e architetture tra reale e digitale attraverso le esperienze dello studio Diorama e di Marco Introini

112.

In azione in un Baleno

La rigenerazione di uno spazio per e con la comunità degli Orti di Spagna

115.

104. Altre Arene

Un volume fondamentale sui restauri degli ultimi cinquecento anni e un convegno che ha posto a confronto il monumento veronese con le ricerche su altri teatri e anfiteatri

Ci mette il becco LC Il sacrificio delle corti agricole

Dai cambiamenti socio-economici e territoriali alla conseguente dispersione dei beni intrinsecamente legati ai rapporti tra architettura e fondi agricoli

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Lezione di disegno

A Castelvecchio la mostra con una selezione dei disegni donati ai musei civici da Ferruccio Franzoia nel solco della lezione di Carlo Scarpa di cui l’architetto feltrino è stato allievo

Testo: Luca Ottoboni

Foto: BAMS photo

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Il Museo di Castelvecchio ospita in sala Boggian, dal 30 novembre 2022 a giugno 2023, una speciale selezione di disegni che l’architetto Ferruccio Franzoia ha donato all’Archivio Carlo Scarpa. La mostra, dal titolo “I disegni di Ferruccio Franzoia e la lezione di Carlo Scarpa”, a cura dello stesso Franzoia assieme ad Alba Di Lieto e Ketty Bertolaso, presenta al pubblico una parte dei 1.600 disegni che l’architetto feltrino, allievo di Carlo Scarpa, ha voluto destinare all’incremento delle collezioni del Museo di Castelvecchio. Si rinnova dunque il legame tra Castelvecchio e Carlo Scarpa: con l’obbiettivo di offrire una conoscenza sempre più ampia e trasversale, il Museo svolge un continuo lavoro di conservazione, salvaguardia e valorizzazione dell’opera del maestro veneziano anche attraverso l’attività dei suoi allievi, la cospicua donazione e la mostra ne sono una testimonianza.

Ferruccio Franzoia (1936) è stato allievo di Carlo Scarpa all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia di cui frequentò il corso di Arredamento 1 e con cui sviluppò il progetto di tesi di laurea nel 1969; entrambi i disegni di queste prime esperienze progettuali sono presenti in mostra. Sono proprio questi gli anni in cui tra il giovane architetto e il maestro si instaura un forte rapporto di stima e di amicizia che si evolverà nella collaborazione degli anni avvenire.

Subito dopo la laurea Franzoia viene incaricato di progettare un giardino pubblico a Feltre, sua città natale; chiede e ottiene la collaborazione del maestro il quale produrrà il disegno autografo esposto in mostra, donato dallo stesso Franzoia all’Archivio Carlo Scarpa nel 2004-2005. Nella sua lunga carriera professionale, Franzoia si occupa a partire dagli anni Settanta di numerose campagne di scavo archeologico in qualità di ispettore onorario della Soprintendenza Archeologica delle Venezie, occupandosi in

01-02. Due vedute della mostra allestita negli spazi di Sala Boggian a Castelvecchio.

03-04. Progetto non realizzato dell’area archeologica antistante il Duomo di Feltre, 1975-1978. Progetto Carlo Scarpa, disegni Ferruccio Franzoia. Livelli archeologici della piazza, pastelli colorati e grafite su copia eliografica ; assonometria del progetto, pastelli colorati su copia eliografica.

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I DISEGNI DI FERRUCCIO FRANZOIA E LA LEZIONE DI CARLO SCARPA

Verona, Museo di Castelvecchio

Sala Boggian

30 novembre 2022-giugno 2023 a cura di Ferruccio Franzoia, Ketty Bertolaso, Alba Di Lieto

In mostra una selezione dai 1.600 disegni che l’architetto Ferruccio Franzoia, allievo di Carlo Scarpa, ha donato all’Archivio Carlo Scarpa del Museo di Castelvecchio. L’Archivio conserva, assieme ai disegni del suo restauro e allestimento, preziosi documenti grafici strettamente legati sia al museo stesso sia alla figura dell’architetto, grazie a diverse donazioni subentrate negli anni e all’acquisito da parte della Regione Veneto di disegni provenienti dalle imprese artigiane che eseguivano i lavori di Scarpa e da archivi privati.

L’archivio digitale è consultabile all’indirizzo: www.archiviocarloscarpa.it.

05.

particolare degli scavi archeologici della città di Feltre. Fa parte del Comitato di coordinamento per il recupero delle opere d’arte danneggiate dal sisma del maggio 1976 operante nelle località friulane di Artegna e Venzone.

Tra gli anni Settanta e Ottanta è consulente per il Servizio Beni Ambientali della Regione Lombardia con competenza sulle province di Mantova, Cremona e Brescia.

Negli anni Ottanta collabora con lo studio Foscari-Del Vicario di Venezia e si occupa di restauro e recupero di edifici e monumenti storici. Opera anche in Lombardia impegnandosi in importanti interventi di recupero ambientale e di restauro, collaborando con l’imprenditore e ingegnere bresciano Vitaliano Gaidoni.

Tema ricorrente nella carriera dell’architetto, intensificatosi soprattutto negli ultimi decenni,

è la museografia per la quale si è dedicato a numerosi progetti; uno di questi è la copertura dell’area archeologica antistante la Cattedrale di Feltre progettata in collaborazione con Carlo Scarpa e non realizzata.

È invece stato realizzato il riordino della Galleria d’Arte Moderna Carlo Rizzarda a Feltre, completata con l’ampliamento della sezione delle arti decorative e l’esposizione di una collezione di vetro veneziano del Novecento e contemporaneo. Nel 2019 ha collaborato con il Museo di Castelvecchio alla mostra Carlo Scarpa, vetri e disegni 1925 - 1931, per la quale ha realizzato in collaborazione con Tobia Scarpa il progetto di recupero e consolidamento delle vetrine espositive realizzate da Carlo Scarpa (cfr. «AV» 119, pp. 6062). Dopo questo impegno, nel 2022 Franzoia ha donato al Museo scaligero 1.600 disegni eseguiti

nel 1960 e recuperate stabilmente da Ferruccio Franzoia assieme a Tobia Scarpa per la mostra sui vetri veneziani del 2019.

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Le vetrine disegnate da Carlo Scarpa
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«
È la celebrazione del disegno a mano, il mezzo con cui Scarpa comunicava e che nella carriera dell’architetto veneziano è sempre stato centrale »

nella sua lunga carriera di progettista, suddivisi in tre tematiche: la tesi di laurea e i lavori iniziali; i progetti museali; la committenza privata. Di questo folto nucleo di disegni, la mostra propone circa 120 esemplari relativi a progetti per lo più realizzati, in cui l’influenza scarpiana è evidente nel tratto e nella modalità di espressione grafica, nell’attenzione ai materiali e nella accuratezza dei dettagli.

È la celebrazione del disegno a mano, il mezzo con cui Scarpa comunicava e che nella carriera dell’architetto veneziano è sempre stato centrale e fondamentale per la genesi e la comprensione dei progetti. A questo proposito il Maestro osservava:

“se si insegna a disegnare gli studenti più bravi possono capire prima che cosa possono fare in futuro”, e ancora “la cosa migliore che un giovane

può fare è imparare la tecnica di espressione visiva e grafica. Questo è quanto mi è successo”. Il materiale in mostra prosegue nel solco scarpiano anche nella scelta che Franzoia fa dei diversi supporti (carta e lucido) e dei diversi strumenti grafici (matita, pastelli e penna), mostrando come la padronanza della tecnica del disegno venga valorizzata dall’uso dei colori dei pastelli per evidenziare le scelte materiche dei progetti. Nelle diverse ipotesi progettuali le prospettive e i dettagli a margine dei fogli sono lo strumento offerto dall’architetto per capire come si articolano alcune planimetrie e nodi costruttivi. Non si tratta di studi destinati alla committenza ma solo a se stesso, utili a calibrare in termini plastici, visuali e di continuum spaziale i diversi progetti. Osservando i lavori di Franzoia esposti,

06. Ferruccio Franzoia, in collaborazione con Tobia Scarpa: progetto di allestimento per la mostra “Carlo Scarpa. Vetri e Disegni 19251931” realizzata in Sala Boggian con il recupero e il consolidamento delle vetrine di Carlo Scarpa (1960). Prospetto delle vetrine per l’esposizione dei vetri, 2019. Grafite e pastelli colorati su carta.

risulta chiaro come il disegno rappresenti per l’architetto un rigoroso strumento di progetto e conoscenza e non un mero orpello grafico. Lo spazio architettonico è sempre pensato per essere costruito, anche quando rimane sulla carta. Il disegno è una forma di pensiero fondamentale attraverso la quale l’architetto modella il materiale e analizza gli incastri, rappresenta una profonda analisi che una visione globale a priori non potrebbe dare. Citando ancora Scarpa: “voglio vedere le cose, non mi fido che di questo. Voglio vedere, e per questo disegno. Posso vedere un’immagine solo se la disegno”. •

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Altre Arene

Èl’Arena monumento o teatro?”. Ci si chiedeva, più di vent’anni fa, tra le pagine della rivista in un numero interamente dedicato al restauro del monumento (cfr. «AV» 41). La controversa visione sulle architetture storiche - intese sempre più come contenitori di spettacolo piuttosto che preziose testimonianze da custodire - è stata ripresa recentemente durante la giornata di studi “L’Arena e gli altri. Teatri e anfiteatri romani tra ricerca, tutela e valorizzazione”, tenutasi lo scorso 27 ottobre a Palazzo della Gran Guardia. Focus della giornata è stato il confronto tra l’Arena di Verona e altre realtà simili utilizzato come approccio pragmatico al fine di comprendere le diverse strategie attuate dagli enti per una valorizzazione rispettosa del contesto culturale. In occasione dell’evento è stato presentato il volume di Giovanni Castiglioni e Marco Cofani, Arena di Verona. Rinascita di un monumento, uno strumento di conoscenza e divulgazione che Cattolica Assicurazioni ha voluto donare alla comunità in occasione del 125º anniversario dalla sua nascita. I due autori hanno ricostruito le vicende legate all’Arena indagando un arco temporale di cinquecento anni a partire dalla seconda metà del Quattrocento, quando le prime azioni di tutela favorirono uno studio più attento del monumento con i primi rilievi e l’avvio dei grandi restauri. La lunga ricerca inizia con le loro tesi di dottorato confluite nel volume insieme a una notevole documentazione archivistica e iconografica per consentire una conoscenza completa e una lettura chiara della complessa stratigrafia degli interventi, ricondotta al presente dalla campagna fotografica di Giovanni Peretti.

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Un volume fondamentale sui restauri degli ultimi cinquecento anni e un convegno che ha posto a confronto il monumento veronese con le ricerche su altri teatri e anfiteatri
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La pubblicazione, oltre a ricordare il legame identitario tra la città e il monumento, costituisce un’importante opportunità per capire gli errori del passato, constatare lo stato di conservazione e adottare nuove strategie mirate alla risoluzione dei problemi. Proprio di problemi e strategie si è parlato durante la giornata di studi che ha mostrato analogie e divergenze tra i beni culturali in termini di gestione e conservazione, consolidando l’idea che ogni monumento rappresenti un caso unico e non esistano soluzioni comuni; piuttosto, esiste un obiettivo comune: l’equilibrio tra la componente monumentale e quella scenografica raggiungibile attraverso la condivisione di protocolli e la realizzazione di progetti su misura a seconda dei contesti. Diversamente dal Colosseo o dal Teatro Grande di Pompei, l’Arena di Verona non è parte di un’area archeologica protetta ma si confronta continuamente con un contesto urbano che determina inevitabilmente dinamiche diverse. Il rapporto con Piazza Brà è inscindibile; insieme, il monumento e lo spazio pubblico assumono

un’inequivocabile centralità esito di importanti trasformazioni architettoniche e urbanistiche. La piazza ha avuto anche un ruolo determinante nell’opera di svuotamento del monumento da attività poco consone: nell’ottocento l’Arena doveva liberarsi infatti da abitazioni e botteghe che ne compromettevano l’aspetto funzionale e visivo, oggi invece deve fare i conti con pesanti strutture e scenografie che la rendono un vero e proprio cantiere, sia durante la stagione teatrale sia durante il periodo manutentivo, impedendo una fruibilità del bene culturale nella sua vera accezione. Si tratta di un impatto considerevole, oltre che dannoso, riscontrabile anche in altri siti dove è stato risolto attraverso l’uso di strutture temporanee contenute; un esempio è il Teatro Greco di Siracusa menzionato da Antonio Calbi – Sovrintendente dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico – che ha prontamente esposto la sua visione minimalista sostenendo che “la lirica non deve per forza essere reboante”. Ogni relatore ha presentato il proprio sito proponendo, in modo diverso, interventi perlopiù reversibili e

ARENA DI VERONA

RINASCITA DI UN MONUMENTO

Scripta edizioni, 2021, pp. 476

Il volume affronta mezzo millenio di storia dell’Arena, dal 1450 al 1950, ovveri gli anni che hanno condotto alla riscoperta dell’anfiteatro romano attraverso i restauri e le manutenzioni che hanno segnato profondamente la struttura architettonica e le odierne possibilità di utilizzo del monumento. Le ricerche alla base del volume risalgono alle tesi di dottorato dei due autori, di cui hanno dato un assaggio con l’articolo L’Anfiteatro Arena: una questione da architetti (in «AV» 109, pp. 20-25).

Il volume, edito grazie al contributo di Cattolica Assicurazioni, è corredato da una campagna fotografica realizzata da Giovanni Peretti.

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01. Verona, ingresso in Arena. 02. Prospettiva interna. Sullo sfondo Palazzo Barbieri. 03. Programma del convegno L’Arena e gli altri.
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compatibili con il contesto, le tecniche costruttive e i materiali. Interessante è il progetto di archeologia green che vedrà rinascere l’Anfiteatro di Milano rievocando l’architettura perduta attraverso l’elemento verde; in questo luogo, la gestione attenta e moderata degli spettacoli non intacca la funzione principale di parco cittadino in cui l’anfiteatro rappresenta il fulcro di una passeggiata storico-artistica in fase di definizione. Così come a Brescia dove si prevede una rifunzionalizzazione tale da conferire al Teatro romano un importante ruolo di continuità tra il Capitolium e il Museo di Santa Giulia per consentire un percorso archeologico e museale unico, il cosiddetto “corridoio Unesco”. Le numerose iniziative mostrate custodiscono una forte volontà di integrazione e riscatto riconoscibile anche nelle proposte veronesi: il monumento, conosciuto a livello internazionale per i grandi spettacoli e gli ospiti di elevato spicco, reclama un itinerario che racconti la

sua vera storia e si inserisca definitivamente nel sistema museale cittadino. L’Arena “come museo di sé stessa” rappresenta l’ultima fase del grande progetto di conoscenza, tutela e valorizzazione avviato tramite l’Art Bonus nel 2018. Gli interventi realizzati o ancora in corso – sigillatura di una sezione delle gradinate, rinnovamento degli impianti obsoleti, nuovi servizi igienici e tanto altro (cfr. «AV» 122) – saranno arricchiti da un percorso coinvolgente e formativo che attraverserà la cavea, gli spazi ipogei e le piccole sale museali collocate negli arcovoli dove reperti archeologici, cartografie, documenti e fotografie consentiranno di sviscerare l’anima del monumento ottenendo finalmente una fruizione completa.

Nel frattempo, sarà anche necessario bilanciare l’uso di strutture ingombranti per gli allestimenti scenici degli spettacoli di varia natura attraverso una programmazione attenta e soluzioni tecnologicamente avanzate senza gravare sul capitale umano ed economico.

Tutto ciò sarà veramente possibile? Dopo questi importanti interventi e i corposi studi riportati nel volume, almeno il lieto fine è d’obbligo. •

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04. Panoramica dell’Arena di Verona. 05. Quadrante di cavea a nordovest, restaurato tra il 2020 e il 2021. 06. Dettaglio del giunto tra due gradoni del tardo Cinquecento.
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07. Veduta in prossimità dell’Ala.
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Quando il gioco si fa duro

Nel solco delle iniziative lanciate da «ArchitettiVerona»

all’interno del contenitore di AV3, la giornata dello scorso venerdì 28 novembre ha visto ospiti gli architetti Luigi Greco per lo studio grriz e Nicola Gasperini in rappresentanza dell’Associazione Giochi Antichi di Verona, il sodalizio che ha ideato e organizza il festival Tocatì che giusto nei giorni dell’incontro festeggiava il riconoscimento come “buona pratica” per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Ma cosa accumuna uno studio di architettura, design e arte con il festival internazionale dedicato ai giochi di strada?

Il primo ospite, lo studio grriz, composto da Luigi Greco e Mattia Paco Rizzi e diviso tra Italia e Francia, opera in spazi pubblici attraverso la creazione di siti di auto-costruzione grazie all’aiuto di studenti e cittadini. L’auto-costruzione di strutture temporanee è un modello di architettura che viene utilizzato per risolvere i problemi di comunità locali attraverso un approccio partecipativo, e che al giorno d’oggi si sposa alla perfezione con ciò che viene chiamato urbanismo tattico. Negli anni grriz è arrivato a realizzare in situ dispositivi e strutture effimere che fungono da

catalizzatori sociali per interagire, giocare e animare o recuperare aree urbane dismesse. Questo loro metodo riunisce la cultura dell’architettura e dell’artigianato, offrendosi anche come una forma complementare di formazione, tramite delle summer school, per gli studenti di architettura. I cantieri

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01-02. Nicola Gasperini e Luigi Greco durante i loro interventi per AV3
Con Aperto per gioco si è inaugurata una nuova stagione degli incontri di AV 3 grazie al dialogo tra i lavori dello studio grriz e l’esperienza del Tocatì
Testo: Alice Lonardi
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Lo spazio pubblico è per definizione uno spazio relazionale: l’ambiente urbano è seduttivo, aperto, carico di stimoli »

sono infatti concepiti come spazi pedagogici per imparare e mettersi alla prova, sia per gli studenti che per Luigi e Mattia.

Altro aspetto fondamentale dei loro progetti è sicuramente il genius loci , il quale si rifà al territorio e a costruire architetture temporanee. Architetture, installazioni, sculture, padiglioni site specific generati dalla mescolanza di uno spazio e di una comunità con le proprie abitudini. Il loro processo progettuale, la loro “ricetta” è infatti data dalla combinazione di ingredienti quali il rispetto della materia e dellle risorse locali presenti in una comunità sia materiali che immateriali, come ad esempio avviene nei loro progetti per festival musicali (vedi l’architettura per il Festivalle e l’installazione xXx per l’Electro festival, entrambi ad Agrigento). Ciò che però si

evince dai loro lavori è sicuramente la ricerca di una connessione tra il progetto, il paesaggio e la creazione di spazi pubblici pensati per la comunità. Proprio per questo genere di approccio lo studio grriz rappresenta un esperimento interessante tra arte, design e architettura, i quali vanno sia a dialogare con la natura (vedi progetti quali Archibüse a Cuneo e Lumia a San Cataldo-Lecce), che a ridefinire il significato e l’uso degli spazi pubblici.

Lo spazio pubblico è per definizione uno spazio relazionale: l’ambiente urbano è seduttivo, aperto, carico di stimoli e proprio per queste sue caratteristiche si offre come palcoscenico progettuale dei rituali umani, rituali quali il gioco come nel caso del Tocatì, secondo ospite dell’incontro.

Giocare infatti diventa sinonimo di “sperimentare”, “immaginare” e “inventare”, creando un linguaggio comune sia tra bambino e bambino che tra bambino e adulto. Attraverso il gioco i bambini imparano a socializzare, ad esprimersi, a conoscere loro stessi e ciò che li circonda. Il gioco nello spazio pubblico della città può quindi, in un certo senso, diventare uno strumento di progettazione e di educazione, costruendo così le basi per una nuova comunità. In esso si crea uno stretto legame tra spazio, oggetti, corpi, immagini e costumi. Il gioco in quanto rituale collettivo crea coesione all’interno di un gruppo e risponde a determinate necessità della società.

Allo stesso modo però è la società stessa che si adatta agli spazi urbani. A tal riguardo Nicola Gasperini, responsabile dell’area progettazione e

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03. Padiglione Origagri, GRRIZ, Matera, 201704. Belvedere Archibüse, GRRIZ, Garessio (CN), 2021. 05. Il Ponte Postumio rievocato da un’installazione nell’ambito del Tocatì 2006.

allestimenti del Tocatì, ha raccontato come nella scorsa edizione del festival, durante la collocazione di alcune panchine colorate in Piazza dei Signori, in men che non si dica le persone se ne sono appropriate per utilizzarle come luogo dello stare, di stallo, di riposo, ancora prima che avessero inizio le attività.

Il mondo del gioco, come quello della progettazione, è un mondo effimero e proprio per questo si presta per cambiare ed adattarsi continuamente. Lo spazio pubblico si fa simbolo di un qualcosa d’altro. Il termine nello specifico proviene dal greco syum-bàllo che significa mettere insieme sia nel senso di stipulare un accordo che di unire, ed è proprio ciò che fanno sia i grriz in qualità di progettisti, che il Tocatì. Si tratta di un’impresa fondamentale per vivere e guardare con fiducia a questa ritrovata centralità del riscoprire un senso del luogo e dell’abitare lo spazio pubblico. •

Obiettivo architettura

Un dialogo sulla rappresentazione di luoghi e architetture tra reale e digitale attraverso le esperienze dello studio Diorama e di Marco Introini

Testo: Giorgia Negri

Il contenitore di AV3 ha dato ospitalità a un dialogo sulla rappresentazione dell’architettura, mettendo a confronto due interlocutori con visioni e approcci differenti; la produzione di immagini e video digitali con la testimonianza dello studio Diorama, e il disegno e la fotografia grazie all’architetto, fotografo e docente universitario Marco Introini.

Lo studio Diorama è stato rappresentato dai due fondatori, il milanese Gilberto Bonelli e il veronese Gianni Vesentini. Si conoscono da studenti di architettura a una festa a Milano ma poi intraprendono percorsi lavorativi differenti, finché dieci anni dopo si rincontrano e, spinti dalla passione comune per il 3D, fondano nel 2016 a Milano la prima sede dello studio. Ben presto la loro vision sulla rappresentazione evolve, passando

dalla semplice modellazione 3D a una vera e propria produzione digitale dell’architettura, caratterizzata non più da un rapporto univoco e “passivo” con il cliente (architetto o designer), ovvero la semplice produzione di immagini e render, ma da un’interazione attiva e partecipe che lascia spazio a nuove idee e spunti creativi, e dunque nuovi modi di raccontare il progetto. Il risultato finale non è più la mera restituzione di immagini, ma la produzione digitale del progetto di architettura attraverso video e immagini in movimento, curandone la direzione artistica e tecnica. Come essi stessi affermano, creano delle “realtà digitali”, ovvero trasferiscono la realtà e le loro idee nel mondo virtuale, dando vita a immagini in movimento e video che diventano vere e proprie opere d’arte digitali, grazie alle quali hanno potuto partecipare e vincere diversi concorsi. La produzione

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01. Il dibattito al temine dell’incontro con, da sinistra, Luca Ottoboni per «ArchitettiVerona», Gianni Vesentini, Gilberto Bonelli e Marco Introini.

digitale nasce dunque in stretta relazione con l’architettura, ma cresce gradualmente aprendosi a nuove discipline quali il design, la moda, il cinema e l’arte. La fondazione di ulteriori sedi a Parigi e in Serbia rappresenta la crescita dello studio dal punto di vista disciplinare e collaborativo, vantando prestigiosi clienti internazionali. Numerose, infatti, sono le collaborazioni con le più famose case del design e della moda che aspirano a prodotti digitali sempre più unici, ambiziosi e innovativi. Il traguardo al quale Diorama aspira oggi è il metaverso, una realtà digitale dove è possibile creare e spaziare senza limiti, tanto famosa quanto ancora remota. La tecnologia attuale è in evoluzione ma ancora acerba per poter apprezzare appieno le potenzialità offerte dal metaverso, ma i due architetti sono comunque “sul pezzo” dimostrandolo già in alcuni dei loro lavori, tra cui la creazione di una realtà virtuale per Martinelli Luce che racconta in

modo coinvolgente ed emozionale la storia del fondatore e dell’azienda, nonché i pezzi più iconici del brand. A una produzione di immagini digitali dal carattere avveniristico si contrappone il racconto di un approccio più tradizionale, ma non per questo meno affascinante, per mezzo del disegno e la fotografia. Marco Introini studia e indaga lo spazio della città partendo dal disegno come mezzo per filtrare le innumerevoli informazioni e suggestioni che ci circondano nel quotidiano, mentre la fotografia arriva in un secondo momento, diventando il culmine del processo. Appassionato di incisioni e disegni a china, dichiara proprio attraverso un suo disegno l’importanza di uno strumento per il suo processo di elaborazione di immagini, la memoria, rappresentata come un grande archivio diviso in scomparti dal quale può attingere di volta in volta in base al tema da affrontare. La ricerca tra i riferimenti culturali

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02. Diorama Digital Realities. 03. Martinelli Luce x Diorama.
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04. Bureau Betak x DioramaPalm Angels FW 22/23.

e storici e il suo stesso archivio fotografico costituiscono la base per la produzione di nuove immagini. Anche le mappe storiche rientrano tra gli strumenti di ricerca, definite come dei veri e propri “luoghi” da visitare con l’immaginazione, fondamentali per la ricostruzione storica delle città. Uno dei suoi

attraverso la proiezione di 35 fotografie in bianco e nero, ognuna delle quali documenta i luoghi e le architetture più emblematici delle ex repubbliche. Il risultato cela dietro ogni singola foto un percorso fatto di ricerca e studio meticoloso di soggetti, luoghi, dettagli, prospettive, inquadrature di lavori e capolavori del passato di artisti illustri, punti di riferimento imprescindibili per la concezione di ogni singola fotografia. La stessa scelta di produrre le foto in bianco e nero deriva dalla passione di Marco per la vecchia pellicola, il disegno a china e altri riferimenti storici, costituendo un suo carattere distintivo.

lavori più emblematici, frutto di un percorso di ricerca nella storia e nella memoria, viene presentato nel 2019 alla Biennale di Pisa sul tema “Tempo d’Acqua”. Le protagoniste della sua mostra, le Repubbliche Marinare, sono state raccontate

Ad accompagnare la sequenza fotografica, la decisione di associare un sottofondo sonoro dall’effetto distopico e contrastante con la quiete data dalle immagini prive di persone, costituito dal rumore stesso della città, registrato nei punti esatti di ripresa fotografica durante le ore più vive della giornata. •

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05-07. Marco Introini, alcune immagini dal progetto “Repubbliche marinare” nell’ambito della Biennale di Pisa Tempo d’Acqua, 2019.
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« Il traguardo al quale Diorama aspira oggi
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è il metaverso, una realtà digitale dove è possibile creare e spaziare senza limiti »

In azione in un Baleno

La rigenerazione di uno spazio per e con la comunità degli Orti di Spagna

Era il 2018 quando all’interno del teatro Modus1, inaugurato da poco, si riuniva l’affolata assemblea del comitato di quartiere degli Orti di Spagna per discutere delle possibilità per recuperare l’ex supermercato Dico, uno spazio dismesso che in precedenza accoglieva il mercato coperto rionale del pesce. A partire da quelle aspirazioni civiche, quattro anni dopo è nato Baleno: uno spazio ibrido, fuori dal comune2 , un community hub 3, una casa di quartiere4 aperta agli abitanti del rione e della città. Uno spazio trasformato in luogo5, dove vengono promosse le relazioni sociali e la qualità dell’abitare nel quartiere degli Orti di Spagna. Un quartiere che ha modificato negli anni la sua composizione sociale (con una forte presenza di anziani e il recente ingresso di nuove famiglie giovani con bambini) e che ha visto, al contempo, una progressiva perdita di attività commerciali e di servizi di prossimità. Un rione pianificato con il programma INA-Casa nel secondo dopoguerra che necessitava di recuperare un centro di aggregazione per la comunità; un luogo dove far convogliare le energie vitali delle persone attive che vi abitano. Un’esigenza che si è trasformata nella sfida accettata da diverse realtà organizzative del territorio che hanno supportato il Comitato di Quartiere. Infatti, il progetto di rigenerazione integrato e sostenibile dell’ex supermercato ha visto, e vede tuttora impegnati, oltre al comitato di abitanti: Energie Sociali, cooperativa sociale che si occupa di servizi integrati per la qualità della vita delle persone, che svolge il ruolo di capofila e si è aggiudicata la gara per ottenere e gestire lo spazio dismesso; l’associazione Cocai, che accompagna il processo di rigenerazione dell’immobile con uno sguardo al quartiere; l’impresa Lino’s & Co. che si occupa di comunicazione e di iniziative

creative; e infine A.Ve.Pro.Bi, associazione veneta di produttori biologici e biodinamici, che gestisce il mercato settimanale e iniziative di sensibilizzazione sul consumo responsabile e sostenibile. L’unione fa la forza, amplia i campi d’azione e il ventaglio delle possibilità, e la strategia collaborativa adottata dal pool di agenti del cambiamento che si sono aggregati si sta rivelando vincente per rigenerare l’immobile di proprietà Agec e trasformarlo in uno spazio pubblico aperto e plurale.

Una strategia che oltre alla riqualificazione edilizia della struttura, chiusa e inutilizzata da dieci anni, ha messo in campo competenze e idee per raccogliere fondi, attivare servizi di welfare di prossimità e rendere lo spazio vivo valorizzando le relazioni con il contesto.

Il progetto di recupero dello spazio è stato curato dall’architetto Pierluigi Grigoletti, membro dell’associazione Cocai, che tra i primi si è attivato per cercare di dare nuova vita allo spazio. Un progetto che è l’esito di un processo il

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01. Attraveso il mirino: uno sguardo sugli spazi interni di Baleno. 02. Veduta esterna dell’ex supermercato nelle fasi preliminari del progetto di recupero.
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03. L’edificio evidenziato nel contesto del quartiere Orti di Spagna. Testo: Stefania Marini

coinvolgimento degli abitanti e che ha adottato un approccio low cost facendo i conti con la scarsità di risorse economiche per la ristrutturazione. L’intervento è leggero, minimale, e interpreta in modo flessibile le differenti esigenze d’uso, giocando sul disegno dell’impianto originale della struttura, che richiama vagamente quello di una basilica a tre navate. Prevede quindi di enfatizzare la suddivisione a navate con l’allestimento di una struttura lignea leggera modulare a telaio tridimensionale, ideata e realizzata con il supporto dell’esperienza dell’impresa sociale Reverse. Gli ambienti laterali accolgono così spazi minori con zone di servizio, aree riunioni e aree per il coworking; mentre lo spazio centrale, rimane un unico grande ambiente che ospita attività in modo flessibile, ben adattandosi alla multifunzionalità

richiesta dei diversi usi. Ad oggi vengono infatti ospitati diverse attività: servizi di prossimità per il quartiere, dal portierato sociale ad uno sportello per il lavoro, uno spazio bimbi, incontri laboratoriali, incontri informativi, manifestazioni ed eventi temporanei, oltre al mercato settimanale di prodotti biologici organizzato valorizzando gli spazi esterni della struttura.

Baleno rappresenta un altro modo di fare architettura e di approcciarsi al progetto di architettura: una modalità in cui i tecnici accompagnano e sono parte di un processo, attivandosi e adattandosi, facendo i conti con la sostenibilità economica degli interventi edilizi, prevedendo la partecipazione della cittadinanza e delle associazioni nella progettazione e l’attivazione di cittadini volontari nella fase di realizzazione di alcune opere minori di manutenzione. Il progetto

è in divenire, “non finito”, e prevede che la scelta degli interventi da attuare sia fatta in base a priorità dettate da criteri di funzionalità e operativitá. La riqualificazione di Baleno doveva infatti attuarsi molto rapidamente, e questo ha impedito alcuni interventi, come la sostituzione dei pannelli di coibentazione o il rifacimento degli infissi, per privilegiare la messa a norma impiantistica, la realizzazione di un nuovo impianto di climatizzazione, il rifacimento dei servizi igienici e l’impermeabilizzazione della copertura.

1 Marini S., Modus in rebus. Imprenditorialità sociale, cittadinanza e istituzioni pubbliche abilitano la rigenerazione urbana e l’innovazione culturale dando luogo ad una nuova realtà teatrale, in «ArchitettiVerona» 114, 2018, pp. 72-75.

2 Ostanel E., Spazi fuori dal Comune. Rigenerare, includere, innovare, FrancoAngeli, 2018.

3 Calvaresi C., Lazzarino E., Community hub: Un nuovo corso per la rigenerazione urbana? in «Territorio»84, 2018.

4 Le case di quartiere sono spazi pubblici rigenerati aperti alla comunità e sono nate nella città di Torino. Tale modello si sta rapidamente diffondendo anche in altri contesti. http://www. retecasedelquartiere.org/.

5 Zamagni S., Venturi P., Da spazi a luoghi, Aicoon e Zandonai, 2017. Venturi, P., Dove. La dimensione di luogo che ricompone impresa e società, Egea, 2019.

6 Vedi ad esempio il recente Piano Innovativo per la Qualità dell’Abitare finanziato con il PNNR che tra gli interventi ammessi dal finanziamento non ha previsto il sostegno alle attività partecipative e di sviluppo di comunità

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« Baleno è un progetto pilota per Verona, che aspira ad essere un laboratorio urbano e a porsi da apripista per altre esperienze in altri quartieri »

BALENO VERONA PROPRIETÀ AGEC PARTNERS

Le opere e le attività che si svolgono all’interno dello spazio hanno ricevuto il sostegno di Intesa Sanpaolo attraverso l’Iniziativa Formula in collaborazione con Cesvi Onlus che utilizza una piattaforma di crowdfunding civico, e anche di Fondazione Cariverona. Tali finanziamenti hanno permesso di sviluppare l’intervento di ristrutturazione, ma anche attività di tipo immateriale, di sviluppo di comunità, che si rivelano importanti sia per una ricaduta occupazionale, sia per rendere efficace l’intervento, coinvolgendo gli abitanti e co-costruendo servizi in risposta alle necessità della loro vita quotidiana; aspetti che spesso vengono tralasciati dai grandi interventi di “rigenerazione urbana” promossi a livello istituzionale 6 .

La rigenerazione urbana è un tema chiave dell’urbanistica e dell’architettura contemporanea; un argomento che viene spesso associato a diversi approcci, che sottendono però a visioni completamente differenti del fare città. La rigenerazione dello spazio Baleno si configura come intervento di rigenerazione urbana attraverso

l’innovazione sociale, in un processo in cui gli spazi si ricostituiscono di pari passo ai legami sociali tra gli individui; dove la città si ricostruisce come entità a cui tutti i cittadini sentono di partecipare per promuoverne uno sviluppo più equo e sostenibile.

Baleno è un progetto pilota per Verona, che aspira ad essere un laboratorio urbano e a porsi da apripista per altre esperienze in altri quartieri. Quante sale civiche potrebbero rigenerarsi, tornando ad essere più attrattive semplicemente togliendosi un po’ di polvere e ricominciando ad animare i nostri quartieri aprendosi più facilmente all’uso degli abitanti?

Baleno è una scintilla che fa intravedere un processo già in atto in molte città italiane attente ai temi della partecipazione, come Torino o Bologna. Un esempio di come anche a Verona si potrebbero valorizzare idee e iniziative provenienti dall’attivazione della cittadinanza, mettendo a disposizione tutti quegli spazi pubblici invisibili, perché chiusi o sottoutilizzati, rendendoli presidi di socialità ad elevato impatto sociale. •

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Sociali
con Comitato di quartiere Orti di Spagna Cocai aps Lino’s & Co A.Ve.Pro.Bi
ARCHITETTONICO
LAVORI Impresa Mantovani IMPORTO LAVORI ca. Euro 140.000 (ristrutturazione e arredi) 05
Energie
soc. coop. (capofila)
PROGETTO
arch. Pierluigi Grigoletti REALIZZAZIONE
04. Lo spazio interno è attrezzato per usi flessibili aperti alla comunità. 05. Un momento festoso dell’inaugurazione.

Ci mette il becco LC

Il sacrificio delle corti agricole

Dai cambiamenti socio-economici e territoriali alla conseguente dispersione dei beni intrinsecamente legati ai rapporti tra architettura e fondi agricoli

e condizionata al fondo agricolo in un rapporto che valorizza l’insieme di corte e fondo conferendogli una aurea di (quasi sacralità) assoluta dignità. Se mal sopportiamo quanto sta avvenendo, nel nostro territorio, per le corti e i fondi agricoli (separati e venduti, le une a immobiliaristi per trasformarle in appartamenti di pregio, trattorie di lusso e spa, gli altri per aggregarli ai poderi confinanti o ai Consorzi vinicoli, piantandovi sopra vigneti), pensate quale può essere il nostro giudizio nei confronti di quanto è avvenuto nel territorio veneto per le ville, quasi tutte

Il sacrificio delle corti agricole quando subiscono le trasformazioni, ambiziosamente chiamate restauro, che le fanno diventare altro rispetto a quello che sono state per secoli, è una delle minori, seppur gravi, “sviste” delle normative edilizie nostrane. Nemmeno ovviate dai numerosi vincoli previsti nel caso siano incluse nell’elenco delle corti di pregio. Ciò in quanto queste norme aggiuntive intendono tutelare il bene architettonico, piuttosto di quello storico e sociale. Come sembrerebbe più corretto e più comprensibile. In effetti la tutela architettonica può salvare un arco o una colonna, difficilmente la tipologia e il valore di testimonianza storica di quel sito umano. La piscina, poi, inevitabilmente affiancata alla corte per dare il segno del cambio di ceto, è la clamorosa denuncia dell’avvenuta dispersione di un bene storico architettonico, proprio in quanto sconfessa il significato intrinseco di unità agricolo-produttiva strettamente connessa

del Palladio o dello Scamozzi, disseminate tra Verona, Vicenza, Padova e Treviso, anch’esse separate dalla secolare unione con i fondi agricoli con i quali formavano una fondamentale rete di presenza qualificata per esercitare una sorta di “monitoraggio” del territorio della Repubblica di Venezia che in tal modo custodiva/controllava/ gestiva il suo vitale retroterra. E a coloro che mi fanno osservare che le ville sono tuttora in piedi e per lo più restaurate, e le campagne producono e che perciò nulla è andato perduto del nostro patrimonio, obbietto che a quella organizzazione agricolo/politico/sociale/economica, dobbiamo

quanto rimane dello straordinario paesaggio veneto che ancor oggi resiste malgrado le frequenti manomissioni volte a disgregare gli ingredienti della sua specificità. Inevitabilmente, infatti, gli effetti della separazione dei fondi dalle ville, così come dalle corti, si faranno pesantemente sentire e vedere nel tempo. Niente è infatti più incisivo sul territorio degli effetti prodotti dai cambiamenti funzionali: basterà contare il numero dei posti auto richiesti per la nuova popolazione che occuperà quei volumi, l’annessa trattoria ristorante e la eventuale spa con piscina; il numero di alberi tolti per dar loro posto; il traffico che viene generato e la CO2 rilasciata; la perdita di una connessione vitale, ecc. per rendersene conto. Tuttavia se mi si domanda che atteggiamento assumere nei confronti dei cambiamenti socioeconomici della nostra società, cambiamenti a cui abbiamo sempre risposto con soluzioni spicce, quasi automatiche, rispondo come farebbe uno scacchista, prendendomi qualche minuto di tempo per mettere insieme il seguente suggerimento non banale: fare ricorso a normative incentivanti il mantenimento di una congrua superficie del fondo alla corte (villa) in modo da costringere a conservare le corrispondenti tipologie abitative e funzionali.

Come si vede la soluzione non risolve il problema in toto, ma solo in parte. Piuttosto di niente! Ma sono certo che si potrebbero trovare soluzioni più efficaci e non vessatorie se in molti ci applicassimo a cercarle. •

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Testo: Luciano Cenna
« La tutela architettonica
può salvare un arco o una colonna, difficilmente la tipologia e il valore di testimonianza storica di quel sito umano »

Per la Villa dei Mosaici

La musealizzazione del sito archeologico romano di Negrar di Valpolicella ha rappresentato il banco di prova per un progetto accademico che prefigura la necessaria valorizzazione del luogo

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Testo: Lorenzo Chieregati , Martina Magni, Marta Vitolo

Anche se non è propriamente una scoperta – se ne conosceva l’esistenza fin dagli anni Venti del Novecento – i recenti lavori di rimessa in luce dei resti della villa romana a Negrar di Valpolicella hanno rivelato un complesso di straordinaria importanza archeologica e di grande bellezza. Durante la campagna di scavo, oggi conclusa, è stato elaborato un primo progetto di musealizzazione come tesi di laurea magistrale al Politecnico di MilanoPolo territoriale di Mantova. Nel dicembre 2021 è stato firmato un Protocollo di intesa tra la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Verona, Rovigo e

L’approccio progettuale vuole raccontare la riscoperta di un luogo perduto che si relaziona con i fatti e le realtà che sono conseguite ad esso nelle diverse epoche, dall’età Romana a quella medievale ad oggi, in un racconto cronologico del susseguirsi dei vari strati. Scelta progettuale fondamentale è stata quella di dare luogo a un parco archeologico anziché a un unico volume a copertura del sito; viene garantita così una relazione costante tra area di scavo e paesaggio, così da mantenere sempre uno sguardo al contesto, analogamente a come doveva rapportarsi la villa.

La ricostruzione del “prognetto” come percorso che lambisce e attraversa in quota il sito diventa la principale connessione tra l’abitato e il parco archeologico, inserendosi in un sistema di itinerari culturali già presenti a Negrar. Il parco si compone di quattro parti: l’edificio di ingresso con il museo della storia del territorio e della villa, la musealizzazione dei resti archeologici, il percorso sospeso e infine l’area dedicata alla valorizzazione del territorio di Negrar.

Vicenza, il Comune di Negrar di Valpolicella e il Politecnico di MilanoPolo territoriale di Mantova, finalizzata alla valorizzazione del sito. Il progetto ha affrontato il tema architettonico della valorizzazione e funzionalizzazione di un luogo preservandone i caratteri storici e culturali che lo contraddistinguono, rivolgendosi alle potenzialità del presente. Nello specifico, il caso della Villa Romana di Negrar si colloca in un contesto che mantiene una forte relazione con il paesaggio agrario della Valpolicella, quasi a sottolineare come la sua funzione fosse strettamente legata a quel luogo.

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01. Assonometria generale del parco archeologico. 02. Masterplan di progetto. 03. Ortofoto con il rilievo dell’area degli scavi. 04. La scoperta di un mosaico tra i vigneti nel maggio 2020.
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« L’esperienza all’interno del parco archeologico termina con un approfondimento rivolto all’importante cultura vinicola dell’area »

05. Sezione longitudinale di progetto.

06. Sezione assonometrica dell’edificio di accesso con individuazione delle zone funzionali.

07. Esploso assonometrico dell’edificio a destinazione espositiva e commerciale.

08. Esploso assonometrico e dettaglio del sistema costruttivo delle coperture dell’area degli scavi.

09. L’area degli scavi in un render del progetto.

L’edificio di accesso conduce il visitatore attraverso una discesa lenta all’interno del terreno, con elementi e spazi di sosta studiati in modo tale da definire un racconto graduale che anticipa la villa, fino ad arrivare alla quota dei resti archeologici. Un

muro di contenimento in cemento rimarca pedissequamente il bordo dello scavo sostenendolo e delimitandolo, mentre sul fianco est il contenimento del terreno è affidato a gabbioni riempiti di pietre grezze, che mantengono una coerenza materica e lin-

guistica con uno degli elementi tipici della Valpolicella, le marogne. A sud, lo scavo e il percorso di visita affiorano affacciandosi sulla valle: il muro si alleggerisce e diventa recinzione, consentendo uno sguardo sul territorio e la sua enocultura.

La musealizzazione della villa si compone a sua volta delle strutture che coprono e proteggono i mosaici e di passerelle sospese sui resti per consentirne la visita, elementi accomunati dall’utilizzo del ferro brunito a contrasto con i colori chiari dei resti archeologici. Le coperture sono distinte in due elementi disposti perpendicolarmente e appoggiati, su un lato, su una serie di pilastri che ricreano idealmente i fronti del portico della corte centrale della villa. Gli altri appoggi sono ridotti all’essenziale e sono posizionati negli esatti punti dei resti delle colonne o dei loro basamenti, ma non li toccano essendo sostenuti da elementi con sezione a “C” in ferro che si conficcano nel terreno rimanendo rialzati dai muri. Alle due coperture sono sospesi alcuni elementi di partizione che aiutano a immaginare gli spazi della villa senza costruirli prepotentemente. Questi elementi

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sono formati da un telaio metallico agganciato alla copertura e ricoperto con assi di legno scuro.

Per quanto riguarda il percorso di visita, nella parte centrale dello scavo la passerella si allarga, formando una grande piattaforma che rimarca la geometria della corte centrale della villa. Dal ferro brunito si passa alla pietra di Prun che segna idealmente il pavimento lastricato del quadriportico romano.

Lasciati alle spalle gli scavi, l’esperienza all’interno del parco archeologico termina con un approfondimento rivolto all’importante cultura vinicola dell’area, all’interno di un edificio a destinazione espositiva e commerciale. La copertura di questo edificio simula il paesaggio circostante dei vigneti, rimarcando in maniera simbolica un elemento simbolo imprescindibile della Valpolicella. •

ATENEO

Politecnico di Milano

Polo territoriale di Mantova

Corso di Laurea in Architectural Design and History

PROGETTO

La Villa Romana tra passato e presente. Musealizzazione del sito archeologico di Negrar di Valpolicella

AUTORI

ANNO ACCADEMICO

2020-2021

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Lorenzo Chieregati, Martina Magni, Marta Vitolo RELATORI prof. Massimo Ferrari prof.ssa Claudia Tinazzi
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Dal progetto integrato alla costruzione

In viaggio a La Pecq, nei pressi di Parigi, dove Marco Nico si occupa di progettazione integrata e del rapporto tra impianti e involucro

L’ospite di questo StudioVisit è Marco Nico, progettista di origini veronesi, che ha intrapreso una delle tante strade che la laurea in architettura offre. Amante da sempre del mondo delle costruzioni, dopo gli anni trascorsi al liceo Girolamo Fracastoro questa seduzione prende forma con l’iscrizione alla Scuola di Architettura e Produzione Edilizia del Polo territoriale di Mantova del Politecnico. Le prime esperienze lavorative come collaboratore di Aspro Studio lo appassionano allo sviluppo di dettagli costruttivi, all’efficientamento energetico e alle modalità di funzionamento degli edifici, temi che diventeranno il suo pane quotidiano. Tra i progetti seguiti in quel periodo rientrano alcuni lavori

veronesi, come il recupero delle facciate di palazzo Montagna-Spelta tra via Massalongo e Corso Sant’Anastasia, e l’assistenza alla direzione lavori della seggiovia di Arabba, Belluno. Sarà grazie alla successiva tappa a Milano che troverà il giusto accordo tra la spazialità dell’architettura e la tecnica dell’ingegneria. La laurea magistrale in Gestione del Costruito al Politecnico si rivela infatti fondamentale soprattutto per l’apprendimento di un approccio positivo e propositivo all’ingegneria che, insieme a una profonda conoscenza della tecnologia, divengono la chiave di volta della sua professione perché, sostiene, “fanno la differenza nel nostro mestiere”.

Oggi Marco ricopre il ruolo di Responsable Etudes presso MECOBAT, società di costruzioni che ha sede a Le Pecq, nella regione dell’Île-de-France, alle porte della capitale. Ma le tappe per arrivare a Parigi sono state diverse.

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Architetti veronesi raccontano la loro esperienza professionale “fuori dalle mura” Testo: Marco Nico Cura: Ilaria Sartori

Santo Domingo

La prima opportunità di permanenza all’estero si presenta grazie a una borsa di studio per sviluppare la tesi di laurea in Repubblica Dominicana, dove ho trascorso l’ultimo semestre accademico studiando una metodologia di analisi trasversale dei progetti, con l’obiettivo di comprendere le potenzialità di due monumenti significativi, l’Arsenale di Verona e l’Alcazar de Colon di Santo Domingo. Il confronto delle normative, delle funzioni e del contesto climatico e sociologico, la sostenibilità ambientale ed economica hanno occupato un ruolo almeno equivalente all’analisi tecnico-costruttiva dei manufatti, attraverso un numero significativo di elaborati riguardanti la simulazione energetica di vari scenari di intervento e di verifica dell’indotto delle scelte progettuali. Si consolida così il mio interesse verso i temi energetici degli edifici; la partecipazione ai corsi di «Progettazione di Edifici in Classe A» e al primo «Corso base in Life Cycle Assessment» alimenta ulteriormente tale aspetto e pone le basi, assieme all’apprendimento della lingua spagnola, per la successiva esperienza all’estero.

Alicante, Spagna

Due mesi prima della laurea magistrale ricevo conferma alla mia candidatura presso cype, società spagnola di Alicante dedicata allo sviluppo di applicativi di calcolo e modellazione integrati nel flusso di lavoro OpenBIM. Inizialmente vengo assegnato al dipartimento sviluppo applicativi, nel quale ho la possibilità di apprendere la metodologia di traslazione delle normative europee e nazionali negli applicativi di calcolo e di validare i requisiti di certificazione uni. In questo periodo mantengo sempre uno stretto contatto con l’Italia, soprattutto in qualità di relatore in vari seminari; partecipo inoltre a concorsi per lo sviluppo di strumenti informatici e piattaforme di condivisione riguardanti la simulazione energetica e la termotecnica integrate nel flusso di lavoro OpenBIM. Alicante rappresenta, oltretutto, una città dove ho vissuto molti avvenimenti di carattere personale, suscitando un magnifico ricordo della Spagna, perché, bisogna dirlo, prima di essere professionisti siamo persone.

Finalmente la Francia

La proposta ricevuta dalla Francia non poteva essere ignorata. La ricerca di stimoli e possibilità di applicazione su progetti concreti delle nozioni apprese fino al 2018 mi avvicinano a mecobat (Management des Etudes et COnception du BATiment), studio di progettazione ingegneristica integrata fondato nel 2008 da Rocco Ferreri a Le Pecq, in prossimità di Parigi, con una sede anche a Roma. Lo studio si occupa principalmente di progettazione strutturale, impiantistica ed economica delle costruzioni con supporto alla direzione lavori di opere pubbliche e private. L’assunzione come Chef de projet Génie Climatique et BIM ha cambiato in maniera significativa il mio approccio alla progettazione, accrescendo le mie competenze nella gestione degli strumenti e nei processi della costruzione.

mecobat ha ideato la metodologia di lavoro piq (Progettazione Integrata di Qualità) per la progettazione integrata, il coordinamento e la direzione lavori. piq opera attraverso un network

01. Nuovo centro di prima infanzia a Noisy le Roi, Francia. Progetto architettonico: Wild Rabbits Architecture. Sezioni trasversali. Sulla destra, ritratto di Marco Nico.

02. Alcazar de Colon, Santo Domingo, Repubblica Domenicana.

03. Arsenale di Verona.

04. Centro di accoglienza per rifugiati a Conflans-sainte-Honorine. Progetto: Atelier d’Architecture Marie Schweitzer. Pianta piano tipo.

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05-06. Centro di accoglienza per rifugiati a Conflans-sainteHonorine. Progetto: Atelier d’Architecture Marie Schweitzer. Relazione planimetrica tra il volume esistente e l’ampliamento ex novo a sud e render di progetto.

07-08. Parigi, Rue de Cevennes. Progetto architettonico: Architectures Raphaël Gabrion. Veduta esterna della

di professionisti e imprese, per il momento principalmente in Italia e in Francia, e consiste in un metodo di elaborazione della costruzione basato su pochi principi fondamentali: sviluppo in Building Information Modeling (BIM), sostenibilità ambientale – con particolare attenzione all’efficientamento energetico degli edifici – e una proiezione concreta sulle necessità

dell’utente; queste tre pratiche, sviluppate secondo il coordinamento piq , permettono a un unico referente una gestione complessiva e ottimizzata di tutti gli aspetti costruttivi, economici, normativi ed ecosostenibili. Il metodo è stato sperimentato su diversi progetti, sia in Italia che in Francia; tra questi ho partecipato, con obiettivi virtuosi, a tre interventi in particolare.

A partire dal 2020, in collaborazione con l’architetto Marie Schweitzer, abbiamo condotto un progetto di riqualificazione e ampliamento di un centro di accoglienza per rifugiati a Conflanssainte-Honorine, un comune a nord-ovest di Parigi. L’intervento ha coinvolto la ristrutturazione di 121 alloggi e la realizzazione di 40 nuove unità abitative. Il corpo ex novo, di minor grandezza, si sviluppa perpendicolarmente a quello esistente, edificato negli anni Settanta. Le attività collettive si trovano al piano terra, sviluppando un grande basamento che funge da connettore tra i due volumi. La diversa matericità in prospetto esalta il cambiamento, da pubblico a privato, degli ambienti interni.

A Rue de Cevennes, Parigi, abbiamo sviluppato un progetto abitativo in collaborazione con l’architetto Raphaël Gabrion per nove appartamenti. La caratteristica principale dell’opera risiede nell’utilizzo della pietra locale Saint-Maximin. Le facciate in pietra naturale conferiscono

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facciata lapidea e pianta piano tipo.

all’impaginato sobrietà, morbidezza e unità di linguaggio, all’interno di un quartiere residenziale molto eterogeneo e ricostruendo un’ambientazione tipica parigina. Ii fronti lapidei sono stati concepiti come elementi autoportanti sui quali i solai non gravano. grazie a connettori metallici che non trasmettono forze in facciata.

A Noisy-le-Roi il progetto per un centro di prima infanzia è stato diretto da Wild Rabbits Architecture. L’edificio si sviluppa su un unico livello, avvolto da una copertura verde e da una struttura lignea facilmente visibile dagli edifici circostanti. Mecobat ha dato il suo supporto per una progettazione integrata molto attenta alla sostenibilità dell’edificio, con un elevato livello di qualità dell’aria degli ambienti interni e un controllo suggestivo della luce zenitale.

Prospettive

È attitudine dell’azienda accrescere la multidisciplinarità del personale con la prospettiva, nel tempo, di una gestione globale della pianificazione. Ho avuto la possibilità di interfacciarmi con i vari interlocutori del progetto fin da subito, mantenendo la mia vocazione alla termotecnica. Da circa un anno ho raggiunto un nuovo successo professionale, grazie alla promozione nel ruolo di Résponsable Etudes, ovvero responsabile tecnico della progettazione

con supporto attivo alla direzione lavori. Il raggiungimento di questo traguardo è stato facilitato dall’ideologia francese, che riconosce il valore professionale permettendo una grande crescita anche in tempi ridotti. Sono sempre piacevolmente sorpreso dal dinamismo del settore delle costruzioni e della capacità di trasformazione degli attori principali nelle varie fasi della progettazione; risiede nei giovani la forza motrice di questo processo e richiede, obbligatoriamente, che siano delegati ad essi anche ruoli di responsabilità.

Nel progetto architettonico il rapporto tra impianti e involucro, il loro dimensionamento e l’analisi delle modalità d’integrazione dei risultati restano uno stimolo importante; spesso mi ritrovo, anche al di fuori di uno specifico progetto, a immaginare delle soluzioni impiantistiche che sono, in prima battuta, solo uno scarabocchio e poi, sottoposte a dimensionamenti e verifiche, diventano parte integrante di un processo progettuale che coinvolge tutti: architetti, costruttori e clienti. Il mondo è piccolo; poco tempo fa, nel corso di una chiamata telefonica relativa un progetto di riabilitazione per alloggi a Vélizy, l’accento familiare del mio interlocutore ha catturato la mia attenzione; non ho resistito a chiedere e di fatto, ho avuto conferme. La storia di Lucia Speri è già stata raccontata sul numero 126 di «AV». •

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09-11. Nuovo centro di prima infanzia a Noisy le Roi, Francia. Progetto architettonico: Wild Rabbits Architecture. Veduta esterna, spazi interni e l’edificio nel contesto.
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12. Schizzo di progetto con soluzioni impiantistiche.

PORTFOLIO: DAL MURO ALLE NUVOLE

Bolle e nuvole. Il lavoro che Sebastiano Zanetti ha realizzato in studio nel 2022 ha preso forme morbide, comode, colorate e sensuali. E pittoriche. In continuità con la sua ricerca sui rapporti tra arte e architettura, già presentata su questa rivista (cfr. Le frecce di Sebastiano, in «AV» 99, pp. 83-85), Zanetti è uno dei promotori della cultura del writing e dell’Hip Hop, dagli anni Novanta, nel territorio veronese. Conosciuto nell’ambiente graffiti come «Deban», si forma in ambito artistico a Verona, Milano e Venezia.

I suoi lavori guardano alla pittura, al writing, alla fotografia, all’architettura e al disegno grafico con una visione a tutto tondo.

Il legame artistico con la bomboletta e gli spazi è molto presente nei lavori della mostra Bubbles and Clouds: lo si osserva nell’uso del materiale pittorico, tecniche miste su tela formate da strati di tempera e vernice, nelle forme, ricomposte con le tecniche del writing, e nell’uso continuo delle superfici, lo spazio bianco delle pareti della galleria urbana d’arte Cracaus, dietro la stazione di Porta Vescovo, dove la mostra è stata allestita.

Cracaus nasce dall’idea di professionisti del writing, GoodWall Studio, nati nel periodo dei graffiti murali con Zanetti, che gestiscono la nuova galleria veronese, riutilizzando uno spazio dato loro in gestione da Ferrovie dello Stato e dedicato a mostre di arte urbana.

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Testo: Valeria Nicolis
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Foto: Alessandro Gloder
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01-04. Alcune vedute dell’esposizione Bubbles and Clouds, Cracaus Galleria urbana d’arte, Verona (17 dicembre 202229 gennaio 2023).

di una

C’è un legame evidente che tiene assieme, tra continuità e innovazione, i pezzi di un Maestro del design come Achille Castiglioni – il cui nome ha segnato l’intera storia di Flos – e le novità disegnate da Patricia Urquiola, che proprio con Castiglioni si è formata, ereditandone l’approccio ironico alla forma.

La lampada Diabolo, disegnata da Castiglioni nel 1998, rientra oggi nel catalogo Flos perfezionata nel suo caratteristico meccanismo a saliscendi e con nuove finiture (bianco, castoro e rosso ciliegia con interno bianco). Si tratta di una sospensione regolabile in altezza a luce diretta e concentrata; il sistema di riavvolgimento è celato in un cono sottile e allungato fissato al soffitto, dalla cui punta arrotondata esce il conduttore elettrico che alimenta la lampada e sostiene il diffusore in alluminio, un altro cono. Il diabolo, dal greco “tirare diagonalmente”, è un articolo da giocoleria a forma di clessidra orizzontale, di origine cinese, una sorta di evoluzione dello yo-yo. La forma della lampada, e il suo nome, nascono quindi da questa ispirazione.

Almendra, un ramo di luce firmato dalla designer Patricia Urquiola, è un sistema di illuminazione modulare e personalizzabile. L’ispirazione nasce dalla forma di due gusci aperti di una mandorla ( spagnolo), collegati da un perno centrale da cui si diffonde una luce uniforme. A partire da questo modulo in sospensione, Patricia Urquiola ha disegnato una famiglia di apparecchi che possono essere assemblati per definire varie composizioni, verticali o orizzontali, snodabili su due o più rami. L’idea di luce che ne deriva è funzionale ed efficiente ma allo stesso tempo gentile e morbida. La lampada a soffitto Almendra è pensata per quegli ambienti, contract e residenziali, che hanno colto l’anima della contemporaneità e delle nuove esigenze dell’abitare condiviso.

01-02. Rosso ciliegia e bianco, oltre al castoro, sono le nuove finiture proposte per la riedizione della lampada Diabolo. 03-05. Il modulo luce del sistema Almendra in alcune delle possibili configurazioni.

LA BACHECA DI AV 2023 #01 126 #publiredazionale 140 - Verona - formediluceverona.it ILLUMINAZIONE E DESIGN FORME DI LUCE SRL FLOS DESIGN SPACE CORSO MILANO 140 37138 VERONA TEL +39 045 810 1138 WWW.FORMEDILUCEVERONA.IT INFO@FORMEDILUCEVERONA.IT
ADREM studio VR ILLUMINAZIONE E DESIGN 03 02 01 Continuità
innovazione nel catalogo Flos proposto da Formediluce 04 05
Diabolo
Almendra! Corso Milano, 140 - Verona - formediluceverona.it
e

Casa Capra falegnameria dal 1950

Falegnami figli di falegnami: un nome una garanzia da sempre

Siamo una storica e significativa azienda ne mercato artigianale veronese di finestre, porte, strutture per la casa e l’arredo su misura d’interni.

La prima falegnameria nasceva al Chievo nel 1950 per iniziativa di Ettore Capra; 28 anni più tardi inizia il mestiere di falegname anche il figlio Giorgio, che in pochi anni prende in mano le redini della azienda e che nel 1994 apre, con la moglie Nicoletta, il negozio in via Croce Bianca 31. Qui nasce il marchio Casa Capra.

Negli anni successivi l’azienda si allarga, nuovi dipendenti entrano nello staff e con loro i tre figli di Giorgio. Nel 2016 la richiesta sempre maggiore di clienti desiderosi di affidarci tutti i lavori di casa spinge l’azienda ad ampliare ulteriormente i propri servizi: Casa Capra diventa “ristrutturazioni chiavi in mano”.

La nostra azienda grazie alla competenza, professionalità, accuratezza del capostipite, del figlio e ora anche dei nipoti si è sempre più fatta strada nel panorama edilizio e nella positiva considerazione che tutti i nostri cari clienti ci hanno sempre dimostrato.

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Forniamo un’ampia gamma di opere personalizzate: finestre e serramenti, porte interne e blindate, oscuranti e zanzariere, divisori d’arredo e porte in vetro, inferriate e opere di falegnameria, tutte garantite da certificate aziende del panorama internazionale.

Casa Capra Falegnameria a Verona è presenza significativa nel mercato artigianale fin dal 1950, nata dall’esperienza, affidabilità, accuratezza e competenza di falegnami e figli di falegnami.

In armonia con le esigenze della vasta clientela e in collaborazione con architetti e studi tecnici, progettiamo e realizziamo strutture per ogni ambiente, avvalendoci del nostro personale qualificato, per poter garantire nel tempo ottime rifiniture sia per i prodotti di nostra realizzazione che di marchi prestigiosi.

Ci occupiamo con attenzione delle esigenze dei nostri clienti fin dalla fase di progettazione, successivamente nella fase di realizzazione e montaggio e infine con l’assistenza post-vendita.

Con orgoglio valutiamo il buon “passaparola” come uno dei motivi principali della positiva crescita in tutti questi anni.

Casa Capra rappresenta una delle aziende leader in Verona e provincia nella vendita di strutture per casa.

01-02. Il capostipite, Ettore Capra, e lo staff attuale.

03. Porta blindata motorizzata, classe 4, con pannello esterno in alluminio.

04. Ante battenti a tutto vetro per uno stile industrale minimalista.

05. Arredo su misura realizzato dalla nostra falegnameria.

LA BACHECA DI AV 127 132 #publiredazionale CASA CAPRA STRUTTURE PER LA CASA VIA CROCE BIANCA 31A 37139 VERONA TEL +39 045 890 1997 WWW.CASACAPRA.IT CASACAPRA@TISCALI.IT
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Dal

Sezionali - Basculanti - Serramenti - Carpenteria

Stefano Berti quarta generazione dell’azienda Artgiana Berti snc realizza prodotti, non solo per il residenziale, basculanti, sezionali ( con un ns brevetto), serramenti in alluminio, ma anche, prodotti per l’industria di pregio come facciate continue uniche, personalizzate e arricchite da carpenteria su misura.

La conoscenza dei materiali sviluppata nel corso di quattro generazioni e la continua ricerca di nuovi materiali e soluzioni, permette a Stefano insieme ai suoi collaboratori e agli studi di progettazione di realizzare i desideri della committenza.

LA BACHECA DI AV 2023 #01 128 #publiredazionale BERTI SNC DI BERTI STEFANO VIA I MAGGIO 34 37012 BUSSOLENGO (VR) TEL +39 045 7150689 TEL +39 328 986 9051 WWW.BERTIVERONA.IT INFO@BERTIVERONA.IT
1890 solidità, utilità, bellezza

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Casa Capra falegnameria dal 1950

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di una

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Dal progetto integrato alla costruzione

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Per la Villa dei Mosaici

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Il sacrificio delle corti agricole

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In azione in un Baleno

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Obiettivo architettura

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Quando il gioco si fa duro

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Altre Arene

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Lezione di disegno

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Finale di partita

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Presidio culturale

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La Stazione Frigorifera Specializzata. Cronistoria di una nascita

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Nutrirsi d’arte

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Riforma Botta

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Alla Rotonda ultima fermata

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Il palazzo Giusti a San Quirico

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Il palazzo Giusti a San Quirico

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Il palazzo Giusti a San Quirico

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Una serie di fortunate coincidenze

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Una cucina in fermento

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Le mille luci di un panino

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Due per uno

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Bianco di pianura

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Variazioni sul bianco

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Immancabile vista

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Lessico contenuto

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Cent’anni tra solitudine e moltitudini

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