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Il palazzo Giusti a San Quirico

Un brano di storia urbana attraverso la ricostruzione delle vicende familiari legate a una nobile famiglia veronese e al palazzo attestato su via Mazzini ben riconoscibile al di là delle variazioni subite nel tempo

Testo: Francesco Monicelli

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Foto: Lorenzo Linthout

Nel numero 130 di “ArchitettiVerona” (luglio-settembre 2022) è apparso un saggio intitolato Santa Maria in Stelle, un borgo del Rinascimento, dove era protagonista la famiglia Giusti di San Quirico, dal nome dell’antica contrada cittadina di residenza, appunto nella parrocchia di San Quirico, chiesa distrutta che si trovava nell’attuale piazzetta Scala a Verona. Forse a qualche lettore è sorta la curiosità di sapere quale è palazzo Giusti. Al numero civico 19 di via Mazzini, già via Nuova Lastricata, si nota una facciata di dimensioni contenute. La forometria è rappresentata da due portali al piano terreno: quello di sinistra, ogivale, tardo, quello di destra, pure ogivale, antico. Notevolissima la decorazione scultorea del portale antico, in parte rinascimentale, in parte con reminiscenze tardo gotiche. In chiave di volta, entro uno scudo torneario, lo stemma Giusti: una testa di fanciullo (il giusto prima di essere corrotto dal passare degli anni, forse originariamente il marchio con il quale i Giusti contrassegnavano i panni lana di loro produzione).

La forma dello scudo non è casuale, la scelta di quello da torneo vorrebbe alludere a una origine cavalleresca e non mercantile della famiglia. In corrispondenza dei due portali, al piano superiore si trovano due finestre murate trilobate con cornici scolpite in marmo ammonitico.

Al centro della facciata, in corrispondenza del punto d’incontro delle due diagonali che uniscono la finestra di sinistra con il portale di destra e quella di destra con il portale di sinistra, si trova una nicchia quadrangolare, protetta da un architrave sporgente sempre in marmo ammonitico con scolpite decorazioni caratteristiche sia del primo rinascimento che del tardo go- tico. All’interno della nicchia è affrescata una scena sacra (probabilmente la resurrezione di Lazzaro) databile alla metà del Cinquecento e forse attribuibile a Francesco Moro, detto il Torbido, che viveva presso i Giusti di San Quirico.

Per capire come si sviluppava il resto del palazzo, bisogna ricorrere alle cartoline degli inizi del Novecento che pubblicizzano l’Albergo Ristorante Accademia. Si può così intuire che la facciata su via Mazzini era una finta facciata, dietro la quale si apriva un grande cortile-giardino rettangolare sul quale affacciavano gli edifici abitativi. Il modello della “finta facciata” lo troviamo anche in palazzo Dal Verme Da Lisca in via Carlo Cattaneo, civico 7.

All’interno della corte-giardino, tra i due portali d’accesso su via Mazzini, si trovava un puteale in marmo rosso ammonitico con scolpiti vasi di fiori e ghirlande, databile al 1458, oggi trasferito nel cortile di palazzo Sebastiani inglobato nel complesso della Biblioteca Civica. Probabilmente in origine il pozzo era collocato al centro della grande corte. Sul lato opposto a quello d’ingresso, si apriva una facciata con il portale d’accesso centinato a sinistra e due finestre architravate a destra.

Il primo piano era caratterizzato da una esafora tardo quattrocentesca, scolpita in marmo, a luci trilobate divise da colonnine (tuttora esistente all’interno di un cavedio dell’Albergo Accademia). All’esafora era sovrapposta una loggia a sei luci centinate, probabilmente frutto di una sopraelevazione. Il lato destro, con semplici aperture architravate, era decorato a fresco con il motivo del bugnato a diamante. Il lato sinistro risultava, invece, caratterizzato da un lungo ballatoio che correva lungo il primo piano, sul quale affacciavano due monofore trilobate con cornici scolpite, ballatoio sostenuto da mensole lapidee con una semplice rin- ghiera in ferro battuto. Anche questo è un elemento riscontrabile nel palazzo Da Lisca di via Cattaneo. È probabile che in origine il ballatoio girasse tutto attorno al cortile, cosa che spiegherebbe la presenza delle due finestre trilobate in facciata, oggi murate.

Da una fotografia pubblicata da Maria Teresa Cuppini nel 1981, si nota che i lavori di copertura del cortile hanno portato l’esafora al livello di calpestio della copertura stessa. Dalla medesima fotografia si comprende anche che la loggia del secondo piano è stata eliminata e che l’edificio è stato sopraelevato. La stessa foto ci dà, però, anche la possibilità di “leggere” meglio il lato sinistro. Infatti, alle due finestre trilobate del primo piano corrispondevano al piano superiore altre due monofore trilobate in asse con le sottostanti, mentre al terzo, e ultimo piano, risultava una loggia a cinque luci, in origine centinata, suddivisa da colonnine in pietra, che Stefano Lodi presume trattarsi di una altana appartenuta alla casa dei Montagna. L’ipotesi che la gran- de corte ospitasse un brolo-giardino, lo si deduce dal fatto che nelle anagrafi contradali di San Quirico del 1514 troviamo tra i famigli del conte Uguccione un “Hieronimo fruidor” di anni 22; e in quelle del 1596 tra i famigli del conte Claudio un “Giovanni zardinier” di anni 78.

Stefano Lodi, che ha studiato lo Iustianum di Santa Maria in Stelle (trattato nel succitato saggio in “ArchitettiVerona” 130/2022), ha allargato la sua indagine anche su questa residenza cittadina dei Giusti. In origine la proprietà dell’isolato era della famiglia Montagna. Si trattava di cinque case murate, copate e solarate, in parte confinanti con Anna e

Bartolomeo Guantieri figli di Marco Guantieri, famiglia di cui si conserva la cappella gentilizia all’interno della vicina chiesa conventuale dei Serviti intitolata a Santa Maria della Scala.

Bonsignorio Montagna, vedovo con una figlia, aveva sposato in secondo voto Zilia Campagna che gli aveva dato un figlio premorto al padre. Con atto del 10 maggio 1446, Zilia portava in dote al secondo marito Lelio

Giusti di San Vitale Muro Novo tanto le case di San Quirico che le proprietà di Santa Maria in Stelle. Dalle anagrafi contradali del 1481 Zilia risulta morta. Con Lelio vivono il primogenito Giusto, pure giurista, con la moglie Lucia d’Arco, e il secondogenito Zenovello con la moglie Amabilia Rangoni e le tre figlie Teodora, Morizia e Aurelia. L’alto tenore della famiglia è attestato dalla presenza di dodici tra servi e serve, un gastaldo a Santa Maria in Stelle con moglie e un figlio, un fattore a Gazzo, un vicario a Gazzo con moglie una figlia e due serve, un gastaldo a Gazzo con moglie e tre servi, cinque carrozze a disposizione del “magnifico” conte Lelio, e due carrozze per vicario e gastaldo.

Per quanto concerne le case di San Quirico, Lelio il 19 luglio 1457 aveva inoltrato al Consiglio cittadino una supplica per eseguire lavori di riordino, miglioramento e abbellimento al complesso. Al maggio del 1458 (Raffaello Brenzoni) risale il contratto tra Lelio Giusti e i fratelli Tomeo e Simone Schiavi da Marano, scalpellini,

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