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Cent’anni tra solitudine e moltitudini

Non è una ricorrenza di quelle epocali e travolgenti, non ci saranno feste comandate e bande di paese a omaggiarla, e forse potrebbe sembrare una celebrazione persino retorica e superflua. Ma l’occasione della cifra tonda solletica il cerimoniale, tanto più quanto il giro di boa segna il passaggio di un intero secolo bello pieno. Del resto i lettori di questa rivista, per lo più architetti o comunque cultori della materia, dovrebbero già sapere di cosa stiamo parlando. O no?

Si dà infatti il caso che nell’anno del Signore 1923 venne normata per legge nel Regno d’Italia (sic) la professione dell’architetto, con la conseguenze istituzione degli Ordini provinciali.

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Ecco dunque l’occasione secolare: il compleanno degli Ordini! Tutti pieni di gioia, pronti a folleggiare e a comporre qualche bell’archi-trenino tra frizzi e lazzi?

Forse lo scenario tratteggiato è un po’ azzardato, perché non ci si deve nascondere che gli Ordini professionali in genere non godano certo di buona fama. Di fatto il loro statuto, schiacciato tra il vituperato ruolo di corporazione e un più auspicabile ruolo culturale e di coesione sociale mai pienamente raggiunto, è percepito dai più come un inutile fardello (e l’annuale quota di iscrizione, obbligatoria per esercitare la professione, un balzello come tanti).

A rimarcare questa percezione ci si è messo il legislatore, quando ha inquadrato gli ordini come “enti pubblici non economici”, gravandoli di un sovraccarico burocratico abnorme, che ne stritola le strutture rendendo sempre più gravosa in primis l’ordinaria amministrazione, e soprattutto lasciando sempre meno energie ai tentativi di far sì che non ci si riduca solo allo stretto necessario ex lege. Di contro, dire queste cose dalle pagine di una rivista edita da un Ordine – cosa questa non richiesta né normata da alcuna legge, ma frutto di un’azione volontaria che porta avanti l’intuizione di ebbe l’iniziativa nel lontano 1959 – significa che uno spiraglio al baratro normativo comunque c’è. E c’è chi, nonostante tutto, per le più varie motivazioni che ognuno potrà addurre, compreso il caso o la noia – si trova per un certo periodo di tempo a far parte degli organi di governo della struttura: spesso pentendosene, a volte capendo che comunque, piaccia o meno, qualcuno deve pur farlo, altre volte provando per l’appunto a far sì che riesca ad avere un senso, anche se un senso non ce l’ha. Tutto ciò che è pura prassi amministrativa – l’iscrizione all’albo, la gestione degli aggiornamenti professionali – pare strano debba restare ancorata a uffici provinciali (!) mentre il mondo va avanti e stiamo addirittura per entrare nel metaverso, qualunque cosa esso sia. Siamo, ad essere onesti, un puro retaggio del passato. Ma essendo parte dello status quo siamo probabilmente inamovibili ed eterni, perchè la consuetudine, il conformismo e il rassicurante “si è sempre fatto così” governa purtroppo le italiche gesta. Neanche per scherzo qualcuno si sogna di proporre una qualche riforma, forse perché lo stesso concetto di riforma, a forza di tentativi mai pienamente attecchiti, è consumato, stanco e avvilito.

Rimane una riflessione out of the box sulla necessità, o quanto meno sulla opportunità, di un organismo sul modello di quelli anglosassoni, su base volontaria, quale camera di confronto e compensazione sulle problematiche relative alla professione e soprattutto come strumento per fare massa critica in termini culturali e, perché no, politici in senso lato. Oggi purtroppo questo ruolo è assai pallido – toc toc, Cnappc: c’è qualcuno? – e nonostante le moltitudini di architetti che ancora esercitano la professione in tutti modi e le denominazioni possibili, una certo senso di solitudine è purtroppo generalizzato.

“Ma l’Ordine cosa fa, cosa dice? Perché non fa?” eccetera. Lamenti che attraversano le generazioni, gli anni, e forse l’intero secolo. Cento e non più cento?

Ma intanto godiamoci i festeggiamenti. Auguri a tutti gli architetti, beatamente racchiusi nella loro splendida solitudine! •

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