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Finale di partita

Un bilancio “conclusivo” sull’operazione Magazzini Generali e sulla retorica dello sviluppo urbano di Verona Sud

Quando nel 2020 «ArchitettiVerona» si interessò ancora una volta1 del grande progetto degli ex Magazzini Generali, rimandammo il giudizio al completamento del cantiere che in quel momento era in fase avanzata di realizzazione, ma con esiti ancora dubbi sulle definitive destinazioni dell’edificio più rappresentativo del comparto – la Rotonda – e soprattutto sulla definizione degli spazi aperti, che più ancora dell’edificato avrebbero dato senso e sostanza all’intervento complessivo.

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Oggi i giochi sono fatti e il cantiere è in fase di chiusura: la demolizione del muro di cinta dei Magazzini ha esposto i risultati dell’imponente progetto agli occhi della cittadinanza e alla verifica di quello che avevamo chiamato più volte “il più importante intervento di rigenerazione urbana a Verona”. Ma siamo sicuri che si sia trattato davvero di rigenerazione urbana? Proviamo a tirare le somme di quanto accaduto e a riflettere sugli esiti complessivi dell’operazione.

Possiamo sintetizzare l’iter dell’intervento attraverso alcune fasi cruciali: la dismissione dei Magazzini avvenuta a partire dal 1982, il successivo passaggio degli immobili al Comune di Verona nel 1987, il Decreto di Vincolo del marzo 1999, il PRUSST del 2000-2005 e il relativo Piano Particolareggiato del 2002, la cessione a Fondazione Cariverona nel 2003, la Variante al PRG del 2007. E poi i cantieri aperti a partire dal 2010 circa e praticamente terminati a fine 2022. Nel corso di questi anni si sono susseguite diverse amministrazioni, si sono consumate speranze antitetiche, si è parlato di rigenerazione urbana, di archeologia industriale, di Poli culturali e finanziari ma anche di produttività degli interventi e del ruolo delle Fondazioni bancarie. Di fatto il cantiere dei Magazzini è stato, oltre che un cantiere edilizio, anche un grande cantiere di idee. Qual è allora l’esito “finale”, al di là degli edifici scintillanti e un po’ contraffatti che ne sono usciti?

Ci sembra di poter parlare di quanto avvenuto solo per esclusione. Sicuramente l’area non è stata investita da un processo di rigenerazione urbana, che è cosa ben diversa dal restauro architettonico (ma si è trattato davvero di restauro, o piuttosto di ricostruzione?). Attivare politiche di rigenerazione presuppone un processo che parte dal basso attraverso pratiche di partecipazione sociale, per comprendere e soddisfare necessità espresse dalla comunità. La rigenerazione urbana prevede il recupero di spazi da destinare ad attività che qualifichino non solo il mero comparto ma tutta l’area di riferimento, con funzioni che rispondono a esigenze reali della collettività coinvolta, che alzino il livello dei servizi carenti o che diano forte “miglioramento alla qualità del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale con particolare riferimento allo sviluppo di servizi sociali e culturali”2.

D’altra parte, gli interventi attuati non hanno risolto l’annoso problema della frattura tra i quartieri di Borgo Roma e Golosine, perché anche se il muro di cinta dei Magazzini è stato per la maggior parte demolito, mancano i presupposti urbanistici perché i due quartieri possano essere in qualche modo collegati, visto che le funzioni “forti”, in termini di attrattività, si svolgono tutte sull’asse nord-sud del famoso Cardo –presente fin dalla Variante Gabrielli, mai contraddetta3 – che rimarcava di fatto la cesura tra i quartieri. Ancora, riferendoci al grande vuoto prospiciente la Rotonda, non possiamo parlare di un’area

01. Il “vomitorio” della rampa di accesso alla grande autorimessa interrata.

02. Planimetria generale con il disegno degli spazi aperti (progetto Botta-Modena) in fase di completamento.

03. Veduta verso viale del Lavoro: al centro uno dei cinque terminali di superficie dell’autorimessa, sul fondo la Manifattura Tabacchi.

1 verde a servizio della collettività. Il disegno che si è configurato per il parterre a copertura del grande parcheggio interrato risulta totalmente auto referenziato e non tenta di costruire rapporti con le altre aree verdi esistenti e di progetto (il Parco di Santa Teresa o il futuro Parco dello scalo ferroviario). Il rigido disegno geometrico delle losanghe ricorda piuttosto quello di un parco reale seicentesco alla Le Nôtre, con il rigoroso ritaglio di percorsi e aiuole, piuttosto che spazi collettivi funzionali e attrezzati. Si tratta ovviamente di una scelta compositiva degna di assoluto rispetto, ma forse poco coerente con la storia del luogo, col suo passato industriale e anche con la matrice stessa dell’idea di giardino come luogo recintato, laddove il recinto è invece venuto a mancare.

06-07.

“AV” si è interessata con continuità dello sviluppo di Verona sud a partire da un numero monografico, il 79 del 2007, e in seguito con una rubrica intitolata Finestra su Verona sud e, da ultimo, ancora nel 2020 sul numero 121 con il saggio “Quel pasticciaccio dei Magazzini”.

2 Così viene definita la rigenerazione urbana negli obiettivi di investimento del PNRR. Ma definizioni simili si trovano in una vasta letteratura tra cui, ad esempio: P. Di Biagi, La città pubblica. Edilizia sociale e riqualificazione urbana a Torino, Allemandi, 2008; F. Alberti, Processi di riqualificazione urbana. Metodologie innovative per il recupero dei tessuti urbani esistenti, Alinea, 2006.

3 È interessante rileggere a questo proposito la critica arguta e puntuale che fece Alessandro Tutino sull’impianto generale del Piano Gabrielli nel già citato “AV” 79 del 2007.

4 Dalla Relazione Tecnica Illustrativa allegata alla Variante al Permesso di costruire n. 06.03/000104/2015: “Per consentire agli alberi che si troveranno sopra le autorimesse di avere la terra necessaria al loro radicamento e alla crescita in sicurezza e naturalezza viene previsto un ricoprimento minimo dell’impalcato di copertura con circa 90cm di ghiaia e terreno vegetale”.

Attraversando lo sconfinato vuoto tra gli edifici, non riconosciamo nemmeno la logica che direziona i percorsi fondamentali, perché se l’ingresso principale a Eataly è stato spostato sul lato prospicente Viale dell’Agricoltura, perché allora una grande allée punta direttamente all’originale ingresso della Stazione Frigorifera che ha, di fatto, perso il suo ruolo? Una ulteriore, forse non secondaria, perplessità riguarda la possibilità di vita delle promesse piante ad alto fusto, come previsto nelle Relazioni di progetto4, nel poco terreno disponibile sopra gli impalcati dell’autorimessa, ammesso che la piantumazione di alberi risponda per coerenza compositiva al progettato giardino.

Ma ancora, per esclusione, non sembra che la realizzazione della smisurata autorimessa interrata (1.800 posto auto), al di là dell’assolvimento degli obblighi in tema di dotazione di standard, risponda a una visione lungimirante degna di una città europea: si tratta di fatto di un grande attrattore di traffico su gomma, lontano da una visione incentrata sul trasporto pubblico da e verso il centro cittadino. Per non parlare del grande parcheggio a raso verso Santa Teresa, che non sembra aspettare altro che di essere occupato da nuovi edifici, con buona pace degli standard e del consumo di suolo.

La sistemazione viabilistica avviata con l’apertura di Eataly ha poi messo in evidenza come tali opere, realizzate a titolo di “compensazione” a servizio della collettività, siano in realtà interamente al servizio della fruizione degli edifici stessi, a scapito delle proporzioni tra i vuoti e i pieni, delle gerarchie tra gli spazi e della percezione di profondità e prospettiva dei luoghi, che andavano invece attentamente considerate nella progettazione di tali interventi. Quello che appare infine incomprensibile è il senso attribuito al superstite Magazzino 22, ultimo rimasto tra gli edifici della fase edificatoria degli anni Cinquanta, abbandonato al suo triste destino di rotatoria di ingresso a Eataly: né restaurato né abbattuto, sembra rappresentare un monito per ciò che poteva essere e non è stato, per ciò che è stato e non potrà tornare. Come la Gedächtniskirche di Berlino o il Memoriale della Pace di Hiroshima, sta lì a ricordarci quale fosse il forte carattere di questi edifici, che fascino avessero quegli spazi e che alchimia avevano saputo costruire. •

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