4. VIDEOGIOCHI PIONERI ARTISTICI In questo capitolo voglio allargare l’orizzonte su più videogiochi che, come Last Day of June, provano a mandare un messaggio al mondo dell’arte, mettendosi in una posizione di rilievo per un settore che, per troppo tempo, negli anni è stato visto o come bambinesco (e non c’è nulla di male, in realtà) oppure come qualcosa di diseducativo, come ad esempio spesso accade per la famosa saga videoludica Grand Theft Auto che, spesso, viene accusata di spingere i suoi videogiocatori a commettere i crimini che il gioco stesso permette. Questa è una diatriba che in realtà va avanti da venti anni oramai, specie considerando che i videogiochi più diffusi sono proprio quelli dove la violenza è presente e protagonista. Nel corso degli anni, fortunatamente, sono intervenuti psicologi e non da tutto il mondo per andare contro questa teoria che, seppur supportata da enti famosi e, di norma, autoritari, hanno fatto e fanno propaganda su qualcosa che non ha fondamenta per dimostrare realtà. A combattere questa – come la definirei – piaga, vi è una psicologa Kelli Dunlap che oltre a questo di lavoro è anche una game designer e dunque si mette in primo piano ed in discussione; come lei afferma, infatti: As I told my class, games are psychology at play. Anyone can make a game, but it takes a level of psychological understanding and perspective to make something someone else would enjoy. Not to mention all the neuroscience behind things like user interface and motivation, but that comes later in the semester. Game devs are constantly pulling from established psychological principles, knowingly or through gut instinct, and psych could definitely benefit from doing the same with games. Games are masters of engagement and if a psychologist could get their client to engage in treatment the way they engage with Mario Kart, the world would
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