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2.2. UN MECCANISMO DI RIPETIZIONE CONTINUO E “LENTO”
2.2. UN MECCANISMO DI RIPETIZIONE
CONTINUO E “LENTO”
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Agli occhi ed orecchie di un videogiocatore ordinario, un simile meccanismo andrebbe subito a scaturire in un processo di noia che porterebbe poi a rinunciare nel portare a termine l’opera, ma in “Last Day of June” questo processo è delineato dalla più triste quanto coraggiosa scelta di far rivivere, in continuazione, gli stessi eventi, o le modifiche agli stessi, imponendone la visione. Così come per Carl, anche il videogiocatore è sottoposto alla stessa forzatura, è chiamato a sentirne l’esigenza nel vedere se, finalmente, si è riusciti a modificare o meno l’orrore che dì lì a poco avverrà alla sfortunatissima coppia.
Ci saranno dunque delle sequenze, sublimi a dir poco, che questa costrizione non peserà affatto, in quanto, c’è da restare incantati nel vedere i gesti, quei piccoli ma teneri e fondamentali dettagli conditi da un’atmosfera che di surreale non ha nulla se non quella saturazione leggermente accentuata da Jess Cope, nel mentre che i due decidano di ripartire, non sapendo che, sarà l’ultimo, in un certo senso, per entrambi, il tutto accompagnato dal tocco delicato di Wilson. Da qui il coraggio sopracitato, quello di togliere il “libero arbitrio” al videogiocatore, che ci porta a subire si passivamente l’effetto farfalla, ma allo stesso risulta il miglior modo di consolidare l’immedesimazione con il protagonista.
Figura 9 - Immagine in-game di una delle prime scene giocabili
Quest’ultimo, come precedentemente accennato, si ritrova ad essere limitato nei movimenti e dunque lo diventa il giocatore stesso che, posto il caso di una ancora non forte connessione empatica con il mondo di gioco, mette in condizioni al primo di dover interagire quanto meno con ciò che gli è intorno, con l’ambientazione e le sue barriere architettoniche che impongono al giocatore un percorso non-lineare delimitato dove vi è comunque una parvenza di “openworld” che in realtà serve a far sì che al videogiocatore sia consentito avere una progressione nella raccolta dei ricordi per sbloccare dunque i nuovi quadri (quelli di tutti i membri del villaggio che contribuiscono a modo loro a portare all’evento fatale).
L’esplorazione imposta a raggiungere l’obbiettivo impone dunque ad uno sguardo riflessivo nei confronti di una narrazione che è come un quadro a cui manca un pezzo, che è il videogiocatore, e sta a lui capire come deve essere questo pezzo. Non esiste una risposta giusta o sbagliata, sicché, per forza di cose, all’interno del concetto d’interazione ci si addentra nella personale sfera emotiva soggettiva. Ma è proprio ciò a cui Guarini punta e, indubbiamente, riesce.






