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5. CONCLUSIONI
I videogiochi di narrazione non fanno altro che evocare emozioni, sensibilità, creano dibattiti morali e personali; l’excursus intrapreso con questo elaborato pone, sebbene il focus principale su Last Day of June, una connessione all’unisono fra tutte le avventure, di team diversi, di nazionalità diverse, e con società altrettanto diverse, ma che, possono, grazie al mondo dell’intrattenimento, raccontare storie che trascendono quanto appena citato, con l’obbiettivo unico, appunto, di voler raccontare, d’intrattenere. La favola del cinema e del piccolo schermo dunque, trova un nuovo modo di presentarsi a noi, amanti dell’entertainment in ogni sua forma, in una modalità che ci ha offerto, offre ed offrirà in maniera sempre più convinta e coinvolgente, la reale possibilità di fare parte di una storia, non solo di immedesimarci. A volte accadrà con una mera illusione, come accade in Last Day of June dove, con solito fare della direzione di Guarini, la verità diviene accettazione malinconica di un finale emozionante, che non lascia impassibile il videogiocatore; altre volte, invece, la scelta non sarà illusoria, ma, costringerà ad una scelta morale, una scelta spesso non razionale e le innumerevoli sfumature, in quanto, come nella realtà, non vi è solo bianco e nero, giusto e sbagliato, ma c’è da guardare a tante, piccole o grandi, varianti che si trasformano, nelle avventure grafiche, nelle scelte che il videogiocatore compirà, una ad una. Come, ad esempio, salvare una vita – con un legame consolidato - al posto di migliaia, scegliere di aiutare qualcuno invece di un altro, non mantenere una promessa o mantenerla, ma pagandone conseguenze e così via. I videogiochi narrativi ci mettono in gioco tutti questi elementi, spesso quasi tutti insieme, in u breve lasso di tempo ma ben congestionato, per portarci in un perenne stato emotivo a seconda di ciò che le scelte ci imporranno di fare, in un modo o nell’altro. Non è tutto drammatico, chiaramente, ma è proprio la drammaticità di buona parte delle scelte che il giocatore deve compiere che più ci fa legare con i
personaggi di gioco che, inevitabilmente, ci faranno meditare su ciò che avremmo fatto noi, nella vita reale.
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Rianalizzando poi, ciò di cui si è discusso nei paragrafi 2.1 e 2.2, notiamo come sia importante limitare la tecnica a quello che è realmente: uno strumento, un tool come diremmo in ambito informatico, necessario sì ma non essenziale per creare un prodotto come Last Day of June, che, nel suo intento principale di farci ragionare, di farci scegliere, puntando alla sfera emotiva rilegando – ma non disdegnando – il lavoro che ne anticipa e ne consegue la realizzazione di un prodotto simile. Non sarà dunque, per rendere pratico il discorso, l’effetto farfalla ad attirare il giocatore, in linea di massima, ma, bensì, sarà l’accompagnamento musicale portante di Wilson e il disegno “burtoniano” di Cope a creare quella sfera citata poco fa a farci subentrare in un contesto surreale, distaccato dalla nostra quotidianità ma allo stesso tempo drammaticamente vicino. Allo stesso tempo, non sarà il falso libero-arbitrio che il gioco ci impone a farci innamorare di quest’ultimo, ma piuttosto la correlazione che qualsiasi giocatore può rilevare nelle sue ore di gioco, mettendo in discussione una moralità che spesso, nel quotidiano, non c’è modo e tempo di affrontare. Lo stesso concetto si allargherà dunque anche agli altri “pionieri” – di cui ho largamente discusso nel capitolo precedente – dove non sarà certamente l’animazione fumettistica, o la struttura episodica, sebbene scelte importanti, a far sì che i videogiochi di narrazione entrino nella storia (e possiamo tranquillamente confermarlo), ma, indubbiamente, sarà la costante rottura della quarta parete, non quella solita del mondo cinematografico, ma quella dimensione dove non c’è spettatore e produttore, ma è dove lo spettatore è il pezzo mancante per completare l’opera, l’ingrediente ultimo.
Inoltre, mi preme discuterne ancora, dal paragrafo 4.1 ho iniziato a dare qualche incipit riguardo al continuo susseguirsi di team videoludici che prendono ispirazione l’uno dall’altra, spesso a distanza di molti anni, altre volte in tempi anche ravvicinati. Mai sono stati concorrenti sleali gli uni degli altri, rendendo questo specifico target videoludico, mai vittima delle “console war” ossia della tendenza dei videogiocatori (e non solo) di far sì che una piattaforma su cui
giocare sia meglio dell’altra grazie, magari, a qualche titolo giocabile solo in una o due piattaforme, tagliando fuori una determinata fetta di mercato. Ma, infatti, oltre a riguardare soltanto marketing, e questo elaborato non è pensato per questo argomento sicché sfocerebbe in tutt’altro, porrei bensì l’attenzione su come Last Day of June, nonostante sia anch’esso un’esclusiva (come scrivevo ad inizio capitolo 3, è acquistabile solo su PS4 e Steam, ossia PC Windows, Mac e distribuzioni Linux) non ha sofferto fra critica e giocatori di questa sua “limitazione”. Certo, parliamo di un titolo comunque indie23 dunque nato e sviluppato per un pubblico di nicchia, ma valida dimostrazione di come si possa e si debba andare oltre le “battaglie” non vere e frutto, spesso, di una società capitalista che vige più sulle vendite, sui numeri, che sulla potenzialità espressiva, emotiva ed evocativa di un genere, di tutta un’industria che indaga su sé stessa riscoprendone il sublime, dietro il bello. Aldilà del concetto di esclusiva e del concetto di console war, s’intravede poi che l’ispirazione non passa solo fra aziende della stessa tipologia, ma, anzi, l’ispirazione già decantata al mondo televisivo per una struttura tecnica e la sfera emotiva, tocca anche il mondo del cinema dove, senza timore alcuno, affiancherei il lavoro di Guarini al capolavoro della Pixar, UP, per svariate similitudini fra le tematiche che affrontano fra cui, ad esempio, il rapporto di coppia, i sentimenti ed espressioni assai rimarcati nonché quelli più timidi e meno espliciti, le prospettive ed i sogni di una vita, di un futuro radioso, l’elaborazione di un lutto. Tematiche che, in modi assai diversi, trovano un riscontro fortemente simile. Ed infatti, non è assolutamente un caso che, viceversa, accadono da anni tentativi di portare al grande schermo titoli videoludici assai amati dalle masse, come “Tomb Raider”, “Assassin’s Creed” (sebbene questo faccia rifacimento anche ai libri), o come, ad esempio, il film in fase di produzione di “Uncharted” che farà da prequel alla serie videoludica stessa. Tralasciando i risultati, che possono e sono stati sia positivi che negativi, è proprio l’intero mercato dell’intrattenimento a goderne, permettendo una condivisione di idee, di storie, di dinamiche che sanno uniformarsi al prodotto per
23 Proveniente dal contesto musicale, per i videogiochi il termine “indie” descrive un prodotto come indipendente e fuori dai canoni dei modelli videoludici correnti. Spesso, più banalmente, indica anche un titolo che, seppur rispecchi quei canoni, ha un basso budget e dunque limitazioni tecniche. Link in sitografia per un approfondimento sulla classificazione dei videogiochi.
la quale sono studiate e trasportate, spesso riuscendo a rimanere moderne ed attuali, anche a distanza di svariate decadi, proprio come nel caso del già citato “Tomb Raider”.
Lasciato al caso non è, infine, nemmeno un singolo dettaglio di un videogioco come quello degli Ovosonico, che, al seguito delle quattro ore passate ad osservare, ammirare, conoscere ed immedesimarci nei pochissimi personaggi del gioco, fa sì che nemmeno la singola smorfia di Carl, o il tragico lamento di June, né il continuo assistere all’incidente con la crescente ed infinita colonna di Wilson che tocca il suo apice proprio quando, Guarini e il suo team, decidono di farci smettere di “sognare”. Accettando il lutto, la vita ha il suo proseguo, seppur con un retrogusto assai amaro, ma, che lascerà spazio al sublime di uno dei più semplici e amorevoli gesti dell’essere umano. L’abbraccio, l’amore di una madre per il proprio figlio, che, nella sua dolcezza, nella sua estetica, le ricorderà di un padre che è stato davvero un supereroe, anche se non avesse fatto davvero il suo percorso di cambiare il tempo, capace di mostrare amore anche laddove la morte, inesorabilmente, viene a tirare le somme. Per tutto il percorso svolto da ogni videogiocatore, un sentito grazie va a questo team, per averci donato e sicuramente donerà ancora, un finale struggente quanto incantevole, attraverso nuove storie, nuove dinamiche e, si spera, con la possibilità di ancora più giocatori – e non solo - di poterle provare.







