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4. VIDEOGIOCHI PIONERI ARTISTICI

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3.3. WHAT IF?

3.3. WHAT IF?

In questo capitolo voglio allargare l’orizzonte su più videogiochi che, come Last Day of June, provano a mandare un messaggio al mondo dell’arte, mettendosi in una posizione di rilievo per un settore che, per troppo tempo, negli anni è stato visto o come bambinesco (e non c’è nulla di male, in realtà) oppure come qualcosa di diseducativo, come ad esempio spesso accade per la famosa saga videoludica Grand Theft Auto che, spesso, viene accusata di spingere i suoi videogiocatori a commettere i crimini che il gioco stesso permette. Questa è una diatriba che in realtà va avanti da venti anni oramai, specie considerando che i videogiochi più diffusi sono proprio quelli dove la violenza è presente e protagonista. Nel corso degli anni, fortunatamente, sono intervenuti psicologi e non da tutto il mondo per andare contro questa teoria che, seppur supportata da enti famosi e, di norma, autoritari, hanno fatto e fanno propaganda su qualcosa che non ha fondamenta per dimostrare realtà. A combattere questa – come la definirei – piaga, vi è una psicologa Kelli Dunlap che oltre a questo di lavoro è anche una game designer e dunque si mette in primo piano ed in discussione; come lei afferma, infatti:

As I told my class, games are psychology at play. Anyone can make a game, but it takes a level of psychological understanding and perspective to make something someone else would enjoy. Not to mention all the neuroscience behind things like user interface and motivation, but that comes later in the semester. Game devs are constantly pulling from established psychological principles, knowingly or through gut instinct, and psych could definitely benefit from doing the same with games. Games are masters of engagement and if a psychologist could get their client to engage in treatment the way they engage with Mario Kart, the world would

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be a better place. If games are psychology at play, then psychology is psychology at work.

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Di seguito lascio una traduzione personale del passo della dott.ssa Dunlap;

Come ho detto alla mia classe, i giochi sono la psicologia che si mette in gioco. Chiunque può creare un gioco, ma ci vuole un livello di comprensione psicologica e di prospettiva per creare qualcosa che piacerà a qualcun altro. Per non parlare di tutte le neuroscienze alla base di cose come l'interfaccia utente e le

motivazioni a riguardo, ma ne parleremo più tardi nel semestre. Gli sviluppatori di giochi attingono costantemente da principi psicologici consolidati, consci di questi ultimi oppure guidati dall’istinto, e la psicologia potrebbe sicuramente trarre vantaggio facendo lo stesso con i videogiochi. I giochi sono maestri dell’intrattenimento e se uno psicologo potesse convincere il proprio cliente a impegnarsi nel suo trattamento così come interagisce giocando a Mario Kart, il mondo sarebbe un posto migliore. Se i giochi sono la psicologia messa in gioco, allora la psicologia è la psicologia al lavoro.

A tutto ciò, mi sembra d’obbligo dover sottolineare come, nella grande varietà dell’intero catalogo videoludico, i videogiochi che propinano la violenza come primo mezzo d’interazione con gli altri personaggi in-game, non siano poi una vera maggioranza. A riguardo, infatti, lascio qui di seguito un grafico che mostra i dati di vendita negli U.S.A., riferiti all’anno 2018, di videogiochi suddivisi nelle rispettive categorie esistenti ad oggi.

17 Approfondimento sul tema “violenza e videogiochi” su un articolo Focus. Link in sitografia.

Figura 28 - Dati di vendita videogames, suddivisi per genere videoludico, USA, 2018

Ho scelto gli Stati Uniti per una praticità dei dati in quanto, attualmente, il maggior numero di vendite si registra proprio in quella nazione. Una decade fa, al primo posto, trovavamo gli “shooter” al primo posto, ossia gli sparatutto come Call Of Duty o Battlefield, ove, nei loro giochi, ripercorrevano principalmente le due guerre mondiali da diversi punti di vista.

Sebbene al primo posto ritroviamo il genere “action” che, come facile intuire, è fin troppo generico talvolta per definire un intero videogame, trova il suo modo di esserlo anche per la categoria di giochi di cui voglio trattare in questo capitolo; se Last Day of June possiamo facilmente definirlo un “puzzle-game” ma meglio ancora un’avventura grafica, non possiamo dare per scontato, però, che dunque solo in questo genere questa presa di posizione del voler “portare” arte funzioni e prenda piede. Voglio in effetti ripercorrere alcuni titoli capostipiti di non tanto un genere di videogiochi quanto più un “movimento” filosofico per produrne “di narrazione” .

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