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2.3. AFFRONTARE IL CONCETTO DI MORTE TRAMITE L’AMORE
2.3. AFFRONTARE IL CONCETTO DI MORTE
TRAMITE L’AMORE
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Il gioco non nasconde fin dall’inizio le sue intenzioni circa il voler affrontare qualcosa di così grave e travagliato come un lutto.
Generalmente nel mondo videoludico si è abituati alla morte di un personaggio in modi molto più superficiali – ovviamente parlando di generi differenti – come accade banalmente in un FPS (first-person shooter), o un RPG (role-play game) o in open-world (ossia liberi di poter esplorare a piacimento l’intero mondo di gioco= come GTA, Watch Dogs o Just Cause dove le morti sono una componente fulcro del gioco, necessaria a proseguire in quelle storie e dove non si avverte il peso di nessuna o quasi, non avendone “giustamente” modo e motivo di caratterizzarne l’innumerevole mole di personaggi presenti e di NPC (nonplayable character, ossia personaggi che non hanno un vero ruolo nei giochi se non quello di darti qualche info o addirittura esclusivamente “fare numero” come il semplice essere un passante per strada, un commerciante o un atleta che fa jogging in una fantasiosa Los Angeles).
In Last Day of June nel post-incidente abbiamo la presenza di Carl che si risveglia sulla sua poltrona e al suo fianco, stavolta, invece di June ad accompagnarlo ci sarà la sedia a rotelle e i suoi singolari occhiali, poggiati poi su un volto che non presenta né occhi né naso né bocca, in quella che viene denominata espressione “super deformed” che sarà in comune con tutti i personaggi presenti nel gioco. Una scelta stilistica che viene sì in parte dal pensiero estetico di Cope, ma che in Guarini si trasforma in un modo di far veicolare il potere di lanciare un messaggio attraverso un insieme di codici. L’illusione di poter scegliere affascina da sempre l’umanità intera e dal secolo scorso ne è oggetto di studi perenne del resto e, proprio negli ultimi dieci anni, i videogiochi stanno sperimentando – con grande apprezzamento da parte dei gamers – questa libertà di poter plasmare la storia in base alle scelte che si compiono. A volte si sceglie per davvero, altre volte no.
Paradossalmente è ciò che accade alle stesse meccaniche del gioco, che, partono con un primo approccio che si basa sui dettagli, sulle minuzie del voler mostrare l’amore di una coppia a dei – appunto – meccanismi più distaccati, freddi e che ci fanno avvicinare al classico “punta e clicca”. Ovviamente ciò non significa che si poteva automaticamente fare di meglio, ma probabilmente le esigenze di gioco devono sempre trovare un punto di collisione e di contrasto rispetto a quello che dovrebbe o quanto meno potrebbe essere se fosse tutto un’unica sequenza da cutscene. Affascinante però, il fatto che sia poi questo stesso meccanismo che di per sé è lontano dai sentimenti di cui il gioco si compone e di cui ne fa portavoce, a rendere ancora più appetibile la portata finale, quella dove non vi è scampo a qualcosa d’imprescindibile e lascia spazio solo a concetti come quello della malinconia, (che in realtà accompagna dall’inizio, ma appunto questo è il gioco del principio/fine) dell’accettazione e, se possibile, della pace che ne consegue.






