di confine
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di Varese
Roberto Grassi
Èun numero di Varesefocus in gran parte dedicato al Nord della provincia di Varese quello che vi apprestate a leggere. Una terra di confine che negli ultimi anni ha sofferto di una strutturale mancanza di sviluppo, come raccontiamo nel focus di apertura, analizzando vari aspetti della vita economica e sociale dell’area. Ma una zona, allo stesso tempo, dalle grandi potenzialità inespresse e ricca di opportunità, di patrimoni culturali da valorizzare, di bellezze naturali da promuovere, di vocazioni sportive su cui investire, di un’industria su cui credere con la creazione di nuove competenze.
L’essenza delle sfide che ha di fronte a sé tutto il Varesotto si concentra qui, in questa parte della provincia che non soffre solo perché si trova vicino alla forza attrattiva salariale della Svizzera. I motivi della mancata crescita e, purtroppo per alcuni aspetti anche del declino, stanno anche in altri fattori competitivi su cui non si è avuto il coraggio, la lungimiranza e la volontà politica di intervenire. I gap sono anche infrastrutturali, di collegamento e (nell’era digitale occorre considerarla una priorità) di connessione.
La via non è senza ritorno.
Imboccare la strada di una rinnovata crescita è possibile. Innegabilmente abbiamo assistito ad una fase (troppo lunga) di deindustrializzazione della zona di frontiera, ma allo stesso tempo le imprese manifatturiere che hanno resistito oggi rappresentano gioielli internazionali leader nei propri mercati. Così come sono incredibili le opportunità turistiche e attrattive e il fermento culturale. Anche di ciò diamo conto in questa edizione del nostro magazine. Dopo l’apertura, dedicata ai temi più economici del Nord provincia, nelle rubriche di “Arte”, di “Gita a...” e di “Sport” parliamo della mostra che Luino dedica al ricordo della figura di Giovanni Carnovali, detto il Piccio, della nuova rassegna della Rocca di Angera sull’arte contemporanea, del fascino leggendario della Valvassera e delle sue miniere, del mondo fiabesco di Boarezzo, del fermento sportivo delle immersioni subacquee nei laghi. Solo alcuni esempi di un territorio da riscoprire nelle sue eccellenze, anche per noi varesini.
Il Piano Strategico #Varese2050 che abbiamo lanciato come Confindustria Varese offre una visione per rilanciare tutto questo patrimonio. C’è un fraintendimento che leggiamo, per fortuna sempre meno, ma ancora troppo spesso, in alcuni articoli di stampa locale che interpretano la nascita di Mill a Castellanza come la volontà del mondo delle imprese di spostare nel Sud della
provincia il baricentro del pensiero di sviluppo della nostra terra. Non ci stancheremo mai di ripeterlo: non è così. L’opportunità logistica di creare al fianco dell’Università (la LIUC) degli industriali varesini un acceleratore d’imprenditorialità, non ha nulla a che fare con una visione globale di rilancio del territorio. Anzi, proprio Mill e il Piano Strategico da cui nasce la sua idea saranno l’occasione di un ripensamento della presenza della stessa Confindustria Varese su tutta la provincia e di un’azione di rappresentanza che vuole essere totale. La nostra è una provincia policentrica. Ad ogni area si accompagnano specifiche esigenze, bisogni infrastrutturali diversi, strategie differenti. Serve dunque un’associazione datoriale che sia presente fisicamente in ogni zona. Mill ci darà l’opportunità di esserlo e di fare da stimolo alla politica e alle amministrazioni pubbliche per nuovi progetti di sviluppo mirati. Senza un Nord della provincia che ritrovi la strada della crescita, non ci potrà essere una #Varese2050. Le idee non mancano. Alcuni progetti sono già in cantiere. Lo scenario normativo è in evoluzione. Nuove risorse possono essere ottenute con il recente accordo con la stessa Svizzera e guardando all’Europa. Un puzzle dalle molte tessere che Varesefocus prova a ricostruire in queste pagine.
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FOCUS
Quel cuneo da scalare
La prospettiva degli aiuti di Stato
Il luinese parte
dalla formazione 4.0
Fare impresa
nel Nord del Varesotto
Il nuovo accordo
Italia-Svizzera
Il punto debole dei collegamenti infrastrutturali
“Ticino 2032”
INCHIESTA
Un lavoro per rinascere
Leggero calo dei prestiti alle imprese
Le banche e l’aumento dei tassi
ECONOMIA
L’azienda
è uguale per tutti
FORMAZIONE
Imparare con il tinkering
UNIVERSITÀ
Il negozio del futuro sarà 5.0
SCIENZA & TECNOLOGIA
Viaggio nel pensiero umano con ChatGPT
LUOGHI E BELLEZZA
Come nasce
una moto
L’estate dei festival
Alla scoperta
della Valvassera
Tra gli artisti di Boarezzo
Omaggio
a Giovanni Carnovali
La luce dell’arte
Immersi
nel Lago Maggiore
CULTURA E DIGITALE
Terza pagina
In libreria
Dal web
Comunicare
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di confine
FOCUS Terra di confine
Non c’è solo il problema di una competizione salariale impossibile da vincere. Oltre all’attrattività del Canton Ticino in termini di risorse umane (e conseguente perdita di competenze) a mettere in ginocchio negli anni lo sviluppo del Nord della provincia di Varese sono state anche le carenze infrastrutturali e di collegamento. Il rilancio, però, non è impossibile. All’orizzonte si affacciano nuove opportunità: la ratifica dell’accordo Italia-Svizzera che sostituisce dopo mezzo secolo la vecchia intesa, l’avvio nel luinese di un corso post-diploma in robotica e automazione, i progetti di Comuni e Provincia e, non ultima, la possibilità di rientrare tra le zone che in Europa possono contare su aiuti di Stato rinforzati. Sullo sfondo l’ipotesi di trovare punti di incontro tra i Piani Strategici di rilancio del territorio recentemente presentati sia da Confindustria Varese sia dall’Associazione Industrie Ticinesi
QUEL CUNEO da scalare
Davide Cionfrini
La differenza è abissale: ogni 100 euro dati in busta paga ad un lavoratore, a un’impresa italiana costano 187, ad una svizzera 129,4. Qualsiasi partita sugli oneri fiscali e previdenziali è ingiocabile. Ma la desertificazione industriale del Nord della provincia di Varese e i suoi problemi di sviluppo non dipendono solo dalla competizione con i vicini elvetici. Le carenze infrastrutturali e di collegamento sono un altro freno per un vero rilancio che, però, non è impossibile
Il rapporto del cuneo fiscale da una parte e dell’altra del confine è di 1 a 2. Fatto 100 un ipotetico netto in busta paga di un lavoratore, ad un’impresa svizzera costa intorno ai 129,4 euro, ad una italiana 187 euro, secondo le ultime rilevazioni del Centro Studi di Confindustria Varese. Se a ciò si aggiunge la fotografia di un tessuto produttivo con specializzazioni manufatturiere simili, è facile capire come per le imprese italiane sia difficile vincere un derby che si svolge su un medesimo campo di gioco, ma con regole completamente diverse. Svantaggiose per il made in Italy. Frontalierato, ma non solo. Carenza di competenze, gap infrastrutturali, necessità di maggiore connettività, possibilità di accesso a risorse europee per aree in difficoltà. Questi i temi al centro del riposizionamento competitivo del Nord della provincia
di Varese. Una priorità ritornata tale nell’agenda politica locale anche sull’onda del percorso di ratifica da parte del Parlamento italiano del nuovo accordo sulla tassazione dei lavoratori frontalieri che andrà a sostituire quello precedente del 1974 e che entrerà in vigore, dopo il recente via libera finale del Senato, a inizio del prossimo anno. Ma a ripuntare i riflettori sulle possibilità di sviluppo del Varesotto più settentrionale è stata anche Confindustria Varese, che a Luino ha tenuto una delle 6 tappe di presentazione al territorio del Piano Strategico #Varese2050. Un documento che dedica proprio alla zona di confine specifiche proposte di rilancio.
“Sappiamo – commenta il Presidente di Confindustria Varese, Roberto Grassi – quanto sia complicato trattenere e fidelizzare le persone di fronte alla forza
attrattiva della Svizzera. Le imprese socialmente responsabili, però, sono quelle che si mettono in gioco per sviluppare know-how e dare chances ai giovani, qualunque sia la posta in gioco. Per questo da mesi stiamo lavorando, con un gruppo di aziende, all’apertura nel luinese di un corso post-diploma Ifts (dunque di un anno) di specializzazione in robotica e automazione. Ciò per venire incontro alle esigenze emerse dalle imprese del Nord della provincia che hanno sempre più difficoltà a trovare risorse umane in grado di aiutarle ad affrontare le transizioni tecnologiche in atto, oltre che processi di crescita”.
L’opportunità offerta ad un gruppo tra i 12 e i 15 ragazzi di essere da subito assunti in una decina di imprese industriali per poi essere, nel frattempo, formati grazie all’iniziativa portata avanti insieme alla Fondazione Its Incom ha fatto il giro
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FOCUS
dei media locali e nazionali. In attesa, però, che la strategia e altre iniziative di rilancio prendano forma, i numeri rimangono impietosi. A fine 2022 i frontalieri italiani con un impiego in Canton Ticino sono arrivati a quota 77.517. La crescita negli anni è stata inarrestabile e vertiginosa. Gli attuali livelli sono in pratica doppi rispetto a quelli di due decenni fa. Basti pensare che nel 2002 di frontalieri se ne contavano 31.800.
A pagare pegno, in termini di emorragia di risorse umane, sono soprattutto le economie provinciali di Varese (che si ritaglia il primato con il 42,1% dei frontalieri) e di Como (40,6%). Segue il territorio di Verbano-Cusio-Ossola con un, comunque, non indifferente 8,7%.
D’altronde la competizione in termini di oneri fiscali e previdenziali sul costo del lavoro per le imprese italiane è impari. Al di qua del confine tali oneri arrivano a cubare il 46,5%. Per i colleghi svizzeri la quota scende al 22,8%.
A farne le spese è soprattutto la produzione manifatturiera. Il 21,4% dei frontalieri lavora in Svizzera proprio in questo settore. Competenze preziose di cui tutta l’industria varesina ha disperato bisogno, ma con un gap tra domanda e offerta di lavoro che proprio nelle zone del
luinese, e più in generale di confine, si fa drammatica. Per il resto gli italiani con un impiego nell’economia elvetica sono impegnati nel commercio (15,6%), nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (12%), nelle costruzioni (10,6%).
Di fronte a questo scenario investire nella formazione, però, non può bastare. Per il Nord della provincia il Piano Strategico #Varese2050 di Confindustria Varese prevede di rilanciare l’azione di rappresentanza su due fronti: la richiesta alle istituzioni di misure di
fiscalità premiale per le aree di confine e sul cuneo fiscale e di misure europee per valutare l’accesso alle risorse comunitarie per le “Zone C non predefinite”, ossia le aree regionali e sub-regionali, nelle quali ormai si può considerare di far rientrare il Nord della provincia di Varese, titolate a particolari deroghe nella disciplina relativa agli aiuti di Stato.
“Solo in parte – aggiunge Grassi – la pressione competitiva salariale verrà alleggerita dagli effetti della rivisitazione dell’accordo ItaliaSvizzera sull’imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri ratificato dal Parlamento italiano. Dovremo monitorare bene le conseguenze dell’accordo, ma ciò non può bastare”.
I gap competitivi non sono solo fiscali. Le altre due priorità, per Confindustria Varese sono: migliorare i collegamenti infrastrutturali (viabilistici e ferroviari) e di connessione di rete per rendere più interconnesso e raggiungibile il Nord del Varesotto; puntare allo sviluppo di una vera e propria area di propulsione economica a Malpensa che faccia da traino insubrico a tutti gli effetti.
“L’obiettivo – chiosa Grassi –è fare sistema nel territorio sul primo elemento di competitività: le persone”.
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foto di alberto bortoluzzi
Dogana di Zenna
La prospettiva
DEGLI AIUTI DI STATO
Paola Margnini
Responsabile Centro Studi Confindustria Varese
I numeri, soprattutto quelli relativi al Pil pro capite, fanno del Nord della provincia di Varese un’area che potrebbe ormai rientrare in quelle che il Regolamento Europeo definisce “Zone C non predefinite”, ossia potenzialmente meritevoli di risorse e incentivi maggiorati per lo sviluppo. Non una medaglia d’onore, ma sicuramente un’opportunità per impostare nuove politiche di crescita
Hic sunt leones. Così si definivano una volta i limiti della terra e così oggi si potrebbe dire dell’area Nord della provincia di Varese, dove si tracciano i confini del territorio insieme a quelli del nostro Paese. Lì ci sono i nostri leoni. Un’area che si caratterizza come terra prealpina (poco al di sotto della
frontiera naturale costituita dalle Alpi) e il cui essere terra di confine ne ha sempre condizionato lo sviluppo. Si tratta di una terra di faglia in cui si compie il confronto diretto tra due Sistemi Paese. Uno dei pochi territori con continuità linguistica (italiano al di là ed al di qua della frontiera), ma una forte discontinuità di sistema amministrativo e di welfare. La
conformazione geografica a ridosso dell’arco alpino, la presenza di beni paesaggistici in comune (due laghi, il Ceresio e il Maggiore), la proiezione naturale delle valli che uniscono geograficamente ciò che amministrativamente è diviso, la convivenza e l’ineluttabile confronto tra i sistemi economici e sociali hanno portato nel tempo alla situazione attuale che ha visto un progressivo ridimensionamento produttivo nell’alto Varesotto. Una situazione protrattasi a lungo che ha portato il territorio nel lato italiano al raggiungimento di parametri che lo rendono potenzialmente elegibile per essere un’area ad aiuti di stato ad intensità maggiorata, secondo le regole europee.
Non è un motivo di orgoglio, meglio sarebbe naturalmente non averne diritto, ma considerata la situazione potrebbe essere un’occasione da saper cogliere per rideterminare un processo di sviluppo
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FOCUS
Dogana di Gaggiolo
MASSIMALI INTENSITÀ DI AIUTO (Contributo + ESL della Garanzia)
Per domande di partecipazione presentate entro il 28 luglio 2023 la cui Agevolazione è concessa entro il 31/12/2023
45% per le micro e piccole imprese (rispetto al 35%), il 40-35% per le medie (rispetto al 25%) e il 3025% per le grandi (rispetto al 15%) a seconda del criterio (1 o 5) di intensità di aiuto che la zona riesce a soddisfare. Da una prima analisi dei dati, che andrà raffinata nel tempo, ci sono gli estremi per poterne fruire. Questo meccanismo si potrebbe applicare a molteplici tipologie di bandi con aiuti a finalità regionale.
autosostenuto. Pochi numeri danno l’esatta misura della situazione. Ci sono almeno 52 comuni (sui 141 totali) appartenenti alle Comunità Montane delle Valli e dei territori di confine che potrebbero costituire il primo blocco a cui applicare, nella prossima programmazione europea, i criteri degli “aiuti di Stato per le Zone C non predefinite”. Queste zone prevedono secondo il Regolamento Europeo che si agisca su aree contigue con almeno una popolazione di 100.000 abitanti e con un Pil pro capite inferiore o uguale alla media Ue-27. Rientrerebbero in questa prima simulazione i comuni della Comunità Montana delle Valli del Verbano, della Comunità Montana del Piambello, della Valganna, della Val Marchirolo e della Valle del Ceresio. Un’area che comprenderebbe circa 146.000 abitanti, pari al 16,6% della popolazione della provincia. Circa 820 imprese manifatturiere, industriali ed artigiane, pari al 10% di quelle provinciali. Calcolando tutte le imprese (commerciali, servizi, turismo) si sale a 7.720 attività (13,3% del totale).
Questo territorio che comprende il 37% della superficie provinciale ha una densità di popolazione di 330 persone per km quadrato, più che dimezzata rispetto alla media del Varesotto nel suo complesso ed una densità di imprese manifatturiere che è meno di un terzo. Tutto ciò fa sì che siano soddisfatti i parametri delle zone
contigue con più di 100.000 abitanti nelle aree “Nuts 2” (regioni) e “Nuts 3” (province) che abbiano, nel corso di un triennio, un Pil inferiore o uguale alla media Ue-27. Il Pil pro capite a parità di potere di acquisto registrato nella nostra provincia, per effetto di queste sacche di depauperamento produttivo, ha raggiunto nel triennio 2018-2020, il valore di 29.797 euro pro capite rispetto ai 30.543 di media Ue, facendo così scendere il parametro al 97,6%.
Cosa significa tutto ciò? Che dobbiamo prepararci sin da subito per avere le carte in regola per quando ci sarà la Revisione degli Orientamenti degli aiuti di Stato a finalità regionale, verosimilmente entro il 2027. Dobbiamo fare in modo che in quella parte del territorio che ha visto più di altri venir meno il fermento imprenditoriale, possa tornare a crescere per spinta autonoma. Il far parte delle aree in Zona C non predefinita porterebbe con sé dei benefici per coloro che vogliano fare impresa in quelle aree, traducibili in una maggior intensità di aiuto. Ragionando per analogia, nelle Zone C non predefinite che sono rientrate nel 2021 in questo regime di aiuto sono state applicate maggiorazioni che possono variare dal 10 al 15% per interventi regionali.
A puro titolo di esempio, nel recente bando per interventi di attrazione degli investimenti, tali maggiori intensità di aiuto tra il 50-
È poco? È tanto? Il ragionamento da fare è quello di utilizzare tutte le opzioni che vengono offerte per creare un volano endogeno nell’area Nord. Ed il diventare “Zona C non predefinita” è un’importante pedina per ricostruire un puzzle di competitività del territorio. Qualcosa che permetta di attuare politiche di attrazione di investimenti e creare una situazione di maggior favore, controbilanciando azioni di marketing territoriale.
Una pedina che si andrebbe ad aggiungere a quanto si andrà profilando nei prossimi anni dopo la ratifica da parte del Senato del Ddl sull’Accordo tra Italia e Svizzera sulle doppie imposizioni dei lavoratori transfrontalieri ed al Protocollo che modifica la Convenzione tra i due Paesi per evitare le doppie imposizioni e per regolare talune questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio. Oltre alle proposte che da varie parti vengono avanti in tema di voucher contributivi o di creazione di Zone Economiche Speciali.
Obiettivo è moltiplicare gli strumenti affinché quella che è una delle aree paesaggisticamente più bella della provincia di Varese possa trovare un proprio rinnovato motore di sviluppo che sappia valorizzare le vocazioni produttive esistenti attraverso il rafforzamento delle competenze (come dimostra il progetto dell’Ifts in robotica e automazione di Luino) e svilupparne delle nuove, ad esempio, in ambito turistico e ricettivo. Perché quelle valli meritano di rifiorire.
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Il Gruppo Bper Banca sceglie PlusAdvance per ottimizzare la supply chain finance
Il Gruppo BPER Banca ufficializza la partnership con PlusAdvance, Pmi innovativa specializzata in soluzioni per l’ottimizzazione del working capital, per incrementare i servizi di Confirming e Dynamic Discounting, al fine di supportare i propri clienti a ottimizzare il capitale circolante. Tramite la piattaforma in cloud di PlusAdvance le aziende potranno automatizzare, in maniera semplice e immediata, la gestione delle soluzioni di finanziamento offerte da BPER, in particolare grazie a BPER Factor, società del Gruppo specializzata nel trovare soluzioni personalizzate a sostegno delle filiere.
Più nel dettaglio la collaborazione tra il Gruppo e PlusAdvance prevede l’utilizzo di diversi servizi innovativi che hanno lo scopo di rendere più veloce ed efficiente la circolazione della liquidità delle aziende clienti della banca: il Confirming, ovvero
l’impiego dei plafond già deliberati che permettono ai clienti di anticipare gli incassi ai fornitori e dilazionare i tempi di pagamento dell’azienda e il Dynamic Discounting, già incluso nell’offerta dell’Istituto, che garantirà alle aziende di ottimizzare la liquidità pagando i propri fornitori in anticipo in cambio di uno sconto.
La partnership tra le due realtà nasce dalla necessità di implementare le soluzioni di Supply Chain Finance, uno strumento sempre più strategico per le imprese italiane. Basti pensare che, secondo i dati l’Osservatorio Supply Chain Finance della School of Management del Politecnico di Milano, in Italia nel 2022 il mercato servito da soluzioni SCF ha raggiunto 130 miliardi di euro, circa il 22-25% del totale dei crediti commerciali italiani. “Siamo fieri di poter supportare, grazie alla tecnologia della nostra piattaforma di Supply
Chain Finance, uno dei più importanti Gruppi bancari del nostro Paese”, commenta Massimiliano Gattari, CEO di PlusAdvance. “Migliorare la gestione del capitale circolante resta una delle priorità per le nostre aziende”. Matteo Bigarelli, Direttore di BPER Factor, sottolinea: “L’utilizzo della piattaforma Plus Advance consente di arricchire ulteriormente la gamma delle soluzioni innovative offerte dalla nostra Società nell’ambito del supporto alle principali filiere produttive del Paese”. Davide Vellani, responsabile della Direzione Imprese e Global Transaction di BPER Banca, conclude: “L’accordo con PlusAdvance rappresenta un ulteriore passo in avanti in tal senso, perché possiamo avvalerci di un partner tecnologico ed innovativo che renderà meno onerosi i diversi processi operativi, migliorando l’efficienza nell’utilizzo dei plafond già deliberati”.
Nella foto, da sinistra: Matteo Bigarelli, Direttore Generale BPER Factor; Caterina Pasqualini, Responsabile dell’Ufficio Marketing Operativo e Reporting Imprese di BPER Banca; Davide Vellani, Responsabile Direzione Imprese e Global Transaction di BPER Banca; Massimiliano Gattari, CEO & Founder PlusAdvance; Franco Tomasi, Direttore Generale BPER Factor.
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Il luinese parte
DALLA FORMAZIONE 4.0
Chiara Mazzetti
Nasce nel Nord della provincia di Varese un corso post-diploma Ifts di un anno in Automazione e Robotica, promosso dalla Fondazione Its Incom Academy e fortemente voluto da alcune imprese industriali dell’area.
Obiettivo del percorso: formare figure altamente specializzate, attraverso la forma dell’apprendistato formativo
Utilizzo dei principali linguaggi di programmazione, anche di robot industriali, competenze nella modellizzazione 3D e nella simulazione e conoscenze sui principi matematici e statistici, necessari per la progettazione di sistemi di automazione. Queste sono solamente alcune delle competenze
che avranno l’occasione di apprendere gli studenti e le studentesse che si iscriveranno al corso post-diploma Ifts in Automazione e Robotica che nascerà a Luino.
La partenza del percorso di un anno è in programma per settembre 2023 con termine previsto a luglio 2024 ed è promosso dalla Fondazione Its Incom Academy in collaborazione
Da sinistra, Enrico Bianchi, Sindaco di Luino e Benedetto Di Rienzo, Presidente Its Incom
con alcune imprese industriali del luinese e con il patrocinio del Comune di Luino. Obiettivo: formare tecnici specializzati in Industria 4.0, attraverso la forma dell’apprendistato formativo, che prevede, a differenza
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FOCUS
I partecipanti al corso verranno assunti dalle imprese e saranno a tutti gli effetti dipendenti a cui le realtà aziendali offriranno l’opportunità di specializzarsi proseguendo nella formazione, composta da 400 ore svolte in aula con professionisti del settore e 600 ore on the job
dei corsi tradizionali, l’assunzione in azienda degli studenti fin dall’inizio dell’attività formativa. I partecipanti al corso, infatti, saranno a tutti gli effetti dipendenti a cui le imprese partner del progetto offriranno l’opportunità di specializzarsi proseguendo nella formazione, composta da 400 ore svolte in aula con professionisti del settore e 600 ore direttamente in azienda in formazione on the job.
Le giovani e i giovani diplomati dai 18 ai 25 anni interessati a specializzarsi nell’ambito della robotica che verranno selezionati, saranno assunti direttamente dall’azienda con un contratto della durata di circa un anno, fino all’ottenimento del diploma di specializzazione finale. In questo periodo avranno l’opportunità di apprendere, ricevendo allo stesso tempo una retribuzione proporzionale alle ore lavorate e giocandosi l’opportunità di trasformare il contratto di lavoro in tempo indeterminato.
Come spiega Maria Rosaria
Ramponi della Fondazione Its Incom Academy: “La formazione specialistica e le attività aziendali sono state progettate insieme alle imprese fin dalle fasi iniziali in una collaborazione costante che continuerà fino all’inserimento finale dei giovani in azienda. Durante tutto l’anno di formazione ci sarà un coordinamento molto stretto tra le lezioni in aula e quanto i partecipanti potranno sperimentare concretamente nel contesto lavorativo”.
Scopo del progetto è formare un tecnico specializzato nell’ambito della programmazione Plc, ovvero il processo di creazione e modifica dei programmi informatici utilizzati per controllare e monitorare i processi automatizzati. La figura sarà inoltre esperta di Hmi, Human-Machine Interfaces, cioè quelle tecnologie hardware e software a supporto dell’interazione tra uomo e macchina. E poi ancora sarà in grado di occuparsi di integrazione sviluppo Sw lato robot e progettazione di moduli software destinati all’automazione di gruppi funzionali a bordo delle macchine utensili comandate da
controllo numerico, sistemi di controllo e azionamento, automazioni di processo.
“In passato, l’alternativa a studiare era andare a lavorare e spesso quest’ultima opzione suonava come una minaccia per i più giovani. Ora, invece, si può lavorare e formarsi contemporaneamente. La situazione si è completamente invertita: oggi le imprese e il mondo della formazione collaborano per creare percorsi di inserimento professionale qualificato”, commenta Benedetto Di Rienzo, Presidente della Fondazione Its Incom Academy.
Autolab Srl, BAI Automazione Srl, Delsa Srl, Rettificatrici Ghiringhelli Spa, Monteferro Spa e SPM Spa: queste le imprese promotrici del corso che intende colmare il gap presente tra la domanda e l’offerta di professionisti formati in ambito di automazione industriale, in un’area dove più che in altre la manifattura sente la carenza di personale specializzato a causa della capacità attrattiva della vicina Svizzera. “L’idea di un corso postdiploma in Automazione e Robotica è nata da un bisogno molto forte manifestato dalle aziende del luinese specializzate in macchine automatiche
e nel settore della robotica che hanno grandi difficoltà a trovare professionisti nel settore – spiega Giovanni Berutti, Presidente della SPM Spa di Brissago Valtravaglia –. Abbiamo dunque deciso di unire le forze, piuttosto che disperderle mettendoci in competizione per sottrarci reciprocamente risorse umane. Lo scopo è fare in modo di creare molti più specialisti di quelli che attualmente sono presenti sul mercato, a beneficio di tutto il territorio, ragionando in un’ottica allargata e non di singola realtà”.
In altre parole, una grande opportunità per le ragazze ed i ragazzi di tutta la provincia varesina, come ci tiene a sottolineare il Sindaco di Luino, Enrico Bianchi: “Sono fortemente convinto che questo progetto formativo abbia una doppia valenza: la prima è creare una concreta opportunità lavorativa per i giovani. Il secondo aspetto riguarda l’importanza di avere delle figure formate e specializzate, in grado di creare e garantire un futuro economico solido per le aziende e per il territorio. Da parte nostra il sostegno per questa iniziativa è totale: è un’occasione da non perdere”.
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FOCUS FORMAZIONE 4.0
Fare impresa NEL NORD DEL VARESOTTO
Silvia Giovannini
Le aziende varesine al confine con la Svizzera si raccontano, scattando una fotografia del territorio fra luci e ombre: da una parte la capacità attrattiva di realtà industriali dinamiche e uniche nel mondo, dall’altra la difficoltà strutturale di un’area di frontiera in eterna competizione con i vantaggi fiscali e retributivi elvetici
Tre anime per un’azienda: automotive, moda e sport. Sono le tre divisioni che portano il nome di SPM ad affermarsi sui mercati di tutto il mondo con prodotti molto noti, tra cui il famoso paletto snodabile
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FOCUS
SPM: “LE PERSONE TORNANO DOVE SI STA BENE”
Giovanni Berutti
inventato proprio qui nel 1979, che ha rivoluzionato lo sci agonistico. Anime che, quindi, hanno portato il nome di Brissago, un paesino di poco più di 1.200 anime in Valtravaglia in cui SPM ha la sede da sempre, alla notorietà internazionale. Diventando di fatto un simbolo per i piccoli comuni del Nord della provincia e per tutto il territorio. A raccontarci, però, cosa significhi oggi fare impresa in un’area molto vicina al confine con la Svizzera è Giovanni Berutti, Presidente dell’azienda. “Esistono due tipi di problemi” spiega. “Il primo è definibile come etico, per il fatto che chi lavora in Svizzera paga meno tasse pur godendo degli stessi servizi e benefici di chi lavora in Italia.
Con i nuovi accordi transfrontalieri in parte si ridurrà questo gap, ma fino ad oggi è stata una sorta di concorrenza poco leale. Oltre a pagare meno tasse, è anche evidente una disparità di trattamento fiscale. Poi c’è il discorso della concorrenza delle imprese svizzere sul fronte degli stipendi. Questo si accentua nel settore dei servizi: professionisti come infermieri, medici e insegnanti, solo per fare degli esempi, fuggono in Svizzera con il rischio di lasciare sempre più sguarnite le strutture del Nord della provincia afflitte da una cronica mancanza di personale”.
Non è questione di attrattività delle singole realtà. Anzi, secondo Berutti “le nostre imprese sono molto attrattive. La verità è che nelle aziende varesine si sta meglio che altrove. Lo testimoniano i flussi di ritorno. Da noi si conta più di un caso di dipendente andato in Svizzera e poi tornato. Del resto negli anni passati abbiamo perso sempre meno persone per la concorrenza delle imprese svizzere. Chi torna lo fa perché da noi si trova bene, per l’ambiente e per la qualità del lavoro. Senza dimenticare che ci sono degli svantaggi nello scegliere di lavorare oltre confine, come ad esempio le code, l’inquinamento, il tempo per gli spostamenti. Metà delle persone che lavorano in SPM abitano
nel raggio di 5 km dall’azienda e possono venire al lavoro in bicicletta”.
Sta, dunque, nella cultura d’impresa, secondo Berutti, la carta vincente da giocare per trattenere talenti: “Lo stipendio è importante ma contano anche gli obiettivi aziendali e il sistema di welfare. Noi, ad esempio, abbiamo un asilo nido in azienda da settembre. I giovani sono incentivati a rimanere dalla possibilità di un percorso di carriera e di crescita definito, con responsabilità e la possibilità di avere voce in capitolo in merito agli obiettivi aziendali”.
Rimane, però, il problema del contesto esterno. “Da parte nostra cerchiamo di dare il massimo come imprese, anche promuovendo la formazione dei giovani, in rete con le altre realtà del territorio, ad esempio sostenendo il corso post-diploma Ifts in Automazione e Robotica della Fondazione Its Incom. I tempi dei
governi però non sono i tempi delle aziende. Se potessimo pagare di più i dipendenti con riduzione del cuneo fiscale, con la detassazione degli straordinari per offrire un importo netto in busta paga senza tutti gli oneri altissimi previsti attualmente o anche partire da una decontribuzione dei superminimi, sarebbe già un inizio”.
RETTIFICATRICI GHIRINGHELLI:
SU FORMAZIONE E FIDELIZZAZIONE”
È una storia di passione e di forte legame con il contesto socioeconomico del luinese quella
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“PUNTARE
Patrizia Ghiringhelli
della Rettificatrici Ghiringhelli, Pmi familiare che dal 1921 rappresenta un punto di riferimento nel settore della meccanica in tutto il mondo. Un’impresa con sede a Luino che da sempre è attenta alle dinamiche del territorio come testimoniano le numerose collaborazioni con le scuole. Oltre alla recente partecipazione al nuovo corso Ifts in Automazione e Robotica, la Ghiringhelli è stata fautrice 20 anni fa della realizzazione del corso di Meccatronica con l’istituto superiore Volontè di Luino. Conosce quindi bene le sue zone e cosa significhi essere azienda di confine, Patrizia Ghiringhelli, imprenditrice, diventata di recente componente del Consiglio della Camera di Commercio di Varese: “Un’impresa ha bisogno di talenti interessati e preparati. Per le aziende di confine, raggiungere quest’obiettivo è però più difficile. Inutile nasconderlo”, spiega. “Noi che siamo qui da oltre 100 anni ci conviviamo da sempre: il tema è ricorrente e si acutizza nei periodi in cui la domanda di personale è forte anche al di là del confine. È normale che persone competenti e preparate, soprattutto se giovani, guardino a percorsi di carriera con prospettive retributive migliori di quelle italiane. Vanno però evidenziati anche i vantaggi competitivi delle nostre aziende. A fare la differenza è l’ambiente. Chi lavora da noi e ha talento sa che ci saranno sempre progetti nuovi e sfide, trovandosi a fare parte di un contesto interessante, stimolante, internazionale. Ma sa anche di poter trovare un ambiente familiare, in cui si cerca sempre di lavorare in armonia, dove c’è un sistema reale di welfare e dove il talento viene premiato. Per questo può capitare che le persone tornino da noi dopo un’esperienza fuori dall’Italia. Il fattore che fa la differenza nelle nostre imprese è la fidelizzazione”. Ghiringhelli è fiduciosa: “Da parte della politica,
c’è una nuova attenzione al tema delle aziende di confine. Come imprese faremo la nostra parte. Dobbiamo trovare soluzioni sempre nuove per le nostre persone, soluzioni su misura, in maniera da essere sempre più attraenti. E poi dobbiamo supportare la formazione. Dobbiamo formare tecnici competenti e preparati che troveranno da noi terreno fertile.
Del resto, tutte le imprese del Nord della provincia hanno la specificità di essere uniche nel mondo: questo diventa un richiamo anche per le persone dall’estero con voglia di imparare. Ovviamente se si potesse appesantire meno la busta paga, avvicinando il livello retributivo a quello del Canton Ticino sarebbe meglio. Se si colmasse il gap non avremmo rivali”.
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FOCUS FARE IMPRESA
Samuele Pavan
Patrizia Ghiringhelli: “Se si potesse appesantire meno la busta paga, avvicinando il livello retributivo a quello del Canton Ticino sarebbe meglio. Se si colmasse il gap non avremmo rivali”
MONTEFERRO: “LA VERA INNOVAZIONE È APPASSIONARE ”
Quando ormai 50 anni fa, la Monteferro optò per Monvalle come località dove costruire la sua sede produttiva principale, la scelta fu dettata da esigenze di spazio, motivi strategici (per la posizione estremamente vantaggiosa per un’impresa pensata per essere internazionale) e per la sua bellezza ambientale. Basti pensare che il vicino monte Sasso del Ferro è nel suo stesso nome. Per l’azienda meccanica, gruppo leader di mercato in tutto il mondo nella produzione di guide e componenti per ascensori, quella posizione di confine oggi porta con sé la problematica della concorrenzialità degli stipendi del Canton Ticino. Che in alcuni momenti diventa ancora più dura. “La nostra azienda da oltre un anno ha iniziato un importante percorso di riorganizzazione, diversificazione e innovazione anche digitale che comporta la ricerca di nuove figure tecniche specializzate a supporto delle funzioni tradizionali, come ad esempio, l’information technology e le operations, ma anche per ruoli nuovi che ci aiutino ad affrontare la ‘nostra’ transizione tecnologica e digitale”, racconta il Responsabile delle risorse umane di Monteferro Spa, Samuele Pavan. “In questo percorso di crescita ci stiamo scontrando con la mancanza di figure specializzate e con il tema del frontalierato. Da una parte non sempre le persone rispondono ai desiderata: c’è ancora troppa poca presenza sul mercato di figure tecniche specializzate e, banalmente, capita ancora purtroppo che i candidati dichiarino nel cv di conoscere l’inglese per poi scoprire, durante i colloqui, che così non è. È assolutamente normale, invece, che figure professionali giovani e preparate si facciano attrarre dalle
retribuzioni stellari oltre confine. Ma attenzione: non è tutto oro quello che luccica. A fronte di una disparità di stipendio e di una tassazione alla fonte più favorevole poi mancano le tutele contrattuali. C’è inoltre il tema delle distanze e degli spostamenti. Infine c’è la capacità delle nostre imprese di essere un’opportunità di crescita formativa unica. Per questo le persone spesso tornano indietro, dopo aver messo un po’ di ‘fieno in cascina’.
Samuele
in Automazione e Robotica, ma oggi non possiamo più limitarci a formare i ragazzi. Dobbiamo appassionarli, intrigarli. Qui sta la vera innovazione, che passa anche dal saper raccontare un progetto di sviluppo aziendale e professionale. Del resto, chi fa questo lavoro è perché ha la passione: bisogna puntare su questo”.
CUMDI: “L’IMPRENDITORE SIA UN GRANDE MOTIVATORE ”
Bisogna anche tenere presente in questo flusso che il mondo del lavoro, anche per effetto della pandemia, è cambiato e le persone non sono più disposte a trascorrere nella stessa azienda la loro intera vita lavorativa”. Ma cosa può fare un’impresa in questo contesto? “Abbiamo aderito con entusiasmo al progetto dell’Ifts
È un progetto importante quello avviato da Cumdi nel Nord della provincia. L’impresa di Germignaga, nata a Cunardo nel ‘79, specializzata nelle lavorazioni di metalli, ha iniziato lo scorso anno un percorso che coinvolge l’ex torcitura di Rancio Valcuvia che, grazie ad un investimento di oltre 30 milioni di euro, verrà riqualificata. L’ambizione del Presidente Giuseppe Niesi è quella di creare un polo produttivo, unico nel suo genere, con almeno 100 nuovi posti di lavoro. “Una azienda bella” sintetizza. “Delle
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Giuseppe Niesi con Attilio Fontana, Governatore della Regione Lombardia, alla presentazione della ristrutturazione della ex Torcitura di Rancio
Pavan: “In questo percorso di crescita ci stiamo scontrando con la mancanza di figure specializzate e con il tema del frontalierato”
due l’una: o siamo pazzi o coscienti delle possibilità che ci sono oggi. La nostra idea è quella di costruire un progetto unico, innovativo e sostenibile. Naturalmente si tratta di un grande impegno economico: siamo pronti a destinare tutti gli utili in questo progetto di crescita economica e sociale per i nostri giovani. Un’iniziativa di economia circolare vera e propria”. Un’iniziativa visionaria, dunque. Ma come si concilia con i problemi del territorio?
“L’area è oggettivamente difficile, non ce lo nascondiamo, ma la via per lo sviluppo è fare sistema, puntare sullo spirito di squadra. Faremo i Don Chisciotte? Non importa! Quello che importa è creare il nuovo e essere noi stessi innovativi, fare quello che gli altri non fanno. Allo stesso tempo come imprenditori dobbiamo diventare grandi motivatori: i nostri progetti, le nostre specificità, devono essere raccontate e stimolare le persone. Questa è l’attrattività. Solo questo può riportare la fascia di frontiera a livelli di splendore. E poi bisogna avere fiducia anche nelle istituzioni e nella politica. Credere tutti nel comune progetto: imprese, scuole e territorio. Ciascuno deve fare la propria parte e nessuno va lasciato solo”.
RATTI: “NON CHIEDIAMO INCENTIVI PER LE IMPRESE, MA PER I LAVORATORI”
Affonda le radici nel 1869 la Ratti Luino di Cassano Valcuvia, nome noto nel mondo nel settore delle macchine tessili. Non si può quindi dire che in azienda non conoscano bene la storia del territorio anche grazie all’esperienza de La Minuteria Locatelli Giovanni e figli Srl, il cui percorso si lega a quello di Ratti.
“Conosciamo bene il contesto” racconta Andrea Locatelli, Direttore generale di Ratti. “La questione sul tavolo è sempre quella della concorrenza salariale del Cantone Ticino che si concretizza nel problema di formare sul campo persone capaci per poi vedersele portare via. Come imprese cerchiamo ovviamente di fare il meglio per le nostre persone, renderle ‘felici’ di lavorare con noi, ma il problema resta e si acuisce in un momento storico come quello attuale, in cui il costo della vita aumenta. Non è un mistero il fatto che i giovanissimi guardino prima allo
stipendio piuttosto che all’imparare un mestiere e noi dobbiamo trovare dei modi per trattenerli, puntando su di loro e investendo nella formazione, pur con il rischio che poi ci lascino”. Una visione pessimista? “No, sono fiducioso, ma serve fare rete e dare maggiore attenzione a questo territorio. Da parte delle istituzioni c’è sicuramente una nuova sensibilità che ci auguriamo non svanisca, ma è tanto che, come imprese, ci battiamo e chiediamo aiuto. E attenzione: chiediamo sì incentivi, ma non per le nostre aziende: per i nostri dipendenti”.
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FOCUS FARE IMPRESA
Andrea Locatelli
IL NUOVO ACCORDO Italia-Svizzera
Paola Provenzano
Dopo l’ok definitivo e unanime del Senato e a mezzo secolo di distanza dalla precedente intesa tra Roma e Berna, sta per iniziare una nuova era nel mondo del frontalierato. E ora? Cosa cambia in fatto di fiscalità per i lavoratori oltre confine, ma residenti in terra italiana? Quali sono le novità introdotte per i territori vicini alla frontiera? Cosa ne pensano i parlamentari del territorio che hanno ratificato il Ddl? Ecco una panoramica di tutte le modifiche, tra cui l’introduzione del principio di reciprocità, che entreranno ufficialmente in vigore a partire da gennaio 2024
Dopo 50 anni “tonditondi”, si volta pagina in fatto di fiscalità per i lavoratori frontalieri: entrerà infatti in vigore il primo gennaio del 2024 il nuovo accordo tra Italia e Svizzera che sostituisce quello risalente al 1974. Il testo dell’accordo, dopo la ratifica definitiva da parte del Parlamento italiano attraverso un apposito Ddl, detta le nuove regole fiscali per chi, lavorando oltre confine, mantiene la residenza in Italia e stabilisce per la prima volta il principio di reciprocità. Un passo decisamente
necessario: su questo Roma e Berna concordano da tempo dal momento che il contesto, non c’è neppure bisogno di sottolinearlo, in 50 anni è completamente cambiato sotto tantissimi profili. Da parte dell’Italia, inoltre, la ratifica dell’accordo è stata anche l’occasione per incorporare nell’atto una serie di puntualizzazioni che riguardano le peculiarità del tessuto economico produttivo e del mercato del lavoro delle zone di confine interessate dal fenomeno del frontalierato, un fenomeno che viene ora anche inquadrato in modo più preciso e puntuale. Inoltre, occorre
dire che dalla discussione in aula e attraverso diversi emendamenti, è scaturito un provvedimento sul quale, da parte delle diverse forze politiche, si è formato un
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FOCUS
Il Parlamento svizzero a Berna
consenso bipartisan e che, per alcuni aspetti (quello in particolare legato al Fondo per lo sviluppo economico e il potenziamento delle infrastrutture nelle zone di confine Italo-elvetiche) dà gambe a una formulazione concreta di quella che potremmo definire come una forma di “federalismo fiscale”, riconoscendo agli enti del territorio la facoltà di utilizzo di risorse per il suo stesso sviluppo.
Le nuove regole
Il primo punto da chiarire è che i cambiamenti saranno effettivi a partire dal primo gennaio del 2024 ovvero dall’entrata effettiva in vigore dell’accordo. Per tutti i frontalieri che hanno già un rapporto di lavoro in essere, i meccanismi di tassazione
resteranno quelli attuali e varranno fino al loro pensionamento: per loro vige la competenza tributaria esclusiva dalla parte della Confederazione e quindi continueranno a versare
le tasse unicamente alle autorità del Paese in cui esercitano la loro professione e continueranno a non essere tenuti a presentare una dichiarazione d’imposte all’Agenzia delle Entrate.
È possibile fin da ora dire se ci saranno soggetti più o meno svantaggiati? “Il principio cardine fin dall’inizio della discussione è stato ‘non un euro in meno per i lavoratori’ e ‘non un euro in meno per i territori di confine’”, così spiega il Senatore PD Alessandro Alfieri che chiarisce anche un altro aspetto: “Abbiamo lavorato perché venissero introdotte in ratifica le misure previste dal Memorandum firmato dal nostro collega Antonio Misiani, allora Viceministro dell’Economia, con le organizzazioni sindacali e con l’Associazione Comuni
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Sarà istituito un “Fondo di sviluppo e potenziamento delle infrastrutture delle zone di confine italoelvetiche”, che verrà alimentato dall’extragettito derivante dall’imposizione dei frontalieri
italiani di frontiera. Quegli impegni sono stati traslati nel testo di disegno di legge a prima firma mia, poi unificato con il testo approvato dal nuovo Governo”.
La novità sicuramente più significativa riguarda i futuri lavoratori frontalieri, che saranno invece soggetti ad una potestà fiscale “concorrente” da parte del Paese di residenza, ovvero, oltre alla tassazione elvetica alla fonte, presenteranno dichiarazione dei redditi anche in Italia all’Agenzia delle Entrate, ma ovviamente con un meccanismo particolare che tenga conto di quanto già versato. La tassazione da parte italiana sarà in base agli scaglioni IRPEF, con alcune agevolazioni come la previsione di una franchigia e la detrazione della somma trattenuta alla fonte dalle autorità elvetiche (credito d’imposta), con la finalità di evitare la doppia imposizione. Tra le detrazioni che saranno ammesse dall’Agenzia delle Entrate ci saranno anche assegni familiari e contributi sociali eventualmente versati oltre confine, inoltre sarà possibile per i frontalieri inserire tutta una serie di detrazioni e deduzioni (mutuo della casa, spese sanitarie, spese di formazione dei figli, spese professionali e di trasporto) che ad oggi non vengono riconosciute nel sistema di tassazione alla fonte
applicato dalle autorità fiscali elvetiche.
“Il risultato raggiunto è sicuramente positivo – commenta l’Onorevole Maria Chiara Gadda (Italia Viva) – sia nel metodo, che è frutto di una concertazione dal basso, sia nel merito perché ci sono meccanismi di tassazione che salvaguarderanno anche i nuovi assunti dal 2024. Positivo è anche il riconoscimento della peculiarità delle economie dei territori di confine in cui le nostre imprese si trovano ad operare. In futuro occorrerà però continuare a lavorare sedendosi attorno ad un tavolo per garantire il funzionamento del Fondo che viene istituito e per l’utilizzo delle risorse”.
Dai ristorni al Fondo di sviluppo
Altro tema rilevante per i territori di confine è sempre stato quello dei cosiddetti “ristorni”: ad oggi le autorità elvetiche riversano una quota (38,8%) di quanto percepito come trattenuta alla fonte ai Comuni italiani di frontiera a titolo di compensazione finanziaria e per 10 anni, dall’entrata in vigore del nuovo regime, i cantoni Ticino, Vallese e Grigioni continueranno a farlo. Alla fine del regime transitorio saranno soppressi i ristorni elvetici. Tuttavia,
sarà nel frattempo istituito un “Fondo di sviluppo e potenziamento delle infrastrutture delle zone di confine italo-elvetiche”, che sarà alimentato dall’extra-gettito derivante dall’imposizione dei frontalieri. Si stima che a regime, tra 20 anni, il fondo avrà una dotazione teorica di 221 milioni di euro, destinati ad essere investiti appunto direttamente nei territori di frontiera, garantendo dunque risorse per andare ad affrontare le problematiche presenti.
Il Fondo rappresenta uno strumento importante in fatto di distribuzione delle risorse e di autonomia nel loro utilizzo. Lo sottolinea, in particolare, l’Onorevole Stefano Candiani (Lega). “Gli emendamenti portati a termine sono frutto di molto lavoro fatto in passato e questo accordo finalmente fa chiarezza sul sistema delle regole, normando e chiarendo molti aspetti che riguardano il frontalierato, ma anche portando l’attenzione sul tema delle peculiarità delle zone produttive di confine. Una grande novità è sicuramente la creazione di questo fondo che, per la prima volta, fa sì che le risorse prodotte su di un territorio siano direttamente destinate a quel territorio e al suo sviluppo. La dotazione del fondo, infatti, sarà destinata a interventi concreti anche per arrestare la fuga di manodopera verso la Svizzera che impoverisce il tessuto economico locale”. Sul punto gli fa eco l’Onorevole Andrea Pellicini (Fratelli d’Italia). “L’extra gettito generato permetterà di dare vita ad una sorta di assegno di frontiera per incentivare la manodopera a restare nelle aziende della zona di confine: questo ha un forte valore per scongiurare la desertificazione in termini di attività produttive. Si tratta di un provvedimento concreto e che andrà ad incidere sul problema vissuto da sempre dalle imprese che si trovano a formare del personale per poi perderlo a causa della maggiore attrattività salariale delle imprese del Canton Ticino”.
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FOCUS FRONTALIERI
Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica
Il punto debole
DEI COLLEGAMENTI INFRASTRUTTURALI
Se si va indietro nel tempo di alcune decine di anni, il Nord della provincia di Varese appare come fissato in una fotografia in cui profili e dettagli non sono mutati. Una buona notizia? Non proprio, non si parla, infatti, di bellezze naturalistiche, di valli e di viste mozzafiato sul lago, ma piuttosto di carenza di infrastrutture, collegamenti e trasporti. Ma si parla anche di un mercato del lavoro sbilanciato dalla vicinanza della Svizzera, in grado di drenare (letteralmente) risorse umane alle imprese di confine, sulla base di un divario salariale a svantaggio del made in Italy, a fronte di un tessuto imprenditoriale che ha specializzazioni manifatturiere simili di qua e di là della frontiera. Si tratta di un insieme di elementi che portano a considerare a rischio questa fetta
del Varesotto per il depauperamento di imprese e di occasioni di lavoro e che sempre più richiede un’attenzione particolare e forte.
Certamente le proposte per definire politiche e interventi di rilancio non sono mai mancate e non mancano ancora oggi. I differenti attori istituzionali, coinvolti a diversi livelli, sono concordi su alcuni punti, a partire dalla necessità di unire le risorse e fare squadra, senza dimenticare che favorire uno sviluppo economico ed industriale deve andare di pari passo alla salvaguardia del patrimonio naturalistico e della valorizzazione del turismo legato a queste zone, che godono di una innegabile vocazione in questo senso. Ed è proprio questa vocazione turistica che tiene banco nelle considerazioni di tutti quando si parla di priorità e nodi da sciogliere.
La parola ai Sindaci: da Luino a Laveno
“Se devo pensare a un tema da cui partire, è quello della mobilità delle persone”. Così si esprime sul “capitolo priorità” Enrico Bianchi, Sindaco di Luino, che con i suoi quasi 15mila abitanti rappresenta il Comune più popoloso dell’Alto Verbano. “La questione della mobilità e dei collegamenti va affrontata però insieme a Regione Lombardia, alla Provincia e alle agenzie che si occupano di trasposto: si tratta di un tema basilare da cui partire per pensare alle opportunità di sviluppo non solo industriale, ma anche turistico. Nessuno di questi fronti può essere sviluppato se mancano o sono carenti i collegamenti e se non si pensa ad una loro intermodalità: occorre togliere auto dalle strade e avere collegamenti ferroviari
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La mobilità di merci e persone, in primis. Ma anche la vocazione turistica del territorio e il rischio di un’ulteriore desertificazione industriale della zona. Questi i nodi centrali su cui lavorare per costruire lo sviluppo dei Comuni di confine secondo i primi cittadini di Luino e Laveno Mombello.
Dello stesso avviso è Marco Magrini, Presidente della Provincia di Varese:
“La possibilità di studiare soluzioni intelligenti c’è”
Paola Provenzano
Foto di Alberto Bortoluzzi
FOCUS
efficienti, non solo per le merci, ma anche per le persone sia in direzione della Svizzera sia per raggiungere Milano o Malpensa e viceversa”.
Al secondo posto vi è l’attenzione per la vocazione turistica, uno sbocco naturale per un territorio come quello del luinese che si affaccia sul Lago Maggiore. “Anche gli investimenti privati nel settore turistico andranno di pari passo allo sviluppo e al miglioramento dei collegamenti: solo con un potenziamento dei collegamenti si può pensare ad uno sviluppo adeguato e che renda significativi gli investimenti in questo settore”. Non da ultimo c’è il tema delle imprese e della loro presenza in questa zona di confine che rischia la desertificazione. “Se è vero che le aziende più grandi sono rare nel Nord della provincia, resta un
tessuto di medie e piccole imprese che hanno voglia di crescere e che possono avere una vocazione tecnologicamente avanzata: qui tutto si gioca ancora su trasporti e sulla mano d’opera. Nelle nostre zone abbiamo la possibilità di una qualità di vita e di un benessere alti proprio per il contesto in cui siamo, ma occorre unire le forze e trovare risposte in fretta”.
A fare da eco è Luca Santagostino, primo cittadino di Laveno Mombello, centro di riferimento per
il Medio Verbano. “Dal punto di vista delle imprese tra Laveno e Cittiglio dobbiamo fare i conti con le zone industriali abbandonate che, nel caso del nostro territorio di riferimento, sono almeno tre e di grosse dimensioni e che attualmente sono anche tagliate fuori dalle direttrici di collegamento viario e ferroviario. Gli aspetti viabilistici e dei collegamenti in generale sono quelli su cui concentrare principalmente la nostra attenzione, ma occorre una visione complessiva e un’azione sinergica”. Qui, rispetto a Luino, a tenere banco non è la questione dei frontalieri, ma piuttosto quella di un territorio in cui insistono collegamenti (ferrovia, traghetto e funivia), ma manca una strategia rispetto soprattutto alla navigazione del lago. “Da Laveno oggi possiamo andare in traghetto a Intra agevolmente
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Enrico Bianchi, Sindaco di Luino: “Se devo pensare a un tema da cui partire, è quello della mobilità delle persone”
Laveno Mombello
– spiega Santagostino –, ma per raggiungere Santa Caterina del Sasso via lago possiamo optare solo per un percorso che dura oltre due ore, mentre in termini di chilometri questa bellezza dista da Laveno solo 6 chilometri”. La navigazione turistica insomma è “al palo” e manca un disegno in questo senso che connetta il collegamento ferroviario alla navigazione del lago. “La navigazione turistica è un punto dal quale non si può prescindere –dice ancora il Sindaco – e per avere un risultato in questo senso occorre che gli interlocutori giusti si siedano ad un tavolo per trovare le soluzioni migliori. Solo così potrà crescere l’attrattività del nostro territorio e con essa anche l’offerta legata all’accoglienza”. Un plauso in questo senso agli interventi della Camera di Commercio di Varese in fatto di sviluppo turistico legato allo sport e alla natura. “Laveno ospiterà nel
prossimo biennio due importanti appuntamenti legati al deltaplano – conclude Santagostino – che saranno una buona occasione per attrarre turisti e per far conoscere il territorio” (come raccontato nel focus del numero di maggio di Varesefocus).
Qui Provincia di Varese: azione sinergica
La parola passa infine al Presidente della Provincia di Varese, Marco Magrini che è anche parte in causa in fatto di Alto Varesotto, con la sua carica di Sindaco di Masciago Primo, piccolo centro abitato di circa 300 abitanti, a mezza costa fra Bedero e Rancio Valcuvia. “Il Nord della provincia – dice – ha una sua vocazione ambientale e turistica green ed indubbiamente questo costituisce un punto forte di attrattività del territorio per quanto riguarda il turismo e non solo, anche
in termini di ben-essere inteso in modo ampio”. Ma anche in questo caso tutto si gioca attorno ai temi dei collegamenti, dei trasporti e in generale dei servizi che diventano la chiave di volta per poter davvero fare un salto di qualità. “Sul fronte dei collegamenti con la Svizzera pensiamo ai frontalieri e al traffico su gomma che si genera ogni giorno per varcare il confine nelle zone del Nord della provincia: la possibilità di studiare soluzioni intelligenti c’è –afferma Magrini – ed è una questione da portare al tavolo della Regio Insubrica. Penso però anche alle infrastrutture come le piste ciclabili per le quali c’è un grosso lavoro e un impegno economico per la messa in rete dei diversi percorsi. Occorre lavorare in rete tra istituzioni: con Regione Lombardia e con i Comuni coinvolti. Solo così possiamo pensare ad una azione sinergica per progettare insieme nei prossimi anni”.
FOCUS INFRASTRUTTURE
Luino
“Ticino 2032”
Chiara Mazzetti
Come Confindustria Varese, anche l’Associazione Industrie Ticinesi AITI, la principale organizzazione cantonale di rappresentanza delle imprese appartenenti a tutti i rami industriali, ha il suo Piano Strategico per lo sviluppo del territorio.
Obiettivo? Intervenire, da qui ai prossimi 10 anni, su 6 diverse macroaree. Anche attraverso la collaborazione con le vicine regioni della Lombardia e del Piemonte, come spiega il Presidente, Oliviero Pesenti
Gli obiettivi per accrescere la competitività del territorio della provincia di Varese, in ambito di innovazione, sviluppo dei cluster, della logistica, dell’attrattività e del wellbeing, da qui ai prossimi 30 anni, sono stati fissati dal Piano Strategico #Varese2050 pensato e voluto da Confindustria Varese insieme al think tank internazionale Strategique. Ma appena oltre il confine italiano, cosa sta succedendo nella vicina Svizzera?
Anche l’Associazione Industrie Ticinesi AITI, la principale organizzazione cantonale di rappresentanza delle imprese appartenenti a tutti i rami industriali, nel corso del 2022 ha presentato un suo Piano Strategico, con proposte ed obiettivi
da raggiungere nel prossimo decennio. Come spiega Oliviero Pesenti, Presidente di AITI: “Abbiamo chiamato il nostro Piano Strategico ‘Ticino 2032’ perché pensiamo che nei prossimi 10 anni sarà necessario, da parte soprattutto delle istituzioni e della politica, insieme naturalmente anche al sistema economico, prendere delle decisioni importanti per non compromettere il processo di sviluppo dell’economia, locale e non solo. Mi riferisco ad esempio al tema del calo demografico
e all’uscita dal mercato del lavoro di decine di migliaia di persone nei prossimi 10-15 anni. Oppure all’impatto delle nuove tecnologie e dell’Intelligenza artificiale su un tessuto di aziende che è costituito per il 90% da piccole e medie imprese. Non da ultimo, le necessità formative delle persone di fronte a questi cambiamenti”.
Con l’obiettivo di mettere in atto un processo di modernizzazione del territorio ticinese, attraverso azioni di breve, medio e lungo periodo, il Piano Strategico di AITI si è concentrato su 6 macroaree di intervento: capitale umano e formazione scolastica, professionale e accademica; creazione e sviluppo di un ecosistema dell’innovazione; cultura d’impresa; fiscalità e competitività del territorio; responsabilità sociale e ambientale delle imprese e inclusione; mercato del lavoro. Argomenti ai quali si aggiungono anche i temi dell’approvvigionamento dell’energia e l’impatto dei mutamenti geopolitici sull’economia.
“Abbiamo formulato delle proposte concrete d’intervento – chiarisce Pesenti –, come ad esempio il rafforzamento dell’orientamento scolastico dei giovani verso le professioni e il potenziamento dello
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FOCUS
Oliviero Pesenti
studio delle materie tecniche nella scuola media. Oppure l’aumento degli investimenti pubblici e privati per i processi d’innovazione in azienda e la diffusione della cultura del fare impresa nelle scuole e nelle famiglie. Nel mercato del lavoro è poi necessario aumentare la presenza femminile e rafforzare i servizi di conciliazione lavoro-famiglia”.
Cosa chiede quindi nel concreto AITI alle istituzioni e alla politica? “Seguire i processi di cambiamento in atto implica quello che noi definiamo un patto di Paese: economia, Stato e cittadini devono allearsi per affrontare i cambiamenti in atto. Alle istituzioni e alla politica chiediamo visione, obiettivi e strategia per realizzarli. La popolazione
politico”, precisa il Presidente Oliviero Pesenti.
Tra similitudini, scopi comuni e visioni concordi, sorge spontanea una domanda: esiste un punto di incontro con la vicina provincia di Varese su cui poter collaborare, Piani Strategici
la mobilità e le infrastrutture o l’innovazione in azienda, vi sono ampi margini di collaborazione. In questo senso, abbiamo intenzione di contattare, a breve, le organizzazioni industriali delle regioni di confine per proporre un confronto su queste
invecchia, già oggi accusiamo gravi mancanze di personale specializzato, l’implementazione delle tecnologie nelle aziende costa molto, è necessario adeguare la formazione al cambiamento. Ecco, su questi processi è necessario porsi degli obiettivi realizzabili secondo una tempistica precisa e ciò deve essere compito anche di chi è stato chiamato a dirigere il territorio da un punto di vista
alla mano? “Da tempo affermiamo che cantone Ticino, Lombardia e Piemonte, insieme in particolare alle regioni di confine, debbano confrontarsi su svariate difficoltà comuni. Tornando, ad esempio, al problema del calo demografico, è impensabile continuare a ‘rubarsi’ personale qualificato, da una parte e dall’altra del confine. Anche su temi come la formazione scolastica,
tematiche, parlando sostanzialmente la stessa lingua che è quella delle imprese. L’obiettivo per noi è anche spingere le istituzioni dei due territori, dunque Ticino e Lombardia, a confrontarsi cercando delle soluzioni a problemi comuni. Esiste una frontiera fra due Stati, è vero, ma quando i problemi sono comuni bisogna avere il coraggio e la forza di andare oltre”, chiosa il Presidente di AITI.
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Il Piano Strategico di AITI si è concentrato su 6 macroaree di intervento: capitale umano e formazione scolastica, professionale e accademica; creazione e sviluppo di un ecosistema dell’innovazione; cultura d’impresa; fiscalità e competitività del territorio; responsabilità sociale e ambientale delle imprese e inclusione; mercato del lavoro
Vista panoramica del Lago di Lugano
Un lavoro PER RINASCERE
Francesca Cisotto
Gli incentivi per le imprese ci sono. Così come i vantaggi per tutta la società: tra i detenuti che riescono ad accedere ad un’opportunità di impiego in carcere o in stato di semilibertà la percentuale di recidiva crolla al 2% dei casi, contro una media del 70% dei compagni che rimangono in cella disoccupati. Purtroppo, però, il fenomeno è ancora troppo poco diffuso. Storie positive come quelle di Eolo o di Lasi sono delle eccezioni, ma che possono ispirare altre realtà del territorio
Ha commesso un errore e per lui si sono aperte le porte del carcere di Bollate. Qui ad un certo punto, però, ha imparato a lavorare come operatore call center di assistenza ai clienti grazie ad un’azienda del territorio varesino e ora, che ha finito di scontare la sua pena ed è stato assunto dalla stessa impresa, torna nella casa circondariale per trasferire le conoscenze acquisite ai suoi ex compagni che iniziano a lavorare per la stessa realtà aziendale. Si chiama Gianni e questa è la sua storia di rinascita, o forse, sarebbe meglio dire, di speranza. Quella di molti dietro alle sbarre. Perché, per un detenuto, lavorare non è impossibile, ma non è nemmeno una cosa scontata. A confermarlo sono i numeri.
I detenuti che lavoravano all’interno e all’esterno degli Istituti
Penitenziari lombardi, nel 2019 erano solo il 20%. Nel 2020, sono diventati il 30%; nel 2021, il 31%. Nel 2022, invece, la percentuale è balzata al 37%, ma su 8.147 persone recluse, 2.347 sono state ammesse alle attività lavorative interne al carcere, mentre solo circa 400 hanno avuto la possibilità di lavorare in una realtà imprenditoriale o produttiva esterna.
Numeri in crescita, ma pur sempre bassi. Eppure, i vantaggi ci sono. A partire da quelli fiscali. Basti pensare alla Legge Smuraglia che prevede dei benefici in termini di sgravi contributivi per le imprese che assumono dei detenuti ammessi al lavoro all’interno o all’esterno dell’istituto. Più concretamente, si tratta di 520 euro mensili di incentivi, erogati come crediti d’imposta e la riduzione del 95% di aliquota contributiva.
Assumere un detenuto, dunque,
sembra essere un’opportunità. E lo dicono gli stessi imprenditori: “In Lombardia ci sono circa 54mila carcerati. Abbiamo un patrimonio da poter valorizzare – tiene a sottolineare Luca Spada, Ceo di Eolo Spa, azienda con sede a Busto Arsizio, attiva nel settore delle telecomunicazioni –. Inoltre, la persona detenuta a cui viene affidata una mansione tende ad essere completamente focalizzata sulla sua attività, motivata dal fatto di poter rompere la propria routine con un vero e proprio lavoro”. Quelle di Luca Spada sono parole frutto
Luca Spada (Eolo):
34 INCHIESTA
“I clienti assistiti dai dipendenti detenuti dichiarano un grado di soddisfazione del 97%”
di un’esperienza concreta che ha preso il via già tre anni fa. Infatti, ad aver dato quella luce di speranza a Gianni attraverso l’assegnazione di una mansione professionale, fin dal periodo di detenzione, è stata proprio
Eolo.
A spingere Spada in questa sfida è bastata una visita nella casa circondariale di Bollate: “Dai racconti dei detenuti ho appreso che, dopo una pena molto lunga,
non c’era un programma vero e proprio di reintroduzione al mondo lavorativo – continua il Ceo di Eolo –. Considerando che l’attività della nostra azienda si sposa bene con un lavoro a distanza, abbiamo deciso di far lavorare, da una struttura attigua al carcere, 6 persone. L’esito è stato sorprendente. I clienti assistiti dai dipendenti detenuti dichiarano un altissimo grado di soddisfazione: 97%. E così, con convinzione, siamo andati avanti in questa iniziativa. Oggi abbiamo 30 persone che lavorano per noi dal carcere di Bollate”.
Questo è l’esempio di Eolo, ma non è l’unica impresa sul territorio varesino ad avere teso il braccio oltre le sbarre e volto lo sguardo al di là dei pregiudizi.
Lo ha fatto anche la Lavorazione Sistemi Lasi Spa, azienda di Gallarate specializzata nella produzione di sistemi elettronici e servizi integrati (Ems), assumendo alcuni detenuti della Casa Circondariale di Busto Arsizio. Nel loro caso, tutto è iniziato nel 2018 grazie alla collaborazione con Randstad Italia Spa, player a livello mondiale nei servizi risorse umane: “L’idea è stata di Valeria Monateri, Sales Development Manager dell’agenzia per il lavoro a cui ci appoggiamo – precisano dall’impresa gallaratese –. Volevamo fare qualcosa di socialmente utile per la popolazione carceraria e abbiamo scoperto un mondo fatto anche di tanta umanità”. Praticamente, da una cella, attrezzata con gli strumenti e i materiali necessari, l’azienda ha dato lavoro a 4 persone, con un contratto a tutti gli effetti: 6 ore al giorno, dal lunedì al venerdì, per svolgere attività di saldatura, collaudo e assemblaggio. “È stata un’esperienza bellissima che purtroppo si è interrotta con il sorgere della pandemia da Covid-19, ma siamo disponibili a ripartire. Sia riprendendo a far lavorare i detenuti dal carcere, sia facendoli venire in azienda – continuano a raccontare da Lasi –. Un’alternativa, quest’ultima, che sarebbe ancora più efficace perché
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Uno dei prodotti di Lasi
INCHIESTA UN LAVORO PER RINASCERE
li avremmo qui tra le nostre mura, più vicino per trasferirgli maggiormente tutte le competenze necessarie. Diventerebbero a tutti gli effetti parte integrante dell’impresa insieme agli altri dipendenti. E una volta scontata la pena, perché no, quel posto di lavoro potrebbe essere ancora loro”.
Testimonianze, queste, che sono l’esempio di un interesse concreto da parte delle realtà imprenditoriali varesine sul fronte del reinserimento sociale delle persone detenute.
A livello regionale il bilancio è
tavolo coordinato dalla Prefettura e costituito dai Direttori delle Case Circondariali di Varese e di Busto Arsizio, dai rispettivi Comandanti della Polizia Penitenziaria, dalla Camera di Commercio e da tutte le parti sociali del territorio, tra cui Confindustria Varese.
“Il calo del tasso della recidiva dal 70% al 2%, dovuto alla possibilità di lavorare, ci fa riflettere sul fatto che dobbiamo continuare a favorire la formazione e l’assunzione dei detenuti da parte delle realtà imprenditoriali.
prima o poi, torneranno sul territorio come donne e uomini liberi”.
Ecco che allora coniugare il mondo del lavoro e della formazione a quello carcerario diventa un passaggio fondamentale all’interno del trattamento di rieducazione. Non solo per promuovere la dignità della persona e un reinserimento nella società con un bagaglio di valori nuovo, ma anche per assicurare alla stessa comunità dei vantaggi a livello di tutela, socializzazione e integrazione. E perché no?
positivo ma come tiene a precisare il Direttore della Casa Circondariale di Varese, Carla Santandrea, “occorre una spinta ulteriore per rafforzare un percorso già intrapreso e per consolidare collaborazioni attive da tempo”. Non è una questione di premio alla buona condotta dei detenuti e nemmeno un modo per far fronte alla difficoltà delle imprese di trovare manodopera. Bensì, una lotta alla recidiva. Secondo le statistiche del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, infatti, quando manca l’opportunità lavorativa il rischio che la persona torni a delinquere si aggira intorno al 70%, per calare invece al 2% in caso di occasioni concrete di formazione e impiego.
È su questo dato che si fonda il
Anche perché è solo assumendo le persone fin dal loro periodo di detenzione che le aziende possono beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dalla Legge Smuraglia, sia durante il periodo carcerario, sia nei 18/24 mesi successivi alla scarcerazione”, specifica il Prefetto di Varese, Salvatore Pasquariello.
L’obiettivo del lavoro sinergico tra le parti è quello di creare un più intenso collegamento tra “il dentro e il fuori” le sbarre. Perché, come sottolinea Maria Pitaniello, Direttore della Casa Circondariale di Busto Arsizio, “se da un lato, si tratta di persone che hanno violato la legge e, dunque, con una ragione per poter essere private della loro libertà, dall’altro, dobbiamo considerare che,
Trasmettere
le conoscenze necessarie per colmare, almeno in parte, quel gap tra domanda e offerta di lavoro che frena lo sviluppo di molte imprese varesine e non solo.
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ai detenuti
Il Prefetto di Varese, Salvatore Pasquariello, ha aperto un tavolo di confronto per stimolare sul tema un maggior coinvolgimento delle imprese. Ne fanno parte tutte le parti sociali del territorio
La squadra call center di Eolo
CALO DEI PRESTITI alle imprese
Davide Cionfrini
Varese registra negli affidamenti concessi dal sistema bancario alle realtà manifatturiere del territorio. Un primo campanello di allarme, secondo il
Ma a preoccupare le aziende in questa fase
Calano lievemente i prestiti alle imprese industriali varesine. Lo stock del credito concesso dal sistema bancario al settore manifatturiero locale al 31 dicembre 2022 era pari a 3,752 miliardi di euro, contro i 3,798 miliardi di fine 2021. Un passo indietro, dunque, del -1,2%. Si tratta della prima inversione di tendenza da fine 2019, quando i livelli dei prestiti si attestavano a 3,2 miliardi di euro. È quanto emerge da una rilevazione del Centro Studi di Confindustria Varese che, a fronte dell’innalzamento dei tassi e dell’aumento del costo del denaro, ha iniziato un’opera di costante monitoraggio dell’andamento del credito, consultabile liberamente nella sezione “Economia” del sito Internet www.confindustriavarese.it.
“La diminuzione dei prestiti alle imprese – commenta il Presidente di
Confindustria Varese, Roberto Grassi – rappresenta un primo campanello d’allarme da non sottovalutare. La politica di innalzamento dei tassi da parte della Banca Centrale Europea e il relativo aumento del costo del denaro ci impone un monitoraggio costante di ciò che sta avvenendo nell’accesso al credito delle imprese, da qui il nuovo strumento pensato dal nostro Centro Studi. Dobbiamo capire se questi primi cali negli affidamenti siano l’inizio di un trend legato alla politica antinflazionistica della Bce oppure no. Di sicuro c’è il fatto che le imprese non si possono permettere brusche frenate nei percorsi di transizione in atto sui fronti del digitale e della sostenibilità da cui dipende la nostra competitività e il presidio dei mercati internazionali”.
Il rischio, in effetti, c’è. Sempre secondo altri dati elaborati dal Centro Studi di Confindustria Varese,
che ad inizio anno ha sondato un campione di imprese del territorio, la percentuale di aziende che dichiara di voler investire nel corso del 2023 è pari al 69%, contro il 73% delle imprese che, invece, ha investito nel 2022: 4 punti percentuali in meno. Non solo, all’interno di questo 69%, la maggior parte delle imprese, il 55%, investirà somme pari o inferiori rispetto a quelle di un anno fa, mentre solo il 45% lo farà mettendo sul piatto risorse più ingenti. Ciò che non diminuirà, secondo i piani del sistema produttivo varesino, sarà l’investimento nella sostenibilità. A questa voce le imprese investitrici passeranno dal 37% del 2022, al 43% del 2023, 6 punti percentuali in più. Il vero problema sul campo è l’incertezza del momento e l’incapacità delle aziende di fare previsioni e, di conseguenza, programmazione. “Certo – spiega
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LEGGERO
È un passo indietro del -1,2% quello che il Centro Studi di Confindustria
Presidente Roberto Grassi.
non è tanto l’aumento dei tassi, quanto piuttosto l’incertezza del mercato, i rientri dopo la moratoria del Covid e un sistema di rapporti con le banche troppo “impacchettato”
ad esempio Mario Viganò, General Manager della Comip Costruzioni Minimeccaniche
di
Precisione Srl
di
Caronno
Pertusella – i tassi sul portafoglio sono raddoppiati in un anno, ma su questo credo che poco si possa fare di fronte ad un contesto di costo del denaro in risalita. Più che altro a preoccupare le imprese sono gli alti e bassi e l’imprevedibilità del mercato”. La sua azienda produce alberi per motori elettrici: “Nel settore del bianco, e quindi per frigoriferi e lavastoviglie, abbiamo clienti che registrano flessioni di fatturato del -20%, anche -25%”. Ciò che stupisce, invece, positivamente Viganò, è il comparto automotive che “sta andando alla grande”. Così così il settore ventilazione. In generale “da marzo, ma soprattutto dagli inizi di aprile abbiamo assistito ad un lieve calo degli ordini. A giugno non sono stati altissimi mentre un incremento si è notato negli ordini con consegna luglio. Cosa avverrà dopo l’estate è però difficile prevederlo anche se si parla di ripresa”.
Tornando allo stock dei prestiti all’industria varesina, il -1,2% registrato a fine 2022 è un dato in
linea con un generale arretramento che emerge anche a livello regionale e nazionale, ma con trend diversi. Il dato varesino è migliore del -2% italiano, ma peggiore rispetto ad un -0,3% medio lombardo.
Ciò a fronte, invece, di un costante calo delle sofferenze pari, a dicembre 2022, a 48 milioni di euro. La situazione, sotto questo punto di vista, è in costante miglioramento. Basti pensare che solo un anno fa, al 31 dicembre 2021, lo stock di credito deteriorato in provincia di Varese ammontava a 92 milioni di euro. A fine 2020 si registravano livelli pari a 171 milioni di euro. Se si sposta la lancetta del confronto ancora più indietro, allo stesso periodo del 2019, le sofferenze, in valore assoluto, nel Varesotto sono diminuite di -175 milioni di euro.
A livello percentuale oggi le sofferenze creditizie dell’industria varesina rappresentano l’1,3% dei prestiti, un dato in linea con la quota di credito deteriorato sia a livello lombardo (1%), sia a livello nazionale (1,2%).
Altro parametro che la nuova rilevazione del Centro Studi di
INDAGINE SUGLI INVESTIMENTI REALIZZATI NEL 2022
Nel 2022 sono stati realizzati degli investimenti?
74%
delle imprese intervistate ha realizzato un investimento nel 2022
Andamento rispetto al 2021 (percentuali calcolate solo sulle imprese che hanno fatto investimenti nel 2022) 58% 25% 17%
Confindustria Varese prende in considerazione, e che terrà costantemente monitorato, è quello del “Tasso annualizzato di ingresso in sofferenza”, ossia le velocità con cui si formano le nuove sofferenze. Il dato varesino al 31 dicembre 2022 era pari a 0,63%. Un dato, dunque, migliore sia di quello lombardo di 0,66%, sia di quello nazionale pari a 0,92%.
Il 74% delle imprese intervistate ha realizzato investimenti nel corso del 2022. Nella maggior parte dei casi (58%) le aziende che hanno investito nel 2022 lo hanno fatto in misura superiore rispetto al 2021, il 25% ha investito in misura uguale e il restante 17% in misura inferiore rispetto all’anno precedente.
“Quello che registriamo in questa fase nella relazione con le banche – racconta Gianluca Marvelli, Amministratore Delegato della KohI-Noor Carlo Scavini & C. Srl – è la difficoltà dettata dal termine della moratoria sul pagamento delle rate di rientro dai prestiti che era scattata a protezione del sistema produttivo durante la pandemia”. Il concetto dell’imprenditore che guida l’azienda di Tradate che realizza prodotti per toeletta e accessori bagno “è che alcune imprese stanno vivendo come una sorta di ondata di ritorno del periodo del Covid, che impatta sulla finanza aziendale”. Il ripristino della normalità, in questo caso, è stato troppo brusco, troppo rigido. Ma è in generale il rapporto con il sistema del credito ad essere, secondo Marvelli, “impacchettato da un sistema che deresponsabilizza bravi funzionari di banca con algoritmi e regole. Alla fine, contano sempre quelle 4 o 5 voci di bilancio, qualsiasi sia la realtà produttiva”. Una sorta “di scollamento tra le persone di banca con cui abbiamo sempre buone relazioni e i veri decisori deliberanti”.
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La percentuale di aziende varesine che dichiara di voler investire nel corso del 2023 è pari al 69%, contro il 73% che ha invece investito nel 2022: 4 punti percentuali in meno
Le banche E L’AUMENTO DEI TASSI
Cionfrini
non
bbiamo erogato ad oggi in Lombardia 1,8 miliardi di euro a favore di imprese che sempre più si orientano verso innovazione, transizione sostenibile, ambientale e digitale, driver essenziali per rimanere competitivi. Grazie alla piattaforma Incent Now, abbiamo accompagnato circa 800 imprese lombarde ad aggiudicarsi i bandi del Pnrr”. A snocciolare i numeri è Gianluigi Venturini, Direttore regionale Lombardia Nord Intesa Sanpaolo: “Per favorire i processi di autonomia energetica, la nostra banca ha messo a terra una serie di iniziative e avviato la collaborazione con i soggetti pubblici per lo sviluppo delle Comunità Energetiche Rinnovabili, vera opportunità per Pmi e famiglie in virtù dei concreti benefici economici, sociali e ambientali che possono scaturirne”. Questi i campi di azione di
Intesa Sanpaolo che, sottolinea ancora Venturini, con “l’accordo in essere con Confindustria conferma l’impegno verso l’economia del territorio di Varese, sia con la liquidità necessaria per affrontare le difficoltà contingenti,
sia con il sostegno finanziario e la consulenza in una prospettiva di sostenibilità, premiando con condizioni migliorative gli investimenti che realizzano obiettivi Esg”.
La sostenibilità è parte integrante
40 INCHIESTA
Davide
in collaborazione con Alessia Lazzarin
‘‘A
Sostenibilità, digitalizzazione, efficientamento energetico, progetti Pnrr. Sono queste le transizioni su cui punta il sistema bancario nel sostegno alla crescita del settore manifatturiero varesino e non solo. L’incremento del costo del denaro, secondo le direzioni regionali del credito,
sta portando a grandi scossoni. La situazione tiene ed è sempre più orientata agli investimenti green
anche della cultura di UniCredit, come spiega il Regional Manager Lombardia Marco Bortoletti: “Noi operiamo con la consapevolezza che per essere competitivi sul mercato bisogna perseguire una crescita sostenibile e duratura nel tempo ed è una convinzione che sta maturando anche nelle imprese lombarde. Continuiamo a fornire il nostro concreto supporto al sistema produttivo lombardo e i numeri lo dimostrano. Nel solo primo trimestre del 2023 abbiamo erogato nuovi finanziamenti in Lombardia per 741 milioni di euro (45,5 milioni a Varese), di cui oltre il 20% finalizzato a finanziamenti Esg e al sostegno di investimenti green e digitali”. Più in generale, secondo Bartoletti “famiglie e imprese italiane hanno dimostrato straordinaria resilienza e capacità di adattamento alle pressioni macroeconomiche, caratterizzate da tassi in rialzo e inflazione elevata. Tanto è vero che la situazione economica è risultata negli ultimi mesi migliore di quanto temuto. Per le imprese abbiamo poi messo a disposizione strumenti di copertura rischio tassi, anche con piattaforme digitali evolute (UCHedge). Abbiamo sempre assicurato supporto ai clienti e alle comunità nei momenti più difficili e vogliamo continuare ad aiutare concretamente le famiglie, le comunità e le imprese a proseguire sulla strada della crescita. In quest’ottica, UniCredit ha appena lanciato la nuova edizione di UniCredit per l’Italia, un pacchetto di iniziative volto a sostenere il reddito disponibile di privati e famiglie e la liquidità delle aziende italiane per un valore potenziale complessivo di 10 miliardi di euro”.
Pieno supporto ad aziende piccole, medie e grandi è il ruolo che vuole assicurare anche Bper Banca: “In particolare in questo scenario congiunturale complesso, anche caratterizzato dall’incremento dei tassi di interesse che sta determinando maggiori oneri e minore accessibilità al credito – spiega Davide Vellani, Responsabile della Direzione Imprese e Global Transaction di
Bper Banca – vogliamo aiutare le imprese ad orientarsi e a cogliere tutte le opportunità disponibili. A tal proposito è stata sviluppata una gamma completa di prodotti e servizi volta a sostenere sia l’attivo circolante che gli investimenti con finalità che spaziano dall’innovazione, alla sostenibilità, alla transizione Esg, all’internazionalizzazione, ai progetti Pnrr. L’approccio consulenziale di Bper permette di supportare le imprese nell’individuazione delle soluzioni finanziarie più efficaci, anche ricorrendo a garanzie di enti terzi come Sace, Mcc, Fei e Bei, contenendo altresì il rialzo dei tassi anche grazie ad una scontistica dedicata ai finanziamenti per progetti green e sostenibili. Particolare attenzione è dedicata all’export ed al sostegno delle filiere produttive, fattori chiave della resilienza delle imprese”.
Fiducia e conoscenza sono le parole chiave per interpretare il momento, secondo Roberto Solbiati, Direttore Generale della Bcc Busto Garolfo e Buguggiate del Gruppo Bancario Iccrea: “Quando si parla di sostenere economicamente il tessuto imprenditoriale, si parla di fiducia; fiducia che deriva dalla conoscenza reciproca. Come istituto del territorio abbiamo costruito nel tempo una profonda relazione con gli
imprenditori, favorita dalla vicinanza e da una filiera decisionale corta, che ci permette di dare risposte in tempi brevi. Essere banca locale significa anche saper realizzare prodotti taylor made per soddisfare le esigenze del cliente, impegno che ogni giorno poniamo in essere anche con il supporto del Gruppo Bancario Iccrea di cui facciamo parte. Nonostante il significativo e repentino rialzo dei tassi non registriamo ad oggi un rallentamento delle richieste di finanziamento: questo territorio appare sano e proattivo ed ha bisogno di strumenti agili e veloci, capaci di sostenere l’innovazione, in termini di digitalizzazione e di Esg e di un interlocutore di fiducia”.
Per Enrico Berruti, Responsabile Servizio Mercato Imprese di Banca di Asti “il ruolo delle banche in questo contesto è determinante per indirizzare le scelte delle imprese e ovviamente non può prescindere da una prudente valutazione di sostenibilità economica prospettica”. Da qui “una serie di iniziative finalizzate a incentivare alcuni investimenti green e agevolare i costi di transizione ecologica: condizioni di particolare favore per nuovi clienti con piani prospettici solidi e sostenibili che operano nel settore agroalimentare e manifatturiero; stanziamento di un plafond di 100 milioni per le aziende che decidono di investire in energie rinnovabili; stanziamento di un plafond di 50 milioni per aziende che intendono finanziare investimenti orientati a favorire il risparmio idrico”.
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Gianluigi Venturini (Intesa Sanpaolo):
“Abbiamo erogato ad oggi in Lombardia 1,8 miliardi di euro a favore di imprese che sempre più si orientano verso innovazione, transizione sostenibile, ambientale e digitale, driver essenziali per rimanere competitivi”
Davide Vellani (Bper):
“Stiamo prestando particolare attenzione all’export e al sostegno delle filiere produttive, fattori chiave della resilienza delle imprese”
L’AZIENDA È UGUALE per tutti
Sono oltre 300, 10 ricoprono ruoli apicali e si difendono benissimo in un contesto di perfetta equità tra i People Manager. Sono le donne lavoratrici in Grünenthal in Italia, tra la filiale commerciale di Milano e lo stabilimento produttivo di Origgio e questi sono i numeri che hanno permesso alle due realtà, attive nel settore dei farmaci a livello globale, di ottenere la Certificazione per la parità di genere da parte di Bureau Veritas: una delle più importanti multinazionali dei servizi di ispezione e di verifica di conformità. Ebbene sì, il Gruppo, a livello nazionale, registra un buon bilanciamento tra le figure femminili
e quelle maschili, sia nell’hub manifatturiero sul territorio varesino, sia negli uffici situati nella metropoli.
Si tratta di circa 580 dipendenti in totale, così distribuiti: 447 a Origgio, tra 217 donne e 230 uomini; 138, invece, tra Milano e il resto d’Italia, di cui ben 89 sono femmine e 49 sono maschi. Un risultato positivo in ottica di gender equality, che si ritrova anche sul fronte dei vertici aziendali. Se nello stabilimento del
saronnese 3 donne su 10 ricoprono ruoli apicali, nella filiale milanese di Grünenthal Italia, la situazione è opposta: le professioniste sono in maggioranza (7) rispetto agli uomini (4). Un perfetto 50/50, invece, si registra tra i People Manager, cioè quel gruppo di figure professionali a cui si demanda la gestione delle risorse umane. Un esempio concreto, questo, dell’attenzione all’equità tra i generi
42 ECONOMIA
Francesca Cisotto
La nomina di un comitato guida per l’equità tra donne e uomini, la creazione di specifiche policy per contrastare i pregiudizi, la pianificazione di percorsi formativi dedicati all’inclusione, l’organizzazione di eventi volti alla sensibilizzazione sulle diversità. È grazie ad iniziative concrete come queste che Grünenthal Italia e il suo stabilimento di Origgio hanno ottenuto la Certificazione per la parità di genere. Ecco i numeri e le attività dell’impresa per accorciare sempre più la distanza tra i piatti sulla bilancia della gender equality
STORIE DI PEOPLE
Luigi Uccella
a partire proprio da quelle persone che si trovano a gestire il capitale umano dell’azienda a tutti i livelli. Ma non è solo una questione di numeri. Quello ottenuto dalle due realtà imprenditoriali del Gruppo tedesco, è un riconoscimento importante che arriva in seguito ad un attento percorso di valutazione iniziato nel corso del 2022. I processi di selezione, la gestione della carriera e la prospettiva di crescita interna, le tutele relative all’equità, anche sul fronte della retribuzione, alla conciliazione dei tempi vita-lavoro e alla genitorialità. Questi gli aspetti analizzati che hanno portato la leader francese di certificazioni a valutare positivamente, oltre che i numeri, anche la cultura aziendale, sia di Grünenthal Italia, sia dello stabilimento di Origgio: uno dei 5 siti produttivi del Gruppo insieme a quelli in Cile, Ecuador, Germania e Svizzera.
Ma concretamente quali sono le iniziative che hanno portato l’azienda all’ottenimento della Certificazione?
La nomina di un comitato guida per l’equità tra donne e uomini, la creazione di policy interne studiate ad hoc per contrastare i pregiudizi, la pianificazione di percorsi formativi dedicati all’inclusione, l’organizzazione di eventi volti alla sensibilizzazione delle diversità. Praticamente, un insieme di misure e un preciso sistema di governance, che garantiscono a tutti gli effetti la parità
di genere nel contesto lavorativo.
Per dirla con le parole dell’Head delle Risorse Umane, Luigi Uccella, “è un impegno a 360 gradi che spazia dalla comunicazione interna alle politiche di gestione delle persone e delle competenze. Si fonda sul riconoscimento, sull’apprezzamento e sull’importanza di creare un ambiente in cui tutti, indistintamente, si sentano rispettati e supportati nel fare del loro meglio, sviluppando il loro pieno potenziale. La certificazione valida quanto realizzato fino ad oggi con successo e ci pone l’obiettivo di migliorarci continuamente. Siamo pronti come Gruppo ad accettare questa sfida”.
L’obiettivo aziendale è, dunque, quello di creare un ambiente di lavoro nel quale le persone si sentano sempre più accettate e riconosciute per la loro individualità, esprimendo al massimo se stesse. Questo perché, come sottolinea l’HR Uccella, “significa lavorare su una cultura aperta, inclusiva ed equa, che riconosca il benessere del capitale umano e che
STORIE DI PEOPLE
Con Grünenthal Italia continua il viaggio di Varesefocus tra le imprese impegnate in azioni di welfare aziendale, conciliazione lavorofamiglia, sviluppo demografico, supporto alla genitorialità, inclusione di genere. Un racconto in linea con gli obiettivi del Progetto “PEOPLE, l’impresa di crescere insieme” lanciato
da Confindustria Varese per contribuire alla attrattività della provincia con una serie di iniziative accomunate da un filo conduttore: l’investimento e la valorizzazione delle persone. Per segnalare la storia della tua impresa scrivi a info@varesefocus.it. Per informazioni sul Progetto PEOPLE: www.confindustriavarese.it.
consideri il contributo sociale che questo può portare in termini di responsabilità e modernità”.
Alla base delle azioni imprenditoriali, una sola regola: ascoltare. Una chiave semplice, che però ha permesso all’azienda di aprire una molteplicità di porte. “L’ascolto è un aspetto importante di tutte le nostre strategie, sia in termini di business, sia di comunicazione interna”, aggiunge l’Head HR Luigi Uccella. A dimostrarlo sono le diverse iniziative a cui partecipa regolarmente il Gruppo, come ad esempio, la survey “Great Place to Work” che quest’anno ha riconosciuto Grünenthal anche come un “Best Place for Women”. Senza dimenticare le indagini interne focalizzate sugli aspetti manageriali e basate su gruppi di lavoro trasversali che condividono il loro contributo in un’ottica di miglioramento continuo. Tutto per incoraggiare una cultura aperta, inclusiva e priva di pregiudizi, in grado di accogliere e valorizzare tutte le diversità sul luogo di lavoro e non solo.
Tra i prossimi obiettivi, quello di migliorare sempre di più i risultati, non solo in termini di numeri, ma anche di livello di soddisfazione, benessere ed engagement interno, “andando a lavorare – come sottolinea Uccella –, proprio sulle aree sensibili emerse dalle iniziative di ascolto o su ulteriori ambiti di interesse che dovessero emergere anche su scala globale. Diversità e inclusione sono temi che necessitano di essere continuamente fertilizzati e ricordati, parallelamente al contesto sociale in continua trasformazione”.
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Lo stabilimento produttivo di Grünenthal a Origgio
IMPARARE CON iltinkering
Lisa Aramini Frei
Basata sulla sperimentazione diretta, la metodologia didattica nata a San Francisco ha come scopo l’insegnamento delle materie scientifiche a bambini e ragazzi attraverso la realizzazione di artefatti artigianali, costruiti con materiali di uso comune. Un ottimo bilanciamento tra creatività ed ingegno, che inizia a prendere piede anche nelle scuole del Varesotto
condotti dal Mit di Boston, questa metodologia didattica interattiva ha lo scopo di far avere a bambini e ragazzi un approccio diretto e immediato alle materie Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica), passando prima dalla pratica, e poi
infine, alla teoria. Grazie al Tinkering, termine che deriva dall’inglese “to tinker”, che letteralmente significa “armeggiare”, gli studenti sviluppano diverse competenze come la creatività, il lavoro di squadra e il problem solving. Il modus operandi è semplice: l’attività parte con una sfida rivolta agli alunni da parte del docente. I bambini, divisi per gruppi, ricevono un sacchetto al cui interno sono presenti diversi materiali di riciclo di svariata natura e funzione. Gli studenti sono quindi invitati ad ispezionare il sacchetto, scoprendo gli oggetti a loro disposizione. Successivamente devono rispondere alla richiesta dell’insegnante di creare un artefatto che può andare dal ponte autoportante di Leonardo alla creazione di una catapulta.
“Oltre allo sviluppo delle competenze classiche come l’ingegnosità e la creatività – racconta Mauro Sabella, docente di laboratorio di chimica all’Istituto d’Istruzione Superiore Andrea Ponti di Gallarate
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FORMAZIONE
Uno degli artefatti costruiti dagli studenti
FORMAZIONE TINKERING
e pioniere in provincia di Varese del metodo Tinkering – ai bambini è permesso anche copiare nel corso di un’esercitazione di questa metodologia didattica. Capita infatti che un alunno, guardando il lavoro dei compagni di classe, riesca a sviluppare un’idea in più rispetto ad un altro che magari ad un certo punto del laboratorio si è bloccato. Questo è utile sia per chi ha copiato, per capire il procedimento necessario per arrivare ad un certo punto dello sviluppo del lavoro, ma soprattutto per chi è stato copiato, perché insegna che a tutto c’è una soluzione, anche se non in maniera immediata”.
Con questa inversione dei poli, si ha un approccio atipico alle discipline Stem, permettendone una conoscenza e un apprendimento più trasversale. Grande importanza viene data anche alla sostenibilità, elemento cardine di questa metodologia. È grazie, infatti, al recupero di diversi materiali che vengono realizzati “i lavoretti” dai ragazzi: dal rotolo di carta igienica, alle penne o i tappi, tutti questi oggetti possono avere una seconda vita, didatticamente utile. “Un marchingegno che faccio realizzare quasi sempre – continua Sabella – è lo Scribbling Machine: una sorta di robot realizzato partendo dal cestino della ricotta, un piccolo motore a pile, tre pennarelli e dei cavi. Assemblando questi oggetti insieme, quasi tutti recuperabili in casa, si riesce a creare una sorta di automa in grado di disegnare. Si riesce così a fare ingegneria e alta sostenibilità insieme”.
Questo tipo di metodologia viene utilizzata principalmente nelle scuole primarie, ma non mancano esempi anche nelle scuole superiori, dove si usa una sorta di evoluzione della tecnica primaria, ovvero l’Ibse, educazione scientifica basata sull’investigazione, in cui vengono applicate le cinque “E”: Engagment, Explain, Explore, Elaborate ed Evalute (coinvolgi, spiega, esplora, elabora e valuta).
Dato che alle maggiori conoscenze
e capacità tecnico-manuali degli adolescenti piuttosto che dei bambini, vengono abbinate creazioni di veri e propri circuiti, l’uso del Tinkering risulta più immediato ed efficace nelle scuole secondarie. Al di là della didattica scolastica, poi, le attività di collaborazione con lo scopo di creare un prodotto vengono utilizzate anche in realtà aziendali come ad esempio nel Team Building, ottenendo però da parte dei partecipanti un coinvolgimento diverso da quello che si ha con i ragazzi: “Spesso gli adulti –dice Sabella –, davanti a richieste come quelle di realizzare artefatti andando
un po’ alla cieca, si sentono spiazzati e capita che non sappiano come intervenire: questo fa capire quanto poco siano stati abituati a mettersi in gioco in questo modo”.
Se per alcune scuole il Tinkering rimane circoscritto ad attività laboratoriali occasionali, per altre fa parte di intere schede didattiche svincolate dall’insegnamento classico e più improntato su lavori manuali, in cui l’apprendimento passa dall’esperienza. La cosiddetta “Scuola senza zaino”, presente in provincia di Varese a Sumirago, a Ranco e a Saltrio, è basata sul senso di comunità e collaborazione della classe in cui si favoriscono responsabilità e acquisizione delle competenze nei bambini. “Si lavora molto sull’engagement – conclude Mauro Sabella – e sul rapporto diretto insegnante-conoscenze-alunno. I bambini di oggi sono sempre più bombardati da stimoli esterni, che, nel tempo, hanno causato un grave abbassamento nel loro livello di attenzione. È quindi necessario cambiare il metodo di insegnamento, così da coinvolgere maggiormente gli alunni, rendendoli più attivi alla conoscenza e alla collaborazione, utile sia in classe, ma anche in un futuro lavorativo”.
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L’apprendimento passa direttamente dalle mani di ragazzi e bambini che, tramite la creazione di artefatti mobili, hanno un primo approccio alle discipline Stem, imparando sul campo le leggi che stanno dietro a determinate reazioni fisiche o chimiche
Il negozioDEL FUTURO SARÀ 5.0
Alessia Lazzarin
Situato in prossimità dei centri abitati e raggiungibile a piedi in pochi minuti, senza dover prendere la macchina. Capace di soddisfare le richieste sempre più esigenti dei consumatori nel raggio di pochi chilometri. Tecnologico per definizione, ma allo stesso tempo a portata dell’utente. Sostenibile, perché promuove prodotti a kilometro zero o si rifornisce da produttori locali. Funzionale, certamente, ma anche accogliente e piacevole da frequentare. Secondo i ricercatori della Liuc Business School è questo il profilo che dovranno avere i punti vendita nei prossimi anni
Il negozio del futuro sarà 5.0. Per darne una definizione in tre semplici parole: un punto vendita di vicinato, local e phygital. Situato, quindi, in prossimità dei centri abitati, comodo per chi studia e lavora, ma anche per gli anziani che non hanno voglia o possibilità di guidare la macchina. A portata di consumatore. Capace di soddisfare le esigenze dei clienti che si muovono nei dintorni o nel raggio di pochi chilometri di distanza. Una via di mezzo tra digitale e fisico. In grado di unire l’aspetto tecnologico con quello umano, senza troppe difficoltà. Sostenibile, perché promuove prodotti a kilometro zero, produttori locali o attenti agli aspetti green, come per l’istallazione di luci a led o impianti fotovoltaici.
Un luogo funzionale, certamente. Ma anche accogliente e piacevole da frequentare.
A delineare il profilo del negozio del futuro è la ricerca svolta dall’Osservatorio Retail MarTech (R)Evolution della Liuc Business School, un hub che studia le trasformazioni del retail dal punto di vista delle tecnologie e della business intelligence.
“Abbiamo svolto uno studio per analizzare i comportamenti di acquisto di tutti i beni di consumo della
grande distribuzione in Lombardia –afferma Chiara Mauri, Responsabile dell’Osservatorio dell’ateneo di Castellanza –. Dalla ricerca è emerso il profilo del negozio 5.0”. Si tratta di un progetto che nasce con l’obiettivo di generare know-how sull’evoluzione dei modelli di business nel retail basati sia sui dati a disposizione sia sulle tecnologie.
“Svolgiamo un’attività di ricerca semestrale e ogni sei mesi approfondiamo temi diversi – prosegue Mauri –. Definiamo
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Chiara Mauri
l’Osservatorio come una community che ha come missione quella di interfacciare la ricerca scientifica con le esigenze delle imprese, per generare informazioni utili per le previsioni e decisioni di business. Oltre a Liuc, i partner del progetto sono: Jakala, Mirakl, NIQ, SAS”.
I comportamenti dei consumatori, nel corso degli anni, si sono trasformati. La pandemia in parte ha fatto da acceleratore di questo processo. Ma non solo. La mentalità delle persone è cambiata radicalmente. La percezione del proprio tempo libero ha, per esempio, assunto un valore molto importante. Anche i più abitudinari si sono trovati ad avere esigenze sempre nuove e diverse. È in questo contesto che si inserisce la ricerca dell’ateneo di Castellanza.
In passato il concetto di retail era diverso da quello attuale. Un tempo i negozi si trovavano nelle grandi città. Oggi non è più così. Il motivo è semplice: si preferisce avere tutto il necessario a portata di mano e a poca distanza da casa. Le persone vogliono muoversi a piedi, facendo una passeggiata all’aria aperta, piuttosto che prendere la macchina e imbottigliarsi nel traffico della città. Un atteggiamento che, giocoforza, si
riflette sugli stessi negozi e sulle loro strategie di business: “Ci sono punti vendita sempre più piccoli e, man mano che ci si avvicina al centro, se ne trovano in quantità maggiore –specifica Mauri –. Senza dimenticare l’aspetto degli acquisti online. Le spese via e-commerce sono aumentate del 10% nel periodo tra il 2018 e il 2022. Le spese via e-commerce ‘grocery’, ovvero quelle in negozi di alimentari o di prodotti casalinghi, sono cresciute dell’11%”.
Si tratta di una nuova concezione della vendita al dettaglio. Ma quali sono i vantaggi rispetto al passato? In pochissimi minuti, a piedi o in macchina, si possono raggiungere diversi shop. “A Milano, se si cammina per 98 secondi, è possibile arrivare al primo negozio. Spostandosi nuovamente, se ne trovano ancora di più – informa la ricercatrice Chiara Mauri –. A Varese, invece, il tempo stimato è di 101 secondi a piedi prima di incontrare il primo punto vendita. Se ci si muove in auto, ne bastano 51 di secondi”. Secondo la media lombarda, servono 129 secondi a piedi e 68 in macchina prima di raggiungere uno shop. “A Varese, camminando per circa 10 minuti, si incontra un negozio. Se si guida tra i 10 e i 20
è la ricerca svolta dall’Osservatorio Retail MarTech (R)Evolution della Liuc Business School di Castellanza, un hub che studia le trasformazioni del retail
minuti, se ne trovano 24”. E cosa cercano esattamente i consumatori?
“Tra i punti vendita preferiti ci sono i supermercati o ipermercati (46%), seguiti dai discount (24%) – specifica di nuovo Mauri –. Meno apprezzati sono invece i negozi di vicinati (13%) e quelli specializzati per acquisti mirati (17%)”.
Questa concentrazione degli spazi e degli spostamenti per acquistare prodotti di qualsiasi necessità porta le persone a cambiare frequentemente abitudini, a muoversi di più, anche tra un punto vendita e un altro. “Non è un caso che, sempre più spesso, in un supermercato sia possibile vedere un cliente con sacchetti di altri store”, precisa Mauri. Questo fenomeno di cambiamento culturale, in primis, ma anche di business, genera inevitabilmente una forte competizione tra negozi. Come combatterla? “Le strategie che i punti vendita stanno mettendo in campo per restare sul mercato sono diverse – conclude la ricercatrice Chiara Mauri –. Promozioni, offerte, sconti e sostegno degli acquisti online sono degli esempi. Servirebbe proporre o cambiare intelligentemente l’assortimento dei prodotti in base alle persone che frequentano determinate zone”.
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A delineare il profilo del negozio del futuro
dal punto di vista delle tecnologie e della business intelligence
VIAGGIO NEL PENSIERO UMANO con ChatGPT
Luca Mari e Francesco Bertolotti
Professore e ricercatore Scuola di Ingegneria Industriale LIUC – Università Cattaneo Immagini create da Lisa Aramini Frei con Midjourney
Prosegue l’inchiesta di Varesefocus su capacità, funzioni e possibili impieghi e utilizzi dei sistemi di Intelligenza artificiale conversazionale rappresentati dai chatbot. Al centro della seconda puntata parallelismi e differenze tra le reti neurali artificiali e le sinapsi umane. Due mondi che, in realtà, hanno molte più cose in comune di quanto non si pensi —seconda puntata
Benché siano ampiamente accessibili solo da pochi mesi, gli attuali sistemi di Intelligenza artificiale conversazionale, i chatbot di cui ChatGPT è al momento l’esempio più noto, ci lasciano intravedere cambiamenti radicali che potrebbero generarsi in molteplici dimensioni della nostra società. Come sostenuto nel primo articolo di questa inchiesta di Varesefocus, intitolato “È l’inizio di un nuovo mondo” (sul numero di maggio 2023), infatti, per la prima volta nella storia, è ampiamente diffusa nella società umana un’entità non-umana che mostra di essere in grado di dialogare con noi nelle nostre lingue e questo con proprietà lessicale e semantica, grande eloquenza, abilità argomentativa e accesso ad una enorme quantità di informazioni. Chi ha già interagito un poco e in modo critico con un chatbot ha esperienza di questa sorprendente novità.
Ma come può ChatGPT (o Bing Chat o Bard o Claude) dialogare
in modo così sofisticato? Già nel precedente articolo abbiamo accennato alla risposta più fondamentale: i chatbot, e in generale le reti neurali artificiali, sono sistemi software il cui comportamento dipende non dall’esecuzione di regole imposte mediante programmazione, ma da un addestramento realizzato su grandi quantità di dati. Questa differenza è determinante e configura un paradigma alternativo a quello tradizionale, quello dei sistemi software come entità programmate. Anche chi non ha interesse ad “aprire la scatola” e cercare di capire come funziona una rete neurale, può comprendere il senso e le conseguenze di quest’altro paradigma: cosa significa, concretamente, che un sistema software viene addestrato, invece di essere programmato?
Ripartiamo dal paradigma che ci è abituale, quello del software come programma. Il fatto che un sistema software sia programmato comporta che va formulata esplicitamente la
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successione di regole, cioè l’algoritmo, che guida il processo di risoluzione del problema in considerazione e quindi che vanno tradotte tali regole in una forma interpretabile da un sistema digitale, implementando l’algoritmo in un linguaggio di programmazione, come Java o Python, per ottenere appunto un programma. Di questa strategia si conoscono limiti e benefici: implica una certa rigidità, dato che per ogni problema specifico da risolvere bisogna formulare e implementare regole specifiche, ma in cambio
nostra capacità di risolvere problemi sempre nuovi, ma a volte abbiamo comportamenti che non sappiamo spiegare e ripetere. Ci sono infatti tante cose che facciamo senza sapere come le facciamo: come sappiamo leggere? E riconoscere persone guardandone il volto? Come ricordiamo i concetti e come pensiamo?
È possibile trovare una traccia del riconoscimento di questa differenza nel modo con cui ci riferiamo agli errori, che tutti commettiamo. Quando un’entità programmata ha
l’uomo impara? Certo, cambia il nostro comportamento, ma la domanda si riferisce a cosa cambia “dentro” di noi. Come e cosa modifica il nostro comportamento?
La neurofisiologia ci dice che il nostro cervello non è un contenitore che si riempie di dati: non è, insomma, un database, con un più o meno efficiente motore di ricerca. Quello che accade quando impariamo è invece che si modificano le sinapsi, cioè le connessioni elettrochimiche tra i neuroni del nostro cervello. Per
è possibile ricostruire le ragioni di un comportamento osservato, identificando le parti del programma coinvolte e di conseguenza rendere sempre più affidabili i programmi che vengono sviluppati, grazie alla ripetibilità del comportamento dei sistemi digitali. In sintesi, con la programmazione si introduce rigidità nel processo di soluzione di problemi per ottenere spiegabilità e affidabilità delle soluzioni.
In questo, le caratteristiche del software programmato sono complementari alle nostre, che, come esseri umani, siamo flessibili nella
un comportamento diverso da quello atteso, diciamo che c’è un bug, mentre non consideriamo bug gli errori che noi facciamo, proprio perché riconosciamo che non siamo programmati: quando non otteniamo il risultato desiderato, non diciamo che il nostro cervello o il nostro DNA sono “scritti male”.
Benché con importanti differenze con gli esseri umani, anche le reti neurali artificiali sono entità non programmate, il cui comportamento dipende, analogamente a quello che accade per noi, dall’addestramento che hanno ricevuto. Cosa significa questo, concretamente? Cosa accade quando
quanto la cosa possa essere difficile da accettare, l’apprendimento si fonda su processi fisici realizzati in una struttura complessa come quella del cervello umano, che si stima contenga 1011 neuroni, ognuno connesso a 104 altri neuroni, dunque per un totale di 1015 (un milione di miliardi) di sinapsi. È su questa base che un neuroscienziato, Warren McCulloch, e un matematico, Walter Pitts, proposero nel 1943 un semplice modello matematico per descrivere il comportamento di un neurone. Da allora, con lo sviluppo dei sistemi digitali in capacità di calcolo e di memorizzazione, le reti neurali
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SCIENZA & TECNOLOGIA CHATGPT
artificiali sono cresciute in complessità, ma sostanzialmente mantenendo il modello iniziale: quello che osserviamo oggi dialogando con ChatGPT è in pratica il risultato di un gran numero di moltiplicazioni e somme, realizzate da neuroni artificiali e dalle loro connessioni, nello stile di McCulloch e Pitts. Anche l’addestramento dei chatbot produce, dunque, concretamente, un cambiamento delle loro sinapsi, che in questo caso sono entità matematiche invece che elettrochimiche.
Una rete neurale artificiale può essere infatti pensata come una complessa funzione matematica, che, dato un input x, per esempio l’immagine di un testo scritto a mano, produce un output y = f(x), in questo caso il testo riconosciuto, realizzando così la funzione di Optical Character Recognition, OCR. Una strategia di addestramento prevede allora che sia nota la risposta giusta, y’, così che se y è diverso da y’, cioè se quello che la rete ha prodotto è diverso da quello
che avrebbe dovuto produrre, si attiva un processo di correzione delle sinapsi (che, in pratica, non sono altro che fattori moltiplicativi, gli ormai famosi “pesi” della rete), chiamato “backpropagation”.
Pur con certe analogie, le reti neurali artificiali hanno però anche notevoli differenze con il cervello umano. Mentre noi sappiamo imparare anche da un piccolo numero di esempi, una rete per l’OCR ha prestazioni accettabili solo dopo essere stata messa alla prova con almeno decine di migliaia di immagini di caratteri, cosa diventata possibile grazie ai big data. Su un’altra scala, si capisce così perché per insegnare a ChatGPT a produrre testi in italiano (e in centinaia di altre lingue) sia stato necessario fargli leggere parti consistenti del web: tutto Wikipedia e tanto altro.
Con tutto ciò, e pur considerando la notevole complessità dei transformer (una particolare architettura di reti neurali: la “T” di “GPT” sta appunto
per “Transformer”) lo stupore rimane: davvero i testi che i chatbot producono sono solo una questione, come dice qualcuno, di trovare ogni volta la più probabile prossima parola? Le cose non sono, in effetti, proprio così semplici e un indizio di ciò ci viene dal fatto che l’articolo scientifico, pubblicato nel 2017, in cui l’architettura dei transformer è stata proposta si intitola “Attention is all you need”, ovvero “L’attenzione è tutto ciò di cui hai bisogno” per imparare a generare testi in modo appropriato.
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Questo è affascinante anche perché ci offre nuove prospettive anche per interrogarci su noi stessi: cosa ci consente, appunto, di orientare la nostra attenzione, di capire, di pensare? Ciò che ci è più vicino (il nostro io) è anche forse l’entità che ci rimane più misteriosa (so di saper pensare, ma come faccio a pensare, non lo so): in aggiunta alle loro tante funzioni strumentali, i chatbot sono dei laboratori per esplorare noi stessi. Contattaci al numero 331 455 53 75 o visita il nostro sito.
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RUBRICHE SU LUOGHI E BELLEZZA
Agusta: come nasce una moto
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MV
Tra
La
COME NASCE una moto
Chiara Mazzetti Foto di Lisa Aramini Frei
Prosegue il viaggio fotografico di Varesefocus alla scoperta delle professioni manifatturiere del made in Varese. Tappa imprescindibile, lo storico marchio di motociclette MV Agusta, brand sinonimo di velocità, qualità e artigianalità in tutto il mondo. Il lavoro di 200 dipendenti permette agli stabilimenti della Schiranna di sfornare oggi 650 esemplari al mese che saliranno a oltre 1.000 con il nuovo piano industriale
Icodini, la parte posteriore con il faro, il serbatoio con la pompa benzina, i manubri con pompa freno, pompa frizione e commutatori elettrici: sono queste le prime componenti di una motocicletta ad essere preassemblate. Da qui, si passa a due linee, una dedicata alla moto e una al motore, che, una volta prodotto, viene controllato con un test della durata di circa 20 minuti, al termine del quale, se ritenuto idoneo, viene rimandato all’inizio della linea moto, per essere montato sul telaio come uno dei primi componenti. I tre passaggi iniziali della linea moto sono, invece, eseguiti a terra, dove vengono montate le tre parti principali, ovvero motore (per l’appunto), telaio, forcellone e successivamente il telaio posteriore. Poi è tempo di salire fisicamente sulla catena di montaggio vera e propria, formata da diverse postazioni a seconda del tipo di modello in produzione, dove la moto viene praticamente completata. Sul banco prova, quindi, si simula una sorta di mini-rodaggio su strada che dura circa 5 km, dove vengono testati cambio, freni, abs, cambio elettronico e una volta terminato l’ultimo controllo qualità, per assicurarsi che
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TERRITORIO
Timur Sardarov
non ci siano stati danni durante il montaggio, la moto è pronta per essere imballata e spedita in tutto il mondo (fino in Australia).
Questi i passaggi che portano alla creazione delle motociclette del famoso marchio varesino MV Agusta, azienda nata nel 1907 per volere del conte Giovanni Agusta come manutentrice, e solo successivamente produttrice, di aeromobili. Nel corso di oltre 115 anni di storia MV Agusta ha cambiato più volte pelle, senza mai però dimenticare la sua anima artigianale e le sue origini varesine. Come spiega il Presidente e AD, Timur Sardarov: “Per MV è fondamentale avere una sede in provincia di Varese, proprio qui dove il marchio è nato. Produciamo prodotti meccanici ed elettronici altamente complicati che ben rappresentano l’artigianato, la tecnologia e l’innovazione dei maestri italiani e dell’ingegneria italiana. Il made in Italy è un marchio di per sé sinonimo di qualità nel mondo. I brand italiani di auto e moto sono noti ovunque per design, forma ed eleganza e i nostri prodotti incarnano alla perfezione il saper fare tipico italiano e, in questo caso, varesino”.
I l made in Italy si ritrova anche nel parco fornitori di MV Agusta, situati principalmente nel Nord dello stivale italico e molti anche nel Varesotto. Ma non di soli materiali, in gran parte nobili come leghe di alluminio, carbonio e titanio, sono fatte le motociclette che prendono vita alla Schiranna. Nella sede che si affaccia sulle sponde del lago di Varese, infatti, oltre 200 dipendenti mettono mani, expertise e passione in ogni singolo passaggio, che si tratti di assemblare un componente oppure vendere il prodotto finito. “In MV Agusta trovano impiego figure professionali tra le più diverse – racconta l’Events Coordinator, Alberto De Bernardi –.
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Dai periti tecnici, elettronici ed elettrici a chi disegna la moto su carta e chi invece plasma un modello in clay, una specie di creta che dà la possibilità di vedere la linea definitiva della moto dal vero in scala 1 uno a 1. C’è poi chi lavora nella nostra attrezzeria interna, chi si occupa della parte commerciale, amministrativa, ingegneristica, del postvendita: essendo fatto tutto internamente, si spazia a 360 gradi, con professionalità e know-how molto diversi tra loro”.
I l tutto per realizzare moto leggere e snelle, dal peso di circa 180-200 kg, da strada o da pista, pronte in appena una giornata. “Per assemblare una moto 3 cilindri, dai montaggi iniziali fino alla delibera finale, ci vogliono
circa 12 ore. Per le 4 cilindri, che sono più complicate dal punto di vista tecnologico, si arriva alle 16-17 ore. Con la linea attuale, produciamo circa 650 esemplari al mese. Con la nuova linea in arrivo e un’ottimizzazione dei tempi, l’intento è salire alle 1.000-1.200 unità al mese, il che equivale a circa 10mila moto l’anno secondo un piano industriale già definito”, precisa Andrea Amore, Responsabile produzione in MV Agusta.
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L’estate DEI FESTIVAL
La pandemia ha messo tutto in stand by per un lungo periodo. Dopo tre anni di stop, però, sono, finalmente, pronti per tornare in scena. Con più entusiasmo ed energia di prima. Far ballare e saltare le persone, farle cantare a squarciagola e divertire senza freni: è con questo spirito che si vivrà la “summer” varesina. Montonight Festival, Rugby Sound Festival, Associazione Mega, Woodoo Fest e Varese Summer Festival: sono queste alcune delle rassegne più famose della provincia di Varese e non solo
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Lisa Aramini Frei e Alessia Lazzarin
TERRITORIO
Come cantava Franco Battiato nella sua celebre hit, l’estate varesina (e non solo) “vuole vederci danzare”. Tra concerti di musica dal vivo e spettacoli teatrali, la parola d’ordine è una sola: divertimento (senza freni). Dopo uno stop forzato dovuto alla pandemia da Covid-19, tornano, finalmente, i più attesi festival musicali e gli eventi d’intrattenimento del territorio. Pronti ad accogliere migliaia di spettatori che non vedono l’ora di ballare, alzare le mani al cielo e cantare a squarciagola, di nuovo tutti insieme.
Montonight Festival
Dj Prezioso, Dj Molella, Dj Fargetta, Don Joe dei Club Dogo, noto gruppo di hip hop italiano, i Meganoidi, originari di Genova. Sono solo alcuni dei famosi artisti che nel corso degli anni hanno calcato il palco del Montonight Festival. Nato nel 2010 dall’Associazione calcistica Csi di Montonate, il paesino che conta poco più di 1.000 anime, durante le serate estive del Festival musicale riesce a riunire il doppio della sua popolazione. Dalla riproduzione di cover band, fino a dj di fama nazionale ed internazionale: Montonight riesce a far ballare e saltare persone di tutte le età. Dai quindicenni ai cinquantenni. Per questa edizione, la nona, il Festival torna in gran forma, proponendo ai suoi “fedelissimi” due serate molto diverse tra loro. La prima ospiterà “Gigi l’altro”. In stile anni ‘90, ripercorrerà i più famosi show musicali del famoso Gigi D’Agostino. La seconda serata, invece, avrà una star di tutto rispetto: Dj Jad, famoso disc jockey italiano, noto per aver fondato negli anni ‘90 gli Articolo 31 insieme a J-Ax. Non solo musica, divertimento e buon cibo, però. Montonight ogni anno devolve l’intero ricavato della manifestazione ad associazioni benefiche. Quest’anno le risorse saranno destinate agli spazi dell’oratorio per interventi di ristrutturazione e al progetto “L’Economuseo delle Piante viscontee del Varesotto”, un’iniziativa che punta a valorizzare il territorio.
Rugby Sound Festival
Ha un’innata indole ecclettica e da oltre vent’anni offre al suo pubblico musica per tutte le orecchie: dal rock al punk, dal reggae alle canzoni popolari, dalla techno al metal, dall’hip hop alla musica cantautorale. Una vera e propria celebrazione della musica dal vivo, che nelle scorse edizioni ha riunito fino a 60mila presenze. Protagonista di questi complimenti è il Rugby Sound Festival, all’Isola del Castello di Legnano. Nato nel 1999, come festa di chiusura della stagione rugbistica, fonda le sue radici in questo sport. Da semplice “festa di squadra”, il Festival è ormai considerato uno degli appuntamenti estivi con la musica dal vivo fra i più attesi non solo nella provincia di Milano, Varese e nelle aree limitrofe, ma un po’ in tutta la Lombardia. Negli anni sono tantissimi gli artisti italiani e internazionali che si sono alternati sul palco: Skunk Anansie, The Hives, The Darkness, Planet Funk, Subsonica, Bluvertigo, Ziggy Marley, Irama, Gemitaiz, Max Pezzali. L’edizione 2023, ad un mese dal debutto, ha già fatto registrare il sold out per la serata Teenage Dream con i Finley e per l’attesissimo ritorno di Sfera Ebbasta. Tra le star di quest’anno: Articolo 31, Salmo e Nitro, Boomdabash, Luchè + Geolier, Cristina D’Avena con Gem Boy.
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Woodoo Fest
TERRITORIO FESTIVAL
Woodoo Fest
Nato come una sfida tra Mattia Campanoni e alcuni soci per testare le proprie competenze organizzative, il Woodoo Fest è uno degli eventi estivi “underground” più attesi della provincia. Situato nell’area feste di Cassano Magnago, dal 2015, con l’aiuto dell’associazione culturale “Le Officine”, il Festival accoglie ogni anno, per 4 giornate, migliaia di spettatori pronti a divertirsi a suon di musica. E non solo. La presenza di aree adibite a spazio espositivo per artisti della zona, mercatini vintage e sale giochi arcade, rendono il Woodoo un luogo ideale per chi è desideroso di sperimentare nuove forme di intrattenimento e divertimento. Negli anni sono diversi gli artisti che hanno trovato nel palco di Cassano Magnago una rampa di lancio per il proprio successo: dai Coma Cose, che quest’anno hanno partecipato al Festival di Sanremo, al rapper varesino Massimo Pericolo, che a gennaio 2024 si esibirà al Forum di Assago. Il Woodoo è terreno fertile per chi vuole dare inizio ad una carriera promettente e portare qualcosa di speciale in scena. Con questa voglia di novità, Mattia, Direttore creativo dell’evento, ha animato l’area feste di Cassano Magnago con temi creativi e aperti alle scene musicali di tutto il mondo. Quest’anno, infatti, ci saranno star musicali provenienti da paesi esteri come Germania, Francia e Stati Uniti, per una rassegna di serate che farà ballare il pubblico a suon di musica live, ma soprattutto, dj set.
Varese Summer Festival
Alla sua prima edizione, il Varese Summer Festival presenta un calendario di eventi di grande impatto, con serate che spaziano dagli spettacoli teatrali ai tributi musicali. Il Festival, che avrà luogo nei suggestivi Giardini di Palazzo Estense, si prepara ad accogliere più di 1.700 persone provenienti da tutta Italia, pronte
Montonight Festival
a scoprire la bellezza del parco ma, soprattutto, l’ospitalità e l’intrattenimento che il territorio varesino può vantare. Con il palinsesto previsto, chiunque potrà trovare una serata che rispecchia i propri gusti: il calendario, infatti, ospiterà sul proprio palco nomi di artisti tra i più in voga del momento. Ad aprire le danze sarà l’eclettica Drusilla Foer, artista, autrice, cantante, che presenterà il suo recital “Eleganzissima”. Sarà poi il turno di due serate musicali, prima con un concerto del famoso compositore e musicista Goran Bregovic, poi con lo spettacolo “Alice canta Battiato”, tributo musicale con la voce di Alice, la direzione di Carlo Guaitoli e con i Solisti Filarmonici Italiani. Il palco dei Giardini Estensi accoglierà anche la coppia di comici Katia Follesa e Angelo Pisani con il loro spettacolo “Ti posso spiegare”. Continuando il filone musicale, ad intrattenere il pubblico con il suo pianoforte ci sarà Stefano Bollani, pianista e compositore conosciuto in tutto il mondo. Direttamente dalla radio rock Virgin Radio, Paola Maugeri, giornalista radiofonica, racconterà i 50 anni di carriera di Phil Palmer, con intermezzi musicali del chitarrista stesso in “PP 50 The Sessioman”. A chiudere il Festival sulle note delle più famose colonne sonore e del rock saranno due tributi musicali
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Rugby Sound Festival
Montonight Festival
14 e 15 luglio 2023
Rugby Sound Festival
3 luglio: Rondodasosa, Neima Ezza, Medy, Neza, Artie5ive
4 luglio: Articolo 31 - opening act Wlady
5 luglio: Voglio Tornare Negli Anni 90
6 luglio: Sfera Ebbasta
7 luglio: Salmo + Nitro
8 luglio: Boomdabash
9 luglio: Luchè + Geolier
Woodoo Fest
20, 21, 22, 23 luglio 2023
Varese Summer Festival
19 luglio: Drusilla Foer - Summer Tour 2023
20 luglio: Goran Bregović - In Concerto
21 luglio: Eri Con Me - Alice Canta Battiato
25 luglio: Katia Follesa e Angelo Pisani - Ti Posso Spiegare!
27 luglio: Stefano Bollani - Piano Solo
28 luglio: Phil Palmer e Paola Maugeri - Pp50 Session Man
29 luglio: Morricone History - Con Orchestra Sinfonica
30 luglio: Pink Floyd History - The Dark Side Orchestra
indimenticabili: Morricone Film History e Pink Floyd History.
Associazione Mega
Non si può parlare di festival musicali a Varese senza citare l’Associazione Mega. Feste primaverili, estive, autunnali e invernali: questi alcuni degli eventi che animano le serate del Mega nel corso dell’anno. Famosa ad Albizzate, dove è nata vent’anni fa, certo, ma non solo. Arrivano da tutta la provincia di Varese, da Milano e da Como per partecipare ad una festa organizzata dall’Associazione. Dopo lo stop forzato dal Covid, lo scorso anno, grazie allo spirito di una decina di giovanissimi, tutti under 30, l’Associazione si è data una seconda possibilità. Con l’organizzazione di una prima festa, la scorsa primavera, hanno testato gli animi delle persone. Da quel momento il Mega si è rimesso in moto con l’evento estivo chiusosi qualche giorno fa a cui seguiranno altri appuntamenti già allo studio e presto in programma. Ad Halloween?
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Grazie a te Leo avrà per sempre una famiglia.
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ALLA SCOPERTA DELLA Valvassera
Alessandra Favaro
nella valle adiacente alla Valganna è possibile addentrarsi in un particolare viaggio nel tempo. Tra filoni di galena argentifera, che hanno attratto l’attenzione di geologi e imprenditori per secoli, e la vita delle miniere nelle Prealpi Varesine. Senza dimenticare storie e racconti misteriosi
Passeggiando
La Valganna, per il suo aspetto e le leggende che la permeano, sembra la valle perfetta per custodire storie e racconti. Passeggiando per i suoi fitti boschi non è raro imbattersi in scenari da sogno: cascate, radure, laghetti e cavità nella roccia che sembrano portali verso altre dimensioni. Sono numerose le grotte presenti nella valle, alcune naturali ed altre artificiali, che vennero scavate quando nella valle vi era attività mineraria. Ancora oggi il percorso verso l’entrata alla miniera è una passeggiata affascinante che fiancheggia cascate (come l’imponente cascata della Valvassera fino ad altre minori che costellano tutto il tragitto), antichi edifici e zone boschive. Arrivati alla miniera abbandonata, è bene fermarsi all’ingresso della caverna, in quanto al suo interno sono presenti buchi e pozze e potrebbe essere molto pericoloso addentrarsi senza una guida esperta o uno speleologo.
Le miniere della Valvassera
La valle adiacente alla Valganna, la Valvassera, custodisce un segreto affascinante che ha dato forma alla sua storia e all’economia locale: una miniera di galena argentifera nelle Prealpi
GITA A...
Una delle numerose cascatelle che si trovano lungo la Valvassera
GITA A... VALVASSERA
Varesine. Questo luogo un tempo fiorente è stato per un breve periodo il cuore pulsante dell’attività estrattiva, con filoni minerali che hanno attratto l’attenzione di geologi e imprenditori per secoli.
“Le miniere qui sono antiche, nel senso che risalgono persino all’epoca romana, anche se non ci sono prove concrete sulla loro reale origine – spiega Matteo Goglio, Accompagnatore all’Ascolto in natura –. Però sono state utilizzate in maniera particolare durante il periodo napoleonico. Napoleone aveva dato diverse concessioni per estrarre piombo e materiale principalmente per l’industria bellica. Sono state poi abbandonate, dopo fasi di utilizzo alterne, definitivamente a metà del ‘900. È incredibile come l’essere umano riesca ad entrare nella terra”.
Questo giacimento minerale eccezionale, oltre ad alcune vene di argento, piombo e pare anche d’oro, custodiva anche altri tesori naturali come la baritina rosea, la fluorite, la pirite, la molibdenite, l’arsenopirite, il quarzo, la siderite e la magnetite. Le prime ricerche hanno dimostrato che la miniera potrebbe essere stata sfruttata già in età celto-romana, come suggerito anche dal toponimo “Vassera”, che nel dialetto celtico significa proprio “acqua”. La zona d’altronde è ricca di cascate e torrenti: la forza dell’acqua era indispensabile. Durante il XIV secolo, l’attività estrattiva era sicuramente in corso, mentre nel periodo rinascimentale sembra fosse operativa solo a fasi alterne.
Uno dei resoconti più rilevanti sulla miniera di Ganna viene tramandato dal viaggio dell’abate
Amoretti alle Alpi, durante il quale compì ricerche mineralogiche e geologiche, alla ricerca di filoni torbosi e metallici utilizzando metodi elettrometrici. Attraverso il suo manoscritto
“Viaggio alle Alpi”, si può dedurre che la miniera fosse stata sfruttata in modo continuativo nella seconda metà del XVIII secolo. Amoretti menziona anche la presenza di fornaci tra Valganna e Valcuvia, dove l’abbondanza di castagneti garantiva il combustibile necessario per far funzionare i forni.
Un viaggio nel tempo
Può sembrare strano ma un tempo, in questa valle e per oltre un secolo, l’economia e il commercio si sono basati anche sull’estrazione di minerali dal sottosuolo. Era un’attività secondaria ma che comunque ha lasciato
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Un masso che indica il sentiero verso la miniera
Una galleria all’ingresso della miniera
profonde tracce, ancora oggi visibili lungo i sentieri. Non solo i vecchi cunicoli della miniera, profondi decine di metri, ma anche le antiche case dei minatori, i forni dove il materiale estratto veniva cotto.
Il crollo del mercato metallurgico europeo tra il XIX e il XX secolo portò alla temporanea chiusura della miniera. A inizio ‘900 l’attività riprese e si intensificò per poi terminare nel 1935. Ma non era ancora terminata la vita delle miniere. Come riporta il sito Internet specializzato sulla Valganna, valganna.info: “Il giacimento fu riattivato, nel 1943, dalla MI.RI.VA (Miniere Riunite Varesine, ndr.) che ne diresse a fasi alterne la gestione, unendosi nel 1945 con altri gruppi societari. Furono così riarmate le gallerie in avanzato stato di abbandono e liberati i passaggi dai crolli, nonché costruiti ulteriori condotti, fornelli e pozzi”.
Nel 1965, anno della definitiva chiusura, l’intera miniera della Valvassera comprendeva “un totale di circa 4 chilometri di gallerie. L’area degli scavi più antichi era ubicata al di sopra del livello traverso banco ‘Schimdt’ e includeva i piani di sfruttamento ‘San Carlo’, ‘San Gemolo’, ‘Fortuna’ e ‘Romano”. Nel corso degli anni ‘50 e ‘60 del ‘900, furono allestiti nuovi condotti scavati mediante mine e martelli pneumatici, quali: la galleria
‘Bianchi’, il livello ‘Umberto’ e il pozzo ‘Scarioni’. Il grezzo era trasferito dal ribasso ‘Cesare’ (528 metri sul livello del mare) alla laveria nel piazzale antistante la coltivazione e, dopo la cernita, al silo di flottazione per l’arricchimento del minerale; il trasporto era effettuato da decauville con quattro carrelli trainati da un locomotore a benzina dalla potenza di 16 cavalli. L’intero impianto funzionava grazie a due dighe edificate, l’una, sulla Castellera e, l’altra, sul torrente Margorabbia. Dal 1953 al 1956, lavorarono nei cantieri sotterranei otto operai su due turni. Ogni singola squadra era composta da: un minatore, un aiuto minatore e due manovali. Nell’ultimo periodo di attività la miniera produceva circa 9 tonnellate al mese di galena argentifera, ma nel 1957 il suo ricavato era già sceso a sole 4 tonnellate. La coltivazione fu chiusa nel 1965 per fallimento finanziario delle società esercenti”.
Fantasmi e leggende
Se la storia delle miniere della Valvassera è permeata da un alone di mistero, quella dei suoi cunicoli lo è da leggende e strani racconti che circolano soprattutto in rete. Su YouTube, infatti, digitando “Miniere della Valvassera” si possono ammirare non solo interessanti spedizioni di speleologi fino negli angoli più profondi delle gallerie, ma anche “test” per “stanare” fantasmi e strane creature che, leggenda vuole, popolino quei luoghi. A partire da una non meglio precisata “entità” trasparente che come una nebbia ogni tanto si sviluppa dal lago di un cunicolo fino a inseguire un malaugurato visitatore. Altre testimonianze parlano invece di una strana figura antropomorfa che circolerebbe nel profondo di un buco nel ventre della terra. Sarà vero? Quello che è certo è che questi luoghi, con i loro silenzi e i loro paesaggi, da secoli non solo sono stati una ricchezza economica per la popolazione, ma anche fucina di storie e fantasie che non si spengono mai e che ancora oggi non smettono di affascinare grandi e piccini.
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Resti di un antico forno
TRA GLI ARTISTI di Boarezzo
Alessandra Favaro
Un enorme drago e poi ancora un gufo magico ed uno scoiattolo gigante. È possibile incontrare queste e molte altre figure fiabesche, tutte realizzate in legno, nei sentieri attorno al villaggio dipinto in Valganna. Tutte opere di Antonio Coletta e dell’accatastatore “seriale” Lorenzo Piran. Mete perfette per una piacevole gita estiva in famiglia
69 GITA A...
Uno dei dipinti storici che decorano il paese di Boarezzo
C’
è un drago nei boschi di Boarezzo. E anche un gufo magico e uno scoiattolo gigante. A pochi passi dal piccolo centro abitato in Valganna, famoso già per essere borgo dipinto, lungo il sentiero che accompagna nel verde, sono nate diverse sculture di legno, realizzate dalla mente creativa dell’artista Antonio Coletta e dell’accatastatore “seriale” Lorenzo Piran. I due hanno, per l’appunto, accatastato e “animato” centinaia di quintali di legno (120 solo per il drago) trasformando il sentiero nel bosco in uno scenario fantastico e surreale. Alle cataste artistiche poi si aggiungono sculture di legno create da Coletta, che mantiene viva la tradizione di realizzare arte nel piccolo centro abitato. Il villaggio dipinto, e ora anche le opere di legno, sono una destinazione ideale per una gita estiva in famiglia e non solo. “Qui anche nel periodo più caldo si sta bene e si dorme sempre con la copertina”, confessano gli abitanti, nemmeno una quarantina tra residenti storici e seconde case, eppure tutti profondamente connessi a quei luoghi che “sentono” come casa loro, amano e di cui cercano di prendersi cura.
Lo scultore del legno
Antonio Coletta, scultore del legno, “sente” e vive Boarezzo proprio come i suoi cittadini. Originario della provincia di Milano, “vagabondo”
nel cuore, nonostante la passione per i viaggi, anche in camper, quando ha trovato Boarezzo ha scelto di fermarsi. Una piccola casetta–rifugio nella piazzetta cittadina, dove fuggire dai ritmi frenetici della città e accogliere amici e passanti con storie e sculture. Boarezzo è diventata la sua seconda casa, il bosco la sua musa. Sulle pareti della sua abitazione e fuori nel cortile, pezzi di legno di varie fogge e dimensioni prendono vita e si trasformano in animali e simpatici personaggi oppure lasciano alla fantasia l’onere di immaginare forme e protagonisti.
“Abbiamo chiesto permessi e preso accordi con un privato, Franco, che ci ha concesso di raccogliere la legna e creare queste sculture”, spiega Antonio, che nel frattempo ha proseguito con il suo lavoro creativo arricchendo il sentiero anche di nuovi cartelli lignei e altri personaggi del mondo animale, tutti di grandi dimensioni. Uno scenario magico per chi si addentra nella boscaglia in quelle zone, dove bosco naturale e sagome fantasiose si alternano in armonia e silenzio e cambiano scenario e atmosfera a
seconda della luce del sole. Antonio ha costellato i boschi di Boarezzo con piccole sculture che sorprendono gli escursionisti lungo il cammino e rendono il luogo ancora più magico. “La collaborazione con i proprietari delle terre e il rispetto dell’ambiente naturale sono la base per creare tutto questo ed è bello che nascano queste sinergie, che si traducono poi in amicizie e stimoli sempre nuovi”, spiega ancora Coletta.
Boarezzo, paese d’artisti
Boarezzo, una manciata di case dove ogni abitante ha una storia originale da raccontare, ancora oggi non smette di ispirare e attrarre artisti e creativi, che vivono il bosco come una risorsa da proteggere e in cui rifugiarsi, ma anche come un grande museo a cielo aperto, in grado di affascinare visitatori di tutte le età. E pensare che proprio la stessa storia del villaggio sembra intrecciarsi con l’arte di tagliare e lavorare il legno. Sebbene poco si sappia delle sue origini, secondo una leggenda locale, il nome del borgo sarebbe legato alla presenza, in epoca passata, di una famiglia toscana specializzata nella produzione di carbone, partendo proprio dalla legna dei boschi circostanti. Il toponimo “Boarezzo” sarebbe quindi una contrazione della frase che indicava “i buoi di quelli di Arezzo”, utilizzati per il trasporto del prezioso combustibile fino alle città di pianura.
70 GITA A... BOAREZZO
Il drago di legno di Antonio Coletta
La fortuna di questo paesino si sviluppò poi attorno alla fine dell’800, quando il Varesotto divenne meta turistica dell’alta borghesia. Ma il suo legame con l’arte rimase stretto nei decenni. Come spiega Susanna Cozzi, ex Presidente e già fondatrice dell’associazione Amici di Boarezzo: “All’ingresso del paese, lungo la strada in salita, si trova una splendida villa antica: quella è villa Chini, la famiglia che qui costruì un impero. Fu edificata da Giovanni Chini, il capostipite, che per la prima volta portò il cemento armato in Italia. Lui era un boscaiolo di Boarezzo sceso in Brianza. Cominciò a lavorare il legno, poi il marmo e poi arrivò la crescita”.
Uno dei primi balconi fioriti dello stile Liberty, di gran voga in quegli anni, è presente proprio a villa Chini. Anche le generazioni seguenti hanno mantenuto un amore particolare per l’arte, tanto che ancora oggi circola la voce che, in paese, gli artisti siano particolarmente benvoluti. Una cittadina che dagli inizi del secolo scorso ha visto aumentare la sua popolazione in modo significativo nei periodi di villeggiatura, per poi, nei decenni seguenti, spegnersi. “Divenne così piccolo che non veniva più considerato da nessuno – ricorda la residente storica Susanna Cozzi –. Così, alcuni di noi abitanti, nei primi anni ‘80, insieme al pittore varesino Mario Aioli inventammo ‘la messa in vendita di Boarezzo’. Ovviamente non era tutto in vendita: era una provocazione per sensibilizzare sulle sorti del borgo. L’iniziativa fece discutere. Infine, nacque il progetto del paese dipinto. Arcumeggia era già partita, Mario coinvolse altri pittori varesini e stabilimmo delle regole: pannelli di misure precise apposti sulle case che dovevano avere il comune denominatore dei vecchi mestieri soprattutto della nostra realtà locale”.
Grazie a loro è stato realizzato il Villaggio Artistico dedicato a Giuseppe Grandi e Odoardo Tabacchi, due tra le figure più prestigiose dell’intero panorama scultoreo italiano dell’800, entrambi nati proprio a Valganna. Così Boarezzo è diventato un paese dipinto, un luogo costellato di quadri e colori, opera di una quindicina di artisti coordinati dal maestro Alioli. I dipinti di Boarezzo sono divenuti vere e proprie pagine di vita, che raccontano vecchie tradizioni e antichi mestieri, riconducendo alle radici storiche dell’esistenza. E oggi? La tendenza all’abbandono pare si stia leggermente invertendo: negli ultimi anni c’è chi ha scelto di comprare qui la seconda casa e alcune famiglie giovani con bambini si sono trasferite in questo paradiso, dove i muri
raccontano storie e i sentieri sono accompagnati da sculture fantastiche.
I sentieri
“Boarezzo è magnifica per chi ama il bosco e la natura”, racconta Antonio Coletta. Dal paese partono diversi sentieri e non è raro imbattersi in qualche salamandra o animale selvatico lungo la passeggiata. Anche questa è zona di miniere e si può intravvedere qualche galleria nel bosco (in cui è sconsigliato entrare però). “A metà ‘800 ci fu un boom per la ricerca di oro e argento – sottolinea Susanna Cozzi –. Gruppi di minatori sardi si trasferirono per un lungo periodo di tempo a lavorare qui sotto ad estrarre oro, argento. Anche il quarzo rosa è tipico di questa zona”. Da qui passano affascinanti percorsi come il Sentiero del Giubileo e parte il percorso ad anello del Monte Piambello. Il reticolato di stradine nel bosco regala sempre qualche scorcio magico: sculture di legno e cataste artistiche, fioriture diverse in ogni stagione, numerosi castagni, qualche animale selvatico che passeggia indisturbato. Ambienti magnifici che svelano tutto il lato selvaggio della Valganna.
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Pannelli indicatori creati dall’artista del legno
Un gufo di legno di Coletta
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OMAGGIO A GIOVANNI Carnovali
Negri
La città di Luino accoglie una mostra dedicata all’artista soprannominato il Piccio, nativo di Montegrino, nell’anniversario dei 150 anni dalla sua morte. In esposizione opere, dipinti e disegni che testimoniano la vita artistica del pittore romantico che con la sua produzione anticipò Scapigliatura e Divisionismo
Fu uno dei pittori più amati da Piero Chiara. Tanto che lo scrittore ne fu anche appassionato collezionista, ammirato sia dalle sue capacità di ritrattista, sia dal raffinato paesaggista. Se ne erano accorti peraltro anche i ricchi coetanei di Giovanni Carnovali, detto il Piccio (1804-1873) che gradivano appenderne le opere nelle loro case, sia paesaggi sia ritratti, abbellendole con quell’arte personalissima e sensibile di curioso artista ottocentesco. Amante della natura e della libertà, di estenuanti camminate, spesso con gli amici artisti a lui più vicini, di spazi
aperti e acque pulite in cui rinfrescarsi e nuotare nelle calde giornate estive, era uso sguazzare nel Po e poggiare gli abiti in un ombrello rovesciato. Quell’amore per l’acqua e l’abitudine gli furono fatali. Annegò infatti proprio mentre si bagnava per refrigerarsi dall’afa del caldo estivo a Coltaro. Era il 5 luglio del 1873. Uno dei suoi ultimi autoritratti, eseguito quattro anni prima, ci rimanda in mostra la fisionomia di un
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Giovanni Carnovali, Flora, 1871, Collezione privata
ARTE GIOVANNI CARNOVALI
viso sereno, ormai addolcito e spiritualizzato negli anni dall’amore per il suo buon lavoro. Figlio di Serafina, una contadina, e di Giovanni Battista, capomastro, lasciò col padre a soli 8 anni la sua Montegrino Valtravaglia, sopra Luino. La destinazione era Albino, in provincia di Bergamo. Appena undicenne fu allievo all’Accademia Carrara di Bergamo di Giuseppe Diotti, pittore neoclassico, cui lo avevano indirizzato i suoi protettori, i conti Spini di Cremona, entusiasti del suo talento naturale. Tanto era più giovane degli altri allievi che fu subito detto il Piccio, cioè il piccolo. E tale sarebbe rimasto per sempre.
Il Diotti ben presto pronosticò: “Io predico che se costui dispiegherà nella immaginazione i medesimi talenti che già nella imitazione dimostra, diverrà non già un artista bravo ma straordinario”. A 150 anni dalla morte la città di Luino ospita a Palazzo Verbania una rassegna, promossa e organizzata dall’Associazione Amici del Piccio, che ha sede a Montegrino, luogo in cui l’artista aveva visto la luce.
Nel verde paesino luinese ancora oggi è la sua casa natale, accanto al busto che lo ricorda voluto a suo tempo dall’Associazione Amici del Piccio per mantenerne viva la memoria. A questo scopo iniziative e giornate di studi sulla sua opera sono sempre in atto per l’infaticabile attività degli Amici, presieduti da Carolina De Vittori. Che della mostra in corso è anche curatrice.
La rassegna presentata a Luino, nella felice cornice del bell’edificio affacciato sulle acque del Verbano, offre esempi significativi della varietà dell’arte del Carnovali. Sono 21 i dipinti esposti, tra ritratti e paesaggi, temi biblici e mitologici e 50 i disegni, per lo più inediti, recuperati in aste o provenienti da collezioni private.
Si tratta di una scelta molto importante, dicono i curatori, che vuole illustrare compiutamente il percorso artistico di Piccio al quale “deve esser riconosciuto il merito di una ricerca continua di sperimentazione, di una innata originalità nella rappresentazione di episodi che si rifanno alla mitologia o alla storia sacra, di uno stile personale e coloristico che ‘illumina’ le sue opere di una luce diffusa, caratterizzata da tinte chiare e armoniose”. Quanto al tratto dei suoi lavori, inconfondibile lo descriveva nel 1947 Roberto Bassi, “non è deciso ma irrequieto e quasi palpitante nel tentativo di raggiungere quell’effetto mobile
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Dall’alto, Giovanni Carnovali, Mosè salvato dalle acque, 1870-73, Collezione privata. Giovanni Carnovali, Diana e Atteone, 1865, Collezione privata. A destra, Giovanni Carnovali, Il giudizio di Paride, 1865, Collezione privata
d’ambiente atmosferico che smorza al disegno ogni durezza, facendolo pieno di suggestione sentimentale”. Di queste suggestioni sono infatti carichi i disegni, utilissimi non solo per confermarne la magistrale bravura di chi sa ritrarre, con un tratto che gli arriva di getto, ogni paesaggio o viso. Ma anche per testimoniare la veridicità dei suoi racconti, di lunghi viaggi, chilometri e chilometri macinati a piedi, spesso con amici artisti come il Faruffini e Giacomo Trecourt, financo a Parigi o Napoli. O Paestum, dove la meraviglia della natura e delle architetture dei templi lo avvince nella luce dorata di quel magico luogo. Mentre a Cremona si sofferma a riprodurre a matita il Po e il Monte Rosa colti al calar del sole. Segno che il suo incanto di artista lo induceva a rimanere a lavorare fino al tramonto, per coglier i migliori effetti dell’ultima luce proiettata sul paesaggio. Attimi divenuti eterni nei suoi tratti di matita. Da naturalista ante litteram trovava nella natura un affiatamento francescano e nei suoi colori e nelle sfumature di verde e di grigio intravedeva e ricercava un’evanescenza tutta nuova, anticipatrice di correnti pittoriche ancora da venire, come Scapigliatura e Divisionismo.
Di ogni viaggio il Piccio ha lasciato testimonianza, come la mostra racconta al visitatore: in riproduzioni reali di laghi e città, di fiumi, ma altre volte si tratta di soggetti idealizzati, come boschi abitati da piccole creature, anse di fiumi o tratti, nascosti in parte, o visi di donne e fanciulli seminascosti nel fittume del verde. Va sottolineato come l’amore per il paesaggio fosse anche frutto del riandare al luogo natio, lasciato troppo presto e a quel ricordo di un vivere libero tra laghi e laghetti, valli ubertose, montagne e foreste, mai dimenticati.
“Preme sottolineare – spiega la curatrice della mostra – come il racconto popolare di
PICCIO TRA VERO E IDEALE
Omaggio all’artista a 150 anni dalla scomparsa
Dal 6 al 30 luglio 2023
Palazzo Verbania, Luino (Va)
Tel. 0332543546
Catalogo della mostra a cura di Elisabetta Staudacher, Responsabile archivio Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano
un Piccio stravagante e forse un po’ sfuggente al perbenismo dei suoi contemporanei sia da superare a favore di una storia personale messa poco in risalto da studiosi e da storici dell’arte. Piccio fu certamente ‘strambissimo’, come lo definì il suo maestro, ma in senso positivo, dotato di intelligenza e di sensibilità non comuni. Inoltre, la sua cultura era ben evidente nelle interpretazioni di vari episodi biblici o mitologici illustrati nelle sue opere, che sapeva rendere con particolari accuratamente studiati, ma resi unici dal suo ingegno”.
Si vedano in mostra al proposito “Diana e Atteone” (1865), soggetto mitologico che ritorna più volte nella sua produzione pittorica, anche in alcuni disegni e ancora il soave, delicatissimo ritratto dedicato a “Flora” (1871), scelto come immagine della mostra. Che fosse un ritrattista di mano felice è evidente anche nell’opera “Contadina con fazzoletto rosso” (1859), un soggetto ispirato dall’amore fervido per il suo Paese e insieme caro al suo gusto di conteur della semplicità e genuinità umana. O nelle più raffinate Madonne, ispirategli dal conterraneo Bernardino Luini. “Mosè salvato dalle acque”, un bozzetto a olio del 1875, rivela invece tutta la modernità del Piccio nell’accostamento dei colori stemperati in quel suo innovativo, personalissimo intendere, così come è assolutamente particolare, ben oltre il manierismo coevo consueto di interpretazione accademica, la “Deposizione” del 1875. Un disegno “moderno” che rende appieno la statura del personaggio e dell’artista prediletto da Piero Chiara. Quattro dei disegni in visione, provenienti dalla collezione Finazzi, saranno riprodotti su biglietti che resteranno a futura memoria della mostra e potranno essere timbrati per l’annullo postale. Si tratta del viso sorridente nel “Ritratto di Piero Moretti”, di un “Busto di giovinetta” realizzato con veloci tratti, di una “Sacra famiglia” e di una “Giovane donna che legge accanto a un bambino”. Campeggia, sul monumento dedicato al Carnovali nel cimitero di Cremona, una significativa benché semplice scritta: “Pittore fra i sommi nacque, visse all’arte virtuosissimo”.
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La luce dell’arte
Luisa Negri Foto di Andrea Rossetti
Nelle sale dell’Ala Scaligera della
Rocca di Angera sono in mostra, fino al 1° ottobre, opere di artisti contemporanei provenienti da tutto il globo, che raccontano l’aspirazione a un mondo ideale. “Oltre il buio” è il titolo della rassegna che ha come fil rouge la tematica della luminosità, declinata in svariati ambiti ed ispirazioni differenti
Tra le mete estive lacustri, prediletta da sempre è la sponda lombarda del Verbano, in quel di Angera, dove si eleva la Rocca dei Borromeo. Orgoglio della famiglia, che ne vanta ancora oggi la proprietà e l’attenta gestione, l’antica costruzione, sorta a controllo del lago, si raffrontava un tempo sull’opposta sponda di Arona con un secondo fortilizio. Dove nacque il Cardinal Carlo. Tra le più potenti famiglie che contribuirono a mantenere alto il nome del Lago Maggiore, ornato dai gioielli dell’Isola Bella, Isola Madre e Isola dei Pescatori, i Borromeo, a partire dal ‘400, furono protagonisti assoluti, e ancora oggi lo sono, della lunga storia trascorsa per le stanze dell’imponente Rocca medievale. Che è luogo rinomato per le lotte tra i Visconti e i Torriani, per le parentele dei primi con gli Scaligeri, tappa necessaria per incontrarsi con una tra le più antiche e illustri casate aristocratiche del Bel Paese. Dove i matrimoni, come quello tra Bernabò Visconti e Regina della Scala erano necessari legami destinati a rafforzare i rapporti tra famiglie che reggevano, coi propri destini, quelli di città e territori. E guerre, piraterie e persino pestilenze imperversavano colpendo soprattutto le fasce più povere della popolazione. Uno tra i più illustri membri della famiglia, il Cardinal Federico, ebbe grande fama per i tanti meriti. Non solo per esser stato in campo religioso sostenitore delle riforme del Concilio di Trento
e, in campo culturale, il fondatore della Biblioteca Ambrosiana, dove ancora oggi si rivela il suo gusto per il collezionismo. È soprattutto entrato nella storia della letteratura italiana grazie al capolavoro di Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi. Che ne fa uno dei personaggi centrali del romanzo e della vicenda del rapimento di Lucia ad opera dell’Innominato. Fatta questa premessa storica, è da sottolineare l’accresciuta importanza del luogo anche come sede museale ed espositiva. Vi si trovano diverse sale, dedicate alla storia della bambola e del giocattolo, che comprendono una delle più originali collezioni tra le tante presenti nei musei del Lago Maggiore. Una dolce ossessione, nata dalle donne della casa, portata avanti nel tempo da Bona Borromeo, con il supporto dell’esperto Marco Tosa e che prosegue oggi con grande impegno, grazie
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Laura Favaretto, Figlio unico, 2004-2006
ARTE OLTRE IL BUIO
all’interesse della famiglia. Si incrociano qui le curiosità dei bambini e degli adulti, amanti del collezionismo e della piccola storia del giocattolo che, della grande storia, è interessante riflesso. Partita invece dal 2017, grazie all’interesse di Vitaliano Borromeo e di Marina Borromeo Arese, la rassegna espositiva annuale continua nell’intento di accogliere i nomi internazionali più interessanti dell’arte contemporanea, giocando su quel contrasto di storia e attualità che è il fil rouge di una cultura che non conosce ostacoli: tra tempi e mode, tra generi artistici e interpreti, pur diversi tra loro, ma uniti dal comune denominatore della curiosità.
È proprio quanto accomuna anche i nomi e le opere presenti nell’ultima mostra “Oltre il buio”, a cura di Alberto Salvadori in collaborazione con Galleria Franco Noero, che, inaugurata il 17 aprile, sarà visitabile fino al 1° ottobre. Il tema della luce, ricorrente e fondamentale nella ricerca artistica, s’accende qui, è il caso di dirlo, in allestimenti e opere che trovano risposte assolutamente coerenti con lo spazio che le accoglie: ci sono ovunque richiami alla natura, al legno, antico come le mura della Rocca, al camino che arde, ma anche alla trasparenza azzurra di un lago come il Verbano sotto la cui superficie può nascondersi ogni bene, ma anche ogni cupa minaccia. E ha visto barche alla deriva, accanto a vele bianche spiegate al sole e al vento, nei giorni di felicità. Richiami alla casa e al tempo che scorre e va, e ritorna nei secoli, sono nella meridiana dell’artista svedese Henrik Hàkansson, in tela di juta e legno, affiorante tra le rughe dei muri della Rocca. Ci riporta, nell’interpretazione del curatore della rassegna in corso, alla dottrina di Lucrezio e alla poesia del suo De rerum Natura. La semplicità dei materiali usati per l’allestimento, come nell’architettura di rami e legni da ardere, tronchi e radici di Mike Nelson, posta nell’antica tinaia e l’essenzialità delle soluzioni adottate dagli artisti, sono, a loro volta, riflessione profonda sul senso del tempo che passa. Di un edificio glorioso, sceso in battaglia, ma anche acceso di novità nei giorni di festa, quando le giovani spose s’adornavano, con timore e speranza sul futuro di vite spesso brevi e incerte, di un edificio che parla alla gente da secoli, è bello dunque vedere il racconto attuale: quello degli artisti presenti
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Dall’alto, Sam Falls, King of Infinite Space (Hamlet, act 2, scene 2, lines 256-257), 2020, Henrik Olesen, Biology is Straight, 2000 e Jason Dodge. Al centro, Simon Starling, Red Rivers (In Search of the Elusive Okapi), 2009, video. Sotto, Piero Gilardi, Spiaggia Arcaica, 2008
in mostra. Che dell’arte povera o minimalista sono anche i poeti. Perché la loro narrazione in versi è nella leggerezza dei materiali. E nell’essenzialità e naturalità di elementi raccolti e accostati sotto la guida artistica di un cuore e di un occhio che vedono e sentono quanto a noi è difficile intendere. Si osservino in proposito le due installazioni luminose contrapposte di Mark Handforth e quella di Jason Dodge, nella prima sala, che creano un effetto di gioco tra luce e tenebra. Mentre l’opera fotografica di Simon Starling “Silver Gelatine” dedicata al soggetto antico e nobile dei levrieri, veglia. Accanto è l’estrosa realtà dei fiori di Robert Mapplethorpe. Ma si vedano anche l’omaggio floreale, un intimistico bouquet, di Sam Falls e la delicata scultura di Henrik Olesen.
OLTRE IL BUIO
Ala Scaligera Rocca di Angera
Dal 17 aprile al 1° ottobre 2023
Dalle 10.00 alle 17.30, ogni giorno www.isoleborromee.it
La leggera scultura pensile di Jim Lambie, al piano superiore del percorso, allude al cielo: quasi un volo giocoso, che pare mettere in discussione la certezza di essere fissati alla terra. Un felice dubbio che è anche di Lothar Baumgarten, viaggiatore infaticabile, poetico autore di fotografie, video e di un leggero edificio in legno dalle pareti aperte. Che, collocato su onde di rami di alberi in fantasiosa navigazione, va. Verso chissà dove. Mentre un prezioso haiku di Jason Dodge evoca suoni e profumi della lontana Birmania. Lo scorso numero, dalle pagine di questa rivista, vi parlavamo di una villa varesina, Villa Panza, luogo di luce, di stupore e armonia. Dove l’arte contemporanea è protagonista. Possiamo dire che anche qui le sale dedicate alla mostra accolgono il visitatore con un messaggio di luce e armonia. Addolcito da opere e installazioni che ci parlano, ma giocosamente, di un ritorno all’antica classicità (si vedano i disegni importanti di Pablo Bronstein) o, al contrario, al senso di naturalezza, di un vivere odierno, più semplice ed essenziale (dove gli indispensabili sacchetti di patate di Jim Lambie ne sono un esemplare, concreto inno, ma anche un ironico mezzo per fare arte contemporanea). L’albero estroso e accogliente di Lara Favaretto, i tappeti natura di Piero Gilardi e due ottime opere di Francesco Vezzoli (che si diverte a imprigionare l’arte classica in gabbia) chiudono in coerenza d’intenti e risultato la rassegna.
“L’arte – spiega Marina Borromeo –, è sempre stata di per sé luce e bellezza che illumina la storia dell’uomo. Oggi nelle sale dell’Ala Scaligera si racconta il rito della rinascita, l’aspirazione verso un mondo ideale che ci conduce ‘oltre il buio’, in una cornice che unisce la ricchezza storica a quella contemporanea, in un luogo che ha radici antiche ma è proiettato verso il futuro”.
Immersi NEL LAGO MAGGIORE
Andrea Della Bella
Nel Verbano oppure nel Lago di Monate, nel Ceresio o a Ghirla, appena sotto la superficie dell’acqua, si nascondono mondi sommersi ricchi di fascino. Tutti da esplorare con pinne e bombole. Tra lucci, persici e resti di palafitte, gli specchi lacustri varesini sono una palestra perfetta per aspiranti sub di ogni età
SPORT
Nessuno pensi di trovare le “spoglia” del Kittiwake, leggendario vascello appartenuto alla marina americana e che dal 2011 riposa, ancor ben conservato, a circa 20 metri di profondità nel mare dei Caraibi. Oppure di osservare le saettanti evoluzioni di pesci pagliaccio o pesci pappagallo come può accadere nelle calde acque del Mar Rosso. Eppure, anche i laghi di casa nostra, così piccoli (anzi, alcuni minuscoli) rispetto alle vastità marine o oceaniche hanno un grande fascino e, sotto il pelo dell’acqua, nascondo ai molti e rivelano (in proporzione) ai pochi tutta la loro bellezza.
E per vedere la differenza tra il mondo “terrestre” e quello “amniotico”, poiché davvero le acque del Lago Maggiore o di quello di Monate avvolgono e custodiscono vita e tesori ancestrali (i resti delle palafitte, ad esempio) non basta fare un tuffo refrigerante nel Verbano d’estate. Bisogna andare più a fondo: immergersi. E Varesefocus lo fa attraverso le parole di Guidalberto Gagliardi, varesino, istruttore sub e tra i fondatori di Go-diving, una delle realtà che si occupa di immersioni in una terra d’acqua dolce e che conta quasi 10mila brevetti. “Attenzione – precisa subito Gagliardi – avere decine di migliaia di brevetti in tutta la provincia non significa che tutti fanno immersioni con frequenza settimanale. I sub che praticano con costanza, infatti, si riducono a poche centinaia”.
Precisazione doverosa a parte, Gagliardi ha vissuto almeno due “ere” evolutive legate alla subacquea. La prima, quella pionieristica, risale ai primi anni ‘80, ovvero “quando ho deciso di avvicinarmi a questo mondo. Gli sport competitivi non mi appartenevano e così a 17 anni ho seguito la mia curiosità che mi ha spinto a fare il sub”. Davvero un’altra epoca: “Innanzitutto la formazione era molto più dura – spiega –. Il corso durava un anno. Si curava molto l’aspetto fisico, poi si passava all’apnea e solo dopo 6 mesi si vedevano le bombole. Insomma, c’era molta preparazione psicofisica, che però non bastava a ridurre quel gap di pericolosità che a lungo ha caratterizzato le immersioni”. Lo switch che ha fatto di questa disciplina un’attività ormai sicura è arrivato con l’evoluzione tecnologica dell’attrezzatura: “Gli erogatori moderni e il giubbotto ad assetto variabile hanno rivoluzionato, in meglio, questo mondo”. Un mondo che con il passare degli anni sì è aperto anche ai giovanissimi, “ormai facciamo corsi di sub anche a ragazzini di 10 anni” e alle persone con disabilità. “Questo perché il livello di sicurezza è altissimo – continua Gagliardi – e l’Italia è un Paese leader per quanto riguarda l’immersione. Qui ci sono molte scuole, negli anni sono stati condotti studi che hanno contribuito alla
crescita di questa disciplina sotto ogni profilo”. E i nostri laghi? “Chi s’immerge per la prima volta nel Verbano oppure nel Lago di Monate, nel Ceresio o a Ghirla scopre un mondo sommerso che ha il suo fascino. È chiaro che qui non si ‘trovano’ le Maldive. Ma chi fa esperienza nel lago ha un livello di preparazione migliore sia sotto il profilo tecnico, sia dal punto di vista fisico”.
Gagliardi definisce l’immersione in acqua dolce la miglior palestra per un sub: “Ogni ambiente ha una sua caratteristica, ma quello lacustre ‘esaspera’ alcune situazioni al punto che quando t’immergi nel mare le hai metabolizzate e ti comporti, di conseguenza, quasi in maniera automatica. È chiaro però che sott’acqua non si scherza e l’attenzione deve sempre essere alta. Basta una valutazione sbagliata o una disattenzione per ribaltare la situazione da sicura a estremamente pericolosa”.
Anche se non si parla di abissi, le insidie non mancano anche nei laghi varesini: anfratti o caverne, di fronte alle quali è bene valutare l’ampiezza delle spaccature, ma anche le condizioni di luce differenti rispetto al mare sono tutti aspetti da tenere in grande considerazione.
Da ammirare poi ci sono i pesci: “Lucci, persici e – continua Gagliardi – se qualcuno vuole vederne davvero tanti si deve immergere di notte nel Lago di Monate. Questa è un’immersione considerata tranquilla, la profondità non è eccessiva e si riesce a stare sotto parecchio tempo. Pochi poi immaginano che le nostre acque siano popolate da molluschi, alcuni dei quali ancora da studiare, e da spugne”.
Di giorno invece un must è la zona del Sasso Galletto sul Maggiore, lago che offre ai sub una cinquantina di punti in cui immergersi. E qui, oltre alle conformazioni rocciose molto interessanti da osservare e studiare, ci sono i tanti relitti d’acqua dolce. Un campionario di “scheletri” che senza proferir parola raccontano (meglio dire, lasciano immaginare) storie che hanno poco a che fare con l’acqua. “Sui relitti direi che abbiamo ampia scelta – spiega il sub –, si va dai motoscafi ad altri tipi di imbarcazione. Ma non è raro trovare carcasse d’auto o di moto. Abbiamo perfino trovato una Panda segata a metà. Oltre a un paio di fucili e un mortaio”. Il “cimitero del relitto” però si trova in acque svizzere dove, artificialmente, gli elvetici hanno affondato un elicottero, un piper e un paio di barche. “È la palestra subacquea di Alabardia, la zona di addestramento del Salvamento del Gambarogno”, conclude Guidalberto Gagliardi.
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CORSO GIUSEPPE GARIBALDI, 2/B - 20025 LEGNANO (MI) - TEL. +39 0331 452307 GIOIELLI@ANDREAPATERNOSTRO.IT - INSTAGRAM: PATERNOSTRO1972 WWW.ANDREAPATERNOSTRO.IT
In cucina
Rubrica in collaborazione con
Enoteca Bottazzi 1957, Besozzo enotecabottazzi.it info@bottazzi1957.com
BIGOLI CON BISQUE DI CROSTACEI, BURRATA PUGLIESE E TARTARE DI GAMBERO ROSSO
500 gr bigoli
100 gr burrata
600 gr gamberi aglio
pomodorini prezzemolo
olio extra vergine acqua
Per la preparazione della bisque: in una casseruola far rosolare olio, aglio, prezzemolo, pomodorini le teste e i gusci dei gamberi sgusciati precedentemente e far cuocere per circa 10 minuti. A questo punto aggiungere l’acqua, portare a ebollizione fino a che non si riduca del 50%. A cottura ultimata, filtrare il composto, abbatterlo e conservarlo in frigorifero per 24-48 ore, al massimo. Con la polpa dei gamberi preparare 4 tartare, che serviranno per completare il piatto finale. Cuocere quindi la pasta per 5 minuti e terminare la cottura facendola risottare in padella con la bisque. Infine, aggiungere il sale, impiattare e completare il piatto con la burrata frullata in precedenza e la tartare di gamberi.
Lo Chardonnay della famiglia Tasca
Nel 1830 i fratelli Tasca acquistarono la Tenuta Regaleali, un’isola verde al centro della Sicilia nella Contea di Sclafani. Da allora la famiglia Tasca custodisce questo meraviglioso territorio coltivando viti e frutta. La vigna San Francesco, messa a dimora da Lucio Tasca nel 1985 nella porzione più bassa del versante, rappresenta una sfida stimolante per creare da un vitigno simbolo, lo Chardonnay, un vino di livello internazionale. Caratterizzata da un terreno più fertile a causa di uno strato attivo più profondo e di maggiore freschezza, dovuto ad un minor drenaggio dell’acqua piovana. Le barbatelle arrivano dalla Borgogna e sono impiantate tra i 520 e i 532 metri sul livello del mare, le uve vengono raccolte a mano in cassette, dopo una pressatura soffice il mosto fermenta in barrique di rovere francese per 10-15 giorni con batonage giornaliero e per altri 8 mesi sempre in barrique.
Il vino si presenta giallo intenso, al naso si percepiscono subito sentori agrumati di frutta esotica e banana, escono aromi di burro fuso e vaniglia. In bocca è ricco, ampio con retrogusto di frutta gialla matura, un vino fresco, piacevole e di grandissima prospettiva di invecchiamento, ideale con piatti di pesce azzurro, carni bianche e formaggi di media stagionatura.
Sommelier Bruno Bottazzi
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Motori
MASERATI MC20, DNA MADE IN MODENA
Vi portiamo in un viaggio alla scoperta dello storico stabilimento, a Modena in via Ciro Menotti, che ha visto nascere centinaia di migliaia di veicoli marchiati col tridente, tra cui i modelli MC20 Coupé e Cielo. Tra attrezzature robotizzate, abilità e tanta ricerca
Dalla Scuderia Blu di Como a viale Ciro Menotti di Modena il salto è breve per chi brama di vedere la nascita della propria Maserati MC20 Coupé o Cielo. Al nostro arrivo, nello stabilimento che da oltre 80 anni sforna vetture marchiate col tridente, gli operai specializzati, ma forse sarebbe meglio definirli artigiani della meccatronica, sono già al lavoro da diverse ore. Tecnici la cui maestria è somma di abilità e
saperi derivati da anni d’esperienza e di ricerca. Se non fosse per il rumore delle attrezzature robotizzate potrebbe benissimo essere una sala parto. Solo che al posto dei vagiti, dall’ultima stazione della linea di montaggio è il ruggito del 6 cilindri biturbo a dettare il tempo. Sono trascorsi dieci turni e mezzo da quando la prima parte di telaio è stata presa in consegna da uno dei tecnici Maserati. Poi sono arrivate le scocche già verniciate, i dischi e le pinze, le elettrovalvole e gli attuatori o ancora i sedili e il sistema di infotainment. La parte più significativa del percorso, proprio quando la linea si piega a U, è a metà assemblaggio dove si trova la
stazione di marriage. In quel preciso punto motore, cambio, albero di trasmissione, differenziale, sospensioni vengono dal basso alzati e avvitati alla scocca: questo è il momento in cui nasce la vettura nella sua essenza meccanica. Da qui in poi si va a lavorare sul carattere della macchina perché le vetture sono tutte altamente personalizzate. Di fatto, si può dire che non ce ne sia una uguale all’altra. Ma prima di fare il balzo e scattare finalmente sulla strada c’è la verifica statica di tutta la vettura: dai controlli elettrici, al funzionamento corretto di sedili come di tutta la strumentazione. Ogni centimetro quadrato viene passato al setaccio alla ricerca dell’imperfezione da correggere. E finalmente si passa al collaudo dinamico. Una quarantina di chilometri per testare tutte le funzioni dell’auto ivi compreso il ruggito del Nettuno, il primo motore sviluppato dagli ingegneri Maserati che viene prodotto proprio nel reparto adiacente, il Maserati Engine Lab. Curiosità: la pressione di questi ambienti è leggermente più alta in modo tale che l’eventuale polvere cada sul pavimento ed esca ogni volta che vengono aperte le porte d’ingresso.
Ma non si può dire di aver concluso il Factory Tour Maserati senza prima essere passati al salotto Fuoriserie. Questa è la stanza in cui ogni appassionato del tridente, insieme a un designer Maserati, vorrebbe sedersi per prendersi il tempo di scegliere i colori e i materiali della propria roboante creatura, proprio come nell’atelier di un sarto. Ecco perché quando si parla di Maserati gli aggettivi più indicati vanno ricercati nell’ambito della tecnica e del bespoke, il fatto su misura.
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NUOVO PEUGEOT 2008, TUTTO
QUELLO CHE C’È DA SAPERE
La Casa del Leone rinnova il più piccolo dei suoi SUV nell’estetica e nella tecnica, con 12 versioni inedite, frutto della combinazione tra 3 livelli di allestimento e 5 motorizzazioni con 3 diverse alimentazioni.
Tutta
da scoprire la new full electric E-2008
Peugeot 2008, il B-SUV della Casa del Leone, si rinnova e nella gamma italiana arrivano 12 versioni, frutto della combinazione tra 3 livelli di allestimento e 5 motorizzazioni con 3 diverse alimentazioni. Tutte hanno già una nutrita dotazione di contenuti prodotto e di aiuti alla guida (ADAS), ulteriormente integrabili. Il listino parte da 25.850 euro chiavi in mano e il lancio commerciale è previsto per settembre. Dopo gli oltre 60mila esemplari consegnati ai clienti italiani dal 2020, il rinnovamento del nuovo SUV 2008 riguarda principalmente l’identità felina e la tecnologica. La prima si svela nel nuovo logo e nella firma luminosa LED a
3 artigli integrata in un frontale inedito, uguale per tutte le versioni. Cambiano anche i gruppi ottici posteriori: ora a LED sono costituiti da 3 doppie lamelle orizzontali sovrapposte, sottili ed eleganti. La seconda, invece, è ciò che meglio caratterizza i 4 nuovi allestimenti: Active, Allure, GT e First Edition. All’interno dell’Active si trova il
TEP nello speciale tessuto con cuciture Quartz a contrasto. GT rappresenta l’allestimento premium del nuovo 2008. Di serie ha i fari full LED technology con firma luminosa inedita, keyless access&start con funzione di prossimità, retrocamera HD 180° e ricarica wireless per lo smartphone. All’interno, un quadro strumenti digitale 3D configurabile e l’Ambient LED pack in 8 colorazioni. Ma il nuovo 2008 è disponibile al lancio anche nell’allestimento serie speciale First Edition, riservato esclusivamente alla motorizzazione full electric di E-2008. Questa è dotata del nuovo
climatizzatore automatico a comando digitale e il touchscreen centrale da 10’’ con wireless mirrorscreen. Dietro al volante, completa la plancia un quadro strumenti analogico con schermo centrale da 3.5’’ a matrice attiva. L’Allure offre un livello superiore in termini di stile, comfort e tecnologia, con i cerchi in lega da 17’’ diamantati, la calandra in tinta carrozzeria, i vetri posteriori e lunotto oscurati e i sensori di parcheggio anteriori. All’interno, il quadro strumenti digitale 2D caratterizza l’i-Cockpit® , mentre l’abitacolo adotta i rivestimenti
motore da 156 CV, in grado di coniugare performance e ampio range di utilizzo. Grazie alla nuova batteria da 54 kWh raggiunge i 406 km di autonomia in ciclo misto WLTP e fino a 576 km in ciclo urbano WLTP. Basato sul GT, l’allestimento First Edition si arricchisce ulteriormente proponendo, di serie, gli interni Executive Alcantara, il Peugeot i-Connect Advanced e il caricatore trifase da 11 kW. Disponibile esclusivamente nell’inedita tinta Grigio Selenium, è ordinabile online da giugno.
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Elmec Solar racconta alle aziende presenti sul territorio italiano quali sono gli step da seguire per approfittare delle due opportunità offerte dai recenti decreti: 1. realizzare l’autoconsumo a distanza; 2. fondare una comunità energetica rinnovabile. Secondo la guida ENEA alle comunità energetiche, le stime prevedono che entro il 2050 circa 264 milioni di cittadini europei diventeranno dei prosumer - utenti che non si limitano solo al consumo ma che sono parte attiva del processo produttivo di energia - con la possibilità di generare fino al 45% di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Le comunità energetiche rinnovabili rappresentano una delle opportunità per le imprese per far fronte al caro bollette e aumentare la loro indipendenza energetica. Queste aziende, oltre alla possibilità di autoprodurre energia dal fotovoltaico, possono oggi aderire ad una comunità energetica rinnovabile e beneficiare di una remunerazione addizionale per l’energia non consumata.
Elmec Solar, l’azienda del gruppo El Elmec che si occupa di realizzare chiavi in mano e manutenere impianti fotovoltaici residenziali e industriali, ha stilato i passaggi operativi per le aziende italiane che intendono avviare il processo di costituzione di una CER attraverso un Vademecum alla fondazione di una comunità energetica rinnovabile
“La direttiva RED 2 - che stabilisce che entro il 2030, a livello europeo, le energie rinnovabili dovranno incidere per almeno il 32% sul consumo finale lordo di energia e il ‘decreto comunità energetiche’- in approvazione alla UE - offrono alle aziende due principali opportunità”, afferma Alessandro Villa, Amministratore Delegato di Elmec Solar e Membro del Consiglio di Italia Solare. “La prima è l’autoconsumo diffuso, a distanza, con linea diretta o con utilizzo della rete di distribuzione. Nel caso di autoconsumo con linea diretta, un’azienda può collegarsi direttamente a impianti di produzione di energia rinnovabile in spazi della stessa azienda purché dislocati a non più di 10km di distanza. Invece, in caso di utilizzo della rete di distribuzione, ossia senza il collegamento diretto, cade il vincolo dei 10km di distanza ma è solo necessario che impianto di produzione e l’utenza che usufruisce dell’impianto siano ubicati nella medesima zona di mercato. La seconda opportunità è quella di aderire ad una comunità energetica. In questo caso, oltre al risparmio in bolletta dato dall’autoconsumo dell’energia prodotta dagli impianti rinnovabili, si aggiunge il guadagno (tramite gli incentivi statali) sull’energia che viene immessa in rete e contemporaneamente consumata dai membri della comunità (su base oraria).” Secondo la guida ENEA alle comunità energetiche, le stime prevedono che entro il 2050 circa 264 milioni di cittadini europei diventeranno dei prosumer - utenti che non si limitano solo al consumo ma che sono anche parte attiva del processo produttivo di energia - con la possibilità di generare fino al 45% di energia elettrica da fonti rinnovabili, aiutando il raggiungimento della neutralità climatica grazie alla loro partecipazione attiva.
Ma quali sono le novità introdotte per aiutare lo sviluppo delle CER nel nostro Paese e i passi da seguire per costituirne una?
1. Valutare la fattibilità di impianti FER e individuare i principali attori, tra cui un referente, che avrà tra le altre cose il compito di ricevere e distribuire gli incentivi tra i membri della CER.
2. Individuare i soggetti che possono aderire alla CER e che devono essere serviti dalla stessa cabina primaria. La rete di distribuzione di Enel Distribuzione è divisa in 2.198 Cabine Primarie che trasformano l’energia in ingresso ad alta tensione in energia a media tensione e oltre 450.000 cabine secondarie. Per individuare chi è all’ interno della cabina primaria è sufficiente accedere al sito di e-distribuzione e consultare la mappa delle cabine primarie che ci mostra i suoi confini.
3. Valutare i profili di consumo degli aderenti alla comunità. Uno dei requisiti fondamentali per massimizzare il ritorno degli incentivi economici per le CER è che ci sia contemporaneità, su base oraria, tra l’energia prodotta dagli impianti rinnovabili e quella consumata dai membri della CER. In altre parole è importante che il profilo di consumo di energia dei membri e quello di produzione degli impianti siano il più possibile sovrapposti dal punto di vista temporale. Per valutare tale sovrapposizione e di conseguenza l’entità degli incentivi ottenibili dalla CER, esistono vari strumenti come ad esempio un simulatore del GSE o come l’applicativo web RECON, sviluppato da Enea e fruibile gratuitamente.
4. Al fine di individuare gli aderenti ideali, è necessario pertanto divulgare l’iniziativa. Questo step può essere effettuato attraverso qualsiasi modalità che permetta di raggiungere gli eventuali interessati, dal volantinaggio all’utilizzo dei social media, alla pubblicazione di una pagina sul quotidiano locale fino al coinvolgimento del Comune.
5. La costituzione del soggetto giuridico (quale un’associazione, una cooperativa, ecc..) che rappresenti i futuri soci della comunità e, per concludere, l’interazione con il GSE (Gestore dei Servizi Energetici) per aprire il conto CER, avviare le pratiche di riconoscimento della CER e richiedere gli incentivi.
“I vantaggi che derivano dall’adesione ad una CER sono molteplici: il risparmio in bolletta dato dall’autoconsumo, gli incentivi statali per l’energia prodotta e contemporaneamente consumata dai membri della comunità e la riduzione di emissioni inquinanti”, conclude Ocleto D’Arcangelo, Ricercatore della Divisione Smart Energy di Enea ed esperto di CER. “Ma un’ulteriore beneficio, che è anche uno degli obiettivi principali attorno cui una CER si sviluppa, è la creazione di un valore sociale nella zona in cui la comunità energetica risiede, attraverso cui l’azienda ha la possibilità di diventare un esempio per i cittadini ed esercitare un impatto positivo sull’ambiente e sulle persone”
elmecsolar.com
INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
COME CREARE UNA COMUNITÀ ENERGETICA RINNOVABILE: ELMEC SOLAR DELINEA I PASSAGGI OPERATIVI PER AIUTARE LE AZIENDE A COSTITUIRE UNA CER
RUBRICHE SU CULTURA E DIGITALE
Il fico Cavallari non spegne la Luna
Porte aperte alla sicurezza
Rivoluzione francese
Terza pagina
Francesca Cisotto
IL
FICO
CAVALLARI non spegne la Luna
Le riprese di un film di cui, però, non svela ancora nulla. La promozione di un nuovo libro. Ma soprattutto, il ritorno sulla scena con uno spettacolo tutto suo. Dopo momenti difficili, in cui aveva pensato di abbandonare il mondo della risata, a rimettere sul palco il “Fico d’India” Max, sono stati i fan e l’amore della compagna Elena, come lui stesso racconta in questa intervista a Varesefocus
“Bruno è sempre con me. Vado spesso a trovarlo al cimitero. Se c’è il sole mi siedo, sto lì per ore, gli parlo. Poi vado sul palco e spacco”. Massimiliano Cavallari, classe 1963, per gli amici Max, sta girando un film, “ma più di questo non posso svelarvi”. Acqua in bocca sull’ultimo progetto di una carriera da “cabarettista di strada” e da Fico d’India che si è arricchita di recente del premio Girometta d’oro 2023 per il varesino dell’anno.
Max, come stai?
Bene. Nonostante il distacco della mia anima gemella Bruno, la mia favola continua.
È così che definiresti la tua vita?
Sì. La nostra vita è stata una favola. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare e siamo sempre rimasti con la testa sul comodino e le
gambe nell’armadio. Non ci siamo mai fatti entusiasmare dai soldi. Tanto le casse da morto con le tasche non le hanno ancora inventate.
Come si fa ad essere “Fico” da solo?
È molto difficile. Ho passato
due anni a far niente. Mi mancava una spalla. Dopo Bruno, mi ha lasciato anche il mio papà e io non volevo più fare questo lavoro.
Cosa ti ha fatto tornare sul palco?
L’amore. Mi hanno suonato il
campanello prima i fan, poi Elena Gaia, la mia fidanzata, che ha letteralmente preso in mano il mio calendario e ridato motore alla mia vita.
Parlaci di Elena.
L’ho conosciuta su Facebook. Mi ricordava la mia capa scout che mi cantava la ninna nanna. Le ho scritto “Una sera vengo a prenderti e ti invito a bere un’aranciata”.
Un’aranciata?
Volevo vedere cosa dicesse (ride, ndr.). A pranzo o a cena ti invitano tutti.
Ora che stai facendo di bello?
Sto portando in giro uno spettacolo in cui parlo dell’importanza di fare squadra, perché le malattie peggiori sono la solitudine e la depressione. E poi sono in tour anche per far conoscere il mio libro “Non spegnere la Luna”.
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Perché proprio la Luna?
Quando Bruno era in coma, dalla finestra della sala rianimazione, si vedeva la Luna e io gli ripetevo sempre di non spegnerla. Ha portato fortuna.
Che rapporto avevate?
Eravamo una famiglia, non solo sul palco. Bruno era anche mio cognato.
Non litigavate?
Sempre. Da giovani mi escludeva proprio. Non mi voleva. Una volta allenava una squadra di basket in cui c’era un giocatore bravissimo, ma non lo faceva giocare perché si chiamava anche lui Cavallari. Pensa quanto era stronzo con me.
Ma se non poteva nemmeno vederti da lontano, come vi siete
conosciuti?
Eravamo vicini di casa. Andavamo insieme all’oratorio della Brunella. Lui era il ragazzo più grande che faceva giocare i più piccoli. Tranne me. Mi gridava “Cavallari non rompere le balle” e io pensavo “prima o poi lo picchio”.
E poi com’è cominciato tutto?
Ci siamo trovati a Marina di Camerota, nel Cilento. Bruno faceva l’animatore dei villaggi, mentre io insegnavo ai bambini a recitare. Una combinazione che ha dato vita ai Fichi d’India.
Fichi d’India perché?
Perché Camerota è la terra dei fichi d’India e poi perché sono dolci dentro e pungenti fuori. Un po’ come noi. Inizialmente,
però, ci volevamo chiamare “Fuoripasto” come il locale a Varese in cui ci ritrovavamo a fare gli scemi. Fuori c’erano ovunque macchine di persone che venivano a sentirci. Finché si è sparsa la voce ed è venuto a conoscerci un manager che ci ha portato a Radio Deejay.
Un trampolino di lancio. Sì. Da lì in poi è storia.
C’è qualche coppia in tv in cui rivedi un po’ te e Bruno?
Mi piacciono Ale e Franz, ma sono molto professionali e teatrali. Io e Bruno, invece, eravamo proprio due clown.
Che consiglio daresti ai giovani cabarettisti? Dico sempre di non ascoltare nessuno. Il pubblico ha riso? Basta. Avete vinto.
Eri un comico già da piccolo?
Assolutamente. Gli altri andavano allo stadio a vedere il Varese, mentre io imitavo la nonna e la zia sotto al mio palazzo, in via Crispi 18.
Vivi ancora a Varese?
No, ora abito a Laveno Mombello, vicino a Renato Pozzetto, Francesco Salvi e Iacchetti.
E ora, anche tu, sei papà... Di tre figli. Si chiamano Anita, Amerigo e Alice. Tutti con la A, adesso inizio con la B (ride, ndr.).
Sei il varesino dell’anno, hai vinto la Girometta d’oro 2023. Della tua Varese cosa ricordi?
Tante cose. Un frate della Brunella che mi faceva catechismo. I boyscout dove ho iniziato a fare il comico, in via Rainoldi. E poi Varese è in tanti personaggi dei Fichi d’India.
Veramente?
Certo. La signora con i tic, ad esempio, è nata da una donna che abitava a Casbeno vicino a mia nonna. La voce della bambina è quella di una mia ex fidanzata, Stefania. La voce dell’uomo dei surgelati, invece, è stata presa da quella di un tabaccaio in Piazza Repubblica, che parlava molto lentamente.
Sei molto legato a Varese?
Sì, ma Bruno lo era ancora di più. Gli piaceva andare in bici e mi diceva che la parte più bella del territorio è quella che vedi quando da Milano entri in autostrada per Varese. Diceva che nessuno si accorgeva di quanto fosse bello quel panorama.
E in futuro cosa pensi di fare?
Spero di appendere la maschera da cabarettista al chiodo e mettermi quella del teatro. Vorrei fare il Fico più maturo. Da solo. Ma Bruno ormai è dentro alle mie valigie e alle mie parole.
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“Com’è cominciato tutto? Ci siamo trovati a Marina di Camerota, nel Cilento. Bruno faceva l’animatore dei villaggi, mentre io insegnavo ai bambini a recitare. Una combinazione che ha dato vita ai Fichi d’India”
In libreria
Eva Bensard
Arte da record
Nomos Edizioni, 2023
Silvia Giovannini
Cesare Re
Camminare in Val Gardena e sull’Alpe di Siusi
Pietro Macchione, 2022
Un nuovo tassello di una collana editoriale che racconta il mondo ai bambini. In questo lavoro la narrazione, accompagnata da colorate illustrazioni, guida a scoprire l’arte. “In tutto il mondo, dalla Preistoria, artisti visionari hanno creato opere che sfidano l’immaginazione. Statue e palazzi giganteschi, colossi scolpiti nelle montagne, torri che arrivano fino alle nuvole, dipinti più grandi delle pareti... Fino a dove possono arrivare l’arte e l’ingegno umano?” Una “raccolta di record” per scoprire i capolavori più sorprendenti in compagnia di pittori, scultori e architetti alla ricerca della bellezza, viaggiando tra le civiltà, le tecniche e le epoche.
nomosedizioni.it
Un giorno e una donna HarperCollins, 2022
Tra i candidati al prestigioso Premio Strega 2023, il lavoro dell’autrice di Caronno Pertusella fa rivivere le passioni e i sentimenti di un’epoca in un’atmosfera romanzesca che nulla toglie al valore storico della ricostruzione della vita e dell’opera di Christine de Pizan. Cristina da Pizzano, nata in Italia e vissuta alla
corte di Francia, è stata la prima editor, poetessa e scrittrice di professione. Un esempio per tutte le donne anche per la sua visione. Dopo un’infanzia meravigliosa al seguito del padre divenuto astronomo reale a Parigi, fu colpita da lutti e disgrazie che la lasciarono, giovanissima, vedova e madre. Il racconto è sotto forma di scambio epistolare tra madre e figlia.
harpercollins.it
Con l’arrivo della bella stagione, le guide dell’editore varesino diventano preziosi strumenti. Il lavoro di Re si concentra su uno scenario unico caratterizzato da “ondulate distese di prati fioriti, dalle quali sorgono, come cattedrali naturali, imponenti montagne, agili guglie rocciose e pinnacoli dalle forme inconsuete e straordinarie”.
I numerosi sentieri e rifugi della Val Gardena e dell’Alpe di Siusi segnalati consentono di trascorrere indimenticabili giornate a contatto con la natura, passando da prati e boschi al mondo delle rocce, dai brulli altipiani alle vette dolomitiche.
macchionepietroeditore.it
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CULTURA E DIGITALE
Nicoletta Bortolotti
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Le necropoli romane di Malgesso e di Oltrona al Lago. “Il volume costituisce un grande arricchimento per la conoscenza del territorio: il risultato è stato raggiunto anche attraverso lo studio della documentazione dell’Archivio Topografico del Museo Archeologico di Villa Mirabello” spiega Enzo Laforgia, Assessore alla Cultura del Comune di Varese. “I materiali vengono per la prima volta messi a disposizione di studiosi e pubblico in un rigoroso studio. La collaborazione tra Comune, Società Storica Varesina e Associazione SARISC, che ha portato alla pubblicazione, rappresenta un esempio di collaborazione tra enti uniti dall’amore per il territorio”.
societastoricavaresina.org
Daniele Cassioli con Salvatore Vitellino
Insegna al cuore a vedere DeAgostini, 2022
“Vedersi dentro è un’arte, ma anche una disciplina da apprendere e un muscolo da allenare. Per arrivare a giocare a cuore libero e mente aperta la partita della vita. Può un non vedente insegnare a chi vede come guardarsi dentro? Sì, proprio chi
vive al buio dalla nascita può diventare la nostra miglior guida per imparare a vedere oltre”. Del resto, l’essenziale è invisibile agli occhi. Da qui parte l’ultimo libro di Cassioli, atleta paralimpico, campione di sci nautico più medagliato di sempre, che guida il lettore in una riflessione che va oltre la superficie delle cose.
deagostini.com
WEB
La giovane varesina racconta in una auto pubblicazione la sua convivenza con il disturbo del comportamento alimentare e con l’anoressia. “Una raccolta di pensieri, momenti ed emozioni che ho vissuto nel corso di questi anni. Il mio racconto è accompagnato da illustrazioni, realizzate da me la prima volta che ho conosciuto il mio disturbo alimentare” racconta. Una scelta coraggiosa quella di condividere con i lettori un percorso che evidenzia un tema purtroppo all’ordine del giorno, in particolare in epoca post-Covid. Una tematica su cui bisognerebbe riflettere maggiormente: i disturbi alimentari in età giovanile sono in continuo, preoccupante aumento.
noemibologna @instagram
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Gabriella Tassinari I sepolcreti dimenticati Società Storica Varesina, 2023
Noemi Bologna Sono un po’ più me 2023
I libri di queste pagine sono consultabili, anche in prestito alla Biblioteca “Mauro Luoni” di Confindustria Varese.
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Dal web
PORTE APERTE ALLA SICUREZZA
Le ultime notizie sulle #ImpresediVarese dal web e dai social network. Solo su varesefocus.it
Porte aperte alla Holcim
Holcim Italia ha aperto le porte della cementeria di Ternate nella cornice del progetto “Porte Aperte” di Federbeton che durante il mese di maggio permette ai cittadini di visitare cementerie, impianti di calcestruzzo e stabilimenti di prefabbricazione in diverse aree del territorio italiano.
Un Safety Day per Carlsberg Italia
Una giornata dedicata alle attività di formazione sulla sicurezza e alle buone pratiche di guida responsabile, organizzata in collaborazione con Croce Rossa Italiana. L’iniziativa ha coinvolto i quasi 200 dipendenti di Carlsberg Italia su tutto il territorio nazionale.
Sicurezza sul Lavoro, i bambini creano il logo
“Safety at work - A Logo Competition”
è il concorso indetto dal Tavolo permanente della Sicurezza sul Lavoro della Provincia di Varese, come progetto conclusivo di un percorso di iniziative per sensibilizzare i bambini. Prima classificata la 3A della Marco Polo dell’IC Pertini di Busto Arsizio.
L’Education Day in podcast
Nella rubrica Buongiorno Impresa, il podcast dedicato al primo Education Day nato per premiare circa 200 ragazzi e ragazze delle scuole del territorio. Con interviste agli imprenditori protagonisti dei progetti di Confindustria Varese che hanno permesso di valorizzare il talento degli studenti.
Secondo Mona socio di Volandia
Secondo Mona spegne 120 candeline. Un anniversario che l’azienda ha deciso di iniziare a festeggiare con diverse iniziative, tra cui l’entrata tra i soci fondatori della Fondazione Volandia e il sostegno al nuovo padiglione sull’Aeronautica Militare negli spazi del museo del volo.
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Comunicare
RIVOLUZIONE francese
Via libera dal Parlamento parigino alla legge apripista che regola l’attività degli influencer, promuovendo trasparenza e creando le basi per il riconoscimento giuridico della professione. Tra le nuove sfide che attendono i comunicatori: auspicare l’introduzione di regole che sostituiscano la cosiddetta “legge della giungla del web”
La seconda espressione più boomer che un comunicatore possa sentire è “giungla del web”. La prima, evidentemente, è boomer! Distinzioni, tra reale e virtuale, tra generazioni, tra mestieri di serie A e serie B nell’ambito del digitale che in una società liquida, o fluida, per usare un termine di tendenza, rischiano di essere solo stereotipi obsoleti. Non esiste una giungla del web, più di quanto non ci possano essere quartieri
della contemporaneità fortemente soggetti a rischio. Il pericolo in ogni ambito sta nella mancanza di consapevolezza, di cultura e nella solitudine. Ma non apriamo altri capitoli, restiamo sul concetto di giungla del web, quell’ambito in cui le regole apparentemente non valgono. Dalle notizie false, al bullismo digitale (per non toccare temi ancora più forti), dal marketing non etico, come quello dei casi recenti di promozione del gioco d’azzardo mirato ai
minori, all’over sharenting, la condivisione esasperata di contenuti relativi ai figli. L’elenco potrebbe proseguire e non sarebbe lusinghiero per la nostra società. Non si tratta di un problema confinato al web e ai social, ma è innegabile che qui vi sia l’aggravante del vuoto normativo. Qualcosa “e pur si muove”. Parte dalla Francia la legge sulla regolamentazione delle attività degli influencer che, oltre a promuovere la trasparenza, crea le basi per il riconoscimento giuridico
Silvia Giovannini
In Italia la stessa Amministrazione pubblica, come ricordato a Varese
nel PA Social Day, vede regolamentata la comunicazione da una legge del 2000
della professione. Una rivoluzione da guardare con attenzione nel nostro Paese in cui la stessa Amministrazione pubblica, come ricordato a Varese durante il PA Social Day, vede regolamentata la sua comunicazione da una legge vecchia di oltre 20 anni. Tra le nuove sfide che attendono i comunicatori anche questa: auspicare l’introduzione di regole, che sostituiscano la “legge della giungla del web”.
C ommunity Comunicatori Confindustria Varese L a Community dei Comunicatori è un gruppo di professionisti che si occupa di comunicazione d’impresa nelle aziende varesine. Obiettivo è organizzare momenti di condivisione, come il PA Social Day e strutturare un percorso comune. L’adesione al gruppo è libera. Per sapere di più: comunicazione@ confindustriavarese.it.
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