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CAVALLARI non spegne la Luna

Le riprese di un film di cui, però, non svela ancora nulla. La promozione di un nuovo libro. Ma soprattutto, il ritorno sulla scena con uno spettacolo tutto suo. Dopo momenti difficili, in cui aveva pensato di abbandonare il mondo della risata, a rimettere sul palco il “Fico d’India” Max, sono stati i fan e l’amore della compagna Elena, come lui stesso racconta in questa intervista a Varesefocus

“Bruno è sempre con me. Vado spesso a trovarlo al cimitero. Se c’è il sole mi siedo, sto lì per ore, gli parlo. Poi vado sul palco e spacco”. Massimiliano Cavallari, classe 1963, per gli amici Max, sta girando un film, “ma più di questo non posso svelarvi”. Acqua in bocca sull’ultimo progetto di una carriera da “cabarettista di strada” e da Fico d’India che si è arricchita di recente del premio Girometta d’oro 2023 per il varesino dell’anno.

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Max, come stai?

Bene. Nonostante il distacco della mia anima gemella Bruno, la mia favola continua.

È così che definiresti la tua vita?

Sì. La nostra vita è stata una favola. Abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare e siamo sempre rimasti con la testa sul comodino e le gambe nell’armadio. Non ci siamo mai fatti entusiasmare dai soldi. Tanto le casse da morto con le tasche non le hanno ancora inventate.

Come si fa ad essere “Fico” da solo?

È molto difficile. Ho passato due anni a far niente. Mi mancava una spalla. Dopo Bruno, mi ha lasciato anche il mio papà e io non volevo più fare questo lavoro.

Cosa ti ha fatto tornare sul palco?

L’amore. Mi hanno suonato il campanello prima i fan, poi Elena Gaia, la mia fidanzata, che ha letteralmente preso in mano il mio calendario e ridato motore alla mia vita.

Parlaci di Elena.

L’ho conosciuta su Facebook. Mi ricordava la mia capa scout che mi cantava la ninna nanna. Le ho scritto “Una sera vengo a prenderti e ti invito a bere un’aranciata”.

Un’aranciata?

Volevo vedere cosa dicesse (ride, ndr.). A pranzo o a cena ti invitano tutti.

Ora che stai facendo di bello?

Sto portando in giro uno spettacolo in cui parlo dell’importanza di fare squadra, perché le malattie peggiori sono la solitudine e la depressione. E poi sono in tour anche per far conoscere il mio libro “Non spegnere la Luna”.

Perché proprio la Luna?

Quando Bruno era in coma, dalla finestra della sala rianimazione, si vedeva la Luna e io gli ripetevo sempre di non spegnerla. Ha portato fortuna.

Che rapporto avevate?

Eravamo una famiglia, non solo sul palco. Bruno era anche mio cognato.

Non litigavate?

Sempre. Da giovani mi escludeva proprio. Non mi voleva. Una volta allenava una squadra di basket in cui c’era un giocatore bravissimo, ma non lo faceva giocare perché si chiamava anche lui Cavallari. Pensa quanto era stronzo con me.

Ma se non poteva nemmeno vederti da lontano, come vi siete conosciuti?

Eravamo vicini di casa. Andavamo insieme all’oratorio della Brunella. Lui era il ragazzo più grande che faceva giocare i più piccoli. Tranne me. Mi gridava “Cavallari non rompere le balle” e io pensavo “prima o poi lo picchio”.

E poi com’è cominciato tutto?

Ci siamo trovati a Marina di Camerota, nel Cilento. Bruno faceva l’animatore dei villaggi, mentre io insegnavo ai bambini a recitare. Una combinazione che ha dato vita ai Fichi d’India.

Fichi d’India perché?

Perché Camerota è la terra dei fichi d’India e poi perché sono dolci dentro e pungenti fuori. Un po’ come noi. Inizialmente, però, ci volevamo chiamare “Fuoripasto” come il locale a Varese in cui ci ritrovavamo a fare gli scemi. Fuori c’erano ovunque macchine di persone che venivano a sentirci. Finché si è sparsa la voce ed è venuto a conoscerci un manager che ci ha portato a Radio Deejay.

Un trampolino di lancio. Sì. Da lì in poi è storia.

C’è qualche coppia in tv in cui rivedi un po’ te e Bruno?

Mi piacciono Ale e Franz, ma sono molto professionali e teatrali. Io e Bruno, invece, eravamo proprio due clown.

Che consiglio daresti ai giovani cabarettisti? Dico sempre di non ascoltare nessuno. Il pubblico ha riso? Basta. Avete vinto.

Eri un comico già da piccolo?

Assolutamente. Gli altri andavano allo stadio a vedere il Varese, mentre io imitavo la nonna e la zia sotto al mio palazzo, in via Crispi 18.

Vivi ancora a Varese?

No, ora abito a Laveno Mombello, vicino a Renato Pozzetto, Francesco Salvi e Iacchetti.

E ora, anche tu, sei papà... Di tre figli. Si chiamano Anita, Amerigo e Alice. Tutti con la A, adesso inizio con la B (ride, ndr.).

Sei il varesino dell’anno, hai vinto la Girometta d’oro 2023. Della tua Varese cosa ricordi?

Tante cose. Un frate della Brunella che mi faceva catechismo. I boyscout dove ho iniziato a fare il comico, in via Rainoldi. E poi Varese è in tanti personaggi dei Fichi d’India.

Veramente?

Certo. La signora con i tic, ad esempio, è nata da una donna che abitava a Casbeno vicino a mia nonna. La voce della bambina è quella di una mia ex fidanzata, Stefania. La voce dell’uomo dei surgelati, invece, è stata presa da quella di un tabaccaio in Piazza Repubblica, che parlava molto lentamente.

Sei molto legato a Varese?

Sì, ma Bruno lo era ancora di più. Gli piaceva andare in bici e mi diceva che la parte più bella del territorio è quella che vedi quando da Milano entri in autostrada per Varese. Diceva che nessuno si accorgeva di quanto fosse bello quel panorama.

E in futuro cosa pensi di fare?

Spero di appendere la maschera da cabarettista al chiodo e mettermi quella del teatro. Vorrei fare il Fico più maturo. Da solo. Ma Bruno ormai è dentro alle mie valigie e alle mie parole.

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