Cluster ECONOMY





Vogliamo dedicare questo editoriale di apertura ad un’anticipazione dei contenuti che leggerete sul prossimo numero di Varesefocus in uscita a fine marzo. Proprio nel momento in cui scriviamo questo articolo, come Confindustria Varese, stiamo ultimando la realizzazione del Social Progress Index della provincia di Varese. Un indice, riconosciuto a livello internazionale, che serve per misurare il progresso sociale e la capacità di creare benessere di un territorio, andando oltre il Pil e gli altri indicatori economici. A svilupparlo è lo IEC – Institute for Entrepreneurship and Competitiveness della LIUC – Università Cattaneo, in stretto coordinamento con l’organizzazione no-profit con sede a Washington Social Progress Imperative. Esistono, a Varese, i presupposti perché i cittadini e le comunità possano migliorare il proprio benessere, raggiungere il pieno potenziale, vedere soddisfatti i propri bisogni di base? Sono queste le domande alle quali, con la realizzazione del Social Progress Index, abbiamo voluto dare, come Confindustria Varese, risposte il più oggettive possibili. Non vogliamo
qui spoilerare nulla. Vi daremo ampiamente conto dei risultati in un’inchiesta che abbiamo già cominciato a preparare. Ciò che possiamo sicuramente fin d’ora affermare è che Varese emerge come un territorio che più di altri in Italia riesce a garantire benessere e progresso sociale. Il piazzamento a livello nazionale è di tutto rispetto. Da zona Uefa, verrebbe da dire in termini di classifica calcistica. Siamo ventottesimi sulle 107 provincie italiane.
egli oltre 60 indicatori analizzati che portano a questo buon risultato finale, però ce n’è uno che vogliamo anticiparvi per aprire una riflessione. Quello riguardante la partecipazione elettorale dei residenti nel Varesotto. In questa particolare graduatoria arriviamo in Italia solo 49esimi, piazzandoci agli ultimi posti in Lombardia. Perché? Semplice disinteresse? Disillusione generale o un particolare segnale di sfiducia verso gli amministratori e i politici locali? Non abbiamo ovviamente una risposta, ma ci permettiamo di avanzare un ragionamento. Che parte da una semplice constatazione: la coperta delle disponibilità economiche pubbliche è corta. Di fronte a questi limiti i bonus e gli stanziamenti a pioggia per non scontentare nessuno non funzionano. È un modo di fare politica senza voler scegliere. Ed è questo un male di cui soffriamo da troppo tempo come
territorio e come Paese. L a politica delle non-scelte è l’anticamera dell’anti-politica. È la chiave per l’affermazione di un facile populismo. Fatto di annunci o, quando va bene, di azioni che spargono briciole su una platea allargata, senza una reale capacità di incidere sulle sorti di alcuno. E, dunque, perché votare? Serve dare un motivo alla partecipazione. Il consenso va costruito sulla capacità di azione ed esecuzione, non con l’abilità nell’arte della comunicazione. Smettiamo, dunque, di giudicare la politica con il metro dei sondaggi, e guardiamo piuttosto agli indici oggettivi e internazionali sviluppati in maniera scientifica in grado di misurare non solo lo sviluppo economico, ma anche il progresso sociale e del benessere. È anche per questo che Confindustria Varese ha voluto dotare il territorio di uno strumento come il Social Progress Index. Per poter misurare l’abilità della propria classe dirigente, non solo quella pubblica. A definire un sindaco, un consigliere (comunale o regionale), un presidente di Provincia o di Regione non è la sua parabola nell’apprezzamento elettorale (peraltro sempre più breve), ma la sua capacità di amministrare, di incidere sulla quotidianità delle persone. E per farlo serve darsi delle priorità. Serve scegliere. E agire di conseguenza. Farsi scegliere perché si sceglie.
Nata nel 2014, Helitaly è oggi l’azienda di riferimento per i voli privati in Italia, è in costante crescita, e mira ad essere sempre più competitiva
Helitaly nasce nel 2014 con l’ambizione di diventare l’azienda di riferimento in Italia del volo privato. Grazie alle partnership con i più qualificati operatori aerei e agli investimenti di marketing nei principali Paesi esteri, oggi è tra i primi in Italia per numero di quotazioni, vantando ogni anno una crescita costante. In virtù dell’esperienza acquisita, Helitaly è in grado di gestire con rapidità e competenza ogni singola richiesta, rendendo soddisfatti i clienti più esigenti che desiderano volare per affari o per piacere, in totale sicurezza, comfort e discrezione.
L’azienda è da poco entrata a far parte degli associati Confindustria Varese
Abbiamo intervistato Andrea Poretti, partner e CMO di Helitaly.
Quando scegliere un volo privato?
Per un imprenditore, partecipare a un meeting fuori sede utilizzando un volo di linea può essere dispendioso in termini di tempo: spesso una riunione di poche ore si traduce anche in due giorni di trasferimento Questo a causa degli orari di partenza non congrui ai propri impegni, oppure per la mancanza di voli diretti, con il rischio di ritardi e possibilità di coincidenze perse. Un trasferimento di lavoro con un elicottero o un jet privato, invece, è la soluzione più economica e produttiva in assoluto. Questo perché gli orari di partenza possono essere decisi in autonomia e i voli sono diretti, così da permettere l’organizzazione di un meeting in giornata in qualsiasi città europea, risparmiando anche sui costi di pernottamento, ristoranti e tutti gli extra che comporta tipicamente una trasferta.
Quanto è vantaggioso e quanto costa noleggiare un elicottero?
L’elicottero è la scelta ideale quando si ha la necessità di un trasferimento rapido. Un tragitto di quattro ore in automobile, per esempio, può ridursi a una sola ora di volo.
Il costo dipende dal modello di elicottero e dal tempo del volo espresso in minuti. Il costo a minuto può variare da 18 € per un elicottero monomotore da 3 posti e arrivare fino a 90 € per un bimotore da 9 posti. Il tempo totale del servizio include il posizionamento dell’elicottero al punto di partenza e al successivo rientro alla base.
Gli elicotteri possono decollare e atterrare solo negli aeroporti?
No, anzi: gli elicotteri possono operare di giorno quasi ovunque. Infatti, oltre alle elisuperfici, è possibile operare anche in un’area privata, come ad esempio all’interno di uno stabilimento, o sul prato della propria villa, pertanto si possono organizzare trasferimenti doorto-door.
Helitaly è in grado di garantire il servizio in tutta Italia?
Certamente. Al fine di garantire un servizio capillare ed efficiente su tutto il territorio nazionale, in questi anni abbiamo stretto partnership con i più qualificati operatori del territorio italiano e confinante, alcuni dei quali ci hanno affidato in via esclusiva la gestione della propria flotta.
Che autonomia di volo ha un elicottero e quanti passeggeri può trasportare?
Mediamente gli elicotteri hanno un’autonomia di quasi tre ore e possono coprire una distanza di circa 600 km. In base al modello possono essere trasportati dai 3 ai 9 passeggeri.
Abbiamo letto che vi occupate non solamente di trasporto passeggeri, ma anche di Incentive ed Experience?
Si, Helitaly in questi anni è stata protagonista di numerosi eventi aziendali realizzati su misura. Avendo una specifica competenza, siamo in grado di gestire gruppi numerosi e possiamo contare su una vasta flotta di elicotteri. Per quanto concerne le Experience, l’elicottero è il mezzo ideale per andare alla scoperta delle eccellenze italiane. Dal volo panoramico alla scoperta dei presidi slowfood o alle visite alle più prestigiose cantine, con Helitaly l’esperienza risulta indimenticabile.
Helitaly offre trasporti sia in jet sia con elicotteri, quando è conveniente l’uno rispetto all’altro?
In linea generale l’elicottero è conveniente su percorsi di 300/400 km, oltre questa distanza è preferibile optare per il jet che è molto più veloce ed economico,
a condizione che la meta da raggiungere abbia un aeroporto. Ad esempio Milano-Napoli è una tratta sicuramente più vantaggiosa con un jet.
Quanto costa noleggiare un jet privato?
Facciamo un esempio: noleggiare un jet di categoria “light” per 8 passeggeri, con andata e ritorno nello stesso giorno, sulla tratta Milano - Stoccarda – Milano costa circa 10.500 € tasse incluse.
Quali sono i vantaggi?
La scelta del jet è la soluzione perfetta per chi vuole ottimizzare gli spostamenti e raggiungere la destinazione desiderata in tempi rapidi e in totale comfort. L’arrivo in aeroporto è solamente di 20 minuti prima del decollo. Niente controlli invasivi, code e ritardi. Niente più stress.
Progetti per il futuro?
L’obiettivo primario che ci siamo posti è incrementare la vendita di pacchetti ore, cosa che ci consentirebbe di essere più competitivi. La quota più alta del costo orario degli aeromobili spesso è da attribuire ai costi fissi: maggiori sono le ore volate annualmente, minore sarà l‘incidenza dei costi fissi e di conseguenza sarà più vantaggioso per il cliente il costo noleggio/ora.
Fissa un appuntamento oggi stesso con il nostro consulente, e scopri quanto può essere vantaggioso per la tua azienda volare con Helitaly.
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Il numero è stato chiuso il 26 gennaio
Il prossimo numero sarà in edicola con Il Sole24Ore il 20 marzo 2023
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Presidente : Roberto GrassiSono l’evoluzione di quelli che una volta venivano definiti distretti industriali. La differenza sostanziale rispetto a questo modello tradizionale della produzione manifatturiera italiana è che i cluster affiancano, alla concentrazione delle imprese di un singolo settore in una determinata area geografica, anche la stretta collaborazione con istituzioni (pubbliche e private) e con il mondo della ricerca e delle Università. Per questo si parla di un modello a “tripla elica”. Da cui Varese potrebbe trarre grandi benefici in termini di sviluppo, valorizzando la propria naturale multi-specializzazione industriale. Non solo l’aerospazio, le materie plastiche, il tessile, la meccanica. Ma anche i comparti emergenti, come ad esempio quello dell’information technology o della logistica. Varesefocus continua il suo viaggio nel futuro della #Varese2050 tratteggiato dal Piano Strategico di Confindustria Varese, che vuole porre proprio i cluster industriali al centro delle politiche di rilancio del territorio. Facendo tesoro di alcuni esperimenti di successo come il Lombardia Aerospace Cluster e le altre realtà riconosciute a livello regionale. Tra queste quelle dedicate alla fabbrica intelligente e ai temi delle fonti energetiche e delle tecnologie pulite
Industria aerospaziale, delle materie plastiche, degli elettrodomestici e tessile: sono queste le 4 realtà che rappresentano le “punte di diamante” delle specializzazioni manifatturiere del Varesotto. È quanto emerge dal Piano Strategico per la competitività del territorio lanciato da Confindustria Varese e che vuole porre proprio i cluster industriali al centro delle politiche di sviluppo. Putando sui settori tradizionalmente radicati all’ombra delle Prealpi, ma anche su quelli emergenti come logistica e information technology
Territorio a forte vocazione produttiva, motore dell’economia del nostro Paese sin dalla rivoluzione industriale e cuore del manifatturiero in Italia e in Europa, per numero di imprese attive e densità imprenditoriale, la provincia di Varese genera, oggi, un valore aggiunto prodotto dall’industria pari a 6,7 miliardi di euro, circa il 2,5% del totale nazionale, un livello simile a quello dell’intera regione Puglia e superiore a quello di regioni come Abruzzo e Trentino-Alto Adige. Una provincia che nel tempo ha saputo consolidare e irrobustire una pluralità di specializzazioni industriali, dal tessile alla meccanica, dall’aeronautica
al chimico-farmaceutico, dalla plastica e gomma alla carta ed editoria fino al legno, facendone al contempo emergere altre, allargando a servizi ad alto valore aggiunto, quali la logistica e i trasporti.
Per l’analisi delle specializzazioni del territorio, il Piano Strategico #Varese2050 per la competitività, lanciato da Confindustria Varese, in collaborazione con il think tank Strategique, ha adottato un approccio di lettura dell’economia locale basato sul concetto di cluster, che supera e modernizza l’ormai anacronistica nozione di distretto industriale all’italiana, allargando la prospettiva in logica di specializzazione multisettoriale.
Guardando alla mappatura dei cluster locali, sono quattro le specializzazioni che emergono come le più distintive del territorio varesino, le “punte di diamante” della provincia, rispetto al resto del tessuto industriale italiano: il cluster aerospaziale, quello delle materie plastiche, gli elettrodomestici e ovviamente il cluster della produzione tessile. A livello nazionale, sono infatti questi i cluster con i più alti livelli di location quotient, indicatore utilizzato in ogni mappatura di cluster nel mondo per misurare la concentrazione locale di addetti di un determinato cluster rispetto alla stessa concentrazione a livello nazionale. Una forte e distintiva specializzazione si riscontra
nella produzione metalmeccanica, con i cluster dei macchinari pesanti, della metallurgia sia a monte che a valle e della lavorazione dei metalli, che oggi, complessivamente, concentrano il maggior numero di addetti sul territorio (più di 23.800) e nel cluster dei trasporti e della logistica (circa 13.600 addetti). Da segnalare anche una forte area di specializzazione nata intorno al cluster chimico (circa 2.500 addetti), con produzioni sia a monte che a valle della filiera, a quello farmaceutico e dei dispositivi medici (circa 5.000 addetti) e a quello informatico con produzioni di strumenti analitici, materiale elettrico/elettronico ed impiantistica (circa 6.000 addetti).
Nell’arco degli ultimi 10 anni si
anni ha visto aumentare notevolmente la propria concentrazione e il proprio peso in termini sia di addetti sia di ricavi. Si rilevano, invece, particolarmente in sofferenza i due cluster dell’abbigliamento e della metallurgia, i quali perdono, entrambi, più di 8 punti percentuali di location quotient negli ultimi 10 anni.
L’analisi delle performance dei cluster di territorio, misurata attraverso l’andamento medio annuo degli addetti locali, dimostra come la situazione della provincia appaia in evidente sofferenza. Tra tutte le principali specializzazioni, sono infatti solo due i cluster che dimostrano una, seppur contenuta, crescita occupazionale: quello dei macchinari pesanti e delle tecnologie
nel numero degli addetti locali. Tutti gli altri dimostrano performance occupazionali solo in lieve declino. È questo, ad esempio, il caso del cluster aerospaziale, che registra un -0,6% e di quello dei servizi alle imprese, con un -0,2%.
Emerge, dunque, una situazione di potenziale rischio per il futuro. La provincia perde, infatti, di competitività negli ultimi 10 anni e lo fa soprattutto sui suoi cluster storicamente forti e più distintivi. Una provincia che soffre un decennio di sostanziale immobilismo in cui Varese ha perso quella capacità che in letteratura si chiama related variety, ossia la capacità di un territorio di promuovere lo sviluppo di nuove specializzazioni correlate a quelle
Fonte: Strategique
osserva, inoltre, l’emergere del cluster delle apparecchiature e dei servizi di comunicazione il quale, nonostante un livello occupazionale ancora contenuto, ha saputo ritagliarsi uno spazio competitivo sempre più rilevante sul territorio ed il cluster della gomma. Una specializzazione, quest’ultima, già di antica tradizione nella provincia, ma che negli ultimi
di produzione (+0,5%) e quello del turismo e dell’ospitalità (+0,4%). Tra gli altri, i cluster con le performance in maggior declino risultano quello del tessile-abbigliamento che, all’interno di un contesto nazionale in diffusa contrazione, scende del 4,6% nella parte di produzione tessile e quello dell’illuminazione e del materiale elettrico, che cala del 2,4%
esistenti facendo tesoro di spillover (salto di specie) e condivisione di conoscenze. Una peculiarità che nel secolo scorso aveva contribuito all’emergere delle più importanti specializzazioni del territorio varesino.
Queste evidenze hanno suggerito che una linea strategica del Piano Strategico #Varese2050 dovesse
essere dedicata a “mettere i cluster al centro delle strategie di sviluppo del territorio, rinforzando le specializzazioni esistenti, costruendo sulle specializzazioni emergenti e promuovendo ‘related variety’ tra cluster”.
L’esperienza internazionale insegna che non solo i territori più competitivi al mondo hanno saputo mettere i cluster al centro delle proprie strategie economiche e politiche industriali, ma lo hanno fatto in primis andando a lavorare sui cluster già forti sul territorio,
necessario rinforzarlo attraverso lo sviluppo di nuove tecnologie, in particolare nell’ambito della Urban Air Mobility, maggiore collaborazione e integrazione della supply chain e il consolidamento di una lobby dedicata. Una buona politica di sviluppo basata sui cluster deve certamente imperniarsi sulla valorizzazione dei cluster più forti, ma, al contempo, rinforzare gli altri cluster esistenti e storicamente connotanti il territorio, andando a rinnovarne competenze, tecnologie, ambiti di applicazione e modelli
lo sviluppo di nuovi cluster nel territorio. La provincia di Varese è, infatti, ricca anche di una pluralità di grandi multinazionali e di medio-grandi imprese con brand internazionalmente noti, che, assieme alle specializzazioni emergenti in proto-cluster, richiedono il lancio di cluster initiative dedicate, ovvero di progettualità condivisa. Ciò significa non solo favorire lo sviluppo di spinoff e reti di fornitura, promuovendo il networking, ma anche nutrire l’ecosistema attorno ai cluster emergenti, infondendo best practice,
andando a rinforzarli ulteriormente e lavorando in profondità sugli stessi. In questo caso, come mostrano le analisi di Strategique, la massima specializzazione del territorio la si raggiunge sul cluster aerospaziale, storicamente forte in provincia e già strutturato per il tramite della cluster organization espressa da Confindustria Varese. Sarà quindi
di business, guardando al futuro e promuovendo lo sviluppo di contaminazione e ibridazioni tra cluster.
Nella strategia di valorizzazione delle specializzazioni di territorio, non si deve poi dimenticare che la competitività si può costruire anche sulla presenza di multinazionali, che possono essere il pivot per
suggerendo modelli di business innovativi per il territorio e attirando investimenti esteri, in coordinamento con gli attori istituzionali.
Tratti comuni di tutta la linea strategica dedicata al rinforzo delle specializzazioni del territorio attraverso i cluster sono: da un lato, la necessità di lavorare sulla disponibilità a tendere di lavoratori, talenti e individui per le
imprese e i cluster del territorio, facendo ad esempio leva sul Progetto “PEOPLE”, lanciato di recente da Confindustria Varese proprio per far fronte ad un contesto demografico in contrazione; dall’altro, la promozione estensiva di pratiche e soluzioni green, ecosostenibili
e circolari, così da impostare da subito una green cluster policy.
Si tratta certamente di una linea strategica le cui azioni dovranno svilupparsi in collaborazione ed in sinergia con alcuni dei principali stakeholder locali e italiani, quali,
tra gli altri, i Cluster Tecnologici Nazionali, il sistema Confindustriale, le scuole e le Università, i centri di ricerca e i testing lab, la Regione e la Camera di Commercio e i media, per dar corpo ad un rilancio collaborativo della competitività del territorio.
I cluster sono qualcosa di più di un tipico distretto industriale. All’elemento della concentrazione delle imprese di un settore in una determinata area si aggiungono il sistema della conoscenza (Università e centri di ricerca) e l’impegno delle istituzioni (private e no). Per questo si parla di un modello organizzativo a “tripla elica”, fatto di progetti collettivi. Un esempio concreto, attivo da 14 anni, è quello del Lombardia
Dalla teoria alla pratica. Il concetto di cluster, e prima ancora quello di distretto, è stato lungamente studiato dagli economisti che hanno visto in questa forma di “annidamento di imprese specializzate in un territorio” un plus da valorizzare per lo sviluppo di alcune zone e settori. Si tratta di un incrocio virtuoso tra specializzazioni produttive che si stratificano nel tempo e si contaminano tra loro e la cultura industriale che contemporaneamente si forma e si arricchisce in una determinata area. È un’alchimia che si sviluppa a volte casualmente. Pensiamo alla nascita nell’immediato dopoguerra dei distretti industriali in Italia. Il distretto si proponeva come modello innovativo di sviluppo, alternativo alle grandi concentrazioni in un’unica fabbrica, poiché valorizzava
un sistema di “dense relazioni comunitarie in cui sono immersi i sistemi produttivi locali che portano naturalmente alla circolazione delle informazioni e delle conoscenze delle tecniche e delle relazioni fiduciarie”.
Sono tre gli ingredienti chiave che permettevano questa fabbrica diffusa, molto vicina al modello italiano: connessione, conoscenza specifica e fiducia. Il distretto tradizionale nel tempo si è, a sua volta, evoluto. Oggi
si parla sempre più spesso di cluster. Un concetto che amplia i confini del distretto, strettamente produttivo, includendo anche il sistema della conoscenza (Università e centri di ricerca) e le istituzioni, private e no. Tre mondi che attraverso il cluster si mettono in sinergia (Triple Helix Cluster). Sul loro funzionamento si sono concentrati numerosi studi a livello internazionale e, nell’arco degli ultimi 15 anni, il concetto di cluster è divenuto un vero e proprio “format” per organizzare modelli di sviluppo territoriale ed impostare adeguate politiche industriali di supporto. Ma cos’è veramente un cluster e come questo possa funzionare rimane ancora un’alchimia. È quindi interessante comprendere come si governa un cluster, partendo, ad esempio, dall’esperienza maturata dal Lombardia Aerospace Cluster (LAC). L’elemento essenziale affinché un cluster funzioni è il reciproco affidamento. La fiducia tra i vari soggetti (imprese, Università, istituzioni) è fondamentale per creare relazioni. Perché il cluster non è una forma organizzata di supply chain, ma
qualcosa di più e di diverso. Un buon cluster riesce a far emergere la volontà collaborativa dei soggetti e aiuta le imprese a superare il rapporto 1 a 1, tra cliente e fornitore.
Si ha un buon cluster quando i vari soggetti si comportano in maniera collaborativa, come insegna la migliore teoria dei giochi: il massimo per tutti si realizza quando non prevale la competizione, ma la collaborazione. Fondamentale quindi che ci sia una regia che può essere formale con l’istituzione, nei casi più strutturati, di una vera a propria Cluster Organization, come nel caso del LAC o anche informale, con l’istituzione di Communities guidate. La capacità di rendersi credibili ed affidabili da parte dei soggetti che gestiscono questi sistemi di relazione è essenziale, perché solo così possono essere riconosciuti come soggetti super partes. Una volta costruito il clima di fiducia, si può iniziare ad operare nella realizzazione dei progetti collettivi che sono l’anima di un’azione da cluster. Il cluster, infatti, inizia laddove finisce la capacità di incidere del singolo. Il cluster deve aggiungere opportunità, aiutare a sviluppare il capitale di conoscenze specifiche sul territorio, migliorando il contesto in cui i singoli soggetti operano. Potenziando e rendendo più
Il cluster inizia laddove finisce la capacità di incidere del singolo. Il suo obiettivo è di aggiungere opportunità, aiutare a sviluppare il capitale di conoscenze specifiche sul territorio, migliorando il contesto in cui opera l’impresa, potenziando e rendendo più facili i sistemi di relazioni al di fuori del mercato e fungendo da interfaccia con le istituzioni
facili i sistemi di relazioni al di fuori del mercato e fungendo da interfaccia con le istituzioni.
Il cluster deve comportarsi da “producers” che contribuisce a raccogliere ed organizzare i bisogni, tradurli in progetti a partecipazione collettiva e costruire lo scenario in cui questi progetti possano essere realizzati con la compartecipazione di tutti. Questa, in sintesi, la visione strategica con cui si è affrontato lo sviluppo del Lombardia Aerospace Cluster ormai 14 anni fa, quando non esisteva ancora un modello organizzativo di riferimento. Ma alle visioni deve corrispondere una concretezza di azioni, affinché il cluster sia percepito come qualcosa di utile. È stato così che si è adottato un approccio organico creando per ogni ambito di azione dell’impresa (tecnologia, capitale umano, organizzazione e mercati) dei gruppi
Ogni area è stata toccata, a partire da quella tecnologica-produttiva, che costituisce il vero Dna di un cluster, il capitale di conoscenza che lo distingue. In questo ambito il Lombardia Aerospace Cluster ha creato un Nucleo Tecnico Scientifico che vede la partecipazione di più di 30 specialisti della ricerca in ambito industriale, universitario e dei centri di ricerca. Si tratta di un forum in cui ci si può confrontare sulle tendenze tecnologiche, sulla direzione dei programmi di ricerca per il settore, sulle esperienze di ciascuno e su progettualità specifiche. Si è creato un campo neutro in cui collaborare su basi scientifiche che, nell’ultimo anno, ha portato all’elaborazione di un progetto di sviluppo delle tecnologie e dei prodotti per seguire gli sviluppi
dell’Advanced Air Mobility. Un progetto futuribile verso il quale, se si vuole avere un ruolo domani, bisogna iniziare a porre le basi oggi e lo si è fatto allargando il tavolo di progettazione ai soggetti regolatori come Enac, Enav e gli aeroporti, in modo da disegnare insieme una road map di realizzazione. Si è trattato di un esperimento in cui il Cluster ha svolto un ruolo propulsore, con l’obiettivo di orientare l’intera filiera verso tecnologie del futuro e, nel contempo, di affrontare il tema dell’infrastrutturazione per la mobilità di nuova generazione con il decisore pubblico. Un esperimento condotto con l’obiettivo delle Olimpiadi invernali di Milano Cortina 2026, allacciando collaborazioni con altri cluster (mobilità, energy, smart cities) secondo la logica della related variety. Altre partnership poi si stanno aprendo anche nell’area
delle applicazioni di Additive
Manufacturing: il LAC è, infatti, entrato anche a far parte di una filiera multisettoriale di Regione Lombardia, essendo il settore aerospace un ottimo caso di sperimentazione di queste tecnologie in situazioni estreme.
Risorse umane
Agire secondo una logica di cluster significa non solo guardare alle frontiere tecnologiche, ma anche preparare le persone ad affrontarle e rafforzare le capacità specialistiche già presenti sul territorio. È questo l’obiettivo strategico con cui ha lavorato il gruppo dedicato del LAC alla formazione con progetti mirati a radicare competenze, ad orientare i programmi, a sostenere la formazione e a inserire giovani laureati favorendo lo sviluppo di tesi e tirocini sui temi di interesse delle Pmi. In questo ambito si è sviluppata una convenzione con le Università socie del cluster, gettando un ponte diretto tra bisogni in produzione e sviluppi tecnologici avanzati e in fase di studio.
La preparazione delle persone trova applicazione solo in organizzazioni efficienti. In questo ambito nel LAC sono stati sviluppati numerosi progetti nel tempo con il gruppo dedicato alla supply chain, per far crescere organizzativamente l’intera catena di approvvigionamento. Grazie all’aiuto dei Prime contractor hanno preso il via progetti sul tema della contrattualistica internazionale di settore, della Lean, delle Certificazioni, che sono elemento indispensabile per operare in un settore a così elevata tecnologia. Ed è recente anche l’adesione ad una filiera regional specializzata.
È poi fondamentale dare visibilità, all’interno e al di fuori del cluster, alle imprese che compongono la filiera, perché ciascuno possa
trarre un beneficio di immagine rafforzata ed utilizzare i canali di promozione che il cluster può mettere in campo per attivare azioni di matchmaking. Consapevoli di questa opportunità, si è sviluppata una piattaforma AMI (Aerospace Matchmaking Interceptor) che viene usata per promuovere le imprese, per ricercare partner quando dall’esterno giungono richieste di alcuni profili e competenze. Non è raro, infatti, che al Lombardia Aerospace Cluster, come soggetto ormai conosciuto anche in ambito internazionale, in quanto appartenente alle principali reti dei cluster di settore, vengano chieste azioni di e-scouting sia di prodotti sia di tecnologie. Recentemente questa attività è stata sviluppata, ad esempio, stringendo una collaborazione con l’Ufficio ICE di Houston, capitale americana dello spazio o rispondendo ad alcuni produttori internazionali di velivoli o a richieste dell’Aeronautica Militare. Un processo di valorizzazione delle Pmi che il cluster può svolgere diffondendo le opportunità raccolte anche in ambito internazionale.
Mercati internazionali
Accanto alle azioni per favorire lo sviluppo tecnologico sono altrettanto apprezzate, soprattutto dalle Pmi, le azioni che offrono un più diretto e immediato sbocco sui mercati. In questo ambito è importante partecipare in maniera collettiva ai principali Saloni internazionali, quelli in cui sono presenti tutti gli operatori del settore e gli altri cluster. Sono in genere manifestazioni di notevole impegno economico a cui la singola Pmi difficilmente potrebbe partecipare singolarmente con un’adeguata visibilità. Sono queste occasioni in cui il Cluster lombardo dell’aerospazio riesce a promuovere l’intero sistema territoriale e allacciare relazioni con altri soggetti.
Sempre in ambito mercati,
utilizzando il cluster come elemento pivot, si possono sviluppare eventi di matchmaking e piccole missioni tecnologiche esplorative Cluster To Cluster. Si tratta di un format molto interessante attraverso il quale il LAC ha creato alleanze con cluster vicini e con tecnologie integrabili (ad esempio la Svizzera, il Baden Württemberg, il Rhône-Alpes e la Polonia). In questo caso il focus è la creazione di legami orizzontali tra le Pmi della filiera.
Alleanze istituzionali
Questi sono stati sinora gli ambiti di intervento che un cluster, come quello aerospaziale lombardo, ha potuto realizzare. Naturalmente la ricetta non è unica, ma visti i risultati raggiunti in questi 14 anni di attività si tratta sicuramente di un percorso valido. L’importante è, però, cogliere le sfide che vengono avanti per il futuro e soprattutto riuscire a stringere delle forti e convinte alleanze con le istituzioni pubbliche che questi cluster ospitano sul loro territorio, così come viene fatto all’estero. Convinti che dalle politiche pubbliche di accompagnamento di queste azioni, dipenda la difesa della competitività dei tessuti di specializzazione dei nostri territori.
L’elemento essenziale affinché un cluster funzioni è il reciproco affidamento. La fiducia tra i vari soggetti (imprese, Università, istituzioni) è fondamentale per creare relazioni. Perché il cluster non è una forma organizzata di supply chain, ma qualcosa di più e di diverso
Un esempio concreto di progettualità che può portare avanti un cluster è quello del Lombardia Aerospace sul fronte della Urban Air Mobility, attraverso partnership con imprese del territorio, come ad esempio SEA Spa, la società che gestisce gli aeroporti di Malpensa e Linate. Obiettivo: favorire lo sviluppo delle tecnologie per implementare, in vista delle Olimpiadi invernali di Milano Cortina 2026, la nuova mobilità aerea urbana. Con un occhio puntato al Green New Deal europeo
Emissioni zero e riduzione del 90% delle esalazioni di gas ad effetto serra nei trasporti: questo l’obiettivo, da raggiungere entro il 2050, fissato dal Green New Deal europeo. Una sfida e al tempo stesso un’opportunità per l’Italia e l’Europa intera. A cogliere in pieno questo sfidante traguardo è il Centro Nazionale per la Mobilità Sostenibile, nato dalla sinergia di 25 Università, con i relativi centri di ricerca, insieme a 24 grandi imprese attive nell’ambito della mobilità e delle infrastrutture. Scopo: accompagnare la transizione green e digitale del comparto in un’ottica sostenibile e supportare le istituzioni locali nell’implementazione di soluzioni moderne, sostenibili ed inclusive.
“Si tratta di un progetto ambizioso, che prevede un investimento di 394 milioni di euro per i primi 3 anni dal 2023 al 2025, con il coinvolgimento di 696 ricercatori degli enti partner e l’impiego di 574 nuovi assunti. Uno strumento reale per la crescita e lo sviluppo in un settore chiave come quello della mobilità, che si stima raggiungerà un valore complessivo a livello nazionale, nel 2030, di 220 miliardi di euro, assorbendo il 12% della forza lavoro”, spiega Ferruccio Resta, Past Rettore del Politecnico di Milano. Sostenibilità è anche la parola d’ordine alla base delle progettualità di SEA Spa (società che gestisce gli aeroporti di Malpensa e Linate), declinata in una serie di iniziative, alcune già in campo, altre ancora in fase di
studio. “Il progetto più suggestivo su cui stiamo lavorando – racconta il Ceo aziendale Armando Brunini – riguarda la mobilità urbana aerea. Ci aspettiamo che nel giro di pochi anni saranno pronti i velivoli a decollo verticale, completamente elettrici, che avranno un raggio di percorrenza medio-breve, molto utili per decongestionare il traffico urbano”. Ed è proprio su questa progettualità che SEA sta investendo, anche attraverso una collaborazione con il Politecnico di Milano, per la stesura di un Masterplan per lo sviluppo, nel prossimo decennio, di un network di vertiporti da cui i veicoli a decollo verticale potranno, per l’appunto, prendere il volo e ovviamente anche atterrare.
“Abbiamo individuato un numero
potenziale di vertiporti, qualcosa in più di un eliporto e meno di un aeroporto, che sorgeranno in giro per la città e per la regione. L’obiettivo realistico in Lombardia che ci siamo posti sono le Olimpiadi invernali di Milano Cortina del 2026: l’idea è, quindi, di partite con 4 vertiporti. Gli atleti saliranno sul velivolo, una sorta di evoluzione di un drone elettrico e in 10/15 minuti saranno a destinazione. Evitando di prendere il taxi, trovare traffico e inquinare ulteriormente l’ambiente. SEA vuole avere un ruolo nell’agevolare la partenza di questa nuova tipologia di industria innovativa, affascinante e sostenibile”, sottolinea ancora Brunini.
Tra le collaborazioni strette da SEA in ottica di mobilità sostenibile, in vista proprio dell’evento olimpico, c’è quella con il Lombardia Aerospace Cluster, come spiega il Presidente Angelo Vallerani: “Abbiamo preso come riferimento le Olimpiadi invernali del 2026 per avere una
data certa entro cui mettere a disposizione ed iniziare a mostrare la reale applicabilità delle tecnologie legate alla Urban Air Mobility. Da una parte, quindi, l’evento olimpico fungerà da vetrina internazionale delle competenze messe in campo per questo progetto dalle imprese della regione Lombardia e, dall’altra,
dimostrato che fondamentalmente c’è un’alta potenzialità per i servizi di Urban Air Mobility, soprattutto per alcuni segmenti di mercato – spiega Pierluigi Coppola, Docente del Polimi –. In particolare, quelli business e quei segmenti di popolazione ad alto reddito che si spostano per turismo verso località che oggi sono a bassa
sarà anche l’occasione per fare un assesment di tutte le skill presenti sul territorio. L’obiettivo è aiutare le aziende nel percorso di riconversione verso queste nuove tecnologie, in modo tale che siano pronte per il mercato del futuro. Ad occuparsi di Urban Air Mobility nei prossimi anni saranno, infatti, non solamente le imprese del comparto aeronautico ma anche quelle dell’automotive, che confluiranno insieme in una sorta di mercato ibrido”.
E sulle potenzialità della mobilità aerea avanzata il Politecnico di Milano ha svolto uno studio, commissionato proprio da SEA, i cui risultati sono a dir poco promettenti. “Abbiamo
accessibilità, come ad esempio, le valli alpine oppure i laghi che in un prossimo futuro potrebbero essere raggiunti in pochi minuti utilizzando dei servizi di aerotaxi. Una cosa che è emersa dal nostro studio è che, in prospettiva, i servizi di Urban Air Mobility potranno avere largo impiego anche per gli spostamenti urbani, soprattutto nel momento in cui il fattore che oggi è critico, ovvero il costo di utilizzo di questo servizio, potrà beneficiare di economie di scala, rendendolo così più accessibile anche ad altri segmenti di mercato, contribuendo in un’ottica di integrazione al sistema della mobilità urbana”.
Il Cluster Tecnologico AFIL dà voce ad un potente ecosistema dell’innovazione basato sulla vocazione manifatturiera regionale e sulla promozione della ricerca in vari ambiti tra cui la trasformazione digitale.
A spiegarlo, il Presidente Christian Colombo, anche Amministratore Delegato di Ficep Spa, azienda del settore delle macchine utensili e impianti, con sede a Gazzada Schianno
La regione Lombardia è la prima manifattura in Italia per fatturato, valore aggiunto, numero di addetti ed esportazioni, contribuisce significativamente alla competitività industriale nazionale ed è, inoltre, la seconda regione manifatturiera per numero di persone impiegate all’interno dell’Unione Europea. In questo quadro si inserisce alla perfezione l’attività di AFIL, Associazione Fabbrica Intelligente Lombardia, Cluster Tecnologico regionale per le tematiche riguardanti il manifatturiero e la fabbrica intelligente. AFIL, fondato a marzo 2013, attualmente conta circa 150 soci fra imprese, Università, enti di ricerca ed associazioni e dà voce ad un potente ecosistema dell’innovazione basato sulla specializzazione regionale in ambito di nuove tecnologie industriali digitali. Come spiega Christian Colombo, Presidente di AFIL e Amministratore
Delegato di Ficep Spa, azienda del settore delle macchine utensili e impianti, con sede a Gazzada Schianno.
Presidente Colombo, ci può spiegare quali sono le principali differenze tra Cluster e Distretto?
I Distretti nascono come gruppi autorganizzati per dar forma al graduale cambiamento dei legami tra imprese piccole e concentrate in territori geograficamente limitati e storicamente connesse per specializzazione dai contratti di sub-fornitura, che per far fronte ad un livello sempre più elevato di concorrenza, si associano per sfruttare connessioni stabili. Questi gruppi prendono forma dopo il 2000 quando nascono i primi Distretti produttivi
lombardi, dove la filiera non è ristretta alla collaborazione verticale, ma raggruppa aziende con ambiti comuni di sviluppo. Nel 2012 nascono i primi 12 Cluster Nazionali Tecnologici, con lo scopo di essere gli interlocutori multi-attore verso la governance nazionale, in grado di fornire una roadmap a supporto delle politiche di ricerca e sviluppo industriale. Due anni dopo prendono vita in Lombardia i 9 Cluster regionali, con l’obiettivo di animare la community tra industria e ricerca. I Cluster regionali si inquadrano nel contesto di mutua collaborazione, anche attraverso lo sviluppo di progettualità
condivise tra aziende, centri R&D, gli organismi della governance regionale e il supporto della presenza a livello provinciale e anche il sistema sociale, nella prospettiva di far emergere a tutti i livelli quelli che sono i bisogni e le priorità per una manifattura lombarda efficiente e sostenibile, in grado di porre l’uomo e il suo ambiente al centro del sistema produttivo.
Cosa sono le Strategic Communities di AFIL e come funzionano?
Le Strategic Communities (SC) rappresentano il “motore” delle attività di AFIL. Più nello specifico, sono gruppi di lavoro pensati per aggregare ed accompagnare i propri partecipanti in un percorso di crescita strutturato nell’ambito di tematiche ben definite e dal chiaro impatto industriale. Protagonisti sono i soci, che possono decidere di aderire alle SC in base al loro interesse in merito ad una tematica, entrando in un ambiente che si prefigge di identificare sfide, bisogni ed opportunità del manifatturiero avanzato con l’obiettivo di creare collaborazioni per progetti e nuove soluzioni. Le possibili partnership si manifestano in diverse forme: dall’elaborazione di proposte progettuali di filiera fino alla partecipazione nella definizione dei contenuti e delle priorità riguardanti
ciascuna area di specializzazione. Tutte informazioni che vengono poi trasferite da AFIL alle istituzioni, affinché siano consapevoli delle priorità industriali e siano in grado di integrarle all’interno della Strategia di Specializzazione Intelligente (strumento utilizzato in tutta l’Unione europea per migliorare l’efficacia delle politiche pubbliche per la ricerca e l’innovazione) e dei programmi di lavoro, con conseguente allocazione coerente dei finanziamenti pubblici. Le 6 SC attualmente attive sono focalizzate negli ambiti Additive Manufacturing, Circular Economy, Sustainable Food, Smart Components, Advanced Polymers e Digital Transformation.
Quali le opportunità legate alla presenza all’interno di AFIL?
Sicuramente l’essere parte attiva di un network manifatturiero regionale, nazionale ed europeo, all’interno del quale condividere esperienze, accrescere le proprie competenze, trovare nuovi partner e collaborare con altre filiere di eccellenza. Il Cluster rappresenta un ambiente eterogeneo, in grado di favorire il dialogo reciproco tra attori con competenze complementari. È inoltre rappresentativo di tutte le tipologie di soggetti: fornitori di tecnologie,
integratori di sistemi, utenti finali, attori della ricerca, del trasferimento tecnologico e associazioni imprenditoriali. Tutto ciò si traduce nella possibilità di partecipare alla concezione ed implementazione di progettualità a livello regionale, nazionale ed europeo, a supporto della competitività sostenibile delle filiere regionali.
Quali i progetti attualmente in essere?
In maniera coerente con il ruolo del Cluster, le attività implementate e le tematiche affrontate nelle Strategic Communities, i progetti europei ad oggi in corso di implementazione, affrontano temi come la trasformazione digitale, l’internazionalizzazione europea ed extra-europea in ambiti chiave come il tessile e la fotonica, la resilienza delle catene produttive a seguito di eventi dirompenti, la promozione di best practices in merito a tecnologie abilitanti come la manifattura additiva, la promozione delle policies e il relativo supporto nel loro sviluppo e implementazione. AFIL è inoltre coinvolto nel network europeo “EDIH Manufacturing Network – EDIH4MANU”, una rete di 25 European Digital Innovation Hub provenienti dalle regioni europee più competitive, il cui obiettivo è condividere tecnologie, servizi e competenze per supportare la trasformazione digitale e sostenibile nel manifatturiero.
Le Strategic Communities sono gruppi di lavoro pensati per aggregare e accompagnare i propri partecipanti in un percorso di crescita strutturato
Il Lombardy Energy Cleantech Cluster è uno dei 9 Cluster Tecnologici riconosciuti da Regione Lombardia. Pone al centro della sua azione associativa le tematiche energetiche ed ambientali, scaricando a terra progettualità a tutela e per lo sviluppo del territorio riguardanti, ad esempio, il riutilizzo di fanghi di depurazione oppure per implementare l’impiego dell’idrogeno. Il tutto mettendo in contatto mondo della ricerca e dell’industria
roduzione, trasmissione e distribuzione dell’energia, ma anche tecnologie cleantech, efficientamento energetico, edilizia sostenibile, gestione e depurazione delle acque e dell’aria, economia circolare, sostenibilità: questi gli ambiti in cui opera il Lombardy Energy Cleantech Cluster (LE2C), uno dei 9 Cluster Tecnologici riconosciuti da Regione Lombardia e considerati soggetti di interesse strategico per la competitività e l’innovazione del sistema industriale lombardo. Nato nel 2009 su iniziativa di 8 imprese, con l’obiettivo iniziale di favorire la collaborazione anche tra aziende tra loro concorrenti e spingere la rinascita del nucleare, LE2C “è oggi un ‘laboratorio esteso’ in cui poter sviluppare progetti di ricerca, innovazione e formazione grazie alla presenza, al fianco delle imprese, di Università, centri di ricerca, associazioni imprenditoriali, pubblica amministrazione, istituzioni finanziarie e media”, come spiega il Presidente Luca Donelli. Fulcro dell’azione del Cluster, di cui Confindustria Varese fa parte insieme alle due Università varesine (la LIUC – Università Cattaneo e l’Università degli Studi dell’Insubria), sono le progettualità riguardanti tematiche energetiche ed ambientali.
“Il Lombardy Energy Cleantech Cluster è un player dell’ecosistema dell’open innovation – continua Donelli – con una funzione ben precisa: mettere in comunicazione, in maniera strutturata e continuativa, il mondo delle imprese e quello della ricerca. Un modello di collaborazione reso sostenibile dai contributi dei nostri associati e dalla capacità di vincere bandi europei che si allarga poi ad altri attori, come ad esempio
le istituzioni, prima tra tutte Regione Lombardia”. I circa 140 associati del LE2C, tra cui oltre 100 imprese e 11 centri di ricerca ed associazioni industriali, hanno la possibilità di incontrarsi e lavorare all’interno delle 5 Aree di Competenze del Cluster, a cui si affianca trasversalmente una sesta Area dedicata alla Circular Economy, che sono: Smart Energy Systems (sistemi energetici intelligenti); Sustainable Manufacturing (produzione sostenibile); Green Building (edilizia sostenibile); Water Energy Nexus (la filiera dell’acqua collegata al Servizio Idrico Integrato e al settore energia); Clean Air (aria pulita). “Compito di queste Aree è presidiare le varie tematiche, coordinando progetti, iniziative specifiche e individuando opportunità di sviluppo a breve e a medio-lungo termine”, precisa di nuovo il Presidente Luca Donelli.
Il Lombardy Energy Cleantech Cluster è parte di diversi network internazionali come European Cluster Collaboration Platform (ECCP), Global Cleantech Cluster Association (GCCA) e European Alliance for Circular Economy Investments (ICEI). Il Cluster ha, inoltre, promosso di recente un progetto pilota sull’idrogeno all’interno della Vanguard Initiative, una rete di regioni europee che lavorano insieme sulle tematiche della Strategia di Specializzazione Intelligente (S3), uno strumento utilizzato in tutta l’Unione europea per migliorare l’efficacia delle politiche pubbliche per la ricerca e l’innovazione. “Il nostro Cluster – racconta Donelli – ha una doppia visione: quella orientata alla Lombardia e quella che punta dritta a Bruxelles, anche come ponte verso l’internazionalizzazione. Siamo coinvolti in diversi gruppi di lavoro
europei legati alla modernizzazione industriale: in altre parole, siamo un ingranaggio di un meccanismo molto complesso, che funziona grazie alla collaborazione e complementarità con gli altri soggetti coinvolti, come ad esempio i Digital Innovation Hub ed i Competence Center”.
Tra le attività concrete portate avanti dal LE2C a tutela e sviluppo del territorio è da citare, ad esempio, un gruppo di lavoro dedicato ai microinquinanti e alle microplastiche, tipologie di inquinanti emergenti dell’ambiente acquatico di recente normate a livello europeo, la cui presenza viene riscontrata con difficoltà, sia per la limitata concentrazione che per la complessità nella loro identificazione: in questo ambito hanno collaborato, tra gli altri, anche il Joint Research Center (JRC) di Ispra. Nel 2021, il Cluster ha poi sviluppato con Assolombarda e l’Associazione Italiana Idrogeno e Celle a Combustibile (H2IT), H2ERE Network, una piattaforma di networking pensata per far dialogare ricerca e imprese con lo scopo di realizzare sperimentazioni e progettualità legate all’idrogeno. E, ancora, i progetti di economia circolare chiamati “Fanghi” e “Biomass Hub”, nati nel 2019 e vincitori del bando di Regione Lombardia “Call Hub Ricerca e Innovazione”, pensati per lo sviluppo di nuove tecnologie di valorizzazione dei fanghi da depurazione.
“Alle imprese con voglia di fare e di raccontarsi, il Lombardy Energy Cleantech Cluster offre moltissime opportunità: alla base, ovviamente, ci deve essere la propensione a fare innovazione e volerla esplicitare, rendicontare e comunicare. Il nostro ‘laboratorio esteso’ è sempre aperto, pronto a supportare le imprese verso l’identificazione di collaborazioni con centri di ricerca e l’individuazione di strumenti di finanza agevolata utili ad ampliare i progetti di innovazione e accelerarne i tempi di realizzazione”, chiosa Donelli.
Una raccolta complessiva nel 2022 pari a 112 milioni di euro, a favore di 15 imprese operanti in diversi settori dell’economia italiana. Con la quarta emissione da 33 milioni a favore di 4 imprese, il programma Basket Bond promosso da BPER Banca e Cassa Depositi e Prestiti (CDP), si conferma un efficace strumento di finanza alternativa per sostenere la crescita dimensionale delle Pmi e Mid-Cap italiane facilitandone il ricorso al mercato del credito. Si tratta del primo
programma in Europa a beneficiare del sostegno del Fondo Europeo di Garanzia (FEG) della BEI e fra le più grandi operazioni del settore dell’anno appena concluso, per dimensione e tempi di emissione. La quarta tranche ha interessato quattro nuove emittenti: la veronese Grimet, azienda produttrice di cilindri speciali in acciaio (che ha emesso minibond per 4 milioni di euro); l’emiliana Bayker Italia, attiva nella commercializzazione di piastrelle (4 milioni), Wiit, gruppo di servizi Cloud e Cybersecurity (20 milioni),
OSAI Automation System, che opera nel settore dell’automazione dei processi industriali (5 milioni). Queste realtà sono attive in diversi settori strategici dell’economia italiana, quali il manifatturiero, l’ICT e il commercio. Nel dettaglio, le aziende hanno emesso minibond della durata compresa tra 4 e 6 anni con l’obiettivo di raccogliere risorse strategiche a sostegno dei rispettivi piani di acquisizione, investimento e sviluppo in Italia e all’estero. CDP e BPER Banca hanno agito in qualità di anchor investor del programma sottoscrivendo ciascuna il 50% dell’ammontare della quarta tranche, così come era avvenuto nelle precedenti emissioni del programma, che è stato il primo a beneficiare della garanzia del Fondo Europeo di Garanzia (FEG) della Banca Europea per gli Investimenti (BEI). Tecnicamente, l’investimento nel basket di minibond è stato effettuato da una società veicolo – Special Purpose Vehicle (SPV) – che a sua volta ha emesso titoli che sono stati acquisiti da BPER Banca, arranger del programma e CDP in quote paritetiche. Complessivamente, il programma ha registrato una performance di mercato positiva, impegnando le risorse in tempi rapidi a favore della crescita, della competitività e dei nuovi investimenti delle 15 aziende italiane coinvolte. Lanciato a inizio settembre con un plafond che può arrivare fino a 250 milioni di euro, il piano in pochi mesi ha consentito il perfezionamento di quattro tranche dal valore complessivo di 112 milioni, che lo rendono una delle più grandi operazioni per dimensione e tempi di emissione nel 2022 all’interno del panorama italiano dei Basket Bond.
Verticali (con o senza Prime contractor), orizzontali, trasversali, contaminabili, storici, emergenti. Per la provincia di Varese la cluster variety è un asset prezioso da valorizzare sempre di più in un’ottica di sviluppo e accrescimento della competitività territoriale. Questo il messaggio che emerge dal Piano Strategico #Varese2050 di Confindustria Varese, realizzato insieme al think tank Strategique
Quello della logistica è uno dei cluster emergenti sul territorio varesino
Icluster sono aggregazioni mutabili. Nascono, si sviluppano, si trasformano, non muoiono (se non in casi rari), ma evolvono. In questo loro ciclo di vita spesso si contaminano. Ed è da questa contaminazione che si creano altre e nuove opportunità. Ci sono territori strutturalmente legati ad una o poche specializzazioni, che basano la propria economia su una produzione
specializzazioni che nel tempo si sono succedute e reciprocamente alimentate. Il processo sinora si è svolto in maniera del tutto naturale, ma i grandi cambiamenti in atto negli asset competitivi, geoeconomici ed innovativi consigliano di non dare tutto per scontato. La prospettiva di sviluppo e la rigenerazione dei cluster va accompagnata. La cluster variety è un asset prezioso che non bisogna dimenticare di coltivare.
poterne programmare lo sviluppo.
Cluster verticali con Prime contractor
Alcune di queste specializzazioni hanno una forte verticalità: individuano settori molto specifici ed hanno il plus di avere il Prime/ leader di settore sul territorio insieme alla propria supply chain. Ne sono esempio sul territorio varesino gli elettrodomestici (pur con tutte
specifica, diventando sempre più qualificati e concentrati, ma nel contempo più esposti al rischio della mono specializzazione. Altri territori coltivano più specializzazioni contemporaneamente, ognuna con il proprio livello di maturità. Varese è uno di questi.
L’elevato grado di sviluppo raggiunto nel corso dei decenni, che ha portato l’economia varesina ad alti livelli di benessere, è frutto di un continuo processo di contaminazione tra le differenti
È questo il messaggio che emerge dal Piano Strategico #Varese2050 di Confindustria Varese. Si tratta di una realtà molto solida, considerata la numerosità dei cluster esistenti: ben 20 specializzazioni di rilievo nell’analisi svolta da Strategique utilizzando l’algoritmo del Professor Porter. All’interno di questi cluster di specializzazione presenti nel territorio, ci sono anime diverse. Che vanno trattate in maniera diversa. A ciascuno la sua politica, a ciascuno le proprie iniziative progettuali, per
le sue attuali difficoltà e la messa in discussione degli investimenti esteri) e l’aerospazio. In parte anche il pharma. Si tratta dei cluster più facili da trattare poiché sono cluster “naturali”. Si prestano più facilmente ad azioni comuni ed organizzate, perché è meno sviluppata la spinta competitiva tra pari. Le supply chain hanno in sé un concetto di ordine e di collaborazione a seconda del livello di appartenenza alla filiera. In questi casi è più facile sviluppare delle vere cluster organization.
Cluster verticali
senza Prime contractor
Si tratta di cluster verticali in cui è presente la filiera, costituita da Pmi o alcuni stadi di essa, ma non è presente sul medesimo territorio il Prime contractor. Per Varese si può pensare alla componentistica dell’energia, alla fornitura dell’automotive, presente ma a diversi stadi di specializzazione. Sono cluster potenziali per i quali serve trovare alleanze con soggetti già organizzati che abbiano al proprio interno i Prime in grado di far crescere la filiera (ad esempio il Lombardy Energy Cleantech Cluster di cui si è parlato nelle pagine precedenti) e il cluster mobilità.
Cluster orizzontali
Sono i cluster più difficili da trattare, poiché composti da tantissime Pmi spesso in diretta competizione. Con un Prime lontano, con una concorrenza esterna forte, con barriere tecnologiche deboli. Ne è un esempio la specializzazione della plastica o quella del tessile nelle sue componenti a monte. Per fare crescere questi cluster bisogna mettere in campo una sotto segmentazione, ossia individuare dei cluster nei cluster che mettano insieme piccoli gruppi di imprese con bisogni omogenei (ad esempio per la plastica l’occhialeria, per il tessile le filiere dell’abbigliamento workwear, underwear e swimwear, con punti di intersezione lungo la catena del valore circolare). Bisogna convincere i cluster che collaborare porta dei risultati e dà a ciascuno un poco di visibilità in più. Occorre avere la pazienza del cesellatore essendo preparati ad un percorso trial & error che aiuti a superare la competizione e convinca che unirsi offra maggiori chances competitive.
Sino a qui i cluster del territorio nella loro forma più tradizionale. Se poi si vuole ragionare in termini di ulteriore sviluppo si possono considerare come potenzialmente mature altre due categorie di cluster.
Si tratta di cluster di imprese che sviluppano attività abilitanti per il sistema. Nello specifico di Varese ci sono grandi potenzialità nello sviluppo di un cluster logistico. Esiste un aeroporto con tutte le esternalità da sviluppare, un’area cargo che si sta rafforzando. È presente una rete di operatori intermodali legati principalmente alla movimentazione ferroviaria, cresciuti notevolmente negli ultimi anni. Esiste una compagnia aerea su base locale. Centri di smistamento legati ad importanti aziende di e-commerce. Esistono delle potenzialità di collegamento infrastrutturale sia ferroviaria sia via strada. Un terminal intermodale a Sacconago. Potenziali esternalità legate allo sviluppo di zone logistiche speciali. Il tutto insiste su un territorio che potrebbe completare velocemente l’anello di congiunzione perfetto, garantendo lo sviluppo delle reti Nord-Sud via ferrovia ed Est-Ovest via strada attraverso il completamento del raccordo con la Pedemontana. A ciò si aggiunga la specializzazione del packaging e la potenziale
richiesta di un sistema produttivo assai concentrato. Certamente un’opportunità da sfruttare.
Infine, ci sono tutte le potenzialità da esplorare in termini di related variety. E qui la lista potrebbe essere molto lunga perché si tratta di mettere in relazione le aree di sovrapposizione e di possibile collaborazione su base tecnologica in un territorio densamente produttivo.
Due sono le possibili linee di sviluppo facilmente intuibili. La prima riguarda il mondo della simulazione e del training, che accomuna le tecnologie che vengono sviluppate in maniera molto avanzata nel settore aerospaziale e che troverebbero facile applicazione in settori con bisogni tecnologici adiacenti. La capacità di sviluppare ambienti simulativi ad altissima interattività trova infatti possibili utilizzi nel mondo del gaming ed anche nell’engineering simulation. Grandi opportunità, poi, in tutti i settori che fanno dell’interazione uomo-macchina il proprio business (pensiamo alle applicazioni per i produttori di macchinari, impianti o per la domotica, per i videogiochi).
La seconda riguarda il mondo dell’ICT e delle telecomunicazioni, che nell’ultimo decennio ha visto lo sviluppo di alcune importanti e dinamiche realtà. Fare sistema, attrarre risorse, iniziare a sviluppare giovani talenti sono modi per rafforzare queste imprese e la loro filiera e per annidarle in un tessuto capace di rispondere alle esigenze del futuro e della prosperante digitalizzazione facendo crescere anche il sistema e i servizi correlati. Due esempi, ma si potrebbe continuare per molto nel gioco degli incroci virtuosi, creando filiere ad hoc. Abbiamo la fortuna di avere tante pedine. Il domino del futuro è ancora tutto da comporre.
Nel mondo dell’ICT fare sistema, attrarre risorse, iniziare a sviluppare giovani talenti sono modi per rafforzare le imprese e la loro filiera e per annidarle in un tessuto capace di rispondere alle esigenze del futuro e della prosperante digitalizzazione facendo crescere anche il sistema e i servizi correlati
Sostenibilità e digitalizzazione. Sostegno alle piccole e medie imprese. Flessibilità e resilienza. Competenze come nuova frontiera di sviluppo economico. Adozione di un approccio multidimensionale. Rafforzamento dei comportamenti responsabili dei consumatori. Secondo il Report del World Manufacturing Forum 2022, sono queste le azioni necessarie per riprogettare le catene globali del valore nella nuova era della manifattura, raccolte in 10 raccomandazioni
Il blocco del Canale di Suez e la conseguente ostruzione di un’importantissima rotta di navigazione globale, la pandemia, i cambiamenti geopolitici legati al conflitto russoucraino. Nell’ultimo biennio, l’industria manifatturiera è stata travolta da un’escalation di eventi dirompenti che hanno minato l’integrità del comparto, mettendo in crisi le catene globali del valore. In alcuni casi, le supply chain sono state interrotte, in altri, completamente distrutte. Gli approvvigionamenti a livello internazionale sono diventati sempre più difficili. Dalle materie prime ai materiali da costruzione, con l’introduzione di ulteriori restrizioni commerciali, rifornirsi, per le imprese del settore, è stato molto complicato.
A tratteggiare i contorni del quadro economico internazionale e a fornire le tendenze per la nuova era della manifattura, è il Report “Redesigning Supply Chains in the New Era of Manufacturing” del World Manufacturing Forum, l’evento internazionale dedicato al
costante approvvigionamento delle materie prime. Sfruttare le opportunità legate alla sostenibilità e alla digitalizzazione. Sostenere le piccole e medie imprese. Migliorare il dialogo tra i principali attori del manifatturiero. Saper essere flessibili e resilienti. Puntare sulle competenze come nuova frontiera di sviluppo economico. Adottare un approccio multidimensionale per considerare i rischi geopolitici e altri fattori non di costo. Rafforzare i comportamenti responsabili dei consumatori. Questi, in sintesi, alcuni dei passaggi chiave delle 10 raccomandazioni proposte dal Report del Wmf e rivolte al mondo politico, agli imprenditori e alla società, con l’intento di suggerire azioni e comportamenti da intraprendere per affrontare e anticipare le sfide future a cui il manifatturiero sarà chiamato a rispondere. Delineando, insomma, nuove tendenze da cavalcare e megatrend da attraversare.
Spesso le supply chain, per condizioni economico-sociali di livello internazionale, si interrompono. Per prima cosa, secondo gli studiosi del Wmf, “è fondamentale che gli attori coinvolti una Confindustria di System, e in Taisch
comparto che ogni anno riunisce imprenditori, istituzioni, manager e rappresentanti del mondo accademico. Ad organizzarlo, la World Manufacturing Foundation, una piattaforma istituita nel 2018 da Confindustria Lombardia, Politecnico di Milano e Intelligent Manufacturing System, con lo scopo di valorizzare e diffondere la cultura industriale in tutto il mondo, di cui Marco Taisch è lo Scientific Chairman.
Il Rapporto elaborato dagli esperti del Wmf mette a disposizione delle imprese, delle organizzazioni e del mercato, misure e strategie per rafforzare la resilienza dei Paesi, per reagire rapidamente o addirittura anticipare scenari simili a quelli dell’ultimo biennio che si potrebbero verificare ancora in futuro. Partendo, appunto, dalla ricostruzione delle catene globali del valore.
dagli
Ridisegnare prudentemente e intelligentemente delle traiettorie propositive per garantire un
esperti disposizione organizzazioni misure la rapidamente scenari biennio ancora dalla globali intelligentemente propositive
“È necessario dotare le piccole e medie imprese dei giusti strumenti affinché raggiungano un buon livello di digitalizzazione per migliorare la capacità delle catene del valore; stabilire e mantenere relazioni; includerle nella riprogettazione delle supply chain per sfruttare i loro punti di forza e venire incontro alle loro necessità”, si legge nel Report
non si lascino prendere dal panico. Per gestire questi eventi, le realtà manifatturiere devono saper essere flessibili e resilienti”. Un altro aspetto da non sottovalutare riguarda le Pmi. Si legge nel Report: “È necessario dotare le piccole e medie imprese dei giusti strumenti affinché raggiungano un buon livello di digitalizzazione per migliorare la capacità delle catene del valore; stabilire e mantenere relazioni; includerle nella riprogettazione delle supply chain per sfruttare i loro punti di forza e venire incontro alle loro necessità”. Ma la partita si gioca anche su altri aspetti: “Riconoscere le competenze come un valore prioritario e agire attraverso politiche e azioni per migliorare i comportamenti dei consumatori al fine di raggiungere uno sviluppo economico globale stabile”.
Imprese e governi, scrivono gli esperti del Wmf, “devono comprendere le tendenze globali emergenti per capire quale impatto avranno sulle nostre vite e sulle generazioni future”. È un compito importante, utile ad aumentare la competitività e garantire all’industria manifatturiera la capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini e dei consumatori.
Diversi i nuovi megatrend che caratterizzano il futuro di un
comparto, quello manifatturiero, che rappresenta, a tutti gli effetti, il perno dell’economia mondiale (il 17% del prodotto interno lordo globale), in grado di stimolare la domanda in altri settori, offrire opportunità di lavoro che impiegano direttamente il 13% dei lavoratori e rappresentare una quota considerevole del commercio internazionale.
Uno dei primi aspetti da tenere in considerazione è il passaggio dalla globalizzazione alla “slowbalizzazione”, ovvero il rallentamento del processo di
Le 10 raccomandazioni emerse dal Report del World Manufacturing Forum tracciano le traiettorie future per lo sviluppo dell’industria manifatturiera a livello internazionale.
1. Evitare politiche iperattive che riportino indietro il pendolo della globalizzazione.
2. Assicurare una riorganizzazione prudente, intelligente, imprenditoriale e proattiva delle
catene del valore per garantire un’offerta critica.
3. Adottare un approccio interattivo e di miglioramento continuo alle supply chain.
4. Delineare prodotti per un agile ripensamento delle catene del valore.
5. Sfruttare l’opportunità di ridisegnare le supply chain per stimolare l’adozione di approcci circolari e sostenibili.
internazionalizzazione delle supply chain. Gli studiosi del Wmf mettono in guardia il mondo imprenditoriale anche su un altro fronte: “I livelli inflazionistici in aumento e le politiche protezionistiche avranno un impatto sui produttori. Allo stesso tempo, però, la sostenibilità è diventata il nuovo status quo”. Le abitudini e i comportamenti dei consumatori si stanno evolvendo, mentre diversi cambiamenti nel modo di lavorare sono già stati adottati: introduzione e valorizzazione di nuove competenze, sempre più tecniche e specifiche, politiche di conciliazione vitalavoro, welfare aziendale. Che il sistema delle supply chain sia multidimensionale è evidente. Le filiere di approvvigionamento sono influenzate dall’ecosistema globale di cui sono parte. Sono, per questo, esposte a sfide e rischi continui. Non tutti inediti o inaspettati. Ma quello che conta è saper adottare un modello produttivo orientato al futuro, che sappia basarsi su una nuova visione dell’industria e della manifattura, sostenibile e digitale, attenta al capitale umano e pronta, con i giusti strumenti, a reggere l’onda d’urto di altre possibili crisi internazionali. Senza mai perdere di vista l’obiettivo: generare sviluppo economico e sociale.
6. Accelerare l’urgente adozione di strumenti digitali abilitanti per catene del valore resilienti e adattive.
7. Sostenere le Pmi includendole nella riorganizzazione delle catene del valore, facendo leva sulla loro capacità e soddisfacendo le loro esigenze.
8. Adottare un approccio multidimensionale per considerare
i rischi geopolitici e altri fattori non di costo nella riprogettazione delle supply chain.
9. Riconoscere le competenze come prossima risorsa della produzione.
10. Agire attraverso politiche per rafforzare comportamenti responsabili dei consumatori al fine di raggiungere uno sviluppo economico stabile.
Il Rapporto mette a disposizione delle imprese, delle organizzazioni e del mercato, strategie per rafforzare la resilienza dei Paesi. Ridisegnando prudentemente e intelligentemente delle traiettorie propositive per garantire un costante approvvigionamento delle materie prime
C’è ma non c’è. La prototipazione si dematerializza e il modello si trasforma in file e così diventa direttamente prodotto. Moltiplicando impieghi, business e potenzialità. Con utilizzi in costante aumento: nella fase creativa, in quella di marketing, nell’e-commerce, nella gestione della produzione senza sprechi, nella creazione di community.
Fino al Metaverso e al mondo dei videogiochi. Non ci sono limiti se non quelli della creatività imprenditoriale.
Futureclo Srl è l’isola che non c’è
(o meglio che non c’era) nella fase di prototipazione della moda. Una startup nata a luglio del 2021 e con sede a Gallarate, in piena espansione. “Il nostro fatturato oggi si aggira intorno al milione di euro, ma la nostra ambizione è di raggiungere la soglia dei 5 milioni, se non dei 10, entro tre anni. E aprirci anche ad investitori esterni, dei business angel possibilmente”. Così spiega German Picco, uno dei due soci fondatori, insieme a Carlo Mantori. Una realtà, quella di Futureclo, che poggia le basi del proprio business sulla digitalizzazione, ma
con radici profonde nell’esperienza del tessile e abbigliamento, quello reale del territorio. Prima laurea in economia a Buenos Aires e seconda all’Università degli Studi dell’Insubria. Poi l’esperienza in un brand storico del territorio: Aspesi, dove German Picco si occupa per cinque anni di supply chain. “Un’esperienza che mi ha permesso di imparare la gestione delle collezioni, dalla nascita fino allo sbocco sul mercato, con gli ultimi due anni passati a pianificare internamente lo sbarco su piattaforme e-commerce”. È lì che nasce l’idea di Futureclo: il salto, la voglia di
diventare imprenditore insieme al socio Mantori: “Quello che noi proponiamo alle case di moda sono soluzioni tecnologiche e digitali in grado di creare modelli in 3D dei capi di abbigliamento”. Non dei semplici disegni, su questo German Picco è molto chiaro: “Noi creiamo dei veri e propri capi virtuali a tre dimensioni. Per le case di moda è come avere un prodotto vero e proprio che, però, non è ancora un prodotto. Almeno dal punto di vista fisico. In realtà, però, il capo esiste, con tutte le sue specifiche. Consiste in un oggetto digitale iperrealistico, che tramite smartphone, tablet e app può essere anche indossato”. German Picco, nello spiegarlo, prende il suo iPhone e proietta nella stanza il capo di abbigliamento. Lo fa ruotare. Esiste, ma non c’è. Zuma fino ad entrare nelle trame del filato. Proietta anche una giacca invernale. Sul cappuccio c’è una pelliccia sintetica: “I peli –spiega lo startupper – sono creati uno ad uno dai nostri artisti digitali. Questa non è una fotografia. È un vero proprio capo di abbigliamento creato digitalmente”.
Ciò implica impieghi innumerevoli che nel tempo stanno aumentando, andando oltre le stesse idee originarie di Futureclo. “Il nostro obiettivo –racconta Picco – è rendere il processo produttivo del settore moda, dal design fino alla messa sul mercato, più sostenibile, più semplice, più flessibile”. A livello di prototipazione, l’effetto delle competenze e delle tecnologie impiegate dalla startup di Gallarate è immediato: “Pensiamo agli sprechi di tessuto che si vengono a generare abitualmente nella fase di prototipazione. Tagli, ripensamenti, uso di diversi materiali fino ad arrivare al capo da mettere sul mercato”. Tutti passaggi che sul digitale richiedono la sola materia prima della creatività e del tempo. La matita digitale crea e la gomma virtuale cancella. Fino ad arrivare al prodotto che German Picco definisce “un digital twin, un gemello
digitale del capo di abbigliamento che verrà poi prodotto, acquistato e indossato dal consumatore. Un modello che aiuta le aziende ad essere più sostenibili, più veloci ed efficienti”. Quello di rendere più facile la prototipazione dei modelli è, però, solo un aspetto del “digital twin” di Futureclo che è in grado di staccarsi dal proprio gemello fisico e acquisire vita propria nel mondo del marketing e della comunicazione: “Il file sorgente a livello commerciale ha grandi potenzialità. Pensiamo ai cataloghi digitali. Il prodotto fisico oggi non è più necessario per partire con la promozione”. In casi estremi e per certe fasce di acquisto il prototipo fisico non serve nemmeno per passare alla fase produttiva. “In alcune circostanze i nostri modelli hanno fatto da apripista per il made in Italy on demand. Ossia le case di moda producono solo i prodotti che vengono acquistati online. Questo attraverso i laboratori, tutti rigorosamente italiani e del territorio, con cui Futureclo ha creato delle partnership”. Niente stock di magazzino: “In questo caso il valore del file, non sta solo nella sostenibilità della fase di prototipazione, ma nella collezione virtuale”. Il futuro dietro l’angolo a cui pensa Futureclo è portare tutto questo dalle piattaforme di e-commerce fino ai negozi reali, “dove nei camerini entreremo – spiega Picco – senza alcun capo da provare. Al posto degli specchi ci saranno dei monitor che ci circondano e che proietteranno la nostra immagine con indosso il capo digitale che vogliamo provare e che si ritaglia alla perfezione sul nostro corpo, davanti, dietro e ai lati. Fino a come cade sulle spalle”. Lo indosseremo senza averlo indossato.
Se ci piace lo ordineremo. E poi verrà prodotto e consegnato.
Ma i modelli digital twin di Futureclo vivono di vita propria già oggi anche sul web: “Alcuni dei modelli che abbiamo creato sono finiti su piattaforme di videogiochi famosi come Fortnite”. E messi a disposizione degli utenti giocatori che possono acquistarli come skin (per i boomer, i vestiti dei personaggi) per i propri avatar. Modelli digitali, per protagonisti di videogiochi digitali, acquistati sul digitale. In Futureclo il reale acquisisce significati diversi e, nel vocabolario dei sinonimi e contrari, non prende i contorni di questi ultimi. O non sempre, comunque.
“I nostri sono prodotti paralleli al mondo fisico”, chiosa German Picco che, insieme al proprio socio Carlo Mantori, può contare su 7 dipendenti: “Veniamo tutti dal mondo della moda. È questa la nostra forza. Non stiamo calando dall’alto soluzioni digitali ad un settore che non conosciamo, ma in cui siamo cresciuti professionalmente per anni”. È il parco clienti a dare la misura di quanto questa startup si stia radicando sul mercato: “Sono 25 quelli ormai per noi continuativi”, dice Picco. Non tutti possono essere citati. Tra quelli che Futureclo può mettere in bacheca ci sono nomi come Missoni o il brand Maakola, lanciato proprio con il contributo della startup gallaratese durante l’ultima fashion week di New York. E poi il marchio argentino Evangelina Bomparola, Parosh, Luxurytina, il brand di moda tecnica di montagna Vist e il Ricamificio Lusi, tanto per rimanere sul territorio. Realtà della moda internazionale che puntano su quella che Futureclo ha ribattezzato la “digital customer experience”. Qualcosa di sempre più concreto.
ortare in azienda una nuova visione significa cogliere tutto ciò che già c’è di valore, che ne ha fatto la storia e rinnovarlo, condividendo questo progetto con il mercato”. Andrea Chiaravalli, terza generazione dell’impresa meccanica che porta il suo cognome, oggi Amministratore Delegato, sintetizza con semplicità la sua idea di passaggio generazionale. Un tema che in Italia interessa il 65% delle imprese, salendo al 70% per le Pmi, secondo i dati del Global family business 2021. Quello della Chiaravalli di Cavaria con Premezzo risulta, quindi, un felice esempio per tante imprese: una visione nuova e fresca, di chi è consapevole che al fare oggi bisogna associare il raccontare e che si
inserisce in modo lineare nel solco della solidità della storia aziendale. Come realizzare concretamente questa visione? “Mettendo al centro le persone”, spiega l’imprenditore. “Può sembrare banale, ma il cuore del progetto sta qui. Ogni persona della nostra azienda porta con sé delle differenze: valorizzarle è il punto di forza. Ma attenzione: valorizzare le persone non è una questione anagrafica o di genere, ma significa dare spazio a tutti, ciascuno con la sua unicità e, soprattutto, sollecitare le idee e la curiosità di ciascuno. È la curiosità il motore che spinge a comprendere come stia cambiando il mondo e, di conseguenza, a mettere a fuoco non solo il ‘cosa’ vendiamo, ma anche ‘il come’ e ‘il perché’ lo facciamo”.
Andare a fondo, senza fermarsi
facciamo”
alla superficie, puntare alla comunicazione in azienda e fuori, ascoltare i mercati e saperne cogliere le opportunità: per Chiaravalli, che nel 2022 ha tagliato il prestigioso traguardo del 70esimo dalla fondazione da parte di nonno Silvio, prima generazione, significa molteplici azioni. In primo luogo, riaffermare la propria identità con una riorganizzazione interna. Nel corso della sua storia, infatti, l’impresa, specializzata nella produzione e distribuzione di componenti per la trasmissione meccanica per praticamente tutti i settori dell’industria, si è evoluta e diversificata nel tempo, arrivando a rappresentare un vero e proprio Gruppo. Oggi la struttura di Chiaravalli passa da 4 divisioni, vere e proprie anime del business. La
L’impresa di Cavaria con Premezzo, specializzata nella produzione e distribuzione di componenti per la trasmissione meccanica, festeggia l’anniversario dei 70 anni di attività, guardando al futuro e puntando sulle persone e le loro unicità. Come spiega l’Amministratore Delegato, Andrea
Chiaravalli: “È la curiosità il motore che spinge a comprendere come stia cambiando il mondo e, di conseguenza, a mettere a fuoco non solo il ‘cosa’ vendiamo, ma anche ‘il come’ e ‘il perché’ lo
più storica è quella legata al settore industriale, dalla commercializzazione di prodotti di trasmissione meccanica fino ai riduttori, c’è poi la lavorazione di prodotti su richiesta specifica dei clienti e realizzati su misura, la Divisione Food che realizza lame per affettatrici per cui il Gruppo è leader assoluto di mercato, con i marchi Rasspe Blades e Klinger, oltre 30.000 lame prodotte ogni mese nello stabilimento di Jerago con Orago e vendute in 39 paesi e, infine, la Divisione Moto. Quest’ultima, probabilmente la più nota ad un pubblico di appassionati, è specializzata, oltre che nella vendita delle corone, adottate dalle più prestigiose e premiate case motociclistiche internazionali, anche nei prodotti e accessori per il settore. Con circa 300 persone impiegate nelle 5 sedi in provincia di Varese, di cui 3 produttive e 2 commerciali e logistiche, Chiaravalli rappresenta quindi un riferimento assoluto in diversi mercati. “In tutti questi settori, vogliamo raccontare la nostra nuova pelle: la nostra è
una storia di famiglia, passione e ingegno, che vogliamo far continuare a crescere, affermando una chiara identità unitaria. L’obiettivo è rimanere allineati alle esigenze in continuo cambiamento dei mercati”, spiega l’Amministratore Delegato. “Come raggiungere questi obiettivi? Con costante impegno. Con una continua innovazione che passa anche dall’informatizzazione dei processi, per arrivare ad un sistema di logistica avanzato che, da un lato, massimizza le prestazioni e dall’altro contribuisce a migliorare la sicurezza sul lavoro e il risparmio energetico. Temi che ci stanno molto a cuore. E, poi, migliorando continuamente il servizio ai clienti, anche personalizzato. E, ovviamente senza mai perdere di vista la qualità tecnica. Infine, con l’attenzione alle nostre persone”, precisa Andrea Chiaravalli. E in che modo si concretizza quest’ultimo punto? “Con una gestione più moderna delle risorse umane. Questo non significa che prima, con il nonno Silvio e poi con i figli Anna e mio padre Mario, ancora in azienda con
me, non ci fosse attenzione. Significa però che, forti di una consapevolezza nuova e delle responsabilità che il mondo e i contesti ci presentano, oggi questo fattore diventa il cuore di tutto il progetto. Una sfida che passa dalla sicurezza, dalla formazione, dall’investimento sui talenti, fino al sostegno di progetti del territorio. Privilegiamo iniziative con finalità benefiche o che abbiano risvolti sociali, come la recente collaborazione con Eolo Kometa Cycling Team o con la Varesina Calcio. Una sfida che passa anche dalla sostenibilità in senso lato. Se pensiamo solo alla sostenibilità più specificamente ambientale, un’azienda come la nostra può fare molto: dal nuovo impianto fotovoltaico che si stima genererà più di 300.000 kW annui alla scelta di abbandonare gli imballi in plastica in favore di carta riciclata e legno, che ha permesso di ridurre del 70% il consumo di plastica, alle piccole buone abitudini di tutti i giorni negli uffici”, chiosa l’Ad di Chiaravalli Group.
Un investimento di 30 milioni di euro per un totale di 150 nuovi posti di lavoro che si verranno a creare nell’immediato futuro. Questi gli elementi salienti dell’operazione dell’azienda meccanica di Germignaga che ha acquisito uno stabile di 16.000 metri quadrati, in disuso da ormai quasi 10 anni. Il tutto con un progetto di reindustrializzazione, presentato al Ministero dello Sviluppo Economico e sostenuto tramite bandi di Regione Lombardia, improntato alla sostenibilità
iù di quarant’anni di attività e la voglia costante di innovare e lasciare, in qualche modo, il segno del proprio passaggio. È con questi propositi che la Cumdi, storica azienda di Germignaga specializzata nella rettifica in tondo di cilindri in metallo duro, ha acquisito l’ex torcitura di Rancio Valcuvia. In mente, un ambizioso progetto di riqualifica. Presente dal 1979 nel tessuto manifatturiero dell’alto Varesotto, la Cumdi si è sempre distinta per la spinta all’innovazione e per la ricerca costante di nuove tecnologie, merito anche della direzione di Giuseppe Niesi, fondatore e Presidente dell’azienda. Nata come produttrice di micro-utensileria, la Cumdi si è poi spostata nella rettifica meccanica per la costruzione di pezzi in metallo duro, grazie ad un’intuizione dello stesso Niesi che ha capito come fosse fondamentale mettersi fra il produttore di metallo ed il costruttore di utensili, evitando così la fase di preparazione ed ottenendo un risparmio sia di tempo sia di investimenti. “Siamo un’azienda in continuo movimento. La ricerca incessante di tecnologie nuove che ci contraddistingue, fin dalla nostra nascita, ha creato nel tempo la necessità di avere ulteriori spazi fisici in cui poter lavorare”, spiega Niesi. Ed è così, un passo dopo l’altro, che la Cumdi è arrivata all’acquisizione, nell’agosto 2021, della storica ex torcitura di Rancio Valcuvia, stabile di oltre 16.000 metri quadrati in disuso da quasi 10 anni. Un’operazione del valore di oltre 30 milioni di euro, con tanto di progetto presentato al Ministero dello Sviluppo Economico e sostenuto tramite bandi di Regione Lombardia. “Il nostro proposito è quello di essere operativi già agli inizi di questa estate –racconta Fausto Pizzoni, Coordinatore Aziendale di Cumdi – con un primo reparto interamente dedicato alla costruzione dei macchinari utilizzati all’interno delle mura aziendali”. Una sorta di azienda laboratorio in cui l’innovazione regna sovrana, con
un’attenzione costante alla sostenibilità. A sorgere negli spazi abbandonati della torcitura saranno, dunque, macchine per la lavorazione di polveri metalliche riciclate. L’impresa di Germignaga è, infatti, riuscita ad ottenere la classificazione come sottoprodotto, dalla Camera di Commercio, di quello che in origine era riconosciuto come rifiuto speciale non pericoloso. E questo grazie all’utilizzo di una particolare tecnologia, che non impiega oli o emulsioni chimiche nei processi produttivi ed è in grado di rendere il riciclo del materiale più ottimale e veloce, evitando così ulteriori trattamenti chimici per il riuso di queste polveri metalliche. “Con questa tecnologia sviluppata in house, ora abbiamo a disposizione un sottoprodotto da poter vendere all’estero o riutilizzare internamente. Abbiamo scelto la seconda opzione, ovvero dare agli scarti una nuova vita. Tutto questo accadrà nello stabile di Rancio”, prosegue Pizzoni. L’utilizzo principale di queste polveri, infatti, sta nella riproduzione dei cilindretti di metallo duro, fondamentali per tutta la filiera delle rettificazioni, in cui Cumdi è specializzata.
Un futuro tutto già scritto, quindi,
quello dell’ex torcitura, che oltre ad accogliere un’officina meccanica e un sistema di riciclo, servirà anche alla realizzazione di mole diamantate, fondamentali per le operazioni di rettifica di materiali duri. Avendo già un brevetto sul posizionamento di questi utensili, e delle ricette speciali con i fornitori sulle loro costruzioni, l’intenzione dell’impresa è quella di portare questa tecnologia nella futura Cumdi 2.0, in modo da avere in un unico luogo tutta la catena di produzione di un prodotto. “Bisogna specificare però – continua Pizzoni – che qualcosa all’esterno vogliamo portarla, ma in un settore differente. La volontà è quella di utilizzare la stessa tecnica adoperata nelle macchine per la rettifica nella produzione di utensili finiti, inserendosi così in una nuova fetta di mercato”.
Ambizioni. Perseveranza. Innovazione. Queste le caratteristiche alla base del progetto di riqualifica realizzato dalla Cumdi che, anche a livello locale ed istituzionale, ha riscosso parecchio consenso. “Il destino dell’ex torcitura poteva essere differente – spiega Giorgio Piccolo, consulente dell’azienda –. Le possibilità tra cui scegliere erano un nuovo supermercato, un complesso residenziale che avrebbe privato di ulteriore verde la zona o addirittura quello di diventare l’ennesimo esempio di archeologia industriale. Tutto il progetto avrà una ricaduta sociale non indifferente, a partire dai 150 nuovi posti di lavoro che si verranno a creare. Ancora non abbiamo iniziato, ma già stiamo cercando le diverse figure professionali che ci serviranno per portare avanti questa ambiziosa progettualità”.
Un progetto notevole caratterizzato dalla sostenibilità ambientale, sociale ed economica che va veloce come le macchine della stessa Cumdi. “Quello che volevamo fare – conclude Niesi –era creare rumore e ci siamo riusciti. Domani ce ne sarà ancora di più e noi saremo pronti a stare al passo con l’innovazione, sempre di più”.
Un progetto di riqualifica che va controcorrente rispetto alla fase di deindustrializzazione che affligge negli ultimi anni il territorio dell’alto Varesotto. A sorgere negli spazi abbandonati della ex torcitura saranno, dunque, macchine per la lavorazione di polveri metalliche riciclate
Dalla valorizzazione delle diversità, all’assicurazione sulla vita per i dipendenti, con un occhio di riguardo per chi il percorso lavorativo lo sta per terminare: la volontà di creare condizioni migliori per tutti (ad ogni età) è alla base delle molte iniziative di welfare e benessere messe in atto dall’impresa varesina specializzata in infrastrutture elettriche e digitali dell’edificio
elfare e benessere sono due concetti connessi ma, in una visione più globale, è chiaro, come l’uno sia strumento essenziale per raggiungere l’altro”. È molto pragmatico Lucio Tubaro, Direttore delle Risorse Umane di BTicino nel sottolineare il valore, anche economico, dello stare bene in azienda. “Stare bene in azienda è essenziale ed è, ovviamente, alla base dello stare bene in ogni ambito della propria vita. Ma attenzione: non si tratta, o meglio non si tratta solo, di filantropia per un’impresa: chi sta bene in azienda lavora meglio e questo incide sulla produttività”. È questa convinzione che sta alla base di una visione aziendale, che si inserisce perfettamente nel dibattito
avviato tra le imprese varesine dal Progetto “PEOPLE, l’impresa di crescere insieme”, portato avanti da Confindustria Varese per sensibilizzare sui temi del welfare e della genitorialità. Una visione che BTicino, impresa varesina specializzata in infrastrutture elettriche e digitali dell’edificio, ha da sempre nel suo Dna e che, a voler guardare, è idealmente coerente con il core business di un marchio che aiuta le persone a vivere meglio e in modo più smart, superando ogni limite.
Ma in cosa consiste il progetto di
BTicino per le sue persone? “Sono tante e diverse le azioni che mettiamo in campo”, spiega Tubaro.
“Una delle prime è stata l’adesione, fin da subito, al progetto WHP - Workplace Health Promotion, promosso sul territorio da Confindustria Varese, ATS e Sindacati, per rendere le imprese luoghi di lavoro più sostenibili, in grado di migliorare la salute delle persone e di promuovere un più sano stile di vita. Il progetto ci ha permesso, partendo dalle sedi di Varese e Tradate, di portare in tutti gli altri uffici e stabilimenti in
Italia del Gruppo (BTicino fa parte della multinazionale Legrand, ndr.) alcune semplici e buone pratiche, con lo scopo che diventassero sane abitudini anche fuori dagli ambienti di lavoro. L’obiettivo è proprio fornire dentro l’azienda strumenti che influenzino positivamente gli ambienti esterni e si diffondano. E, per questo, è importante, prima di tutto, sensibilizzare ed educare alle buone abitudini. Pensiamo al tema del cibo o a quello del fumo: seppure non rientri tra le responsabilità di un’impresa, riteniamo sia importante informare i nostri collaboratori sui rischi di comportamenti scorretti. E siamo andati oltre al WHP, fornendo ad esempio la consulenza di un medico competente che aiutasse, nel concreto, chi volesse volontariamente
smettere di fumare”.
Sono quindi tante e strutturate le proposte messe in campo da BTicino, alcune più comuni, altre meno. “Un’iniziativa se non unica, sicuramente poco diffusa, è quella che abbiamo introdotto da un anno: l’assicurazione vita per tutti i dipendenti. Un costo importante per l’azienda e una significativa tutela verso i familiari dei nostri collaboratori, che va a garantire loro la copertura di una annualità di stipendio in caso di decesso del loro caro. Crediamo molto nel valore di questo progetto, ma sappiamo bene quanto il tema sia delicato: per questo abbiamo avviato una campagna di sensibilizzazione, con un progetto di comunicazione interno ad hoc, che spazia da comunicati a più riprese, fino ad un
Con BTicino continua il viaggio di Varesefocus tra le imprese impegnate in azioni di welfare aziendale, conciliazione lavoro-famiglia, sviluppo demografico, supporto alla genitorialità, inclusione di genere. Un racconto in linea con gli obiettivi del Progetto “PEOPLE, l’impresa di crescere insieme” lanciato da
Confindustria Varese per contribuire alla attrattività della provincia con una serie di iniziative accomunate da un filo conduttore: l’investimento e la valorizzazione delle persone. Per segnalare la storia della tua impresa scrivi a info@varesefocus.it. Per informazioni sul Progetto PEOPLE: www.confindustriavarese.it.
sistema di dipendenti ambassador. Questo perché in BTicino il messaggio non viene solo calato dall’alto, ma trasmesso da dipendente a dipendente, in un’ottica di condivisione di valore”, racconta Tubaro.
Così come la comunicazione attraverso degli ambassador, le iniziative di BTicino per le persone sembrerebbero tutte caratterizzate da un alto tasso di creatività: dal network Lei@BTicino pensato per favorire la riflessione sui temi della diversità di genere, alle proposte per l’inclusione delle persone diversamente abili, fino ad una più recente iniziativa per accompagnare i lavoratori in quello che è uno dei momenti più importanti della vita professionale, ovvero la pensione. “Abbiamo attivato un programma di accompagnamento al pensionamento, che tenga conto di tutti gli aspetti umani di questa fase di vita delicata. Per sintetizzare un’idea molto sfaccettata, alla base c’è la disponibilità a garantire un periodo di lavoro più flessibile, rispetto agli schemi classici e, previa compatibilità organizzativa, grazie alla riduzione di orario o alla possibilità di anticipare il termine, con un percorso su misura. Alla base, la volontà di creare condizioni migliori per tutti, dai talenti giovani a chi sta per uscire dal mondo del lavoro: l’attenzione di BTicino va a tutti”.
Avere competenze digitali 4.0 conviene. Mediamente, un lavoratore di un’impresa del Centro-Nord, con un know-how spiccato sui fronti della digitalizzazione, guadagna il 6% in più di un collega con un curriculum tradizionale. Un differenziale che nei lavoratori under 35, per alcune mansioni, arriva fino al 14%. È questo uno dei dati che emerge dall’Indagine Retributiva svolta dall’Ufficio Studi di Confindustria Varese in partnership con OD&M Consulting
Quanto devo pagare quella figura professionale che voglio inserire in azienda? I miei standard retributivi sono allineati alle condizioni del mercato del lavoro locale? Sono queste alcune delle domande che si pongono spesso imprenditori e manager. Ad aiutarli a dare le risposte giuste è uno strumento di analisi: l’Indagine Retributiva. Una pubblicazione redatta dall’Ufficio Studi di Confindustria Varese, tra la fine di luglio e la fine di settembre 2022, all’interno di un più ampio progetto in collaborazione con altre associazioni territoriali del Sistema Confindustria, tra cui, ad esempio, Assolombarda, Como, Bergamo, Torino, Cuneo, Vicenza, Verona e Unindustria Reggio Emilia (sostanzialmente il Centro-Nord) e in
partnership metodologica con OD&M Consulting, società specializzata nei sistemi di gestione delle risorse umane. I risultati dell’Indagine sono raccolti nel rapporto “La Mappa degli Stipendi 2022” che si compone di due parti.
La prima parte contiene le analisi sulla diffusione dello smart working e sui differenziali retributivi per livelli di qualifica e di competenze digitali. Queste analisi sono riferite all’intero campione, il Centro-Nord, delle associazioni imprenditoriali partecipanti, per un totale di 1.000 imprese con 230.000 dipendenti, per 72.000 dei quali sono state fornite dettagliate informazioni utili all’analisi. È, inoltre, presente un focus di OD&M Consulting sulle strategie di Human Resource Management.
Con riferimento a sei profili professionali in evoluzione verso l’industria 4.0 (progettisti prodotto,
responsabili di produzione, specialisti controllo di gestione, tecnici di manutenzione, tecnici di assistenza commerciale e specialisti di logistica) l’analisi mostra che i lavoratori con competenze digitali 4.0 percepiscono mediamente stipendi lievemente superiori (+6%) rispetto ai lavoratori con una job description tradizionale. Unica eccezione è il responsabile di produzione, mansione che registra stipendi inferiori (-3%) in quanto caratterizzata da altri fattori (come le capacità manageriali) più importanti per il compenso rispetto alle maggiori capacità tecnologiche. Se consideriamo la sola fascia degli under 35, nella quale è più trascurabile l’impatto dell’anzianità professionale sui livelli retributivi, il possesso di competenze digitali nel Centro-Nord si rivela ancora più determinante a livello di buste
paga per tutti e 6 i profili esaminati: il differenziale retributivo medio raggiunge il +8%, con punte del +14% tra i tecnici di manutenzione. Il focus a cura di OD&M sulle strategie di Hr Management si basa su dati raccolti attraverso due indagini complementari, una condotta tra le aziende e una tra i lavoratori. L’analisi mostra che, dal lato dei lavoratori, la leva economica della compensation (la busta paga per intenderci) rimane l’elemento più importante, ma ambiente di lavoro (ambiente fisico, stili di leadership, work-life balance e smart working), sviluppo (gestione della prestazione del collaboratore, formazione e piani predefiniti di carriera/sviluppo professionale) e welfare (benefit, piani di welfare aziendale e servizi orientati generalmente al wellbeing), sono ormai riconosciuti come elementi di valore in un concetto di ricompensa allargato, la cosiddetta “Total Reward”. La compensation è quindi condizione necessaria ma non sufficiente per attrarre, motivare e trattenere i
collaboratori migliori. Infatti, le imprese intervistate hanno dichiarano di aver intenzione di investire nel 2023 su tutte le quattro leve della “Total Reward”, con una particolare attenzione all’ambiente di lavoro. In generale, il focus di OD&M mostra come le imprese stiano gradualmente modificando le proprie politiche di gestione del personale, adottando non “solo” strategie più “ampie” sulle leve già menzionate, ma anche soluzioni di ascolto dei propri dipendenti e di cambiamento dei sistemi organizzativi. Il tema della flessibilità e del lavoro agile, sempre più diffuso, pone importanti sfide sul lavorare per obiettivi, in team, attraverso strumenti performanti e, quando si lavora in sede, di disporre di spazi non solo adeguati, ma anche belli e confortevoli.
La seconda parte del rapporto si concentra sullo specifico livello varesino, restringendo il campione di analisi ai dipendenti di aziende locate sul territorio provinciale o limitrofo. Sono stati presi in analisi 54 profili professionali, corrispondenti
a 54 schede che riportano per ogni profilo i dati retributivi 2022 rilevati sul mercato locale, differenziati per classe di età, anzianità professionale, genere e qualifica dei dipendenti. Sempre in un’ottica di analisi a 360 gradi, oltre alla retribuzione, sono analizzati la diffusione dei principali benefit; i differenziali retributivi per dimensione, settore (industria vs servizi) e grado di internazionalizzazione (aziende nazionali vs multinazionali) delle imprese; lo scostamento della retribuzione totale effettivamente percepita dal target. Per 9 profili con caratteristiche digitali (di cui 6 doppi, ossia con versione sia tradizionale sia 4.0), è inoltre proposta un’analisi ad hoc che esamina come sono valorizzate le competenze digitali in termini retributivi. È possibile acquistare l’intero Rapporto o le singole schede di profili professionali d’interesse attraverso Univa Servi, la società di servizi alle imprese di Confindustria Varese.
Non solo ristoranti ma anche mense, bar, reparti di produzione alimentare dei supermercati o piccoli pub. Le strade dopo un corso IeFP come Operatore della ristorazione o Operatore della produzione alimentare sono molte e diverse tra loro. Merito anche della versatilità del settore e del dialogo costante tra mondo scolastico e lavorativo.
Continua il viaggio di Varesefocus negli Istituti Professionali del territorio
Le pieghe sui cappelli dei cuochi rappresentano i mille modi in cui può essere cotto un uovo. Sodo, fritto, alla coque oppure in camicia. L’uovo, nella sua semplicità, si dimostra essere un alimento estremamente versatile e malleabile, che prende forma e vita in base alla decisione del cuoco: un po’ come, volendo proseguire nel parallelo gastronomico, il futuro scolastico per uno studente di terza media. In questo momento, infatti, i ragazzi e le ragazze delle scuole di Varese si trovano a dover scegliere quale tipo di forma o cottura dare al proprio percorso, con una scelta decisamente importante: quella dell’istituto superiore da frequentare dopo gli esami.
Negli ultimi anni, grazie a
personaggi del mondo dell’alta cucina e pasticceria come Carlo Cracco o Iginio Massari e a programmi televisivi noti al grande pubblico, come MasterChef o Quattro ristoranti, solo per fare alcuni esempi, l’interesse per il mondo della ristorazione è aumentato notevolmente, portando quasi un’intera generazione di giovani ad iscriversi a corsi professionali legati a questo gustoso universo.
Queste tipologie di percorsi scolastici si possono trovare all’interno degli IeFP (Istruzione e Formazione Professionale), ovvero corsi che prevedono una preparazione di carattere tecnico, della durata di 3 anni con possibilità di integrazione con un quarto e quinto anno, con una forte componente di formazione di carattere tecnico specifico, senza però
tralasciare la preparazione culturale. “L’attenzione rivolta ai ragazzi e alla formazione è dovuta alla metodologia del saper fare, legata a doppio filo ad una comunicazione diretta con il mondo del lavoro – spiega Mariagrazia Sferrazza, Coordinatrice corsi IeFP Fondazione Enaip Lombardia –. Le varie competenze sono, poi, sviluppate in base alla declinazione professionale di ciascuno studente e possono andare dall’aiuto cuoco, al gestore di sala bar fino al panificatore o al pasticciere”.
Grazie alla presenza di laboratori all’avanguardia, attrezzati con strumenti spesso donati direttamente dalle aziende, i ragazzi e le ragazze possono imparare le varie metodologie tecniche necessarie per poter operare nel mondo del lavoro. Come spiega Salvatore D’Arrigo,
Direttore Agenzia Formativa della
Provincia di Varese: “Noi portiamo avanti una sfida importante: quella che ogni studente trovi le proprie modalità per poter arrivare alla fine del percorso nel migliore dei modi. Circa il 15% dei ragazzi iscritti è affetto da disabilità e, grazie alla presenza di tutor e alle lezioni in laboratorio, si riesce a plasmare gli insegnamenti in base alle loro esigenze, portandoli poi fino all’inserimento in azienda”.
Il settore, estremamente variegato, offre un’ampia scelta di professioni tra cui specializzarsi e mantiene, allo stesso tempo, dinamica la didattica offerta dagli IeFP. Gli input esterni provenienti dal settore, infatti, condizionano fortemente i vari moduli di insegnamento, sia teorici che pratici, mantenendo sempre attuali gli apprendimenti. Altra occasione importante di miglioramento sono i momenti di socialità come la mensa, luogo in cui i ragazzi si divino tra cuochi, camerieri, baristi e commensali e simulano un ristorante. Questo permette di aumentare la capacità di osservazione degli insegnanti, ma anche dei ragazzi, che in maniera
più informale, riescono ad avere un feedback sul proprio operato da parte dei compagni di classe e dagli amici, ottenendo così un’occasione di valutazione collettiva.
Con gli insegnamenti appresi in laboratorio, gli studenti sono così preparati ad affrontare le quasi 250 ore annuali di stage in azienda o attività di ristorazione. Per il corso di panetteria e pasticcieria, ad esempio, i ragazzi possono frequentare il tirocinio nelle pasticcerie e panetterie del territorio. Per la ristorazione si passa dal piccolo pub, alle cucine più complete con vere e proprie brigate di cuochi con cui avere a che fare. Da non dimenticare sono anche le preparazioni alimentari da banco dei supermercati. “C’è una leggera difficoltà per il mondo dei bar. I ragazzi, minorenni, non possono lavorare oltre una certa ora. Questo ci ha portato a pensare ad una seconda opzione, come ad esempio le mense aziendali o i bar scolastici. Cerchiamo, nei 3 anni di scuola, di spaziare il più possibile tra i vari campi del settore”, conclude Donata Molon, Docente e Tutor Formazione Professionale in Fondazione Enaip Lombardia.
Al termine dei 3 anni gli studenti, a seconda dell’indirizzo scelto, possono ottenere la qualifica di Operatore della ristorazione: allestimento sala e somministrazione piatti e bevande; Operatore della ristorazione: preparazione degli alimenti e allestimento piatti; Operatore delle produzioni alimentari: lavorazione e produzione di pasticceria, pasta e prodotti da forno. Oltre alla Fondazione Enaip e al CFP di Varese, i corsi legati alla ristorazione si possono trovare in altri istituti scolastici della provincia, come l’Istituto Professionale Alberghiero De Filippi di Varese (di cui parleremo più approfonditamente nel prossimo articolo) e l’IISS G. Falcone di Gallarate. Chi fosse poi intenzionato a proseguire la propria formazione con un quarto anno, avrà la possibilità di ottenere la qualifica di Tecnico di Cucina o Pasticceria. Potendo così scegliere se frequentare un corso IFTS in Alta ristorazione e pasticceria, quinto anno integrativo che raffina gli insegnamenti appresi dai ragazzi e permette loro di avere uno sguardo più ampio su diversi campi della ristorazione, così da poter dare loro la tecnica migliore per cuocere il proprio uovo.
Chef, maître di sala, sommelier, ma anche manager, imprenditori ed esperti della comunicazione enogastronomica made in Italy. Queste le figure che si propone di formare la scuola De Filippi di Varese:
di istruzione e formazione professionale che prepara giovani talenti ad entrare a far parte dei team di esperti della cucina e dell’ospitalità, in Italia e all’estero
li Istituti di Istruzione e Formazione Professionale offrono percorsi formativi volti ad accompagnare i ragazzi e le ragazze nella maturazione delle loro competenze pratiche tramite il contributo delle aziende e dei professionisti del settore. Non devono e non vogliono paragonarsi ai Licei; l’obiettivo degli IeFP è quello di professionalizzare la loro preparazione per renderli pronti, fin da subito, ad entrare nel mondo del lavoro. Da qui, la stretta sinergia con le realtà imprenditoriali, fondamentali sia per le esperienze di apprendistato, sia per quelle di alternanza scuolalavoro, ormai ribattezzate Pcto,
ovvero ‘percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento’”. Così il Rettore dell’Istituto De Filippi, Giovanni Baggio, spiega lo scopo degli IeFP. Quella di cui è a capo è la scuola superiore, nata a Varese nel 1950, da un’idea di Monsignor Tarcisio Pigionatti e inaugurata nel 1967 come Collegio Arcivescovile Internazionale da Aldo Moro, allora Presidente del Consiglio. Nel 1986, poi, agli indirizzi liceali e tecnici è stata affiancata la Scuola Alberghiera fino a che nel 2020, l’Istituto, da sempre proprietà della diocesi di Milano, è stato acquisito da un club deal (forma di investimento diretto in imprese non quotate, realizzato da investitori privati esperti) di investitori istituzionali: AVM Gestioni
Sgr, primo azionista dell’operazione e Fondazione Social Venture Giordano Dell’Amore, braccio strategico ed operativo di Fondazione Cariplo nell’impact investing. È grazie a questi attori che la scuola ha ampliato
l’Istituto
l’offerta formativa proponendosi di plasmare professionisti, non solo in erba, ma anche già esperti del settore: dalla ristorazione all’hotellerie, dalla panificazione alla pasticceria, fino all’enologia e all’enogastronomia. Chef, maître di sala, sommelier, ma anche manager, imprenditori ed esperti della comunicazione enogastronomica made in Italy: sono alcuni degli sbocchi professionali che offre il De Filippi tra l’offerta formativa della Scuola Alberghiera e quella dei due Master in ospitalità e cucina italiana.
Nel primo caso si tratta di un percorso di istruzione secondaria superiore della durata di 5 anni che si propone di trasferire le competenze di base. Valorizzazione dei prodotti in ottica di sostenibilità ambientale, scienza degli alimenti, servizi enogastronomici, ma anche di sala e bar, accoglienza turistica e lingua francese. Questi alcuni degli insegnamenti nel calendario delle lezioni.
I Master in ospitalità e cucina italiana, invece, sono due percorsi di alta formazione dedicati non solo ai neodiplomati delle scuole alberghiere,
ma a tutti coloro che desiderano entrare nell’ambito della ristorazione e dell’hotellerie alle migliori condizioni. Entrambi hanno una durata di 5/6 mesi, tra 100 giorni di lezione e altri 100 di stage in aziende d’eccellenza, anche insignite delle stelle Michelin. Cracco, Grand Hotel Villa Serbelloni, Da Vittorio, Piazza Duomo di Enrico Crippa, per citarne alcuni. “È tramite realtà di questo calibro – sottolinea Cristian Cantaluppi, Consigliere di Amministrazione dell’Istituto –, che gli studenti hanno la possibilità, non solo di mostrare il loro talento e di acquisire altre tecniche direttamente dagli esperti del settore, ma anche di farsi strada nel mondo del lavoro, muovendo i primi passi al fianco di nomi illustri. I nostri Master aggiungono al curriculum dei ragazzi un titolo che permette di fare un certo salto di qualità, di responsabilità e anche di stipendio. Un valore che è dato dal buon connubio tra metodo formativo, programma di corso e docenti, nonché consulenti di quelle strutture stellate con cui collaboriamo. Il successo dei nostri ragazzi è dovuto anche a questo: all’elevata competenza degli insegnanti che orientano la
formazione sapendo esattamente cosa deve conoscere un giovane per accedere a determinati ambienti”.
Nello specifico, il corso di “Grande Ospitalità Italiana” si propone di aprire le porte ad aspiranti manager, maître ed imprenditori, di importanti hotel e ristoranti in Italia e nel mondo. Ma è rivolto anche a chi proviene da un altro settore e desidera cimentarsi in questo campo e, ancora, a coloro che puntano a fare un salto di professionalità nella gestione della propria struttura ricettiva. Il corso di “Grande Cucina Italiana” è dedicato, invece, a chi vuole accelerare o iniziare la carriera andando a lavorare tra i fornelli più celebri, entrando così a far parte di quelle brigate di cuochi che portano hotel e ristoranti ai livelli di eccellenza.
A completare l’offerta del De Filippi sono, poi, i cosiddetti “Expert in”: corsi di breve durata su argomenti specifici con l’obiettivo di valorizzare la professionalità di chi già lavora. Cucina molecolare, tecnica del sottovuoto, “Latte art” e customer experience. Questi, ad esempio, i temi proposti alle aziende che, come precisa Cristian Cantaluppi, “si rivolgono al De Filippi perché hanno bisogno di inserire, ma soprattutto, mantenere i talenti e il modo migliore per far fronte alla loro fuga è quello di renderli soddisfatti, facendo in modo che crescano professionalmente”.
Non è tutto. Il De Filippi ha in cantiere anche un nuovo percorso da affiancare alla Scuola Alberghiera a partire dall’anno accademico 2023/2024: il Liceo europeo della comunicazione enogastronomica. Si tratterà di un percorso di 4 anni volto a formare dei professionisti capaci di comunicare il made in Italy, valorizzando le specialità enogastronomiche, le peculiarità naturali, artistiche e sociali del territorio. Tra gli insegnamenti: storia dell’accoglienza e delle tradizioni della cucina, marketing, scienze naturali e degli alimenti, ma anche arte, folklore e tradizione.
l’iniziativa portata avanti in provincia dalla Piccola Industria di Confindustria Varese per avvicinare gli studenti, in procinto di scegliere a quale scuola superiore iscriversi, al mondo delle imprese
eguite le vostre passioni!”
Cambiano le generazioni, cambiano le metodologie dell’orientamento, anche causa forza maggiore (come l’avvento del Covid-19), cambiano le persone e le aziende coinvolte, ma il consiglio degli imprenditori ai ragazzi di terza media, che devono scegliere quale percorso di studi superiori intraprendere, resta sempre lo stesso: “Capite cosa vi piace e cercate un’occupazione che vi permetta di mettere in campo questa passione!” Questo è il principale suggerimento, quello che pur nella sua apparente semplicità, ciascuno, ad ogni età, dovrebbe
sempre tener presente. Ma non l’unico. Proprio per fornirne diversi, come da tradizione, Confindustria Varese ha organizzato nel mese di novembre, nell’ambito dell’iniziativa nazionale Pmi Day di Confindustria, un vero e proprio percorso dedicato agli studenti. Questi alcuni dei numeri dell’edizione 2022 del progetto: quasi 7.000 studenti di 297 classi da 56 scuole, 6 aziende coinvolte per altrettante visite aziendali virtuali e relative dirette di confronto con i ragazzi, 6 collegamenti da scuole del territorio. “Le nostre telecamere – ha spiegato Andrea Bonfanti, Presidente della Piccola Industria varesina, che promuove l’iniziativa – sono entrate nelle imprese per permettere ai ragazzi di scoprire
come funziona il mondo del lavoro, quali talenti servono, cosa occorre studiare e come ci si forma”. Le aziende protagoniste (Tiba Tricot di Castellanza, Fives Intralogistics di Lonate Pozzolo, Lazzati Industria Grafica di Casorate Sempione, Lindt & Sprungli di Induno Olona, Nardi Personal di Tradate e Vibram di Albizzate) rappresentano uno spaccato dell’economia del territorio. Brand e settori molto diversi, ma con un comune denominatore: l’essere espressione della bellezza del made in Italy, tema del #PmiDayVarese2022. Bellezza che caratterizza anche il lavoro stesso, come hanno cercato di far percepire i protagonisti delle imprese ai ragazzi con i loro suggerimenti.
“Scegliete il vostro percorso di studi seguendo quello che più vi piace, ma ricordatevi che non si smette mai di imparare”. I consigli di orientamento delle aziende del territorio ai ragazzi di terza media che hanno partecipato al Pmi Day varesino,
“La vostra aspettativa del futuro deve far sì che, qualsiasi percorso decidiate di intraprendere e traguardo conseguiate, sappiate che non dovete mai smettere di imparare: questa flessibilità significherà per voi essere sempre parte dell’innovazione” (Gianni Brugnoli, Tiba Tricot e Vicepresidente di Confindustria con delega al Capitale Umano).
“Quello che si sceglie di fare, ce lo portiamo avanti per tutta la vita: scegliete, quindi, quello che vi piace: prima o poi vi servirà. E cercate di imparare sempre, anche dagli altri. Creare un buon clima ed essere collaborativi fa la differenza” (Lorenzo Moroni, Fives Intralogistics).
“Bisogna sognare, guardare alle proprie passioni, mettersi in gioco e imparare da tutto. Ma bisogna anche essere realisti: sapere che non si spicca il volo da subito, ma si cresce gradino per gradino” (Laura Salmini, Lazzati Industria Grafica).
“La curiosità è fondamentale in ogni ambito e momento della vita e permetterà a ciascuno di cercare e trovare il bello ovunque. Figurarsi per chi, come noi, lavora dove si fa il prodotto più buono del mondo!” (Silvia Buizza e Vanessa Re, Lindt & Sprungli).
“Parlo partendo dalla mia esperienza personale: c’è una soddisfazione enorme nel fare un prodotto bello e che gli altri apprezzano. Questo vi distingue e fa sentire bene. Tenetelo a mente quando lavorerete!” (Lorenzo Cerofolini, Nardi Personal).
“Il consiglio è semplicemente quello più ovvio: studiate. Anche quello che ora vi sembra noioso, inutile e superfluo, tra dieci o vent’anni, vi accorgerete quanto abbia senso: vi arricchirà lo spirito e aprirà la mente” (Annalaura Gatto, Vibram).
Quale strada sta intraprendendo la green logistic? Ma soprattutto, le aziende a che punto sono? Hanno obiettivi dichiarati su questo fronte?
Lo studio portato avanti dal Green Transition Hub della LIUC – Università
Cattaneo di Castellanza, diretto dal Professor Alessandro Creazza, analizza il fenomeno, tra multinazionali e realtà manifatturiere del settore
Le multinazionali italiane sembrano aver raggiunto un buon livello di consapevolezza verso la sostenibilità e la logistica verde. Il 95%, infatti, ha obiettivi dichiarati che persegue nel tempo. Complici anche le logiche ESG (Environmental, Social e Governance) e le leggi promulgate a livello internazionale. Per le piccole e medie imprese, invece, la strada appare ancora lunga e a tratti impervia. Il 45% non ha, infatti, ancora preso in considerazione questo percorso di transizione ecologica. A fare la differenza tra azione e immobilismo, tuttavia, sembrerebbe una qualità su tutte: il lavoro svolto dal top management. Più un’azienda è di grandi dimensioni, più i ruoli dirigenziali sono in grado di trasmettere ai dipendenti gli obiettivi da perseguire entro un certo arco temporale. Le pressioni arrivano dai clienti, dai media e anche dal Governo, soprattutto nell’ottica di rispettare i goal prestabiliti dall’Agenda 2030 dell’Onu. “Le realtà che scelgono questa strada adottano diverse misure – racconta Alessandro Creazza, Direttore del Green Transition Hub della LIUC –Università Cattaneo –. Si progettano e impiegano imballi riciclabili, che utilizzano materiali compostabili, non plastici e poco impattanti sull’ambiente”. Una soluzione green per trasportare gli oggetti, per esempio, è utilizzare le cassette della frutta che, una volta lavate e sanificate, grazie alla caratteristica di poter essere schiacciate, andranno ad occupare poco spazio all’interno dei camion. “Così si possono caricare molto di più i mezzi, con
il conseguente risultato di riuscire a trasportare più prodotti e meno aria. In questo modo si ottimizzano i viaggi e si riducono emissioni e costi”.
Dall’analisi sulle attuali soluzioni tecnologico-organizzative adottate in tema di imballaggi, trasporto, magazzini e supply chain dell’Hub dell’ateneo di Castellanza, emerge che le multinazionali sono più avanti rispetto alle piccole e medie imprese. Per quanto riguarda, invece, la tipologia di settore, con il 53% delle realtà logistiche con obiettivi dichiarati, il comparto supera quello manifatturiero dove la percentuale scende al 40%. “Questo trend dipende dal fatto che nel manifatturiero il peso delle Pmi è molto elevato, a questo si aggiungono anche motivi di gestione interna –continua Creazza –. Le grandi realtà sono obbligate a redigere il bilancio di sostenibilità e questo le rende più avvantaggiate”. Una cosa, però, accomuna tutte le imprese, grandi o piccole che siano e indipendentemente dal settore di appartenenza: la necessità, specialmente di questi tempi, di ridurre i costi energetici. “La maggior parte degli interventi sostenibili sono volti a ridurre i consumi, soprattutto nei magazzini. È preferibile istallare pannelli fotovoltaici e sistemi di produzione di energia alternativa oppure sostituire gli impianti di illuminazione con sensori di movimento e luci a led”, precisa di nuovo Creazza. Sono molto utili anche i contatori e i sistemi di controllo o monitoraggio per conoscere in tempo reale il consumo e attuare, di conseguenza, azioni volte a ottimizzare gli sprechi e gli eccessi nei magazzini.
“Progettazione delle unità di
carico per saturare i mezzi, ridurre le percorrenze a vuoto – specifica il Professor Creazza –, sono tutte azioni che aiutano le imprese ad abbattere i costi”. Funziona bene anche il sistema di collaborazione che permette di accordarsi per sincronizzare le consegne con i clienti e ridurre i tempi di attesa dei camion nei magazzini, insieme alla condivisione di informazioni per migliorare la pianificazione dei viaggi. Ma studiare soluzioni di magazzino per diminuire i consumi o valutare trasporti alternativi alla strada non basta.
“C’è ancora, purtroppo, una bassa attenzione verso la formazione delle risorse umane – informa Alessandro Creazza –. L’eco-driving, ovvero la formazione per autisti al fine di imparare a guidare meglio per ridurre i consumi è un fenomeno ancora troppo poco diffuso”.
Quello che ostacola le azioni delle imprese, poi, è la scarsa misurazione delle prestazioni sostenibili. “Solo il 38% delle realtà rispondenti misura le proprie prestazioni ambientali. Il trasporto è il settore che viene più misurato. Mentre le Pmi ancora non sono abituate a farlo, non adottano particolari modelli o fissano specifici Kpi (Indicatore chiave di prestazione, ndr.)”, chiosa Creazza.
Cattaneo:
“Per trasportare gli oggetti, per esempio, si possono utilizzare le cassette della frutta che, una volta lavate e sanificate, grazie alla caratteristica di poter essere schiacciate, occupano poco spazio all’interno dei camion”Alessandro Creazza
Un documento di 50 pagine che racchiude punti di forza e di debolezza dell’ateneo per delineare strategie e programmi, con l’obiettivo di abbattere qualsiasi ostacolo alla realizzazione della parità uomo/donna sia in ambito universitario, sia in quello lavorativo. A raccontare questa pubblicazione, la Professoressa Barbara Pozzo, Delegata del Rettore per l’Uguaglianza di Genere e le Pari Opportunità dell’Università varesina
Le ragazze preferiscono discipline umanistiche, artistiche, sanitarie e quelle legate all’assistenza sociale. Hanno performance universitarie migliori e sono meno frequentemente interessate da fenomeni di abbandono degli studi. Di contro, però, un dato allarmante:
solo il 9,2% delle studentesse sono iscritte ad un corso in Tecnologie dell’Informazione e
della Comunicazione (ITC). Anche dal punto di vista retributivo e occupazionale c’è molto lavoro da fare per tentare di chiudere la forbice tra femmine e maschi. A scattare questa fotografia è il primo Bilancio di Genere presentato dall’Università degli Studi dell’Insubria di Varese.
In una cinquantina di pagine sono racchiusi punti di forza e di debolezza dell’ateneo varesino per delineare strategie
e programmi con l’obiettivo di abbattere qualsiasi ostacolo alla realizzazione delle pari opportunità sia nell’ambito universitario, sia in quello lavorativo. “È il primo sforzo nel processo di analisi, presa di coscienza e promozione delle dinamiche di genere all’interno dell’ateneo – racconta Barbara Pozzo, Delegata del Rettore per l’Uguaglianza di Genere e le Pari Opportunità dell’Insubria –. È un lungo percorso quello che ha portato all’elaborazione del Bilancio, che viene a concretizzare quel principio di parità di genere che, formulato in linea astratta nei Trattati internazionali e nelle Carte costituzionali, ha spesso bisogno di strumenti efficaci e stringenti per passare da ‘law in the books’ a ‘law in action’ (in altre parole, passare dalla teoria alla pratica, ndr)”.
Il documento, che si ispira alle linee guida prestabilite dalla Crui, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, fornisce un quadro complessivo delle varie iniziative portate avanti dall’Insubria sulle problematiche di genere, per sensibilizzare studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo verso questi temi. Ma non solo. Il Bilancio di Genere dell’Università varesina è anche un vero e proprio strumento di monitoraggio costante degli effetti prodotti dalle politiche, misure e azioni positive messe in
campo dall’ateneo.
“Mentre nelle aree umanistiche, artistiche e sanitarie, la presenza di donne è fortemente concentrata e quella degli uomini risulta più debole (al di sotto del 25%) –specifica la Professoressa Pozzo –, nell’area ITC il numero di studentesse è praticamente inesistente”. A far perdere terreno alle ragazze, secondo il Bilancio di Genere dell’Insubria, è anche l’ingresso nel mercato del lavoro dopo la laurea: “C’è uno svantaggio sia in termini occupazionali, sia in termini retributivi”, ci tiene a sottolineare Pozzo. Il tasso di occupazione dei laureati nel 2020, ad un anno dal conseguimento del titolo, è dell’88,4% per gli uomini e dell’84,5% per le donne. Situazione che si riflette anche nelle retribuzioni. Se uno studente maschio, ad un anno dalla laurea, guadagna circa 2.361 euro, una studentessa femmina, invece, arriva a soli 2.000 euro.
“L’unica eccezione riguarda le
laureate nei corsi a ciclo unico come Giurisprudenza, Medicina e chirurgia, Odontoiatria e protesi dentaria, che risultano in media più occupate e meglio retribuite dei colleghi”. Osservazioni e criticità ce ne sono. Punti di debolezza sui quali lavorare anche. Non mancano, però, i punti di forza. I dati sono complessivamente in linea con la media nazionale, con il 24,4% delle classi di corso neutre rispetto alla prevalenza di un genere a fronte del dato nazionale del 25,9%. “Abbiamo analizzato anche i coinvolgimenti nei programmi di scambio internazionale e le performance negli studi – sottolinea Pozzo –. Le donne sono più frequentemente coinvolte negli scambi all’estero in entrata e in uscita. Le studentesse rappresentano in media il 60% degli studenti in uscita dal 2017. Inoltre, hanno performance migliori a tutti i livelli e sono meno frequentemente interessate da fenomeni di abbandono scolastico”. Nel 2020, il 17,21% dei ragazzi si è laureato con
110 e lode, contro il 19,84% delle donne.
Nel Bilancio, anche un rendiconto di tutte le iniziative portate avanti dall’ateneo. Per questo primo anno, “si è scelto di lavorare sul fronte interno, iniziando ad affrontare quelle tematiche trasversali che riguardano tutti gli ambiti e tutte le persone che lavorano e studiano in Università – conclude la Professoressa Pozzo –. Sul fronte esterno, l’obiettivo è quello di investire su diverse attività”. Incontri e seminari aperti a tutto il mondo universitario per affrontare il tema del ruolo dei pregiudizi impliciti nelle politiche di genere, sondaggi, stesura di Linee Guida che possano essere utili al fine di rendere il linguaggio usato più inclusivo e rispettoso della parità di genere, ricerca sulla transizione ecologica e condizione delle donne nel mercato del lavoro, insieme ad attività di orientamento e placement. Questi i prossimi passi che metterà in campo l’Università dell’Insubria.
Luca Massi Davvero stiamo già leggendo testi non redatti da esseri umani? Sareste in grado di riconoscere un contenuto prodotto artificialmente? Quali conseguenze può avere tutto ciò nel dibattito pubblico e quali i rischi per la società? Per fugare ogni dubbio, Varesefocus ha “intervistato” ChatGPT, un software basato sul motore di OpenAI, specializzato nella conversazione con un utente umano. Ai lettori trovare le differenze
L’Intelligenza artificiale (AI) è ormai tra noi, anche se non ce ne accorgiamo. Abbiamo a che fare con contenuti originati o mediati da un motore di Intelligenza artificiale ogni giorno. Basti pensare ai programmi di intrattenimento trasmessi in televisione che sempre più spesso fanno uso dei cosiddetti “deep fake” in grado di simulare, in modo sempre più convincente, voce e volto di personaggi noti. Anche gli sviluppatori di software o compositori di brani musicali ormai affidano sempre più spesso alcuni aspetti routinari e preliminari del proprio lavoro a specifici motori AI in grado di produrre solide basi su cui impostare il successivo lavoro di affinamento. La stessa cosa avviene con contenuti grafici
che vengono elaborati o addirittura prodotti da o insieme a strumenti di AI. Del resto, l’esperienza dell’uso di filtri, gadget, realtà aumentata è ormai a disposizione di tutti nell’uso quotidiano di smartphone o pc, ma c’è un aspetto che sta letteralmente dilagando nel dibattito in rete: la produzione di contenuti per blog e siti Internet da parte dell’Intelligenza artificiale. Davvero stiamo già leggendo articoli non scritti da un essere umano? Quali conseguenze può avere tutto ciò nel dibattito pubblico e quali sono i rischi per la società? Siamo andati alla fonte, intervistando direttamente ChatGPT, un software basato sul motore di AI di OpenAI, lanciato a fine novembre 2022 e specializzato nella conversazione con un utente umano. Notare bene: tutti i testi generati da ChatGPT in
questa “intervista” non sono stati in alcun modo editati o corretti.
Parliamo dei blog che utilizzano l’Intelligenza artificiale per la creazione di contenuti.
I blog che utilizzano l’Intelligenza artificiale per la creazione di contenuti sono un fenomeno relativamente nuovo, ma già in espansione. In questo tipo di blog, l’Intelligenza artificiale viene utilizzata per generare articoli o post che hanno come argomento una specifica tematica. L’utilizzo dell’Intelligenza artificiale per la creazione di contenuti ha alcuni vantaggi. Innanzitutto, permette di generare una quantità molto elevata di contenuti in poco tempo, il che può essere utile per chi gestisce un blog che richiede una frequenza di pubblicazione elevata. Inoltre,
l’Intelligenza artificiale può essere utilizzata per creare contenuti di alta qualità, in quanto è in grado di analizzare una grande quantità di dati e di selezionare le informazioni più rilevanti per il tema trattato. Tuttavia, ci sono anche alcuni svantaggi nell’utilizzo dell’Intelligenza artificiale per la creazione di contenuti. Innanzitutto, è importante sottolineare che gli articoli generati dall’Intelligenza artificiale non hanno la stessa
qualità di quelli scritti da un essere umano, in quanto mancano della creatività e della personalità che solo un essere umano può mettere in un testo. Inoltre, l’utilizzo dell’Intelligenza artificiale per la creazione di contenuti può avere un impatto negativo sulla qualità del lavoro dei giornalisti e degli scrittori, poiché potrebbe ridurre la domanda di contenuti scritti da esseri umani. In ogni caso, è importante sottolineare che l’Intelligenza artificiale può essere uno strumento
utile per la creazione di contenuti, ma non può sostituire completamente il lavoro degli esseri umani.
È possibile utilizzare l’Intelligenza artificiale per generare anche immagini o contenuti artistici?
L’Intelligenza artificiale può essere utilizzata per creare immagini e opere d’arte in diversi modi. Ad esempio, ci sono programmi di Intelligenza artificiale che possono generare immagini o opere d’arte
in base a un certo insieme di parametri o di regole predefinite. Altri programmi possono essere addestrati utilizzando un gran numero di esempi di immagini o opere d’arte, in modo da poter creare nuove immagini o opere d’arte che presentino caratteristiche simili a quelle degli esempi utilizzati per l’addestramento. Inoltre, l’Intelligenza artificiale può essere utilizzata per analizzare e interpretare opere d’arte esistenti, offrendo nuove prospettive o interpretazioni. Tuttavia, è importante notare che l’Intelligenza artificiale non può sostituire la creatività umana e il talento artistico. Le opere d’arte generate da programmi di Intelligenza artificiale possono essere interessanti o sorprendenti, ma difficilmente possono raggiungere la profondità e la complessità delle opere create dall’uomo. L’Intelligenza artificiale può essere uno strumento utile per gli artisti, ma non può sostituire la loro creatività e il loro talento.
Quali sono i rischi nell’utilizzare in modo acritico l’Intelligenza artificiale nella generazione di contenuti?
Ci sono alcune considerazioni da tenere in mente quando si utilizza l’Intelligenza artificiale per scrivere contenuti per il web. Ad esempio, è importante assicurarsi che il contenuto generato dall’Intelligenza artificiale sia coerente e comprensibile per gli utenti, in modo da poter essere facilmente compreso e utilizzato. Inoltre, è importante fare in modo che il contenuto generato dall’Intelligenza artificiale sia originale e non copiato da altre fonti, per evitare problemi di plagio o di violazione dei diritti d’autore. Inoltre, è importante notare che l’utilizzo di Intelligenza artificiale per generare contenuti può avere implicazioni etiche e legali da considerare. Ad esempio, potrebbe esserci il rischio che il contenuto
generato dall’Intelligenza artificiale venga utilizzato in modo fraudolento o ingannevole. È importante essere consapevoli di queste questioni e adottare misure per minimizzare i rischi associati all’utilizzo dell’Intelligenza artificiale per la creazione di contenuti.
Da qui in avanti riprendiamo noi la penna in mano. Gli addetti ai lavori si interrogano su quanto davvero i testi generati dalle chatbot siano riconoscibili rispetto a quelli scritti da esseri umani. Copywriter, grafici e giornalisti digitali saranno sostituibili da un “grande fratello” in grado di produrre infiniti contenuti su qualsiasi argomento? Gli esperti, tuttavia, tendono a rassicurare. Siamo infatti ancora lontani dal disporre di motori AI in grado di generare contenuti totalmente affidabili, veritieri e soprattutto non distinguibili
dalla produzione umana. Resta da chiedersi per quanto tempo ancora. Un celebre motore di ricerca ha acquisito infatti le necessarie licenze e pare che inizierà a rispondere agli utenti non più solo con un elenco di siti dove trovare l’informazione richiesta, ma anche con delle risposte puntuali che possono evitarci di aprire altre pagine (attualmente funestate da pubblicità, dark pattern, privacy & cookies banner). In questo scenario rischiano di essere messe in difficoltà intere filiere economiche legate al digital marketing, ma soprattutto a subire un ennesimo attacco potrebbe essere il pluralismo dell’informazione. Diventa perciò cruciale che l’algoritmo che governa l’apprendimento di questi motori d’Intelligenza artificiale sia per quanto possibile trasparente ed etico.
“Le decisioni, anche le più importanti come quelle in ambito medico, economico o sociale, sono oggi il frutto di volere umano e di una serie di contributi algoritmici”. “La vita umana”, quindi, “viene a trovarsi al punto di convergenza tra l’apporto propriamente umano e il calcolo automatico, cosicché risulta sempre più complesso comprenderne l’oggetto, prevederne gli effetti, definirne le responsabilità”. Sono le parole di monsignor Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita a testimoniare come, con la diffusione dell’uso dell’Intelligenza artificiale, stiano diventando sempre più di drammatica attualità temi affrontati in precedenza solo come lontani ipotetici scenari. A margine di tutto ciò, nasce GPTZero, il sito Internet in grado di analizzare un testo e comunicarci il suo livello di “perplessità” sul fatto che sia stato generato da ChatGPT. È stato creato soprattutto a supporto degli insegnanti, potenziali “vittime” di elaborati sintetici spacciati per autografi. Lo abbiamo provato con la nostra intervista e possiamo garantire che funziona. La guerra delle parole è appena iniziata.
L’Intelligenza artificiale (AI) è ormai tra noi, anche se non ce ne accorgiamo. Abbiamo a che fare con contenuti originati o mediati da un motore di Intelligenza artificiale ogni giorno. Basti pensare ai programmi di intrattenimento trasmessi in televisione che sempre più spesso fanno uso dei cosiddetti “deep fake” in grado di simulare, in modo sempre più convincente, voce e volto di personaggi noti
Sono 6.000 le Comunità energetiche rinnovabili che potrebbero nascere nei prossimi 5 anni. Questa l’aspirazione di Regione Lombardia per il futuro. Un risultato che, se applicato su scala nazionale, con un’organizzazione reale ed efficiente su tutto il territorio, potrebbe garantire quasi la metà dell’intero fabbisogno di energia del Paese. Sembra, però, che l’Italia sia ancora distante da questo obiettivo: le testimonianze di Elmec Solar e del Lombardy Energy Cleantech Cluster
Sono in grado di abbattere i costi energetici in bolletta e di ridurre le emissioni di anidride carbonica grazie all’energia prodotta da fonti a basso impatto ambientale, ma soprattutto potrebbero avere la potenzialità di garantire fino al 45% del fabbisogno energetico dell’intera Nazione. Sono le Cer, più comunemente conosciute come Comunità energetiche rinnovabili e questa percentuale è il dato rilevato nell’ultima edizione del Barometro del Fotovoltaico: l’analisi sulla situazione del mercato italiano dell’energia solare di Elmec Solar, l’azienda, con sede a Brunello, che si occupa di sostenibilità energetica. Sono 6.000 le Cer che, secondo Regione Lombardia, potrebbero nascere nei prossimi 5 anni. Ma di cosa si tratta nel concreto? Di modelli di autoconsumo costituiti dalla sinergia tra persone fisiche, Pmi e autorità. L’obiettivo: generare, tramite l’installazione e la condivisione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, benefici ambientali, economici e sociali, come, ad esempio, la riduzione dei costi e delle emissioni di gas serra. Si tratta di vantaggi tangibili che sono emersi anche dalla best practice della neocostituita filiera denominata “Transizione verso l’ecosistema delle Comunità Energetiche Rinnovabili”: una realtà composta esclusivamente da aziende lombarde, riconosciuta da Regione Lombardia e supportata dal Lombardy Energy Cleantech Cluster (di cui abbiamo parlato approfonditamente nelle pagine del focus di questo numero).
“La crisi che stiamo affrontando può rappresentare, per il sistema industriale regionale, una vera opportunità di transizione verso una maggiore indipendenza e sostenibilità economica energetica e le Cer rispondono a queste esigenze – spiega il Segretario Generale di Confindustria Lombardia, Dario Voltattorni –. Con questi
presupposti, l’obiettivo della Regione della creazione di 6.000 comunità nei prossimi 5 anni, tramite il supporto del sistema industriale, è realisticamente conseguibile. La loro costituzione può rappresentare un ulteriore strumento per attrarre imprese e investimenti esteri sul territorio lombardo”.
Attraverso l’autoproduzione e la condivisione di energia, infatti, tutti gli attori coinvolti, sia pubblici, sia privati, possono godere dei benefici. Purché siano prosumer (profili di produzione e di consumo) differenti. Dall’impresa attiva solo di giorno e chiusa durante i festivi, alle famiglie che spendono energia in fasce orarie opposte, fino ad altri enti come, ad esempio, le aziende ospedaliere che hanno un profilo di consumo ancora diverso. Questo perché per avere un reale impatto positivo sul sistema, l’energia deve essere sfruttata nel preciso momento in cui viene prodotta.
Ecco perché le Cer non sono da considerarsi solo delle reti di autoconsumo, ma delle vere e proprie risorse strategiche capaci di rispondere al fabbisogno collettivo di energia. Locale, ma, perché no, anche nazionale. Ciò che mette nero su bianco Elmec Solar nell’analisi sul fotovoltaico è proprio questo: basterebbe un’organizzazione reale ed efficiente di comunità energetiche su tutto il territorio per garantire quasi la metà dell’intero fabbisogno del Paese.
Sembra, però, che l’Italia sia ancora distante da questo obiettivo. Secondo l’ultima rielaborazione, sempre dell’impresa di Brunello, dei dati pubblicati da Legambiente, infatti, sono solo 16, delle 100 mappate a giugno 2022, le Cer che sono riuscite a completare l’iter burocratico di attivazione previsto dal Gse, il Gestore dei servizi energetici. Di queste 16, poi, solamente 3 hanno ricevuto i primi incentivi statali. Un gap, questo, dovuto alla mancanza di adeguati
decreti attuativi che consentano alle comunità energetiche rinnovabili di raggiungere una potenza pari a 1 Megawatt e che, dunque, frena lo sviluppo di un importante asset del Paese: l’approvvigionamento energetico.
Quello di Elmec Solar è quindi un appello affinché il tema delle Cer entri nell’agenda politica prima di subito: “In Italia è necessario colmare rapidamente questo ritardo sul piano legislativo che acuisce la sofferenza del sistema Paese, visti i prezzi dell’energia elettrica mai così alti prima d’ora – afferma Alessandro Villa, Amministratore Delegato di Elmec Solar –. Le comunità energetiche possono rappresentare una reale opportunità per le aziende, ma anche per il territorio, per gli utenti privati e gli enti pubblici al fine di raggiungere il prima possibile il benessere di cui abbiamo bisogno come cittadini, nel rispetto del pianeta e dell’ambiente in cui viviamo. Si tratta di un cambio necessario, soprattutto in vista del raggiungimento degli ambiziosi e importanti, ma improcrastinabili, obiettivi di riduzione dell’impronta negativa che l’uomo sta lasciando sul pianeta. Un passaggio che ci deve vedere tutti allineati e sinergici nel portare avanti progetti come quello delle comunità energetiche rinnovabili”. D’accordo con l’Ad di Elmec Solar, anche il Presidente del Lombardy Energy Cleantech Cluster, Luca Donelli, che in merito alla best practice della filiera lombarda, precisa: “Il risultato raggiunto, seppur importante, rappresenta, solo un primo passo. Per incrementare il più possibile il meccanismo delle Cer, a livello sia regionale sia nazionale, bisogna uscire dall’attuale regime transitorio e accelerare il processo verso l’approvazione dei decreti attuativi, fondamentali per la diffusione delle Comunità energetiche in Lombardia”.
La rinascita
del Chiostro
di Voltorre
Il Giro del Sole
e della Luna
ad Agra
“Tesori nascosti”
al Castello
di Masnago
Riapre al pubblico e agli eventi, dopo quasi tre anni di chiusura forzata, il complesso costruito in epoca medioevale che comprende una chiesa dedicata a San Michele insieme ad un massiccio campanile del XII secolo. Molte le iniziative e i progetti in programma, tra cui anche giornate dedicate ai più piccoli e la possibilità di convolare a nozze
Acquisito dalla Provincia di Varese nel 1954, il Chiostro di Voltorre è sicuramente uno dei luoghi più suggestivi e interessanti del Varesotto. Il suo complesso fu costruito in epoca medioevale, inizialmente con la sola chiesa dell’XI secolo dedicata a San Michele, per poi proseguire nel XII secolo con la costruzione del Chiostro e della torre: la prima si fa risalire a Lanfranco da Ligurno, uno scultore locale, vissuto alla fine del XII secolo, a cui si deve anche la realizzazione della Chiesa di Santa Maria del Monte. Il tutto testimoniato dalla sua firma su di un capitello sul lato orientale del Chiostro, accompagnata dalla scritta “magister”: questo fa pensare che, con ogni probabilità, sia stato proprio Lanfranco da Ligurno il progettista dell’intero edificio. Accanto al Chiostro, che in origine faceva parte del complesso monastico di Voltorre dipendente dalla potente Abbazia di Fruttuaria, si erge in
Tra le varie attività del Chiostro, oltre alle iniziative pensate ed organizzate dalle associazioni, sono in cantiere anche collaborazioni con le scuole, sia a scopo didattico sia per la realizzazione di recite. Per le scuole medie, per esempio, proprio in questo spazio, è andato in scena un incontro per l’orientamento di arti e mestieri
tutta la sua imponenza un massiccio campanile del XII secolo. Il periodo di massimo splendore del Chiostro di Voltorre fu il XIII secolo, dopo il quale cominciò un lento declino, fino a diventare, sotto l’ordine agostiniano dei Canonici Lateranensi, una vera e propria azienda agricola. Alla fine del 1700, il governo francese mise in vendita tutta l’area che divenne residenza rurale e deposito di attrezzi agricoli. Bisognò aspettare la fine del 1800 per un parziale recupero degli edifici, interrotto poi nel 1913 a seguito di un incendio. Fu con la Provincia di Varese che riprese il lavoro di restauro, oggi ultimato, con la ristrutturazione della chiesa dedicata a San Michele Arcangelo. Dopo quasi tre anni di fermo, dovuti prima alla fine della precedente convenzione e poi alla pandemia, le attività del Chiostro hanno ripreso con slancio, già a partire dal mese di giugno del 2022, grazie ad una collaborazione tra la Provincia di Varese e il Comune di Gavirate. Attualmente, tutti gli spazi sono dedicati ad attività culturali ed espositive. “Ci tenevamo molto a prendere in mano la gestione di questo complesso. È stato un accordo lungo e laborioso, ma di reciproca soddisfazione; per la nostra proposta, ci siamo ispirati alla gestione del Chiostro di Cairate, ma seguendo una linea un po’ diversa – racconta il Vicesindaco di Gavirate, Massimo Parola –. Abbiamo pensato di individuare delle aree di interesse e su queste abbiamo indetto dei bandi”.
A vincerli sono state cinque associazioni (Ambito Sociale: Associazione
Progetto Rughe di Gavirate; Ambito Cultura: CCS - Collettivo Cultura e Sport
di Gavirate e Associazione Sinopia di Gavirate; Ambito Ambiente: Associazione Altrementi di Varese; Ambito Promozione turistica del territorio: Pro Gavirate), che, a loro volta, hanno stretto altre collaborazioni. “Questo per garantire un’offerta differenziata e assicurare l’apertura del Chiostro tutti i fine settimana. Per ogni iniziativa in calendario, la programmazione viene coordinata da Letizia Antonello, Direttrice della Biblioteca di Gavirate e da un comitato
scientifico”, precisa di nuovo Parola. Tra le varie attività del Chiostro, oltre alle iniziative pensate ed organizzate dalle associazioni, sono in cantiere anche collaborazioni con le scuole, sia a scopo didattico sia per la realizzazione di recite. Per le scuole medie, per esempio, proprio in questo spazio, è andato in scena un incontro per l’orientamento di arti e mestieri. Valeria Cavalieri del Comune di Gavirate racconta con orgoglio: “Siamo anche riusciti a far riconoscere il Chiostro come luogo celebrativo di matrimoni, che possono svolgersi sia all’interno del Chiostro stesso, sia nella sala capitolare. Per chi decide, invece, di voler convolare a nozze nella adiacente Chiesa di San Michele, dietro compenso, sarà possibile scattare
delle fotografie all’interno del Chiostro”. Al momento, le attività sono ferme e riprenderanno tra il mese di marzo e quello di aprile. Per chi volesse visitarlo, si trova nell’omonima frazione del Comune di Gavirate, a ridosso della Strada provinciale Sp1 ed è raggiungibile in auto oppure anche dalla pista ciclo-pedonale del Lago di Varese, all’altezza del chilometro 20,5 circa, attraverso un’apposita deviazione al tracciato.
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spiega Luigi Corti. “In questo momento la protezione del dato è centrale per le imprese e per la normativa. Da subito, la nostra azienda si è attivata per operare in conformità con i più rigidi e utilizzati sistemi di lavoro europei. Nel gennaio 2010 siamo stati i primi in Italia ad ottenere la certificazione di qualità ISO 9001:2008 e la certificazione UNI:EN 15713:2009 Secure destruction of confidential material. Quello è stato il punto di partenza per raggiungere l’obiettivo di offrire al cliente la massima garanzia e una policy rigorosa e chiara per ogni stadio del processo. Prioritaria, inoltre, è l’attenzione alla sostenibilità per assicurare, anche nella fase dello smaltimento, un processo a regola d’arte”.
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A fare da guida ai piccoli esploratori, nella scoperta della provincia di Varese, sono i libricini stampati da La Tipografica Varese ed illustrati da Morgana Bartolomei per l’impresa sociale Archeologistics. Obiettivo: guidare grandi e piccini attraverso le bellezze culturali e naturalistiche della Città Giardino e non solo, partendo dall’Isolino Virginia fino ad arrivare al Sacro Monte e a Besano. Con ciceroni illustri e d’eccezione, come Andrea Ponti, Giovan Battista Aguggiari e Joseph Toeplitz
In viaggio con tutta la famiglia per scoprire bellezze culturali e non solo del territorio? Perché no: potrebbe essere questa una nuova lente con la quale leggere l’attrattività del Varesotto che, coniugando arte, cultura e natura può essere considerata a tutti gli effetti un’ottima meta per famiglie in cerca di relax e proposte stimolanti a portata di bambini. Così la pensano ad Archeologistics, impresa sociale varesina fondata nel 2013 e impegnata nella divulgazione e conoscenza dei beni culturali. “Il nostro obiettivo è quello di offrire percorsi di ricerca oltre la superficie a tutti i tipi di pubblico, ma certamente guardiamo con un occhio di riguardo a famiglie e bambini, nella convinzione che le esperienze che progettiamo e curiamo per i più piccoli porteranno sempre buoni frutti in futuro. Semplicità, competenza, accoglienza, un linguaggio semplice ma mai banale, il rispetto dei tempi dei bambini e la possibilità per loro di esplorare in parziale autonomia: sono le caratteristiche con cui lavoriamo e che desideriamo offrire quando proponiamo qualcosa che coinvolga i bimbi”. Così raccontano Marina Albeni, Elena Castiglioni, Emanuela Sguazza ed Elisa Del Galdo, le quattro imprenditrici che hanno dato vita ad Archeologistics, realtà attorno alla quale oggi gravitano una quindicina di collaboratori stabili. “Spesso – spiegano – proponiamo occasioni di visita gratuita grazie a finanziamenti o progetti con contributi. Negli ultimi due anni sono molto cresciute anche le richieste da parte di gruppi familiari, magari 2-3 famiglie che si uniscono e sono in viaggio insieme, che prenotano una visita a loro dedicata. Si tratta di occasioni di turismo interessanti, perché garantiscono esperienze ritagliate su misura dei richiedenti e allo stesso tempo ottengono un grado di soddisfazione molto alto”. Ultimi nati in casa Archeologistics, per l’universo dei più piccoli, sono tre taccuini stampati da La Tipografica Varese ed illustrati da Morgana Bartolomei. A fare da ciceroni per le tre guide illustrate, realizzate con il contributo di Regione Lombardia all’interno del programma “Ogni giorno in Lombardia”, con il patrocinio del Comune di Varese e il sostegno di Fondazione Paolo VI per il Sacro Monte, sono tre personaggi celebri della storia varesina. Gli accompagnatori illustri sono Andrea Ponti, imprenditore gallaratese che divenne proprietario a fine ‘800 del Lago di Varese, Giovan Battista Aguggiari, il frate che nel XVII secolo ideò il viale delle cappelle del Sacro Monte e Joseph Toeplitz, banchiere e committente tra fine ‘800 e inizio ‘900 dell’omonima villa varesina. Attraverso i loro racconti e le loro testimonianze, è possibile visitare tre luoghi simbolo della Città Giardino come il Sacro Monte, l’Isolino Virginia e il centro cittadino. Dove trovare questi taccuini? I piccoli volumi sono in distribuzione gratuita nei tre luoghi dedicati, all’infopoint di piazza Monte Grappa e presso alcuni alberghi della città, mentre ulteriori informazioni si possono sempre trovare sul sito www. archeologistics.it.
Con Andrea Ponti, personaggio illustre e importante per il territorio varesino, si va ad esplorare l’Isolino Virginia. Andrea Ponti non è solo la persona che ha dato il nome a Villa Andrea del centro congressi Ville Ponti, ma è stato l’antico proprietario del lago e, quindi, della piccola isola che sorge al suo interno. L’Isolino Virginia, un tempo chiamato “Camilla”, in seguito battezzato con il nome della moglie di Ponti, è un luogo dalla storia millenaria, ma è anche ricco di bellezze naturalistiche legate alla flora e alla fauna lacustri. Qui sono conservate alcune delle più importanti testimonianze del Neolitico. In generale questo sito Unesco è stato anche uno dei primi luoghi che le famiglie sono tornate a visitare post-Covid. L’acqua è ovviamente un attrattore
fortissimo, ma anche il fascino della storia archeologica ha un ruolo importante: questo è il sito palafitticolo dell’arco alpino più antico, con una presenza umana a partire da 7000 anni fa; il piccolo museo, la grande presenza di uccelli acquatici e la costante disponibilità di una guida che sa relazionarsi con i bambini permette di accogliere veramente molti piccoli tra scuole, famiglie e istituti parentali. Insomma, per chi è a Varese in visita con figli al seguito, questa è proprio un’attrazione da non perdere.
Per i più piccoli la scoperta del Sacro Monte si fa seguendo il taccuino di frate Aguggiari. Chi
meglio di lui, che ha ideato e realizzato a inizio 1600 la via sacra delle cappelle che porta verso il santuario, potrebbe descriverlo? Il Sacro Monte di Varese, inserito tra i beni Unesco, è un unicum nel panorama per la raffinatezza delle 14 cappelle dedicate ai misteri del Rosario e per il patrimonio artistico custodito al loro interno. Fu proprio il frate cappuccino a volere questa via sacra lunga circa 2 chilometri che, con un dislivello di pressappoco 300 metri, porta alla sommità del monte creando un percorso artistico e di devozione che ha il pregio di permettere ai più piccoli di affrontare una gita in tutta sicurezza e all’aria aperta. Non ultimo, il centro di Varese: in questo caso la guida prescelta per il taccuino è il banchiere Joseph Toeplitz, proprietario e committente della Villa Toeplitz che si trova a Sant’Ambrogio. Attraverso il suo racconto, si è guidati nelle zone più suggestive della città, si incrociano le piazze più importanti, i locali storici, i chiostri, la basilica di San Vittore e il battistero di San Giovanni Battista, per chiudere con Villa Mirabello e Palazzo Estense con il suo parco. “Noi da anni accompagniamo scuole, gruppi estivi e ora le famiglie di piccoli turisti alla conoscenza di questo centro cittadino molto discreto ed elegante – spiegano –. Lo facciamo utilizzando come guida documenti storici e confrontandoli con l’attualità: diventa un interessante gioco di osservazione che ci porta a identificare cosa c’era e cosa c’è, che coinvolge molto i bambini e che poi si conclude proprio ai giardini Estensi”.
Il piccolo Museo dei Fossili di Besano è molto cresciuto in questi ultimi anni in termini di qualità dell’allestimento, comunicazione e fruibilità dei sentieri collegati, grazie alla forte volontà dell’amministrazione comunale e alla
collaborazione tra il conservatore, gli educatori museali e l’ente gestore del sito Unesco. Si tratta di un altro ottimo luogo per le famiglie, sia perché il “tema fossili” emoziona sempre molto i bambini, sia perché il nuovo allestimento contiene anche elementi tattili e digitali, accanto ovviamente all’osservazione diretta dei reperti. La ricerca sui fossili di Besano ha avuto nuovo impulso negli ultimi anni, permettendo una più precisa attribuzione di alcune specie e una nuova analisi del Besanosauro. Inoltre, il Museo è a diretto contatto con i sentieri della zona: questo consente a tutti di passare dall’ambiente naturale dove la ricerca paleontologica ha permesso di reperire i fossili, alla visione diretta degli stessi. Il giacimento del Monte San Giorgio documenta un mare tropicale di 240 milioni di anni fa, nel Triassico medio. “A nostro avviso il Varesotto è davvero un territorio adatto alle famiglie con bambini piccoli – concludono da Archeologistics –, perché i luoghi della cultura sono inseriti in paesaggi affascinanti, non sono luoghi affollati e i bambini ci si possono muovere in sicurezza e in autonomia”.
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La provincia di Varese regala tante emozioni per gli sportivi, anche quando le temperature scendono sotto lo zero. Dallo sci al sup, al più classico pattinaggio sul ghiaccio, passando per le ciaspole, senza dimenticare una romantica gita a cavallo: la stagione sportiva varesina non si ferma, grazie anche e soprattutto ad associazioni vivaci e magnifici spazi da poter vivere in compagnia o soli con se stessi
Grandi spazi e silenzi, locali e realtà che hanno conservato l’autenticità, ritmi lontani dal turismo di massa. L’inverno in provincia di Varese è una magia da vivere anche outdoor. Grazie alle sue caratteristiche differenti, il territorio permette infatti di poter praticare diverse attività all’aria aperta, anche quando le temperature si fanno più rigide. Gli sport invernali sono una piccola scoperta che permette di esplorare e conoscere luoghi sotto un’altra veste, innevata o meno: sono moltissime le attività da poter praticare in questa zona. A Nord della provincia, ma non solo, quando il verde lascia spazio al bianco della neve o al grigio dell’inverno, ecco che quegli stessi percorsi si rinnovano, cambiando pelle, ritmo e perfino attrezzatura con cui essere esplorati. Anche il Sud della provincia, lungo i sentieri del parco del Ticino, in inverno offre ottimi scorci per passeggiare semplicemente oppure per praticare Nordic Walking, lungo sentieri ben curati, come in zona Monte Diviso a Gallarate o in località Tornavento, lungo i canali. Anche l’equitazione è particolarmente affascinante in questo periodo dell’anno: un’uscita di gruppo o, per i più esperti, in solitaria, è un’esperienza magica che scalda il cuore anche quando le temperature scendono vicine o sotto lo zero.
L’acqua rimane protagonista anche con il clima freddo: diverse associazioni sportive offrono infatti la possibilità di divertirsi in canoa canadese oppure con un placido giro sul lago in stand up paddle, con la giusta attrezzatura per affrontare il gelo più intenso.
In Valganna, una delle più alte valli prealpine della provincia, quando il freddo pungente fa gelare la superficie della Torbiera di Ganna, il luogo diventa punto
di ritrovo per gli amanti del pattinaggio sul ghiaccio. Si scivola, si gioca a hockey, si viene trascinati con lo slittino. La domenica si arriva persino in gruppo, con le sedie pieghevoli, un thermos per riscaldarsi e qualche stuzzichino e si indossano i pattini, per passare qualche ora all’aperto. Nei dintorni anche il Lago di Ghirla (sul quale non si può pattinare, nemmeno se è ghiacciato, poiché non è sicuro) e le grotte della Valganna, nei mesi più freddi, offrono magnifiche vedute.
Il Parco Regionale del Campo dei Fiori offre l’occasione ideale per praticare anche lo sci. Uno dei re degli sport invernali in provincia di Varese è senza dubbio lo sci di fondo. Sono diversi i tracciati che si snodano tra le suggestive montagne della Valganna e del Parco Regionale del Campo dei Fiori. Si può sciare al Passo della Forcora, a 1.179 metri di altezza, non lontano dal confine svizzero a Maccagno con Pino e Veddasca. Qui si trova una pista da sci servita da uno skilift di circa 1 chilometro. Il passo offre anche un tracciato per bob e slittini, dove percorrere lunghe discese nel bianco dell’inverno e itinerari percorribili con le ciaspole.
Il valico concede una vista di grande bellezza sul Lago Maggiore, sul Monte Rosa e sul Gottardo.
Non molto lontano dal Campo dei Fiori, invece, gli appassionati di sci di fondo possono recarsi a Brinzio, sulla sua pista divisa in due anelli adatti a differenti capacità: un percorso completamente pianeggiante di circa 3 chilometri e uno con alcune brevi salite e discese di 5 chilometri. Durante le nevicate invernali, questo luogo è perfetto anche per il divertimento dei bambini. Da menzionare anche la pista di fondo “Sole e neve” a Cunardo, utilizzata da molti sciatori agonistici provenienti dalle province circostanti, che richiama circa 5.000 turisti all’anno. La pista, con impianto di innevamento programmato e illuminazione, è lunga 2,5 chilometri, mentre gli anelli, con innevamento naturale omologato FISI, sono lunghi 7.5 – 5 – 3 chilometri.
Le ciaspole sono un modo divertente per scoprire la bellezza della montagna invernale della provincia di Varese. Si tratta di racchette da neve che si fissano sotto gli scarponi consentendo una maggiore stabilità rispetto alla semplice camminata. Esistono diversi sentieri ciaspolabili adatti a tutti i livelli: dai principianti fino ai più esperti che desiderano affrontare itinerari più impegnativi. Diverse guide e istruttori certificati della zona offrono percorsi e gite di gruppo per scoprire questa attività da praticare sulla neve, che permette un particolare contatto con la natura circostante.
Il freddo non ferma nemmeno le associazioni sportive e guide nel proporre escursioni e passeggiate anche nei mesi di gennaio e febbraio. Tra queste, sono da segnalare i consigli di Outdoorformo, un’associazione sportiva
dilettantistica affiliata a Uisp, che promuove attività all’aria aperta, con l’obiettivo di scoprire la natura, in particolare la montagna, in compagnia. Durante l’anno vengono organizzati incontri per effettuare gite in montagna in sicurezza, con il corretto equipaggiamento. Le previsioni meteo sembrano essere incoraggianti e si scruta il cielo in attesa di veder scendere i primi fiocchi e organizzare nel dettaglio le attività invernali per le famiglie. Ragazzi e ragazze, in caso di neve, potranno camminare e sbizzarrirsi con diversi giochi nella neve e con competizioni amatoriali. I più giovani avranno, inoltre, la possibilità di cimentarsi nella costruzione di igloo, proprio come dei veri eschimesi. La zona teatro del divertimento sarà quella di Monteviasco, dove si svolgeranno una o due gite di una giornata. Non si esclude di andare anche fuori provincia in cerca della neve più soffice e alta. Per sapere quando verranno programmate queste attività bisogna tenere d’occhio il sito www.outdoorformo. it. Da non perdere il nuovo calendario 2023 delle attività in natura delle GEV, le guardie ecologiche volontarie del parco Campo dei Fiori, che organizzano gite e uscite anche nei mesi invernali.
Immaginate una passeggiata semplice in mezzo ad un bosco scenografico, con tante soste affacciate su panorami mozzafiato sul Lago Maggiore, panchine su cui sostare per un pranzo al sacco nel bel mezzo della natura o per riposare prima di riprendere il cammino. Si tratta del Giro del Sole ad Agra, un magnifico sentiero panoramico adatto a tutta la famiglia, che in circa 40 minuti di camminata tranquilla (approssimativamente 3 chilometri), accompagna alla scoperta della storia del lago e dei territori che lo circondano. Agra è un piccolo comune della Val Dumentina, che si è unito ai paesi di Curiglia con Monteviasco, Dumenza e Tronzano Lago Maggiore, nell’Unione dei Comuni Lombarda Prealpi. Tutti fanno parte della Comunità Montana Valli del Verbano della provincia di Varese. Una serie di località note per la loro bellezza e per il loro patrimonio naturalistico. Immerse nei boschi, in una zona ancora poco abitata, regalano scorci e sentieri di rara bellezza e un’autenticità originale tutta da vivere. Il territorio comunale di Agra, inoltre, gode di una posizione privilegiata e può essere, a buon diritto, considerato una vera e propria terrazza assolata sul Lago Maggiore.
In questo contesto si snoda il percorso naturalistico Sentiero del Sole: un anello di circa 3 chilometri con un dislivello di poche decine di metri, di grandissima valenza paesaggistica, con scorci bellissimi e di grande respiro sul lago. Lungo il cammino, oltre la bellezza dei luoghi e i numerosi punti panoramici affacciati sull’acqua che si incontreranno, sono presenti anche alcuni cartelli esplicativi per approfondire direttamente sul luogo le particolarità di fauna e flora presenti e le origini dell’ecosistema locale, dagli antichi ghiacciai (ancora oggi qualche
masso erratico lo ricorda) a oceani primordiali. Insomma, oltre al fascino del paesaggio, il territorio è anche ricco di storie avvincenti. Ad esempio, le rocce tuttora visibili durante il percorso hanno rappresentato, per un lungo periodo, il margine di un oceano che oggi non c’è più. Nelle giornate limpide si può osservare il Monte Rosa che costituiva un settore del bacino oceanico, mentre il Monte Bianco apparteneva al settore europeo a Nord dell’antico oceano. La passeggiata accompagna il visitatore attraverso un sentiero dolce, ampio e ben tenuto, circondato da alberi e con molte sorprese lungo il percorso. Da simpatiche fontanelle a cartelli che indicano la direzione, fino a panorami sbalorditivi. Tra questi, il primo che è possibile incontrare lungo il cammino è il Belvedere Mandelli, dal quale si può godere della vista su Agra e sulla parte Sud del Lago Maggiore e ammirare lo spettacolo direttamente dalle comode panchine. Continuando sul percorso, si raggiunge la scalinata che porta al Belvedere Augusto Zucoli, anche questo uno spettacolare balcone sul lago, con splendida vista sulla sponda piemontese del Verbano e sui monti che le fanno da corona. Qui il percorso prende a destra, per aggirare il
Motto dei Ronchetti e prosegue nel bosco, affacciato sulla Valle Veddasca, con scorci sui paesi dell’opposto versante, fino a raggiungere il bivio per il Monte Formica (bella deviazione da provare quando il clima è mite e se si è allenati) e successivamente il bivio per il sentiero 152, che porta al santuario di Monte Venere e a Maccagno, che si lascia sulla sinistra.
Percorrendo il Giro del Sole sarà facile capire il perché di questo nome: la passeggiata è interamente esposta al sole, nonostante la presenza del bosco permetta di non prenderlo mai direttamente. Un itinerario ricco di luce e bellezza, affiancato da un percorso vita con attrezzi per allenarsi e fare il pieno di ossigeno in mezzo alla natura. Il Giro del Sole (Sentiero 154) ha inizio da via Giro del Sole ad Agra, dove i cartelli segnalano anche il percorso ginnico. Ma ha anche un suo lato “lunare”.
Se il Giro del Sole è la passeggiata che si snoda attorno al colle detto dei Ronchetti, il Giro della Luna è un piacevole sentiero nei boschi intorno alla collina del Bedorè. Si possono percorrere entrambi visto che sono collegati, per un bel percorso ad anello con atmosfere differenti della lunghezza totale di circa 5 chilometri. Il Giro della Luna, come suggerisce il nome stesso, si trova in un ambiente più ombroso e ripido (ma mai faticoso). È presente qualche salita in più e bisogna prestare attenzione al manto di foglie che ricopre il sentiero, perché potrebbe risultare scivoloso. Se le giornate sono molto fredde, è consigliabile percorrere solo il Giro del Sole per evitare di
rischiare di trovare ghiaccio lungo il cammino. Anche il paesaggio, in questa tratta di percorso, si fa più intimo. Gli assolati belvedere dell’itinerario precedente lasciano spazio ad alberi maestosi e ad un bosco affascinante, che rendono anche questo tracciato meritevole di essere percorso e vissuto.
Una visita ad Agra
Il Giro del Sole e della Luna sono un’ottima occasione per scoprire questo piccolo centro della Val Dumentina. Non solo i sentieri di trekking che si snodano tra le montagne che lo lambiscono meritano una visita, ma anche il piccolo paesino stesso, con le sue casette caratteristiche in pieno stile “cottagecore” e i ristoranti in cui gustare i sapori autentici della montagna. Pochi locali, ma buoni. Poche persone in giro, ma molta cordialità e senso di comunità. Un luogo tranquillo ma non spento. Il centro storico di Agra nasconde piccoli tesori, tutti raccolti attorno alle piazze Pasquinelli, Giovanni XXIII, Italia e San Rocco e testimonia un’origine
molto antica con risvolti inaspettati. Diversi edifici, ad esempio, come spiega la Pro Loco locale in uno studio di Silvio Panzini, presentano architravi di pietra o di legno con date che risalgono al XVII secolo. Ad esempio, in piazza Pasquinelli su un architrave di pietra, accanto all’immagine dell’Ostia raggiante (Jesus Hominum Salvator) e ad una scritta non ancora interpretata, è impressa la data 1616; in via Francesco Pasquinelli su un architrave in legno vi è la data 1681 e in via Alessandro Volta, su una pietra dell’arco sopra il portone, vi è la data 1641. Non solo, come riporta Panzini: “Interessante è la presenza in piazza Italia di un arco di pietra, sopra il quale era costruito un antico forno per il pane,
che immette in uno slargo chiamato ‘Corte degli Ebrei’, ricordo della presenza in quella zona del ghetto di Agra”.
Da segnare anche un passaggio al Parco Daini, in centro paese che, oltre ad essere un parco giochi con tante attrezzature per far divertire i bambini, ospita anche un’area dove è possibile trovare qualche daino e qualche capretta.
Sono 200 le opere-icona che compongono l’antologica allestita negli spazi del Museo gallaratese e alla Porta di Milano dell’aeroporto di Malpensa. Obiettivo della mostra, curata da Maurizio Vanni ed Emma Zanella, è rendere il giusto omaggio alla grandezza di un artista poliedrico e geniale, autore di opere divenute, nel tempo, veri e propri manifesti della pop art, riconosciute ed apprezzate in tutto il mondo
‘‘Adiciott’anni un amico mi ficcò in una borsina di plastica e mi portò a New York. Lavoravo molto in quel periodo. Andavo in giro tutto il giorno per trovare lavori da fare di notte a casa. Questa era la mia vita negli anni ‘50: biglietti d’auguri e acquerelli e di tanto in tanto qualche lettura di poesia nei caffè”.
Anche da questi esordi, “così unici e riconoscibili – scrive Emma Zanella nella presentazione in catalogo – ha inizio la mostra ‘Andy Warhol Serial Identity’, guidata dal desiderio non tanto di ordinare cronologicamente e in chiave biografica l’attività di Warhol, quanto piuttosto di indagarne la molteplicità di linguaggi e di interpretazioni, l’incessante ricerca di ambiti espressivi nuovi e particolarmente innovativi, la capacità di scavalcare la tradizionale contrapposizione tra arte alta e bassa o popolare e soprattutto la dichiarata presenza di un evidente cortocircuito tra i vari Warhol: uomo, artista, imprenditore, scrittore, fondatore di riviste, di televisioni e programmi televisivi, scenografo, regista, produttore cinematografico e musicale, uomo di spettacolo, icona pop”.
Il genio polimorfico di Andy Warhol è dunque al centro di una grande, spettacolare mostra, prodotta dal MA*GA e da Spirale d’Idee di Milano, in collaborazione con la città di Gallarate. Curata da Maurizio Vanni ed Emma Zanella, Direttore del MA*GA, si sviluppa negli spazi del Museo gallaratese e della Porta di Milano dell’aeroporto di Malpensa. L’intero allestimento è firmato dalla scenografa Margherita Palli, che vanta prestigiose collaborazioni con il Teatro alla Scala di Milano e la Biennale d’Arte di Venezia. Ben 200 opere-icona sono arrivate dal The Andy Warhol Museum di Pittsburgh per l’antologica, che, inaugurata il 22 gennaio e visitabile fino al 18 giugno 2023, intende rendere il giusto omaggio alla grandezza di un artista poliedrico e geniale. Vero nome del noto artista, nato a Pittsburgh nel 1928 da modesti immigrati slovacchi, era Andrew Warhola: avviatosi giovanissimo alla carriera di disegnatore di prodotti della pubblicità noti, come la Coca Cola o Le Campbell’s Soupe o di importanti riviste come Vogue, Harper’s Bazaar, Seventeen, ha saputo condurre la sua professione ed esistenza verso un universo creativo del quale era allo stesso tempo ideatore, regista e protagonista assoluto. Si occupasse di pubblicità, di ritrattistica pittorica o fotografica, di video, nella sua rinomata Factory, lo studio di New York aperto nel ‘63 sulla 47esima Strada, ornato di specchi e d’argento, in onore alle escursioni astronautiche nello spazio, dove si lavorava e discuteva di pittura, di musica, di grafica, di dischi o di libri o delle sue autobiografie, di cui era anche editore e di tanto altro ancora, la cifra stilistica di Andy, riconoscibile subito, creava sempre empatia nel grande pubblico. Un pubblico che si avvicinava a lui e alla sua arte per l’immediatezza del messaggio e l’essenzialità del contenuto. “Seguo sempre la cosa più facile – scriveva – perché se è la più facile è anche la migliore”. Né si allontanava da lui, se lo stesso sottolineava i principi della riproducibilità dell’arte, sino a farla diventare seriale e considerarla un prodotto commerciale. Proprio la prima parte del percorso espositivo del MA*GA propone il confronto tra alcuni disegni privati e i primi bozzetti pubblicitari degli anni ‘50 del ‘900. “Già questi suoi lavori – sottolinea Zanella – dicono molto di un artista colto e riflessivo, che conosce la tradizione, esegue le immagini con una linea semplice finto-infantile in grado di creare leggere silhouette a china, a matita, i cui vuoti parlano quanto i pieni e i riempimenti. Dicono soprattutto di un giovane artista che precocemente esce dagli schemi affrontando l’immagine pubblicitaria in modo non convenzionale, con immediatezza, tagliandola, ingrandendola, facendola diventare viva nella sua incompiutezza. In questi primi anni ‘50 mette a punto la tecnica della Blotted line”. Con disegno, inchiostro di china, stilografica e
stampa su carta assorbente, Andy realizza infatti una serigrafia semplice, ante litteram, che gli consente di trarre molte copie dall’originale. È in questo periodo che si evidenzia l’interesse dell’artista per quel nuovo mondo, la società dei consumi, in quegli anni gravitante intorno a tutto e a tutti: dove, motore fondamentale e fondante del vivere sociale e della riconoscibilità, sono proprio i codici pubblicitari che affiancano e spingono la produzione industriale americana. Ed è da questa connection che parte la sua ricerca seriale, sviluppatasi poi attorno a dei cicli famosi, come quelli in mostra: Flowers, Campbell’s Soup, Death & Disasters. Dove non mancano neppure i ritratti delle celebrità di Hollywood, come Marilyn Monroe, il cui viso appare in una serie infinita di variazioni tecniche e cromatiche destinate, anche queste, a renderla immortale. O della politica: Da Mao Tsè-Tung a Jacqueline Bouvier Kennedy. O del bel mondo: con tante teste coronate, in primis Grace Kelly e Lady Diana. O la serie Ladies and Gentlemen. La tecnica utilizzata da Warhol per i ritratti era quella fotoserigrafica, poi gli stessi venivano manipolati con segni forti, larghe pennellate e chiazze variopinte. Di grande interesse in mostra sono anche le copertine dei dischi di musica cui Warhol riservò sempre la sua attenzione di grafico ed editore, a partire dagli anni ‘50 e per tutta una vita. Dalla musica classica, al jazz degli anni ‘40 e ‘50, alle conosciutissime cover dei Velvet Underground e Nico, dei Rolling Stones, di Liza Minnelli, Aretha Franklin, Loredana Bertè. Importante, infine, l’attenzione riservata ai filmati
Di grande interesse in mostra sono anche le copertine dei dischi di musica cui
Warhol riservò sempre la sua attenzione di grafico ed editore, a partire dagli anni ‘50 e per tutta una vita. Dalla musica classica, al jazz degli anni ‘40 e ‘50, alle conosciutissime cover dei
Velvet Underground e Nico, dei Rolling Stones, di Liza Minnelli, Aretha Franklin, Loredana Bertè
Empire (1963) e Kiss (1964), visibili in versione integrale. Il percorso espositivo si completa alla Porta di Milano dell’aeroporto di Malpensa, con un video wall dedicato a inediti dell’Andy Warhol Tv e ad un’installazione spettacolare. Quest’ultima, novità assoluta della mostra del MA*GA, riproposta e offerta in forma immersiva, consente di vedere per la prima volta in Italia il video filmato nel 1966 dal fotografo e regista americano Ronald Nameth dedicato allo spettacolo “Exploding Plastic Inevitable”, una performance di Warhol con i Velvet Underground e Nico rappresentata in diverse città degli Usa. Da New York a Los Angeles, da San Francisco a Chicago, a Provincetown. Si trattava, come si spiega in mostra, “di una vera e propria performance mixmediale antelitteram, che vedeva Warhol manipolare le luci e l’immagine dell’ambiente, per sperimentare e ricreare un paesaggio psichedelico immersivo e le esperienze visive dell’acido lisergico, mentre i Velvet e Nico si esibivano dal vivo completamente vestiti di bianco, fungendo da supporto mobile per le proiezioni di film e diapositive, con varie immagini e colori”.
Una mostra dunque ricca, intrigante negli spunti di riflessione offerti e decisamente calata in una realtà in continuo divenire. Che offriva ai suoi più intraprendenti e coraggiosi protagonisti sempre novità, pur nelle dissonanti differenze sociali e nelle avversità e crudeltà che ogni momento storico
Il Museo MA*GA di Gallarate offre alle imprese associate a Confindustria Varese, ai loro dipendenti e familiari, la possibilità di acquistare a condizioni di favore i biglietti di ingresso alla mostra “Andy Warhol. Serial Identity”. Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito www.confindustriavarese.it, alla sezione “Convenzioni”.
incarna. Di queste avversità e dissonanze di vita, che aveva voluto e saputo affrontare, Warhol era stato dapprima umile figlio, poi compagno scanzonato e ironico, infine magico dominus. A servizio sempre della fantasia e della libera creatività. Warhol moriva nel 1987 in un ospedale di Manhattan, dopo un intervento chirurgico. A distanza di anni, la sua arte continua ad essere viva e attuale ai nostri occhi. In ogni oggetto di consumo quotidiano come in ogni sguardo dei protagonisti da lui celebrati.
Museo MA*GA, via Egidio de Magri 1, Gallarate e Aeroporto di Malpensa
Dal 22 gennaio al 18 giugno 2023
Da martedì a venerdì, dalle 10.00 alle 18.00
Sabato e domenica, dalle 11.00 alle 19.00 Tel. 0331 706011
Con il patrocinio della Regione Lombardia e il sostegno di Ricola, Sea e Missoni main partner
Il catalogo bilingue in inglese e italiano con testi dei curatori Emma Zanella e Maurizio Vanni e autori vari, è di Nomos Edizioni
Una serie di opere d’arte e preziosi reperti del territorio, per lo più soggetti sacri, provenienti da diversi paesi e cittadine, a partire da Varese fino ad arrivare a Cassano Magnago passando per Venegono Inferiore, finalmente restituiti alla comunità. Dimenticati da tempo oppure semplicemente bisognosi di restauri. Al loro recupero hanno concorso illustri studiosi e la Fondazione Comunitaria del Varesotto
Al Castello di Masnago si continuano a proporre ottime mostre. È visitabile, fino al 23 marzo 2023, la nuova rassegna “Tesori Nascosti”, organizzata dalla Fondazione Comunitaria del Varesotto e dal Comune di Varese, in collaborazione con la pertinente Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio. La rassegna, curata da Daniele Cassinelli e Massimiliano Pavanello, permette di avvicinare interessanti opere e preziosi reperti del territorio varesino poco conosciuti o addirittura celati ai più. Opere, che saranno restituite, dopo i lavori di restauro e la mostra, alle comunità del Varesotto, cui spetta poi la ricollocazione alla vista del pubblico.
Si tratta di soggetti per lo più sacri, provenienti da diversi paesi e cittadine, da Varese a Velate, Venegono Inferiore, Gorla Minore e Arsago Seprio, Gallarate, Cassano Magnago, Golasecca e Besano, Castel Cabiaglio e Porto Valtravaglia. Dimenticati da anni o comunque bisognosi di restauri, al loro recupero hanno concorso illustri studiosi dell’arte e i migliori restauratori. La rassegna è ben allestita e documentata da pannelli esplicativi, con informazioni sulla storia e sulla provenienza delle opere, nonché da video che raccontano le ricerche e i lavori di restauro compiuti. Ancor più gratificante, come sottolineato dall’Assessore alla Cultura del Comune di Varese, Enzo Laforgia e dal Presidente della Fondazione Comunitaria del Varesotto Maurizio Ampollini, è l’aspetto eticopolitico dell’operazione. Una ricerca nel passato che porta non solo al recupero, oggi, delle opere bisognose di cure, ma soprattutto alla loro salvaguardia per il futuro.
Perché, come spiegano, “salvaguardare il paesaggio e il patrimonio storico-artistico della nazione è uno dei compiti affidatici dalla Costituzione”. La restituzione dei tesori ritrovati e risanati alle comunità del territorio che hanno aderito all’iniziativa è dunque aspetto fondamentale dell’intera e complessa operazione. Il percorso della mostra si snoda partendo dalle sale al piano superiore del castello e prosegue in una sala al piano terra, unica dedicata a tre esemplari di importanti fossili di Besano, ritrovati nel 1886 e nel 1887, ora restaurati e riproposti nel racconto della loro antica storia. Appare davvero emozionante l’incontro con opere preziose, come il “Dio Padre circondato da quattro angeli” (1540-1545) di Gaudenzio Ferrari, rappresentato, in una tavola
ovale, coi tratti della maestosa dolcezza che appartiene in pieno al gesto pittorico e all’intendere dell’autore. Proviene dalla chiesa prepositurale dei Santi Pietro e Paolo di Saronno, città dove il Ferrari lasciò ampia testimonianza della sua arte. Accanto, tre opere di Callisto Piazza. Sono due pregiate tavole, si presume “Un Profeta e un Apostolo” (del 1542) e il grande quadro “Lo Sposalizio mistico di S. Caterina d’Alessandria con San Gerolamo e il donatore Egidio Bossi” (1542), proveniente dalla chiesa della Natività di Santa Maria vergine di Azzate.
Le ricerche degli studiosi hanno ben messo in luce e ricordato i legami tra la nota famiglia dei Bossi e il territorio. Da vedere anche l’importante tempera su tela del San Tommaso d’Aquino, proveniente dal collegio Rotondi di Gorla Minore (probabile scuola lombarda). La delicatissima opera della “Madonna della neve col Bambino e i Santi Lucia e Francesco d’Assisi” (ante 28 gennaio 1686), proveniente dalla chiesa di Santo Stefano di Velate, opera di Salvatore Bianchi, è stata a sua volta recuperata al meglio grazie al restauro dello studio Villa. Emozionante l’indagine che ha permesso, tra l’altro, di riportare alla luce i fiocchi di neve nascosti da precedenti interventi. Elementi fondamentali per togliere ogni dubbio all’identificazione della Vergine. A proposito di devozioni alla Vergine, s’incontra in mostra una statua lignea di ottima fattura, intagliata,
dipinta e dorata, di attribuzione a Giuseppe Antignati, proveniente dalla chiesa parrocchiale dei Santi Giacomo e Filippo, custodita nella cappella della Madonna del Rosario di Venegono Inferiore. Anche in questo caso la mano sapiente dei restauratori ha riavvicinato l’opera, della seconda metà del XVIII secolo, all’aspetto originario, eliminando alcuni elementi estranei intervenuti nel tempo e riparando danni, arrecati per esempio nel tentativo di applicare, come si usava, orecchini d’oro ai lobi della Madonna. Crocifissi dimenticati, riscoperti dopo anni di abbandono, sono quelli lignei di buona fattura provenienti da Porto Valtravaglia (parrocchiale di Santa Maria Assunta, dove è anche il prezioso ciborio del fonte battesimale) e Arsago Seprio
(prepositurale di San Vittore), e i quattro reliquiari a busto di martiri, realizzati nel 1668, di ottima ma ignota mano scultorea, anch’essi restaurati, provenienti dalla chiesa parrocchiale di Sant’Appiano in Castel Cabiaglio: si tratta dei Santi Felice, Fiorentino, Asterio e Valentino. Imponente il Cristo deposto di Golasecca, nella sala principale del percorso, attribuito a un intagliatore lombardo-piemontese e databile tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo. Ricavata da un unico blocco di legno, l’opera è ricordata nella chiesa sussidiaria dei Santi Simone e Giuda, detta del Lazzaretto, destinata, come si legge nel catino absidale della stessa, alla cura, al ricovero e alla sepoltura degli ammalati colpiti da epidemia e pandemia. La statua del Cristo, sempre secondo la scritta, era ritenuta miracolosa per pandemie e siccità. Tra le opere più interessanti di manifattura lombarda è lo stendardo processionale di P. Grossi, del 1898, proveniente dalla chiesa prepositurale di San Giulio in Cassano Magnago, in seta ricamata e dipinta, dedicata alla gloria di San Giulio e trionfo dell’Eucarestia. Così come lo è lo stendardo processionale in raso ricamato, con teletta d’oro e d’argento del XVII secolo, dedicato alla circoncisione di Gesù e l’Agnus Dei, proveniente dalla Chiesa di Santa Maria Assunta di Gallarate.
È la stessa chiesa che ospita il prezioso “San Cristoforo con il Bambino”, una tela (che è in realtà un affresco strappato). Un lavoro raffinato e imponente, il cui restauro è stato finanziato dalla Fondazione Comunitaria del Varesotto Onlus, soprattutto legato al ricordo storico delle inondazioni dell’Arnetta, se ne contano dal 1580 al 1852 almeno una decina, che muovevano i cittadini a ricorrere alle preghiere, perché il Santo protettore di chi ha a che fare con l’acqua “guardasse giù”. La tela, rappresentante il Santo nell’atto di reggere il bambino al disopra delle acque, reca sullo sfondo una rappresentazione
del borgo con la vecchia parrocchiale e viene esposta nella Basilica gallaratese il 25 luglio di ogni anno. Le due belle opere di Fondazione Cariplo, un busto maschile incoronato, in marmo (1225-1250) di scultore federiciano e un olio su tela di Vincent Malò (attribuzione di Andrea Spiriti) arricchiscono infine il percorso. Un viaggio piacevolissimo tra tesori ritrovati, che induce a riflettere sull’imponente e altissimo lavoro di menti e mani, celato dietro ogni opera in mostra. Dove, attraverso l’arte e la storia, si capisce la vita.
I numeri del progetto fortemente voluto e promosso da Rosario Rasizza, Amministratore Delegato di Openjobmetis, pensato per dare un sostegno tangibile allo sport varesino: oltre 700mila euro i fondi erogati dalla nascita della progettualità nel 2019, altri 100mila quelli per la Pallacanestro Varese e 4 nuove realtà che le circa 30 aziende parte del network hanno intenzione di iniziare a sostenere
‘‘Anche quando si parla di sogni, occorre concretezza”.
Così Rosario Rasizza, Amministratore Delegato di Openjobmetis (agenzia di lavoro varesina presente sul mercato italiano da oltre 20 anni) e ideatore di Orgoglio Varese, ha presentato i nuovi numeri del progetto nato per sostenere lo sport del territorio. “Sono tante le realtà che abbiamo supportato dalla nascita di questa progettualità nel 2019, ricevendo in cambio tutta la positiva onda d’urto della loro energia”, ha spiegato l’imprenditore. “Il nostro non è altro che un modo per restituire al territorio, attraverso lo sport, ciò che abbiamo ricevuto come aziende. L’energia che vogliamo rimettere in circolo dà valore alla passione di tanti giovani atleti e atlete. Perché attraverso lo sport, ci si allena nel crescere”. Orgoglio Varese, fiore all’occhiello delle numerose iniziative dell’imprenditore in favore del territorio, si propone come mission quella di offrire alle società sportive un supporto concreto.
“Questa ambiziosa e lodevole iniziativa si sposa perfettamente con la vocazione del territorio e la sua capacità competitiva in senso lato”, ha commentato Roberto Grassi, Presidente di Confindustria Varese, durante la presentazione delle nuove attività del progetto. “Come associazione di imprese, crediamo che lo sport sia un volano di sviluppo: infatti, questo è uno
A.S.D. Nuova Atletica Varese
La società si occupa, dagli anni ‘90, esclusivamente della sezione femminile. Ad oggi, sono 166 le atlete tesserate, di cui 142 minorenni. Da sempre, particolare attenzione è prestata all’avviamento alla pratica sportiva. Il contributo servirà ad acquistare nuove attrezzature.
A.S.D. Polisportiva Ma.go
Un progetto nato nel 2020, con l’accordo stipulato tra l’A.S.D. Draghi Gorlazy e l’U.S. Marnatese Basket, come hub sovraterritoriale su tutti i comuni della Valle Olona, con lo scopo di creare un unico centro di riferimento educativo-sportivo costruito su un modello di basket inclusivo. Il contributo è destinato a coprire le quote di iscrizione delle famiglie che ne necessitano.
A.S.D. HC Varese 1977
Lo storico sodalizio varesino, da questa stagione si occupa unicamente del settore giovanile, rilanciato dopo gli anni difficili per la mancanza di un impianto. Oltre 20 ragazzi hanno in questa stagione iniziato a praticare questo sport, mentre sono state di nuovo allestite le formazioni giovanili: dalla Under 9 alla Under 19. Il contributo aiuterà a coprire le spese di trasferta.
A.S.D. Ju Green Gorla Minore
Nata nel 2012 come erede della Ju Sport, oggi è rimasta l’unica società della provincia nel settore del ciclismo giovanile femminile con oltre 70 tesserate. Orgoglio Varese sostiene la realtà da 3 stagioni e quest’anno ha deciso di donare uno scooter per permettere ai tecnici di seguire le ragazze durante gli allenamenti su strada.
dei punti chiave del nostro Piano Strategico #Varese2050 attraverso il quale proponiamo a tutti gli stakeholder politici, economici e sociali un progetto fatto di concrete azioni per lo sviluppo del territorio. Ben vengano, quindi, iniziative come quella di Orgoglio Varese. Con una certezza: il contributo delle imprese alla vocazione sportiva non ha a che fare solo col mecenatismo. Ci muove la passione ma anche la visione concreta, per citare Rasizza: è una questione, soprattutto, di riposizionamento competitivo dell’economia locale. Lo sport, così come l’industria e le infrastrutture, è un tassello fondamentale per costruire una nuova attrattività della provincia, sia in termini di flussi turistici, sia di investitori. In questo senso, le Olimpiadi di Milano Cortina 2026 saranno un’occasione da non farsi sfuggire”. Sono di oltre 700mila euro i fondi erogati dalla nascita del progetto e, nel corso di un incontro alla fine dello scorso anno, Orgoglio Varese ha presentato le società individuate, tra le tante che si sono candidate, a cui destinare i nuovi fondi. In primis, come da tradizione e passione, è stato stanziato un contributo economico di 100mila euro rivolto alla Pallacanestro Varese. Ma il progetto coinvolge anche realtà che puntano sullo sport dilettantistico e giovanile. Una parte della raccolta fondi è, infatti, destinata agli sport cosiddetti “minori”, che appassionano e, soprattutto, fanno crescere migliaia di atleti e di ragazzi. Attraverso società che spesso non hanno soluzioni molto diverse dall’autofinanziamento. Per questa ragione, Orgoglio Varese, costituita da un network di aziende, ad oggi circa 30, ha da subito incontrato e sta continuando ad incontrare una forte accoglienza tra le imprese. Tra le società che hanno inoltrato la propria candidatura, Orgoglio Varese ha presentato le quattro nuove realtà sportive da sostenere.
Se a decretare il valore di chef e ristoranti sono le «stelle» e i «cappelli» conferiti dalle guide gastronomiche, a sancire la qualità di gioiellerie e orologerie non potevano che essere i «diamanti». Ad attribuirli ci ha pensato TWT – Top World Treasures in un apposito volume che presenta una classifica delle migliori 100 imprese al dettaglio. E quale riconoscimento alle gioiellerie selezionate viene assegnato il Best Jewellers Award, che per il 2023 è stato consegnato, lo scorso 28 novembre, in occasione di una cena di gala all’Hotel Principe di Savoia di Milano. Giunto alla seconda edizione, il premio intende dare rilievo a chi più si è distinto nel settore e la classifica è stata stilata sulla base di un’accuratissima analisi che ha coinvolto 1400 imprese, rappresentative di circa 2000 punti vendita e ha preso in considerazione una serie di dati quantitativi, misurati da un algoritmo, oltre alle valutazioni di esperti che in incognito hanno visitato i negozi dando il proprio giudizio. Anche quest’anno, come già l’anno scorso, Top World Treasures ha segnalato con un diamante Andrea Paternostro Gioielliere.
«Siamo molto soddisfatti – rivela Andrea Paternostro che con la moglie Emilia gestisce le boutique che
portano il suo nome –. Aver ricevuto questo riconoscimento per noi è un onore. Già l’anno scorso avevamo ottenuto un diamante e quest’anno, per la verità, speravamo di ottenerne due. Nel corso dell’anno abbiamo fatto del nostro meglio per riuscirci. Del resto, cercare di migliorare continuamente fa parte del nostro Dna. Vuol dire che ci impegneremo ancora, cercando di ottenere il secondo diamante l’anno prossimo». In queste parole viene fuori lo spirito combattivo di Andrea Paternostro e di sua moglie Emilia che oltre all’amore per i gioielli condividono la passione per il running. Un altro riconoscimento di cui sono particolarmente orgogliosi, infatti, è quello ricevuto per la partecipazione alle sei maratone più importanti al mondo. E, da buoni maratoneti, sanno che
«CERCARE DI MIGLIORARE CONTINUAMENTE FA PARTE DEL NOSTRO DNA E FAREMO IL POSSIBILE PER OTTENERE UN RISULTATO ANCORA PIÙ SODDISFACENTE NELLA PROSSIMA EDIZIONE»
per raggiungere un traguardo occorre procedere un passo dopo l’altro, rispettando le regole e le proprie possibilità, ma senza mai fermarsi. 50 ANNI DI ATTIVITÀ GUARDANDO
SEMPRE AVANTI Il Best Jewellers Award 2023 assegnato ad Andrea Paternostro Gioielliere non è, dunque, un caso ma un ulteriore riconoscimento della passione e della professionalità di un imprenditore e di un’azienda che in 50 anni di attività hanno saputo attribuire il giusto valore a preziosi e gioielli guardando sempre avanti. «Nell’ultimo anno, per esempio – racconta ancora Andrea Paternostro - abbiamo siglato nuove partnership con alcuni marchi prestigiosi quali Franck Muller o Panerai, un brand particolarmente esclusivo e che da tempo desideravamo poter proporre. Anche per quanto riguarda i gioielli, di recente abbiamo acquisito nuovi marchi come Pasquale Bruni, Messika e Fred». Oggi, dunque, le sette vetrine nel cuore di Legnano, in corso Garibaldi, propongono una selezione di marchi particolarmente ricca e di alta qualità sia per quanto riguarda gli orologi sia per i gioielli. E questo è particolarmente significativo se si
pensa che non sono nel centro di una grande metropoli.
«Siamo presenti a Legnano dal 1996 e dal 2020 le boutique in città sono diventate due: il negozio storico completamente dedicato al mondo dell’orologeria e adiacente un nuovo spazio riservato ai gioielli. E siamo contenti di aver dato con questo riconoscimento un po’ di visibilità alla città».
TRE BOUTIQUE DOVE BELLEZZA E RAFFINATEZZA SONO DI CASA E se lo spazio dedicato agli orologi è il regno di Andrea e può vantare marchi quali Bulgari, Jaeger-LeCoultre,
«IL PRESTIGIO E IL VALORE DEI MARCHI NON È SOLO SINONIMO DI ELEGANZA, RICERCATEZZA E ORIGINALITÀ MA ANCHE LA GARANZIA DI UNA MAGGIORE SOSTENIBILITÀ DELLE LORO CREAZIONI»
IWC, Omega, Breitling, Dolce & Gabbana e Longines, oltre ai già citati Franck Muller o Panerai; quello riservato ai gioielli lo è di Emilia e propone alcuni dei brand più noti: da Bulgari a Pomellato, da Crivelli a Vhernier, da Gucci a Dodo, fino a Chantecler, solo per citarne alcuni. Una terza boutique, inoltre, si trova a Rho nella centralissima Piazza S. Vittore. Tre negozi accomunati dalla medesima attenzione alla qualità e da una proposta che presenta i mar-chi più prestigiosi.
«Il valore e la qualità dei brand – spiega Emilia Paternostro – non è solo sinonimo di eleganza, origina-lità e ricercatezza, ma oggi assume anche un altro significato sempre più attuale, perché il prestigio delle Mai-son, in molti casi, è anche garanzia di una maggiore sostenibilità delle loro creazioni». Oggi, infatti, il valore di un gioiello non si misura più solo in carati, ma anche in base alla sua provenienza e non c’è dubbio che le creazioni delle case più prestigiose possano vanta-re certificazioni – per esempio quella RJC (Responsible Jewellery Council) o quella del Kimberley Process (KPCS), che garantisce che i profitti ricavati dal commercio di diamanti non vengano usati per finanziare le guerre – che attestano l’adozione di prassi responsabili lungo tutta la filie-ra, dalla miniera sino alla vendita al consumatore e siano più sostenibili perché provenienti da estrazioni che assicurano trasparenza, tracciabilità, minor consumo di risorse e rispetto dei diritti umani.
La sesta edizione del Barometro del Fotovoltaico di Elmec Solar mette in luce lo stato attuale delle rinnovabili sul suolo nazionale italiano ed evidenzia sia il tasso di positività nella crescita dell’installato, sia il potenziale ancora inespresso. Sono infatti più di 15 milioni i tetti potenzialmente occupabili.
L’Italia continua ad accelerare sulle rinnovabili e mostra come l’adozione di impianti fotovoltaici sia un trend in costante crescita. In base all’analisi dei dati, sono infatti oltre 1 milione gli impianti solari installati sul territorio nazionale: 1.139.967, contro i 1.016.083 del 2021, per un totale di oltre 123.884 impianti installati in più nei primi tre trimestri del 2022. È questa la prima evidenza emersa dalla sesta edizione del Barometro del Fotovoltaico di Elmec Solar - l’azienda di Brunello che si occupa di installare e manutenere impianti fotovoltaici residenziali e industriali - che, con questa nuova edizione, ha posto l’accento su un duplice fenomeno: la classifica delle 10 province d’Italia che si sono distinte per maggior numero di installazioni nel corso del 2022 e le 10 province con maggior potenziale fotovoltaico ancora inespresso.
ancora occupabili); Catania (oltre 245 mila tetti ancora occupabili); Salerno (oltre 222 mila tetti ancora occupabili); Brescia (oltre 221 mila tetti ancora occupabili); Cosenza (oltre 216 mila tetti ancora occupabili) e Messina (oltre 208 mila tetti ancora occupabili).
Secondo la rielaborazione da parte di Elmec Solar dei dati pubblicati da Italia Solare, le 10 province d’Italia che hanno installato il maggior numero di impianti fotovoltaici nei primi 3 trimestri del 2022, sono rispettivamente: Roma (+ 43.302); Brescia (+36.455); Treviso (+34.654); Padova (+33.621); Vicenza (+28.819); Torino (+27.695); Bergamo (+25.297); Venezia (+25.225); Verona (+24.906) e Milano (+24.198).
Complessivamente, rispetto al 2021, Brescia ha installato
L’analisi, infatti, mostra che in Italia sono oltre 15 milioni i tetti ancora “liberi”, segno che per il 2023 c’è ancora ampio margine di miglioramento.
La fotografia attuale sulla diffusione del solare in Italia mostra risultati molto positivi, con oltre 123 mila impianti in più installati nei primi tre trimestri del 2022 e, al contempo, vuole accendere i riflettori sull’importanza di continuare ad impegnarsi in questa direzione per sfruttare tutto il potenziale ancora inespresso
Le 10 province italiane che vedono il maggior potenziale in termini di tetti ancora occupabili sono: Torino (oltre 384 mila tetti ancora occupabili); Napoli (oltre 319 mila tetti ancora occupabili); Palermo (oltre 304 mila tetti ancora occupabili); Lecce (oltre 296 mila tetti ancora occupabili); Milano (oltre 255 mila tetti
“Vogliamo accendere i riflettori sull’importanza di continuare ad impegnarsi in questa direzione per migliorare l’approvvigionamento sostenibile del nostro Paese” afferma Alessandro Villa -
Un motore 6 cilindri da 630 cavalli, linee senza tempo, portiere a farfalla e un tetto in vetro che passa da opaco a trasparente in un istante oppure si apre del tutto in 12 secondi: questa è la nuova convertibile del Tridente, visibile alla Scuderia Blu Maserati di Como nella Launch Edition PrimaSerie, un’edizione a tiratura limitata nella colorazione acquamarina
Per godersela d’estate, è bene pensarci in inverno: ecco perché per la Scuderia Blu Maserati di Como è arrivato il tempo di parlare della nuova convertibile del Tridente, la MC20 Cielo, una spider unica nel suo genere. Tetto chiuso e opaco da 5268 cm3 per il massimo della concentrazione di guida, data anche dal comfort acustico; tetto chiuso e trasparente grazie al vetro
elettrocromatico per esaltare lo sky feeling e mantenere una perfetta tenuta termica, infine, tetto aperto in soli 12 secondi per un’esperienza di guida multilivello e totalizzante. Ma questa è solo una delle nuove caratteristiche della trasformazione di MC20 da coupé a spider. Il suo aspetto è totalmente slegato dalle mode grazie alle sue linee senza tempo: un manifesto della visual longevity. Non c’è nulla di superfluo nella sua estetica. Rimangono le portiere butterfly per un accesso all’abitacolo più semplice. Alla carrozzeria che rappresenta la bellezza e la purezza, si unisce il telaio
simbolo di tecnica e performance. La fibra di carbonio garantisce la rigidità torsionale della supercar per mantenere la guidabilità della sorella e contenere l’aumento di peso a 65 chilogrammi. Una necessità quando si trasforma in cabrio una versione coupé. Dietro, le prese d’aria del motore posteriore sono state riposizionate dopo un’attenta ottimizzazione, eseguita utilizzando la fluidodinamica computazionale. Sotto, batte Nettuno, il 6 cilindri a V 90° biturbo da 3 litri di cilindrata made in Modena. È capace di erogare ben 630 CV e 730 Nm di coppia per uno stacco 0-100 km/h di circa 3 secondi e una velocità massima di 320 km/h. Nell’abitacolo tutto è molto razionale, quasi minimalista con due schermi da 10”, uno per il cockpit, l’altro, per il Maserati Touch Control Plus (MTC Plus MIA) in posizione centrale, leggermente inclinato verso il guidatore. Maserati MC20 è sempre connessa e attraverso il Maserati Intelligent Assistant (MIA) è possibile la sua gestione in remoto. E dai suoi 12 speaker Sonus Faber (OPT) si apprezza la musica in alta definizione di Tidal. Il volante in Alcantara diventa standard con il pulsante di avviamento motore di colore blu e le sue nuove leve di comando in alluminio scuro o fibra di carbonio. Mentre nel tunnel centrale trova posto il selettore della 5 modalità di guida: Wet, GT, Sport, Corsa, Esc Off. Dallo stesso selettore è possibile anche scegliere la rigidità delle sospensioni tra soft, mid e hard. Ultima chicca? La scuderia Blu Maserati di Como vi aspetta per illustrarvi tutti i particolari della Launch Edition PrimaSerie, un’edizione a tiratura limitata nella colorazione acquamarina.
Scuderia Blu Dealer ufficiale Maserati Via Tentorio 3/6, Como informazioneDisponibile alla Paglini Store di Castellanza, l’ultimo nato della casa automobilistica francese. Portabandiera del segmento C, il nuovo Renault Austral è uno sport utility altamente tecnologico capace di regalare anche emozioni da sportiva con in più una motorizzazione full hybrid parsimoniosa nei consumi e nelle emissioni
Matteo Dall’AvaAll’ingresso del Paglini Store di Castellanza fa bella mostra di sé il nuovo Renault Austral, l’ultimo nato della casa francese. Il design della Best Buy Car of 2023 è quello di un suv del segmento C da 4 metri e 51 centimetri con un generoso bagagliaio da 555 litri e un tetto panoramico in vetro. L’aspetto è senza dubbio quello di un’auto in cui il comfort è al centro di tutto, ma è la tecnica a regalargli quella sicurezza e quella agilità in più, insieme ad una dinamicità degna delle auto sportive. Ciò è reso possibile dalla combinata delle versioni Advanced dei sistemi 4Control e Multi-Sense. Il primo offre a Renault
Austral la sterzata delle quattro ruote. A bassa velocità, le ruote posteriori sono in grado di sterzare fino a 5 gradi per ridurre il diametro di sterzata a 10,1 metri con importanti benefici anche nella dinamica della traiettoria delle curve. Alle alte velocità, le ruote posteriori sterzano di un grado per agevolare sorpassi e cambi di corsia. Questo sistema è regolabile dal display centrale OpenR attraverso una barra d’intensità graduata da 1 a 13. La stessa maneggevolezza è attribuibile al sistema Multi-Sense. È sufficiente cliccare il pulsante posizionato sul volante per passare dalla modalità Sport, alla Eco, alla Normal. A variare è la resistenza del servosterzo, il controllo dinamico della guida, la reattività della trasmissione e del motore. Insieme a loro è anche l’illuminazione interna dell’abitacolo che cambia in funzione
Concessionaria G & G Paglini Spa
Castellanza: Viale Don G. Minzoni 12
Gallarate: Viale Lombardia 24
Azzate: Via Piave 20
Varese: Viale Valganna 130
informazione pubblicitaria
della modalità di guida. Benefici funzionali che massimizzano la nuova motorizzazione E-TECH Full Hybrid autoricaricabile da 200 CV e 410 Nm di coppia. Non c’è quindi bisogno di una presa di corrente per poter viaggiare per brevi tratti anche in modalità elettrica EV. Questa innovazione di Renault associa un nuovo motore turbo benzina 3 cilindri 1,2 litri da 130 CV a due motori elettrici: uno più potente di trazione da 68 CV, che garantisce la guida elettrica e consente di ricaricare la batteria e un generatore ad alta tensione di tipo HSG (High-Voltage Starter Generator), che garantisce l’avviamento del motore termico, le cambiate e contribuisce anche lei alla ricarica della batteria agli ioni di litio di 2 kWh a 400 V. Oltre alla brillantezza di guida, questa motorizzazione vanta consumi ed emissioni di anidride carbonica senza pari nella sua categoria: da 4,6 litri per 100 km e soli 102 grammi di anidride carbonica per chilometro percorso. Su strada, infine, il conducente di Renault Austral può contare ben 32 dispositivi di assistenza alla guida che gli hanno fruttato le 5 stelle Euro Ncap.
DAL
COMUNICARE
Intervista a Bruno Belli, umanista, storico, giornalista, poeta e scrittore, ma soprattutto seguace della bellezza, autore di un libro su Palazzo Estense di Varese e i suoi giardini, noto per gli incontri del “Venerdì di Bruno Belli” tenuti al glorioso Caffè Zamberletti fino al 2014
“Fin dall’ingresso di casa ti accorgi che qui si respira aria d’altri tempi”, scriveva Mario Praz nell’incipit del suo capolavoro, il libro che rispecchiava il suo essere collezionista e amante di ogni forma d’arte. E “La casa della vita” è anche quella di Bruno Belli, umanista e storico, giornalista pubblicista, poeta e scrittore, ma soprattutto seguace della bellezza, circondato in ogni recesso di stanza da libri, dischi, stampe antiche, bronzetti e marmi, quadri e altri memorabilia che testimoniano anni di ricerche e studi, di “amicizie” letterarie e musicali cementate in lunghe sere di letture e ascolti.
Bruno Belli, nato il 5 agosto 1972 sotto il segno del Leone (e un bronzo presente nel suo salotto omaggia il felino) è un
intellettuale multiforme, già collaboratore ed editoralista del quotidiano La Prealpina, Direttore del magazine culturale “Thea” fino al 2008, autore di due libri di
poesie, notissimo in città per gli incontri del “Venerdì di Bruno Belli” tenuti al glorioso Caffè Zamberletti di corso Matteotti fino al 2014, candidato nel 2011 per
la lista civica di Movimento Libero, nonché fondatore nel 2018 dell’associazione “Prospettive culturali per Varese”, poi abbandonata due anni dopo. Da quattro
anni cura la pagina ufficiale “bellibruno/arte” su Facebook, dove pubblica alcune rubriche fisse sulla storia di Varese, oltre ad articoli di cultura, attualità e riflessione.
Bruno non è persona che si tira indietro, difende le sue convinzioni e non esita a polemizzare, ma sempre argomentando per filo e per segno le sue scelte di campo e ciò, in una città di provincia, ha i suoi costi, in termini di emarginazione e definizioni di “scomodità”.
Così si rifugia nella sua splendida casa della cultura, in mezzo ai libri e alla musica e scrive, pubblicando volumi di grande rilevanza, come le monografie su Giuseppina Grassini, varesina, cantatrice eccelsa e amante
di Napoleone e sulla storia di Palazzo Estense, quest’ultimo uscito di recente, come l’altro, a stampa Pietro Macchione Editore.
En passant, Belli ha anche pubblicato un fortunato libro su Villa Toeplitz e un volumetto intitolato “L’opera nell’Ottocento: la Bibbia del popolo” per l’Associazione Mazziniana italiana. Ma partiamo dall’inizio, dall’innamoramento subitaneo per la musica, avvenuto in tenerissima età. “In casa la musica si ascoltava, ma furono le suore dell’asilo che frequentavo ad accorgersi della mia inclinazione, del buon orecchio musicale. Così, a 4 anni, misi per la prima volta le mani su un pianoforte e a 6, grazie all’acquisto da parte dei nonni materni di uno strumento tedesco degli inizi del ‘900, incominciai a studiarlo. Alle medie acquistai i primi dischi e, a 13 anni, ascoltai per la prima volta un’opera intera, ‘La scala di seta’ di Rossini, il compositore che
ancora oggi amo di più, in una edizione Rca ‘Red Seal’ con Graziella Sciutti. Ricordo che in gioventù preferivo Haydn a Mozart, forse per la mia innata abitudine alla quadratura delle cose connaturata al Classicismo apollineo del compositore di Rohrau. Poi amo anche la Scapigliatura, sembra un paradosso, ma ritengo che l’arte se bella vada ammirata senza preclusioni”, spiega Bruno Belli, che organizzò al Caffè Zamberletti oltre 300 incontri pubblici in 10 anni. “Il vero ascoltatore è colui che apprezza una buona esecuzione, serve un vero e proprio allenamento all’ascolto, che si matura con l’età e l’esperienza –continua Bruno Belli –. A 20 anni Wagner mi sembrava una montagna, adesso so apprezzarne le qualità e le sfumature. Oggi si va troppo sullo specifico, sull’iper-specializzazione, mentre la conoscenza deve essere una mescolanza di nozioni che interagiscono tra loro. Se una persona ha una dote naturale non ha alcun merito, il merito arriva se quella dote la sa coltivare e sviluppare al meglio. Quando animavo i ‘Venerdì di Bruno Belli’, cercavo di trattare non soltanto letteratura o musica, ma anche argomenti di attualità o scienza”. Belli attende alle sue
ricerche e alla scrittura nelle ultime ore del mattino, spesso da mezzogiorno alle 14.00, altrimenti il pomeriggio, “ma da giovane amavo scrivere anche la sera tardi”, precisa. Nei suoi libri ogni concetto è espresso con chiarezza, “perché il lettore deve capire ciò che racconti e potersi fidare di chi ha svolto una ricerca approfondita prima di scrivere. Oggi si danno nozioni ma non la spinta a indagare più a fondo: nessuno ha risposte definitive, ma la ricerca appassionata serve ad avvicinarsi al sapere”. Tra le incisioni che raffigurano l’amata Giuseppina Grassini, che anche Praz apprezzava, i ritratti di Giuseppe Verdi e Gioachino Rossini, il busto di Goethe e una ceramica con l’effigie di Mozart, Bruno Belli, membro della Società Storica Varesina, dice la sua sulla cultura: “A chi parla? A cosa serve? Se la si esibisce soltanto per metterla in vista, allora vale quanto un soprammobile. Invece va messa a frutto in base agli errori commessi in passato, alimentando la conoscenza dei fatti in modo che la cultura sia al servizio della comunità. Oggi dà l’impressione di essere musealizzata oppure manovrata dai politici soltanto per avere consenso”.
“Se una persona ha una dote naturale non ha alcun merito, il merito arriva se quella dote la sa coltivare e sviluppare al meglio. Quando animavo i ‘Venerdì di Bruno Belli’, cercavo di trattare non soltanto letteratura o musica, ma anche argomenti di attualità o scienza”
Pietro
Pietro
Macchione Macchione ed., 2022Centocinquant’anni di vocazione imprenditoriale. Un tomo importante, anche dal punto di vista delle dimensioni e dell’apparato iconografico, per racchiudere una storia di impresa, che è insieme anche storia del territorio varesino (in particolar modo della sua vocazione economica) e storia d’Italia.
Un percorso aziendale che è il viaggio di una famiglia operosa che ha lasciato il segno, intrecciandosi anche con quella di altre industriose famiglie varesine. La presentazione del volume, in occasione delle festività natalizie, è stata l’occasione di una grande festa con tutti i dipendenti e gli amici che fanno parte di questa grande storia di impresa.
pietromacchione.it
Lindsay Camp Nomos, 2022
L’attenzione verso le famiglie, in un momento in cui uno dei temi più importanti dell’attualità è quello della denatalità e della conseguente necessità di promuovere la genitorialità,
Silvia GiovanniniDaniele
Paesi
Moretti Edizioni, 2022si concentra più spesso sulle mamme. Ben venga, quindi, anche nella narrativa per i più piccini la par condicio. Questo libro di papà e di pinguini è una bella storia, semplice e originale insieme, dedicata ai bambini di ogni età, arricchita dalle preziose illustrazioni di Momoko Abe, artista giapponese e londinese di adozione, tradotta in italiano da Francesca Giulia La Rosa.
nomosedizioni.it
Idee e soluzioni per far pace con il Pianeta. “Quali azioni possono fermare l’inquinamento? Perché investire nella green economy? Il cambiamento climatico è un fatto irreversibile? Quali rischi per gli oceani? Quale stile di vita sostenibile dovremmo adottare? Quali sono le tecnologie più adatte al cambiamento?” Le possibili risposte a queste e ad altre domande nelle opinioni di autorevoli esperti italiani e internazionali. Tra gli altri, Roberto Cingolani, Enrico Giovannini, Stefano Boeri, Frans Timmermans, Jeremy Rifkin e i top player della imprenditoria green.
paesiedizioni.it
I libri di queste pagine sono consultabili, anche in prestito (su appuntamento o previo contatto telefonico), alla Biblioteca “Mauro Luoni” di Confindustria Varese (in piazza Monte Grappa 5 a Varese, terzo piano). Tel: 0332.251000. E-mail: biblioteca@confindustriavarese.it
Riccardo Comerio 2022
Trent’anni di LIUCUniversità Cattaneo. Per ricordare questo importante anniversario, non una storia per tappe dell’ateneo di Castellanza, ma un racconto emozionante attraverso le storie dei laureati “perché parlano di ciò che è accaduto nella vita reale delle persone e non solo di momenti istituzionali”, scrive l’autore.
“Ne è nato un libro pieno di virgolettati perché narra fatti veri e circostanze vissute, che si compongono come tessere di un mosaico che rappresenta la comunità sociale, culturale e professionale che va sotto il nome di LIUC”.
Con gli interventi di Riccardo Comerio e Federico Visconti.
liuc.it
Giovanna Guslini, Nadia De Biagi, Rosanna Corda Vita Activa, 2022
“Non puoi scoprire nuovi oceani fino a quando non hai il coraggio di perdere di vista la spiaggia”.
L’idea delle autrici è quella di raccontare in modo leggero e spontaneo la loro vita nelle terre islamiche in
cui, malgrado le difficoltà, si sono sempre sforzate di rispettare tradizioni e regole, cercando l’incontro con persone di usi, costumi e passati differenti. Un libro autobiografico, ma non solo. Il filo rosso della narrazione e il suo valore stanno nel concetto di camminare in punta di piedi in casa d’altri. Questo “leitmotiv” si snoda lungo 14 capitoli in cui gli avvenimenti s’intrecciano attorno allo stesso tema di fondo, alternando le tre voci narranti e i differenti punti di vista.
vitaactivaeditoria.it
“Non è un virus ma è contagioso come se lo fosse: si tratta della più grande, ma più difficile rivoluzione industriale del nuovo secolo”. L’ultimo lavoro di Riccardo Comerio, imprenditore, Past President di Confindustria Varese, Presidente della LIUC e ormai anche prolifico ed eclettico scrittore, è dedicato alla transizione ecologica. Obiettivi ambientali, opportunità, sfide e fattori critici, spunti e riflessioni in un libro che è una sorta di annuale appuntamento per fare il punto sulle tematiche più rilevanti per l’economia, l’industria e, più in generale, la società. Per citare le parole dell’autore: “Una lettura elettrizzante”.
@rikicomerio su Twitter
Le ultime notizie sulle #ImpresediVarese dal web e dai social network. Solo su
Nel podcast di Varesefocus, il caso dell’impresa logistica di Castellanza che mette le persone al centro. Miglior Pmi in Italia per le politiche inclusive Lgbt, per tre anni Woman Value Company secondo la Fondazione Bellisario, tra le 100 imprese sostenibili premiate da Forbes e non solo.
Enrico Cantù Assicurazioni è, per il quarto anno consecutivo, una delle imprese italiane a meritarsi il titolo di Welfare Champion. Un riconoscimento che premia la sensibilità al tema dell’impresa saronnese parte del Gruppo Generali Italia.
Far conoscere ai giovani le attività portate avanti dai Digital Innovation Hub di Confindustria è stato l’obiettivo di una giornata formativa per gli studenti dell’ITS
INCOM di Busto Arsizio. Per loro le testimonianze di Carl Zeiss, B.D.G. EL e Prealpi.
È nata la nuova testa di leone in stampa 3D, che arricchisce il campanile Bernascone di Varese. Il progetto, frutto di una collaborazione tra imprese e con la comunità pastorale, ha visto in opera l’arte di Gasparoli e i polimeri plastici di LATI.
Un nuovo negozio per Bip Bip e la famiglia Novati, per portare Besnate oltre la crisi, valorizzando il commercio: l’inaugurazione è avvenuta lo scorso dicembre alla presenza del sindaco del paese, Giovanni Corbo.
Legolize, la più grande community di vignette umoristiche che ha per protagonisti i famosi mattoncini Lego, vince il premio innovazione della comunicazione 2022: una riflessione per i comunicatori, della carta stampata ma soprattutto del digitale. Per non dimenticare che per essere seri, non è necessario essere seriosi
mai la vis comica e la semplicità. All’inizio dell’anno, cercando di orientarsi tra reel, wrapped e Tik Tok, una riflessione: la via per creare una comunicazione nuova, non potrebbe essere quella di prendersi meno sul serio?
Ironia, irriverenza, un pizzico di cinismo a volte e tanta genialità: quel quid che fa riflettere dietro ad un sorriso o anche una risata trattenuta a stento. Quel qualcosa che smuove corde e arriva al cuore. Dai palchi del teatro alla letteratura, la comicità, l’umorismo, la satira fin dagli albori del genere, sono portatori di messaggi alti.
Espressione del genio e dell’arte, quella che sembra spontanea e, invece, è frutto del sudore della fronte. La sfida oggi è trasferirlo nel digitale: per i comunicatori non una
cosa da poco. Da una parte ci sono le sfide di tempi difficili, dall’altra il senso di responsabilità che questo implica; da una parte le potenzialità enormi offerte da strumenti sempre nuovi e tecnologie performanti, dall’altra la difficoltà dello stare al passo. Insomma, ci sarebbe poco da stare allegri, figuriamoci ironici.
È in un panorama così complesso e impegnativo che la leggerezza trionfa, distingue, rende unici. Fa riflettere che il premio Angi 2022, l’Oscar all’innovazione, consegnato lo scorso dicembre, sia stato assegnato a Legolize,
Nessun influencer è stato maltrattato per questo progetto: solo un’idea geniale tanto da essere diventata un riferimento
la più grande community di vignette umoristiche con i Lego.
Nessun influencer è stato maltrattato per questo progetto: solo un’idea geniale tanto da essere diventata un riferimento. Un concetto di comunicazione unico, capace di trasmettere contenuti di valore, senza abbandonare
“Leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. Quante volte avete letto questa frase di Italo Calvino come un invito ad essere un po’ più chill, come direbbero gli adolescenti oggi? Un po’ più rilassati, senza però rinunciare ad andare oltre alla superficie e a generare valore?
Il fatto è certo: per essere seri, non è necessario essere seriosi. Nei primi mesi dell’anno, quelli in cui ci si interroga sulle nuove tendenze, l’augurio è che i comunicatori imparino a prendersi meno sul serio e non dimentichino il valore della leggerezza.