3.5 La sventura umoristica di Torquemada Il volontariato di Torquemada esemplifica queste premesse. Il caso di vita raccontato è ambientato in una piccola borgata di provincia, Cernedo, dove il farmacista Prospero è rimasto da poco vedovo a causa della morte della moglie Zenobia, avvenuta durante il parto del figlioletto Torquemada. Rimasto da solo a crescere il bambino, Prospero passa gli anni scoprendo lentamente nuovi lati di sé. Si dedica anima e corpo alla crescita del bambino, lo porta a caccia, lo fa nominare segretario di un circolo politico. Torquemada diventa grande ma rimane sempre una figura goffa, paffuta, gentile, sommamente dedito a suo padre. La situazione, come già nel racconto di Pirandello, subisce una svolta con lo scoppio del conflitto. Prospero viene accusato di aver firmato delle carte per far riformare il figlio. Dinanzi all’onta di questa accusa, Prospero si sente costretto a far partire il figlio per il fronte come volontario. Torquemada obbedisce come sempre. Ma il padre è dentro di sé combattuto. Da una parte teme che il figlio non riesca a farsi onore in battaglia, ma dall’altro teme per la sua incolumità. Passato un po' di tempo, Prospero riceve la notizia del ferimento del figlio in battaglia. Corso in un ospedale militare di Ferrara non riesce a riconoscere tra gli indigenti il figlio, perché oltre ad una gamba amputata ha ormai un viso magro, abbronzato, con un accenno di barba. Il viso tondo di bimbo ha lasciato spazio all’espressione ruvida di un uomo. Risvegliatosi da un lungo sonno, rivede il padre e «un sorriso, il suo sorriso buono, fanciullesco, affettuoso, gli illuminò tutta la faccia»220. Il buon Toma, notando la disperazione del padre, cerca di rincuorarlo con la frase che chiude il racconto: «non disperarti, papà…Sono stato ferito…sono stato ferito…volentieri»221. In questa frase paradossale, in cui una menomazione permanente diventa un piacere fatto per il genitore, si scorge l’umorismo su cui poggia l’intera struttura del racconto. La presenza del sorriso ironico nella narrativa di Paola Drigo è stata in realtà riconosciuto da alcuni critici che abbiamo già citato, come Manara Valgimigli e Barbara Marola. Un aspetto sotterraneo e minoritario che trova però forma compiuta in questo racconto, che utilizza in maniera scoperta le tecniche del comico e dell’umorismo.
P. Drigo, Codino, Milano, Treves, 1918. Ho consultato l’edizione digitalizzata da Liber Liber, a cui mi rifaccio per la citazione delle pagine. https://www.liberliber.it/mediateca/libri/d/drigo/codino/pdf/codino_p.pdf, p. 82. Consultato il 03/01/2019. 221 Ibid. 220
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