
4 minute read
1.2 L’abisso tra il prima e il dopo: il vero volto della guerra
1.2 L’abisso tra il prima e il dopo: il vero volto della guerra
Le speranze, le congetture, le riflessioni trovano il momento decisivo il 24 maggio 1915. L’Italia entra nel conflitto e finalmente la classe intellettuale può mettere alla prova il fermento e l’attesa provate nell’anteguerra. È questo il secondo momento importante nella produzione di scritti legati alla Grande Guerra. Le convinzioni e l’aggressività dei discorsi interventisti si scontrano con la realtà. La battaglia ottocentesca in campo aperto, sognata dagli intellettuali come duello individuale in cui far vedere il proprio valore, si rivela una «guerra di talpe»19, un conflitto di posizione in un cui si combatte per guadagnare pochi metri di terra. Il sogno di un teatro bellico in cui mostrare il proprio eroismo si infrange nella realtà di un conflitto lungo e logorante, una guerra «senza orizzonti»20, come viene descritta da Giani Stuparich in Guerra del ’15 (1931). Una battaglia che fa regredire l’umanità ad uno stadio inferiore, trasformando la trincea in un «mondo di trogloditi»21 . L’incontro con il conflitto si trasforma nella storia di una delusione e di una disillusione. La guerra guidata dagli ideali si dimostra «una guerra di macchine, guerra di mercato»22, come riassume Luigi Pirandello. Scontro che mostra il lato più terribile della modernità, il suo «carattere industriale»23, in cui «la “produzione” passa attraverso la “distruzione” della vita»24 . Lo shock causato dalla disillusione tra la guerra immaginata e la guerra vissuta incentiva diverse forme di scrittura. Non sembra casuale il fatto che molti scrittori ricostruiscano nei
Advertisement
propri libri il viaggio verso il fronte, che «oltre ad essere un viaggio reale, che prevede uno spostamento fisico, dalle città alle trincee»25, e che ripercorre le diverse tappe del trasferimento, da stazione a stazione, è anche un «itinerario di conoscenza»26, in cui si racconta il passaggio «dalle illusioni della vigilia alla tragica realtà»27 .
19 Ivi, p. 211. 20 Ivi, p. 219. 21 P. Fussell, La Grande Guerra e la memoria moderna, Bologna, il Mulino, 2000, p. 47. 22 Parole da dire, uomo, agli altri uomini, a cura di I. Puppo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, p. 113, cit. in G. Capecchi, Lo straniero nemico e fratello, cit., p. 16. 23 Le notti chiare erano tutte un’alba. Antologia dei poeti italiani nella Prima guerra mondiale, a cura di A. Cortellessa, Milano, Mondadori, 1998, p. 23. 24 Ibid. 25 G. Capecchi, I fronti della scrittura, cit., p. 84. 26 Ibid. 27 Ivi, p. 85.
È il viaggio a creare una frattura insanabile tra un prima e un dopo. È l’itinerario che spacca la società in due gruppi, chi ha combattuto e chi non l’ha fatto, contribuendo al momento cruciale della trasformazione del letterato in guerra. Il tema della metamorfosi del combattente, molto ricorrente nella letteratura presa in esame, trova la propria definizione teorica grazie a Eric J. Leed. Nel suo libro intitolato Terra di nessuno l’autore spiega il concetto di conoscenza disgiuntiva. Leed sostiene che «ciò che gli uomini apprendono in guerra li separa in maniera irrevocabile da tutti coloro che ne rimangono fuori: l’esperienza di guerra infatti istituisce confini generazionali ben precisi»28, tra coloro che hanno vissuto da protagonisti il conflitto e coloro che sono stati costretti a rimanere a casa per motivi anagrafici. Tuttavia la conoscenza acquisita dai soldati è «disgiuntiva anche in un altro senso, cioè nel suo segmentare la vita dei combattenti in un “prima” e in un “dopo”»29. La guerra quindi come spartiacque decisivo della propria esistenza, episodio che cambia la propria vita e, secondo un altro tema frequente in questi scritti, che fa invecchiare precocemente. Per questo motivo secondo Andrea Cortellessa la Grande Guerra diventa un «”mito”: cioè una ristrutturazione simbolica della realtà»30, che «comporta una ridisposizione complessiva dell’individuo nei confronti del mondo»31 .
La conoscenza disgiuntiva pone la letteratura di guerra tra due poli opposti, entrambi fondamentali per la sua comprensione. Da una parte c’è la consapevolezza degli scrittori di non poter spiegare la guerra a chi non l’ha vissuta, perché qualsiasi descrizione risulterebbe falsa e mistificante. Ma al contempo per gli stessi scrittori «resta difficile rimanere muti, senza tentare di fermare sulla carta e di comunicare agli altri un’esperienza sconvolgente come quella della trincea»32. Queste due forze contrastanti rendono la letteratura di guerra ambivalente, in quanto questi testi cercano di restituire, pur riconoscendone l’impossibilità, la «sostanza traumatica»33
dell’evento, creando un apparente paradosso.
28 E. J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale, Bologna, il Mulino, 1985, p. 104. 29 Ivi, p. 105. 30 Le notti chiare erano tutte un’alba, a cura di A. Cortellessa, cit., p. 55. 31 Ibid. 32 G. Capecchi, Lo straniero nemico e fratello, cit., p. 22. 33 Le notti chiare erano tutte un’alba, a cura di A. Cortellessa, cit., pp. 13-14.