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1.4 Il concetto di distanza nella letteratura del conflitto
interventisti. Ad esempio Giovanni Boine scrive per le Edizioni della Voce i Discorsi militari (1914), che «offrono una sintesi dei moventi di guerra attivi nel paese»53. L’opera interventista però non riflette il vero stato d’animo di Boine. Le sue lettere rendono «più problematico e meno convinto lo spirito bellicistico della ‘vigilia’ manifestato in pubblico»54. In particolare il carteggio con Emilio Cecchi è rivelatore in tal senso. Boine chiede al suo interlocutore di «non credere troppo al mio militarismo»55, e mostra un certo fastidio per quell’opera, liquidata con questa frase: «cose di quand’ero ragazzo»56. La vicenda di questo autore risulta emblematica per spiegare la scissione vissuta da molti intellettuali tra l’omologazione al clima bellico e una interiorità più lacerata.
1.4 Il concetto di distanza nella letteratura del conflitto
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Conclusa l’analisi delle forme di scrittura prodotte durante il conflitto, un ultimo aspetto da considerare per la classificazione di questi scritti è il tema della distanza, sia in termini di spazio che in termini di tempo. Molta letteratura nasce direttamente in trincea e racconta l’esperienza personale di un soldato che si trova a combattere in prima linea. Al tempo stesso un’altra parte significativa nasce distante dai luoghi del conflitto. La distanza può essere una parentesi forzata nella guerra vissuta come impresa eroica. Il Notturno di D’Annunzio nasce in una occasione simile, con il poeta costretto a letto, cieco, dopo il distacco della retina dell’occhio destro causato da un incidente aereo. C’è chi è costretto a rimanere distante dal conflitto per questioni di genere (ad esempio Matilde Serao, Amalia Guglielminetti, Paola Drigo) o per ragioni anagrafiche. Italo Svevo nella Coscienza di Zeno (1923) fa riferimento allo scoppio della guerra, come vedremo meglio a fine capitolo, mentre Pirandello scrive tra 1914 e 1915 il racconto Berecche e la guerra. Federico De Roberto, anche lui lontano dal fronte a causa dell’età, entra nella letteratura di guerra con il volume Al rombo del cannone (1919), costituito da articoli scritti tra 1915 e 1918. Al rombo del cannone analizza diversi conflitti del passato cercando paralleli e ricorrenze con la situazione presente. De Roberto va citato anche perché nel dopoguerra scrive alcune novelle di argomento bellico, tra cui la celebre La paura (1921).
53 M. Isnenghi, Il mito della grande guerra, cit., p. 77. 54 G. Capecchi, Lo straniero nemico e fratello, cit., p. 92. 55 G. Boine-E.Cecchi, Carteggio (1911-1917), a cura di M. Marchione e S. Eugene Scalia, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1972, p. 173, cit. in G. Capecchi, Lo straniero nemico e fratello, cit., p. 93. 56 Ibid.
Distanza spaziale che dialoga con distanza temporale. La letteratura di guerra non si esaurisce nel 1918, ma prosegue anche molti anni dopo la fine del conflitto. Nel dopoguerra esce Viva Caporetto! (1921) di Curzio Malaparte, che fornisce una interpretazione molto originale del comportamento dei fanti nel momento più difficile dell’esercito italiano, visto come rivoluzione dei soldati contro i parassiti delle retrovie. In questo periodo escono altri importanti libri come il Diario di un imboscato (1921) di Attilio Frescura o Trincee (1924) di Carlo Salsa, opere che riescono a «coniugare il valore letterario e l’importanza storicodocumentaria»57 .
Anno importante è il 1928, cioè il decimo anniversario dalla fine della Grande Guerra, quando il crescente clima militare dovuto al fascismo promuove una riflessione e una rievocazione acritiche. Esce nel 1928 La città effimera di Giuseppe Scortecci, mentre negli anni ’30 viene pubblicato Guerra del ’15 (1931) di Stuparich, Giorni di guerra (1930) di Giovanni Comisso e Il castello di Udine (1934) di Gadda. Nel 1934 esce Momenti della vita di guerra di Adolfo Omodeo, importante opera storiografica, che si distingue per la parzialità dello sguardo sulla guerra, vista attraverso la lente degli intellettuali. Gli anni più maturi del fascismo sono ricchi di riflessioni, sia critiche che encomiastiche, sulla guerra da poco conclusa. Nel 1938 viene pubblicato Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu, uno dei racconti più autentici della vita in trincea. Sul primo conflitto si ritorna anche nel secondo dopoguerra, grazie alla pubblicazione di libri scritti durante la stagione ’15-‘18 e rimasti sommersi, come il Giornale di guerra e di prigionia di Gadda, che esce nel 1955. Negli anni ’60, con l’impulso dato grazie all’anniversario dei cinquant’anni, nascono nuove linee di ricerca storica, con i lavori di Giorgio Rochat e Mario Isnenghi che diventano capofila di questa nuova stagione storiografica. Per concludere, tra gli altri esempi possibili, con il ritorno nei luoghi di guerra alla ricerca delle tracce e dei segni rimasti compiuto da Andrea Zanzotto, nel suo viaggio poetico intitolato Galateo di bosco (1978).
57 G. Capecchi, Lo straniero nemico e fratello, cit. p. 121.