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5.8 Sulla scatologia
Aspetto confermato dagli studi di Giuseppe Dierna, secondo il quale la stratificazione celata del carattere di Švejk si manifesta nelle continue digressioni fatte ogniqualvolta si presenti l’occasione, principalmente aneddoti o storielle comiche che sembrano slegarsi da ogni funzione interna alla trama, seguendo una pura logica delle similitudini, non riconducibile al racconto o ai fatti di guerra che accadono nel romanzo. L’apparentemente innocente Švejk, dai dolci occhi azzurri, sa mostrare tratti crudeli. Il viso fanciullesco può diventare un ghigno diabolico, come quando liquida con una battuta la moglie dell’oste Palivec, disperata perché il marito è stato condannato a dieci anni di prigionia per aver permesso, secondo il tribunale, che le mosche defecassero su un vecchio ritratto dell’Imperatore lasciato impolverato nel suo locale. La donna è distrutta ma, forse per idiozia o forse per menefreghismo, il bravo soldato non mostra alcuna empatia: «la Palivcová scoppiò a piangere e poi, concentrando la sua disgrazia in una particolare accentuazione di ciascuna parola, mugolò: “Gli – hanno – dato – dieci – anni – una – settimana – fa.” “Ah, bene” disse Švejk. “Allora ha già scontato sette giorni”»359 . Sulla paffuta e buffa figura si staglia un’ombra di cattiveria e un dubbio si impone nei lettori: «ma Švejk è del tutto idiota o furbissimo?»360. A questa domanda Annalisa Cosentino risponde che la porosità del carattere del personaggio è comprensibile nel quadro della poetica di Hasek, in cui la simultaneità è fondamentale. Švejk mette in scena se stesso nel momento in cui agisce e per questo è incentivata la coesistenza nella stessa persona di caratteri diversi, in taluni casi opposti, che non giungono ad un appianamento delle contraddizioni. È ciò che compone quella che Sylvie Richterová indica come idiozia metafisica, di cui il bravo soldato è affetto, che consiste nello «slegare il segno dal suo rapporto con la realtà e nel creare uno spazio in cui ogni cosa può indifferentemente confermare o negare ogni altra cosa»361 .
5.8 Sulla scatologia
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Il ritratto rovinato dalle mosche posseduto dall’oste Palivec ci conduce ad un nuovo tema significativo nel romanzo. La comicità paradossale di Hašek è ridanciana, cerca l’effetto di una grassa risata. Non sono lesinate volgarità, sia nella materia trattata sia nel linguaggio.
359 J. Hašek, Le avventure del bravo soldato Švejk nella Grande Guerra, cit., p. 50. 360 A. Cosentino, Elogio dell’idiozia, in J. Hašek, Opere, a cura di A. Cosentino, cit., p. LX. 361 S. Richterová, L’idiozia, una passione di Jaroslav Hašek, in Tra simbolismo e avanguardie, a cura di C. Graziadei, A. Prete, F. Rosso Chioso, V. Vivarelli, Roma, Editori Riuniti, 1992, p. 127.
Sulla lingua utilizzata dall’autore è utile riprendere le riflessioni fatte da Cosentino nell’Introduzione al Meridiano di Hašek, dove analizza il particolare miscuglio linguistico ceco-tedesco presente nel romanzo, tipico dell’esercito austroungarico, con inserti di bilinguismo praghese. Ma ciò che ancora di più ci preme notare è la massiccia dose di parolacce e scurrilità presenti in queste pagine, inserita in un registro molto colloquiale, in cui ogni personaggio è caratterizzato dal proprio atteggiamento linguistico. Questo elemento risponde ad una precisa istanza dell’autore, quasi una dichiarazione di rivalsa poetica che si trova esplicita nella Postfazione alla Parte prima. Hasek si lancia in un’invettiva contro l’ipocrisia perbenista degli intellettuali, attenti alla conformità di ogni singola parola ma incapaci di vedere la realtà che si pone davanti al loro sguardo. L’autore non vuole compiacere questa visione edulcorata del mondo, ma vuole al contrario fotografare ciò che succede con concretezza e materialità: «La vita non è affatto una scuola di buone maniere. Ciascuno parla come sa. […] e questo romanzo non è né un manuale per affinare il comportamento né un trattato sulle espressioni che è lecito impiegare in società»362. E subito dopo aggiunge: «Se è necessario impiegare un’espressione forte che nella realtà è stata pronunciata, non ho alcun imbarazzo a proporla esattamente alla maniera in cui fu detta. Considero parafrasi e puntini sospensivi la più stupida delle finzioni. Sono parole usate anche in parlamento»363 . Perciò abbonda il turpiloquio e spesso la comicità sconfina nella scatologia. Come già per le malaugurate mosche di Palivec, la materia fecale è molto presente con diversi significati. Come scritto da Giuseppe Dierna, «il disfacimento corporale per evacuazione incontrollata sembra essere una caratteristica precipua dell’esercito»364. Nelle parole di Švejk il vero soldato austroungarico si riconosce per l’incontinenza intestinale nel campo di battaglia e gli accampamenti sono pieni di clisteri e latrine. È un’atmosfera pregna di odori sgradevoli, che in un episodio sfocia in una comicità blasfema. Švejk si trova per caso a ricoprire il ruolo di assistente del Feldkurat Otto Katz, un prelato che si occupa dell’assistenza religiosa dei soldati. Le pagine con Otto Katz costituiscono il più violento attacco dell’autore all’istituzione religiosa, in particolare alla collusione dei preti con la retorica di guerra, tra altari scomponibili, oli per l’estrema unzione di profana
362 J. Hašek, Le avventure del bravo soldato Švejk nella Grande Guerra, cit., p. 837. 363 Ibid. 364 G. Dierna, «E così ci hanno ammazzato Ferdinando!»: «Le vicende del bravo soldato Švejk» tra parodia e gioco, in J. Hašek, Le vicende del bravo soldato Švejk durante la guerra mondiale, cit., p. LXXVIII.