4 minute read

5.6 I riferimenti classici stravolti

5.6 I riferimenti classici stravolti

L’Autore, così firmato, prende parola nell’Introduzione, con una dichiarazione che avvalora questa ipotesi di voler fotografare gli anni di guerra. Scrive con ironia: «Una grande epoca vuole grandi uomini. E sono eroi discreti, modesti, senza la gloria e la storia di un Napoleone: A ben vedere, il loro carattere offuscherebbe persino la fama di Alessandro Magno»339. E poco più oltre ammette:

Advertisement

A me piace molto il bravo soldato Švejk, e nel raccontare le sue avventure nella Grande Guerra sono convinto che tutti nutriranno simpatia per questo modesto e discreto eroe. Non incendiò il tempio della dea in Efeso, come fece quel cretino di Erostrato340 per finire sul giornale e nei libri di scuola. E tanto basta.341

È subito lampante la vena dissacratoria contro la Storia e i suoi protagonisti, poiché all’autore interessano le piccole storie quotidiane in apparenza inutili e dimenticabili. Riprendendo le parole di Dierna, la logica mentale del protagonista è retta da una «visione miope»342, che porta «ad una preminenza del dettaglio sulla visione d’insieme e ad una superiorità del “privato” rispetto alla Storia, con effetti irresistibili»343, che fondano la comicità paradossale di molti episodi del romanzo. Una comicità dovuta anche ad un ribaltamento del rapporto con gli idoli e i personaggi storici importanti, come già abbiamo visto nell’Introduzione, con l’eroismo del bravo soldato che supera quello di Alessandro Magno e di Napoleone, proprio perché senza pretese o particolari convinzioni. Oltre a queste prime righe, la narrazione è intessuta di citazioni e di riferimenti intertestuali che contribuiscono all’effetto di accumulazione e congestione che contraddistingue il romanzo. Alcuni di questi rimandi hanno l’esplicito scopo di stravolgere il senso di alcuni episodi più crudi, in pagine ironiche in cui il «dramma si trasforma sempre in farsa»344. Nella Prima parte ad esempio Švejk, che soffre di reumatismi, viene mandato in un centro medico che raccoglie tutti i cittadini sospettati di fingere malanni per evitare la leva militare. È una

339 J. Hašek, Le avventure del bravo soldato Švejk nella Grande Guerra, a cura di A. Cosentino, Milano, Mondadori, 2016, p. 3. 340 Nato ad Efeso nel 356 a.C, bruciò il tempio di Artemide per cercare di rendersi famoso. Fu condannato a morte e il suo nome cadde nell’oblio. 341 J. Hašek, Le avventure del bravo soldato Švejk nella Grande Guerra, cit., p. 3. 342 G. Dierna, «E così ci hanno ammazzato Ferdinando!»: «Le vicende del bravo soldato Švejk» tra parodia e gioco, in J. Hašek, Le vicende del bravo soldato Švejk durante la guerra mondiale, cit., p. XLIX. 343 Ibid. 344 Ivi, p. LXXXVIII.

sorta di prigione in cui si respira una forte tensione fatta di soprusi e violenze, dove l’autorità, impersonata dal famelico dotto Grűnstein, imprime il proprio tragico marchio su cittadini considerati vili e indegni. Il bravo soldato non simula, soffre realmente di reumatismi, ma nessuno gli crede e gli vengono inflitti gli stessi trattamenti, tra i quali abbondano estenuanti clisteri. Al contrario dei propri compagni, il protagonista accetta di buon grado la punizione, anzi in uno slancio patriottico incoraggia il suo aguzzino: «Non risparmiarmi […]. Pensa al fatto che è su questi clisteri che si regge l’Austria, e la vittoria è nostra»345 . Il giorno successivo il dottor Grűnstein domanda a Švejk se si trovi bene nel pernottamento nell’ospedale militare, e il paziente risponde felice e ubbidiente che è conscio di far parte di «un’istituzione giusta e nobile»346. La paradossale contentezza e serenità con cui accetta le condizioni di guerra non gli porta però nessun vantaggio materiale:

Come ricompensa ricevette lo stesso trattamento del giorno prima, e inoltre l’aspirina e tre pillole di chinino che gli fecero sciogliere nell’acqua affinché le prendesse immediatamente. Neppure Socrate aveva bevuto la sua coppa di cicuta con la tranquillità con cui bevve il chinino Švejk, sul quale il dottor Grűnstein aveva provato tutti i gradi di tortura.347

Il richiamo iperbolico alla classicità, con il goffo gesto del soldato paragonato alla morte del filosofo raccontata nel Fedone di Platone, crea un effetto satirico molto potente contro la retorica propagandistica. C’è un altro episodio che gioca con questo richiamo derisorio al mondo classico. Švejk, nel viaggio verso il fronte viene dimenticato in una stazione, dove ha indugiato troppo nelle chiacchiere in un bar. Deve partire a piedi verso České Budějovice, il punto di approdo del suo Reggimento, e ancora una volta c’è una citazione colta del narratore: «L’antico guerriero Senofonte attraversò l’intera Asia Minore andando ovunque senza una mappa. Anche gli antichi Goti compivano le loro spedizioni senza avere competenze topografiche. Marciare sempre avanti, questo è quel che si dice un’anabasi. Farsi strada in contrade ignote»348 . L’anabasi del protagonista è disastrosa, gira a vuoto senza arrivare mai a destinazione, tornando negli stessi posti come si trovasse in un labirinto. L’ottimismo di Švejk però non conosce limiti: «Su a settentrione, sulle rive del Mare del Nord, dove arrivarono anche loro senza mappa, le legioni romane di Cesare un bel giorno si dissero che sarebbero tornate a Roma

345 J. Hasek, Le avventure del bravo soldato Švejk nella Grande Guerra, cit., p. 75. 346 Ibid. 347 Ibid. 348 Ivi, p. 258.

This article is from: