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5.2 La costruzione del personaggio Rubè

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Bibliografia

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5.2 La costruzione del personaggio Rubè

Il romanzo di G. A. Borgese ha trovato ostacoli ad entrare nel canone della letteratura italiana del Novecento e i motivi di ciò sono tanti e complessi, troppi per poter essere qui approfonditi. La figura tragica di Filippo Rubè e il suo potere rivelatore sociale e politico degli umori del dopoguerra non hanno ricevuto ottima accoglienza, in un clima letterario dominato dalla prosa d’arte, breve e edulcorata nei contenuti. Per molti anni inoltre il romanzo è stato letto solo nell’ottica della biografia del suo autore, vedendo nel protagonista un suo nevrotico alter ego e facendone pesare l’attività di critico letterario svolta sui giornali, simbolo per i detrattori di mancanza di creatività e di senso artistico.

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Anche per quanto concerne l’inserimento del romanzo nel folto gruppo della letteratura di guerra, l’ombra di Borgese ha un suo peso specifico. Egli è stato un convinto interventista ma non ha avuto un vissuto solido all’interno della guerra. Isnenghi lo inserisce tra gli intellettuali «al cui interventismo dichiarato, paragovernativo, non corrisponde un’esperienza diretta, personale e durevole della guerra»302. Così è nella finzione per Rubè, che vede il proprio castello di illusioni e di speranze nato dalla guerra crollare in maniera rovinosa per una banale ferita, che lo costringe a ritirarsi precocemente dal fronte e quindi a non raggiungere la catarsi tanto sognata. Ma come è costruito il personaggio di nome Filippo Rubè? Le prime righe del romanzo ce ne danno già un lucido ritratto: «La vita di Filippo Rubè prima dei trent’anni non era stata apparentemente diversa da quella di tanti giovani provinciali che calano a Roma con una laurea in legge, un baule di legno e alcune lettere di presentazione a deputati e uomini d’affari»303 . È un siciliano inurbato a Roma che sogna di migliorare la propria condizione sociale, lavorando nello studio dell’onorevole Taramanna e progettando una possibile carriera politica a Calinni, il proprio paese di origine. Rubè è tuttavia un uomo fallito, dai pensieri sempre eccessivi rispetto ai propri mezzi, che arranca in una vita grama di soddisfazioni, con una carriera piena di sconfitte professionali, una donna che sposa ma non ama veramente, un’altra donna che gli fa scoppiare la passione ma che muore tra le sue braccia per un incidente, in una incessante e inquieta peregrinazione tra diverse città. È un uomo mancato, alla continua ricerca di una svolta che non giunge mai, che continua a rimanere in una sorta di compressione della propria volontà e delle proprie azioni. Il dramma

302 M. Isnenghi, Il mito della Grande Guerra, cit., p. 209. 303 G. A. Borgese, Rubè, Milano, Mondadori, 1994, p. 5.

di Filippo Rubè e le sue tragiche vicende non si risolvono solo su un piano individuale. Come sostengono la maggior parte dei contributi critici su questo romanzo, è sul piano sociale e generazionale che può essere compresa la parabola e la formazione di questo personaggio. Guido Piovene, in un articolo del 1974, parla di «crisi dell’intellettuale moderno»304, mentre Gian Paolo Biasin riconosce la vicenda di Rubè come una storia «paradigmatica e almeno in parte profetica»305 . Rubè è infatti un prototipo, un personaggio-emblema di una certa piccola borghesia intellettuale che desidera migliorare la propria situazione, anche grazie alla guerra. Borgese costruisce quindi il protagonista del romanzo come un antieroe, fluttuante nei pensieri e gracile nel fisico (è colpito da continue malattie), e così abdica al dannunzianesimo giovanile, rifiutando la «mistica del superuomo»306 che aveva fatto invaghire molti ragazzi della sua generazione. Un rifiuto di un modello culturale che diventa esplicito in una scena del romanzo, quando il protagonista immagina un grande incendio che faccia sparire tutti i libri che hanno costellato la sua formazione e traviato la sua gioventù: «Tutti senza eccezione. Memoriale di Sant’Elena307, Stendhal, Nietzsche, D’Annunzio. Tutti sul rogo, superuomini vivi e morti»308 . L’insoddisfatto Rubè è un uomo in perenne crisi e interrogazione su se stesso, che patisce il dramma di un destino di insoddisfazione sociale, dovuta ad uno sfasamento tra un contesto piccolo-borghese e una insana aspettativa di realizzazione personale, superiore alla realtà, che trapela in alcuni punti della narrazione. In un accento di profonda consapevolezza, Rubè fa la seguente dichiarazione:

Io poi appartengo a quella infelicissima borghesia intellettuale e provinciale, storta dall’educazione del tutto o nulla, viziata dal gusto delle ascensioni definitive donde si contemplano i panorami. Abbiamo le mani senza calli e coi tendini fiacchi; non sappiamo stringere né una vanga né una spada; e sappiamo stringere solamente il vuoto.309

La scissione di Rubè è vissuta anche a causa della formazione che ha ricevuto. Ha

studiato Legge e vuole entrare a far parte di un ceto medio intellettuale-impiegatizio, ma sente come insopprimibile un pesante senso di nullità del proprio ruolo: «Il fatto è che sono un

304 Ivi, p. 397. 305 G. P. Biasin, Il rosso o il nero: testo e ideologia in Rubè, «Italica», 2, 1979, p. 194. 306 L. De Maria, Introduzione a Rubè, Milano, Mondadori, 1974, p. XVII. 307 Raccolta di riflessioni pronunciate da Napoleone durante l’esilio a Sant’Elena e trascritte da Emmanuel de Las Cases. La prima edizione esce nel 1821-22. 308 G. A. Borgese, Rubè, cit., p. 322. 309 Ivi, p. 99.

intellettuale. Un in-tel-let-tua-le. Una cosa orribile, un mostro con due gambe […], con due braccia e un cervello che mulina a vuoto»310 .

Rubè quindi come emblema di un gruppo di giovani intellettuali che sono afflitti, secondo Biasin, da «un oscuro senso di colpa […] e dalla percezione lucida e lacerante della propria mediocrità»311, in un periodo storico in cui il loro peso sociale e la loro legittimazione è messa in dubbio, come evidenziato da Salvatore Battaglia312 . Il personaggio Rubè che non trova la propria identità sembra presentare in filigrana una eco dell’umorismo di Pirandello. È un aspetto che alcuni critici hanno voluto sottolineare nei propri articoli. In particolare nel romanzo di Borgese ci sono tre elementi che sembrano ricondurre alla poetica di Pirandello. Il primo aspetto viene riconosciuto nell’articolo di Piovene, in cui l’autore scorge un punto di contatto tra Rubè e i personaggi pirandelliani: «L’aspetto principale della sua nevrosi è un ragionare su se stesso senza posa, maniaco, inarrestabile come il battito delle ciglia»313. Rubè è un uomo imprigionato dalle proprie ossessioni e dalle proprie paranoie, che non riesce ad agire perché bloccato da un cronico pensiero sulla sua vita e sulle sue azioni. In questo elemento il personaggio ricorda il già analizzato Berecche, uomini intrappolati nella propria mente e quindi costretti all’inettitudine. Il riverbero di Pirandello è riscontrabile, trattasi del secondo aspetto, nel tema dello specchio. Più marginale e sotterraneo rispetto al primo ma comunque importante, il ruolo di questo oggetto nel romanzo è stato studiato in particolare da Biasin. Lo specchio restituisce l’immagine del protagonista, ma la figura di uomo alieno e irrisolto che Rubè nota è per lui spaventosa. In un punto del romanzo Rubè ha in mano il vestiario necessario per andare al fronte, è felice di questa sua nuova avventura che può portargli l’agognato successo, ma il casuale passaggio davanti ad uno specchio lo riporta alla realtà, poiché «vedendosi a quel modo, non ebbe pensieri di comicità»314 e «anzi gli parve di somigliare a un ladro col fagotto della roba rubata»315. Nuovamente la sensazione di esclusione quindi, di essere sempre fuori luogo rispetto al contesto, restituita dal doppio dello specchio, elemento importante nell’umorismo pirandelliano. Un oggetto e un simbolo che può diventare anche trascrizione di momenti che fanno intravedere le gravi nevrosi di Rubè, come succede nell’episodio in cui, passato davanti

310 Ivi, p. 318. 311 G. P. Biasin, Il rosso o il nero: testo e ideologia in Rubè, cit., p. 181. 312 S. Battaglia, Mitografia del personaggio, Napoli, Liguori, 1997, pp. 533-541. 313 G. A. Borgese, Rubè, cit., p. 399. 314 Ivi, p. 88. 315 Ibid.

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