
2 minute read
Conclusione
Come già delineato nell’Introduzione e volendo rimanere fedeli a quell’assunto, il discorso sulla narrazione comico-umoristica di guerra non giunge ad una conclusione. La volontà che ha guidato la scrittura di queste pagine consiste nel dimostrare che un tipo di rappresentazione letteraria apparentemente lontana possa essere in verità utile per comprendere temi e modi della Grande Guerra.
Tanti snodi decisivi sull’immaginario legato a questo evento sono stati affrontati e tante sfumature della risata (ironia, umorismo, sarcasmo, satira) sono state analizzate. Senza voler apparire ridondanti rispetto a quanto detto nei singoli capitoli, si reputa qui più interessante delineare alcuni possibili indirizzi di ricerca che, partendo da questo tema, potrebbero portare a risultati degni di nota. Prospettive curiose potrebbero giungere da ricerche di più ampio respiro rispetto a questa trattazione. Appunto un censimento delle prove narrative comico-umoristiche legate al conflitto e sommerse nell’abbondante pubblicistica potrebbe essere utile, affiancando al catalogo di questi titoli uno studio sul linguaggio utilizzato o sui motivi ricorrenti. Ampliare la visione anche a contesti extranazionali, studiando sulle fonti in lingua tedesca, russa e francese ad esempio, sarebbe funzionale a restituire differenti vissuti dal fronte attraverso la specola comico-umoristica, notando ricorsi e differenze. Oppure allargare il discorso alle rappresentazioni letterarie di altri conflitti, in particolare i più recenti. Restringendo il campo e rimanendo nella Grande Guerra, i dati più interessanti sembrano emergere da un mondo ancora abbastanza inesplorato come quello dei giornali di trincea. Più di uno studio sui singoli periodici, sarebbe pregno di significato una loro comparazione che mostri alcuni temi comuni, come la rappresentazione del nemico, o dell’imboscato, o ancora della donna, sempre tenendo conto dell’ottica comico-umoristica. Studiandone i pregiudizi razziali (le vignette con gli Zulù che abbiamo visto nel secondo capitolo ad esempio) o la tecnica figurativa, delineando i tratti somatici dei nemici per notare se esistano ‘tipi’ ricorrenti. La raffigurazione di sapore satirico potrebbe essere recuperata anche nelle cartoline destinate al fronte, materiale difficilmente conservato ma interessante per l’educazione e per i momenti di disimpegno del soldato. In particolare questa forma di riso come strumento di propaganda costituisce l’aspetto meno intuitivo e per questo più affascinante nell’incontro tra guerra e comico. La missione della risata che sembra più naturale è quella destabilizzatrice delle ragioni e delle convinzioni della
Advertisement
retorica. La ribellione della risata esiste anche in guerra come tecnica di sovversione, è forse l’elemento più riconoscibile. Tuttavia proprio un’analisi dei diversi scopi della satira in guerra, da una parte al servizio della narrazione ufficiale e dall’altra mezzo per deridere quegli stessi linguaggi e codici, darebbe le riflessioni più sottili e complesse. Infine, riprendendo il discorso accennato su Palazzeschi nel primo capitolo, sarebbe importante vedere i casi di rifiuto della comicità dinanzi allo scoppio della guerra. Ossia la scelta di autori che, pur frequentando il genere negli anni precedenti al 1914, decidono di abdicare quel modo di narrare perché considerato impossibile per restituire la loro esperienza drammatica.
Ecco alcuni scenari di ricerca, tra numerosi possibili, di un incontro, quello tra risata e Grande Guerra, tanto peculiare quanto ricco di spunti.