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4.3 Scrittura femminile e comicità. Una relazione possibile?
le donne per mettere al mondo figli e allevarli, e questa complementarità dei sessi appare necessaria per ritrovare pace e sicurezza in un mondo avvertito come in preda al caos»263 .
4.3 Scrittura femminile e comicità. Una relazione possibile?
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Fatta questa premessa storica, vediamo ora che forma letteraria prenda in questo periodo la scrittura femminile, quali temi siano rappresentati, chi siano i nomi più importanti e soprattutto quanto la monolitica figura di donna appena accennata si trovi in queste pagine e quali siano, in caso, le trasgressioni a questo stereotipo delle scrittrici. Partiamo dal presupposto che nella storia degli studi sulla letteratura della Grande Guerra manca una monografia completa che faccia un censimento e un commento alle scritture femminili, delineando un quadro critico e ricollocando il loro ruolo all’interno della mobilitazione patriottica. Esistono approfondimenti su singole autrici, che però si concentrano su una prospettiva biografica e non sono molto utili nel merito del nostro discorso. Per trarre alcune considerazioni generali sono importanti due contributi, uno di Alessandro Tortoreto e uno di Carla Gubert, gli unici che abbiano tentato di costruire una panoramica su questa porzione ricca e nascosta della letteratura del conflitto. La trattazione di Tortoreto però si rivela subito fallace per alcuni vizi di forma. La sua lettura è infatti filtrata dallo stereotipo del sacro compito e del supremo sacrificio per la Patria, senza la volontà di cercare un occhio oggettivo o una individualità nella voce femminile. Il suo pregiudizio critico è al tempo stesso rivelatore della persistenza di queste costruzioni sociali fatte a tavolino anche negli anni successivi alla guerra. Una deformazione di sguardo che reitera un pregiudizio che a sua volta appiattisce la realtà della scrittura femminile di guerra. Tortoreto sceglie il materiale in base alla propria tesi iniziale, tutto propizio a dimostrare le sue idee. Ne deriva una selezione incompleta e partigiana, con la scelta di scritture popolari composte da infermiere e suore, le uniche secondo lui che possano parlare con cognizione di causa perché testimoni dirette del dolore dei soldati. Domina la retorica patriottica, come nella citazione del diario di una crocerossina: «voglio essere con voi, o buoni, eroici, santi soldati d’Italia, che offesi, avviliti, ma indomabili, resistete per salvare le donne, i bimbi vostri…»264. Quando il critico passa alla letteratura più
263 Ivi, pp. 80-81. 264 A. Tortoreto, Al tempo della Grande Guerra. Due saggi e un diario, Milano, Edikon, 1968, p. 15.
formalizzata, la sua attenzione va a quelle autrici che abbiano onorato la più importante missione femminile in guerra, cioè quella materna. Quindi compare nuovamente il nome di Anna Franchi, che nel suo libro del 1917 Il figlio alla guerra scrive:
il mio figliolo è partito. Il grido della guerra lo ha chiamato, né io avrei potuto pronunziare una parola discorde da quel grido. Certo il cuore ha avuto un cattivo sobbalzo, perché tutti sentimenti più alti del patriottismo si fiaccano, affievoliscono nel tragico momento in cui un figlio parte, sanissimo, nel fior della vita, e dall’anima, viene, quasi presentimento di dolore, la domanda: ‘Lo rivedrò mai più?’265
Sofferenza materna per lo strappo improvviso del figlio, consapevolezza dell’eroismo e dell’inevitabilità della sua partenza. Questo il giusto dualismo per rappresentare la donna adatta alla guerra. La rassegna presente nell’articolo di Carla Gubert ci dice cose molto più interessanti, perché entra nello specifico letterario femminile senza giudizi preimpostati. Vengono tracciati i nomi delle scrittrici e delle opere più importanti legate al conflitto, indicando anche una via narrativa diversa rispetto a quella dominante. In primis si delinea l’ipotesi che la reticenza critica nei confronti della scrittura femminile sia dovuta ad una difficile legittimazione della loro opinione. Le donne non possono combattere, non vivono in modo diretto l’esperienza del fronte e il trauma della guerra. In quanto escluse da questa esperienza collettiva, le parole delle donne hanno meno credibilità nel dibattito di guerra, poiché sembrano lontane e sfocate: «si è sempre ritenuta prerogativa quasi esclusivamente maschile anche la rappresentazione artistica e letteraria della guerra stessa»266 . Questa riflessione si trova nella Prefazione di Parla una donna, Diario feminile di guerra (1916) di Matilde Serao, che seppur riferita alla scrittura in generale risulta più significativa perché uscita dalla penna di una donna:
Scrivere? Che cosa, scrivere? Che cosa osare, mai, di scrivere, versi d’amore, prose di romanzo? Mentre la guerra arde, divampa, distrugge, come raccogliersi per comporre delle povere piccole storie, per misurare i ritmi di alcuni versetti? Come chiudere le finestre dell’anima al rombo terribile, per ascoltare l’antica voce interiore, che ci parlava senza labbra? […] Esiste la guerra: ma è una realtà senza parole: ma è una tragedia senza poeta.267
L’impossibilità di racconto della guerra, topos già visto nel primo capitolo, viene enfatizzata nel caso della letteratura di guerra femminile.
265 A. Franchi, Il figlio alla guerra, Milano, Treves, 1917, cit. in A. Tortoreto, Al tempo della Grande Guerra. Due saggi e un diario, cit., pp. 21-22. 266 C. Gubert, Cronache dal fronte domestico: le scrittrici italiane e la Grande Guerra, in Ausencias: escritoras en los màrgenes de la cultura, Sevilla, ArCiBel Editores, 2013, p. 589. 267 M. Serao, Parla una donna. Diario feminile di guerra. Maggio 1915 – Marzo 1916, cit., pp. IX-XI.
Esistono quindi solo due tipologie di scrittura che vengono tollerate negli anni della Grande Guerra. La via preferibile è quella di «un genere di conforto, disimpegnato, apolitico»268, un semplice svago che tocca i fatti di guerra solo in modo laterale e superficiale. La seconda forma tollerata è, come intuibile, la produzione patriottica, che ben si adatta allo stereotipo di donna materna e ai suoi compiti. Al di fuori di questa ristretta forbice di possibilità poco è permesso. Risulta evidente che l’interrogativo sulla presenza di una scrittura comica femminile sembri dare risposta negativa. Lo spazio sembra non esserci, perché tale modalità narrativa non sarebbe tollerata nei claustrofobici canoni imposti. Tuttavia alcune tracce ci sono, proprio in rottura e decostruzione della vacuità di questa narrazione dominante. L’opinione comune non tollera il riso nella bocca delle donne, poiché risulterebbe «inaccettabile, provocatorio, offensivo e volgare»269 rispetto all’immagine ufficiale della madre sofferente. La risata liberatoria non è contemplata, perché offende la costruzione retorica della figura femminile e ne mina la compostezza e gravità. Proprio in tale ottica il comico può diventare un’arma per scomporre questa artificiosità, un atto di ribellione che riesca a scardinare le convenzioni. Un’eversione dovuta al fatto che «frivolezza e riso contrastano con alcuni
stereotipi presenti in maniera quasi dogmatica, soprattutto quello del dolore muto della madre o della sposa del soldato»270 . Amalia Guglielminetti si inserisce perfettamente in questo discorso di evasione dalla conformità delle regole, sia per motivi biografici che letterari. In particolare, come si diceva ad inizio capitolo, l’umorismo presente in due sue novelle ci supporta nell’approfondimento di un punto di vista diverso su questi temi. Nel nostro discorso sulla narrativa comico-umoristica della Grande Guerra abbiamo in
realtà già incontrato alcune donne. Non ne mancano certo negli articoli e nelle vignette de «La Tradotta», ma tutte ricollegate alle imposizioni già viste, dal momento che queste pagine sono declinate nella satira propagandista tipica del giornale di trincea. Le donne italiane presenti nel fronte interno sono tutte prodighe e attive nel supporto dei combattenti, senza nessun cedimento alle lusinghe e alle adulazioni degli imboscati traditori. Abbiamo visto ad esempio come le richieste di aiuto di Apollo Mari venissero evase dalle donne intorno, tutte impegnate nel lavoro
268 C. Gubert, Cronache dal fronte domestico: le scrittrici italiane e la Grande Guerra, in Ausencias: escritoras en los màrgenes de la cultura, cit., p. 589. 269 C. Gubert, Il riso di Demetra: parodia, umorismo e comicità in alcune scrittrici italiane durante la Grande Guerra, p. 2, in Le poetiche del riso: Ironia, comicità, umorismo e grottesco nella letteratura e drammaturgia italiana del primo Novecento, a cura di A. Flemrova, cit. 270 Ivi, p. 3.