FILIERA ITTICA
Microplastiche un oceano di problemi nella valutazione del rischio
O
gni anno, più di otto milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiscono nel mare. Ed è del 2016 la stima che, entro il 2050, il volume di materie plastiche accumulate negli oceani sarà maggiore di quello del pesce in essi contenuto. Ma non sono quelle macroscopiche l’unico problema. L’Efsa (l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) definisce microplastiche le particelle di dimensioni comprese tra 0,1 e 5000 micrometri (µm). Le nanoplastiche misurano da 0,001 a 0,1 µm (ossia da 1 a 100 nanometri). Rappresentano una preoccupazione urgente e crescente in quanto invadono le catene alimentari e “scivolano” attraverso i sistemi di purificazione senza essere individuate. Secondo le stime del 2017 dell’ONU, nei mari ci sono 51.000 miliardi di particelle di microplastica, un numero 500 volte maggiore di quello delle stelle della nostra galassia. E sono dappertutto. Si tratta di minuscole fibre e particelle di plastica che provengono da oggetti di
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uso quotidiano (derivano ad esempio dai nostri abiti, dalle vernici, dagli pneumatici, ecc…) e si disperdono nell’ambiente attraverso semplici attività quotidiane come fare il bucato, nuotare, guidare per le strade. Derivano dai polimeri di maggior uso, come polietilene, polipropilene, polistirene, poliammide (nylon), polietilene tereftalato (PET), polivinilcloruro (PVC), acrilico, polimetilacrilato (PMA). Quando i rifiuti di plastica si rompono e si disperdono nel nostro ambiente, diventano sempre più piccoli e si trasformano in fibre. Esse sfuggono agli impianti di depurazione e possono finire quindi nei corsi di acqua dolce, negli impianti di trattamento comunali e perfino nell’acqua di rubinetto. Queste fibre possono assorbire sostanze chimiche tossiche presenti nell’acqua, come pesticidi o inquinanti diversi
e, entrando quindi nella catena alimentare man mano che gli organismi le consumano, trasferiscono queste sostanze potenzialmente tossiche nei loro corpi fino ad arrivare sui nostri piatti. Le minuscole particelle sembrano cibo per alcune specie e, lo scorso novembre, nuove ricerche hanno dimostrato che le materie plastiche attraggono un sottile strato di alghe marine, facendole sembrare, ad alcune specie, cibo nutriente. L’impatto di questa trasmissione dalle microplastiche ai pesci agli esseri umani non è stato ancora studiato in modo esaustivo, ma conosciamo gli effetti sulla salute sui pesci e sui piccoli organismi. L’ingerimento di fibre contaminate comporta un pericolo fisico, con danni ai tessuti, e chimico, con conseguente bioaccumulo e tossicità epatica.
Produzione & Igiene
Gennaio/Febbraio 2020