C U LT U R A
FA B E R N O S T R U M
U N D E A N D R É C H E C I FA M A L E P IE T R O C A T T A N E O , 3 b b
Vi è mai capitato di soffermarvi sui graffiti che, senza ormai farci quasi più caso, leggete quotidianamente sulle pareti dei bagni del nostro Majo? Io li ho sempre guardati con un misto di ammirazione e disorientamento, come si guarda a tutto ciò che è eterno, ma solo per un po’. Mi affascinano le ultime parole lasciate negli anni dai maturandi e le poesie scarabocchiate sul momento, persino quando frammiste alle onnipresenti imprecazioni e forme falliche. Questa settimana è capitato di stupirmi - sì ragazzi, mi sono stupito mentre ero in bagno - nel leggere alcuni versi dimenticati su una di quelle pareti: “Dai diamanti non nasce niente / dal letame nascono i fior”. Per quei pochi che non lo sapessero, si tratta dei versi con cui si conclude E t C e t e r a M a jo r a n a
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la celebre Via del Campo di Fabrizio De André, canzone del 1967 che tratta della miseria che imperversava in uno dei tanti carruggi di Genova, città natia del cantautore. Questi versi giacevano lì, abbandonati, tra la turca e la scritta “lui è il mio frero!”, e in me qualcosa hanno un po’ smosso. Non saprei dire con certezza se fosse sempre stata lì o se rappresentasse una new entry tra le parole seminate su quei muri. Se per prima cosa ho notato l’ilarità di tali versi, che in qualunque altro posto sarebbero suonati ben meno ironici (di letame ne avran già visto parecchio, immagino, ma ben pochi fiori), mi sono poi chiesto cosa avesse spinto il loro misterioso portavoce a immortalarli lì. Mi sono chiesto perché il sottoscritto torni ciclicamente a sfogliarne l’intera disF e b b r a io 2 0 2 2 - N ° 6