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Amare nel 1984

GIORGIA TIRALONGO, 3bb

Anche quest’anno è finalmente, o sfortunatamente - dipende dai punti di vista - giunto San Valentino, una festa parecchio discussa tra chi non vede l’ora che arrivi e chi invece ne farebbe volentieri a meno. Al di là di personali pareri sull’utilità o meno di questa festività, bisogna ammettere che ognuno di noi, almeno una volta nella vita, ha sentito dentro di sé quel calore confortevole e ustionante, sintomo di una forte emozione. Che sia l’amore provato per un partner – o un sentimento che gli si avvicina – o per la propria famiglia e per gli amici poco importa. L’amore, almeno dal mio punto di vista, è comunque una parte di noi, con cui dobbiamo imparare a convivere e che in fondo completa noi uomini fatti di contrasti. Ai più scettici su questo punto pongo una domanda: avete mai provato a immaginare cosa significherebbe vivere in un mondo senza amore? Un mondo in cui tutti i tipi di amore, addirittura l’amore per la propria madre, non hanno più valore? In un certo senso la risposta può essere fornita dal romanzo “1984” di George Orwell. Anche se sembra una tematica marginale comparata ai fiumi di inchiostro che si potrebbero versare per parlare del bipensiero, dei regimi totalitari, dei riscontri assolutamente attuali della storia, se ci pensiamo bene l’amore è il filo conduttore di tutta la trama. Orwell scrive, a proposito della relazione fra Winston, il protagonista, e Julia: “Era un colpo inferto al partito. Era un atto politico”. Una frase molto essenziale, ma pregna di significato per l’intero romanzo e per ciò che vuole raccontarci: l’amore che si mischia alla politica, agli atti di ribellione, al contrasto con

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il regime. L’amore che diventa arma di opposizione. Ma perché i sentimenti vengono annullati in questo mondo? Perché Orwell inserisce una visione distopica anche della natura umana e non solo del governo o del sistema politico? Per rispondere si potrebbe citare il pensiero di Julia: “Non si trattava solo del fatto che l’istinto sessuale dava forma a un mondo a sé, fuori del controllo del Partito, e quindi da distruggere – almeno nei limiti del possibile. Di gran lunga più rilevante era il fatto che la repressione sessuale produceva isteria, uno stato d’animo auspicabile, perché poteva essere indirizzato verso la psicosi bellica e verso il culto del capo”. Ciò vuol dire che l’amore è un nemico potente, perché fa stare bene le persone e le rende in qualche modo meno manipolabili dal sistema. Controllare i sentimenti significa anche controllare gli istinti. Pertanto, in un mondo in cui non sussiste nessun tipo di amore, o per lo meno attrazione fra partners, non ci sono distrazioni: esiste soltanto il Partito, e tutte le energie devono essere indirizzate verso questo. Possiamo quindi arrivare a dire che l’unico amore accettato è quello verso il governo e il Grande Fratello. Insieme all’ignoranza, l’eliminazione del sentimento è un’ottima soluzione per mantenere in vita un regime del genere. Anche a logica si può presupporre che una persona ben istruita e appagata anche da un punto di vista sentimentale si senta in dovere di avere il proprio posto nel mondo e non può assolutamente tollerare di vivere in condizioni simili a quelle descritte nel libro. Ora, immaginiamo che da una persona si passi a cento, a duecento, a mille, ad un’intera città: si ritornerebbe al punto di partenza e la distopia finora descritta cadrebbe. Lo sappiamo bene anche dai libri di storia. Sull’importanza della storia potrei dilungarmi ancora per una decina di pagine, ma stringo riportando quest’unica frase: “Era possibile, adesso, comprendere il movimento ciclico della storia; e se lo si poteva comprendere, lo si poteva anche alterare”. Bisogna però specificare che il fatto che il costrutto della famiglia sia rimasto inalterato non deve ingannarci: per il Partito è comodo avere una situazione del genere, per cui tre o quattro persone abitano e trascorrono insieme moltissimo tempo. “Con questo sistema tutti vivevano circon-

dati, notte e giorno, da informatori che li conoscevano fin nel profondo del loro essere”. Addirittura sappiamo che il vicino di casa di Winston, Parsons, è finito imprigionato nel Ministero dell’Amore proprio a causa della figlia che, sentendo le sue parole di opposizione verso il Grande Fratello pronunciate nel sonno, lo ha denunciato alla Psicopolizia. Il sistema, inoltre, è talmente efficiente che Parsons non era nemmeno arrabbiato per l’accaduto, ma anzi grato per essere stato salvato in tempo e fiero della propria figlia. La fiducia nel Partito supera, dunque, persino l’amore per un padre. L’amore è quindi un’arma a doppio taglio. Qualcosa di inconcepibile per noi, e sicuramente anche un po’ iperbolico, ma spesso le cose più esagerate ci aiutano a capire meglio la normalità. Il romanzo, originale già di per sé, si riconferma ancora più inaspettato grazie al finale: Winston viene liberato, ma a quale prezzo? Ha tradito Julia, usandola come scudo per sfuggire alla tortura e alla paura più profonda, come del resto ha fatto anche lei. L’immagine che ci viene data è sicuramente molto simbolica e realista: Orwell sapeva benissimo - e lo ha ribadito più volte nella narrazione - che da un mondo del genere non si può fare retromarcia, che chiudere la storia con la vittoria assoluta dell’amore sulla violenza e dell’oppressione del regime sarebbe stato non solo banale, ma privo di significato. E invece, almeno a mio parere, la scelta del finale è stata azzeccatissima: un finale che si potrebbe definire aperto, perché Winston, Julia e il loro amore ribelle non hanno risolto proprio niente, sono anzi stati trasformati ed è stata loro tolta la capacità di formulare un’idea propria, di provare ancora amore l’uno verso l’altra, proprio perché “Dopo, i tuoi sentimenti verso quell’altra persona non sono più gli stessi”.

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