Feltrino News n. 4/2021 Aprile

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N° 4 - Aprile 2021 - Supplemento del periodico Valsugana News

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Periodico GRATUITO di Informazione, Cultura, Turismo, Spettacolo, Cronaca, Attualità, Tradizioni, Storia, Arte.



A parere mio di Cesare Scotoni

Una nuova declinazione di territorio Vi è un concetto abusato che viene invocato ogni qualvolta si vogliano nobilitare le ragioni di una scelta che implichi un contesto sociale di riferimento. Quel maltrattato concetto che è sintetizzato nel vocabolo “Territorialità”. Che non si fonda però su elementi fisici o geografici come il più solido “Territorio”, che è un Ente Oggettivo ed ha sempre un inizio ed una fine e spesso anche dei precisi confini. La Territorialità è definita di volta in volta dagli attributi che si vogliono associare ad uno Spazio Sociale che si vuole porre in relazione con un Territorio.

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l gioco che viene di volta in volta riproposto è dunque quello delle “affinità”. In Trentino per almeno 35 anni di grassa autonomia finanziaria, si è scivolati da un implicito piuttosto banale, riassumibile in una distinzione tra “i nosi da ‘na banda e i altri, che bussa, dall’altra” ad una situazione via via di maggior complessità. Dove i primi sono restati vittima di un’ autoreferenzialità riassumibile nel popolare detto del “chi si loda s’imbroda” sperando in una Continuità che puntava direttamente sulla Clonazione lì dove, per caso, la Cooptazione risultasse insufficiente… Avrei voluto qui sviluppare una Riflessione sul Passato per costruire su quella una visione di Futuro che immaginasse un modo nuovo di essere Territorio, ma oggettivamente il rischio di perdersi in un’elencazione di quegli errori di cui peraltro han dato già evidenza in passato i troppi esperti del senno di poi, mi suggerisce di limitarmi ad invocare la Capacità d’Imma-

ginare dei tanti che ancora credono in queste Terre di Montagna. Luoghi che son prima un confine tra Cielo e Terra che dei confini tra delle entità geografiche, il cui senso stesso va ripensato di fronte alla grandezza delle sfide che viviamo. La Sfida, innanzitutto culturale, è nel declinare in modo diverso quel Concetto così abusato. Lo scegliere assieme gli Attributi in cui una o più Comunità tra loro in relazione sanno riconoscersi vicendevolmente; quelle Affinità su cui reinventare e riproporre alle ambizioni di ciascun protagonista di quello Spazio la capacità di concepirsi quale soggetto territoriale. Non può essere però un esercizio slegato da ciò che già sostanzia quelle Comunità, salvo rivelarsi poi uno sforzo vano. Un’Amministrazione solida e capillare in attesa dell’evoluzione digitale, un buon welfare che della crisi sarà argine, un’Università che, uscita dalla fase di crescita infrastrutturale è un asset per la creazione di Classe Dirigente, un’offerta turistica e culturale che ha assunto con le limitazioni dovute

al COVID19 maggior consapevolezza del proprio peso, una Cooperazione ancora forte cui le nuove norme per il Credito e l’avvento del Commercio Elettronico han suonato la sveglia, un Sistema di Ricerca e Formazione tra i primi in Italia e che fa della relazione con i Settori Produttivi il proprio carattere distintivo. Un’agricoltura forte che è a difesa dell’Ambiente, poche grandi aziende, molto artigianato in attesa che il riuso del territorio divenga occasione di crescita ed un settore idroelettrico che ambisce ad una finanziarizzazione più moderna per divenire un fattore di Sviluppo. Questo c’è. Insieme a tanto altro, spesso frutto di una narrazione esausta. Da una rilettura delle relazioni tra quei protagonisti si debbono riconoscere Affinità e Differenze per saperle rimettere al Servizio di una Crescita Culturale e Sociale. Ed è un passaggio che richiede una profonda Onestà, non solo intellettuale. O la sfida con la Modernità sarà perduta. E quella sfida investe in primis la Politica che in quei Territori ha le sue radici.

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Sommario DIRETTORE RESPONSABILE Prof. Armando Munaò - 333 2815103 Email: direttore@valsugananews.com CONDIRETTORE dott. Walter Waimer Perinelli - 335 128 9186 email: wperinelli@virgilio.it REDAZIONE E COLLABORATORI dott.ssa Katia Cont (Cultura, arte, cinema e teatro) dott.ssa Elisa Corni (Turismo, storia e tradizioni). dott. Maurizio Cristini (Enologo ed esperto in giochi ed enigmistica) Laura Paleari (moda e costume) - dott.ssa Laura Fratini (Psicologa) Veronica Gianello (Storia, arte,cultura e tradizioni) dott.ssa Alice Vettorata - dott.ssa Francesca Gottardi (Esteri- USA) dott.ssa Laura Mansini (Cultura, arte, tradizioni,attualità) dott. Nicola Maschio (attualità, politica, inchieste) Paolo Rossetti (Attualità, inchieste) - Patrizia Rapposelli (attualità, cronaca) dott.ssa Alice Rovati (Responsabile Altroconsumo) dott. ssa Chiara Paoli (storica dell’arte - ed. museale -cultura e tradizioni) Francesco Zadra (Attualità) - dott. Zeno Perinelli (Avvocato) dott.ssa Laura Mansini (Cultura, arte, attualità) Ing. Grazioso Piazza - dott. Franco Zadra (politica, attualità) dott.ssa Monica Argenta - dott.ssa Erica Zanghellini (Psicologa) dott. Casna Andrea (Storia, cultura, tradizioni) Caterina Michieletto (storia, arte, cultura) Alessandro Caldera (sport e cronaca) dott.ssa Sabrina Chababi (attualità, storia, arte, cultura) dott.ssa Erica Vicentini (avvocato) CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA dott. Francesco D’Onghia - dott. Alfonso Piazza dott. Marco Rigo . dott. Giovanni D’Onghia RESPONSABILE PUBBLICITÀ: Gianni Bertelle Cell. 340 302 0423 - email: gianni.bertelle@gmail.com IMPAGINAZIONE E GRAFICA : Punto e Linea di Alessandro Paleari - Fonzaso (BL) Cell. 347 277 0162 - email: alexpl@libero.it EDITORE E STAMPA GRAFICHE FUTURA SRL- Via Della Cooperazione, 33- MATTARELLO (TN) FELTRINO NEWS Supplemento al numero di aprile di VALSUGANA NEWS Valsugana News – Registrazione del Tribunale di Trento: n° 4 del 16/04/2015. COPYRIGHT -Tutti i diritti riservati Tutti i testi, articoli, intervista, fotografie, disegni, pubblicità e quant’altro pubblicato su FELTRINO NEWS, sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore Responsabile o dell’Editore, è vietata la riproduzione e la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni pubblicitarie, per altri giornali o pubblicazioni, posso farlo richiedendo l’autorizzazione al Direttore Responsabile o all’editore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio le loro grafiche e quindi fatto pervenire alla redazione o all’ufficio grafico di FELTRINO NEWS, le loro pubblicità, le loro immagini, i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.

Anno II - N° 4 - Aprile 2021

A parere mio 3 Sommario 5 Punto & a capo 7 Cara Europa, non hai altro cui pensare? 8 L’Italia delle culle vuote 11 Ma mio figlio è più bravo 13 Nuove teorie del linguaggio parlato 14 Musica, dal classico al metallaro 17 Italiani mai così poveri 18 La Diocesi di Feltre 20 L’America di “Via col vento” 22 Questa non è più casa nostra 25 I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza 27 Muoversi è semplice 28 Ogni famiglia è segno del suo tempo 30 Città e paesi: Lamon e Sovramonte 33 Il personaggio: Lawrence Ferlinghetti 34 Elena Bortolot, orgoglio di casa nostra 36 Da Whatsapp a Tic-Toc 38 L’Orchestra d’Archi Incontro Armonico 41 In filigrana: “Zoom & C”- una anno di DAD 42 Il personaggio: Giovanni Trapattoni 44 Il Gruppo Salvataggio Anfibi 46 Musicalmente: Laura Pausini 49 La Schola Cantorum di Santa Giustina 51

La Diocesi di Feltre Pagina 20

USA: gli Oscar 2021 54 Dall’India alla ricerca della felicità 56 La stregoneria in Italia 58 è la legge di Murphy 60 Umana-mente: primavera rossa 62 Il personaggio: Emilie Luise Flöghe 64 In vino veritas 66 Chiese feltrine: San Biagio a Levico Terme 68 La giornata mondiale della terra 70 L’avvocato risponde 72 Equazione Beautyful 74 Storie italiane: 75 anni di Vespa 76 Medicina & Salute: l’intestino e il suo benessere 79 Medicina & Salute: i rimproveri fanno crescere 80 Gates e Jobs: due colossi a confronto 83 Moda oggi: Elsa Schiapparelli 84 Tra hobby, arte e creatività 86 IMAP CASA: tende da sole, vantaggi e consigli 88 Non solo animali: le galline 90 Cani e gatti, amici e compagni di vita 92 Quando arriva il pulviscolo del deserto del Sahara 94 Lotta all’inquinamento con i capelli 98 La revisione auto e altri veicoli 101 Altroconsumo risponde: attendi alle truffe 102

Elena Bortolot Orgoglio di casa nostra Pagina 36

La Schola Cantorum di Santa Giustina Pagina 51

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Punto e a capo di Waimer Perinelli

Ma mi faccia il... VACCINO!

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a ricordate lo scanzonato motivetto romanesco di Alberto Sordi “Te c’hanno mai mannato a quel paese” ? A forza di spinte ci siamo arrivati e il vaccino la fa da padrone. Ecco, proprio il vaccino, il più grande affare del 2021 l’anno in cui se ne venderanno dieci miliardi di dosi con un ricavo previsto in 120-150 miliardi di dollari. Attorno e dentro questa enorme torta si sono scatenate polemiche ed appetiti. L’America di Donald Trump ha finanziato la produzione britannica di AstraZeneca con un miliardo e duecento milioni di dollari, la Gran Bretagna ne ha investiti 200 milioni e grazie alla disinvolta e pragmatica politica di Boris Johnson oltre la metà dei cittadini, premier compreso, sono vaccinati, almeno con la prima dose. E l’Europa? il vecchio Continente non sta a guardare. Il Presidente francese Macron a metà marzo ha avanzato perplessità sul vaccino perché, ha affermato, ci sono poche informazioni e ha aggiunto, salvo smentirsi poco dopo, pare non faccia bene a chi ha più di 65 anni. Anzi c’è stato chi ha avanzato l’ipotesi che facesse addirittura male e che una ventina di morti sui venti milioni di vaccinati, fossero imputabile ad AstraZeneca, ma questo non è stato dimostrato, anzi è stata affermata la mancanza di correlazione fra vaccinazione e morte. Tuttavia la polemica è continuata arrivando fino all’assurdo titolo di un giornale: Un uomo di 82 anni travolto ed ucciso da un autobus, era appena uscito da un centro vaccina-

le. Involontario, tragico collegamento, innestato in una polemica apparsa strumentale. L’immunologo Francesco Le Foche ha dichiarato che:” Se le vaccinazioni vengono associate ad un problema casuale, ma la popolazione lo associa ad un problema causale, si crea solo un effetto domino di sfiducia. E così è stato. Nel frattempo si sono inseriti nel mercato europeo altri vaccini, ognuno con le proprie potenzialità. Il vaccino AstraZeneca, farmaco anglo svedese, è stato sviluppato all’università di Oxford e ad Irbm, società italiana fondata nel 2009 a Pomezia in provincia di Roma, che opera nel campo della bio tecnologia molecolare. L’azienda produttrice si è impegnata a consegnare quest’anno tre miliardi di dosi a costo di 2,8 euro l’una. Piero Di Lorenzo presidente di Irbm chiarisce che “l’azienda sta facendo uno sforzo sovrumano senza guadagnare un centesimo”. Il concorrente più temibile, dotato del favore della Germania, è lo Pfizer BioN Tech di cui la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha annunciato la distribuzione di dieci milioni di dosi nel secondo trimestre dell’anno. Lo Pfizer è americano e sviluppato con la tedesca BioNTech con una tecnologia avanzata e costa 16 euro a dose. L’azienda si è impegnata a consegnare quest’anno 1,2 miliardi di dosi e consentirebbe alla francese Sanopi di produrre 100 milioni di dosi. L’Italia sta cercando di ottenere la licenza per produrre il vaccino presso un’azienda di Frosinone.

La Germania intanto innesta una quinta marcia e pare intenzionata a sviluppare un’industria locale per la produzione del vaccino Jhonson & Jhonson aggirando il divieto di esportazione USA. Questi due vaccini hanno un costo superiore di almeno una decina di euro rispetto all’Astra Zeneca e quanto ad efficacia non sarebbero inferiori. Le statistiche dicono Pfizer efficacia testata 95% e somministrato in due dosi; Moderna efficacia 95% con due dosi; Jhonson & Jhonson efficacia fino 86 % con la somministrazione di una sola dose. Intanto si affaccia sull’Europa lo Sputnik russo subito fermato da Thierry Breton commissario europeo per il mercato interno, secondo cui l’Europa non ne avrà bisogno. In tutto questo marasma l’Italia fa ancora una volta la parte del vaso di coccio ma è in buona compagnia in una Europa che avanza compatta in diverse direzioni. Insomma dai e dai a quel paese ci stiamo arrivando e il nostro di Paese non dovrebbe trovarsi male perché gli stati sovrani assomigliano sempre più alle regioni normali e province autonome. Ma noi che manchiamo di vaccini ma non di spirito, parafrasando il grande Totò , possiamo ancora dire: “ Ma mi faccia il.... Vaccino”.

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Fatti e misfatti di Armando Munaò

Cara Europa, ma non hai altro cui pensare?

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inceramente pensavo che in questo particolare e grave momento, legato al Covid, l’Europa con tutti i suoi burocrati avesse cose ben più importanti cui pensare. Mi ero illuso che avendo affrontato la pandemia con concreta e documentata superficialità, vedi la non bella figura collezionata sul tema dei vaccini, ( i contratti sottoscritti con i colossi farmaceutici e l’incertezza sull’efficacia dei farmaci ne sono una palese documentazione) i parlamentari europei si sarebbero impegnati, e al massimo, per mettere la tradizionale “pezza” e ovviare a questa situazione che si è dimostrata fallimentare agli occhi dei cittadini di tutti gli Stati. E invece? Invece la “nostra” Europa si è data da fare su un tema, evidentemente prioritario e di impellente attuazione: l’adozione di un nuovo vocabolario e un nuovo linguaggio che, a mio modesto avviso, lascia sgomenti e non tanto per i contenuti, che con buona lungimiranza potrebbero essere anche compresi e

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forse condivisi, quanto per l’urgenza voluta. I parlamentari europei, non contenti di aver perso, anni fa, tempo prezioso per stabilire – udite udite - le dimensioni dei piselli, la grandezza delle vongole, la curvatura delle banane e dei cetrioli e la possibilità di fare il formaggio senza latte, (per fortuna molte di questa assurde regole sono state cancellate), questa volta si sono veramente superati, specialmente in un momento di così grave crisi sanitaria ed economica. Sì, si sono impegnati al massimo, magari fino anche a perdere il sonno, per inventarsi e quindi stabilire l’adozione di un nuovo linguaggio, definito sensibile, e che, secondo loro, dovrà essere “più rispettoso e inclusivo” possibile e che, soprattutto, non sia discrimi-

natorio nei confronti dei generi. Nello specifico il tema sul tavolo delle discussioni è stato quello della “Uguaglianza e diversità”. Un tema di prioritaria importanza, tant’è che la Direzione generale per il personale, senza perdere ulteriore tempo, ha redatto un glossario da usare in tutte le comunicazioni interne ed esterne per appellare ed etichettare correttamente le questioni e i termini riguardanti la disabilità, la razza, l’etnia, le persone LGBTI (lesbiche (L), gay (G) e bisessuali (B), transgender (T) e Intersex (I), la religione e tutto ciò che potrebbe fare parte della nostra quotidianità. Da oggi in poi la burocrazia europea, con annessi e connessi, imporrà di usare nuovi e più appropriati termini per rimanere al passo coi tempi, in nome di quel “politically correct” che, purtroppo e sempre di più, sta condizionando il nostro vivere. Un linguaggio unico da adottare e al quale tutti dovranno adeguarsi, specialmente i funzionari, assistenti, portaborse, portavoce e politici. Ed ecco, per Vostra opportuna conoscenza, la nuova terminologia”:


Fatti e misfatti Matrimonio gay Matrimonio equalitario - Uguaglianza matrimoniale Diritti dei gay e degli omosessuali Trattamento equo, paritario Coppia tra due omosessuali Relazione tra persone dello stesso sesso Cambio di sesso Transizione di genere - Chirurgia affermativa di genere Sesso biologico (maschio-femmina) Sesso assegnato alla nascita Padre e madre Genitori Persona sana, normale o normodotata Persona senza “disabilità Gay, omosessuali Persone gay, persone omosessuali, persone lesbiche Utero in affitto Maternità surrogata - Gestazione per altri Adozione gay Adozione successiva Uomo di colore Persona proveniente da un contesto migratorio Sordo Persona con disabilità sensoriale Ma la fantasia dei nostri “europei” tocca le massime vette quando decidono di sostituire il termine nano con “persona affetta da acondroplasia”.

Cara Europa, ma non avevi altro cui pensare?

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Società oggi di Paolo Rossetti

FAMIGLIA ITALIA, l’Italia delle culle vuote

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ulle vuote e natalità ancora in calo. Proprio in Italia, dove a parole “la famiglia” è valore principe. Nelle statistiche sta in cima, tra quelli che contano di più nella vita di un individuo, ma nella pratica in Italia è centrale il tema della natalità, a corredo di numeri significativi che dicono di un costante calo di nascite che preoccupa sotto molti punti di vista. Secondo l’ultima indagine Istat, nel 2020 sono nati 404.104 bambini, quasi 16 mila in meno rispetto al 2019 che si aggiungono ai novemila negativi del 2018 e a quelli del 2017. L’Istat, quindi, segnala per il quinto anno consecutivo un calo della popolazione infantile. I decessi, sempre secondo il bilancio Istat pubblicato il 5 marzo 2021 e riferito al 2020, sono invece cresciuti con quasi 750mila persone che sono state cancellate dall’anagrafe e che nella loro quantificazione ci dicono che sono 113mila in più rispetto al 2019. Un dato veramente drammatico se consideriamo che la soglia dei 700mila morti è

stata superata solo nel 1920 e durante il secondo conflitto mondiale. E i numeri, purtroppo, evidenziano anche che la nostra popolazione tende progressivamente a invecchiare e che, a parità di fecondità totale espressa cresce nelle età superiori ai 30/40 anni e diminuisce in quelle inferiore. Insomma si fanno figli quando si è adulti e quindi questo aumento in età avanzata condiziona, peraltro, l’età media al parto che nel 2018/19 è compresa tra i 32 e 36 anni e che porta a ridurre il tempo biologico a disposizione e, di fatto, ad averne mediamente uno. Il crollo delle nascite, però, non riguarda solo l’Italia, ma anche l’Europa o meglio i dati parlano chiaro. Nei Paesi più industrializzati la natalità è caduta dalla fine degli anni Settanta ed è continuata e nel quadro d’insieme la variabile demografica resta una “bomba a orologeria”, in particolare per la sostenibilità del welfare. In primo luogo, meno nascite ci sono in un Paese, più diminuisce la popolazione.

In secondo luogo, aumenta l’età media di forza-lavoro e questo minaccia anche il sistema produttivo. Infine, si va ad appesantire i lavoratori attivi oltre che i giovani su cui aumenta il carico per sostenere quella fetta di società che invecchia e vive più a lungo. La bassa natalità sommata al costante allungamento di vita fa saltare l’equilibrio delle generazioni e così la sostenibilità del nostro welfare, pensioni e sanità incluse. Diversi sono i fattori che incidono sulla crisi delle nascite. Da una parte gli ostacoli concreti, una lotta tra precarietà del lavoro, reddito basso, scarsi congedi parentali e assenza di flessibilità negli orari di lavoro; dall’altra le scelte personali. Desiderio di fare carriera prima di essere genitore, mancanza di partner “giusto”, stili di vita mutati rispetto un tempo, relazioni affettive instabili; in aggiunta a questo ha il suo peso l’avanzata dei single. Lavoro e reddito, comunque, restano cruciali. L’Eurostat ha calcolato che il tasso di fertilità nell’Ue è sceso ai livelli più bassi durante la crisi economica. Anche se qui si potrebbe replicare dicendo che i cittadini extra-Ue fanno più figli nonostante le condizioni meno agiate, ma in questo caso prevale il fattore culturale. Oltre a tutto importante evidenziare il tratto caratteristico d’individualismo, razionalità ed economicismo del Paese industrializzato che crea realtà tendenti a posticipare costantemente la scelta di diventare genitori. Molti rimangono i nodi problematici legati al tema culle vuote, continua la ricerca di soluzioni e le novità previste per il 2021 sono ancora minime, soprattutto per effetto della pandemia Covid che ha penalizzato le famiglie e le coppie in tutti i sensi.

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Famiglia, sport e società di Veronica Gianello

“Ma mio figlio è più bravo”:

il precario confine tra genitore e allenatore

Mi raccomando, non dia regole a mio figlio quando viene in palestra, poverino, che le deve già seguire a scuola”, o ancora “Perché mio figlio non gioca? È più bravo dell’altro bambino”, oppure “Non serve che riprenda mia figlia se non sta attenta, è in palestra, si deve divertire”. Queste sono solo alcune delle tante frasi che chi lavora in associazioni sportive si sente dire ogni giorno da alcuni genitori che accompagnano—tante volte, diciamolo pure, scaricano—i propri figli alle attività pomeridiane e serali. Psicologi, baby-sitter, autisti, animatori: gli allenatori, secondo questi genitori, sono tante cose, ma sicuramente non degli istruttori all’altezza del loro bambino. Evitiamo generalismi: non tutti i genitori, per fortuna, sono così. Eppure, anche in altri ambiti, c’è una tendenza a proteggere e difendere il proprio bambino a spada tratta sempre e comunque. Vediamo questo fenomeno inquietante già nelle scuole, dove gli insegnanti non sono più autorevoli rappresentanti di un’istituzione essenziale per la formazione, bensì persone inadatte a pre-

scindere. Figuriamoci quindi che rispetto bisogna portare a delle persone che, per passatempo, fanno fare sport ai bambini. Sì, perché spesso alla base c’è proprio questo tipo di ignoranza. Cosa ci vorrà mai per insegnare a un bimbo a calciare un pallone? A saltellare, a fare una capriola? Lo può fare chiunque. Così se un allenatore fa saltare un turno a un bambino che non si comporta bene, lascia in panchina un bambino che non è ancora pronto, o che quel giorno non è pronto, se l’allenatore riprende un bambino che chiacchiera, è comunque in torto, e il genitore si sente in dovere di intervenire. Raramente si chiedono spiegazioni, il più delle volte si sentenzia l’errore dell’allenatore senza possibilità di difesa. Ancora peggio, si affrontano questi discorsi in presenza dei bambini stessi, che vivono un conflitto interno tra due figure di riferimento per lui essenziali: il genitore e l’allenatore. Quando lo sport praticato piace al bambino, quest’ultimo tende a vedere nel proprio allenatore un modello positivo di cui fidarsi. Se in questo rapporto però si intromette il genitore che parla in maniera negativa dell’allenatore, il bambino si sente confuso: a chi credere? Alla mamma o all’allenatore? Troppo spesso, tuttavia, si vedono situazioni ancora diverse: genitori che proiettano nei figli

i propri sogni. Capita così di ritrovarsi in palestra bambini che praticano uno sport che arrivano a odiare, solo perché piace ai genitori. Anche in questo caso le indicazioni possono essere contrastanti, e a un allenatore che consiglia di fare uno sport che piaccia, si oppone un genitore che “so io cos’è meglio per mio figlio”. Esistono poi situazioni comuni a ogni sport, che tristemente si ripetono, e che fanno capire quanto, a volte, quell’ora in palestra sia poco considerata. Troviamo così bambini che vengono ingozzati di patatine sulla soglia della palestra e che poi “Maestra, ho mal di pancia”, genitori scocciati perché non possono assistere agli allenamenti del proprio bambino, gruppi Whatsapp intasati di lamentele e commenti sulla scarsa utilità di un tipo di allenamento. Gli spalti delle competizioni poi sono un mondo a parte, un piccolo teatrino tragicomico davvero preoccupante. Settori giovanili e amatoriali con genitori pronti a insultare e a insultarsi, con ansie e tensioni davvero poco adatte a un ambiente che dovrebbe prima di tutto insegnare lealtà e rispetto. Certo, lo sport può essere duro, richiede volontà a sacrificio e più si va avanti nel praticarlo più diventa impegnativo. È giusto essere rigorosi e precisi in ciò che si fa, ma è altrettanto giusto lasciare lo spazio adatto ad ogni età per un corretto sviluppo psicomotorio basato sulle attitudini di ognuno. Il genitore deve fare il genitore, l’allenatore deve fare l’allenatore, e soprattutto il bambino, perché alla fine è proprio di lui che ci si dimentica, dev’essere il soggetto principale attorno cui ruota questa complessa ma meravigliosa macchina.

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L’uomo e l’evoluzione di Elisa Corni

Nuove teorie sull’origine del linguaggio parlato all’occhio riguarda una capacità che è esclusivamente umana (o quasi): il linguaggio. Quasi perché alcune specie animali dalle capacità cognitive particolarmente articolate, soprattutto le scimmie antropomorfe, hanno mostrato in cattività di poter sviluppare sistemi comunicativi anche dotati di veri e propri vocaboli e di grammatiche anche se molto sempli-

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ra noi e le altre specie animali esistono molte differenze, ma una di quelle che saltano subito

ci. Ma questi sistemi, per quanto sorprendenti, sono lontani anni luce dalla complessità del nostro parlato. Vista la peculiarità del nostro sistema comunicativo gli scienziati e gli specialisti da decenni dibattono su quale sia l’origine del linguaggio. Si tratta di un fenomeno reso possibile dalle peculiari capacità cognitive della nostra specie? O forse sono stati fattori fisiologici come la posizione del collo e il conseguente sviluppo delle corde vocali a renderlo possibile? C’è chi sostiene che anche il fatto di essere degli animali sociali che vivono a stretto contatto abbia partecipato alla nascita delle lingue umane. Altri ancora fanno

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L’uomo e l’evoluzione ricadere la responsabilità sul sistema dei neuroni specchio, quelli che fanno sì che vostro figlio imiti le vostre azioni. Insomma, moltissime teorie nessuna delle quali ha ancora trovato una conferma definitiva. A complicare la situazione un articolo pubblicato su una prestigiosa rivista americana nella quale un gruppo di studiosi ha presentato una nuova ipotesi. Il team internazionale di ricercatori ha scoperto una connessione particolare tra la parte del nostro cervello che si occupa di proferire le parole e quella che le ascolta. Fino a qui nulla di strano, in fin dei conti le parole devono essere ascoltate; eppure la cosa particolare è che quel collegamento cerebrale è presente anche in altre specie di primati ma con funzione molto diversa. In particolare questo collegamento nei nostri cugini si occupa primariamente dell’ascolto, fa quindi parte del sistema uditivo. Nella nostra specie, per qualche

ragione, questo ponte mette in collegamento aree del cervello deputate a funzioni molto diverse. Questo studio, per quanto controverso, confermerebbe alcune teorie sull’origine del linguaggio. Gli evoluzionisti definiscono questo fenomeno exaptation (exattamento), per distinguerla dall’adattamento. Nella prima, infatti, organi e caratteri specifici non cambiano per adattarsi a nuove necessità, ma, se inutili, vengono riutilizzate per funzioni più utili. Certo questa è solo una teoria, ma è stata accolta con entusiasmo dagli esperti del settore perché, con buona pace di alcuni teorici che ritengono che il lin-

guaggio sia esclusivamente umano e non abbia precursori in altre specie animali, getta le basi per l’esistenza di primitivi e abbozzati organi del linguaggio anche nei nostri antenati. Addirittura i ricercatori si spingono ad affermare che il precursore del nostro articolato e complesso sistema per la produzione e l’ascolto del parlato potrebbe essere quindi presente in altre specie, anche potenzialmente molto lontane dalla nostra.

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Musica in controluce di Gabriele Biancardi

Dal classico al metallaro quando la musica divide L’edizione 2021 di Sanremo, ha confermato la teoria, che paradossalmente, vede la musica dividere invece che unire. Secondo l’immaginario collettivo, a partire dal flower power della fine degli anni 60, la musica era il collante più forte, i concerti oceanici, come Woodstock per capirci, i messaggi di amore e fratellanza. Io credo che ci fosse del vero in tutto questo. Ma fu un attimo fugace, una sola estate per l’appunto.

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in dall’età delle scuole medie i vari generi musicali dividono e spezzano amicizie, si arriva a litigare furiosamente anche con colpi bassi. “Ma tu cosa ascolti di solito?”, ai miei tempi era un approccio abbastanza diffuso, oggi è quasi una sorta di esame. “La Pausini? Ma non capisci una beata...”. “Tu invece?”, “beh, il grande rock. Iron Maiden, Black Sabbath..” “ah capisco, sei un metallaro ignorante”. Ecco, da lì diventa tutto faticoso. Diamo alla musica la facoltà di farci inquadrare chi abbiamo di fronte. Se capiamo essere un amante del genere neo melodico, alla Gigi D’Alessio per farci capire, si parte con lo sputtanamento coatto. Poi ci sono quelli che non vedono l’ora di farti sapere che oltre al jazz non esiste nulla. Tu te li immagini la sera, ascoltare il be-bop di Miles Davis con un calice di barolo invecchiato davanti al fuoco, con il dalmata adagiato mollemente in pantofole di feltro. Vogliamo parlare del cantautorato impegnato? Guccini, Vecchioni, Lolli, sono materia di discussioni che inevitabilmente sfociano

nella politica. I metallari, capelloni, giubbotti di pelle con borchie e dai a loro una matrice magari violenta. Questo perché il metal è duro, possente e non ti fa pensare ad un prato di margheritine. In alto, sul podio, ci metto gli amanti della classica. Per loro, chi ascolta generi “volgari”, non fanno parte forse nemmeno del nostro ecosistema. Al contrario, maglia nera in questa ipotetica e altera classifica, gli amanti del genere liscio, il country italiano. Ecco, questo capita spesso, riusciamo ad essere razzisti anche in un campo artistico che dovrebbe essere soltanto fonte di gioia. Siamo arroccati nel nostro mondo, troviamo che altri generi non meritino la nostra attenzione. Faccio radio da 41 anni, credo di avere fatto oltre 1200 interviste, in tutti i campi musicali. Ho conosciuto artisti veramente rock, tatuati, piercingati, con i volti truci sulle copertine dei loro dischi, che una volta conosciuti, si sono rivelati tra le persone più gentili e disponibili del mondo. D’altro canto, potrei fare qualche nome di cantanti “leggeri”, che praticamente odiano tutto quello che c’è intorno se non riguarda loro e il mondo che ruota intorno. E viceversa ovviamente. L’arte dovrebbe essere democratica, certo, un musicista jazz, potrebbe stare ore a spiegarmi come questo brano contorto di note sia una meraviglia perché le scale pentatoniche si sviluppano ecc ecc. ma

sai che c’è, se a me non piace..non piace. Il punto è che non facciamo nessuno sforzo per capire il motivo per cui possa piacere un genere musicale che non ci colpisce. Invece di scambiarci informazioni, tendiamo ad allontanare chi non la pensa come noi. La musica fa gruppo certo, dai “mods”, ai “teddy boys”per arrivare ai “sorcini” di Renato Zero, alle “cartine” di Marco Carta. Io provo un moto di affetto quando vedo, tipo Sanremo, barriere umane fatte da ragazzine di 15 anni, che urlano, piangono per i loro idoli. In questo il mondo non è cambiato per niente. Generazioni antecedenti che oggi sono nonni mansueti e candidi, si sono accalcati intorno alle transenne per i Beatles, Elvis, o più vicino a noi, Morandi, Baglioni. Tutti abbiamo avuto dei poster in camera. Eppure non siamo riusciti a fare quel passo in più. Non siamo stati capaci di perpetuare quel messaggio di unione che la “summer love” aveva proposto. Basta andare sui social e leggere i commenti post festivalieri. Per una generazione di ingrigiti amanti del rock, accostare i Maneskin al sacro pentagramma di gruppi come Led Zeppelin o Who, appare come la peggiore delle bestemmie. Confrontare le liriche cantautorali di Ghemon a Battisti, è passabile di denuncia. La musica non può essere brutta o bella..ma solo suonata male o bene.

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L’Italia in controluce di Armando Munaò

Italiani mai così poveri dal 2005

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on è ancora possibile ragionare sui dati con sicurezza (le stime definitive, spiega l’ISTAT, verranno rese disponibili solo nel prossimo giugno 2021), ma la povertà assoluta nel 2020 ha toccato livello che, nel nostro Paese, non si vedevano da un bel po’. Dal 2005 infatti non si registrava una crisi come quella derivante dalla pandemia Covid, che ha

milione in più) che si attestano a 5,6 milioni”. Parliamo dunque di un incremento che ha dell’incredibile. Sostanzialmente, poco meno del 10% della popolazione italiana ogni giorno non vive, ma sopravvive, cercando di organizzarsi al meglio per contenere le spese sempre più ingenti di questa nuova (ma si spera temporanea) quotidianità. Di fatto, dopo quattro anni consecutivi con il segno “più”, ovvero con la riduzione del numero di famiglie e persone in povertà assoluta, nell’anno del Coronavirus si sono azzerati tutti i miglioramenti registrati nell’ultimo lungo periodo. Prima di proseguire con l’analisi del contesto in cui attualmente ci troviamo, occorre fare una precisazione: cosa s’intende per povertà assoluta e relativa? Per povertà assoluta s’intende quella situazione nella quale non si hanno le possibilità e le capacità economiche per acquisire i beni e i servizi necessari a raggiungere uno standard di vita minimo accettabile nel contesto di appartenenza. È la concreta impossi-

complicato non poco la vita a imprese e famiglie. Le stime preliminari, spiega infatti l’Istituto Nazionale di Statistica con una relazione aggiornata allo scorso 4 marzo 2021, “indicano valori dell’incidenza di povertà assoluta in crescita sia in termini familiari (da 6,4% del 2019 al 7,7%, +335mila), con oltre 2 milioni di famiglie, sia in termini di individui (dal 7,7% al 9,4%, oltre 1

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L’Italia in controluce bilità di far fronte a una spesa mensile minima necessaria per acquisire un paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una famiglia con determinate caratteristiche, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile. Sono quindi considerate “povere assolute” quelle famiglie che hanno una spesa mensile inferiore alla soglia considerata “accettabile”, soglia che varia per dimensione e composizione, per età della famiglia, per ripartizione geografica e per tipo di Comune di residenza. La povertà relativa invece è un parametro che esprime le difficoltà economiche nella fruizione di beni e servizi, riferita a persone o ad aree geografiche, in rapporto al livello economico medio di vita dell’ambiente o della nazione. Questo livello è individuato attraverso il consumo pro-capite o il reddito medio, ovvero il valore medio del reddito per abitante, quindi, la quantità di denaro di cui ogni cittadino può disporre in media ogni anno. E per quantificare la povertà relativa si fa riferimento a una soglia convenzionale, adottata in campo internazionale, che considera povera una famiglia di due persone adulte con un consumo inferiore a quello medio pro-capite nazionale. Tornando a considerare i dati, l’inci-

denza delle famiglie in povertà assoluta è prevalentemente nel Mezzogiorno (8,5%), al Sud e nelle isole (8,7%). Nel resto d’Italia, è invece inferiore ed esattamente, 5,8% nel Nord-Ovest, 6% nel Nord-Est e 4,5% al Centro. Per quanto riguarda la povertà individuale è del 10,5% nel Sud, 9,4% nelle Isole, ma è più bassa nel Centro (6,8%) e nel Nord (5,6%). Rispetto al 2018, invece, si riduce la quota di famiglie povere nei Comuni di area metropolitana, ed esattamente nel Centro (da 3,5% a 2,0%), nel Mezzogiorno (da 13,6% a 9,8%), e nelle Isole (da 11,3% a 6,4%). Tra gli individui in povertà assoluta si stima che le donne siano quasi 2milioni e 500mila, i giovani di 18-34 anni 1 milione e 100mila e gli anziani oltre 600mila. Nel 2019, la povertà assoluta in Italia ha interessato, purtroppo, 1 milione 130mila minori (11,4% rispetto al 7,7% degli individui a livello nazionale; 12,6% nel 2018). L’incidenza varia dal 7,2% del Centro a quasi il 15% del Mezzogiorno. A correre rischi maggiori sono le famiglie più numerose (i cosiddetti “single” infatti presentano un’incidenza di povertà stabile al 5,7%): se infatti fino a quattro membri l’incremento resta minore

di due punti percentuali (le famiglie con due persone passano dal 4,3% al 5,7%, quelle con tre dal 6,1% all’8,6% ed infine quelle con quattro dal 9,6% all’11,3%), per quelle con almeno cinque persone la situazione peggiora di ben quattro punti percentuali, passando dal 16,2% al 20,7%. Situazione che diviene ancora più critica nelle famiglie con un solo genitore (l’incidenza passa dall’8,9% all’11,7%), nelle coppie con un figlio (da 5,3% a 7,2%) e quelle con due (dall’8,8% al 10,6%). La presenza di figli minori espone maggiormente le famiglie alle conseguenze della crisi. L’incidenza della povertà assoluta sale, infatti, di oltre due punti percentuali per i minorenni – da 11,4% a 13,6%, il valore più alto dal 2005 – per un totale di bambini e ragazzi poveri che raggiunge quota 1 milione e 346mila, 209mila in più rispetto all’anno precedente.

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La storia di ieri di Andrea Casna

La Diocesi di Feltre dalle origini al Settecento Quella del vescovado di Feltre è una storia antica che risale all’evangelizzazione iniziata durante la fine dell’Impero Romano. La tradizione cristiana vede nel protovescovo Prosdocimo l’evangelizzatore di Feltre. È però Fonteio, sulla base delle informazioni storiche, ad essere il primo vescovo di Feltre. Siamo attorno al VI secolo dopo Cristo, all’inizio dell’età medioevale, e in questo periodi i territori di Feltre e di Belluno si trovavano sotto il dominio dei Longobardi. (Brevi cenni storici)

II il Salico, come nel caso di Trento, investì il vescovo di Feltre del titolo di principe. Questa era una prassi diffusa nel medioevo perché garantiva agli imperatori un controllo maggiore del territorio: i vescovi, infatti, si mostrarono sin da subito fedeli e affidabili. Il medioevo fu un periodo particolarizzante difficile. Nel 1197, durante la guerra contro i trevigiani, morì in battaglia il vescovo di Belluno Gerardo de’ Taccoli. Papa Celestino III provvide ad unire la diocesi, quella di Belluno e di Feltre, per meglio fronteggiare il nemico comune: primo vescovo della diocesi Belluno-Feltre fu Drudo

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on Carlo Magno il vescovado feltrino, come quello di Belluno, vista la sua importanza strategica, cominciò ad accrescere la propria influenza. I re italici e gli imperatori, infatti, per garantirsi lealtà e fedeltà, fecero ai due episcopati importanti concessioni di terre e di diritti da esercitarsi sulle stesse. In questo modo si andò a formare quello che possiamo chiamare “potere temporale dei vescovi”; vale a dire, per semplificare, uomini di chiesa con poteri “laici”,

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quindi con l’autorità di amministrare, non solo la cura delle anime, ma anche la giustizia, la riscossione delle imposte e la difesa del territorio. Sono, in poche parole, i Principi Vescovi. È però nel X secolo che il vescovado inizia a prendere una sorta di identità. L’imperatore Ottone I di Sassonia, padre del Sacro Romano Impero Germanico, concesse infatti al vescovo di Feltre, già feudatario dell’impero carolingio, ampi poteri ed il titolo di conte; nell’XI secolo l’imperatore Corrado


La storia di ieri da Camino. Sempre nel medioevo il potere temporale dei vescovi dovette confrontarsi con le ambizioni dell’aristocrazia cittadina. Fra Duecento e Trecento, inoltre, forze militari esterne, durante le guerre che coinvolsero l’Impero, Venezia e il Ducato di Milano, si alternarono nel controllo della città e del territorio: fra queste possiamo ricordare Ezzelino da Romano, gli Scaligeri, i duchi d’Austria e i Visconti signori di Milano. Nel 1404-1405, a seguito della vittoria veneziana sulla signoria di Padova, le due città entrarono però a far parte della Repubblica di Venezia: un fatto questo che garantì per i successivi secoli, fino all’epoca napoleonica, un periodo di pace, stabilità e prosperità. Sotto l’aspetto religioso, se l’intero territorio della diocesi di Belluno si trovava nella Repubblica Veneta, più frastagliata era la situazione territo-

riale della diocesi di Feltre in quanto si estendeva su tre entità territoriali e politiche differenti. All’interno dei confini della Repubblica di Venezia, dove si trovava anche la sede vescovile, aveva giurisdizione sulle parrocchie del Feltrino (escluse le pievi di Arsiè e Fonzaso, sottoposte alla diocesi di Padova, e di Sospirolo e San Gregorio, dipendenti da Belluno). In Valsugana, con le giurisdizioni di Caldonazzo, Pergine e Levico, che facevano parte del principato vescovile di Trento. Le giurisdizioni di Telvana, Castellalto, Ivano e Primiero (quest’ultimo feudo dei Welsperg) costituivano un’enclave della contea del Tirolo. Nel 1786, su pressione dell’imperatore Giuseppe II, le parrocchie feltrine situate in Valsugana (Levico, Borgo Valsugana, Strigno, Grigno, Masi di Novaledo, Telve, Pieve Tesino, Roncegno, Torcegno, Castelnuovo, Pergine,

dalla riva

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Paola Antoniol

Calceranica, Vigolo Vattaro, Lavarone) e nel Primiero (Primiero con Canal San Bovo) furono staccate dalla diocesi di Feltre e aggregate alla diocesi di Trento: il provvedimento ridusse così la “Santa Chiesa Feltrina” ad esigue dimensioni.

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Ieri avvenne di Chiara Paoli

L’America di “Via col vento” “Via col vento” rimane un film indimenticabile, record di Oscar e di incassi, ma soprattutto emozionante nel suo narrare le vicende amorose di Rossella O’Hara ambientate a Tara, in una piantagione di cotone del sud, all’epoca della guerra civile americana.

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a guerra di secessione americana prende avvio il 12 aprile del 1861, sconvolgendo le vite dei protagonisti. La causa scatenante di questa lotta fra nordisti e sudisti risiede nell’abolizione della schiavitù, per volere del presidente repubblicano Abraham Lincoln, eletto l’anno precedente. A scontrarsi sono gli Stati Uniti che affrontano gli Stati Confederati del sud, costituiti inizialmente da Alabama, Florida, Georgia, Louisiana, Mississippi e Carolina del Sud, cui si aggiungono nel maggio 1861 anche Texas, Virginia, Arkansas, Carolina del Nord e Tennessee.

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In questi stati circa la metà della popolazione, a volte anche di più era costituita da schiavi che lavoravano nelle piantagioni di cotone per pochi spiccioli. Nella realtà dei fatti, il soldato dell’Unione soprannominato Billy Yank, combatteva non tanto nell’intento di aiutare i fratelli neri, quanto piuttosto per vendicarsi di chi aveva scelto di abbandonare gli Stati Uniti d’America, realtà istituita dai padri fondatori e ritenuta indivisibile. Il soldato confederato, noto con il nome di Johnny Reb, si immola invece per preservare la società rurale in cui vive, rappresentando i cosiddetti Dixies e la neonata confederazione. Ad attaccare per primi sono i sudisti che si dirigono verso Fort Sumter guidati dal generale Robert Lee, conquistandolo e dimostrando la loro superiorità militare. Nord e Sud apparivano già come due mondi molto diversi tra loro, il primo fortemente industrializzato e con una popolazione di 22 milioni in continuo aumento, mentre il meridione era costituito da appena 5,5 milioni di abitanti, per lo più da aristocratici militari proprietari di latifondi, che avevano già combattuto in precedenza nei diversi conflitti del XIX secolo.

I Sudisti inoltre potevano contare sull’equipaggiamento britannico, ritenuto uno dei migliori all’epoca e su artiglieria francese così si spiegano i primi successi militari delle forze della confederazione. Ben presto però le sorti si ribaltarono, il Nord aveva investito nell’addestramento degli uomini, dando vita a un esercito di volontari ben addestrato ed equipaggiato. Grazie ai contatti con l’Europa, l’Unione era riuscita a ottenere armi innovative e aveva più che quadruplicato le navi della propria Marina Militare. La zona settentrionale, con le industrie non fece mai mancare ai propri uomini il necessario, dai rifornimenti alimentari alle munizioni, mentre al Sud pian piano tutto ciò cominciò a mancare, a causa dei


Ieri avvenne

blocchi navali messi in atto dai nordisti. Questa tattica volta ad indebolire il sud era stata proposta dal tenente generale Winfield Scott, il piano venne presentato con il nome Anaconda e prevedeva appunto l’embargo e mirava a dividere in due la Confederazione, attraverso un attacco al di sotto del fiume Mississipi. Il primo gennaio 1863 venne emesso il Proclama di emancipazione, che prevedeva la liberazione di tutti coloro che negli stati confederati vivevano in stato di schiavitù, ma questa pratica centenaria

terminerà solo nel dicembre 1865, con il XIII emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America, nella quale lo schiavismo venne dichiarato fuori legge. Nel corso del tempo le nuove forze militari dimostrarono il proprio valore, così avvenne per Ulysses Simpson Grant che nel marzo del 1864 divenne luogotenente generale e comandante di tutti gli eserciti dell’Unione. Egli aveva dimostrato il suo talento conducendo le truppe ad una serie di successi militari nella cosiddetta campagna di Vicksburg, che si concluse vittoriosamente nel luglio del 1863. Una volta preso il comando il comandante Grant si dirigeva a sud verso Richmond, mentre William Tecumseh Sherman conduceva una parte dell’esercito ad est verso Atlanta e successivamente Savannah, conquistata il 21 dicembre 1864, nell’intento di dividere l’esercito sudista. I sudisti persa Richmond si ritrovarono accerchiati e furono costretti alla resa, avvenuta il 9 aprile del

1865. A pochi giorni dalla fine della guerra, nella serata del 14 aprile all’interno del Teatro Ford un attore spara nella nuca del presidente Abramo Lincoln, che morirà il giorno seguente. «Il conflitto era terminato: il Sud aveva pagato cara la sua tentata secessione; nulla era più come prima. Città incendiate, case distrutte, la morte ovunque.» (Mario Francini in “Storia dei presidenti americani”, Tascabili Newton 1996) La guerra di Secessione Americana che mirava a riunire tutti gli stati sotto un’unica bandiera era durata quattro anni e aveva messo in ginocchio il sud, dimostrando la superiorità del nord industrializzato. Il risultato finale stimato della lotta fra abolizionisti e schiavisti è la morte di oltre 750 mila soldati e 50 mila civili, cui si sommano circa 400 mila feriti a carico della società. Sono poi da

mettere in conto 56 mila i soldati che furono segregati nei campi di prigionia, uscendone come spettri di umanità e più di 60mila sono coloro che furono vittime di orribili mutilazioni. Il divario fra Nord e Sud continua a crescere dopo la fine del conflitto e lo schiavismo rimane, sotto forma di segregazionismo. Rialzarsi da questa sconfitta è difficile, anche per l’altezzosa e viziata Rossella che si ritrova a patire la fame e infine da sola, come unica consolazione la terra, la sua Tara, di cui riconosce il valore solo a guerra finita. 23


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Società e famiglia di Franco Zadra

Questa non è più casa nostra

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i sono momenti nella vita delle coppie che stravolgono il normale corso del vivere insieme fino a cambiare segno ai valori più cari come può essere quello della casa. Il nido cercato, voluto e desiderato assieme, alle volte anche appena conquistato, può divenire un inferno. Occorre, in quei momenti, imparare nuove pratiche di vita e conoscere bene tutte le implicazioni che conseguono a una scelta che riguarda sempre più coppie: vivere da separati in casa. Che questa scelta nasca di comune accordo o sia in parte o in tutto subìto da uno dei due partner, può influire non solo sulla durata di questa convivenza ma, la presenza di figli e la loro età e altro ancora concorre al vissuto soggettivo e individuale di tale separazione. Risolta la questione della ripartizione delle comuni spese domestiche come luce, gas, alimentari, ecc., se si è disposti a imparare, anche una situazione come questa può trasformarsi in una risorsa, una occasione per riflettere su se stessi, sull’altro e sulla relazione. Facile vivere come “due cuori e una capanna”, ma quando l’idillio si rompe occorre impegnarsi di più per farlo diventare un momento di crescita per

la coppia e per se stessi. Se l’amore è finito, se non ci si sente più una famiglia, condividere lo stesso tetto conserva però un valore che non va buttato via e non è detto che sia solo il preludio, penoso, a una definitiva separazione. Soprattutto se ci sono figli minori, occorre imparare a gestire l’ansia correlata al desiderio di lasciarsi alle spalle un fallimento relazionale, magari ritrovando interessi e passioni individuali che spesso nella dimensione della coppia erano perse. Lo spazio della casa, come il tempo vissuto tra le mura domestiche, acquistano nuovi sapori, a volte insopportabili. In questo caso sarebbe meglio chiedere un supporto psicologico, soprattutto se ci si trova a subire il periodo di separazione. Ci sono poi dei rischi legali connessi a questa situazione abitativa che è bene conoscere. Occorre capire che coabitazione e convivenza sono due situazioni del tutto diverse. La prima va intesa come sem-

plice condivisione fisica della medesima abitazione, mentre la convivenza presuppone una comunanza affettiva e sentimentale della quotidianità. Quindi, con la separazione in casa, si assiste al permanere della coabitazione con l’interruzione della convivenza. Se marito e moglie, pur continuando a vivere nella medesima abitazione, si comportano tra loro come estranei, disinteressandosi delle rispettive necessità, consumando pasti separatamente e dormendo in camere diverse, essendo venuta meno quella comunione legale e spirituale che contraddistingue l’unione matrimoniale, la separazione in casa non potrà essere di ostacolo all’ottenimento di una sentenza di divorzio, ma occorrerà dimostrare che la scelta di coabitare non rappresenta una ripresa della convivenza dettata da motivi di affetto, ma costituisce una condizione dovuta a ragioni di opportunità, eventualmente frutto di un accordo tra le parti.

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Ieri avvenne di Chiara Paoli

I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

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l 20 novembre 1959, viene approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite la Dichiarazione dei diritti del fanciullo. Si tratta di un documento le cui origini risalgono 1923 e che l’anno seguente viene adottato dalla Società delle Nazioni, per rispondere al trauma che la Prima guerra mondiale aveva causato in particolare nei confronti dei bambini. Autrice di questo testo che mette al centro alcuni dei diritti fondamentali dei più piccoli, è Eglantyne Jebb, attivista britannica, che operò come dama della Croce rossa durante gli scontri armati e che assieme alla sorella, fondò a Londra, l’organizzazione a scopi umanitari Save the Children, nel maggio del 1919. Il primo documento si suddivide in cinque principi fondamentali per l'infanzia, che seguono un preambolo introduttivo. “Secondo la presente Dichiarazione dei diritti del fanciullo, comunemente nota come la Dichiarazione di Ginevra, uomini e donne di tutte le nazioni, riconoscendo che l'umanità deve offrire al fanciullo quanto di meglio possiede, dichiarano e accettano come loro dovere che, oltre e al di là di ogni considerazione di razza, nazionalità e credo: 1. Al fanciullo si devono dare i mezzi necessari al suo normale sviluppo, sia materiale sia spirituale. 2. Il fanciullo che ha fame deve essere

nutrito; il fanciullo malato deve essere curato; il fanciullo il cui sviluppo è arretrato deve essere aiutato; il minore delinquente deve essere recuperato; l'orfano e il trovatello devono essere ospitati e soccorsi. 3. Il fanciullo deve essere il primo a ricevere assistenza in tempo di miseria. 4. Il fanciullo deve essere messo in condizioni di guadagnarsi da vivere e deve essere protetto contro ogni forma di sfruttamento. 5. Il fanciullo deve essere allevato nella consapevolezza che i suoi talenti vanno messi al servizio degli altri uomini. L’Assemblea Generale della Società delle Nazioni adotta questo primo documento nel 1924. Nel 1948 questo documento si amplia e si moltiplicano i punti, per un totale di 10; tale Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, viene accolta dall'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e promulgata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 20 novembre 1959. Si aggiungono attenzioni speciali per i bambini in situazione di difficoltà fisica, mentale o sociale, si sottolinea il bisogno d’amore e quelli che sono i suoi bisogni educatiti, ma anche la necessità di avere garantiti sin dalla nascita un nome ed una nazionalità. La “Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia”, venne elaborata in seguito all'Anno Internazionale del Bambino (IYC) del 1979, che ebbe il merito di promuovere la redazione di un nuovo strumento legislativo. Questa nuova versione, venne approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (ONU) il 20 novembre di trent’anni dopo. La più recente Dichiarazione, introduce anche il divieto di ammissione al lavoro per i bambini che non abbiano

raggiunto un'adeguata età minima. La Convenzione è stata ratificata dall’Italia il 27 maggio del 1991, con la legge n. 176 e ad oggi sono 194 gli Stati che aderiscono al nuovo documento, che consta di 54 articoli a tutela dei minori. La Somalia è stato l’ultimo Stato a ratificare la Convenzione nel 2015, mentre gli Stati Uniti d’America, nonostante avessero firmato il documento nel 1995, a tutt’oggi non lo hanno ancora ratificato e di fatto i diritti dei bambini vengono calpestati e non possono essere fatti valere in tribunale. Ed è triste pensare che nel paese, il cui simbolo riconosciuto in tutto il mondo è la Statua della Libertà, si costruiscano barriere, come quello che divide dal Messico ed è stato ribattezzato il “Muro della vergogna”. Tutti noi, nella nostra quotidianità, dobbiamo avere, sempre in mente, tutti quei bambini che vivono in contesti di guerra, abbandonati a sé stessi o sfruttati fin dall’infanzia e tutti quelli i cui diritti vengono ancora oggi calpestati e non riconosciuti.

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Uomo & società di Grazioso Piazza

Muoversi è semplice, lo è meno gestire chi si muove Il tema della mobilità, degli spostamenti di persone e cose, coinvolge ciascuno di noi in modo diretto, è parte del nostro quotidiano e produce effetti sul sistema in cui viviamo, che si tratti della congestione delle nostre città o dei passi alpini. Tutti si spostano, ogni giorno, chi di poche centinaia di metri, chi va più lontano, chi lo fa per un motivo, chi per un altro.

L

’argomento è quindi tra quelli che, assieme al calcio, sono parte delle nostre discussioni con amici, colleghi o vicini di casa. Se per la questione calcistica vale il detto che “al bar son tutti allenatori”, anche per il tema della mobilità ciascuno ha la sua ricetta, riguardo alle scelte che si dovrebbero attuare e su quali siano le cose che invece non andrebbero permesse.

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Ricette che spesso sono costruite sulla base delle conoscenze personali, ma non considerano la complessità del tema. Per comprendere più a fondo cosa significhi analizzare, gestire e governare la mobilità delle persone è forse utile fare un passo indietro e osservare cosa sia in realtà quel fenomeno che fino a qui abbiamo indicato, appunto, con il

termine di mobilità. In fin dei conti essa altro non è che un qualcosa che nasce dall’egoistica assoluzione di uno o più dei bisogni che ciascuno esprime. Nell’arco della giornata ci troviamo a fare i conti con delle necessità: recarsi a scuola o al lavoro, fare la spesa o una visita medica. Oltre a queste si aggiungono ulteriori esigenze, più voluttuarie: andare in palestra o al ristorante, fare una vacanza o incontrare gli amici. Tutto questo ci porta a concretizzare delle scelte, talvolta inconsce o automatiche. su dove soddisfare le nostre necessità, sul come raggiungere tali luoghi e su quale strada percorrere. Domande le cui risposte saranno in gran parte guidate dal principio della nostra personale comodità o di quella della nostra famiglia. Il presupposto per la ricerca di soluzioni orientate a servire gli spostamenti delle persone è quindi la consapevolezza del dover dare risposta a un insieme collettivo di esigenze non omogenee, ma dettate da necessità, abitudini e stili


Uomo & società

di vita personali. La pianificazione o la progettazione di una nuova infrastruttura o di un nuovo servizio per il trasporto non sono il luogo in cui si esprime il desiderio del progettista o dell’Amministratore Pubblico. Ogni soluzione deve invece rappresentare una reale e valida alternativa a quanto già disponibile (che possiamo interpretare come un livello minimo di soddisfazione), affinché sia riconosciuta come tale da un sufficiente numero di soggetti che ne giustifichino l’esistenza. È purtroppo lunga la lista degli investimenti per i quali la risposta da parte dell’utenza è stata ampiamente al di sotto di quelle che erano le aspettative, talvolta non fondate su elementi concreti. A ciò si accompagna anche quello che è l’aspetto educativo, mirato non tanto a servire comportamenti in essere, ma orientato a condurli su una diversa direzione. Attività fondamentale per la pianificazione, ma da condurre nella consapevolezza di come essa non sia uno strumento per ottenere risultati di breve termine, ma piuttosto sulla lunga distanza, trasversale talvolta a più generazioni.

Vi è poi da considerare come molte iniziative, costruite in risposta a talune esigenze, diventino esse stesse motore per la generazione di nuove richieste. Un tema classico nel rapporto tra viabilità e sviluppo territoriale: la realizzazione di una nuova strada è un modo per alleggerire quelle già in esercizio o uno strumento per attrarre nuove auto? Una domanda che spesso è al centro del dibattito, interpretata in forma diversa dalle parti avverse che ne discutono. L’elemento fondante a cui ogni scelta dovrebbe fare riferimento è quindi la conoscenza dei meccanismi che guidano la domanda, sia essa legata alle esigenze locali o, più in generale, a tutte quelle relazioni che interessano la struttura o il servizio su cui si vuole agire. Nel caso delle realtà montane pensia-

mo ad esempio ai residenti sommati alla componente dei turisti, gruppi con esigenze proprie e nettamente distinte. Conoscenza della domanda che non riguarda la sola componente già rilevabile, ma anche quella potenziale e sopita. Quanto fin qui presentato, pur in forma sintetica, dovrebbe essere sufficiente a introdurre la complessità del fenomeno e delle implicazioni introdotte da ogni nuova iniziativa, non così semplici da considerare rispetto a come invece appaiono ad uno sguardo più superficiale. Ciò che altrettanto dovrebbe emergere è come ciascuno sia attore protagonista nella definizione della dimensione e della caratterizzazione del fenomeno, in funzione delle scelte assunte, con l’auspicio che queste siano guidate dalla consapevolezza riguardo alle conseguenze che determinano e con una generale disponibilità a considerare il cambiamento quale nuova opportunità.

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Società oggi di Caterina Michieletto

Ogni famiglia è segno del suo tempo

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e si dovesse trovare una rappresentazione simbolica della famiglia quale formazione affettiva-sociale che accompagna, alimenta e fortifica la vita di ciascun individuo, l’immagine probabilmente più evocativa e fedele sarebbe quella di un albero con radici profonde, un tronco possente ed una chioma maestosa. Pertanto, non è casuale che per indicare la discendenza della famiglia si ricorra all’espressione “albero genealogico”. Se poi si dovesse intercettare il tipo di albero che corrisponde a questo profilo, la quercia sarebbe la specie arborea che meglio si attaglia a questa descrizione. Non è solo una questione di rappresentazione, bensì l’origine di questa scelta è anche linguistica, più precisamente riporta alle fondamenta latine di questa parola: “quercus robur”, ove l’aggettivo “robur” significa “forza, gagliardia e robustezza”. Da questa ricostruzione sorprendente è possibile individuare la funzione insostituibile ed incessante della famiglia: essere punto fermo nella precarietà, diventare fortezza nelle difficoltà e diramare energia vitale nella quotidianità. Se questo è il ruolo di cui l’istituzione fa-

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miglia è titolare esclusiva, come poi questa funzione abbia trovato corpo nella realtà è un altro aspetto da sondare, strettamente connesso ai profondi cambiamenti che negli ultimi decenni hanno interessato il quadro familiare. La spinta alla trasformazione del tradizionale assetto familiare è stata sia centripeta, cioè indotta da fattori sociali esterni, sia centrifuga, ossia su iniziativa dei membri stessi della famiglia. Da queste forze interne ed esterne che si sono reciprocamente influenzate si è assistito, sul piano della struttura, al “trasloco” dalla famiglia patriarcale alla famiglia mononucleare o monoparentale, sul piano della funzione educativa, a quello che G.P.Charmet, psicoterapeuta e psichiatra italiano, ha indicato come lo spostamento dalla famiglia etico-normativa alla famiglia affettiva. La famiglia patriarcale si insediava nel terreno fertile della comunità locale proprio della società preindustriale e si connotava per una forma piramidale il cui vertice era rappresentato dal capostipite ed una base ampia indicativa del fatto che “sotto lo stesso tetto” convivevano più generazioni. Il punto di forza di questa struttura allargata era nella condivisione dei compiti della vita quotidiana per cui, per esempio, la prole e le componenti

anziane erano presi in carico da tutta la piccola comunità. Dal punto di vista del metodo educativo la famiglia patriarcale viene definita “etico-normativa”, cioè depositaria di un rigido sistema di regole, obblighi e divieti. La bontà e la generosità che erano alla base dell’intento di fissare delle regole nella crescita dei figli, si perdevano però nella modalità con cui queste regole venivano stabilite. Le regole erano calate dall’alto verso il basso non autorevolmente, bensì autoritativamente, di conseguenza erano percepite come imposizione a cui non si poteva né si doveva replicare, domandarne la motivazione e quindi avere una spiegazione. Quando le maglie di questa rete di mutuo-aiuto domestico cominciarono ad allentarsi? Nel secondo dopoguerra si conobbero rilevanti cambiamenti economico-sociali, si affacciava la società industriale e, soprattutto, il vento riformatore dei diritti civili proveniente d’oltralpe incominciava a spirare anche sulla penisola italiana. A partire dagli anni Settanta iniziò la stagione dell’emancipazione femminile nella vita privata e pubblica accompagnata da una serie di riforme che gradualmente cambiarono il volto dell’Italia. Erano gli anni in cui si rivendi-


Società oggi cava e si celebrava la libertà individuale, come reazione a quella situazione di intelaiatura della vita quotidiana che aveva caratterizzato i rapporti nella famiglia patriarcale e che per le nuove generazioni di allora era troppo stretta nel contesto di uno spazio sociale ed economico sempre più ampio e che di lì a poco sarebbe diventato globale. In questo contesto la fisionomia patriarcale della famiglia cominciò a sfaldarsi per lasciare progressivamente spazio al modello della famiglia attuale, ossia quella mononucleare, la quale cerca ed ottiene autonomia nella propria costituzione, il cui nuovo nucleo è ridotto ai genitori con la prole. Sul fronte educativo è espressione dell’insofferenza a quella passiva accettazione delle regole, a cui tenta di rispondere con la “cultura del dialogo” e dell’identificazione reciproca tra genitori e figli, con lo scopo di ridurre il conflitto genera-

zionale. La comunicazione autorevole all’insegna del dialogo e la posizione di ascolto rappresentano il punto di forza di questa famiglia, da cui deriva la sua qualificazione di “affettiva”. Il contrappeso al suo punto di forza è la difficoltà a calibrare quella tensione tra libertà e limiti, tra concessioni e rinunce che anima il rapporto genitori e figli, ulteriormente complicato se la tendenza sociale abbraccia la libertà assoluta rispetto alla libertà relativa opportunamente guidata. Da questo breve affresco sull’evoluzione della famiglia emerge come non è esistito e non esiste un modello di famiglia ideale. Al contrario, virtù e debolezze, seppur di differente natura, come coabitavano nella famiglia di ieri persistono anche in quella di oggi, indice del fatto che “ogni famiglia è segno del suo tempo” giacché, in miniatura, è espressione del contesto socioeconomico e dell’am-

biente culturale in cui storicamente è collocata. Il nostro albero familiare cambia il colore delle foglie, ma resta saldo al terreno con le sue radici: le dinamiche familiari sono fluttuanti, ma anche se “tutto scorre e tutto si trasforma”, l’essenza resta e l’essenza della famiglia si manifesta nella sua forte, solida e quotidiana presenza affettiva.

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Città e paesi di Waimer Perinelli

Quando Lamon e Sovramonte volevano diventare trentini “Volete che il vostro Comune entri a far parte della Regione autonoma Trentino Alto Adige?” Era il primo novembre del 2005 quando gli abitanti di Lamon furono chiamati a scegliere se rimanere con il Veneto o passare armi e bagagli al Trentino Alto Adige e gli abitanti del piccolo comune bellunese-feltrino non si fecero pregare. Sui 2760 abitanti ben 2377 , il 93%, scelsero di andare amministrativamente con i vicini cugini e solo 150 rimasero di fede e cuore veneti.

Vogliamo che tutto il Veneto passi nella Regione Trentino Alto Adige” dichiarò il Doge Giancarlo Galan, una provocazione che il presidente della Provincia di Trento bollò come “interessata solo ai soldi dell’autonomia” mentre il Landeshauptmann del SudTirolo-Alto Adige Luis Durnwalder dichiarò ironicamente di essere pronto a governare la Regione da Venezia. Il referendum di Lamon fu il primo di questo genere in Italia e per quanto previsto dalla legge, articolo 132 della Costituzione “si può indire un referendum per poter passare da una regione all’altra”, richiedeva un lungo iter costituzionale per diventare esecutivo. E infatti a distanza di 16 anni è rimasto lettera morta nel libro dei sogni. Non ha avuto migliore sorte il referendum analogo celebrato nel vicino comune di Sovramonte, 1500 abitanti sparsi su alcune frazioni, dove il 9 ottobre del 2006 ben il 95% dei votanti, compresi quelli residenti all’estero, si sono espressi positivamente per il passaggio del Comune feltrino alla Provincia autonoma di Trento. Anche questa scelta fu insab-

biata nel labirinto procedurale, ma sette anni dopo, non rassegnati, ancora parte della Provincia di Belluno e del Veneto, accettarono l’invito di un “Comitato Sovramonte in Trentino” e votarono provocatoriamente, su schede fac simile, per l’elezione del Presidente e del Consiglio provinciale del Trentino. In quella occasione ogni spazio libero del comune posto sulla sinistra del Torrente Cismon e quindi confinante con il Primiero, è stato tappezzato da cartelli nei quali si leggeva : «In occasione dell’elezione del presidente della Provincia Autonoma di Trento, il comitato propone ai sovramontini di partecipare al rinnovo elettorale. Domenica 27 ottobre votiamo anche noi per il presidente della Provincia di Trento. L’appuntamento è presso il Casel di Sorriva dalle 10.30 alle 12». In fondo poi veniva aggiunto: «Seguirà aperitivo insieme». Come annunciato la disfida finiva a tarallucci e vino ma solo amministrativamente perché nella gente era rimasto un certo malessere. Salito da Trento nel 2006 per un servizio Rai, avevo riscontrato grande entusiasmo e la riscoperta di antichi legami. In primo luogo l’amministrazione ecclesiale del Vescovo di Feltre su buona parte del territorio sud orientale del Trentino, dal Primiero al Tesino e fino a Borgo e Pergine Valsugana e poi storicamente i nemici comuni del medioevo ovvero i signori padovani, vicentini e scaligeri prima della supremazia di Venezia nel 1420. Lo

Stato italiano rumorosamente silenzioso e tradizionalmente assente, davanti a minacce verbali ma pur seccanti, d’intesa con Regione e Province, ha varato, nel tempo, una serie di provvedimenti finanziari ed amministrativi. Recependo le richieste popolari infatti è stato varato un piano di investimenti da 40 milioni per le opere finanziate con i fondi dei Comuni di confine e con la quota di co-finanziamento di altri enti, primi fra tutti Regione Veneto e Provincia di Trento. Bisogna sapere, infatti, che nell’ambito dell’intesa tra Provincia di Trento e Regione Veneto erano stati previsti interventi cofinanziati al 70% dalla Provincia di Trento e per il 30% dalla Regione Veneto, per la messa in sicurezza della strada n. 50 del Grappa e Passo Rolle, più conosciuta come strada dello Schener. Le opere riguardano viabilità, sanità, cultura e altro ancora. Una scelta che coinvolge le zone trentine anch’esse interessate a collaborare. Il Primiero, per esempio, è interessato alla viabilità e agli ospedali di Feltre e Lamon, punti sanitari di riferimento per i primierotti.

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Il personaggio di ieri di Veronica Gianello

Tutto quello che ci ha insegnato Lawrence Ferlinghetti sulla luce

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olo qualche settimana fa abbiamo assistito all’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti. Di tutta quella giornata, del tumulto, dell’attesa, del timore, dell’aria comunque innegabilmente pesante, alla fine, ricordiamo la cosa più leggera di tutte: luce A ricordarci cos’è la fede, a farci credere ancora una volta che possiamo permetterci di immaginare un domani senza paura sono stati gli occhi della giovanissima Amanda Gorman che, bella più che mai, ha aperto le porte al giuramento di Biden recitand che c’è sempre luce se solo siamo abbastanza coraggiosi da vederla; se solo siamo

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abbastanza coraggiosi da diventare noi stessi quella luce. Sono tornata con la mente a questo monito, a questo coraggio qualche giorno fa, ho letto sul giornale della morte di Lawrence Ferlinghetti. Poco dopo mi sono ritrovata quasi a sorridere pensando inconsciamente a Ferlinghetti come al bisnonno della Gorman. Non ci sarà sangue, non ci saranno Natali insieme, ma un filo invisibile li deve legare per forza. City Lights—guarda caso—è stata la casa, lo studio, il grande amore di Ferlinghetti. Solo uno sciocco la potrebbe definire una semplice libreria. City Lights ha definito e coltivato quella generazione di artisti che, da soli, probabilmente non ce l’avrebbero fatta. E non si parla di denaro. Si parla di affacciarsi al mondo dopo la seconda guerra mondiale, si parla di essere scrittori quando il mondo grida soldi, soldi, soldi. Si parla di presenza, di intuito. Siamo nel fermento febbrile di una San Francisco che diventa calamita per l’arte giovane, per l’arte inascoltata, per l’arte che ti brucia gli occhi e non ti fa dormire. Cultura alternativa, contro-cultura, certamente non cultura minore, come spesso invece si crede. È il 1953, e Ferlinghetti decide che qui deve aprire la sua libreria. È un newyorchese con origini italiane, redu-

ce di guerra, ha studiato alla Columbia University e alla Sorbonne. Eppure si ferma qui, e con 500 dollari fonda City Lights: una libreria. Folle e sprecato, gli dissero in molti. Lui continuò a sorridere, sorretto da una visione e da una fede irremovibili. Ferlinghetti aveva capito di cosa avrebbero avuto bisogno le persone, prima ancora che lo capissero loro stesse. Di lì a poco gli scapestrati poeti della Beat Generation iniziarono a frequentare con costanza gli spazi di City Lights. Tutti, uno per uno, con i loro eccessi, le loro dipendenze fatte di nuvole e cemento. Tutti, con gli occhi rossi e i passi barcollanti, nei momenti lucidi di genio e ispirazione; tutti, nelle notti di disperazione e bottiglie rotte. Venivano qui perché qui c’era quella luce. Venivano qui perché, anche se Ferlinghetti viene troppo spesso etichettato come ‘il padre della Beat Generation’, ne era in realtà l’angelo custode. Era quello in grado di distaccarsi dal vortice del mondo e della giovinezza che ti lacera il cuore. Era quello che alzava la saracinesca la mattina presto. L’amico sobrio che guida per tornare a casa. Quello che ti permettere di vivere a primavera, anche quando è inverno profondo. Guidò da New York attraverso tutta l’America Jack Kerouac bussando alle vetrine di City Lights, distrutto da una vita che non riusciva a trovare il cartello con la direzione giusta. Ingabbiato da un successo che non aveva chiesto. Bussò senza averne la forza, senza nemmeno sapere cosa chiedere, ma


Il personaggio di ieri Ferlinghetti seppe cosa rispondere. Gli diede le chiavi della sua capanna senza corrente elettrica ne acqua nel Big Sur, immersa nei boschi di eucalipto, a strapiombo sul Pacifico. ‘Vedrai che lì starai meglio’. Fu così. Ferlinghetti vedeva il futuro dove gli altri vedevano il marcio. Ferlinghetti ha salvato una generazione dalla cecità dell’omologazione e del materialismo, offrendo una visione vera, piena e commovente. Di quelle visioni che portano frutto. Di quelle visioni che ti fanno pubblicare Howl, di un giovanissimo Ginsberg. Per quella scelta venne arrestato e processato per oscenità. Si difese e vinse appellandosi alla libertà di parola, una parola che per essere libera deve essere vera e solo nostra. Ferlinghetti conosceva i lettori, conosceva gli autori: conosceva il polso delle persone; sentiva da buon marinaio quando il vento del cambiamento

cominciava a soffiare. City Lights è l’inevitabile e naturale prolungamento di una mente luminosa. Un prolungamento che è lavoro di semina, attesa e raccolto. Un prolungamento che allena il respiro del mara-

toneta. Un prolungamento che è faro: quel prolungamento che immagino tra nonno e nipote; tra Ferlinghetti e Gorman, a trascendere generazioni e secoli portandosi dietro solo ciò che serve. Luce.

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Il personaggio di oggi di Alex De Boni

ELENA BORTOLOT, orgoglio di casa nostra Nonostante la giovane età, la pallavolista Elena Bortolot classe 1995, vanta già un grande curriculum sportivo e a livello nazionale ed è una delle bellunesi più apprezzate e conosciute nella sua disciplina. Cresciuta nei settori giovanili di Pedavena e Feltre arriva alla ribalta provinciale con la maglia del Belluno in serie B2. Da quel momento ha inanellato prestazioni super che non hanno lasciato indifferenti i talent scout nazionali che l’hanno portata ad indossare le casacche del Palmi (A2), Monticelli Brusati (B1), Millenium Brescia (A2), Pisogne (B1), Ostiano (B1) ed infine il Volano Volley dove gioca attualmente. Tanta esperienza dunque per la giovane Elena, in particolare in Lombardia con una stagione in Calabria al Palmi. Non sono mancati i tanti attestati di stima e anche la soddisfazione di raggiungere il traguardo della promozione in A1 ottenuta con la casacca della Millenium. Chi la conosce bene la descrive come una ragazza semplice, solare ed estremamente determinata a raggiungere i propri obiettivi.

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lena, così giovane con un curriculum da veterana. Quale il tuo segreto? Tanta forza di volontà, tanta costanza e tanta determinazione in ogni allenamento e in ogni partita per migliorare sempre di più. Non mi accontento mai, sono sempre alla ricerca di nuovi stimoli e di nuovi miglioramenti. Poi anche la passione che ho per questo sport e come dicevo in precedenza la continua voglia di migliorare e di perfe-

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zionare ogni cosa mi porta a voler superare ogni mio limite. Sei una delle pallavoliste bellunesi che hanno giocato in serie A, cosa si prova? Sono molto orgogliosa di questo, credo che ogni persona quando inizia a praticare uno sport sogni di arrivare ad alti livelli e sono felice di essere riuscita a fare della pallavolo il mio lavoro. Poi sono orgogliosa di portare Belluno e in particolar modo Pedavena in giro per l’Italia, ogni anno sono fiera di far conoscere la nostra realtà in ogni posto dove vado a giocare. Forse non tutti lo sanno, ma pallavolo fa rima con sacrificio... Ogni volta che mi pongono questa domanda mi viene sempre in mente un’immagine che circola sul web, raffigura un iceberg, la parte fuori dall’acqua rappresenta quello che le persone vedono quindi i risultati, le prestazioni e i traguardi raggiunti mentre la parte inferiore sotto l’acqua è la parte che nessuno vede come ad esempio la

dedizione, la costanza, il duro lavoro, i momenti difficili, i fallimenti e come hai citato i sacrifici. Nella mia carriera ho fatto molti sacrifici come stare lontana da casa, dalla mia famiglia, dalle mie amicizie e dal mio nipotino, però le emozioni che questo sport mi fa provare come ad esempio la convocazione nella rappresentativa regionale under 15 avvenuta ormai tanti anni fa o la convocazione nello stesso anno ad un collegiale


Il personaggio di oggi della nazionale prejuniores a Roma e più recentemente anche la vittoria del campionato di A2 con la Millenium Brescia non mi fanno pesare tutti i sacrifici che faccio. Hai cambiato tante casacche, in particolare modo l’esperienza calabrese, come ti hanno arricchito? L’anno che ho disputato a Palmi è stato un anno che mi ha fatta crescere molto. Era il primo lontana da casa, il primo anno nel quale dovevo imparare a vivere da sola e a gestirmi in tutto, dalla semplice spesa al risolvere da sola qualunque cosa mi succedesse. È stato un periodo difficile, sono approdata in Calabria l’11 ottobre, mi sono inserita in un gruppo che si conosceva e giocava insieme da mesi, ma le mie compagne mi avevano subito fatta sentire parte del gruppo e questa cosa mi ha aiutata a sentire meno la mancanza di casa. È stata una stagione anche molto emozionante perché ho visto da vicino una categoria e un livello che fino ad allora potevo solo immaginare e poi è stata la stagione nella quale ho fatto il mio esordio in serie A2 e la ricorderò soprattutto per l’emozione che ho provato nel momento in cui ho messo piede in campo per il servizio. Lo sport è importante lo sappiamo, spiegami perché consiglieresti la pallavolo. Lo sport è molto importante e mi ha insegnato molti valori che poi sono fonda-

mentali anche nella vita di tutti i giorni. In particolare consiglierei la pallavolo perché essendo uno sport di squadra ti insegna che la forza di una squadra è proprio il gruppo! Che quando qualcosa non va o quando hai un momento di difficoltà i tuoi compagni sono lì a supportarti e ad aiutarti, insegna anche a rapportarsi con altre persone che hanno idee e caratteri diversi da te, insegna che la costanza, la perseveranza e il duro lavoro ti portano a raggiungere l’obbiettivo. A me personalmente ha insegnato che quando si mette la passione in quello che si fa ogni sacrificio non conta e che il lavoro e la volontà pagano sempre. Lo sport in generale insegna tutte queste cose dalla pallavolo, al rugby, al calcio ecc consiglierei a tutti di praticare lo sport. Da ragazza che pratica la sua passione a modello per gli altri... Che percorso è stato? È stato un percorso fino ad ora con molte soddisfazioni, molti momenti di gioia e di felicità, con tante nuove amicizie e conoscenze, ma anche con tanti fallimenti, tanti sacrifici e tanti momenti difficili che

mi hanno portato ad una crescita sia come giocatrice ma soprattutto come persona. Chi senti di dover ringraziare per quello che sei oggi? Ringrazio in primis la mia famiglia che mi ha sempre supportata in ogni decisione e scelta che ho dovuto fare, hanno sempre creduto in me anche quando io ci credevo meno. Sono cresciuta in una famiglia di sportivi, perciò lo sport ha sempre accompagnato le mie giornate fin da piccola e anche grazie a questo che sono entrata a far parte di questo mondo. La mia famiglia è stata fondamentale per me, ogni successo lo devo a loro ma soprattutto lo dedico a loro. Poi un ringraziamento vorrei farlo anche al mio procuratore Marco perché fin da subito ha creduto in me e mi ha aiutata a trovare sempre la squadra giusta, ma soprattutto mi ha aiutata molto nei momenti di difficoltà ascoltandomi e cercando di risolvere insieme ogni problema. Tanti anni fa non ho trovato solo un procuratore ma un grande amico!

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App...roposito di tecnologia di Nicola Maschio

Da WHATSAPP a TIK TOK, ecco le applicazioni del momento

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on l’espansione della tecnologia, ormai ne siamo circondati. Quasi ogni giorno una nuova App fa capolino sui nostri smartphone, interessando i più diversi settori della nostra vita. Dalla salute alla messaggistica, dalla creazione di media alla modifica di foto e video divertenti. Ma di quante e quali applicazioni stiamo effettivamente parlando? Tutti noi conosciamo le più comuni e diffuse: WhatsApp, ad esempio, che ha ormai stravinto il confronto con i sistemi classici di scambio messaggi, come SMS ed MMS. Anzi, potremmo dire che questi ultimi sistemi di comunicazione ormai non vengono praticamente più utilizzati, se non dalle compagnie telefoniche che comunicano il credito residuo e offerte promozionali. Ma facciamo un passo indietro. Quando nel 2014 l’inventore di Facebook, Mark Zuckerberg, acquista WhatsApp per una cifra da capogiro pari a 19 miliardi di dollari, gli utenti attivi mensilmente sull’applicazione

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erano circa 465 milioni. Ad oggi invece, in appena sette anni, i numeri sono sbalorditivi: 1,6 miliardi di utenti, 65 miliardi di messaggi al giorno ed una “distribuzione” di WhatsApp che coinvolge 180 dei 193 Paesi del mondo. Inoltre, in 133 di questi ultimi l’applicazione è leader nel settore della messaggistica. Statistiche incredibili, insomma, alle quali si aggiungono dati altrettanto importanti: se pensiamo infatti all quantità di messaggi inviati ad ogni ora del giorno, non sorprende sapere che il 62% degli utenti controlla il proprio smartphone immediatamente al risveglio mentre il 79% lo monitora dopo appena un quarto d’ora dall’inizio della giornata. E con le altre App? Se consideriamo ad esempio Facebook (nato su

internet, ma in poco tempo comparso anche sui display dei nostri telefonini), le cifre lasciano a bocca aperta. Ben 2,6 miliardi di utenti attivi, 1,73 dei quali visitano il social almeno una volta al giorno. Ma il dato più significativo è quello che indica come il 96% degli utenti si colleghi a Facebook attraverso l’applicazione mobile. Insomma, praticamente due miliardi di persone accedono con un semplice “click” sul simbolo della App. Ma cosa rende le App così speciali? In sintesi, la loro capacità di mutare ed adattarsi ai cambiamenti del tempo in cui si trovano. Ad esempio, sappiamo che il mondo del commercio online è oggi in rapida espansione. Ed ecco che, se osserviamo più da vicino i dati di Facebook, notiamo che il 93% delle diverse tipologie di attività lavorative utilizza il social per farsi pubblicità o pubblicare inserzioni. E se vi state chiedendo se questa cosa funzioni oppure no, basti sapere che il 78% dei consumatori americani ha ammesso di aver scelto di comprare un prodotto dopo averlo visto su Facebook. Ma ci sono state anche applicazioni che non hanno saputo centrare il proprio


App...roposito di tecnologia

obiettivo. Si pensi in questo caso all’App Immuni, di recente sviluppo per contenere il diffondersi della pandemia Covid. Con un totale di appena 10.289.248 download in Italia (numeri dal sito ufficiale di Immuni), rispetto al totale della popolazione la App copre appena il 17% circa degli abitanti. Numero lontanissimo dal 60% stabilito come minimo indispensabile per otte-

nere una copertura tale da permettere un monitoraggio valido. Eppure, ci sono applicazioni che pur non essendo altrettanto utili (Immuni, di fatto, avrebbe potuto contribuire al rallentamento della pandemia) ma semplicemente goliardiche, fanno registrare numeri davvero elevati in pochissimo tempo. La App Tik Tok ad esempio, con poco più di un paio di anni di vita, ha toccato quota 55 milioni di utenti al mondo nel solo 2018, 800 milioni oggi ed una rapida ascesa verso il sesto posto tra le App più utilizzate al mondo in questo momento. I dati aggiornati, risalenti agli ultimi mesi del 2020 (precisamente ottobre), parlano di più di 8 milioni di utilizzatori nel nostro

Paese, di poco inferiori alla App Immuni. Solo per fare un confronto, tra luglio 2019 e lo stesso mese del 2020, Tik Tok ha registrato un +337% di utenti attivi, complessivamente la quarta App in relazione al tempo speso in Italia da parte di utenti maggiorenni. Dati ancora lontani da quelli americani, dove mediamente un utilizzatore accede otto volte all’App per 46 minuti di collegamento complessivi; tuttavia, il fenomeno va sicuramente monitorato e, soprattutto, andrebbe indagato per quale motivo queste statistiche siano così importanti nei confronti di applicazioni utilizzate prevalentemente per divertimento. Numeri tuttavia destinati a crescere soprattutto alla luce del fatto che, relativamente all’espansione degli smartphone nel mondo, le previsioni ci dicono che dal 60% del 2015 si passerà, entro il 2025, all’80%.

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Arte e musica di Monica Argenta

L’Orchestra d’Archi Incontro Armonico:

l’idea vincente di creare comunità attraverso la musica.

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l bisogno di creare comunità è insita nel genere umano. Tuttavia, questo bisogno è stato messo a dura prova, e non solo da questo ultimo anno di Covid. L’età post-moderna, con i suoi ritmi e le sue tecnologie, ha favorito se non addirittura dettato atteggiamenti e comportamenti tesi verso l’individualismo. Però, quando nel 2015 il Maestro Claudio Colmanet, Direttore Artistico della scuola di musica dell’Associazione Giacomo Puccini di Crocetta del Montello (TV) fondò l’orchestra d’archi Incontro Armonico aveva un’idea controcorrente. Oltre a voler dare un’opportunità ai suoi studenti di fare musica d’insieme fin dalla più tenera età, la sua idea vincente è stata voler creare una realtà capace di raccogliere strumentisti di diverse generazioni: far suonare figli accanto ai genitori, ai nonni o comunque assieme ad appassionati di tutte le età e livello tecnico per poi farli esibire in veri e propri concerti. L’ Incontro Armonico è senza dubbio sotto questo punto di vista un esempio raro a livello regionale ma anche nazionale. Contrariamente ad altri paesi, quali l’Austria, la Germania, l’Olanda dove queste esperienze sono piuttosto diffuse, in Italia il concetto di promuovere un gruppo di musicisti di

strumenti d’arco così variegato e che s’incontra con il semplice desiderio di suonare assieme non è affatto scontato. Nel nostro paese predomina una netta divisione tra musicisti professionisti e musicisti amatoriali: chi non fa musica per mestiere spesso viene considerato un dilettante, cui riconoscere tutt’al più la fortuna di avere un passatempo sano e colto ma cui si continua a guardare con una certa sufficienza. Soprattutto se i musicisti sono adulti maturi, non sempre viene riconosciuta loro la fatica di ritagliare del tempo per “strimpellare” assieme, la voglia di imparare qualcosa di nuovo. Come dimostra anche l’esempio dell’orchestra del Maestro Colmanet invece i musicisti amatoriali di tutte le età sono una risorsa importante per ogni comunità. Suonare assieme ed esibirsi non regala solo gioia e socialità a chi lo fa direttamente ma offre anche un’opportunità importante di incontro ai parenti, agli amici e ai conoscenti che per l’occasione spesso indossano abiti e il trucco e parrucco solitamente riposto nei cassetti. Inoltre, essendo questi loro concerti per lo più offerti a titolo gratuito, tramite i gruppi amatoriali vi può essere divulgazione, stimolo e sviluppo verso quei generi musicali magari generalmente preclusi ad un pubblico ristretto. L’ Incontro Armonico ha di fatto in pochi anni sviluppato un repertorio diversificato, spaziando dal sinfonico all’operistico ma non solo. Grazie alla collaborazione con l’associazione Amici di Flores da Cunha di Sospirolo (BL)

è attiva la partecipazione di professionisti internazionali del jazz, mentre la collaborazione con il gruppo Edo e le Voci dai Cortivi di Belluno ha permesso incontri importanti per divulgare la canzone popolare. Grazie alla capacità di fare rete con il territorio, alcune borse di studio per giovani musicisti sono state anche offerte dalla Società di Mutuo Soccorso. Gli appuntamenti concertistici, che si spera riprendano dopo la parentesi Covid, sono stati molteplici in provincia di Treviso e Belluno ma si sono spinti fino a palcoscenici internazionali, raggiungendo la Croazia e il Brasile. Se il ruolo della musica, soprattutto quella amatoriale e soprattutto in Italia, non è ancora chiaro, l’esperienza dell’Incontro Armonico insegna che suonare assieme e per gli altri è comunque uno dei migliori collanti tra gli esseri umani, capace di scavalcare frontiere, età e cultura formale in un contesto d’ impegno, rispetto ed esplorazione di emozioni proprie o altrui. E, non per ultima, ci insegna che la musica amatoriale dona tanta gioia e allegria.

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In filigrana di Nicola Maccagnan

“Zoom” & C.: un anno di DAD

e incontri a distanza, piuttosto che niente…

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i siamo scoperti, quasi d’un tratto, figli, o forse sarebbe meglio dire figliastri, della socialità digitale. Tra gli effetti della pandemia, abbiamo sperimentato tutti – chi più chi meno – l’esplosione dell’utilizzo delle piattaforme dedicate agli incontri a distanza, alle riunioni in teleconferenza e, per quanto riguarda gli studenti, alla formazione da casa, quella che con un acronimo non proprio accattivante viene definita DAD (Didattica A Distanza, per l’appunto). Il distanziamento interpersonale imposto dalle misure sul contenimento dell’epidemia da Covid-19 si è così tradotto, in questo ambito, nel pressoché totale azzeramento degli incontri “in presenza”, soppiantati dal proliferare di appunta-

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menti digitali in videoconferenza su una delle moltissime piattaforme che hanno conosciuto una fortuna in precedenza mai nemmeno immaginata. E va detto, tanto per sgomberare subito il campo dall’accusa di “passatismo”, che questi strumenti hanno rappresentato senza dubbio un utile surrogato delle riunioni tradizionali, soprattutto per chi vi ha dovuto fare ricorso per esigenze di lavoro o di studio. Nessuna damnatio, ci mancherebbe. A oltre un anno dallo scoppio della pandemia e di quella che possiamo a ragione definire una rivoluzione epocale anche in questo ambito, qualche considerazione vale però la pena di farla. L’entusiasmo dei primi momenti ha infatti lasciato via via in molti il retrogusto della

rinuncia. Se la scelta di una socialità in formato digitale ha rappresentato l’unica soluzione (forse) praticabile, con il passare del tempo ha mostrato anche tutti i suoi limiti e le sue storture. Tanto che oggi viene da chiederci: “Davvero potevamo pensare che una riunione distanza o la formazione in videoconferenza riuscissero a sostituire le loro tradizionali espressioni fisiche, ovvero “in presenza”?”. Se l’obiettivo è il puro scambio di informazioni o di nozioni, la risposta potrebbe sembrare di primo acchito “sì”. Tutti noi ci siamo però resi conto come il fatto di incontrarci “dal vivo” porti con sé una serie di possibilità e di potenzialità tutt’altro che marginali e alle quali la comunicazione digitale, ancorché in video,


In filigrana

non può certo sopperire. Che ne è stato dell’interazione visiva, del ruolo dello sguardo e della mimica facciale o del corpo, della possibilità di interagire contemporaneamente con gli altri partecipanti ad un incontro, ben al di là del flusso di una voce che viaggia in maniera monodirezionale? Da attori e compartecipi, ci si è ritrovati in moltissime occasioni a rivestire il ruolo degli spettatori, privati della propria individualità e della possibilità di manifestare attraverso i mille canali della presenza fisica il proprio pensiero o le proprie impressioni. Abbiamo così toccato con mano, se ce ne fosse bisogno, che comunicare ed incontrarsi non sono solo una questione verbale, ma un “evento” molto più complesso e ricco di quanto a volte siamo portati a pensare. La questione si carica di ulteriori aspetti critici se passiamo al mondo della scuola. Qui, l’idea che la formazione a distanza potesse supplire a quella fatta in aula si è dimostrata alla prova dei fatti un’autentica illusione. L’educazione di un giovane, di un ragazzo, e ancora più di un bambino delle scuole elementari, è affare ben più complicato, e straordinariamente più carico di significati, di un semplice trasferimento di nozioni, pur effettuato con tutte le accortezze del caso. Lo

verificano con mano gli stessi studenti ed insegnanti, ma ancor più genitori e nonni, quotidianamente alle prese con il cammino faticoso, intermittente, a tratti desolante della didattica a distanza. E questo senza addentrarci nelle problematiche legate alla connessione internet, nelle nostre vallate a volte ancora un’autentica chimera, o alle difficoltà di chi tra le mura domestiche deve accompagnare i propri ragazzi senza avere spesso gli strumenti di supporto necessari. Ci troviamo desolatamente difronte ad una generazione di allievi, soprattutto i più piccoli, che in una fase determinante della propria crescita ha dovuto fare i conti con la mancanza di

un rapporto quotidiano con maestri e professori, della possibilità di interagire con loro, ma anche - e forse ancor più - con il quasi totale azzeramento dei rapporti con i propri coetanei. Ne sta risentendo la preparazione scolastica, ma ancor più la dimensione personale e sociale. Crescere, lo stiamo toccando con mano, non equivale semplicemente ad imparare. Ci si poteva “attrezzare” diversamente? Si poteva pensare ad un anno scolastico rimodulato nei tempi e nei modi in base all’emergenza sanitaria, magari recuperando le lezioni “in presenza” in periodi dell’anno meno a rischio, quali l’estate? Si sarebbero potuti frazionare i gruppi per creare delle mini-classi più sicure? L’Italia, si sa, è anche il paese dei totem, dei “così si è sempre fatto”, dove i cambiamenti, anche quelli più logici e necessari, sono molto difficili da far passare. Le resistenze sono molte, le giustificazioni, vere o presunte, sempre pronte. Il passaggio storico che stiamo attraversando ha aperto, o meglio spalancato, nuove strade, anche sul fronte tecnologico. Opportunità dalle mille prospettive, come appunto quelle legate alla comunicazione digitale a distanza. Che è utile, utilissima, ma ha mostrato anche tutti i suoi limiti e i suoi rischi. Certo, piuttosto che niente...

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Il personaggio di Alessandro Caldera

Vivere di calcio per morire in panchina: la storia di Giovanni Trapattoni

N

ascere a ridosso dello scoppio di una guerra o durante un regime, comporta inevitabilmente sofferenza e sacrifici. La faccenda assume connotati ancora più tragici se, durante il conflitto in questione, l’essere umano si rende protagonista di barbarie e di atrocità inaudite. L’allusione è inerente, in parte, al secondo conflitto mondiale, che impegnò svariati Stati per circa sei anni e durante il quale perirono poco meno di 70 milioni di persone. Ma anche ad un qualcosa che ci interessa maledettamente più da vicino, come il Fascismo. Ecco, con queste premesse, una mattina di marzo del ’39 viene alla luce Giovanni Trapattoni. Il luogo di nascita è Cusanino Milanese, “Cusan” per i vecchi Bauscia, un comune situato a Nord del capoluogo lombardo. Il Trap, diminutivo

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con il quale sarà poi celebre, cresce in condizioni di precarietà finanziaria. Vive dapprima in una cascina assieme ad altre undici famiglie, un periodo per lui doloroso ma allo stesso tempo “utile”, perché farà di lui un uomo umile e determinato. Da giovanissimo lavora come garzone, poi alterna il calcio all’occupazione da tipografo presso la ditta cartotecnica Riboldi, fin quando non viene notato dal Milan. All’oratorio San Martino, campo in terra battuta del paese, il Giuanin, nomignolo che gli era stato affibbiato in gioventù, aveva già fatto intravedere le proprie qualità da difensore. Era tangibile la sua maturità, la sua abilità nel dirigere la manovra e la squadra, aspetti che folgoreranno il mister delle giovanili rossonere, Mario Malatesta. Il provino, avvenuto a Rogoredo poco fuori Milano nel 1956, portò ad un inevitabile plebiscito; arruolato in quella che oggi potremmo definire con un inglesismo come Accademy, Trapattoni vinse nel ’59 e nel ’60 il più prestigioso torneo giovanile, il Viareggio. Sulle ali dell’entusiasmo esordì con la prima squadra, il 29 giugno 1959 in un Milan-Como di Coppa Italia, con un tabellino della Gazzetta dello Sport che mise a referto un facile 4-1 ma anche

un erroneo “Trappattoni”. Poco male in realtà, il celebre quotidiano avrà modo di impararlo quel cognome; Giovanni vestirà infatti la casacca rossonera per altre undici stagioni, prima di una fugace esperienza a Varese. Della militanza da calciatore, se gli fosse fatta esplicita domanda, ricorderebbe indubbiamente due partite e un allenatore. La prima delle due si giocò il 12 maggio 1963, un Italia-Brasile, nella quale il Giuanin contenne in modo impeccabile Pelè, uscito dal terreno di gioco solamente al ventiseiesimo minuto. Con il tempo si seppe che la stella “verdeoro” non era al top della condizione ma questo alla gente poco interessava. Tutti erano rimasti ammaliati dalla superba prestazione del Trap. Per la cronaca, in quell’afoso pomeriggio a San Siro, la formazione sudamericana, reduce dal successo nei mondiali del ’58 e ’62, fu annichilita con un netto 3-0. Relativamente alla seconda partita invece, dobbiamo andare avanti nel tempo, non


Il personaggio di molto in verità, di appena 16 giorni. In quell’occasione, la finale di Coppa dei campioni, Giovanni marcò in maniera superba la stella del Benfica, Eusebio, contribuendo a mantenere il risultato sul passivo di una rete a zero per il Milan, uscito poi trionfante dalla serata. Il terzo ed ultimo ricordo è legato, come anticipato precedentemente, alla figura di un allenatore: Nereo Rocco. Il “paròn”, soprannome con cui era noto il tecnico friulano, prese sin da subito in simpatia Giovanni che assieme ad un altro giocatore rossonero, Lodetti, formava il gruppo delle “cocorite”. Lo scopo di questa coppia era quello di rendersi complici degli scherzi che lo schivo Nereo faceva a quei giornalisti scomodi o sgraditi. Tralasciando la sfera un po’ più goliardica, Trapattoni vide in Rocco, una sorte di padre, al quale di fatto si ispirò sia per quanto concerne la gestione del gruppo, sia l’impostazione

più difensivista. Con questi presupposti, nel 1974 intraprese quel percorso al di là della linea laterale, una carriera che si è protratta complessivamente per più di mezzo secolo, terminando solamente nel 2013. Durante questa esperienza, Giovanni ha avuto la fortuna di “visitare” svariate nazioni e di approcciarsi a diversi stili di gioco, sempre con una meravigliosa costante: il successo. È lui che detiene il primato di scudetti conquistati da allenatore in Italia, sette, ed è sempre lui il fautore dello “scudetto dei record”, raggiunto nella stagione 1988-89, quando la sua Inter totalizzò 58 dei 68 punti disponibili. Per

tutto questo, quando si parla del Trap si può utilizzare, senza remora alcuna, il termine “pietra miliare” di questo sport, disciplina che ama e che venera al punto di augurarsi una simile sorte:” Per uno come me che ama il pallone e che non è mai stato tradito dal calcio, sarebbe la cosa più bella morire in panchina, durante una partita.”

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Uomo e natura di Alex De Boni

Il Gruppo Salvataggio Anfibi Belluno Negli ultimi anni, precisamente dal 2013 anno in cui è stato creato, il Gruppo Salvataggio Anfibi Belluno è diventato molto popolare sul territorio provinciale grazie alle molteplici iniziative messe in atto per salvare alcune categorie di anfibi, in particolare rane e rospi. I volontari che vi aderiscono sono circa una cinquantina e sono presenti in varie zone del territorio come sulla strada Sp1 bis “Madonna del Piave” in località Molinello a Lentiai, a Rasai di Seren del Grappa, a Punta Trifina di Ponte Nelle Alpi e prossimamente anche a Rocca di Arsiè, sempre appoggiati dalle rispettive amministrazioni comunali. nei quali vivono e se sono fortemente inquinati difficilmente sopravvivono. Inoltre sono considerati “amici” degli agricoltori perché si nutrono dei piccoli animali considerati fastidiosi per l’uomo (esempio le zanzare) o che creano effetti indesiderati alle colture. Secondo le pubblicazioni del Wwf sono tra le specie a più rischio estinzione, ecco perché l’opera del gruppo di salvataggio risulta fondamentale per l’intero ecosistema.

IL LAVORO DEI VOLONTARI

Per rendere al meglio l’importanza che rivestono questi volontari basta citare il dato dei rospi e rane salvate dai loro interventi: “grazie al lavoro instancabile dei volontari”, afferma la portavoce Michela Zatta, “ ogni anno riusciamo a

L

A PROBLEMATICA

Ogni anno, a febbraio, rane e rospi si svegliano dal lungo letargo invernale, lasciano i boschi e iniziano la migrazione verso i luoghi di riproduzione, generalmente stagni, ma anche laghi. Dopo la deposizione delle uova i batraci rimangono qualche settimana sul posto, per poi ritornare là da dove sono venuti. La lentezza che contraddistingue i rospi (che a differenza delle rane, si spostano lentamente e senza balzi) è a volte un handicap fatale che non permette loro di attraversare indenni le nostre strade. Senza l’intervento dei volontari sareb-

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bero migliaia gli anfibi schiacciati sulle strade.

QUESTIONE DI ECOSISTEMA

Gli anfibi sono dei regolatori fondamentali per il mantenimento dell’equilibrio ecologico, la loro presenza è una garanzia che il territorio che li “ospita” non ha subito alterazioni nel recente passato, fungono così da bioindicatori della qualità ambientale. La loro pelle è permeabile e può assorbire facilmente ogni sostanza chimica; per questa ragione sono considerate degli indicatori precisi dello stato di salute degli ambienti


Uomo e natura IL SOGNO DEL ROSPODOTTO

salvare complessivamente oltre 10.000 anfibi e garantire la continuità delle specie che vivono nel territorio bellunese, mantenendo i delicati equilibri della natura, rendendo più sicure le strade anche per gli automobilisti e consentendo di abbassare l’uso di pesticidi grazie alla presenza di questi alleati insettivori”. In occasione del periodo riproduttivo, i volontari posizionano reti e barriere per permettere a rane e rospi di raggiungere in totale sicurezza gli specchi d’acqua dove depositare le uova. Senza il loro intervento assisteremo ad una “sorta di carneficina” di questi esemplari che in migliaia finirebbero sotto le ruote delle auto. In altre zone, nelle serate di pioggia, alcuni membri del gruppo scendono in strada per spostare manualmente gli anfibi, lì dove non è possibile sistemare le barriere.

Il lavoro di montaggio e rimozione delle barriere da parte del Gruppo Salvataggio Anfibi Belluno viene fatto ogni anno, contando sempre sui volontari. Il sogno proibito è quello di costruire delle strutture definitive, i cosiddetti rospodotti, ossia un passaggio o sottopassaggio artificiale per anfibi che viene predisposto lungo le strade extraurbane in cui si verifica un passaggio di rospi. “Sono molti anni che confidiamo nella possibilità di farli”, afferma Michela Zatta, “ma ci rendiamo anche conto che la spesa sarebbe molto elevata. Anche con eventuali fondi europei i passaggi burocratici sarebbe molti. E nessuno allo stato attuale può farsene carico. Abbiamo provato a chiedere ma nessuno può supportarci”

sono contattare Isabella per la Sinistra Piave: 349/4474104, Giuliana per Ponte Nelle Alpi: 329/1410122, Michela per Seren del Grappa e per le attività del gruppo: 328/9204968, oppure scrivere una mail all’indirizzo: grupposalvataggioanfibiBelluno@gmail.com

NON SOLO RANE

Il gruppo dallo scorso anno lavora ad un progetto di tutela della fauna selvatica che vive in ambito urbano come rondoni, rondini, rondini montane, balestrucci, pipistrelli in collaborazione con Lac, WWF, Siamo tutti Animali, Gruppo Eco Volontari, Monumenti Vivi, Liberi di Volare 2012.

LA RICERCA DI NUOVI VOLONTARI

La sensibilità nei confronti degli anfibi è in continua crescita, a dispetto delle tante dicerie dette su questa specie. Il Gruppo Salvataggio Anfibi Belluno è alla continua ricerca di nuovi aderenti perché il lavoro da fare è ancora molto. Per informazioni ulteriori si pos-

LA PAROLA AI LETTORI COMUNICATO DI REDAZIONE

Chi fosse interessato alla pubblicazione di uno scritto o un articolo riguardante una opinione personale, un fatto storico, di cronaca o di un qualsiasi avvenimento, può farlo indirizzando una email a: direttore.feltrinonews@gmail.com. Il testo, di massimo 3.500 battute, dovrà necessariamente contenere nome e cognome dell’articolista l’indirizzo di residenza e un recapito telefonico per la verifica. Il direttore si riserva la facoltà della non pubblicazione in caso l’articolo non dovesse rispettare l’etica giornalistica o d’informazione.

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Musicalmente di Katia Cont

Laura Pausini,

“IO SI” e la nomination

«Non ho mai scritto discorsi in occasioni simili, ma questa nomination e l’eventuale vittoria le dedico al mio babbo: suonava nelle orchestre, fu fra i primi a provare l’avventura dei piano bar, mi ha insegnato perché le canzoni sono importanti per la vita delle persone, ma non mi ha mai detto che dovevo cantare. Ha aspettato. E al mio ottavo compleanno, al ristorante Napoleone di Bologna, chiesi in regalo un microfono. A me sarebbe bastato fare i piano bar, non c’erano ragazze allora, ma lui mi diceva che i miei sogni erano troppo piccoli»

L

a cantante di Solarolo, come la stessa Laura Pausini ama definirsi, ha vinto il Golden Globe per la migliore canzone originale Io sì / Seen tratto dal film La vita davanti a sé di Edoardo Ponti con Sofia Loren. Un premio importantissimo considerato che storicamente il Golden Globe è un’anticipazione dei premi che verranno consegnati nella notte più importante per l’industria cinematografica mondiale. Il prossimo 25 aprile a Los Angeles infatti si terrà la notte degli Oscar che vedrà tra le protagoniste proprio la Pausini, nominata per la miglior canzone originale. Nessun brano interamente in italiano prima di questo – scritto dalla cantante romagnola insieme a Diane Warren e Niccolò Agliardi - aveva mai vinto il premio assegnato dai giornalisti della stampa estera iscritti all’Hfpa (Hollywood Foreign

Press Association) e questa è già una soddisfazione enorme per chi continua a vincere anno dopo anno premi e riconoscimenti internazionali. Determinazione, idee chiare, un progetto definito e a lungo termine, una visione non solo locale e investimenti in un management forte, sono gli ingredienti del suo successo. Personalità e simpatia l’hanno sempre contraddistinta e fatta amare dal pubblico di casa e anche dal resto del mondo, basti pensare al Sudamerica che la ha letteralmente adottata, ma ora anche l’industria cinematografica si è accorta di lei. Certo si rischia, si deve abbandonare la certezza di un successo locale per avventurarsi al di la dell’oceano. Questo comporta sacrifici, soprattutto per chi ha famiglia. Il più delle volte non è semplicemente “portare i propri successi all’estero”, ma adeguarsi ai singoli mercati, alle dinamiche e al contesto, il che vuol dire ricantare le proprie canzoni in un’altra lingua, modificare il testo, il messaggio, adeguarsi alle idee e alle dinamiche degli altri paesi, stare mesi e mesi a fare promozione lontano da casa e spesso ciò implica cambiare vita, certezze. Sacrifici, impegni che stanno regalando alla Pausini e a tutto il suo entourage i meritati riconoscimenti. Laura ha presentato una canzone dalla melodia dolce e pacata accompagnata da un testo in cui emerge chiaramente l’idea di un amore che rimane saldo, fermo e pronto a sostenere e confortare nel mo-

mento del bisogno. È un testo breve, di poche parole, ma che riesce comunque ad esprimere tutto l’amore nella sua essenza. Il testo della versione italiana è stato scritto da Laura Pausini e Niccolò Agliardi mentre il testo e la musica nella versione originale sono stati composti dalla compositrice statunitense Diane Warren. Dopo aver visto il film, la Pausini ha accettato di eseguire la canzone, identificandosi nel suo messaggio sulla diversità e contro i pregiudizi e il razzismo. «Una storia di integrazione e buon senso, volendo anche fotografia del disagio attuale attraversato dall’umanità, non nascondo le perplessità che circondano le nostre esistenze da un anno ad oggi - ha detto la cantante romagnola, durante la videoconferenza di avvicinamento all’evento americano - abituata alla mia vita frenetica, perennemente tra spostamenti e viaggi, per viverla improvvisamente senza possibilità di programmare, bensì di gestirla alla giornata». «Prendersi cura del testo in italiano, insieme a Niccolò Agliardi, si è tramutato in lavoro per un arco di trenta giorni, l’adattamento della metrica Italiana è complicato, mancano le parole tronche, devi mettere volontà e innato senso armonico, se non vuoi lasciare qualcosa di marginale, al momento la canzone in italiano viene suonata da varie stazioni radio americane». La prossima fermata dunque è quella del Dolby Theatre, nella notte tra il 25 e 26 aprile 2021. 49


PERIODICO GRATUITO D’INFORMAZIONE Attualità, Cronaca, Turismo, Spettacolo Cultura, Tradizioni, Storia, Arte, Industria, Commercio, Artigianato, Volontariato.

FELTRINO NEWS è un periodico mensile distribuito gratuitamente in tutti i comuni della Vallata Feltrina È stampato in 5mila copie con una foliazione di 96/104 pagine tutto a colori e su carta patinata con formato 23cm x 31cm. FELTRINO NEWS è un free-press non schierato politicamente e quindi suo precipuo compito è quello di dare una corretta informazione e giusta narrazione dei fatti, degli eventi e degli avvenimenti, siano essi politici, sociali, culturali o economici. La redazione di FELTRINO NEWS è formata da 30 collaboratori di cui 12 giornalisti, 2 avvocati, 1 ingegnere, 2 psicologhe e una corrispondente dagli USA. La consulenza medico-scientifica è garantita da 4 medici. FELTRINO NEWS viene posizionato in oltre 280 punti quali edicole, farmacie, supermercati, centri commerciali, alberghi, ristoranti, parrucchieri, autostazioni, ambulatori, ospedali, bar, negozi, macellerie e in tutti i luoghi di pubblica affluenza.


Le belle realtà feltrine di Franco Zadra

La Schola Cantorum di Santa Giustina, «una storia più unica che rara» Quarant’anni fa, nel 1981, a Santa Giustina nel Bellunese, nasce per iniziativa di Alberto Da Ros una inedita e imprevedibile Scuola di Canto per Bambini. Nel corso dello stesso anno Da Ros assume anche la direzione del Coro Parrocchiale che diventerà poi Schola Cantorum. Del “fenomeno corale” di Santa Giustina si è occupata la Casa Musicale Carrara di Bergamo che vanta varie pubblicazioni tra opere di musica sacra corale, polifonica, musica vocale profana, musica organistica, pianistica, strumentale in genere, didattica di base, didattica applicata, trattati e saggistica, descrivendola come “una storia più unica che rara”.

U

na iniziativa che «partendo da zero – dice Alberto Da Ros – dopo pochi anni contava oltre 100 allievi», assumendo poi dimensioni di incredibile portata, coinvolgendo

nel canto e nella musica diverse centinaia di bambini e ragazzi. Divenuti poi adulti, hanno raggiunto un livello di preparazione tale da ottenere numerose affermazioni nelle competizioni di musica

corale e accedendo a molte tra le più importanti e prestigiose rassegne corali nazionali e internazionali, effettuando concerti in tutta Italia, isole comprese, e tournée in Spagna, Bielorussia, Bulgaria, 51


Le belle realtà feltrine

Inghilterra, Rep. Ceca, Ungheria, Slovenia, Grecia, Francia, Austria, Germania, Danimarca e Brasile. Per ragioni di spazio ricordiamo solo alcune attività della Schola Cantorum in questi quarant’anni, prese a caso tra le tante che possono significare il grande spessore culturale e artistico di questa realtà. Nel 2007 Alberto Da Ros cede la direzione al figlio Fabrizio, “figlio d’arte” che ha raggiunto i massimi livelli professionistici e che non vogliamo perdere l’occasione di conoscere con una intervista esclusiva nel prossimo numero di Feltrino News. Alberto intanto continua a occuparsi dell’Associazione in qualità di coordinatore di tutte le attività, comprese quelle burocratiche e amministrative, i festival musicali organizzati annualmente, il “Natale in Coro” (concerto di canti natalizi

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giunto alla 39ª edizione) e le 24 edizioni della Rassegna Internazionale di Canto Corale. Nel 1996 ha inciso un Cd (Preludio di Natale) con l’etichetta Rivoalto; nel 2000 con sette esecuzioni della Cantata “Assassinio nella Cattedrale” di V. Donella e il Te Deum op.141 di W.A. Mozart per Coro e Orchestra; nel 2006 il Magnificat di J. Rutter per soli coro e orchestra;

A. Scarlatti, la Messa in C. di L.V. Beethoven, Alto Rhapsodie di J. Brahms, con esecuzioni presso il Duomo di Feltre e di Spilimbergo, la Cantata “Napoleone Massimo Trionfante” di A. Miari, con esecuzioni a Pordenone e al Teatro de “La Sena” di Feltre, il “Don Giovanni” di W.A. Mozart, con due repliche al Comunale di Belluno e una presso il Parco di Villa Benzi Zecchini di Caerano S. Marco

nel 2009 è stata invitata al concerto di chiusura del 40° Festival Internazionale della Musica Antica di Sion (CH) e alla celebrazione dell’8° centenario della conversione di S. Francesco, presso la Basilica Pontificia del Santo di Padova; nel 2013 ha presentato il concerto di chiusura del 44° Festival Internazionale della Musica Antica di Sion (CH); nel 2015 sono state allestite l’Oratorio Jephte di G. Carissimi, lo Stabat Mater di

(Tv) e il Vespro della B.V. Maria di G.F. Händel; nel 2018 ha presentato il Vespro in onore dei Ss. Martiri Vittore e Corona di C. Monteverdi (duomo di Feltre). Nel 2019 i Carmina Burana di C. Orff, (teatro Appiani di Treviso), la festa teatrale in musica “Livia” di A. Caldara, (Teatro de “La Sena” di Feltre), la Petite Messe Solennelle di G. Rossini e il Magnificat di A. Vivaldi (duomo di Feltre). Da un ventennio dedica il proprio impegno alla trascrizione in notazione moderna ed esecuzione di opere di compositori di Scuola Veneta, tra questi i bellunesi L. Balbi (1545-1604) e A. Miari (1778-1855). Numerosi sono poi i primi premi ottenuti negli anni partecipando a competizioni di canto corale, come al Concorso Nazionale di Vittorio Veneto nel 1988,


Le belle realtà feltrine

sezione polifonia a voci femminili, al Concorso Nazionale di Verona nel 1994, cat. cori virili, al Festival dei nuovi canti veneti, con cinque premi speciali della giuria nel 1995, al Concorso Nazionale di St. Vincent (Ao) nel 1998, sez. popolare a voci miste, al Concorso Nazionale polifonico di La Spezia nel 1999, sez. a voci miste, al Concorso Internazionale “In… canto sul Garda” di Riva del Garda (Tn) nel 1999, (massimo punteggio della giuria tra i 60 cori partecipanti), al Concorso Internazionale di Azzano Decimo (Pn) nel 2002, anno nel quale è stato avviato un progetto di ricerca musicologica su Ludovico Balbi, maestro di cappella presso il duomo di Feltre; nel 2003 è stato presentato in prima esecuzione moderna il Vespro In Nativitate Domini dello stesso L. Balbi; nel 2005 è stato organizzato un convegno di studi sulla musica presso il duomo di Feltre alla fine del ‘500, con la pubblicazione degli

atti per i tipi della Lim; nel 2006 è stato pubblicato da Nuova Pro Musica Studium un volume di partiture contenenti 18 salmi e 3 magnificat e la registrazione integrale per l’etichetta Tactus (pubblicato il 1° e 2° Cd). Nel triennio 20032005, in concomitanza al Progetto Balbi,

Interreg. IIIA Italia-Austria che ha visto in programma nove concerti. La vitalità della Schola Cantorum di Da Ros, si coglie nella sua sostanza e valore che vanno crescendo in questi ultimi anni, con l’allestimento e l’esecuzione di 12 opere liriche in Val Belluna, poi replicate fuori provincia. «La pandemia – conclude Da Ros – ci ha imposto una paralisi quasi totale delle attività. Avevamo in programma il Requiem di Verdi, un punto di arrivo per qualsiasi coro e orchestra, ma il distanziamento richiederebbe un palco da qua fin…giù

sono state riconosciute e finanziate dalla Comunità Europea una serie di coproduzioni con orchestre e band di area transfrontaliera nell’ambito del progetto

al Piave. Per quest’anno faremo il ‘’Te Deum a “8’’ di Mendelssohn, ma tutto è nell’incertezza legata anche al programma vaccinale».

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Eventi americani di Katia Cont

USA: GLI OSCAR 2021

La notte degli Oscar 2021, ha subito un posticipo rispetto al consueto calendario, naturalmente a causa della pandemia di Covid-19 che ha stravolto tutto. La 93ma edizione degli Academy Awards è stata fissata per la notte tra il 25 e il 26 aprile prossimi, quasi due mesi dopo rispetto alla data indicata originariamente, il 28 febbraio.

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on è la prima volta che la cerimona degli Academy viene rimandata, era già successo a causa dell’alluvione a Los Angeles nel 1938 successivamente per l’assassinio di Martin Luther King Jr. e ancora nel 1968 per il tentato omicidio dell’allora presidente Ronald Reagan nel 1981. A causa del rinvio , sono state modificati anche i termini d’uscita dei film candidati. In principio era il 31 dicembre ed è stata estesa al 28 febbraio. “Per oltre un secolo, i film hanno avuto

un ruolo fondamentale nelle nostre vite: ci hanno rassicurato, ispirato e intrattenuto durante i periodi più bui,” hanno dichiarato in un comunicato il presidente dell’Academy David Rubin e l’AD dell’Academy Dawn Hudson. “Quest’anno in modo particolare. Estendendo il periodo d’idoneità, speriamo di poter offrire la flessibilità necessaria ai registi, per terminare e rilasciare i film, senza essere penalizzati per qualcosa che è fuori dal controllo di chiunque”.

Altra novità è l’introduzione di altre location che ospiteranno la serata. La tradizione verrà comunque rispettata al Dolby Theatre di Hollywood, che in passato ha accolto fino a 3400 ospiti, ma gli organizzatori hanno dovuto pensare a risolvere il problema del distanziamento introducendo altri spazi. Quattro i nomi di italiani che saranno presenti in questa edizione, il primo “Notturno”, il lungometraggio di Gianfranco Rosi, segue Filippo Meneghetti direttore del film francese “Due” già

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Eventi americani nominato ai Golden Globe come miglior film straniero e “Pinocchio” di Matteo Garrone, nominato nella categoria miglior make-up e costumi di Massimo Cantini Parrini . La presenza femminile è affidata a Laura Pausini con la nomination di migliore canzone originale, “Io Sì” cantata in “ The Life Ahead” (La vita davanti a Sé) di Edoardo Ponti con la straordinaria partecipazione di Sophia Loren. Continuando con le presenze femminili, in questa edizione, come mai era successo nella storia degli Academy Awards, 2 donne registe hanno ottenuto la nomination, sono Chloe Zhao e Emerald Fennell, rispettivamente per ‘Nomadland’ con Frances McDormand

e “Promising Toung Woman”. Le altre nomination per la miglior regia sono: Lee Isaac Chung con “Minari”; Thomas Vinterberg per “Another Round” (Un altro giro), Mank sulla vita dello sceneggiatore Herman J. Mankiewicz. Sarà una serata Oscar tinta di rosa:

concorreranno 70 donne per un totale di 76 nomination. Chloé Zhao di “Nomadland” è la prima donna a ricevere quattro nomination in un unico anno. Non rimane che attendere e seguire la notte più attesa dalla cinematografia mondiale.

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Personaggi dei nostri tempi di Sabrina Chababi

Dall’India alla ricerca della felicità “Di un mondo pieno d’amore, luce e risate, è arrivato il suo momento. facciamolo accadere”. Sadhguru Jaggi Vasudev (Sadhguru) è un mistico e yogi indiano di 63 anni, autore di molti best seller e articoli per il New York Times, i cui insegnamenti trovano sempre maggiore ascolto in questi tempi di pandemia. Ma cosa insegna? Siamo a Milano, una metropoli di un milione e mezzo di abitanti, sede della Borsa italiana, capitale della moda, e nel periodo della pandemia, triste capitale del Covid, ma proprio in questa crisi, anche centro di nuovi sentimenti, di sensazioni vibranti e calde, di voglia di ricerca di pace ed equità, ma soprattutto di felicità. La felicità è un bene che per molti si raggiunge solo quando si

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arriva al traguardo della personale idea di successo. A volte basterebbe pensare all’ IO’ bambino, che era sempre felice o che trovava quello spazio di felicità anche in momenti di infanzia brutti o difficili. La felicità è un sentimento naturale sin da bambini che muta con l’arrivo dell’età adulta e della continua ricerca del possesso dei beni materiali. Se imparassimo a riflettere e ad esaminare le nostre sensazioni ed emozioni invece che pensare subito a come superarli ecco, finalmente potremmo capire molte cose e con la conoscenza e la comprensione si possono trovare le soluzioni e farsi che il nostro “stato” migliori e potranno presentarsi altre grandi possibilità di felicità. Questa è una riflessione che ciascuno di noi ha fatto e per questo sappiamo quanto sia difficile applicare alla vita reale un concetto tanto semplice quanto elevato e difficile da raggiungere. Spesso ci aiuta la Fede, altre volte l’incontro con altre persone, ma in tutti i casi è importante avere modelli e guide. Una

di queste potrebbe essere Tijana Stupar, una giovane donna, che vive a Milano, insegnante di Isha Hatha Yoga. Nata in Serbia ma cittadina del mondo ed amante dell’Italia è stata allieva di Sadhuguru, al secolo Jaggi Vasudev, un mistico e yogi indiano, che è famoso per la sua pratica di yoga e per i suoi insegnamenti di spiritualità e di vita. Oltre ad avere 7 milioni di seguaci ha fondato un’associazione no-profit per la pratica dello yoga, a cui hanno aderito anche molte star internazionali. È stato premiato Padma Vibhushan per il suo contributo riguardo alla spiritualità, una concezione della vita mai così sentita come in questi tempi di pandemia. Tijana è stata sua allieva. Ha intrapreso nel 2014 lo studio di questa filosofia sia fisica che spirituale chiamata Isha Hatha Yoga. Dopo aver seguito molti video, grazie ai consigli di amici, è andata in India alla scuola di SADHGURU e ha cominciato


Personaggi dei nostri tempi sin dalla prima lezione di Yoga ad appassionarsi ed innamorarsi sempre di più di questa disciplina. Tajana ci accoglie con simpatia e semplicità. “ I benefici, ci dice, li ho sentiti subito, non solo quelli fisici scoprendo il corpo migliore, più tonico e forte ma specialmente quelli mentali. Ho cominciato a sentirmi una persona migliore, più calma, più felice e riflessiva e non attaccata, agli stress della vita quotidiana. Tutto questo, avverte, senza danneggiare né la mente, né la salute”. Tutta questa energia l’ha portata ad affrontare altri viaggi in India, a studiare, imparare fino a ricevere l’attestato d’insegnante che lei desiderava sin dalla prima lezione. Nel 2018 tornata in Serbia è diventata l’unica insegnante di Isha Hatha Yoga e traduttrice della disciplina. Croazia, Montenegro, Macedonia e Italia sono i Paesi dove pratica la sua idea di cambiare il mondo con la mentalità di far pensare alle persone al bene e alla serenità non solo personale ma

anche di tutti inclusa la natura ed ogni essere vivente. “ Sadguru è la mia ispirazione, racconta, e quando mi sento triste o male fisicamente ascolto le sue parole e rinasce subito la voglia di vivere la serenità. Purtroppo non esiste insegnamento a distanza, come sarebbe auspicabile in questi tristi tempi: lo Isha Hatha Yoga è un processo che si deve vivere visibilmente e con una persona che ti parla di fronte non attraverso uno schermo per darti le sue emozioni e le sue energie. La storia di Tijana però non è solo legata allo Yoga anzi è molto lunga e a fasi diverse. Infatti, si è laureata con ottimi voti in giurisprudenza ed è anche avvocato e per mantenersi gli studi

ha fatto una brillante carriera da modella a Milano: una donna quindi che oltre alla bellezza ha un cervello ed un grande talento.

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Tra storia, tradizioni e leggende di Andrea Casna

La stregoneria in Italia Il Quattrocento è conosciuto come il secolo del Rinascimento. Un’epoca splendida che ha visto artisti come Brunelleschi, Donatello Sanzio e Leonardo da Vinci portare in Italia, e non solo, un progresso, in ambito artistico e culturale, senza precedenti. Ma è proprio in questo periodo che la caccia alle streghe andò a diffondersi a macchia d’olio in tutta l’Europa occidentale. Un fenomeno molto più antico ma che è andato a diffondersi a partire dal 1213 quando papa Innocenzo III istituiti la Sacra Inquisizione per combattere l’eresia, i pagani, i malefici e i sortilegi.

M

a perché? Non è facile rispondere a questa domanda. Le motivazioni che stanno alla base di questo fenomeno sono molte: lotta contro le eresie, controllo sociale, eliminare gli ultimi retaggi, nel periodo segnato dalla Contro Riforma (Concilio di Trento), di culture e credenze legate ancora al mondo pagano. Ma chi erano queste streghe? Andando al nocciolo della questione, a livello generale, erano donne che sapevano curare le persone con le piante medicinali o che aiutavano le donne incinte

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a partorire. In alcuni casi erano anche individui, quindi non solo donne, in un certo senso legati a culti o a rituali di origine pagana. Quelle accusate di stregoneria -e molti furono gli uomini accusati essere stregoni- erano anche donne comuni che, a causa della superstizione, erano sospettate di possedere chissà quali poteri. Di fronte a guerre, carestie, povertà e fame risultò, inoltre, utile trovare un capro espiatorio nelle streghe e negli stregoni. Potevano essere donne troppo libertine oppure dedite all’amore saffico. O


Tra storia, tradizioni e leggende povere donne prive di fissa dimora. Di fatto, i processi per stregoneria furono, secondo molti storici, un modo semplice e veloce per eliminare dalla circolazione le persone scomode e, magari, anche ricche: la condanna comportava, infatti, anche la confisca dei beni della vittima. La credenza popolare nelle streghe si basa su un concetto fondamentale: la presenza del Diavolo. È grazie al Diavolo che le streghe possono volare su una scopa, tramutatasi in un gatto, fare pozioni o scatenare una tempesta o un’epidemia. Le streghe potevano causare la muffa sui cibi, le carestie, malattie o la morte improvvisa e apparentatemene inspiegabile di un bambino. Alla base della stregoneria, comunque, doveva esserci un patto con il Diavolo e la partecipazione ai Sabba nel corso dei quali, stando alle credenze e alle accuse, streghe e stregoni tenevano banchetti a base di carne umana e si dedicavano ad orge. Nel nostro paese il fenomeno interessò principalmente l’Italia settentrionale. Possiamo qui elencare i processi per stregoneria della Val Camonica (1518-151 con circa 80 roghi), di Como (1510 con circa 60 roghi), della Val di Fiemme (15011505 con 11 roghi), di Mirandola (1522-1523, 10 roghi) e di Bormio (1632 con 34 roghi). Fu l’Illuminismo a porre fine a questo fenomeno. A partire dal XVIII secolo molti intellettuali e religiosi iniziarono a

mettere in discussione l’esistenza delle streghe, relegando il tutto alla dimensione del folklore e della superstizione. Le cose iniziarono a cambiare solo a metà Settecento. L’imperatrice Maria Teresa d’Austria, infatti, introdusse una norma secondo la quale nessuna sentenza per stregoneria poteva venire emessa senza l’approvazione del governo. L’ultima esecuzione per stregoneria, nell’area dell’Impero degli Asburgo, vi fu ne 1750 a Salisburgo: in questo caso la strega fu una ragazzina di sedici anni accusata di muovere oggetti, spalancare le porte e di produrre rumori strani. Sarà l’Imperatore Giuseppe II, figlio di Maria Teresa, nel 1787 ad eliminare tutte le leggi

contro le streghe. Per chiudere questo nostro e breve viaggio nel mondo della stregoneria in Italia andiamo a Zoldo, nelle Dolomiti orientali, dove nel 1739 vi fu un caso di possessione demoniaca collettiva. Nel corso degli interrogatori emerse una cosa scontata: la colpa era delle streghe. Di fatto non vi fu alcun processo alle streghe, ma la gente del luogo attribuiva i fatti inspiegabili di possessione proprio alle streghe. In realtà si trattò di un caso di isteria collettiva. Molte donne manifestavano manie suicide, altre furono vittime di malattie all’epoca inspiegabili e altre ancora non partecipavano alla messa. Altre ancora si muovevano e si contorcevano con una tale forza che molti più uomini facevano fatica a trattenerle. Per la gente di Zoldo la colpa era delle streghe. Durante il processo alcuni testimoni dissero di essersi ammalati solo dopo averle incontrate. Si diceva che altri passarono a miglior vita dopo a causa di una morte misteriosa e improvvisa. Ad altri raccontarono di animali e bambini morti in circostanze misteriose. Poi, un certo numero di donne dichiararono, durante l’esorcismo, che la colpa era delle streghe. Insomma, c’era tutto il necessario per dare vita ad un processo contro le streghe. Ma non fu così. I giudici abbandonarono si da subito l’ipotesi della stregoneria per concentrarsi solamente sull’aspetto legato alla possessione demoniaca e poi sull’isteria collettiva. Ma questa è un’altra storia.

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Tra pensiero e scienza di Elisa Corni

È LA LEGGE DI MURPHY Perchè la corsia vicina va più veloce

S

icuramente vi è capitato che, puntualmente, quando avete fretta e non vedete l‘ora di finire la spesa, arrivati alle casse vi trovate inesorabil-

mente nella fila più lenta di tutto il supermercato. Bene, sappiate che c’è un motivo per tutto questo, ed è la legge di Murphy. Non è un vero e proprio principio matematico o probabilistico, ma deriva da quell’insieme di detti popolari, spesso scaramantici, provenienti dalla cultura occidentale che sono riassumibili in una formula ben precisa: “se qualcosa può andar male, lo farà”. Da questa frase, studiosi più o meno seri hanno sviluppato moltissimi assiomi. A cavallo tra matematica e umorismo, il cosiddetto pensiero ‘murphologico’ è codificato nel 1988 quando lo scrittore

e umorista statunitense Arthur Bloch pubblicò “La legge di Murphy”, un libro che vanta numerose riedizioni. Ma a cosa è dovuto l’incredibile successo di questo testo e del suo contenuto? Forse è l’amalgama tra le complesse leggi matematiche delle probabilità e dei grandi numeri con la vita di tutti i giorni. E forse per l’inesorabilità che veicola: per quanto indesiderabile e improbabile che un determinato evento accada, state pur certi che si verificherà. Ma perché si chiamano così? Perché il suo primo postulatore è stato un ingegnere aeronautico statunitense, Edward Murphy. L’incarico suo e del suo team

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Tra pensiero e scienza era quello di verificare la tolleranza del corpo umano all’accelerazione attraverso sedici diversi accelerometri sull’imbragatura degli astronauti. Questi accelerometri potevano essere montati in due modi diversi e, sistematicamente venivano montati in modo errato. Durante uno di questi esperimenti, pare, Edward Murphy pronunciasse la storica frase che diede il via a tutto: «se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre ad una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo.» Quella prima frase diede origine a una vera e propria enciclopedia contenente detti popolari tradotti in leggi matematiche grazie all’applicazione della probabilità. Molte sono ironiche e divertenti, come la famosissima: “la probabilità che una fetta di pane imburrata cada dalla parte del burro su un tappeto nuovo è direttamente proporzionale al valore del tappeto stesso”.

Oppure la famosissima: “l’altra fila è sempre la più veloce”. Quanto è vero! Ma siamo sicuri che ci sia della matematica sotto e non sia solo il caso di una interpretazione a nostro sfavore della realtà? A quanto pare no, visto che due matematici del nostro tempo Paul Krugman e Steven Strogatz ne hanno dibattuto su Twitter. Il risultato è stato davvero interessante ipotizzando un tratto di autostrada suddiviso in quattro tratte veloci e quattro lente. Se di fatto in entrambe le corsie si impiega lo stesso tempo per percorrere la distanza prevista, i tratti nei quali si procede più lentamente il tempo di percorrenza è più lungo. Di ipotetici sedici minuti di viaggio ne passiamo solo un quarto sereni perché si procede spediti, mentre 12 sono spesi a lamen-

tarsi e a brontolare per la sorte avversa. In questo senso l’altra fila ci sembra più veloce quando di fatto non lo è. È dunque solo una questione di percezione? nel caso dell’autostrada sì, ma non vale la stessa cosa per quanto riguarda la fila al supermercato: lì, ci dicono i matematici, potete appellarvi solo alla fortuna: il vostro cassiere sarà il più veloce? La persona davanti a voi avrà dimenticato di pesare il pane? Lo potrete scoprire solo facendo una scelta!

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Umana-Mente di Chiara Paoli

Primavera rossa?

È

giunta la primavera che risveglia la natura, gli animali e anche noi umani. Questa primavera, come la scorsa, purtroppo non promette però

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nulla di buono per quanto concerne la nostra libertà di viaggiare. Questa sarebbe la stagione delle festività pasquali e dei ponti, il periodo ideale per prenotare qualche lungo week end da passare con la famiglia a visitare le nostre bellissime città italiane o per iniziare ad assaporare l’aria di mare. La Pasqua si è tinta di rosso per tutti noi e la colpa non è da attribuire al sangue versato da Gesù

Cristo. Per fortuna si può andare per lo meno in visita ai parenti che vivono nella stessa regione o provincia. Gli spostamenti d’altra part sono ancora limitati, e a meno che non si sia proprietari di una seconda casa, muoversi appare come un miraggio. La maggior parte degli italiani, d’altra parte non ha ancora prenotato neppure le vacanze estive e molti, a causa delle chiusure e del “lavoro mancato” non se le potranno neppure permettere. Un’altra stagione in cui ci vengono richiesti sacrifici, dopo un anno ancora dobbiamo aspettare, pazientare e tirare la cinghia. Questa primavera ci dona nuovi colori, ma quelli predominanti nella nostra mente rimangono sempre il rosso e


Umana-Mente l’arancione, che purtroppo non sono i colori degli aperitivi da fare in giardino o in città con gli amici. Queste tonalità sono quelle che sentiamo al telegiornale e nelle conferenze stampe che scandiscono le nostre settimane a colori alterni. Ormai vediamo un’Italia tutta tappezzata dei colori rosso e arancione, a seconda della regione, mentre sarebbe auspicabile poter ammirare solo i toni della primavera appena iniziata. Quel bellissimo rosa dei fiori di ciliegio, il candido bianco dei fiori di melo, dei bucanevi, dei crocus e dei mughetti, che invano sogniamo come colore della nostra provincia. Gli animali si risvegliano e divengono operosi e anche noi abbiamo nuova energia che vogliamo sfruttare per quanto possibile. Cerchiamo di vedere qualche lato positivo: rimane almeno quest’anno la possibilità di fare qualche passeggiata nei dintorni di casa.

Fare movimento è qualcosa di fondamentale e questa concessione è sicuramente utile, rispetto al blocco totale del 2020. Rimane sempre la frustrazione di non poter fare ciò che si vuole, di non poter festeggiare con amici e parenti tutti assieme. Confidiamo che giungano tempi migliori e intanto cerchiamo di goderci per quanto possibile il risveglio della natura; la bellezza che ci circonda è sempre un valido aiuto per il nostro animo, che in questo anno è stato messo a dura prova. Facciamo grandi respiri all’aria aperta, osserviamo insetti e farfalle che volano nei prati, godiamo

alla vista di splendidi fiori e respiriamo il profumo del verde che ci circonda. Lasciamo che lo sguardo vada a spaziare nel cielo azzurro e terso e cerchiamo per quanto possibile di rilassarci, perché ne abbiamo tutti un estremo bisogno. Cara primavera, spero tanto che tu possa riportare a tutti un po’ di speranza e fiducia in un futuro migliore.

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Il personaggio di Alice Vettorata

Emilie Louise Flöge

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arta sin da giovanissima, Emilie Louise Flöge fu una di quelle personalità che perseverò per realizzare un obiettivo sognato in tenera età. Piccole mani e la fantasia di bambina imparavano a cucire. Dita affusolate da donna e capacità manageriali diedero vita ai suoi progetti, creando linee di sartoria che influenzarono stilisti portavoce della storia del costume degli anni a venire. Nel 1899 con la sorella Helene partecipò a un concorso nel quale si

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richiedeva di confezionare un abito da esibire in una mostra. Quest’occasione fu essenziale per garantire alla società viennese di venire a conoscenza dell’operato delle sorelle Flöge. Infatti nel 1904 aprirono Il Salon Schwestern Flöge situato nella centrale Mariahilfer Straße, un edificio in stile Art Nouveau che raccontava la storia di una Vienna che si affermava nel mondo artistico delle Avanguardie, grazie al Secessionismo. Il rapporto di Emilie con gli artisti connazionali è stato imprescindibile, in fattispecie quello trattenuto con la Wiener Werkstätte, traducibile con “laboratori viennesi”. Fu un movimento che prese ispirazione dall’Art Nouveau, dallo stile Liberty, dall’Arts and Crafts e dalla secessione austriaca. Diversi artisti confluirono in una cooperazione di creativi volta a dare vita a prodotti d’artigianato che spaziavano dal tessile all’architettura, dai mobili ai manifesti. In particolare, divenne essenziale per la carriera di Emilie l’incontro con suo cognato, Ernst Klimt, fratello del celebre Gustav Klimt esponente della corrente del secessionismo viennese. Gustav, incline alla ricerca artistica per creare le proprie opere,

rimase affascinato dal carattere innovativo delle produzioni firmate Flöge. Il loro sguardo infatti era indirizzato a creare una scissione dalle rigide regole presenti nella moda e dai dettami imposti alle donne, abbracciando la riforma dell’abbigliamento vittoriano inglese. La riforma, in tedesco Reformbekleidung ebbe inizio a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento. Il fine di questo cambiamento era quello di far vivere alla donna che avrebbe indossato quegli abiti una sensazione di libertà, esprimendo così l’affermazione e il controllo sul proprio corpo. Le modifiche che vennero apportate nell’abbigliamento dalle sorelle viennesi furono molteplici. Si andarono a eliminare le costrizioni, come i corsetti e la crinolina, prediligendo abiti dalla linea morbida e svasata. Le maniche divennero più ampie accentuando il volume delle spalle, tratto distintivo che spesso viene enfatizzato nell’abbigliamento maschile. Oltre alla struttura, Emilie decise di reinventare anche le stoffe utilizzate coinvolgendo proprio Gustav Klimt, divenendo l’uno la fonte d’ispirazione dell’altro, scambio che non si fermò con la morte del pittore nel 1918. Emilie infatti divenne l’erede dei beni di Gustav e continuò a farsi ispirare lavorando nello studio del pittore. Così come lei fu la sua musa e protagonista di una tela, egli divenne altrettanto per la stilista. Nei dipinti di Klimt vediamo l’abbigliamento riformato e negli abiti della Flöge, inserti di stoffe con pattern geometrici, tratto distintivo del pittore. In questi abiti i corpi non venivano più segnati in modo succinto, ma fluttuavano, liberi. Caratteristiche opposte alla bellezza ideale proposta dal modello Gibson Girl, protagonista di cartelloni pubblicitari che tappezzavano le città più influenti.


Il personaggio Il canone di bellezza perpetrato dal modello Gibson, che prende il nome dal suo illustratore Charles Dana Gibson prevedeva nelle sue grafiche la presenza di sinuosi corpi a clessidra. Canone promosso da case di moda, marchi di bibite e di alcolici con le modelle Evelyn Nisbit e Camille Clifford, le quali divennero il punto di riferimento per le donne dell’epoca. Questa visione mutò grazie al contributo delle sorelle Flöge e al convegno tenutosi a Berlino nel 1926, nel quale venne presentato il nuovo vestiario femminile. Si giunse così alla prima mostra d’abbigliamento riformato, dedicato alle donne ora più emancipate, con diritto di voto e un ruolo nel mondo del lavoro. Nonostante l’apprezzamento gli abiti realizzati non vendevano molto, trovando ampi consensi solo grazie alle flapper durante gli anni ruggenti, le quali incarnavano appieno l’ideale che plasmò gli abiti Flöge. L’assetto mondiale però

stava nuovamente per perdere il proprio equilibrio e così fece anche la carriera di Emilie. Nel 1938 si verificò l’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania nazista, contesto che implicò la chiusura dello Schwestern Flöge, ma non l’influen-

za che ebbe sulla moda successiva. Esempio più recente è quello del 2015, anno in cui lo stilista Valentino omaggia Emile Flöge riprendendo le sue linee morbide e i pattern che strizzano l’occhio al suo ispiratore, Klimt.

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Alle origini del vino di Maurizio Cristini

In VINO VERITAS Come sappiamo, il vino si ottiene dalla fermentazione del mosto d’uva della specie Vitis vinifera. A tale pianta si attribuisce nascita in Armenia (ca. 4100 a.C.) da dove si è diffusa in Egitto e Asia Minore (Siria, Turchia) per poi espandersi in Grecia e in seguito (2000 a.C.), grazie ai traffici commerciali di Fenici ed Etruschi, in Italia (che verrà chiamata Enotria, cioè Terra del vino). All’inizio erano preponderanti le varietà a frutto bianco rispetto a quelle ad acino rosso.

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a sempre l’allevamento della vite è stato legato alla produzione di uve da tavola, ma soprattutto di uve da vino. All’epoca Romana il vino consisteva in una specie di mosto fermentato, ma col passare degli anni si cominciarono a mescolare diverse qualità di uve migliorandolo nel sapore. Nel periodo imperiale si iniziò l’importazione di vini dalla Grecia che si mantenevano più a lungo perché miscelati con acqua di mare, argilla, profumi, ed erbe (come la pericolosa mandragora, che si diceva lo rendessero afrodisiaco!), scaglie di ostriche triturate, cenere, gesso o sale (tanto avversati da Plinio il Vecchio, che li diceva nocivi per la salute, raccomandando pure di non eccedere comunque nelle libagioni pena l’ubriachezza). I vini più ricercati erano quelli più invecchiati e con maggiore presenza di alcool che venivano serviti filtrati con un colino e mescolati (con acqua fredda o calda) in una grande coppa, il cratere, da dove ognuno si serviva. A Roma l’usanza di bere vino miscelato con

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acqua (mixtum) derivava direttamente dai Greci, che consideravano barbaro il bere vino puro (merus). Tra i Greci e tra i Romani la donna non veniva ammessa alla mensa del marito, e a Roma la suocera aveva il diritto di sentire se l’alito della nuora sapesse di vino. La donna che consumava vino veniva assimilata a una adultera e come tale punita: solo nell’età imperiale, sotto Giulio Cesare, le fu concesso di bere il vinum passum, cioè il vino passito, e in genere i vini dolci. Soprattutto durante


Alle origini del vino la cena gli uomini bevevano abbondantemente vino contenente miele disciolto (mulsum) e pure vino miscelato con aceto (puscus). Così parla Dióniso, fissando le regole del buon bere, in una commedia ateniese del IV° secolo avanti Cristo: «Tre coppe di vino, non di più, stabilisco per i bevitori assennati. La prima per la salute di chi beve; la seconda risveglia l’amore e il piacere; la terza invita al sonno. Bevuta questa, chi vuol esser saggio se ne torna a casa. La quarta non è più nostra, è fuori misura; con la quinta si urla; la sesta significa schiamazzi; la settima occhi pesti; con l’ottava arriva lo sbirro; con la nona sale la bile e con

la decima si è perso il senno e si cade a terra senza sensi». Storicamente, il diffondersi e l’evolversi della cultura del vino sono avanzate di pari passo con quella dell’uomo. A Roma negli ultimi anni della Repubblica, si celebravano feste in onore

di Bacco (Baccanalia e Vinalia) durante le quali si brindava ai presenti, ai defunti, e alla donna amata: in tal caso ognuno beveva in suo onore tante coppe quante erano le lettere che ne formavano il nome. Nella civiltà Ellenica, il vino rappresentava il motore stesso della pratica conviviale. Si diceva avesse una valenza ambigua, perché se bevuto nella giusta dose«...è consolazione, piacere, gioia; ma se consumato oltre il limite consentito, conduce pericolosamente alla perdita dell’autocontrollo e alla trasgressione». Quindi bere vino insieme, era anche un banco di prova delle qualità morali dei convitati.

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Chiese feltrine in Valsugana di Francesco Zadra

S. Biagio a Levico Terme

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ontano da sguardi indiscreti e immersa tra la vegetazione, svetta, sull’omonimo “ermo colle”, la chiesetta di San Biagio. Quello che un tempo era il luogo di culto principale del paese, meta di assidui pellegrinaggi durante le epidemie, è ora circondato da ruderi di bastioni

e cinte murarie inghiottite dal verde. Resti di un antico castelliere con funzione difensiva di fronte alle frequenti invasioni barbariche, location strategica per evitare visitatori indesiderati. Costruita nel XII secolo, quando Levico Terme (come gran parte della Valsugana) cadeva sotto la giurisdizione del vescovado feltrino, la piccola chiesa ad una sola navata con protiro esterno, era inizialmente integrata nella muratura del fu castello come

cappella palatina, a dimostrazione di ciò la forma simil-feritoia della finestra che da a valle. Sulle pareti, tra profeti ed evangelisti in stile giottesco, spicca l’anomalo affresco che, gravemente danneggiato, allude all’epopea dei cavalieri templari. In pieno Rinascimento subì un restyling con l’aggiunta dell’abside, in cui si nota un evidente “gap generazionale” sia per la vivacità dei colori che per le pose più naturali,”no-filter”, della Vergine rispetto alle ieratiche Madonne Trecentesche ai lati della navata. In tempi in cui il clero possedeva anche il potere temporale, il notaio Barezia, per ingraziarsi i favori della

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Chiese feltrine in Valsugana curia apportò alla chiesetta una serie di migliorie a proprie spese. Il vescovo per quindi la elevò al rango di chiesa vescovile, sull’arco santo, infatti, capeggia in bella mostra lo stemma episcopale. E’ curioso notare anche le scritte (XVI sec) con le quali i pellegrini, a mo’ di writers ante litteram, “imbrattavano” le pareti affrescate lasciando traccia del loro passaggio. Un rapporto non propriamente “museale” con l’arte sacra, ma perfettamente comune per l’epoca. Non era raro che la gente si rapportasse in maniera passionale alle sacre immagini: venivano addirittura graffiate con aggressività le raffigurazioni di antagonisti biblici come Giuda Iscariota o leaders del sinedrio ebraico coinvolti nella crocifissione di Cristo. San Biagio fu poi affidata alle cure di una congrega di eremiti, tuttora

sepolti nella cripta, fino a fine ‘700, quando si spense l’ultimo dei confratelli lasciando la chiesetta incustodita per secoli. Fino agli anni 2000, quando l’attuale custode, Paolo Gaigher, la prese sotto la sua ala protettrice. Ora, con la sua candida presenza, scruta dall’alto la cittadina termale godendo della compagnia di sporadici escursionisti e qualche timido capriolo, sperando che qualcuno venga a consolare la sua solitudine. Speranza forse non vana, poichè presto potrebbero insediarsi degli “eremiti 2.0”. Nuovi inquilini col pallino dell’agricoltura biologica che, tramite il progetto “Colle San Biagio”, si propongono di valorizzare il sito trasformandolo in fattoria didattica gestita da una cooperativa sociale.

Vi abbiamo incuriositi? La chiesetta di San Biagio è aperta al pubblico su prenotazione grazie alla disponibilità del gruppo pensionati di Levico Terme, in particolare il signor Paolo Gaigher. Per visite guidate contattare il numero 340 6267017

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La Natura in cronaca di Chiara Paoli

La Giornata mondiale della terra «Più riusciamo a focalizzare la nostra attenzione sulle meraviglie e le realtà dell’universo attorno a noi, meno dovremmo trovare gusto nel distruggerlo.» Rachel Carson

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l 22 aprile si celebra la giornata mondiale della Terra o Earth Day, evento che ha avuto origine grazie alla personalità di John McConnell, attivista per la pace e appassionato di ecologia, che nell’ottobre del 1969 propose durante la conferenza Unesco di San Francisco una ricorrenza per celebrare la vita e la bellezza della Terra. In realtà un forte stimolo è stato dato già nel 1962 dalla biologa Rachel Carson, con il suo libro intitolato “Primavera silenziosa”, che scagliandosi contro l’uso spropositato di fitofarmaci e insetticidi, può essere considerato il primo manifesto del movimento ambientalista. Il primo festeggiamento risale al 21 marzo 1970 ed è limitato a quella grande città d’oltre oceano, ma un punto d’inizio fondamentale, perché in quell’occasione viene stilato un documento che mette in luce le nostre responsabilità verso il pianeta,

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sottoscritto da 36 leader mondiali, tra cui il Segretario generale delle Nazioni Unite. Il mese seguente, il senatore degli Stati Uniti, Gaylord Nelson istituisce ufficialmente la “Giornata della Terra – Earth Day”, inizialmente ideata come manifestazione ecologista americana, ma mutata successivamente da Denis Hayes, primo coordinatore dell’Earth Day in una commemorazione internazionale, rendendo partecipi più di 180 stati. Era l’inizio di una nuova consapevolezza, nel 1969 un evento aveva “aperto gli occhi” a molte persone, rendendoli consapevoli dei rischi dello sviluppo industriale. In California e per l’esattezza a Santa Barbara, una perdita di petrolio greggio aveva causato la morte di migliaia di animali tra volatili ed esemplari marini. Una forte scossa non soltanto per gli attivisti, ma anche per l’opinione pubblica. Le prime ricorrenze vennero celebra-

te soprattutto grazie al sistema scolastico, con la partecipazione di college e università, a cui si aggiungono migliaia di scuole primarie e secondarie e svariate comunità degli Stati Uniti. Il salto si ebbe nel 1990, anno in cui la manifestazione mobilitò ben 200 milioni di persone in 141 paesi, portando alla ribalta le questioni ambientali e la cultura del riciclo a livello planetario; e preparando così la strada al Summit della Terra programmato dalle Nazioni Unite per il 1992 a Rio de Janeiro. Inizialmente l’evento era decennale, ma dopo le manifestazioni del 1990 Nelson e Bruce Anderson, principali organizzatori, hanno fondato il comitato Earth Day USA, mutato nel 1995 nell’ Earth Day Network. Nel 2000 per la prima volta viene utilizzato internet come strumento organizzativo, consentendo di raggiungere 5.000 gruppi ambientali al di fuori degli U.S.A., centinaia di milioni di persone e 183 paesi. Ospite d’eccezione dell’evento Leonardo DiCaprio, attorno al quale si radunarono circa 400.000 persone, nonostante la giornata fredda e piovosa. La Giornata mondiale della Terra, si è trasformata in una settimana di sensibilizzazione. Earth Day Italia viene annoverato tra i migliori comitati organizzativi, tanto che nel 2015 è divenuta sede europea del network internazionale. Di importanza fondamentale l’edizione 2016 dell’Earth Day Italia, grazie alla visita a sorpresa di Papa Francesco con il suo importante messaggio: “Voi


La Natura in cronaca trasformate deserti in foreste”; e per il collegamento in live streaming con il Ministro Galletti da New York, in occasione della firma del primo accordo universale sul cambiamento climatico. Ogni anno la capitale ed in particolare Villa Borghese, si trasforma per una settimana nel Villaggio per la Terra, luogo di eventi, laboratori, mostre, convegni, giochi, spettacoli e concerti volti alla sensibilizzazione. Il 2020 è stato un anno particolare, che non ha consentito di celebrare a dovere il 50 anniversario di questo appuntamento, la Giornata Mondiale della Terra si è comunque adattata alla situazione di pandemia, ritrovandosi per una maratona online dal titolo #OnePeopleOnePlanet. Questa ricorrenza ci aiuta a tenere

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ben a mente quali sono le difficoltà che il nostro pianeta deve affrontare: l’inquinamento in primis, la distruzione degli ecosistemi, l’estinzione di specie vegetali e animali e il progressivo esaurirsi delle risorse non rinnovabili quali carbone, petrolio e gas naturali. “Tutti, a prescindere dall’etnia, dal sesso, da quanto guadagnino o in

che parte del mondo vivano, hanno il diritto etico a un ambiente sano, equilibrato e sostenibile.” Questo è il principio fondamentale su cui si basa questa giornata interamente dedicata alla nostra Madre Terra, che ha bisogno di essere preservata perché ne possano godere anche le generazioni future.

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L’avvocato risponde di Erica Vicentini

La responsabilità penale degli enti e delle società

A 20 anni dalla sua introduzione, la responsabilità penale delle persone giuridiche costituisce ancora (spesso) un rischio non adeguatamente compreso e calcolato nel mondo del lavoro. Il decreto legislativo n. 231 del 2001 ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità di perseguire penalmente la società (oltre che, ad esempio, la persona-fisica amministratore e/o legale rappresentante) nel caso di reato verificatosi – in via di prima approssimazione – nell’ambito della gestione dell’attività di impresa. Esempio classico è il procedimento penale in capo alla società (e non solo ai suoi vertici) in caso di lesioni o morte con violazione della normativa antinfortunistica. Il rischio penale non può essere sottovalutato dalle società: le sanzioni pecuniarie previste dalla legge non solo sono estremamente gravi ma vengono quantificate in misura proporzionale 72

alla capacità economica (leggasi fatturato) della stessa impresa e si affiancano, spesso, a sanzioni c.d. interdittive, come il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione o la pubblicazione della sentenza sui principali quotidiani

nazionali o locali. A ciò va aggiunto che le società non possono accedere, in caso di condanna, a benefici come la sospensione condizionale. Risulta intuibile come un insieme di sanzioni di questo tipo possa condurre una società in una grave situazione di carenza di liquidità se non, nei casi più gravi, al vero e proprio dissesto. Il giudizio di responsabilità penale nei confronti dell’ente trova applicazione nei confronti di tutti i soggetti individuati dall’art. 1 d.lgs. 231 del 2001, che annovera qualunque tipo di società, ente, ente no-profit, associazione o fondazione. La peculiarità del c.d. sistema 231 era emersa già ai tempi della sua entrata in vigore, con il vivace dibattito inerente la natura di tale forma di responsabilità, descritta formalmente come amministrativa, stante il dogma “societas delinquere non potest” ma contigua, in sostanza, al


L’avvocato risponde mondo delle garanzie e dei sistemi tipici giudizio penale. Il risultato operativo, corroborato dall’ultima giurisprudenza della Corte di Cassazione, è una forma di responsabilità autonoma e ibrida dal punto di vista teorico che, dal punto di vista pratico, può risultare estremamente afflittiva per la società che non affronta nel modo giusto il procedimento penale. Presupposto per poter valutare la sussistenza di una responsabilità dell’ente è la commissione di un illecito del catalogo dei c.d. reati presupposto contenuto nel d.lgs. n. 231/2001: tale catalogo, negli anni, è stato più volte integrato, al fine di rendere sempre più frequentemente possibile l’indagine di responsabilità in capo alle imprese, ritenute, di regola, più solvibili rispetto alla persona-fisica materialmente autore. Oggi sono stati inclusi molti reati tributari ed è in discussione l’inclusione di molti reati connessi alla contraffazione alimentare. Dal reato l’ente deve aver conseguito un interesse o un vantaggio. L’interesse viene letto come finalizzazione della condotta rispetto ad un beneficio, che manifesta la politica di impresa; il vantaggio va individuato ex post come si sostanzia in un beneficio di tipo economico che l’ente ottiene dalla commissione del reato. Recentemente la giurisprudenza ha avuto modo di specificare i concetti di interesse e vantaggio con riferimento ai reati colposi, in particolare i delitti di omicidio e lesioni con violazione della normativa antinfortunistica. Rispetto a tali fattispecie, è stato considerato vantaggio qualsiasi agevolazione, aumento di produttività o risparmio di spesa derivante all’ente dalla violazione ovvero mancata osservanza delle regole cautelari nell’esercizio dell’attività lavorativa. L’autore materiale del reato deve risultare incardinato nel sistema aziendale. Laddove il reato sia commesso da un soggetto sottoposto all’altrui direzione, la prova liberatoria per la società

dipende dalla corretta operatività al suo interno del c.d. modello di organizzazione e gestione, rispetto al quale il comportamento illecito deve porsi quale condotta del tutto non prevedibile ed eccezionale. Nel caso di reato imputabile al soggetto c.d. apicale, non sottoposto alle direttive di altri, la difesa dell’ente dovrà dimostrare non solo l’efficace implementazione del c.d. Modello organizzativo – gestionale, ma anche l’esistenza di un Organismo di Vigilanza indipendente, dotato di autonomi poteri di sorveglianza, nonché l’elusione fraudolenta dei protocolli contenuti nel modello organizzativo medesimo. La prova richiesta alla società, in sostanza, è tesa alla dimostrazione della totale dissociazione rispetto all’azione od omissione del soggetto “di vertice” e alla conseguente assenza di una colpa nella sua organizzazione, che in tal modo si dimostra astrattamente idonea a prevenire reati del tipo di quello contestato. Lo strumento più importante che la società può adottare per andare esente da responsabilità penale è quindi il Modello di organizzazione e gestione, che può essere considerato la sintesi dei protocolli, delle regole e delle sanzioni (in caso di inosservanza) vigente all’interno del sistema impresa. L’adozione di tale modello, pur non

essendo obbligatoria, non solo permette all’ente un’agevole via d’uscita dal procedimento penale ma, nei casi più gravi, permette quantomeno di assicurare una diminuzione della sanzione che, come esposto, può essere estremamente grave.

*L’ Avvocato Erica Vicentini, del Foro di Trento, con Studio in Pergine Valsugana, Via Francesco Petrarca n. 84, si occupa di diritto civile e penale, con predilezione del diritto penale dell’economia e dell’impresa e della materia del sovraindebitamento privato. Ha terminato nel 2020 un Master in diritto penale dell’impresa e dell’economia ed è abilitata Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, oltre ad offrire consulenza in materia di privacy-GDPR e contrattualista aziendale. Collabora da anni con editori come Dike Giuridica e la rivista Gazzetta Forense.

Chi desiderasse avere un parere su un problema o tematica giuridica oppure una risposta su un particolare quesito, può indirizzare la richiesta a: direttore. feltrinonews@gmail.com

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La soap opera in rebus di Franco Zadra

Equazione BEAUTIFUL

B

eautiful, la soap opera per antonomasia, miglior serie drammatica del daytime nel 2009, nel 2010, e nel 2011, la più seguita in tutto il mondo, in onda dal 23 marzo 1987 e trasmessa a livello globale in circa 100 paesi con più di 35 milioni di telespettatori al giorno, entrata in Italia dal 4 giugno 1990, dove conta ancora oggi fino a 3 milioni di fedelissimi telespettatori a puntata, avendone trasmesse più di 8200, nel 2015 è stata riassunta in un simpatico video che gira in Rete e che in circa 6 minuti riassume un periodo di 23 anni delle intricatissime vicende di Ridge e compagnia. Riproduciamo di seguito un estratto del godibilissimo testo del video, riportando per motivi di spazio in nomi con le iniziali così da risaltare la complessità “matematica” della Soap Opera che potrebbe far diplomare in quella disciplina moltissime e anche attempate telespettatrici, forse ignare del loro genio. Tutto iniziò con RF e CS che decidono

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di Sprsi, ma prima delle nozze RF bacia AS e il giorno del loro M il padre di CS mostra le foto del tradimento mandando tutto all’aria. CS affranta finisce nelle mani del violento Ronn, trovando poi un rifugio sicuro tra le braccia di TF, fratello di RF, Spndolo. Questo accade mentre BL fidanzata del poliziotto Dave conosce a un party RF e si mette con lui, ma poco dopo CS ubriaca scambia RF per TF e fa l’amore con lui. TF sentendosi tradito spara a RF e divorzia da CS, mentre SL

la madre di RF lo convince a lasciare BL e a Spe CS, nel frattempo il padre di RF, EF, si innamora di BL e poco dopo la Sp, ma CS purtroppo è malata di leucemia e muore. La dottoressa TH che curava CS consola RF per la perdita della moglie, se ne innamora e inizia una relazione con lui. RF però, nell’entusiasmo per una nuova scoperta nella sua società di moda fa l’amore con BL. SL madre di RF documenta l’infedeltà di BL ed EF, il suo ex marito, ma RF per non far torto al padre procede per la sua strada. EF però, credendo erroneamente che la figlia avuta da BL, la piccola BF, sia in realtà di RF, divorzia da BL che allora corre da RF, ma lui decide di restare con TH e di Spla, nonostante baci Karen, la sorella gemella segreta di CS. BL rimasta sola cerca conforto nell’avvocato Connor, mentre TF, intrappolata in uno chalet con l’amico James, si concede a lui perché il ragazzo temeva di morire ancora vergine. James che qualche volta era uscito anche con BL quando la rincontra


La soap opera in rebus finisce a letto anche con lei. Intanto, si viene a sapere che l’aereo che aveva preso TH per recarsi in Egitto a una conferenza, è caduto e TH risulta morta. BL sta ormai per Spe James, ma RF interrompe il M e la chiede in moglie. Lei accetta e si sposa con RF sulla spiaggia di Santa Barbara. Però TH in realtà è ancora viva; era stata salvata da OR re del Marocco che l’aveva sposata facendola regina. Quando RF la rivede, recuperando la vista dopo una breve cecità, è molto confuso, ma alla fine capisce di amare BL e divorzia ufficialmente dalla rediviva TH che si consola baciando EF, confidandogli però di amare ancora suo figlio RF. Intanto BL scopre che l’amico Grant l’ama e gli concede un bacio d’addio. RF li vede e geloso corre subito tra le braccia di TH e le chiede di Splo e TH accetta. BL non la prende bene e decide di Spe Grant su uno Yackt. RF però mentre festeggia le sue imminenti

nozze, ci ripensa e corre a fermare BF, arrivando però tardi. TH non è felice di questo comportamento di RF e lo lascia. RF però scopre che il M di BL sulla nave non è valido e le chiede nuovamente di Splo e BL accetta. RF, dopo il M con

BL, viene a sapere che il figlio che TH ha partorito è suo, così lascia BL e risposa TH che viene però circuita dal suo collega Pearce che la bacia... e la storia continua…

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Storie italiane di Chiara Paoli

75 anni di... Vespa

L

a mitica Vespa compie 75 anni. Questo scooter, simbolo del made in Italy, nasce infatti il 23 aprile del 1946, giorno in cui la Piaggio & C. S.p.A. deposita ufficialmente il primo brevetto della Vespa presso l’Ufficio centrale dei brevetti per invenzioni, modelli e marche del Ministero dell’Industria e del Commercio di Firenze con la dicitura: “motocicletta a complesso razionale di organi ed elementi con telaio combinato con parafanghi e cofano ricoprenti tutta la parte meccanica”. L’intuizione di Enrico Piaggio fu quella di affidare il progetto a qualcuno che avrebbe potuto ideare qualcosa di veramente innovativo, scelse perciò Corradino D’Ascanio, ingegnere aeronautico che non sopportava le motociclette. E proprio perché il progettista odiava l’idea di scavalcare la moto per poterci salire sopra, diede vita alla prima moto a scocca portante, spogliata della struttura tubolare in acciaio e quindi priva di tunnel centrale. L’ingegnere D’Ascanio pensa alla praticità di questo mezzo, dotandolo si una pratica seduta, per affaticare il meno

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possibile la guida, spostando il cambio sul manubrio e coprendo il motore con il telaio per evitare le macchie sui pantaloni causate dalle inevitabili perdite d’olio. Al pacchetto aggiunse poi una sospensione davanti, un motore sviluppato partendo da quelli di avviamento aeronautici e una assai utile ruota di scorta. Pare che il nome sia stato dato al prototipo proprio da Enrico Piaggio , che vedendola avrebbe esclamato: «sembra una vespa !», per via della silhouette della moto e del suo rumore ronzante. Questo nome e il modello divengono ben presto un’icona nel mondo delle due ruote. Già un mese prima il veicolo aveva fatto il suo debutto alla Mostra della Meccanica e Metallurgia di Torino dove ottenne un immediato successo. Venne poi fatta conoscere nelle principali città italiane grazie all’inserimento di appositi annunci pubblicitari sui principali quotidiani. La presentazione ufficiale fu

fatta al Circolo del Golf di Roma, alla presenza del generale americano Stone e il tutto venne ripreso dal cinegiornale Movieton. La Vespa compare in copertina sulla rivista La Moto del 15 aprile 1946 e viene proposta nelle pagine interne di Motor, mentre motore e scossa vengono “toccati con mano” dagli appassionati alla successiva Fiera di Milano. Gli inizi ebbero anche qualche difficoltà, che però venne presto appianata, sfornando un numero sempre maggiore di esemplari all’anno; la Vespa fu il mezzo di trasporto che diede il primo impulso alla motorizzazione di massa nel nostro paese, grazie soprattutto alla possibilità di pagamento a rate, che consentiva di affrontare il prezzo, che corrispondeva a diversi mesi di paga di un impiegato. I modelli di questo scooter si sono moltiplicati nel tempo con varie motorizzazioni, pur mantenendo inalterate quelle caratteristiche distintive che ne hanno fatto un prodotto d’eccellenza. Dopo solo tre anni dalla messa in commercio, nasce il 23 ottobre 1949, il


Storie italiane primo Vespa Club a Viareggio, nel 1951 si radunano oltre ventimila Vespisti per la Giornata italiana della Vespa, due anni dopo nel mondo sono oltre diecimila le stazioni Piaggio. Mentre la produzione di scooter Piaggio si diffonde nel mondo, si iniziano a contare anche le imitazioni come la Lambretta della Innocenti, nata appena un anno dopo e fuori produzione dal 1971 e la Vjatka 150 cc, prodotta in Russia. Vespa si distingue poi per la possibilità di personalizzare il proprio veicolo con numerosi accessori, per renderlo originale e unico. Un successo alimentato anche dal grande schermo, memorabile il giro in Vespa di Audrey Hepburn con Gregory Peck nel celebre film Vacanze Romane del 1953 a cui seguono molte altre pellicole cinematografiche fino al 1958. La Vespa rimane un oggetto di culto che ha trovato posto anche nei musei di design, di arte moderna, in quelli

della scienza e della tecnica, oltre a quelli più prettamente legati ai mezzi di trasporto in tutto il mondo. Lo scooter Piaggio fa inoltre parte della collezione permanente della Triennale Design Museum di Milano e del MoMA di New York. Questo nome si lega ancora oggi al modello originale, che viene riproposto in versioni sempre aggiornate, mantenendo viva la passione per la due ruote. Anche nella nostra provincia vi sono diversi Vespa Club che ogni anno con la bella stagione trovano occasioni di ritrovo per sfilare lungo le strade, suscitando l’ammirazione di tutti e rievocando numerosi ricordi nei più

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maturi osservatori. La Vespa, come le moto in generale sono il mezzo prediletto nei mesi più caldi, simbolo di spensieratezza e come dare torto a Cesare Cremonini quando cantava “ma quanto è bello andare in giro con le ali sotto ai piedi, se hai una Vespa Special che ti toglie i problemi”.

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L’intestino e il suo benessere

L

’intestino, uno degli organi che costituisce il nostro corpo è considerato, di solito, solo come funzionale al processo digestivo, ma in realtà è importantissimo per il nostro benessere fisico-psichico. Attraverso di lui, infatti, non solo assimiliamo tutte le sostanze e gli elementi nutritivi che ingeriamo con l’alimentazione e che sono vitali per la nostra salute e l’equilibrio biochimico, ma al suo interno avvengono altri importanti funzioni quali: filtrare le sostanze che sono per noi nutritive e schermare quelle nocive; la sintetizzazione delle vitamine; un’accertata funzione immunitaria (al suo interno è presente circa il 70% delle nostre difese immunitarie) e il processo metabolico che determina un ottimale stile di vita. Il tutto grazie al “Microbiota” che è l’insieme dei microorganismi presenti al suo interno che vivono in perfetto equilibrio con la mucosa intestinale e sono in grado di dare benefici, contribuendo al benessere dell’organismo. Se l’intestino funziona bene, e permetterà uno scambio ottimale, ne trarrà vantaggio il nostro benessere fisico. Viceversa se è danneggiato o sofferente non sarà in grado di svolgere al meglio le sue funzioni vitali e quindi, per effetto del cattivo assorbimento, si avranno, nel tempo e con il tempo, inevitabili

ripercussioni sulla nostra salute. Secondo la scienza medica quando l’intestino ha una perfetta funzionalità tutto il corpo risente degli aspetti positivi legati a questo importantissimo organo, viceversa una non corretta alimentazione, una dieta non bilanciata, un cattivo stile di vita o deleteri comportamenti, possono danneggiare questo equilibrio e quindi menomare la funzionalità del Microbiota e di conseguenza dell’intestino. Per questi motivi sono da eliminare: le alimentazioni sregolate ricche di zuccheri, grassi e bevande alcoliche; un eccessivo uso di farmaci; la sedentarietà e il dannoso stress legato al tran tran quotidiano. Sono questi alcuni fattori di rischio che mettono a dura prova il nostro intestino e quindi la sua funzionalità e, a volte, causare importanti fenomeni di allergie, intolleranze e malattie autoimmuni. Parimenti alcuni comportamenti di vita favoriscono la funzionalità del nostro intestino: bere molta acqua, aumentare l’ingerimento delle fibre, evitare una vita sedentaria. E ove necessario per aumentare la funzionalità del nostro intestino e qualora la nostra alimentazione non bastasse, si possono assumere particolari alimenti o integratori che sono alleati importantissimi per il benessere intestinale perché, oltre ad arricchire il Microbiota e favorire il transito intestinale, sono idonei per contrastare la pesantezza, il gonfiore e sostenere, integrandolo, il sistema immunitario. Tra

questi sono particolarmente indicati i “probiotici” che sono microrganismi non dannosi che hanno la specifica funzione di replicare e colonizzare l’intestino, di inibire l’azione dei patogeni e rafforzare la barriera intestinale. E’ utile ricordare che in caso di assunzione di integratori o altri specifici e utili preparati, è necessario, anzi indispensabile, rivolgersi al proprio medico o al farmacista che sono le uniche e competenti persone in grado di dare le giuste e opportune indicazioni. E’ assolutamente da evitare il famoso “fai da te”. Normalmente le problematiche della cattiva funzionalità dell’intestino si manifestano con alcuni sintomi che di solito possono dipendere da uno squilibrio della flora batteria oppure dalla non corretta alimentazione o da altre cause momentanee. Se invece sintomi come stitichezza, gonfiore, diarrea e dolori addominali si ripetono nel tempo, è meglio approfondire, con particolari visite e analisi mediche, poiché si può rischiare non solo una grave alterazione della flora ma anche lo scatenarsi di processi infiammatori che possono essere causa di più importanti patologie.

Un sentito ringraziamento a dott. Marco Rigo - Borgo Valsugana per la preziosa consulenza

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Medicina & Salute di Erica Zanghellini

I rimproveri fanno crescere

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no dei compiti dei genitori, fondamentali nella crescita di un figlio, è insegnargli dei principi e dei valori. Tutti noi a un certo punto riflettiamo su quello che vogliamo tramandare al nostro pargolo e in linea teorica tutto e molto semplice, e al livello pratico che tutto si complica. Uno dei mezzi a disposizione per insegnare ciò che è giusto e ciò che non lo è, sono i fantomatici rimproveri. Ma avete mai fatto caso che ci sono ammonimenti che vanno a buon fine mentre altri no, e che cos’è che può rende l’uno efficacie e l’altro parole al vento? Partiamo dal fatto che il rimprovero fa bene, aiuta il proprio figlio a crescere, l’importante è farlo bene. Se una volta il metodo principe era un urlo o un ceffone, ora sempre più

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genitori consapevolmente scelgono il confronto come metodo educativo e sebbene non esuli da difficoltà e controversie risulta indispensabile per disciplinare i comportamenti difficili, sbagliati e/o pericolosi. Il confronto non è facile, e in alcuni casi i genitori nonostante i loro sforzi si trovano a dover affrontare situazioni di stallo dove sembra proprio che i figli non vogliono modificarsi. A quel punto spesso assistiamo più che a un rimprovero, a sfoghi di genitori infastiditi, se non arrabbiati e quindi in quel momento la loro

comunicazione più che efficace risulta essere solo ed esclusivamente un’esplosione della loro tensione. Inevitabilmente quindi, il rimprovero fallisce e risulta essere assolutamente inefficace.


Medicina e salute La situazione, se perpetrata nel tempo, diventa delicata e complicata, tanto da incorrere nel rischio che genitori sfiniti, perdano la speranza e quindi rinuncino a tramandare il senso morale e l’educazione civica ai propri figli. Dobbiamo, invece, sostenerli e spronarli a continuare nel loro percorso educativo. Ma quindi qual è il modo corretto per fare un rimprovero? La prima cosa da sapere è che i bambini hanno una capacità attentiva limitata nel tempo, quindi lunghi discorsi o paternali non sono per niente persuasivi. La comunicazione deve essere breve, incisa e soprattutto deve avvenire contestualmente all’episodio incriminato. Ricordiamoci che il bambino non è un adulto in miniatura, lui vive in un eterno presente, non è capace di riportarsi e riflettere sul passato o proiettarsi nel futuro. Quindi farsi quali, “domani non andremo al parco” oppure “stasera ne parlerai col papà ” non hanno senso, il bambino nemmeno si ricorderà più dell’accaduto. Altra cosa importante è non pasticciare, è vietato mettere assieme più episodi nella sgridata. Quindi niente frasi del tipo: “oggi hai disturbato in classe, hai fatto arrabbiare la nonna e ora hai fatto cadere il vaso” . Il bambino si sentirà impotente e soprattutto demotivato, il messaggio che gli stiamo mandando potrebbe minare la sua autostima. La conclusione che ne potrebbe trarre è “non ne combino una giusta, non sono capace a far niente” e in più, sicuramente la nostra paternale risulterebbe troppo lunga perché il bambino ci segua. Ricordiamoci che la nostra disapprovazione deve contenere amore. Noi adulti sappiamo che ci arrabbiamo proprio perché lo amiamo e lo vogliamo crescere in un determinato modo, ma lui no. Per questo il rimprovero deve contenere anche un messaggio di stima e fiducia “Va bene, adesso hai capito e sono sicura che non lo rifarai più”. Il bambino deve arrivare alla conclusione

che l’abbiamo sgridato a causa di quel tipo di comportamento e non perché è sbagliato lui. Altro elemento importante è dove avviene la sgridata, mi raccomando deve essere fatta in privato. Assolutamente banditi i richiami in pubblico, è avvilente e indebolisce il senso di competenza. Prendere il bambino da parte per rimproverarlo evita un’umiliazione. Piccola precisazione, una delle possibili conseguenza, se l’ammonimento invece viene fatto in pubblico, è che il bambino diventi aggressivo oppure strafottente. Quello potrà essere il suo modo di vendetta per il rimprovero subito davanti a altre persone. Adesso che abbiamo in mente le caratteristiche generali che una romanzina dovrebbe rispettare, vediamo in dettaglio gli elementi linguistici che la rendono efficacie e che quindi facilitano l’apprendimento dei concetti che vogliamo insegnargli. Il richiamo dovrebbe: - Riportare i fatti - Riportare la regola che non viene rispettata - E infine esplicitare le possibili conseguenze negative che il comportamento può portare se continuamente messo in atto. Rendere esplicito al bambino che ci

siamo arrabbiati per quel tipo di comportamento, per esempio “hai spinto il tuo compagno di classe”, e che quel comportamento non è accettabile, “e spingere gli altri non si deve fare” perché porta a delle conseguenze spiacevoli “altrimenti poi non vorranno più giocare con te” aiuta il bambino a metabolizzare il messaggio e capire il perché noi gli facciamo quell’appunto. Logicamente il messaggio deve arrivare puntuale ogni volta che avviene il comportamento, altrimenti il minore non capirà la regola e quindi non la interiorizzerà. Ci deve essere anche concordanza tra i genitori, quindi mamma e papà devono essere una squadra e tutti e due comportarsi coerentemente. Piuttosto parlatene in privato e concordate la regola assieme, altrimenti il bambino saprà a chi rivolgersi , o ve lo farà presente, o comunque non capirà l’importanza del principio e del rispettarlo. E infine ricordiamocelo, ci vuole pazienza (e tanta), i risultati si ottengono con costanza e perseveranza.

Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel.: 388 4828675

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Gli alberi da frutto

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econdo il dizionario italiano tutti gli alberi, in senso botanico, producono frutti, ma la dizione “albero da frutto” è riservata solo a quegli alberi che producono i diversi tipi di frutta che sono utilizzati dall’uomo per la sua alimentazione o per altre destinazioni o finalità economiche. La frutta che noi conosciamo e mangiamo, però, non è solo prodotta dagli alberi, ma anche da piante erbacee (es. fragole, meloni) e semi legnose e rampicanti (la vite, il rovo, il lampone, il mirtillo ecc.). Gli alberi da frutto, ed è innegabile, sono tra le categorie di piante più stimolanti da coltivare, specialmente a livello domestico. In questi ultimi anni, infatti, e sempre di più, si sta maggiormente sviluppando la pratica di impiantare idonei alberi da frutto nel proprio giardino o in un piccolo appezzamento limitrofo alla propria abitazione.

Una particolare abitudine che secondo una recentissima indagine interessa e coinvolge oltre il 75% delle famiglie italiane. Da qui la necessità non solo di scegliere la pianta in base alla regione in cui si vive ma anche e soprattutto considerare la zona d’impianto il tipo di terreno e se lo stesso è in zona soleggiata oppure ombrosa. Una pianta da frutto, per potersi sviluppare e crescere bene necessita “sempre” di particolari condizioni climatiche e cure appropriate. Ecco perché, se non si è esperti, è bene rivolgersi a un vivaista che per la sua preparazione e competenza è in grado di dare giusti e appropriati consigli suggerendo nel contempo la pianta più idonea, come coltivarla consigliando anche il migliore uso della concimazione e dell’eventuale lotta ai tantissimi insetti e parassiti vegetali che, purtroppo e non di rado, colpiscono tutti gli alberi da frutto. Tra le piante da frutto più indicate per il giardino e più facili da coltivare ci sono il ciliegio, il pesco, il susino, l’albicocco, il cachi. Molte di queste piante nel periodo primavera estate si riempiono di meravigliosi fiori che danno una particolare colorazione e profumazione al giardino. Da moltissimi anni, nella frutticoltura, si è sviluppata una quanto mai apprezzata modalità, ovvero quella della coltivazio-

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Lotta tra titani di Nicola Maschio

Gates e Microsoft, Jobs e Apple: i due colossi a confronto

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uella tra Bill Gates e Steve Jobs, o meglio tra Microsoft e Apple, è stata una delle rivalità più intense e durature nella storia dell’umanità. In realtà, nonostante la prematura scomparsa di Jobs (il 5 ottobre 2011 perse purtroppo la battaglia contro una lunga malattia al pancreas), ancora oggi i due colossi si combattono sul mercato a colpi di novità. Da più di quarant’anni Microsoft ed Apple dominano il mondo della tecnologia moderna. Da una parte Gates, il fondatore di Microsoft, l’uomo dedito puramente al mondo dell’informatica; dall’altra invece Jobs, che ha sempre avuto un tocco di stile in più, tanto nella persona (Gates ha sempre ammirato ed invidiato la sua capacità nell’affascinare il proprio pubblico) quanto nei prodotti realizzati. Se il primo infatti ha sempre ricevuto lodi per la potenza e l’innovazione dei propri computer, il secondo ha saputo stregare il mercato con realizzazioni ricercate e curate nei minimi dettagli. “Non sono un predicatore – ha recentemente ammesso lo stesso Gates in un’intervista al Wall Street Journal, soprattutto dopo che Netflix ha deciso di dedicargli una serie tv sull’ormai celebre portale cinematografico. - Ma posso dire di aver imparato a parlare in pubblico, risolvendo questo pro-

blema negli anni”. Ma andiamo con ordine. Partiamo proprio da Gates, ad oggi uno degli uomini più ricchi del mondo. Nato nel 1955 a Seattle (Washington), ha fondato con il collega Paul Allen la più grande azienda di software del pianeta, la Microsoft. All’età di 31 anni, Gates è diventato milionario. Conosciuto Allen poco prima di compiere quindici anni, è proprio a questa età che i due decidono di mettersi in affari insieme, sviluppando Traf-o-Data, un primo programma per il monitoraggio del traffico a Seattle. È l’aprile del 1975 quando si convincono a fondare Microsoft, azienda di micro-computer e software della quale Gates diventerà il “numero uno” alla precoce età di 23 anni. Allen, dal canto suo, si ritirerà dagli affari nel successivo 1983, mentre Gates deciderà di dimettersi dal ruolo di presidente nel 2014, concentrandosi sul campo della beneficenza insieme alla moglie

Melinda. E Steve Jobs invece? Se oggi gli smartphone e la tecnologia in generale sono quello che sono, lo si deve (anche) a lui. E ci sono dei tratti di questa storia che sono veramente incredibili: si pensi all’anno di nascita, il 1955, proprio come il rivale Gates. Oppure la fondazione di Apple, la sua creatura, nell’aprile del 1976: stesso mese, ma un anno dopo, rispetto al genio di Seattle. Jobs ha dato un apporto storico alla tecnologia: nel 1984 lancia Macintosh, primo computer controllato con quell’apparecchio all’epoca strano che oggi chiamiamo “mouse”. Ma qui la vicenda si fa interessante: solo un anno dopo, Jobs è costretto dalla stessa Apple a licenziarsi. Fonda così NeXT, per produrre computer all’avanguardia, poi la celebre Pixar e, infine, è la stessa Apple ad acquistare NeXT nel 1996, permettendo a Jobs di accasarsi nuovamente presso la “sua” azienda. Il resto è storia: nel 2001 presenta l’iPod, il lettore portatile di musica, nel 2007 l’iPhone ed infine anche l’iPad e i tablet. La fine per lui sopraggiunge però con largo anticipo, nel 2011. Ma di Gates e Jobs rimangono due frasi su tutte, che pure si incastrano tra loro. “Se oggi vado a letto non avendo fatto niente di nuovo rispetto a ieri, allora oggi è stato sprecato” ha affermato il primo, mentre il secondo ha chiuso il cerchio con il celebre “Siate affamati, siate folli”.

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Moda oggi di Laura Paleari

Elsa Schiaparelli, creatività italiana Il patriottismo non è una caratteristica comune che contraddistingue gli italiani; siamo circondati da opere architettoniche, di storia e cultura, la nostra arte e soprattutto i nostri artisti, vengono invidiati in tutto il mondo eppure sembriamo quasi non accorgerci del nostro patrimonio; di quello che eravamo, che siamo e che potremmo essere. Ecco perché penso sia giusto, in momenti come questi, ricordare i nostri grandi talenti, quelli che ci hanno ispirato e che hanno portato la nostra arte in tutto il mondo.

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allis Simpson, Marlene Dietrich, Katharine Hepburn, Greta Garbo, Lauren Bacall, Gala Dalí,, Vivien Leigh, Ginger Rogers, Juliette Gréco e Mae West… Sono solo alcune tra le più importanti personalità che scelsero la boutique dell’italiana Elsa Schiaparelli; anticonformista, ribelle e determinata, riuscì a miscelare arte e moda in splendide creazioni da indossare. Elsa nasce nel 1890 a Roma e, il suo sogno, era quello di diventare poetessa.

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Tuttavia il carattere difficile e testardo e le sue poesie “inopportune” le valsero dai suoi genitori il biglietto di sola andata verso un convento della svizzera. Ma la giovane non era propriamente una donna nata per un luogo di Chiesa e, ovviamente, senza pensarci due volte, alla prima occasione riuscì ad andarsene e prendere la sua strada. Da quel momento la sua vita fu costellata da innumerevoli avventure; neanche le due Grandi Guerre la fermarono: viaggiò a Londra, a New York poi a Parigi, si sposò e divorziò prendendosi cura da sola della figlia. Ma fu proprio a Parigi che divenne stilista, conoscendo Paul Poiret e diventando sua allieva; una delle sue prime, importanti, ideazioni fu il maglione a “doppio nodo”, costruendo una nuova identità ad un indumento considerato povero e usato solo dalla gente di campagna. Da Parigi arrivò immediatamente alla grande distribuzione newyorkese, facendo conoscere la stilista a tutto il mondo. Fu la prima donna ad apparire sulla copertina del “Time” e, quando nel 1934 incontrò Salvador Dalì, diede vita ad una amicizia e collaborazione che durò

per tutta la sua vita. Moda e arte, un mix esplosivo nelle mani dei due; i bottoni presero la forma delle labbra di Mae West, i cappelli il profilo di scarpe, i materiali usati divennero innovativi (il primo lurex) e celebri furono i suoi abiti, come quello che riprendeva l’anatomia dello scheletro umano e l’abito bianco indossato da Wallie Simpson con un’enorme aragosta dipinta nella parte anteriore, tra le cosce, destando non poco scalpore. “…il colore d’un tratto mi si palesò davanti agli occhi: brillante, impossibile, sfrontato, piacevole, pieno d’energia, come tutta la luce, tutti gli uccelli e tutti i pesci del mondo messi insieme, un colore proveniente dalla Cina e dal Perù, non occidentale; puro e non diluito…” Il colore di cui parla la “Schiap” (come viene affettuosamente chiamata) è il Rosa Shocking, ideato da lei stessa, forse derivato da un colore utilizzato in alcuni quadri, debuttò insieme al suo primo


Moda oggi

profumo e da allora divenne un colore fondamentale non solo nella moda ma in tutto il mondo. Artista ma anche eterna rivale di Coco Chanel, due personalità completamente diverse: semplicità, linee e praticità (Chanel) contro sfrontatezza, decoro ed estro (Schiaparelli). Le due stiliste si scontrarono varie volte, forse senza mai capire che entrambe,

anche se in maniera diversa, cercavano di proporre un nuovo ideale di donna. Elsa Schiaparelli ci lasciò nel 1973, con accanto l’amata figlia e le nipoti, dopo essersi ritirata dalle scene. Oggi la casa di moda, dopo degli anni passati in sordina, si sta riprendendo il palcoscenico, dove la sua fondatrice aveva brillato a lungo; infatti, durante il giuramento del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, il 18 gennaio 2021, una meravigliosa Stefani Germanotta aka Lady Gaga, intonava l’inno americano con addosso uno splendido abito firmato proprio Schiaparelli.

Carismatica e ribelle ma, soprattutto, emancipata, perché le donne come scrisse nella sua autobiografia “dovrebbero sempre pagarsi il conto”. Questa fu Elsa Schiaparelli, la quale non si arrese mai, perseguì i suoi sogni e le sue ambizioni, contando su se stessa.

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Tra hobby, arte e creatività di Alice Vettorata

Dare nuova vita: una pratica ecosostenibile

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ata la costante emergenza ambientale causata dai cambiamenti climatici in corso, si è affermata la crescente volontà di riutilizzare oggetti

che altrimenti avrebbero concluso il loro ciclo vitale. Non si tratta però di una nuova attitudine, bensì di una dinamica nota. Questo procedimento era infatti prassi consolidata in periodi nei quali la popolazione era stata messa a dura prova, ma il fine era differente. Se si guarda molto indietro nel tempo infatti, risalendo fino al periodo Romano durante la crisi dell’Impero, e successivamente nell’Alto Medioevo, constatiamo che ad essere

oggetto di riuso erano addirittura edifici e monumenti celebrativi. Questi spesso venivano costruiti utilizzando materiali provenienti da altre strutture, data la carenza di materia prima disponibile, ma presto il reimpiego divenne motivo di tributo nei confronti di Imperatori e personalità influenti del passato. Un esempio noto che presenta queste caratteristiche è l’Arco di Costantino, un chiaro testimone di epoche precedenti che convivono sulla stessa opera monumentale. Alcune sezioni di rilievi risalgono all’era Traiana, altre a quella Adrianea, raccontando così una storia nuova, carica di riferimenti politici cari

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Tra hobby, arte e creatività all’Imperatore Costantino. Motivo per il quale l’umanista rinascimentale Baldassare Castiglione riferendosi a Roma disse “tutta è fabbricata di calce di marmi antichi!”. Lo stesso procedimento avvenne durante il Medioevo, periodo nel quale per donare prestigio alle architetture in costruzione, si riutilizzavano capitelli e frammenti di opere appartenenti all’epoca Romana. Con la nascita della sensibilità collettiva nei confronti della storia, e di riflesso, anche della storia dell’arte, opere e monumenti vennero considerati testimonianze del passato da preservare e studiare. Ciò pose fine alla pratica del riutilizzo distruttivo. Tra il termine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70 del Novecento si affermò la corrente ecologista, nata in contrasto al precedente boom economico che ebbe ripercussioni rilevanti dal punto di vista ambientale. Un’epoca nella quale

la crescente richiesta nel mercato sfociò in sovrapproduzione, contribuendo indirettamente alla creazione di oggetti superflui. Oggi, una coscienza riscoperta che si appoggia alla necessità impellente di non creare materiali di scarto, riscopre il riutilizzo il quale è tornato, in modo consapevole, a far parte delle nostre vite. Scegliere di rinnovare un mobile ereditato apparentemente privo di carattere, o scovato nella cantina dei nonni o ancora acquistato in un mercatino dell’usato può donare molti benefici, per motivazioni differenti. Oltre al recupero, evitando così di incrementare in modo esponenziale l’inquinamento del nostro pianeta con rifiuti di scarto, si ritrovano valori e curiosità. Durante la pandemia in corso, sondaggi e statistiche condotte hanno rilevato un aumento di attività svolte come hobby da coltivare in quarantena.

Tra questi emergono il giardinaggio e il fai da te, due modi differenti di compiere lo stesso obiettivo: prendersi cura di qualcosa, vederlo evolvere tenendo al contempo un occhio di riguardo nei confronti del pianeta. Gesti ritrovati che sviluppano la creatività rendendo appagati e consapevoli di aver agito in modo responsabile. I negozi di oggettistica, mobilio e abbigliamento di seconda mano diventano un tesoro da riscoprire per dare sfogo all’inventiva, donare nuova vita alla nostra creatività e sensibilità nei confronti del pianeta che ci ospita. Proprio per convenzione ogni 22 aprile si festeggia la giornata mondiale della terra, ricorrenza simbolica che ha il fine di sensibilizzare sulle tematiche ambientali, ricordandoci che possiamo fare la differenza per preservare l’ambiente. Anche adottando e restaurando un mobile dimenticato.

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Tende da sole: vantaggi e consigli per un acquisto consapevole possibilità di portare in detrazione al 50% l’acquisto e l’installazione delle tende da sole. Questo intervento si può anche legare ai lavori trainanti dell’ormai famoso – e discusso – Superbonus 110%.

Il giusto modello

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na tenda da sole permette di vivere al meglio il proprio outdoor: che si tratti di un giardino o di un terrazzo, soprattutto in quest’epoca in cui la casa ha assunto un ruolo ancor più importante, la tenda diventa un elemento quasi indispensabile per migliorare il comfort abitativo. Ma quali sono, nello specifico, i vantaggi dell’avere una tenda da sole? Ombreggiare e riparare lo spazio esterno di un’abitazione, di un negozio o di un ufficio e contemporaneamente proteggerne l’arredamento interno dai raggi del sole sono vantaggi che vengono subito alla mente. A volte, però, si dimentica che l’uso corretto di una schermatura solare possa generare un effettivo risparmio. In estate, infatti, mediante la movimentazione – magari automatica e smart! – di una tenda a bracci estensibili, si riesce a ridurre il calore dell’ambiente interno, anche di molto. In questo modo, l’utilizzo di ventilatori e condizionatori, che fa salire le bollette dell’energia elettrica ed ha un forte impatto ambientale, può essere limitato allo stretto indispensabile. Grazie a quest’importante caratteristica, inoltre, da anni il consumatore finale ha la

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Oggigiorno esistono tende da sole per tutti i gusti, per tutte le necessità e per tutte le tasche. Valutare il prodotto che risponda alle proprie esigenze non è sempre facile, e per questa ragione sarà bene rimettersi alla professionalità del rivenditore di fiducia. La prima grande differenza sta tra le tende “cassonate” (quelle dotate di un cassonetto, elemento sia di design che protettivo quando la tenda non viene utilizzata rimanendo quindi riavvolta) e quelle classiche senza cassonetto. Qui la scelta si baserà su elementi estetici, funzionali ed economici. Dopodiché, la scelta sarà in funzione anche delle dimensioni che si vorranno raggiungere. Alcune tende possono arrivare a 14 m di larghezza per sporgenze anche superiori ai 5 m. Naturalmente, una tenda di tali dimensioni avrà caratteristiche tecniche diverse da una di 3 m per

1,5 m di sporgenza.

La giusta copertura

PVC, acrilico, poliestere, resinati… Anche la scelta del tipo di telo è ampia, ma orientarsi è piuttosto semplice. La giusta domanda da porsi è: si vorrà ottenere protezione dal sole, dalla pioggia o dal sole e dalla pioggia? Protezione dal sole: i classici teli in acrilico o in poliestere saranno più che sufficienti. Sono i più utilizzati, nonché quelli montati “di serie” dai produttori di tende. Protezione dalla pioggia: un telo in PVC (impermeabile al 100%) sarà l’ideale. Attenzione però al possibile “effetto serra” qualora lo si utilizzi anche per il sole. Protezione dal sole e dalla pioggia: i teli in acrilico o poliestere resinati saranno la miglior scelta. Solitamente, questi teli trattengono anche meno polvere e sporco rispetto a quelli non resinati.

La giusta movimentazione

Olio di gomito (“manovella”) o energia elettrica (motore)? Il primo è più economico (ma attenzione al gomito del tennista, o del tendaggista…), la seconda apre la strada ad una serie di possibilità. Una tenda motorizzata, infatti, può diventare automatica ed autonoma grazie a sensori che rilevino la presenza


Tende da sole. In collaborazione con IMAP CASA di vento, pioggia, sole, nuvole, calore… Per i più pessimisti, esistono anche motori con manovra di soccorso: in caso di mancanza di corrente, la tenda potrà venire ritirata manualmente.

già cassonata. Frequente è la richiesta di scritte, loghi e slogan sulle mantovane, solitamente da parte di attività commerciali e strutture ricettive.

Permessi

Personalizzazioni

Quasi tutti i produttori di tende danno la possibilità di scegliere una serie di personalizzazioni, in primis il colore degli elementi verniciati (braccia estensibili, supporti, terminale ed eventuale cassonetto). I colori più comuni sono il bianco, l’avorio, il grigio e l’antracite, ma sempre di più si utilizzano il colore corten e verniciature ad hoc. Alcuni modelli di fascia più alta per-

mettono di scegliere finiture cromate o l’aggiunta di accessori come il volant mobile (una tenda a caduta al posto della classica mantovana). C’è poi la possibilità di aggiungere un tettuccio di protezione sopra la tenda qualora questa non nasca

Installare una tenda da sole non dovrebbe essere un problema, tuttavia: - se si abita in un condominio è opportuno consultarne l’amministratore; - se si vive in un palazzo di valore artistico o in un centro storico, o in prossimità di un corso d’acqua, è meglio verificare la presenza di eventuali vincoli paesaggistici telefonando all’ufficio tecnico del Comune di residenza. (P.R.)

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Non solo animali di Monica Argenta

Una GALLINA

Contro il logorio della vita moderna con Giulia Marchioni a Gron di Sospirolo

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a chiamano Hens Therapy, terapia con le galline, ed è uno dei tanti modi che stiamo riscoprendo per ricercare un benessere assopito chissà dove. Certo, i soffici pulcini sotto le ali protettive della chioccia, o in fila dietro di lei, sono l’immagine stessa della rinascita: passato l’inverno, la vita è pronta a ricominciare. Persino l’ingenuo indovinello, dal sapore quasi infantile, “è nato prima l’uovo o la gallina?” è capace di trasportarci, se pur solo con la mente, in un movimento ciclico, di rassicurante continuità della danza della vita. E la stessa percezione devono averla avuta anche gli antichi Egizi quando adornarono la tomba di Tutankhamon con dipinti e sculture di pulcini con l’auspicio di rinascita per il loro Faraone.

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In realtà, “non tutte le uova si schiudono” e questa è la prima grande lezione che Giulia Marchioni ha imparato da quando dal suo appartamento si è trasferita dal suo compagno in una casa immersa nei boschi a Gron di Sospirolo, provincia di Belluno. Prendersi cura del piccolo vigneto, raccogliere erbe selvatiche per gli infusi, creare quadri utilizzando tinte raccolte nel bosco sono tutte attività che Giulia porta avanti assieme all’allevare in modo del tutto naturale e libero le sue amate galline. Ne possiede una trentina, assieme a dieci magnifici galli, ruzzolano nel prato davanti a casa, la notte dormono sull’albero all’inizio del bosco. Ognuna di loro ha un nome e una vera e propria storia o parentela col gruppo. “Appena ho incominciato a tenere galline, ho capito che è possibile avere un rapporto speciale con questo animale. Me ne prendo cura e loro ricambiano,

regalandomi sensazioni meravigliose. Il tempo e la vita hanno assunto una dimensione diversa, con loro devi sapere accettare. Accettare che qualcuna di loro non ce la farà perché sarà colpita da un falchetto, accettare che non è così facile trovare un veterinario esperto e disposto a “resuscitare” un animale comunemente considerato da carne. Accettare le loro gerarchie e, per quanto dura, accettare che non tutte le uova si potranno schiudere: in una società che ci spinge a credere di essere onnipotenti, di riuscire ad avere tutto, subito e sempre per poi invece provare panico se le cose non vanno come davi per scontato, questa è forse la lezione più importante che possiamo imparare da loro”. Relazionarsi con una gallina è, secondo Giulia, un ottimo rimedio contro l’ansia della vita moderna. Di fatto, già nel 1800 le galline venivano


Non solo animali

impiegate negli istituti psichiatrici per calmare i pazienti e tutt’oggi negli Stati Uniti, in Canada e Gran Bretagna ci sono moltissime strutture sanitarie che utilizzano galline a scopi terapeutici, soprattutto con gli anziani. In Italia questo tipo di pet therapy è ancora poco conosciuta anche se piano piano si stanno concretizzando diverse esperienze e studi. E’ importante sottolineare che non tutte le galline sono adatte ad attività di terapia:

come con animali più convenzionali e collaudati, quali cani o cavalli, ci vuole formazione e professionalità. Moltissimo dipende dall’indole individuale dell’animale, che si presenta sempre unica, anche tra le galline. Tuttavia, in generale, qui in Italia vengono favorite alcune razze specifiche, come ad esempio la Moroseta, la Padovana o l’Olandese Ciuffata. “Nella mia esperienza, le galline che si prestano maggiormente ad essere maneggiate ed ad entrare in relazione sono quelle che in passato hanno avuto bisogno di particolari cure. L’aver trascorso del tempo a stretto contatto con l’umano, l’esser state coccolate e

incoraggiate, le rende particolarmente socievoli, comunicative e sensibili” dice Giulia. “Mi piacerebbe un giorno offrire la sensazione di pace che viene dal tenere in braccio una gallina a un bambino molto timido o a un manager di città altamente stressato. Far incontrare i loro sguardi, così consapevoli”. Far vedere come questi animali, pur creando delle gerarchie interne al gruppo, pur scontrandosi a volte, riescano ad andare spontaneamente a dormire tutti sullo stesso albero o come i galli collaborino nel dare l’allarme quando un predatore si avvicina è di per sé stimolante per riflettere. Una lezione importante sia per i bambini di una classe elementare che per gli adulti in un team di lavoro può arrivare veramente anche da una meravigliosa e semplice gallina.

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Noi e gli animali di Armando Munaò

Cani, gatti e piccoli animali... ...amici e compagni di vita

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iamo un popolo di pet-friendly, ovvero amici degli animali. Secondo una recentissima indagine e dal “Rapporto Assalco Zoomark 2020” in Italia sono oltre 60 milioni gli animali domestici tra cani, gatti, ma anche pesciolini, tartarughe, criceti, conigli, uccellini e persino rettili e animali esotici che vivono nelle abitazioni. Una presenza, la loro, che produce un giro di affari di 2 miliardi e 100 milioni di euro. Un dato, questo, che conferma il trend positivo del pet food che in Italia dal 2015 a oggi ha sempre registrato

incrementi costanti. Il rapporto sottolinea e quantifica le specie e le varietà degli animali domestici e precisamente: i gatti sono circa 8milioni, i cani 7 milioni, i pesci da acquario circa 30 milioni e la rimanenza degli altri “piccoli amici” sono così suddivisi: 13 milioni circa gli uccelli, 1,5 rettili e animali esotici, e 2 milioni circa di piccoli mammiferi. A conti fatti si può affermare che il numero degli animali domestici è pari alla nostra popolazione. Definire i nostri amati coinquilini semplicemente “animali domestici” è però quasi riduttivo; sappiamo tutti, infatti, che per noi sono molto di più, diventano membri della famiglia e veri e propri compagni di vita cui confidare pensieri e stati d’animo e con cui condividere momenti di affetto e di gioia, tirando

Promuovere crescita è stato il volano del nostro 2020. Siamo felici di affermare la riuscita del nostro intento.

fuori il nostro lato più tenero e giocoso. Anche la filmografia e la letteratura hanno contribuito a mettere in risalto lo speciale rapporto che si instaura tra un essere umano e il suo animale. Una storia su tutte molto famosa è quella di Hackico, film ispirato alla storia vera del cane Hachi, di razza Akita Unu, che non rassegnato alla morte del suo padrone tutti i giorni alla stessa ora, e per 10 anni, si recava alla stazione ad aspettare il suo ritorno dal lavoro. E anche le pagine dei libri offrono innumerevoli narrazioni di quest’amicizia duratura, millenaria. La scrittrice parigina Colette ad esempio nelle sue pagine elogia i suoi compagni cani, ma specialmente i gatti, che lei preferiva, confessando che “Da loro ho imparato a essere riservata, disciplinata e intollerante del rumore.” L’americano John Steinbeck premio Nobel per la letteratura invece, in un suo libro condivide un’intera avventura insieme a Charley, il suo barboncino francese, che porta con sè in viaggio per gli Stati Uniti. Per tutti il proprio animale è insomma speciale, insostituibile; con ciascuno, infatti, instauriamo un rapporto unico, poiché, proprio come noi, umani ognuno di loro ha una propria personalità, delle abitudini,

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Noi e gli animali dei modi di comunicare propri, che diventano parte integrante della reciproca convivenza. Gli animali insomma ci fanno stare bene: alleviano la nostra solitudine e garantiscono un affetto incondizionato, ma ci aiutano anche a crescere emotivamente. La ricerca sottolinea che il 58% degli animali domestici vive all’interno di appartamenti ma anche che il 55% appartiene a famiglie dove sono presenti anche bambini e ragazzi Secondo gli esperti e gli studiosi è oramai certo e affermato che gli animali nelle abitazioni non solo sono considerati veri e propri membri della famiglia, e arricchiscono la nostra vita, ma sono fedeli e apprezzati compagni per i nostri figli. Ed è ormai certificato che la presenza di un gatto o di un cane, oltre a farci compagnia, è fonte d’indiscutibili benefici per la nostra salute e aumenta la nostra qualità della vita, soprattutto perché, dovendoli portare a spasso e, visto il grande potenziale positivo delle passeggiate,

ci manteniamo, anche noi, in forma. E secondo alcune specifiche ricerche mediche, in tema di psicologia, sembra che avere accanto un cucciolo riduce del 24% il tasso di mortalità, ma si può arrivare fino al 31%, nel caso di persone con problemi cardiocircolatori. In conclusione, dunque, si può affermare che la presenza di un animale domestico aumenta la qualità della nostra vita. I dati emersi da una recente analisi del settore ci dicono che 4 italiani su dieci vivono in compagnia di almeno un animale di cui il 48% è un cane e il 28% è un gatto. Tornando invece alla spesa per il loro mantenimento, i numeri ci dicono che, mensilmente, il 32% degli italiani spende

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Meteorologia oggi di Giampaolo Rizzonelli

Quando arriva il pulviscolo dal deserto del Sahara effetti immediati e futuri

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d inizio febbraio 2021 la Spagna è stata colpita da una perturbazione atlantica con forte richiamo di aria direttamente dal deserto del Sahara, oltre all’aria la perturbazione ha portato con sé tantissimo pulviscolo dal deserto, pulviscolo che è caduto abbondante anche su numerose piste da sci oltre che della Penisola Iberica anche della Francia e in seguito ha raggiunto anche il Piemonte ed è arrivata (con quantitativi minori) fino sul Nord Est. Il tutto è ben evidente dall’immagine satellitare del 5 febbraio (fig.1) che mostra il pulviscolo in movimento dal deserto del Sahara verso il Mediterra-

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neo e la Penisola Iberica. Nelle fig. 2 – 3 – 4 alcune immagini delle precipitazioni di pulviscolo del

deserto che hanno raggiunto Spagna, Francia e Piemonte a febbraio 2021. INSERIRE FOTO 2-3-4 CON DIDA Questo fenomeno non infrequente si verifica quando un vortice di bassa pressione si posiziona sulla Penisola Iberica, dall’entroterra sahariano nel letto di questi venti caldi “attratti” dal vortice depressionario, viaggiano grossi quantitativi di pulviscolo desertico che si concentrano in sospensione alle quote più alte dell’atmosfera, pronti a raggiungere la Penisola Iberica, la Francia e poi l’Italia. Il fenomeno si verifica soprattutto nel semestre freddo e si può percepire


Meteorologia oggi

ad occhio nudo anche dalla semplice osservazione del cielo e delle nuvole, che mostrano attraverso la colorazione tra il rosa e il rosso, la presenza di pulviscolo sahariano che con le precipitazioni andrà a ricoprire tutte le superfici. Nell’immagine n. 5 scattata il 6 aprile 2016 sulle Pale di San Martino si nota la colorazione della neve anche nelle Dolomiti. Va detto che questa sabbia del deserto accelera lo scioglimento della neve sulle Alpi e vi spiegherò il perché. Innanzitutto parliamo di albedo, che è la frazione di luce riflessa da un oggetto o da una superficie rispetto a quella che vi incide, banalizzando con un esempio, “pensate alla carrozzeria di un’automobile di colore nero sotto il sole di luglio, se la toccate probabilmente rischierete di scottarvi, questo a differenza di una carrozzeria di colore bianco”. L’albedo massima è 1, quando tutta la luce incidente viene riflessa, l’albedo minima è 0, quando nessuna frazione della luce viene riflessa. In termini di luce visibile, il primo caso è quello di un oggetto perfettamente bianco, l’altro di un oggetto perfettamente nero. Tornando alla neve, l’albedo di quella fresca arriva fino a 0,9, però se la neve viene sporcata dalla sabbia del

deserto, l’albedo diminuisce drasticamente. A sostenerlo è uno studio condotto grazie alla collaborazione dei ricercatori di Arpa Valle d’Aosta, del dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra dell’Università di Milano-Bicocca, dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, di Météo-France (Univ. Grenoble Alpes e Cnrs) e del Max Planck Institute, in Germania. Il fenomeno sarebbe provocato dal colore rossastro della sabbia, che posandosi sulla neve ne scurisce la colorazione, compromettendo la sua

delle polveri del Sahara sulla neve, simulando il fenomeno che avviene sulla Alpi, a Torgnon (Aosta). Sfruttando un’area sperimentale situata a 2.160 metri di altezza, i ricercatori hanno dimostrato che negli anni con intense deposizioni di polveri dal Sahara si verifica un’accelerazione dello scioglimento delle nevi. In particolare, nella stagione del 2015-2016, la copertura nevosa è scomparsa circa un mese prima del previsto: ”pari a un quinto della stagione nivale”. Si tratta quindi di un ulteriore elemento a sfavore per la resistenza della neve delle Alpi, che deve già fare i conti con altri ostacoli, quali la scarsità delle precipitazioni invernali e le alte temperature delle stagioni calde. “Studi come questi sono importanti per valutare l’accuratezza dei modelli idrologici e per stimare l’effetto delle deposizioni di polvere sahariana sulla

capacità di riflessione e determinando un maggior assorbimento della luce. Per compiere lo studio ‘Saharan dust events in the European Alps: role in snowmelt and geochemical characterization’, pubblicato sulla rivista The Cryosphere, gli esperti, coordinati da Biagio Di Mauro dell’Università di Milano-Bicocca, hanno valutato l’effetto

fusione della neve e del ghiaccio nelle Alpi”, spiega Roberto Colombo, esperto dell’Università di Milano-Bicocca. “In futuro, questi studi saranno applicati ad immagini satellitari come quelle del sensore Prisma, recentemente lanciato in orbita dall’Agenzia Spaziale Italiana (Asi)”.

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L'artista in controluce di Giorgio Turrini

Arnaldo Pomodoro e le sue sfere

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ostro, gigante dell’arte contemporanea, maestro del bronzo, colui che ha portato l’Italia della vera arte in giro per il mondo. Le sfere monumentali dalle straordinarie volumetrie, visibili nelle maggiori piazze del mondo vivono di lui e della sua anima nello spazio. Oltre alle tantissime iniziative per rendere 'comoda la nostra mondiale quarantena, non solo per il corpo ma anche per lo spirito, la fondazione Arnaldo Pomodoro e lo Studio Marconi ’65 hanno inaugurato una campagna di raccolta fondi a favore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri a sostegno della ricerca sul Covid19. Non è la prima volta che le strade della Fondazione Pomodoro e dello Studio Marconi si incontrano per concretizzare iniziative umanitarie. Infatti, è già attivo da oltre 15 anni un programma di dialogo tra arte e ricerca scientifica. Arnaldo Pomodoro è nato nel Montefeltro a Morciano di Romagna il 23 giugno nel 1926. Ha vissuto l’infanzia e la formazione a Pesaro. Dal 1954 vive e lavora a Milano ed e' considerato uno dei più

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grandi artisti contemporanei italiani. Noto e apprezzato anche all'estero per quelle opere caratterizzate dalle sue documentate basi orafe che sono gli aspetti della sua prima ricerca: disegni, gioielli, grafiche, studi progettuali, arti applicate e progetti scenici. In parte nato come Orafo, Arnaldo Pomodoro quest'anno supera la bellezza dei 90 anni. Famoso soprattutto per le sue monumentali sfere di bronzo dal perfetto equilibrio, Pomodoro ha ricevuto i più prestigiosi riconoscimenti mondiali. Tra pareti esterne lucenti e complessi meccanismi nascosti, le sue opere bronzee vivono di un proprio spazio dentro lo spazio maggiore dove si muove l'anima meccanica dell'atomo e della materia. Stratificazioni di memoria, resti e ostacoli spaziali, spazi intertemporali di nuclei nell'universo. La struttura delle sue opere sono ottime linee guida

per la ricerca scientifica e soprattutto per trovare soluzioni alternative a questa quarantena, contrastando l' inappartenenza di queste nuove forme di malessere o malattia che ci ostacolano la vita. Solo alla vista le opere più monumentali di questo grande artista ricordano e richiamano a grandi linee quello che e' la struttura al microscopio del nostro maledetto virus. Il materiale prediletto da Pomodoro è il bronzo che considera «un metallo bellissimo, come l’oro» prezioso e costosissimo: purtroppo sempre meno utilizzato dice l’artista. Pomodoro rimane uno degli ultimi maestri orafi a saperlo lavorare. La sfera è il solido più interessante, che scava, separa, toglie e fa esplodere come l’atomo, ripete lo stesso. Nei primi anni Sessanta affronta la tridimensionalità e sviluppa la ricerca sulle forme della geometria solida: sfere, dischi, piramidi, coni, colonne, lucidi cubi in bronzo squarciati, corrosi, scavati nel loro intimo, con l’intento di romperne la perfezione e scoprirne il vero mistero che racchiudono. Nel 1966 gli viene commissionata una


L'artista in controluce

sfera di tre metri e mezzo di diametro per l’Expo di Montreal, ora collocata a Roma di fronte alla Farnesina. Qui l'artista ridisegna le misure del 'passpartout alle sue opere, passando, riversandosi, alla grande dimensione. Questa è la prima delle numerose opere dell’artista che hanno trovato collocazione in spazi pubblici di grande suggestione e importanza. (Milano, Copenaghen, Brisbane, Los Angeles, Darmstadt), di fronte al Trinity College dell’Università di Dublino,

al Mills College in California, nel Cortile della Pigna dei Musei Vaticani, alle Nazioni Unite a New York, nella sede parigina dell’Unesco, nei parchi culturali della Pepsi Cola a Purchase e dello Storm King Art Center a Mountainville, poco distanti da New York City. E numerose opere in Europa, Stati Uniti, Australia e Giappone. Ha ricevuto molti premi e importanti riconoscimenti: i Premi di Scultura alle Biennali di São Paulo 1963 e Venezia 1964 Il Praemium Imperiale per la Scultura. 1990 Japan Art Association e il Lifetime Achievement in Contemporary Sculpture,International Sculpture Center di San Francisco 2008. Nel 1992 il Trinity College dell'Università di Dublino gli ha conferito la Laurea honoris causa in Lettere e nel 2001 l’Università di Ancona

quella in Ingegneria edile-architettura. Sempre nel 1992 il "Disco Solare", dono della Presidenza del Consiglio all'Unione Sovietica, a Mosca è stata installata un'opera di grandi dimensioni "Papyrus" nei giardini del nuovo Palazzo delle Poste e Telecomunicazioni a Darmstadt. Nel 1995 ha realizzato per incarico del Comune di Rimini una scultura in memoria di Federico Fellini. Nel 1998 ha ricevuto l'incarico di realizzare il portale del Duomo di Cefalù.

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Artigianato ed ecologia

Lotta all’inquinamento con il riciclo capelli.

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na novità, questa, scoperta da Céline Masset la quale, nel corso dell’insegnamento (è docente presso l’Enaip di Feltre), si è imbattuta, per puro caso, nella storia della Capillum e del progetto che quest’azienda francese sta portando avanti. Attratta dall’idea e dalle interessanti motivazioni, decide di farsi coinvolgere e di partecipare allo sviluppo di questa particolare iniziativa. E ci riesce, non solo diventando la referente italiana di Capillum, ma portando per la prima volta in Italia, e in provincia di Belluno, questo “ecologico”

progetto contro l’inquinamento riutilizzando, appunto, i capelli che il parrucchiere getta nelle immondizie. Per la cronaca la Capillum è la prima azienda a raccogliere i capelli per utilizzarli poi in maniera eco responsabile. “Un particolare interesse per questo progetto, ci dice Céline, che bene si sposa con la mia professione, prima come parrucchiera e poi come formatore presso la scuola di formazione professionale Enaip Veneto I.S. di Feltre, dove insegno tecnica professionale e laboratorio nell’indirizzo di operatore del

benessere. Un nuovo impegno che, secondo i desideri e le aspettative della nostra “esperta”, sarà quello di creare una rete in provincia che porti a riciclare completamente quello che è stato fino ad oggi un rifiuto e allargare il progetto a macchia d’olio “contagiando” e coinvolgendo altre regioni in questa “speranza” per l’ambiente. E quali sono gli utilizzi dei capelli,

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Artigianato ed ecologia chiediamo a Céline. Sono davvero tanti e molteplici, ci dice: in primis nel settore medicale e cosmetico, attraverso l’estrazione della cheratina che vi è contenuta (95%), utilizzabile anche per migliorare la cura della pelle; di poi in agricoltura, grazie alla capacità del capello non solo di nutrire le piante allontanando i parassiti, preservando il suolo e limitando il consumo di acqua, ma potrà essere un ottima alleato per una agricoltura responsabile e biologica; infine in ambito ambientale e marino perché i capelli sono in grado di assorbire naturalmente fino a otto volte il peso degli idrocarburi che sono sostanze altamente inquinanti. Questa caratteristica permette di pulire le acque delle aree portuali, dei mari, ma anche il suolo dei siti inquinati. E quali le caratteristiche per potere

utilizzare i capelli? Nessuna controindicazione e nessun limite perchè i capelli per essere riciclati possono avere una lunghezza che va dai pochi millimetri fino alla treccia intera; possono essere di qualsiasi colore, qualsiasi spessore, ricci o lisci, colorati, decolorati o naturali. Mi preme sottolineare, conclude Céline, che questo progetto, sin da subito, ha trovato favorevole accoglimento sia da parte del presidente del Consiglio di Bacino Belluno-Dolomiti, Adis Zatta, che ha sottolineato come questa iniziativa rientra tra i migliori esempi di economia circolare e di nuove tecnologie

che si sviluppano in questi ambiti, e sia di Michele Basso presidente della Confartigianato Belluno, che mette in evidenza che, attraverso la rete molto vasta dei saloni della provincia, non sarà difficile riciclare i capelli facendo allo stesso tempo del bene all’ambiente.

Per maggiori informazioni : c.masset@capillum.fr

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La REVISIONE auto e ALTRI veicoli

’art. 79 del codice della strada prevede che tutti i veicoli a motore e i loro rimorchi devono essere tenuti in condizioni di massima efficienza in modo da garantire la sicurezza contenendo, nel contempo, il rumore ma soprattutto le emanazioni inquinanti. Per tale motivo devono essere sottoposti a una revisione periodica che accerti e verifichi tali condizioni. Il tutto nel rispetto di quanto prevede la legge. Dal mese di marzo 2019 la normativa sulla revisione periodica delle auto e dei rimorchi ha anche previsto un nuovo obbligo, ovvero la consegna, da parte dei meccanici autorizzati alla verifica e funzionalità, oltre al tagliandino da applicare sulla carta di circolazione, del certificato di revisione che al suo interno

PRATICHE VEICOLI

riporta i dati identificativi dell’auto, il giorno della verifica effettuata e il kilometraggio del mezzo. Tale documento” ufficiale” DEVE essere rilasciato, dai centri revisione e Motorizzazione, una volta terminati i controlli e dovrà sempre accompagnare il veicolo. Questi dati saranno poi registrati nel Documento Unico dell’auto che sarà caricato online sul Portale dell’Automobilista. Ma quando fare la revisione dell’auto? La prima è obbligatoria dopo 4 anni dalla prima immatricolazione e deve essere fatta entro il mese di immatricolazione. Le altre, successive, ogni 2 anni ed entro il mese corrispondente a quello dell’ultima revisione. Questi obblighi di revisione si applicano a tutte le autovetture, autoveicoli adibiti a

Trasferimenti di proprietà e immatricolazioni Radiazione per esportazione veicoli Consulenze e pratiche per il trasporto di merci conto terzi e conto proprio Nazionalizzazione veicoli provenienti dall’estero

PATENTI

trasporti o a uso “speciale” ma con peso non superiore ai 3.500 Kg, motoveicoli, ciclomotori e rimorchi con peso non superiore ai 3.500 kg. La revisione invece va fatto ogni anno per le auto adibite al servizio taxi, e noleggio con conducente, per i veicoli destinati al trasporto di persone ma con un numero di posti superiore a nove, autoveicoli utilizzati per trasporto di cose e i rimorchi con peso superiore ai 3.500 kg, autobus, veicoli atipici e autoambulanze. La legge prevede che chi circola senza aver sottoposto il proprio veicolo a revisione sia soggetto al pagamento di una sanzione amministrativa (multa), che viene annotata sulla carta di circolazione mentre il veicolo è sospeso dalla circolazione fino all’effettuazione della revisione.

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Riscossione bollo auto anche per prima immatricolazione Gestione pratiche di contenzioso bolli con la Regione Veneto Gestione domande di rimborso bollo auto

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Altroconsumo risponde di Alice Rovati*

ATTENTI ALLE TRUFFE

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A DOMANDA

In un mercato in Valsugana ho firmato un documento per certificare che un signore mi aveva fatto un’intervista. Dopo circa 40 giorni mi è arrivata a casa una enciclopedia (valore 2.400 euro) che avrei acquistato apponendo la mia firma in un contratto firmato con questo signore lo stesso giorno dell’intervista. Al momento del ritiro avrei dovuto pagare il versamento della prima rata di euro 220,00 e avrei dovuto firmare una ricevuta per l’accettazione dei successivi bollettini di pagamento. Ma io avevo solo firmato l’intervista. Ho chiesto l’originale del contratto ma ad oggi nulla è arrivato. Come mi devo comportare prima di andare da un avvocato? Direttore, La informo che non ho ritirato l’enciclopedia.

LA RISPOSTA

La negoziazione di contratti fuori dai locali commerciali (come nel caso di specie in aree pubbliche) è soggetta alla particolare disciplina prevista dal Codice del consumo (art. 49 e ss.). In tali situazioni la posizione del consumatore appare svantaggiata rispetto a quella del professionista e quindi i relativi rapporti giuridici sbilanciati a favore di questi. Il venditore si presenta all’acquirente in luoghi non deputati allo svolgimento di trattative commer102

ciali; il consumatore viene preso alla sprovvista e potrebbe essere indotto ad un acquisto non meditato, del quale potrebbe anche eventualmente pentirsi. Infine, la possibilità di confrontare prezzo e qualità dei prodotti in questo tipo di contratti risulta alquanto limitata. Tali circostanze hanno indotto il legislatore a regolamentare la prassi della negoziazione che prende origine, e si sviluppa, al di fuori degli esercizi commerciali, attraverso interventi che hanno, per di più, posto l’accento sulla tutela dei diritti del cd. contraente debole. Tra questi vi è l’obbligo di informazioni precontrattuali. Prima che il consumatore sia vincolato da un contratto negoziato fuori dei locali commerciali, il professionista fornisce al consumatore – in maniera chiara e comprensibile – tutta una serie di informazioni. Queste informazioni vengono fornite su supporto cartaceo o – se il consumatore è d’accordo – su un altro mezzo durevole (ad esempio in un DVD o in una e-mail) e devono essere leggibili e presentate in un linguaggio semplice e comprensibile. Il professionista deve fornire al consumatore una copia del contratto firmata (sempre su un supporto cartaceo o durevole). Nel caso descritto dalla nostra lettrice, la firma è stata apposta solo ad un documento di presa visione. Consiglio quindi di inviare una racc. a/r di reclamo nella quale si contesta di aver firmato il contratto di acquisto dell’enciclopedia.

Ricordo comunque che, come sopra precisato, al consumatore deve sempre essere consegnata copia del contratto firmata, pena l’illegittimità dell’acquisto (con conseguente possibile richiesta di annullamento del contratto). Infine, a beneficio del consumatore, c’è sempre la possibilità di recedere: l’art. 53 del Codice del consumo precisa che, se il professionista non ha fornito al consumatore le informazioni sul diritto di recesso, il periodo di recesso termina dodici mesi dopo la fine del periodo di recesso iniziale (ossia 14 giorni dal ricevimento del bene). *La dott.ssa Alice Rovati, docente di diritto, rappresentante provinciale di Altroconsumo. Dopo la laurea ha frequentato diversi corsi di specializzazione in materia consumeristica e ha partecipato, in qualità di relatrice, a numerosi incontri informativi e a progetti dedicati alla tutela del consumatore. Dal 2016 è membro del Consiglio di Altroconsumo Chi desiderasse avere un parere o una risposta su un qualsiasi problema o porre un particolare quesito, può indirizzare la richiesta a: direttore.feltrinonews@gmail.com


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