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L’avvocato risponde

L’avvocato risponde di Erica Vicentini

La responsabilità penale degli enti e delle società

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A 20 anni dalla sua introduzione, la responsabilità penale delle persone giuridiche costituisce ancora (spesso) un rischio non adeguatamente compreso e calcolato nel mondo del lavoro. Il decreto legislativo n. 231 del 2001 ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità di perseguire penalmente la società (oltre che, ad esempio, la persona-fisica amministratore e/o legale rappresentante) nel caso di reato verificatosi – in via di prima approssimazione – nell’ambito della gestione dell’attività di impresa. Esempio classico è il procedimento penale in capo alla società (e non solo ai suoi vertici) in caso di lesioni o morte con violazione della normativa antinfortunistica. Il rischio penale non può essere sottovalutato dalle società: le sanzioni pecuniarie previste dalla legge non solo sono estremamente gravi ma vengono quantificate in misura proporzionale alla capacità economica (leggasi fatturato) della stessa impresa e si affiancano, spesso, a sanzioni c.d. interdittive, come il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione o la pubblicazione della sentenza sui principali quotidiani nazionali o locali. A ciò va aggiunto che le società non possono accedere, in caso di condanna, a benefici come la sospensione condizionale. Risulta intuibile come un insieme di sanzioni di questo tipo possa condurre una società in una grave situazione di carenza di liquidità se non, nei casi più gravi, al vero e proprio dissesto. Il giudizio di responsabilità penale nei confronti dell’ente trova applicazione nei confronti di tutti i soggetti individuati dall’art. 1 d.lgs. 231 del 2001, che annovera qualunque tipo di società, ente, ente no-profit, associazione o fondazione. La peculiarità del c.d. sistema 231 era emersa già ai tempi della sua entrata in vigore, con il vivace dibattito inerente la natura di tale forma di responsabilità, descritta formalmente come amministrativa, stante il dogma “societas delinquere non potest” ma contigua, in sostanza, al

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mondo delle garanzie e dei sistemi tipici giudizio penale. Il risultato operativo, corroborato dall’ultima giurisprudenza della Corte di Cassazione, è una forma di responsabilità autonoma e ibrida dal punto di vista teorico che, dal punto di vista pratico, può risultare estremamente afflittiva per la società che non affronta nel modo giusto il procedimento penale. Presupposto per poter valutare la sussistenza di una responsabilità dell’ente è la commissione di un illecito del catalogo dei c.d. reati presupposto contenuto nel d.lgs. n. 231/2001: tale catalogo, negli anni, è stato più volte integrato, al fine di rendere sempre più frequentemente possibile l’indagine di responsabilità in capo alle imprese, ritenute, di regola, più solvibili rispetto alla persona-fisica materialmente autore. Oggi sono stati inclusi molti reati tributari ed è in discussione l’inclusione di molti reati connessi alla contraffazione alimentare. Dal reato l’ente deve aver conseguito un interesse o un vantaggio. L’interesse viene letto come finalizzazione della condotta rispetto ad un beneficio, che manifesta la politica di impresa; il vantaggio va individuato ex post come si sostanzia in un beneficio di tipo economico che l’ente ottiene dalla commissione del reato. Recentemente la giurisprudenza ha avuto modo di specificare i concetti di interesse e vantaggio con riferimento ai reati colposi, in particolare i delitti di omicidio e lesioni con violazione della normativa antinfortunistica. Rispetto a tali fattispecie, è stato considerato vantaggio qualsiasi agevolazione, aumento di produttività o risparmio di spesa derivante all’ente dalla violazione ovvero mancata osservanza delle regole cautelari nell’esercizio dell’attività lavorativa. L’autore materiale del reato deve risultare incardinato nel sistema aziendale. Laddove il reato sia commesso da un soggetto sottoposto all’altrui direzione, la prova liberatoria per la società dipende dalla corretta operatività al suo interno del c.d. modello di organizzazione e gestione, rispetto al quale il comportamento illecito deve porsi quale condotta del tutto non prevedibile ed eccezionale. Nel caso di reato imputabile al soggetto c.d. apicale, non sottoposto alle direttive di altri, la difesa dell’ente dovrà dimostrare non solo l’efficace implementazione del c.d. Modello organizzativo – gestionale, ma anche l’esistenza di un Organismo di Vigilanza indipendente, dotato di autonomi poteri di sorveglianza, nonché l’elusione fraudolenta dei protocolli contenuti nel modello organizzativo medesimo. La prova richiesta alla società, in sostanza, è tesa alla dimostrazione della totale dissociazione rispetto all’azione od omissione del soggetto “di vertice” e alla conseguente assenza di una colpa nella sua organizzazione, che in tal modo si dimostra astrattamente idonea a prevenire reati del tipo di quello contestato. Lo strumento più importante che la società può adottare per andare esente da responsabilità penale è quindi il Modello di organizzazione e gestione, che può essere considerato la sintesi dei protocolli, delle regole e delle sanzioni (in caso di inosservanza) vigente all’interno del sistema impresa. L’adozione di tale modello, pur non essendo obbligatoria, non solo permette all’ente un’agevole via d’uscita dal procedimento penale ma, nei casi più gravi, permette quantomeno di assicurare una diminuzione della sanzione che, come esposto, può essere estremamente grave.

*L’ Avvocato Erica Vicentini, del Foro di Trento, con Studio in Pergine Valsugana, Via Francesco Petrarca n. 84, si occupa di diritto civile e penale, con predilezione del diritto penale dell’economia e dell’impresa e della materia del sovraindebitamento privato. Ha terminato nel 2020 un Master in diritto penale dell’impresa e dell’economia ed è abilitata Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, oltre ad offrire consulenza in materia di privacy-GDPR e contrattualista aziendale. Collabora da anni con editori come Dike Giuridica e la rivista Gazzetta Forense.

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