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Il personaggio: Giovanni Trapattoni

Il personaggio di Alessandro Caldera

Vivere di calcio per morire in panchina: la storia di Giovanni Trapattoni

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Nascere a ridosso dello scoppio di una guerra o durante un regime, comporta inevitabilmente sofferenza e sacrifici. La faccenda assume connotati ancora più tragici se, durante il conflitto in questione, l’essere umano si rende protagonista di barbarie e di atrocità inaudite. L’allusione è inerente, in parte, al secondo conflitto mondiale, che impegnò svariati Stati per circa sei anni e durante il quale perirono poco meno di 70 milioni di persone. Ma anche ad un qualcosa che ci interessa maledettamente più da vicino, come il Fascismo. Ecco, con queste premesse, una mattina di marzo del ’39 viene alla luce Giovanni Trapattoni. Il luogo di nascita è Cusanino Milanese, “Cusan” per i vecchi Bauscia, un comune situato a Nord del capoluogo lombardo. Il Trap, diminutivo con il quale sarà poi celebre, cresce in condizioni di precarietà finanziaria. Vive dapprima in una cascina assieme ad altre undici famiglie, un periodo per lui doloroso ma allo stesso tempo “utile”, perché farà di lui un uomo umile e determinato. Da giovanissimo lavora come garzone, poi alterna il calcio all’occupazione da tipografo presso la ditta cartotecnica Riboldi, fin quando non viene notato dal Milan.

All’oratorio San Martino, campo in terra battuta del paese, il Giuanin, nomignolo che gli era stato affibbiato in gioventù, aveva già fatto intravedere le proprie qualità da difensore. Era tangibile la sua maturità, la sua abilità nel dirigere la manovra e la squadra, aspetti che folgoreranno il mister delle giovanili rossonere,

Mario Malatesta. Il provino, avvenuto a Rogoredo poco fuori Milano nel 1956, portò ad un inevitabile plebiscito; arruolato in quella che oggi potremmo definire con un inglesismo come Accademy, Trapattoni vinse nel ’59 e nel ’60 il più prestigioso torneo giovanile, il Viareggio. Sulle ali dell’entusiasmo esordì con la prima squadra, il 29 giugno 1959 in un Milan-Como di Coppa Italia, con un tabellino della Gazzetta dello Sport che mise a referto un facile 4-1 ma anche un erroneo “Trappattoni”. Poco male in realtà, il celebre quotidiano avrà modo di impararlo quel cognome; Giovanni vestirà infatti la casacca rossonera per altre undici stagioni, prima di una fugace esperienza a Varese. Della militanza da calciatore, se gli fosse fatta esplicita domanda, ricorderebbe indubbiamente due partite e un allenatore. La prima delle due si giocò il 12 maggio 1963, un Italia-Brasile, nella quale il Giuanin contenne in modo impeccabile Pelè, uscito dal terreno di gioco solamente al ventiseiesimo minuto. Con il tempo si seppe che la stella “verdeoro” non era al top della condizione ma questo alla gente poco interessava. Tutti erano rimasti ammaliati dalla superba prestazione del Trap. Per la cronaca, in quell’afoso pomeriggio a San Siro, la formazione sudamericana, reduce dal successo nei mondiali del ’58 e ’62, fu annichilita con un netto 3-0. Relativamente alla seconda partita invece, dobbiamo andare avanti nel tempo, non

Il personaggio

di molto in verità, di appena 16 giorni. In quell’occasione, la finale di Coppa dei campioni, Giovanni marcò in maniera superba la stella del Benfica, Eusebio, contribuendo a mantenere il risultato sul passivo di una rete a zero per il Milan, uscito poi trionfante dalla serata. Il terzo ed ultimo ricordo è legato, come anticipato precedentemente, alla figura di un allenatore: Nereo Rocco. Il “paròn”, soprannome con cui era noto il tecnico friulano, prese sin da subito in simpatia Giovanni che assieme ad un altro giocatore rossonero, Lodetti, formava il gruppo delle “cocorite”. Lo scopo di questa coppia era quello di rendersi complici degli scherzi che lo schivo Nereo faceva a quei giornalisti scomodi o sgraditi. Tralasciando la sfera un po’ più goliardica, Trapattoni vide in Rocco, una sorte di padre, al quale di fatto si ispirò sia per quanto concerne la gestione del gruppo, sia l’impostazione più difensivista. Con questi presupposti, nel 1974 intraprese quel percorso al di là della linea laterale, una carriera che si è protratta complessivamente per più di mezzo secolo, terminando solamente nel 2013. Durante questa esperienza, Giovanni ha avuto la fortuna di “visitare” svariate nazioni e di approcciarsi a diversi stili di gioco, sempre con una meravigliosa costante: il successo. È lui che detiene il primato di scudetti conquistati da allenatore in Italia, sette, ed è sempre lui il fautore dello “scudetto dei record”, raggiunto nella stagione 1988-89, quando la sua Inter totalizzò 58 dei 68 punti disponibili. Per tutto questo, quando si parla del Trap si può utilizzare, senza remora alcuna, il termine “pietra miliare” di questo sport, disciplina che ama e che venera al punto di augurarsi una simile sorte:” Per uno come me che ama il pallone e che non è mai stato tradito dal calcio, sarebbe la cosa più bella morire in panchina, durante una partita.”

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