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In vino veritas

Alle origini del vino di Maurizio Cristini

In VINO VERITAS

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Come sappiamo, il vino si ottiene dalla fermentazione del mosto d’uva della specie Vitis vinifera. A tale pianta si attribuisce nascita in Armenia (ca. 4100 a.C.) da dove si è diffusa in Egitto e Asia Minore (Siria, Turchia) per poi espandersi in Grecia e in seguito (2000 a.C.), grazie ai traffici commerciali di Fenici ed Etruschi, in Italia (che verrà chiamata Enotria, cioè Terra del vino). All’inizio erano preponderanti le varietà a frutto bianco rispetto a quelle ad acino rosso.

Da sempre l’allevamento della vite è stato legato alla produzione di uve da tavola, ma soprattutto di uve da vino. All’epoca Romana il vino consisteva in una specie di mosto fermentato, ma col passare degli anni si cominciarono a mescolare diverse qualità di uve migliorandolo nel sapore. Nel periodo imperiale si iniziò l’importazione di vini dalla Grecia che si mantenevano più a lungo perché miscelati con acqua di mare, argilla, profumi, ed erbe (come la pericolosa mandragora, che si diceva lo rendessero afrodisiaco!), scaglie di ostriche triturate, cenere, gesso o sale (tanto avversati da Plinio il Vecchio, che li diceva nocivi per la salute, raccomandando pure di non eccedere comunque nelle libagioni pena l’ubriachezza). I vini più ricercati erano quelli più invecchiati e con maggiore presenza di alcool che venivano serviti filtrati con un colino e mescolati (con acqua fredda o calda) in una grande coppa, il cratere, da dove ognuno si serviva. A Roma l’usanza di bere vino miscelato con acqua (mixtum) derivava direttamente dai Greci, che consideravano barbaro il bere vino puro (merus). Tra i Greci e tra i Romani la donna non veniva ammessa alla mensa del marito, e a Roma la suocera aveva il diritto di sentire se l’alito della nuora sapesse di vino. La donna che consumava vino veniva assimilata a una adultera e come tale punita: solo nell’età imperiale, sotto Giulio Cesare, le fu concesso di bere il vinum passum, cioè il vino passito, e in genere i vini dolci. Soprattutto durante

Alle origini del vino

la cena gli uomini bevevano abbondantemente vino contenente miele disciolto (mulsum) e pure vino miscelato con aceto (puscus). Così parla Dióniso, fissando le regole del buon bere, in una commedia ateniese del IV° secolo avanti Cristo: «Tre coppe di vino, non di più, stabilisco per i bevitori assennati. La prima per la salute di chi beve; la seconda risveglia l’amore e il piacere; la terza invita al sonno. Bevuta questa, chi vuol esser saggio se ne torna a casa. La quarta non è più nostra, è fuori misura; con la quinta si urla; la sesta significa schiamazzi; la settima occhi pesti; con l’ottava arriva lo sbirro; con la nona sale la bile e con la decima si è perso il senno e si cade a terra senza sensi». Storicamente, il diffondersi e l’evolversi della cultura del vino sono avanzate di pari passo con quella dell’uomo. A Roma negli ultimi anni della Repubblica, si celebravano feste in onore di Bacco (Baccanalia e Vinalia) durante le quali si brindava ai presenti, ai defunti, e alla donna amata: in tal caso ognuno beveva in suo onore tante coppe quante erano le lettere che ne formavano il nome. Nella civiltà Ellenica, il vino rappresentava il motore stesso della pratica conviviale. Si diceva avesse una valenza ambigua, perché se bevuto nella giusta dose«...è consolazione, piacere, gioia; ma se consumato oltre il limite consentito, conduce pericolosamente alla perdita dell’autocontrollo e alla trasgressione». Quindi bere vino insieme, era anche un banco di prova delle qualità morali dei convitati.

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