PUGLIA IL SOCIALE BIFRONTE
Innovazione, rigenerazione dei luoghi e marketing territoriale sono diventati un brand della “Primavera pugliese”.
Alla cui ombra però non smettono di crescere povertà e criminalità organizzata
Innovazione, rigenerazione dei luoghi e marketing territoriale sono diventati un brand della “Primavera pugliese”.
Alla cui ombra però non smettono di crescere povertà e criminalità organizzata
a cura di Emiliano Moccia
In collaborazione con
Editing e grafica:
Vita Società Editoriale S.p.A. impresa sociale www.vita.it
via Ermanno Barigozzi, 24 - 20138 Milano © 2022
direttore: Stefano Arduini
testi: Emiliano Moccia (Anna Spena, a pag. 41) grafica e impaginazione: Matteo Riva e Antonio Mola
revisione: Antonietta Nembri
GIÀ PUBBLICATI:
a cura di Luigi Alfonso
i book sono scaricabili gratuitamente da vita.it
Un modello mediterraneo per allargare la democrazia di Stefano Arduini
CAPITOLO 1. Il welfare dei binari paralleli
→ Innovazione e povertà: come farli incontrare? pag. 10
CAP 2. Change makers: una nuova generazione scende in campo
→ Casa delle Agriculture “Tullia e Gino”
Far rivivere la terra, per restarci pag. 25
→ Consorzio Meridia
Nuove frontiere: la cura diventa digitale pag. 29
→ Consorzio Oltre
L’accoglienza che si fa economia civile pag. 33
→ Fondazione Vincenzo Casillo
La filantropia che cambia il territorio pag. 37
→ M.Ar.TA.
Il museo che è diventato un’agorà pag. 41
→ Masseria Tagliatelle
Il turismo esperienziale fa ricca la comunità pag. 45
→ “Qualcosa di Diverso”
Ora c’è buona vita fra gli ulivi della mafia pag. 49
CAPITOLO 3. Pensieri meridiani: tre sfide per cambiare modello
→ 1. Guardare verso Sud di Onofrio Romano pag. 55
→ 2. Unire cultura e sociale di Elvira Zaccagnino pag. 61
→ 3. Immergersi nel Mediterraneo di Leonardo Palmisano pag. 67
Questa seconda pubblicazione della serie Geografie Meridiane di “Vita a Sud” ha un pregio originale: quello di scattare una fotografia della Puglia che tiene insieme due filoni che normalmente (e strumentalmente) la comunicazione istituzionale e pubblica tende a tenere separati.
Da una parte l’istantanea di una regione che ha acquisito un’indubbia capacità nel raccontarsi e nel farsi raccontare. Pensiamo al ruolo che ha in questo senso la Apulia Film Commission (in dieci anni 500 produzioni audiovisive che hanno scelto la Puglia come teatro delle riprese) o al successo del marketing territoriale di una città come Brindisi grazie alla visione dell’assessore Emma Taveri. O ancora all’impegno istituzionale sul fronte dei giovani, della rigenerazione urbana e delle startup: un programma come Luoghi Comuni è noto ben al di là dei confini regionali. Una modernità che si scontra con
una presenza antica, radicata e in crescita: quella della criminalità organizzata che ormai si è “impossessata” di interi territori, magari a poca distanza da importanti hub di innovazione sociale. Ci sono poi altri nodi, che non riguardano solo la Puglia, ma che stridono rispetto alla traiettoria di una regione che in qualche modo si è fatta la fama di essere la più all’avanguardia del Mezzogiorno d’Italia: il nodo della povertà, del lavoro e dell’integrazione fra sanità e sociale. Tutte questioni che impattano negativamente sulla qualità della vita dei quasi 4 milioni di pugliesi che ne fanno l’ottava regione in Italia per popolazione.
Quello di Emiliano Moccia è stato un lavoro non solo di storytelling, ma anche di cucitura di questa doppiezza del sociale della Puglia che supera l’interpretazione di chi superficialmente legge questi due piani come separati l’uno dall’altro. E lo fa utilizzando i tre strumenti che caratterizzano l’architettura di questa serie di focus book: l’inchiesta nel primo capitolo, il racconto esperienziale nel secondo, l’intervento di tre protagonisti del pensiero meridiano nel terzo.
«Dalla terra si può ripartire, si possono creare opportunità di lavoro e di restanza, ma occorre avere il coraggio di osare e avere una visione di quello che si vuole costruire, senza lasciarsi schiacciare dal presente». Le parole sono di Tiziana Colluto, presidente della Casa delle Agriculture “Tullia e Gino” (ne parliamo a partire da pagina 25). Visione è una pa-
rola chiave, se non la parola chiave che emerge da questa pubblicazione. Una visione — dove sociale ed economico si tengono assieme — calata nelle diverse esperienze che raccontiamo e plasmata nel pensiero dei tre pensatori pugliesi.
«La cultura è sociale. E questo ancora continua a essere come spinta dal basso. Una spinta tenace (...) che migliora la qualità della vita delle persone», scrive Elvira Zaccagnino. Una cultura sociale che deve volgere lo sguardo verso il Mediterraneo e non cercare di imitare i modelli del Nord. Qui le argomentazioni le portano Leonardo Palmisano e Onofrio Romano. Riflette il primo: «Essere cervelli pugliesi, perché questo siamo, è essere dentro un solo grande cervello che è il Mediterraneo. Non possiamo, né vogliamo prescindere da questo pensatoio involontario. Vogliamo estendere questa mediterraneità nostra oltre il confine stesso del mare». Chiosa il secondo: «Dobbiamo pensare a spazi economici con i nostri vicini, con i Paesi del Mediterraneo e dell’Est, che ci consentano di costruire una politica industriale e allargare gli spazi di democrazia e opportunità».
Da una parte il volano dell’innovazione sociale che sta diventando un tratto distintivo della regione. Dall’altra la crescita dei tassi di povertà e della presenza mafiosa
Il vento dell’Est che soffia sulle coste della Puglia sembra volerle dire qualcosa. Quasi a ricordarle che da questa parte del Mediterraneo c’è un mondo di terra e di mare a cui guardare con attenzione per stringere alleanze, programmare il futuro, essere ponte di pace tra le varie culture. Per fare accoglienza. Come quell’8 agosto 1991, quando l’arrivo nel porto di Bari della nave mercantile Vlora con a bordo circa 20mila albanesi mise in moto una macchina di accoglienza che da quel giorno non si è più fermata. Lo sanno bene i migranti che ancora oggi arrivano sulle coste, soprattutto su quelle del Salento, per sfuggire a guerre, violenze, miserie. Perché il Mediterraneo è un’opportunità di crescita e di sviluppo per tutti, se si hanno visione e capacità politica di applicare forme di cooperazione utili a tutto il territorio. Italia e resto d’Europa compresi. Perché la Puglia, a leggerla attentamente, racconta di una regione a doppia velocità, a doppio binario: da una parte innovazione, servizi, cultura, welfare, solidarietà; dall’altra mafia, povertà, dispersione scolastica, mancanza di lavoro, sostegno del pubblico. Lo ricordava anche Franco Cassano, so -
ciologo pugliese e teorico della rinascita del Mezzogiorno, quando disse: «In questo assalto volgare e trasformistico alla modernità, si sono venute affermando le due facce oggi dominanti del Sud: paradiso turistico e incubo mafioso». Ed anche la Puglia per certi versi sembra non sfuggire a questo pensiero meridiano. Lavoro & giovani
Secondo i dati Istat del 2021, l’occupazione in Puglia ammontava a circa 1.207.000 unità, registrando un +1,6% rispetto all’anno precedente, con un contributo significativo dell’occupazione femminile di circa 14mila lavoratrici in più. Nonostante questi miglioramenti, però, le donne in Puglia mostrano una maggiore difficoltà nel trovare un lavoro rispetto agli uomini. Tra i dati più interessanti, l’aumento dell’occupazione dipendente di 39mila unità (+4,4%) e la conseguente flessione dell’occupazione autonoma. I settori in cui risulta maggiore la quota di occupazione sono quelli dell’agricoltura, del commercio e delle costruzioni, mentre calano quelli riferiti all’industria e negli altri servizi. Tra i settori più significativi va rilevato anche il comparto del turismo, uscito fuori dai due anni di pandemia del Covid-19, che nel 2021 ha registrato 3,3 milioni di arrivi e 13,8 milioni di presenze. Una promozione del territorio che forse ha tra i suoi complici anche l’immagine della Puglia da cartolina impressa in film, serie tv, video
musicali. Attraverso il sostegno di Apulia Film Commission, infatti, in poco più di dieci anni sono state oltre 500 le produzioni audiovisive che hanno scelto la regione come location per i loro film. Ma il futuro dell’occupazione è anche legato alla capacità di riuscire a sfruttare al meglio le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza – Pnrr, che rappresentano una grande occasione di sviluppo. «La Regione sta intensificando le sue politiche di intervento in alcuni settori chiave della nostra economia. Come il settore aerospaziale. Ma sono importanti e possono generare ulteriori occasioni occupazionali per i più giovani anche i poli della biotecnologia, della chimica, dell’artigianato artistico» evidenzia Alessandro Delle Noci, assessore alle Politiche Giovanili della Regione Puglia. L’occupazione dei giovani e il trasformare le loro idee in imprese sono tra le finalità dei progetti “Pin– Pugliesi Innovativi” e “Luoghi Comuni”. Con il primo sono stati finanziati 529 progetti imprenditoriali presentati da giovani tra i 18 e 35 anni, con il secondo «abbiamo consentito di rivitalizzare 104 spazi pubblici sotto-utilizzati lungo tutto il territorio regionale, coinvolgendo oltre 170 organizzazioni giovanili che hanno presentato progetti di innovazione sociale per il riuso temporaneo di questi beni» aggiunge Delle Noci. Anche perché secondo l’Istat sono 200mila i giovani Neet che né studiano né lavorano, e diventano 250mila se si amplia il campione fino a 34 anni.
Il lavoro in questa fetta del Mezzogiorno d’Italia, dunque, è forse la risposta più efficace alle seduzioni del guadagno rapido e veloce offerto dai sodalizi criminali e dalle varie misure di sostegno al reddito. «Il settore sociale e socio-sanitario ha conosciuto in questi anni trend di crescita molto significativi, ma questa crescita non è stata accompagnata da politiche adeguate rispetto ai reali bisogni dei servizi di welfare della cittadinanza e da processi di innovazione e di integrazione fra servizi privati e pubblici» spiega Daniele Ferrocino, presidente di Federsolidarietà Puglia, che conta 438 cooperative aderenti per un fatturato di circa 170 milioni di euro e più di 7.800 occupati. «Da quando è esplosa la guerra in Ucraina i costi delle bollette e delle materie prime stanno rendendo tutto più complicato e l’impatto rende più difficile mantenere certi livelli occupazionali. Va considerato anche che nel 2019 c’è stato il rinnovo del contratto collettivo nazionale che le stazioni appaltanti e la Regione Puglia non hanno ritenuto di dover rivedere in base d’asta, nelle gare, per cui di fatto i maggiori oneri del personale non tutelati da tariffe sono tutti a carico delle
Stiamo assistendo a una divaricazione fra sanitario e socio-assistenziale perché si pensa di poter raggiungere i Lea senza impegnare nuovi fondi
cooperative». «Anche noi in Puglia stiamo andando verso una divaricazione fra sanitario e socio-assistenziale, perché si vuole raggiungere l’obiettivo dei Livelli essenziali di assistenza — Lea senza impegnare risorse. Questo significa, per esempio, che molte comunità socio-riabilitative che stavano nel regolamento dei servizi socio-assistenziali adesso con i nuovi regolamenti sono state trasformate in Rsa di mantenimento e questa è una divaricazione che va contro natura» rileva Pasquale Ferrante, responsabile Legacoopsociali Puglia, che conta 90 cooperative aderenti, 2.900 lavoratori e lavoratrici, 908 soci ed un valore di produzione di oltre 75 milioni di euro. «Per noi gli obiettivi sono quelli di generare un welfare di prossimità che incrocia i nuovi modelli di domanda, di bisogni, di interventi personalizzati. Tutto questo è il welfare delle capacità di vita. Per realizzarlo però ci vogliono un’amministrazione pubblica che per numero e competenze deve essere strutturata e una legge regionale che recepisca il codice del Terzo settore e lo coordini con le normative regionali per favorire i processi di co-progettazione e co-programmazione».
Intanto, l’avvio del V piano regionale delle politiche sociali 2022-2024, che coinvolge 45 ambiti territoriali per un totale di 257 comuni, rappresenta una delle opportunità principali in materia di welfare, di attivazione di servizi sociali e socio-sanitari, di presa in carico delle persone più fragili. Oltre 1,1 miliardo di euro cui aggiungere 86 milioni di euro del
Pnrr e altri fondi europei. Famiglie, minori, invecchiamento attivo, persone con disabilità, povertà, donne vittime violenza. Ed altro ancora, per un totale di sette aree strategiche. «Questo è un piano di visione, che nasce dopo la pandemia che ha acuito tante disparità e disagi sociali già esistenti» spiega Rosa Barone, assessora al Welfare della Regione Puglia.
Mafie & caporalato
La Puglia conta un sistema economico e produttivo messo sotto stress da una serie di fattori inquinanti e foschi che ne determinano la crescita, la libertà, la sicurezza. Come la presenza della mafia. In Puglia «il contesto mafioso, in continua evoluzione e tradizionalmente distinto in mafia foggiana, camorra barese e sacra corona unita, ha saputo sviluppare una politica di consolidamento e di espansione caratterizzata da una penetrante e pervasiva capacità di controllo militare del territorio e da una spiccata vocazione relazionale finalizzata all’attuazione di un più evoluto modello di mafia degli affari», scrive, nella relazione della Direzione investigativa antimafia — Dia depositata in Parlamento, il procuratore generale presso la Corte d’Appello di Bari, Anna Maria Tosto. Anche l’agromafia è ben radicata nei territori, come documenta il VI rapporto tematico redatto dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil.
Dalla produzione al trasporto, dalla distribuzione alla vendita, il dossier stima il volume d’affari complessivo delle agromafie
Si stima che nell’ultimo anno il volume d’affari complessivo delle agromafie sia salito a 24,5 miliardi di euro: il
12,4% in più rispetto al 2021
a 24,5 miliardi di euro l’anno, con un balzo del 12,4% nell’ultimo anno. Tra le pieghe che annacquano l’economia pugliese, si fanno strada anche fenomeni ben radicati come caporalato, sfruttamento e presenza dei ghetti, dove vivono migliaia di braccianti migranti in difficili condizioni igienico-sanitarie e privi di diritti, che nel periodo estivo possono toccare punte che oscillano tra le 34mila e 45mila presenze. «Con la nostra attività del sindacato di strada abbiamo censito in tutta la regione 54 ghetti, agglomerati lasciati alla mercé di sfruttatori e caporali, dalle grandi dimensioni come la “pista” di Borgo Mezzanone a quelli più piccoli. I dati del 2021 parlano di 34mila lavoratori stranieri in agricoltura tra comunitari e non comunitari, ma stimiamo anche 15mila braccianti invisibili in tutta la Puglia» dice Antonio Gagliardi, segretario generale della Flai Cgil Puglia. Per superare la logica dei cosiddetti insediamenti informali diventa essenziale «il corretto utilizzo dei 114 milioni messi a disposizione dal ministero del Lavoro ai 12 Comuni interessati che, attraverso progettualità mirate, dovranno individuare nuovi luoghi e modalità di accoglienza per superare i ghetti. Le risorse economiche ci sono, probabilmente quello che oc-
corre e che chiediamo al ministero del Lavoro è di affiancare i Comuni con tecnici capaci di affrontare questa novità». Rileva Gagliardi: «Servono anche la piena applicazione della Rete del Lavoro agricolo di qualità, che non viene convocata dall’Inps, e della legge 199/16, assieme a tutti i servizi annessi: trasporto, assistenza sanitaria, dinamiche del mercato del lavoro, incrocio tra domanda ed offerta occupazionale».
Ma non di sola occupazione si vive in Puglia, perché c’è una vasta platea di persone potenzialmente abili al lavoro che trova nelle varie misure di sostegno al reddito una prima risposta alle proprie esigenze economiche. Lo Stato, quindi, che prende in carico chi per i motivi più diversi non riesce ad entrare o non è mai entrato nel mercato del lavoro. A riguardo, attraverso la misura del Red (Reddito di Dignità) la Regione punta a promuovere l’inclusione sociale con un contributo economico destinato ai redditi delle persone in difficoltà. Dal 2016 ad oggi sono state ammesse al beneficio oltre 32mila domande per una spesa complessiva di circa 60 milioni di euro. Inoltre, secondo i numeri dell’Osservatorio dedicato dell’Inps, la Puglia è la quarta regione in Italia per incidenza di Reddito e Pensione di cittadinanza: si è passati dai 91.328 nuclei coinvolti nel 2019 ai 143.195 dello scorso anno, con un numero di persone beneficiarie pari a 346.240 e un importo medio mensile di
579,51 euro. Una povertà a volte feroce che coinvolge cittadini italiani e migranti. Nel 2021 le persone accolte e accompagnate nei Centri Caritas pugliesi sono state 7.495. «Chi si affaccia ai nostri servizi, attraverso l’impegno dei nostri volontari, chiede lavoro, sostegno socio assistenziale, una mano nel pagare le bollette che negli ultimi mesi sono diventate una vera emergenza» dice don Lino Modesto direttore della Caritas diocesana Bari—Bitonto.
In questo quadro economico, culturale e sociale che scandisce i tempi di vita della Puglia, un ruolo fondamentale lo gioca «il mondo del Terzo settore, che incide molto nei territori per tre ragioni» illustra Davide Giove, portavoce del Forum del Terzo Settore pugliese. «C’è un tessuto reale, presente in tutti i 257 comuni, con un presidio riconducibile alle organizzazioni. Abbiamo un livello di rappresentanza molto solido, capace di incidere sul livello delle politiche, che ci permette di sedere ai tavoli regionali per contribuire su qualunque avviso o legge che riguarda il Terzo settore. Infine, va riconosciuta la profonda attenzione che la Regione Puglia ha sempre riservato al nostro mondo che ci permette di co-progettare insieme diverse azioni di intervento». Per quanto riguarda i numeri, invece, c’è qualcosa da registrare: «Siamo in apnea in questo momento. Gli ultimi dati dell’Istat saranno ridimensionati dai numeri
del nuovo Registro unico nazionale del Terzo settore (Runts), perché non tutte le organizzazioni hanno avuto la prontezza di reagire a questa fase di trasmigrazione».
Il futuro della Puglia, probabilmente, è nelle nuove generazioni e negli investimenti e nelle visioni che si programmeranno per non disperdere questo prezioso capitale sociale.
POPOLAZIONE
3.933.777 31 dicembre 2020
4.029.053 1 gennaio 2019
Comuni
257 1 gennaio 2019
214 comuni dove la popolazione diminuisce
Popolazione per genere
1.923.532 maschi
2.209.773 femmine
2019
Popolazione straniera
134.440 residenti
+0,6% rispetto al censimento 2019
Bari la provincia con più residenti (42.292)
POVERTÀ
Povertà relativa (% di famiglie)
27,5% 2021
18,1% 2020
7.495
persone accolte nel 2021 nei centri Caritas
ReD - Reddito di Dignità della Regione Puglia dal 2016 ammesse al beneficio oltre 32mila domande
Reddito e Pensione di Cittadinanza
+63%
91.328 nuclei nel 2019
143.195 nuclei nel 2021
numero di persone coinvolte: 346.240 nuclei familiari coinvolti
Numeri sotto la lente diminuisce la popolazione, aumenta la povertà
34-45 MILA
presenze di migranti nei ghetti (il picco nel periodo estivo)
ISTITUZIONI NON PROFIT
15.655
1.359 252
1.249
18.485
associazioni cooperative sociali fondazioni altra forma totale istituzioni non profit
300.000 volontari
37.811 impiegati
+1,4% rispetto al 2018
Cooperative sociali, associazioni, fondazioni, masserie “civiche”:
da Foggia a Brindisi, c’è un pezzo di Puglia che fa vivere l’innovazione
Casa delle Agriculture “Tullia e Gino”. Dal 2012 un gruppo di giovani ha deciso di restare nella propria terra, a Castiglione d’Otranto, nel Salento. Attraverso il recupero di territori marginali e abbandonati sta dimostrando che è possibile creare agricoltura, lavoro, sviluppo, speranza —
Quando siamo partiti, non avevano terreni e né la possibilità di acquistarli. Abbiamo chiesto ai proprietari di potercene prendere cura
Il termine restanza è quello che, più di ogni altro, sentono vicino. Tanto che la regista Alessandra Coppola ha anche realizzato un film che racconta la loro storia e lo ha intitolato proprio La restanza. Perché il documentario narra le vicende di un gruppo di trentenni di Castiglione d’Otranto, nel Salento, restii al fatto che la fuga fosse l’unica soluzione ai problemi economici, ecologici e politici del territorio. Per questo, quel gruppo di ragazzi scelse di rimanere, legando la propria vita al lavoro agricolo e investendo nel valore della condivisione. La storia, quindi, narra la nascita dell’Associazione Casa delle Agriculture “Tullia e Gino” di Castiglione d’Otranto, che porta avanti dal 2012 un percorso di restanza al Sud attraverso «l’utilizzo di territori marginali per creare agricoltura, lavoro, sviluppo, speranza. Lo dimostra, nel piccolo, la nostra esperienza. Quando siamo partiti, non avevano terreni e neanche la possibilità di acquistarli. Allora abbiamo chiesto ai proprietari dei terreni abbandonati la possibilità di potercene prendere cura, in comodato d’uso, e da lì è iniziato questo cammino che ci ha portati a mettere a dimora 15 ettari che oggi sono diventati la Casa delle Agriculture “Tullia e Gino”».
Tiziana Colluto è la presidente del sodalizio intitolato a
Tullia e Gino Girolomoni, pionieri del biologico italiano.
«Dalla terra si può ripartire, si possono creare opportunità di lavoro e di restanza, ma occorre avere il coraggio di osare, una visione di quello che si vuole costruire, senza lasciarsi schiacciare dal presente» spiega.
«Il nostro modello di agricoltura si basa sull’idea che è possibile restare. Per farlo, bisogna sostenere il protagonismo dei piccoli paesi per farli sopravvivere allo spopolamento e generare economia sostenibile».
Il nostro modello di agricoltura si basa sull’idea che è possibile restare.
Bisogna sostenere
il protagonismo dei piccoli paesi
Per chi vive in questa parte dell’entroterra salentino, sono ormai un punto di riferimento, un presidio di agricoltura naturale, di tutela ambientale, di cittadinanza e partecipazione attiva. «Coltiviamo farro, orzo, ortaggi, legumi, orticole in via d’estinzione, come i cereali antichi, con metodi rigorosamente naturali» prosegue Colluto. «Abbiamo dato vita al primo “Mulino di comunità” d’Italia, con macine in pietra, diventato centro di trasformazione polivalente dei cereali di qualità, che ha ridato valore alla biodiversità cerealicola e leguminosa. Chiunque può portare il proprio raccolto e usufruire di un servizio di molitura a costi equi. L’obiettivo è di garantire a tutti il diritto a un cibo sano e di quali-
tà. Il “Mulino di comunità” ha invogliato tanta gente a tornare a coltivare la terra, anche piccoli appezzamenti abbandonati. È anche uno spazio di acquisto popolare, che mette insieme piccoli produttori». Aggirandosi lungo i campi che disegnano il paesaggio di questi luoghi, dunque, è possibile imbattersi nelle storie dei coltivatori e dei grani come il Senatore Cappelli, lo Strazzavisazz, il Saragolla, il Farro dicocco e monococco, l’Orzo nudo, la Capiniura, il Maiorca, il Gentilrosso.
Su quei terreni una volta abbandonati ed inutilizzati, hanno anche dato vita al “Vivaio dell’inclusione”, un laboratorio sociale in cui seminare biodiversità e inclusione, in cui accolgono scolaresche e quanti hanno voglia di avvicinarsi a queste tematiche. Anche per questo, per affiancare l’importante opera di relazioni, di vincoli di comunità, di sensibilizzazione portata avanti dai volontari, «l’associazione è stata affiancata dalla omonima cooperativa agricola, suo braccio operativo, nata per gestire i terreni e il “Mulino di comunità”, che dà lavoro a sei persone».
Casa delle Agriculture “Tullia e Gino”
Via Vecchia Lecce - Castiglione d’Otranto – Lecce
Tel. 348.5649772
Sito: www.casadelleagriculturetulliaegino.com
Email: ass.casadelleagriculture@gmail.com
Settore d’intervento: recupero di terreni abbandonati, mulino di comunità
Consorzio Meridia. Nato nel 1999, raggruppa 14 cooperative sociali che operano soprattutto in provincia di Bari nella gestione di servizi alle persone anche attraverso l’innovazione tecnologica.
L’area Formazione favorisce l’inserimento lavorativo dei giovani e propone corsi al servizio delle imprese del Terzo settore e profit
Minori, famiglie, giovani, anziani, persone con disabilità. Una ricca partecipazione per confrontarsi, discutere, ragionare su come rendere l’immobile Umberto I di Acquaviva delle Fonti (Bari) un luogo capace di rispondere ai bisogni territoriali, accessibile e sostenibile. Perché la struttura di proprietà della “Fondazione opere laiche palatine pugliesi” sta provando a favorire la rigenerazione urbana e sociale del bene affidandosi al Consorzio Meridia che, il prossimo anno, festeggerà i 25 anni di attività sul campo e che negli ultimi anni sta dedicando uno sguardo ampio ai temi dell’innovazione, della rigenerazione e dei processi partecipativi.
Meridia si occupa di promuovere, tutelare e rafforzare lo sviluppo delle coop sociali impegnate nella gestione di servizi alla persona
«Il Consorzio è nato nel 1999 da un progetto di sviluppo imprenditoriale sociale. Si occupa di promuovere, tutelare e rafforzare lo sviluppo delle cooperative sociali impegnate nella gestione di servizi alle persone e nell’inserimento nel mondo lavorativo di soggetti che si trovano in uno stato di emarginazione sociale» spiega Gianfranco Visicchio, presidente del Consorzio Meridia che, attraverso le 14 cooperative sociali aderenti, opera soprattutto a Bari e provincia, generando circa mille posti di lavoro.
«Meridia, quindi nasce come soggetto regolatore delle re -
Negli ultimi 10 anni, abbiano spinto sull’innovazione con progetti sperimentali su servizi domiciliari, domotica e telemedicina
lazioni tra le cooperative, per generare contatti e per supportarle nella fase di crescita. Fase che, dopo tanti anni, è oramai superata, facendo diventare le cooperative soggetti protagonisti del welfare nella provincia di Bari ed in Puglia. Negli ultimi dieci anni le nostre attività, da un lato, hanno spinto sul fronte dell’innovazione attraverso progetti sperimentali dedicati ai servizi che le cooperative svolgono, come i servivi domiciliari, di domotica, di telemedicina e tante attività di supporto all’attività ordinaria; dall’altro siamo stati tra i promotori, circa sette anni fa, di un’Agenzia per il lavoro, il Consorzio Mestieri, specializzato nell’erogazione di servizi di orientamento, selezione del personale e supporto alla ricollocazione professionale».
Proprio questo avvicinamento ai temi dell’inserimento lavorativo, negli anni ha coinvolto l’attenzione del Consorzio Meridia anche sulla necessità di avviare corsi di alta formazione certificata, mettendosi al servizio delle imprese.
«Oggi proponiamo percorsi di formazione al Terzo settore, ma anche al settore profit, proponendo alle imprese dei progetti che pongono le persone al centro» aggiunge Marilena Resta, referente area progetti di Meridia.
«Proponiamo azioni formative in cui le persone sono protagoniste dei percorsi di cambiamento e accompagniamo le organizzazioni soprattutto su percorsi legati ai temi della leadership, alla gestione dei gruppi. Oltre a quest’area dedicata alle imprese abbiamo anche un’attività legata alla misura di Garanzia Giovani, rivolta ai Neet — Not in education, employment or training, tra i 15 e 29 anni per aiutarli a entrare nel mondo del lavoro anche attraverso percorsi formativi professionalizzanti, valorizzando le loro competenze». Il prossimo anno, dunque, Meridia celebrerà 25 anni di impegno, un’occasione per riflettere sul ruolo dei Consorzi e sulle sfide che li attendono. «Oggi i Consorzi devono spingersi verso una funzione che li veda diventare sempre più attori economici dei territori» conclude Visicchio. «La cooperazione sociale deve assumere questa consapevolezza, non siamo realtà residuali che devono occuparsi solo dei soggetti svantaggiati, ma siamo attori economici che possono dare contributi importanti. Perché abbiamo competenze per fare progetti sperimentali, per favorire la partecipazione dei cittadini, per sostenere la crescita delle comunità.
Consorzio Meridia
Viale della Repubblica 71 H/ I – Bari Tel. 080.5282318
Sito: www.consorziomeridia.it
Email: meridia@consorziomeridia.it
Settore d’intervento: gestione di servizi alla persona, inserimento lavorativo
Consorzio Oltre. Nato a Foggia dopo un lungo percorso di attività comuni fra le diverse realtà aderenti, è composto da nove cooperative sociali per promuovere processi di partecipazione attiva, di economia civile, di accoglienza e di inserimento lavorativo delle persone più fragili —
«Non avevo mai lavorato in vita mia, lo sognavo da quando ero piccolo. Sono molto contento di poter vivere questa opportunità. Mi piace lavorare nel forno, preparare i taralli, impastare, metterli a cuocere». Antonio Cappa ha 47 anni ed è uno degli ospiti di “Casa per la Vita Brecciolosa”, gestita dalla cooperativa sociale “Sicura” a San Marco la Catola, nel foggiano, per accogliere persone affette da problematiche psicosociali o psichiatriche. Come Antonio, che attraverso percorsi di inclusione ha iniziato a lavorare nel forno del paese per realizzare taralli. Mamadou Kebe, invece, in questi ultimi anni ha imparato «tutte le tecniche per lavorare la terra. Mi piace quello che faccio e quando ritornerò nel mio Paese voglio prendermi cura della campagna che aveva mio nonno per vivere di agricoltura». Mamadou viene dal Senegal e dopo aver conosciuto l’esperienza dei ghetti e dello sfruttamento è diventato un bracciante agricolo impegnato nella cooperativa sociale Altereco che, a Cerignola, gestisce il bene confiscato alla mafia di “Terra Aut”. Williams “Sundjah” Sassene si definisce un “rifugiato poetico”. È arrivato a Bari per «inseguire uno sguardo di donna», dopo aver lasciato la sua terra per coltivare il sogno
Mi piace quello che faccio e quando ritornerò in Senegal voglio prendermi cura della campagna che aveva mio nonno per vivere di agricoltura
La nostra è una visione comune. E stare insieme conviene alle imprese, ai territori, alla comunità. Crescita, occupazione, consolidamento delle posizioni
della musica. Oggi si divide tra la sua passione musicale e il lavoro di mediatore culturale a Casa delle Culture di Bari, gestita dalla cooperativa sociale “Medtraining”. «Ognuna delle nostre cooperative opera per favorire l’accoglienza e l’inclusione socio-lavorativa delle persone più fragili e per incidere nei territori, avviando processi di partecipazione, di economia civile, di animazione, di sviluppo culturale e sociale». Antonio Cocco è il direttore del consorzio di cooperative sociali “Oltre/la rete di imprese”, che opera nel foggiano e in diverse città pugliesi per soddisfare «una visione comune: stare insieme conviene alle imprese, ai territori, alla comunità. Crescita, occupazione, consolidamento delle proprie posizioni».
Il consorzio, che oggi coinvolge oltre 200 occupati nelle nove cooperative e genera un fatturato di circa 5 milioni, è nato dopo un percorso che, negli anni, ha visto operare insieme le diverse realtà oggi aderenti alla rete. «Siamo nati nel 1999 dando vita alla società Euromediterranea, impegnata soprattutto in progettazione e ricerca sociale e offrendo assistenza tecnica agli enti pubblici e privati per favorire lo sviluppo delle politiche sociali nei vari territori», spiega Cocco.
«Dopo questa prima esperienza, abbiamo maturato maggiori consapevolezze e competenze che ci hanno permesso di allargare i nostri interventi, abbracciando diverse tematiche». Accoglienza dei migranti, contrasto alla tratta e allo sfruttamento, gestione di beni confiscati alla criminalità, agricoltura sociale, inserimento lavorativo di persone con problemi di salute mentale, gestione di strutture socio-sanitarie e socio-residenziali, attività museali e culturali, servizi al lavoro, formazione, assistenza tecnica agli enti locali, cura degli anziani e delle persone con disabilità: «Ogni cooperativa ha una sua vocazione. Lo stare insieme ci permette di crescere e di innescare dei meccanismi multidisciplinari ed integrati nell’offerta dei servizi che svolgiamo». L’ultima sfida è l’apertura a Foggia, nella città della cosiddetta “quarta mafia”, di “centonove/ novantasei”, la bottega che vende prodotti etici, solidali e liberati dalle mafie. «Attraverso i prodotti e gli eventi vogliamo far conoscere testimonianze, buone prassi, economie sostenibili e circolari, per avviare un processo di riflessione e di contaminazione positiva nelle nostre comunità».
Consorzio Oltre / la rete di imprese
Corso del Mezzogiorno 10 – Foggia
Tel. 0881.331373
Sito: www.reteoltre.it
Email: info@reteoltre.it
Settore d’intervento: progettazione e gestione di servizi sociali, politiche di sviluppo
Fondazione Vincenzo Casillo. L’omonimo gruppo imprenditoriale dal 2007 è impegnato in attività filantropiche per sostenere le iniziative sociali e culturali nei territori pugliesi, valorizzare le risorse e investire sulle nuove generazioni. Sono 40 i progetti finanziati lo scorso anno ed oltre 187mila euro di risorse erogate
«La Puglia non aspira a diventare la Lombardia del Sud, ma ha tutte le potenzialità per valorizzare le sue caratteristiche territoriali legate a turismo, enogastronomia, paesaggi, cultura, solidarietà. Anche del suo buon vivere, dell’accoglienza, del valore della famiglia ancora legato alle tradizioni, dei rapporti di buon vicinato, del suo sapere mettere a proprio agio coloro che arrivano. La Puglia è diventata un crocevia di mondi, di persone che vengono per visitarla e rimangano affascinati da angoli bellissimi e suggestivi che spesso neanche noi pugliesi conosciamo». Cardenia Casillo da novembre 2022
Il nostro ruolo è quello di sostenere le categorie più fragili, mettendo in campo interventi importanti non finalizzati al semplice assistenzialismo
è stata nominata presidente della Fondazione Vincenzo Casillo, impegnata a svolgere la propria attività filantropica in particolare sul territorio pugliese, anche se non mancano progetti che la coinvolgono su scala nazionale. L’azione della fondazione punta a sostenere ambiti legati a cultura, istruzione, formazione, borse di studio, enti del Terzo settore, inserimento lavorativo e assistenza sanitaria. «Il nostro ruolo è quello di sostenere le categorie più fragili, mettendo in campo interventi importanti non finalizzati al semplice assistenzialismo, perché non possiamo risolvere situazioni di povertà e miseria, ma attivando azioni capaci
di incidere sulle nuove generazioni, di generare opportunità per territori e persone» spiega Casillo, che fino al momento della nuova carica ricopriva il ruolo di consigliere delegato della fondazione. La carica di presidente le è stata trasferita direttamente dalla madre, Vanda Patruno, che — insieme ai figli Pasquale, Francesco, Beniamino e alla stessa Cardenia — l’ha istituita nel 2007, seguendone ogni passo, ogni iniziativa. La Fondazione, infatti, è nata in onore di Vincenzo Casillo, fondatore dell’omonimo gruppo imprenditoriale che ha fatto della sua visione del lavoro e dell’impresa strumenti per favorire l’espressione della persona, l’inclusione sociale e lo sviluppo del territorio. «Come noi ci siamo ispirati ad altre realtà, come per esempio la Barilla, ci auguriamo che anche altre realtà imprenditoriali pugliesi, magari ispirate dalla nostra azione, possano dare tanto anche nel campo della filantropia e diventare fondazioni. Perché significherebbe creare i presupposti ideali affinché un determinato territorio possa diventare generativo, anche per l’impresa stessa, in quanto si mette in moto un percorso di economia circolare e virtuoso per tutte le comunità».
Ci auguriamo che anche altre realtà imprenditoriali pugliesi, magari ispirate dalla nostra azione, possano dare tanto anche nel campo della filantropia
Del resto, solo nel 2021 Fondazione Vincenzo Casillo ha finanziato 40 progetti, oltre 187mila euro di risorse erogate nei territori per migliorare il benessere delle comunità e per generare impatti sociali, culturali, inclusivi affini alla mission principale. «Una grande parte delle risorse è stata destinata al sostegno di iniziative di carattere culturale, perché i nostri territori soffrono un gap con le regioni del Nord Italia che innesca conseguenze sui vari aspetti sociali, lavorativi, economici che viviamo. Un esempio» prosegue Casillo «è l’emorragia di giovani che vanno via in cerca di opportunità lavorative. Il nostro Mezzogiorno, la nostra Puglia, invece, hanno tante possibilità di crescita che non sempre riescono ad esprimere». Per questo, «la nostra attenzione è diretta in particolare a investire sulle nuove generazioni, affinché in futuro portino luce e speranza nei nostri territori, affinché possa nascere una nuova classe imprenditoriale e politica più illuminata, capace di valorizzare le nostre comunità. Per questo motivo, cerchiamo di offrire, attraverso i nostri interventi, gli strumenti per favorire la formazione, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’imprenditorialità».
Fondazione Vincenzo Casillo
Via Sant’Elia z.i. – Corato (Bari)
Tel. 080.917 204
Sito: www.fondazionecasillo.it
Email: info@fondazionecasillo.it Settore d’intervento: filantropia, sostegno agli enti non profit
M.Ar.TA. Il Museo Archeologico Nazionale di Taranto non è solo un luogo espositivo ma sempre più spazio di innovazione civica e sociale che lavora co-progettando col territorio: processi di digitalizzazione, rassegne musicali, collaborazioni con scuole e atenei. Non scrigno chiuso ma spazio in cui si coltiva la cittadinanza —
Il M.Ar.TA, museo archeologico di Taranto, è nato nel 1887 e ancora oggi occupa la sede dell’ex Convento dei Frati Alcantarini. Costruito poco dopo la metà del XVIII secolo, espone una delle più grandi collezioni di manufatti risalenti all’epoca della Magna Grecia. All’inizio del 2015 la direzione è stata affidata all’archeologa Eva Degl’Innocenti: «Il museo», racconta, «non può solo essere un luogo espositivo ma sempre più deve diventare uno spazio di vita, un’agorà, un elemento identitario». Questo è un museo intrinsecamente legato al territorio dov’è nato. Pur essendo un museo nazionale la maggior parte dei 40mila reperti conservati sono stati ritrovati a Taranto o nel resto della regione. Dalla Preistoria alla conquista romana fino all’alto Medioevo. «Taranto», spiega Degl’Innocenti, «ha avuto periodi di forte crisi economica e anche sociale. Quindi l’idea del classico “museo chiuso” non avrebbe retto». E infatti sotto la direzione di Eva Degl’Innocenti, che ha concluso il suo incarico alla fine del 2022, il museo si è completamente trasformato. «Abbiamo», continua Degl’Innocenti, «parlato con le realtà associative del territorio, con le aziende, le scuole, le università, il comune, la Regione: il museo deve essere, prima di tutto, un centro di innovazione civica». Dal 2015 a oggi, c’è stato un incremento degli ingressi del 50%, sono oltre 80mila, ogni anno, i visitatori, ed è aumentato soprattutto il pubblico di prossimità. Il museo ha quasi ultimato la digitalizzazione di tutti i reperti dell’area espositiva e dei depositi. «Un lavoro di restituzione alla comunità lo -
Firmato un protocollo con l’Asl per analizzare
gli effetti positivi della visita al museo sul benessere psico-fisico dei visitatori
cale, quella scientifica e alla conoscenza mondiale che renderemo possibile attraverso dati in modalità open», spiega. Qui è anche nato un FabLab, laboratorio di artigianato digitale, che usa attrezzature come stampanti o scanner 3d, che consente al visitatore di vivere in maniera alternativa il suo rapporto con l’opera d’arte. Il M.Ar.TA ha firmato inoltre un protocollo di intesa con l’Asl: l’idea è di analizzare gli effetti positivi della visita e dei laboratori svolti al museo sulla salute e sul benessere psicofisico dei visitatori, per poter in futuro concretizzare un progetto di prescrizione della visita al museo da parte dei medici. Ormai punto di incontro e condivisione, per tutto il 2022 è andata in scena la rassegna Musica al M.Ar.TA — Le matinée domenicali, ogni settimana la musica corale e classica, jazz, le incursioni attoriali, hanno stimolato la conoscenza del patrimonio storico, archeologico ed artistico. Ogni concerto ha avuto un’opera del museo come testimonial. «Attività», spiega Degl’Innocenti, «che vede accanto al museo un’eccellenza del territorio, l’Istituzione Concertistica Ico della Magna Grecia. Questo progetto è stato anche un impegno», spiega, «per contribuire alla rinascita delle imprese culturali e creative, dopo la pandemia e
le sue conseguenze socio-economiche». La città grazie al museo sta anche diventando un laboratorio di archeologia musicale con il progetto Quadri Sonori, sempre in collaborazione con l’Orchestra Magna Grecia e il comune. Il progetto prevede la realizzazione di 15 brani in cinque anni. L’orchestra eseguirà ogni opera e la registrerà, così da poter farla riascoltare nei luoghi che ospiteranno il Quadro Sonoro.
Il Sogno di Marsia è stata la prima composizione, a opera del maestro e premio Oscar Dario Marianelli. Il secondo quadro è stato affidato al cantante Achille ed è nata così La Grande Madre: l’ispirazione è nata dall’incontro con Le Veneri di Parabita statuette, che celebrano il culto della fertilità e risalenti a 20mila anni fa. «Ora», chiosa Degl’Innocenti, «il M.Ar.TA è di un’intera comunità che, insieme al mondo dell’associazionismo, è la forza di Taranto. Questo ormai è un museo aperto, un centro di ricerca ed educazione, luogo di dialogo, attivatore di cittadinanza attiva e propulsore culturale ed economico e sono certa che riuscirà a progredire ulteriormente, anche senza di me».
Museo Archeologico Nazionale di Taranto
Via Cavour, 10, 74123 Taranto
Tel. 099.453 2112
Sito: https://museotaranto.beniculturali.it/it/ Settore Intervento: cultura, istruzione, ricerca
Masseria Tagliatelle. La collaborazione tra Comune di Lecce e Fondazione Con il Sud ha generato un nuovo modello di gestione di un bene pubblico. Dopo aver recuperato Masseria Tagliatelle, l’immobile storico attraverso il progetto “Stazione Ninfeo” si trasforma in hub di comunità —
La trasformazione di Masseria Tagliatelle a Lecce racconta l’importanza di attivare forme di collaborazione tra pubblico e privato sociale. Perché quello che fino a poco tempo fa era uno storico immobile di straordinaria bellezza aperto solo occasionalmente, adesso è un bene valorizzato capace di generare inclusione, innovazione sociale, opportunità lavorative e crescita culturale. Succede in Puglia, nel Salento, dove Fondazione Con il Sud e Comune di Lecce hanno sperimentato con successo un’offerta di modello nel campo della gestione dei beni pubblici da parte di partnership a guida del Terzo settore. Da questo percorso condiviso, da cui è stato pubblicato un bando per la gestione del bene, è nato il progetto “Stazione Ninfeo”, orientato a far diventare Masseria Tagliatelle «un hub di comunità attraverso la creazione di un ostello sociale, uno spazio di co-working e un punto di ristoro in cui lavoreranno alcuni giovani del territorio», spiega Christel Antonazzo, presidente dell’associazione Terra del Fuoco mediterranea che, in partenariato con altre associazioni, cooperative sociali, istituti scolastici e organizzazioni del territorio, realizzerà il percorso. Un percorso reso possibile grazie alla concessione in comodato del-
La masseria diventerà hub di comunità, con un ostello sociale, un co-working e un ristoro in cui lavoreranno giovani del territorio
la Masseria per 10 anni da parte del Comune e al contributo alla gestione nella fase di startup di 500mila euro messo a disposizione dalla Fondazione Con il Sud. Dopo aver recuperato, all’interno del grande Parco delle Cave, l’immobile del XVI secolo, che si estende su tre piani, di cui uno, interrato, che custodisce l’ipogeo termale il “Ninfeo delle Fate”, il bene viene quindi restituito alla collettività.
L’incontro con Fondazione
Con il Sud è stato un acceleratore per il capitale sociale della nostra città: ha alimentato l’attenzione della comunità locale
«L’incontro con Fondazione Con il Sud è stato un acceleratore per il Comune di Lecce e per il capitale sociale della nostra città, perché la sua presenza accanto a quella dell’amministrazione comunale ha alimentato e fertilizzato l’attenzione della comunità locale e degli operatori, dandogli il coraggio di misurarsi nella redazione di un progetto che scardina i metodi consolidati di gestione di un immobile. Anche perché spesso ci sono risorse per recuperare e rigenerare dei beni, ma non adeguati investimenti per attivarli», evidenzia Rita Miglietta, assessora comunale alle Politiche urbanistiche.
«La forza di questa collaborazione sta nell’aver riconosciuto il potenziale innovatore di un territorio a livello politico, istituzionale e sociale. Per questo, sento davvero di dover ringra-
ziare il sindaco Carlo Salvemini e il presidente di Fondazione Con il Sud, Carlo Borgomeo, per aver reso possibile tutto questo. A breve sarà consegnato l’immobile, che sarà operativo entro la primavera». “Stazione Ninfeo” vuole diventare un punto di riferimento per il quartiere e per la città. «L’immobile è situato alle spalle della stazione e diventa crocevia di incontri, la prima interfaccia per chi arriva a Lecce, favorendo lo scambio e la conoscenza tra visitatori e comunità», aggiunge Antonazzo. «Il progetto vuole rinsaldare i legami, costruire delle occasioni di dialogo, di incontro, di collaborazione. Vuole diventare un luogo in cui alimentare il volontariato a favore delle fasce più deboli, attraverso attività di doposcuola, di orientamento al lavoro per chi ne ha bisogno, di aiuto agli anziani e alle persone con disabilità. La portineria di quartiere vuole facilitare le risposte ai vari bisogni sociali, offrendo anche sostegno ai familiari dei pazienti ricoverati all’ospedale Vito Fazzi e al Polo oncologico». Uno spazio dell’immobile ospiterà summer school e residenze di comunità, residenze artistiche, laboratori culturali, visite guidate al Ninfeo.
Masseria Tagliatelle
Via del Ninfeo – Lecce
Tel. 0881.331373
Sito: www.tdfmediterranea.org
Email: info@tdfmediterranea.org
Settore d’intervento: hub di comunità con ostello sociale e co-working
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“Qualcosa di Diverso”. La cooperativa sociale ha dato vita a “Xfarm agricoltura prossima”, un progetto che si sta sviluppando su 50 ettari di terreni confiscati alla mafia a San Vito dei Normanni (Brindisi). Un luogo in cui tutelare ecosistema e biodiversità e generare culture, lavoro, senso di comunità —
«Come possiamo trasformare qualcosa legato ad eventi ed attività così negative in un manifesto di buone prassi capace di dare giusto valore al paesaggio agricolo e rurale che abbiamo intorno?». Marco Notarnicola ha ben scolpita nella testa la prima domanda che, lui ed i suoi compagni di cammino, si sono posti quando si sono ritrovati davanti ai 50 ettari di terreni confiscati alla mafia che, dopo il bando promosso dal Comune di San Vito dei Normanni (Brindisi), la cooperativa sociale “Qualcosa di Diverso” era chiamata a gestire. Nata nel 2014, all’interno dell’esperienza del Laboratorio Urbano ExFadda, il primo banco di prova della cooperativa è stata la gestione del ristorante Xfood, per poi passare a qualcosa di decisamente più grande, complesso. Come dar vita ad «un’azienda agricola, ecologica e sociale capace di generare lavoro, benessere per la comunità e miglioramento dell’ecosistema». È su questi terreni, situati a San Vito, nel cuore della Puglia, che la cooperativa ha avuto modo di concretizzare le finalità della legge 109/96, la norma che consente la restituzione alla collettività dei patrimoni sottratti alle organizzazioni criminali favorendone il riutilizzo pubblico e sociale.
La nostra è un’azienda agricola, ecologica e sociale capace di generare lavoro, benessere per la comunità e miglioramento dell’ecosistema
Attraverso attività, legate all’agricoltura, la cooperativa ha attivato 15 posti di lavoro, gli addetti hanno un’età media di 35 anni
“Xfarm agricoltura prossima” è nata così, dalla «visione di voler dare all’agricoltura un valore generativo, che fino a quel momento le era stato negato». Per questo, oltre alla produzione di cibo e ai diversi progetti portati avanti, “Xfarm” è «diventato un luogo in cui generare culture, formazione, impegno, costruzione di comunità, istruzione». Con un obiettivo da perseguire che è all’origine di questo percorso: favorire l’inserimento lavorativo delle persone. «Attraverso attività, strettamente legate all’agricoltura e non, la cooperativa ha attivato 15 posti di lavoro, un risultato importante, soprattutto in relazione al fatto che l’età media è di 35 anni e sono impegnate persone provenienti da diverse parti d’Italia e del mondo».
Suolo, biodiversità, ecosistema: dal punto di vista agronomo, su “Xfarm” si sviluppa un tipo di agricoltura organica rigenerativa, «cioè un approccio verso la terra che cerca di ricostruire ecosistemi che spesso sono stati compromessi dall’agricoltura convenzionale». Le produzioni spaziano dall’olio extravergine d’oliva, «che abbiamo chiamato Manifesto per ricordarci i nostri obiettivi principali», all’uva da vino passando per le uova e gli ortaggi. «I pollai di Hasta l’huevo!
sono mobili, le galline vengono spostate in aree diverse tramite il pascolo razionale, controllato e sostenibile. Mentre “Orto in Comune” consente ai consumatori di diventare coproduttori, finanziando la stagione estiva ed invernale».
Non solo. Perché “Xfarm” è anche «agricoltura multifunzionale, dove facciamo eventi, ospitiamo persone, campeggi, attività formative. Il nostro percorso, quindi, si divide in progetti che riguardano agricoltura e allevamento agricolo e inserimento lavorativo di persone che provengono da percorsi psichiatrici». La sfida più recente è la realizzazione dell’agroforesta di “Xfarm” che, al momento, trova spazio in un ettaro di terreno, «qui abbiamo messo a dimora 15 specie di piante diverse che si integrano e possono sostenersi vicendevolmente. È una sperimentazione avviata alla luce dei danni provocati dalla Xylella alle piante di olivo. Vorremmo esportare questo modello a livello regionale in base alle specificità di ciascun territorio», conclude Notarnicola, «in modo da intervenire laddove la Xylella ha già provocato problemi o in misura preventiva dove ce ne fosse bisogno».
Cooperativa sociale “Qualcosa di diverso”
Via Brindisi, snc. – San Vito dei Normanni (Brindisi)
Tel. 328.2687989
Sito: www.xfarm.me
Email: info@xfarm.me
Settore d’intervento: agricoltura sociale, inserimento lavorativo
Una nuova idea di Puglia nel pensiero del sociologo Onofrio Romano, della direttrice delle edizioni La Meridiana
Elvira Zaccagnino e dello lo scrittoreattivista Leonardo Palmisano
In Puglia abbiamo la connivenza dell’innovazione scintillante e dell’inferno criminale. Queste due facce stanno nello stesso paradigma nascono dalla stessa condizione di perifericità europea.
Bisogna cambiare orizzonte e guardare ai Paesi del Mediterraneo e dell’Est per costruire spazi, mercati e politiche industriali —
Se penso alla Puglia e a come sono andate le cose in questi anni la mia visione è molto critica. Parliamo di anni importanti, riconosciuti come anni straordinari se pensiamo alla Primavera pugliese che ha prodotto grandi cambiamenti politici,
sociali ed economici. L’immagine prevalente è quella di una Puglia risollevata, che costituisce un modello per il Mezzogiorno, che ha generato una vera rinascita. Ho seguito molto da vicino questi processi come studioso, ho contributo anche alla nascita dell’associazione Bari Partecipa.
Non possiamo limitarci a descrivere la Puglia elencando i suoi punti di forza e i suoi punti debolezza, creando una sorta di dualismo tra cosa funziona e cosa no, pensando che la sfida sia come contaminare ciò che non funziona con quello che funziona. Se la poniamo così, rischiamo di non capire quella che è la profonda solidarietà di queste due facce, che non sono due forze che si combattono fra di loro, ma due modi di interpretare e di restare dentro una condizione di perifericità. La Puglia è una regione del Sud, una delle aree più in ritardo di sviluppo nell’Unione europea. Di fronte a questa perifericità riprendo un’avvertenza di Franco Cassano: o inferno mafioso o paradiso turistico. Queste due facce stanno nello stesso paradigma, sono due modi differenti, due perversioni che derivano proprio da una condizione di perifericità. E non è premendo l’acceleratore sul paradiso turistico che emendiamo, in qualche modo, l’inferno mafioso. Sono semplicemente due versioni di una stes-
L’errore è pensare di contaminare le cose che non vanno applicando il modello di quello che funziona: sono le due facce della stessa medaglia
sa derivazione. Penso che la politica in questi anni, mi riferisco in particolare al progetto della Primavera pugliese per come si è sviluppato, abbia lavorato all’esaltazione di questa finta dicotomia. Il pensiero meridiano di Franco Cassano è stata fonte di ispirazione di quel progetto, ma non sono stati approfonditi bene i contenuti di quel testo, che ci portavano ad interpretare il Mezzogiorno non come il “non ancora” della modernità, non come un territorio in cui bisognava spendere tutte le energie per farlo diventare come il Nord, come la buona Europa. L’idea era quella di far emergere le potenzialità del Mezzogiorno per costruire un paradigma differente, non oppositivo rispetto a quello moderno, ma con un’altra modalità di stare al mondo. La Primavera pugliese ha usato questa bandiera, ma poi il pensiero meridiano è diventato una sorta di motore motivazionale per alimentare la battaglia di sempre, cioè che il Mezzogiorno deve diventare ricco, attraente, bello come il Nord. E gli esiti di questo tipo di traiettoria applicati ad una periferia possono essere dirompenti. Abbiamo finito per “selezionare” all’interno della regione il meglio, disoccupandoci della media, della massa, del regime ordinario delle cose. Abbiamo costruito un’immagine molto forte della Puglia a livello internazionale, apprezzata dalle diverse élite, e tutto questo ci ha dato l’illusione di essere arrivati. Il problema è che quanto di tutto questo va a migliorare il tessuto sociale, a dare una prospettiva di vera e propria emancipazione, di libertà, di maggiore consapevolezza alle masse?
Questa discrasia la vediamo dai dati. Sui giornali vantiamo molto spesso successi nel turismo, nell’innovazione, nelle startup, che sono successi qualitativi, ma se andiamo a guardare i dati quantitativi della disoccupazione o quelli economico-sociali che normalmente utilizzano economisti e sociologi per capire la condizione di un territorio, emerge che la Puglia dove stava prima sta ancora oggi. Quello che sta emergendo è una forma totalmente rinnovata di dipendenza dal pubblico. Parlo non solo delle startup, che finiscono per produrre imprese estremamente precarie con una vita media molto bassa, ma di tutte quelle strutture nate sotto i migliori auspici ma che si scontrano contro l’inesistenza del mercato. I governi di sinistra — dal Comune di Bari alla Regione Puglia — hanno investito tutto sull’autosufficienza del mercato, sulla sua sostenibilità. Ma di fatto in un’area depressa come la nostra non c’è mercato, non ci sono portafogli abbastanza pieni per poter alimentare un’offerta culturale così specifica, raffinata, articolata. Di conseguenza, anche le esperienze più forti e competenti sono in sofferenza, non riescono a sostenersi e questo spinge a bussare al finanziamento pubblico attraverso nuovi progetti, nuove misure, alla ricerca costante di flussi finanziari da captare.
La Puglia, insomma, ha scommesso sulla fuoriuscita dal suo stato di minorità sul lato dell’innovazione, della tecnologia, dei servizi. Su un lato molto europeo e moderno. Ma di questo ne hanno beneficiato alcuni strati molto elitari di popola-
La scommessa su innovazione, tecnologia e servizi
è stata vinta solo dalle fasce di popolazione più attrezzate.
Ma agli altri chi ci pensa?
zione, persone provenienti il più delle volte da famiglie estremamente istruite. Mentre alla grande massa chi ci pensa? Ci pensa il Reddito di cittadinanza, una forma residuale che constatata l’inefficacia del mercato, dello Stato, diventa una sorta di mancia per aiutare le famiglie che non ce la fanno economicamente. Ma se la politica pensa al cinema, al turismo, ai servizi elevati, la grande massa va dal Reddito di cittadinanza oppure si vota alla protezione dei poteri criminali. Per questo in Puglia abbiamo la connivenza dell’innovazione scintillante e dell’inferno criminale. Ma le cose sono profondamente solidali, perché se politicamente pensi a lustrare la regione poi quello che c’è sotto e non si vede continua ad espandersi. Il quadro, quindi, per quanto mi riguarda è a tinte fosche. C’è una strada da percorrere per uscire fuori da questa dicotomia. Le premesse sulle quali è nata la Primavera pugliese restano valide. Ormai in Puglia si sono avviati dei processi importanti che hanno generato anche un buon riscontro, che esercitano un’egemonia di impatto nell’immaginario. Ma dobbiamo superare questa discrasia: gli illuminati dall’alto che fanno politiche innovative e che non coinvolgono mai “il popolo”. Per questo, la prima cosa da fare, al di là di ogni idea o valore politico, è di
riprendere le redini della democrazia, a livello amministrativo e regionale. Bisogna ripartire dal coinvolgimento vero delle persone, dalla loro partecipazione politica, confrontandosi sui grandi valori, sui grandi temi, sugli indirizzi politici di un’amministrazione. Questo si può fare se coloro che oggi sono ai vertici delle amministrazioni trovano delle modalità per generare dei processi di partecipazione democratica, per aprire degli spazi. A quel punto molto cose si potrebbero fare. Come Puglia dobbiamo costruire una politica estera, che non abbiamo. Dobbiamo costruire una politica industriale, che non abbiamo. Non possiamo più convivere con il paradosso continuo che vede le pagine dei giornali scrivere che il turismo va bene, che i b&b sono pieni, che abbiamo le migliori startup e poi invece all’Ilva di Taranto si registrano 14mila licenziamenti con tutto l’indotto. Quello dell’Unione europea è un modello economico che in periferia non può funzionare, perché è un modello ordoliberale basato sul mercato. Dobbiamo pensare, invece a spazi economici con i nostri vicini, con i Paesi del Mediterraneo, dell’Est, che ci consentano di costruire una politica industriale, dei servizi importanti per i cittadini e di allargare gli spazi di democrazia e di opportunità.
Dobbiamo recuperare spazi di partecipazione per i cittadini. E per farlo occorre dialogare con i nostri vicini del Mediterraneo e dell’Est
Elvira Zaccagnino
imprenditrice culturale, direttrice delle edizioni La Meridiana
La cultura è sociale oppure non serve. Lo schema della continua replica di festival, fiere, eventi e spettacoli purtroppo si è dimostrata compatibile con lo sviluppo della criminalità organizzata, l’aumento della disoccupazione conseguente alle crisi industriali di Brindisi e Taranto. Non è questa la strada giusta —
Partiamo da una domanda: la Puglia o le Puglie? La risposta è una sola: le Puglie. L’estensione impone di sottrarsi a ogni forma di pensiero unico. La Puglia è lunga. Da Foggia a Lecce sono in linea d’aria 253,02 chilometri. Ad est di Foggia c’è il Gar-
gano, con una estensione di 2.015 chilometri quadrati, e a sud di Lecce ci sono ancora 71,23 km per arrivare a Santa Maria di Leuca dove il tacco d’Italia sprofonda nell’incontro tra Adriatico e Ionio. Nel mezzo una provincia di giovane costituzione, che già nel darsi un nome racconta la difficoltà di una sintesi: Bat (Barletta, Andria, Trani); un’altra, Brindisi, schiacciata da una infelice storia industriale adombrata dalla più complessa storia industriale di Taranto, ma collocata in una delle zone più suggestive dell’intera regione: la valle d’Itria. A sovrastare su tutte Bari, la città del governo regionale e la città che di sé si è sempre pensata e racconta come città metropolita, con un’anima levantina, città di scambi e affari e cultura.
È così diversa la Puglia che una narrazione sociale unica la mortifica. Come anche una narrazione culturale. In realtà una narrazione la Puglia ha cominciato a darsela negli anni Novanta del secolo scorso quando si è scoperta e ha cominciato a capire di sé di essere regione di confine soprattutto grazie al pensiero meridiano di Franco Cassano e all’esperienza pastorale di don Tonino Bello. Forse è stato allora che la Puglia ha cominciato a guardare a se stessa con un destino unico nella geografia nazionale, europea e mondiale e a scoprirsi diversa nella capacità di rispondere all’accelerata che la politica e le politiche degli anni Duemila innescavano nel glocale. È stato allora che il pensiero ha dovuto non solo essere pensato ma immediatamente darsi parole e a farsi sostanza in pratiche necessarie. Allora la Puglia ha cominciato a vedere, ad essere vista ma so -
prattutto a vedersi e a capire che negli scenari mondiali doveva scegliere il corso da dare al suo destino. A stare con la schiena dritta e non con il cappello in mano.
Se si potesse racchiudere in un giorno preciso il momento in cui questo è stato chiaro, la data è l’8 agosto del 1991. E la foto di quel giorno è già nei manuali di Storia con lo scatto della Vlora e il suo carico umano. Quel giorno la Puglia tutta ha scoperto di dover scegliere da che parte del futuro stare e che, non potendo sottrarsi al destino che la rendeva luogo di destinazione dei sogni di altri, doveva diventare protagonista nelle partite che si aprivano. E, attingendo alla sua Storia, la Puglia imparò dalle sue culture il destino verso cui andare: frontiera da attraversare che non si fa muro verso chiunque arrivi. Alessandro Leogrande ha poi scritto bene del concetto di “Frontiera” e di certo la riflessione gli è nata dalla sua regione di origine.
Il giorno in cui il nostro territorio ha scoperto un nuovo destino è l’8 agosto del 1991, quando è arrivata laVlora con tutto il suo carico umano
Erano gli anni Novanta quelli in cui il fermento sociale e culturale ha cominciato a darsi voce e farsi esperienza viva nei territori, con la nascita dell’associazionismo, delle cooperative sociali ed esperienze culturali che rappresentano ancora oggi una delle infrastrutture più ramificate nel tessuto regionale.
C’è qualcosa che possiamo raccontare e cominciare a inda-
La Puglia ha incominciato a correre negli anni in cui le mafie si facevano sistema sociale: questo oggi è un tema culturale da affrontare
gare come fenomeno anche unico nel Mezzogiorno avvenuto negli anni Duemila quando, con la Primavera pugliese, le politiche culturali e quelle sociali cominciarono a diventare strategiche nello sviluppo economico della Puglia. La visione era chiara. Le scelte politiche e amministrative cominciarono a liberare risorse economiche indirizzandole verso luoghi, spazi e soggetti, soprattutto giovani, che potevano immaginare la cultura e l’impegno sociale anche come un investimento professionale. La Puglia come luogo in cui tornare e terra da cui non andare via. In realtà il terreno era fertile. Occorreva l’innesto e il riconoscimento del valore strategico che le politiche attivate consentirono. Sono gli anni in cui con le azioni delle misure pensate per le politiche giovanili (la prima in assoluto fu Bollenti Spiriti) liberarono e cominciarono a mettere a sistema eventi culturali, azioni sociali, reti di incontro e confronto dove la politica, immaginando una narrazione che vedeva e voleva la Puglia non subalterna ma unica nella sua poliedrica ricchezza di luoghi, tradizioni e culture, su questa specificità immaginava un futuro.
Il riconoscimento che la Puglia si è data, e che le è stato dato a partire da quegli anni, ha rappresentato plasticamente che la cultura e l’impegno sociale non sono ancillari nella corsa e rin-
corsa verso l’innovazione. La Puglia è stata capace di fare innovazione culturale delle sue tradizioni. La Puglia è stata capace di ripensare il suo welfare liberandolo da un immaginario solo assistenzialistico. Ma. E c’è un ma. Che dice la natura composita di una regione diversa nella sua matrice identitaria.
La Puglia ha cominciato a correre negli anni in cui le mafie nella Capitanata e nel Gargano si facevano sistema sociale al punto che il nome dato alla criminalità organizzata di stampo mafioso a Foggia si chiama ancora “La società”, a dire plasticamente di come un sistema illegale sia la risposta immediata ai bisogni delle persone quando lo Stato e la politica locale e il sistema imprenditoriale cedono alla collusione. La Società foggiana resiste ancora oggi a ogni intervento dello Stato e a ogni tentativo dal basso di ricostruire una risposta altra. E questo è un tema anche culturale che impatta il sociale. E la cultura pugliese ha la responsabilità di non aver visto e voluto vedere a lungo il lavoro che le Procure facevano e i dati sugli impatti del sistema criminale sulle comunità.
La Puglia ha cominciato a crescere nel Pil quando il sistema industriale di Brindisi prima e di Taranto dopo sono implosi generando sacche di marginalità sempre più estesa e bisogni di welfare anche sanitario a cui la risposta è spesso stata assistenzialistica e riduttiva perché incapace di ripensare un modello economico industriale effettivamente trasformativo e rispettoso dell’ambiente e della salute. La Puglia ha sì scoperto e valorizzato le sue tradizioni culturali e la sua capacità di fare
innovazione culturale, ma ha moltiplicato e replicato festival e fiere, eventi e spettacoli con un effetto talvolta fotocopia. La Puglia della cultura è diventata la leva privilegiata del turismo. Il che strategicamente va bene ma i dati che dicono l’aumento dei turisti a specchio riflettono indici di lettura tra i più bassi d’Italia e dispersione scolastica in aumento e disagio sociale crescente.
La Puglia del sociale come sistema di welfare è quella che prima assunta come orizzonte di impegno di politiche, poi si è scoperta più facilmente privabile di risorse strutturali.
Cultura sociale o cultura&sociale? Meglio pensare che la cultura o è sociale o non serve. Questo ci è stato chiaro negli anni Novanta per capire da pugliesi che avevamo non una ma tutte le possibilità che volevamo darci per fare della nostra regione un modello di welfare culturale quando ancora questo incrocio lessicale non era nelle agende della politica e nominato nei Bandi europei che costringono gli operatori culturali a pensare che la cultura debba andare oltre i festival e lasciare tracce di cambiamento sociale misurabili, e gli operatori sociali che la cultura non è uno spazio interstiziale nelle attività messe in campo per risanare gli spazi, i luoghi e le persone fragili. La cultura è sociale. In Puglia questo è stato. E questo ancora continua ad essere come spinta dal basso. Una spinta tenace che quando la politica la vede e non la usa ma le dà spazio incide e migliora la qualità di vita delle persone. Quando la usa perdono tutti: la politica, il sociale, gli operatori culturali.
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di Leonardo PalmisanoEssere cervelli pugliesi significa essere dentro un solo grande cervello che è il Mediterraneo. La Puglia è un avamposto di un sistema formale ed informale di accoglienza. Per questo sono nati o fioriti intellettuali e pensatori che hanno innovato un’idea di Mediterraneo allo stesso tempo pacifica e dialettica —
La dimensione mediterranea innerva i miei ultimi (come Mediterranea, uscito ad agosto scorso per il mio editore, Fandango) e i miei prossimi lavori da autore, perché sostengo da tempo la necessità di far ruotare un’idea di cultura e di acco -
glienza meridionale intorno all’asse mediterraneo. La cronaca mal costruita da troppi media racconta un Mediterraneo di sola morte, mentre la vita che arriva viene cancellata dalle pagine di giornale. Noi mediterranei, anche noi pugliesi è ovvio, da tre decenni accogliamo, diamo ospitalità, consentiamo a centinaia di migliaia di migranti di approdare, di attraversarci, di restare, se lo vogliono.
Non è la popolazione meridionale a respingere, ma politiche furiose, che nulla hanno a che vedere con l’umanità che alberga da millenni sulle coste del nostro mare.
La Puglia dunque è pregna di questa umanità, anche se a volte stenta a riconoscerla o a tradurla in politiche (imbrigliata in una normativa nazionale sui e contro i migranti che si chiama Legge Bossi-Fini). La Puglia è, a mio avviso, un avamposto di un sistema formale ed informale di accoglienza. Per questo in Puglia sono nati o fioriti intellettuali e pensatori che hanno innovato un’idea pacifica e dialettica insieme di Mediterraneo. Su tutti gli altri, Alessandro Leogrande e Franco Cassano. Precedentemente, Tommaso Fiore. Il mancato auto-riconoscimento popolare di questo essere accoglienti fa il paio con un eccessivo autocompiacimento della politica, che si appende spesso la medaglia della bontà con gli altri. La politica ha peso, eccome, ma solo perché i pugliesi e le pugliesi hanno scelto di non sottostare alla ruvida legge dell’esclusione. Posso dirlo più di tanti perché mi sono cimentato nel frequentare i luoghi e le parole degli esclusi: i ghetti, le baraccopoli, i campi. L’ho fatto
in prima persona e l’ho fatto fare, dacché presiedo un’impresa, la società cooperativa Radici Future Produzioni, che ha avviato inchieste, progetti di lettura contro le mafie, gestione di biblioteche e progetti di motivazione sociale e pubblica volti a riconoscere i bisogni degli altri come modo di essere e a favorire una risposta istituzionale pronta, efficace, onesta e materna. Lo facciamo quando progettiamo il riuso dei beni confiscati alla mafia, per esempio, rispondendo a bandi dell’Agenzia della Coesione o di Fondazione Con il Sud aiutando tanti comuni pugliesi — come Manduria, Mesagne, Triggiano — a individuare indirizzi puntuali nel dare senso a questi spazi un tempo in mano al crimine organizzato, alle tante o troppe mafie pugliesi. Lo facciamo quando predisponiamo la lettura di quasi quindicimila testi contro le mafie in LegalItria, progetto di lettura che copre circa cinquanta comuni, alcune case circondariali, molti centri famiglia e centri per minori a rischio. Lo facciamo quando progettiamo funzioni economiche e sociali dentro spazi pubblico/privati, come a Sammichele di Bari dove stiamo ideando, in raccordo con il Politecnico di Bari e con l’amministrazione comunale, un cervello per l’agricoltura innovativa nel Mediterraneo: un agrihub, il primo di que -
Se non fossimo pugliesi e immersi nella nostra unicità meridiana non avremmo la propensione all’accoglienza che abbiamo (malgrado la politica)
sto genere al Sud. Lo facciamo quando gestiamo una biblioteca comunale, a Erchie, nella quale abbiamo incardinato il primo centro pubblico di documentazione sulle mafie intestato a Peppino Impastato e convenzionato con Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato di Cinisi. Lo facciamo quando gestiamo una biblioteca sui Monti Dauni, a San Marco la Catola. Posto incredibilmente bello e suggestivo, abbarbicato su queste alture tutte da scoprire. Lo facciamo quando proviamo a fermare il consumo di sostanze stupefacenti portando musica tra i giovani con giovani artisti, itinerando nei loro stili e linguaggi. Stiamo facendo questo a Massafra, per esempio, rispondendo a un’esigenza avvertita da un’amministrazione attenta a contenere devianza e dipendenza tra gli adolescenti. Lo facciamo, infine, quando vinciamo un bando della Regione Puglia per promuovere il Terzo settore pugliese in Lussemburgo, dove insistono imprese che non si sono mai confrontate con i bisogni sociali, ma che vogliono essere aiutate, che vogliono un modello di riferimento.
Cosa c’entra tutto questo con il Mediterraneo? Se non fossimo pugliesi, se non fossimo così dentro questa differenziata unicità meridiana, non faremmo tutto questo. Essere cervelli pugliesi, perché questo siamo, è essere dentro un solo grande cervello che è il Mediterraneo. Non possiamo né vogliamo prescindere da questo pensatoio involontario. Vogliamo estendere questa mediterraneità nostra oltre il confine stesso del mare. Stiamo cercando di raggiungere i luoghi del riscat-
to più vicini: la Palestina, la Siria, l’Iran, il Kurdistan, l’Armenia… Territori contesi da autocrati, sovrani assoluti e altri assolutisti.
La nostra idea di Mediterraneo è di apertura. Ci inscriviamo in una delle due tendenze che hanno contraddistinto la storia politica ed economica del bacino: l’apertura (Venezia), la chiusura (i fascismi guerreggianti dell’età moderna). Il nostro modello è esplorativo. Le cose che mettiamo in cantiere non ci fanno fermare un attimo. Estendiamo la rete dei nostri rapporti. Intessiamo relazioni con altre imprese. Personalmente mi sento vicino a Marco Polo, capace di estrarre valore intellettuale dai suoi pellegrinaggi commerciali. Era un pioniere dell’antropologia sociale, dell’etnografia di incontri che Marc Augé (un altro mediterraneo) ha formalizzato come disciplina. Ed era, Marco Polo, un mediterraneo, un uomo della costa adriatica, abituato a guarda a sud-est, come tutti noi che qui nasciamo e che qui abbiamo deciso di fermarci o di tornare: di vivere. Se penso ai miei soci, invece, alcuni definiscono le cose come fece Braudel proprio con il Mediterraneo. Altri, donne soprattutto, si accaniscono nella lotta intellettuale alla mafia, come solo noi mediterranei, che le mafie le abbiamo partorite, sappiamo fare: come Peppino Impastato, come Pippo Fava, come Giancarlo Siani. Ecco, in sintesi, cosa mi fa dire di appartenere totalmente al solo mare che unisce e divide sempre chi lo abita da chi lo attraversa.