La Calabria che riparte

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LA CALABRIA CHE RIPARTE Esperienze, storie, sogni e

visioni per riscrivere il presente

Contributi di: VITO TETI

MARINA GALATI → VINCENZO LINARELLO

GABRIELLA REILLO → GIOVANNI TIZIAN

PINA AMARELLI → GIACOMO PANIZZA

IRENE COLOSIMO → SILVIO GRECO

GENEVIÈVE MAKAPING

Prefazione di: GIUSEPPE SMORTO

Un progetto di:

Un progetto di:

Vito Biolchini, Gabriella Debora Giorgione, Alessandro Puglia, Anna Spena, Maria Pia Tucci

direttore: Stefano Arduini

progetto grafico: Matteo Riva

01 → RIPARTIRE DALLE AREE INTERNE Vito Teti

02 → RIPARTIRE DALLA FINANZA ETICA Marina Galati

03 → RIPARTIRE DALLA TERRA Vincenzo Linarello

06 → RIPARTIRE DAL CAPITALE UMANO Pina Amarelli

07 → RIPARTIRE DA UN NUOVO TERZO SETTORE

Giacomo Panizza p. 45

SACERDOTE

08 → RIPARTIRE DALL’AMBIENTE

Irene Colosimo p.

INGEGNERE

09 → RIPARTIRE DALLE PICCOLE STORIE

Silvio Greco p. 61

BIOLOGO

10 → RIPARTIRE DALLA PRESA DI COSCIENZA Geneviève

GIORNALISTA E DOCENTE

Istruzioni per aggirare il presente

Ecco a voi un racconto a dieci voci che guarda avanti. Per uscire dalle emergenze – che sia quella sanitaria, dei rifiuti, o criminale – la Calabria ha bisogno di una coraggiosa visione sociale ed economica, bipartisan e a rispettoso distacco dalla politica, o di quel che ne resta. Quando si parla di Salute o qualità della vita, l’unica contrapposizione possibile è quella fra gli onesti e i disonesti.

Questo presente non ci piace, ragioniamo sul futuro con la forza del nostro passato. Che non è solo fatto di Pitagora o dei Bronzi, ma è la vita di una regione plurale che ha prodotto grandi sogni e grandi intelligenze, per poi vederli svanire. Che può vantare bravi imprenditori e storie di successo e solidarietà, oscurate dalla cronaca nera. Quanti conoscevano Mimmo Lucano prima che lo scoprissero i settimanali americani?

Partiamo quindi dalla visione, l’esempio e le esperienze non mancano. Il momento è ora: non servono Grandi, ma

Buone opere. Se il Rettore dell’Università della Calabria (quasi 25mila iscritti) protesta per i trasporti, se dice che per molti studenti calabresi è più facile trasferirsi a Roma, diamogli ascolto. Creiamo un sistema che favorisca non le partenze, ma i ritorni.

Carmelo Basile, ingegnere, scoprì l’uso e l’importanza delle biomasse in Germania, ormai più di dieci anni fa. È tornato a casa, ha fondato la Fattoria della Piana, che accoglie lavoratori di cento Paesi, produce latticini e salumi. Ma produce anche energia raccogliendo gli scarti agricoli di tutta la zona, felicità reciproca. Ora è tornata anche la figlia di Basile, che era manager di Amazon: insieme al compagno, crede in questa terra.

Favoriamo i ritorni. Lo smart working ha aperto una strada: sono almeno 45mila i giovani (quasi tutti qualificati e con uno stipendio alto) che sono tornati a Sud in questi mesi, fonte Svimez. Il fenomeno, già timbrato dalla Treccani, si chiama South Working. Ma a questi professionisti non basta il cielo terso o i prezzi bassi, hanno

bisogno anche di servizi. In Calabria solo tre bambini su 100 frequentano gli asili pubblici.

Il futuro potrebbe stare tutto dentro queste storie: anche l’economia verde, la rivoluzione digitale può aggirare il presente, il problema dei trasporti, i ricatti locali. Amazon sarà certo il nemico di molti commercianti, che vanno difesi, ma è anche l’ancora di salvezza di tante piccole e medie imprese. Quante aziende calabresi hanno adeguato la loro presenza sul digitale e sui nuovi media per farsi conoscere all’estero? Certe volte è scoraggiante perfino aprire il sito che le rappresenta.

Aggirare il presente, guardare oltre, rischiare: la famiglia

Caffo scoprì che l’Amaro del Capo piaceva ai turisti che venivano in vacanza a Tropea. E allora perché non allargare la produzione e venderlo anche d’inverno, lontano dalla Calabria? Ora l’Amaro del Capo è il prodotto di punta di un grande Gruppo del settore.

Guai però a parlare solo di agroalimentare, anzi bisogna uscire dallo stereotipo della Calabria solo ‘nduja, sardella e pipi chini. Il mal riuscito spot documentario di Gabriele Muccino ha contribuito a imprigionarci in questa

immagine. Ci sono eccellenze in molti settori, se solo la ‘ndrangheta lasciasse tutti un po’ in pace. Forse non tutti sanno che dalla Hitachi di Reggio escono i vagoni per la metropolitana di Copenaghen e Milano, oltre ai famosi treni Pop. Famosi perché in Calabria sono stati recentemente trionfalmente festeggiati, collegano Reggio e Cosenza per una durata minima di due ore e mezza per 180 km che da quelle parti è comunque un grande risultato.

Quindi anche manifatturiero, operai specializzati, lavoro vero e non virtuale.

E dovendo ripartire da zero, guardiamo anche cosa abbiamo in cassaforte. Tre parchi nazionali e uno regionale, un sistema di camminamenti e trekking da fare invidia a Regioni molto più brave a vendersi e ad accogliere.

Abbiamo avuto paura e siamo stati troppo gelosi. La festa della Madonna di Polsi (speriamo torni presto) non è stata nel tempo solo un’occasione di incontro per le ‘ndrine: è stata anche il punto di arrivo di una fede, la preghiera più importante dell’anno. Anche per i non cattolici, un’esperienza incredibile: già solo i tornanti che scendono da Montalto, o la rabbia per quelle bancarelle di giocattoli

che vendono sì i pupazzi e ma anche kalashnikov di plastica. Il corpo a corpo, i panini e la tarantella (consiglio: non portateci mai il cane, uscirà traumatizzato dalla confusione e dai botti). Ci sono luoghi incredibili e sconosciuti, ognuno ha i suoi. Da poco ho scoperto le Valli Cupe, una riserva naturale della Pre Sila catanzarese. Un posto magico, un canyon da Far West, un sentiero tracciato perfettamente. E che spettacolo la pista da sci da dove si vede il mare. Sta sull’Aspromonte e in pochi altri posti al mondo, come l’argentina Ushuaia e la meravigliosa Vancouver, in Canada: un altro posto dove la montagna si tuffa nel blu, non a caso una città che vince spesso la classifica per la migliore qualità della vita nel mondo: e voi direte, ma che c’entra? C’entra per capire lo spreco di natura e di attenzione che abbiamo subìto in tutti questi anni. Potevamo essere Vancouver, speriamo almeno di tornare Calabria.

Giuseppe Smorto, giornalista de La Repubblica

01 → RIPARTIRE DALLE AREE INTERNE

Vito Teti

«L’entroterra calabrese è l’anima della nostra storia. Chi dice che non si può ripopolare ha le emozioni raffreddate. Per millenni la storia si è svolta in questi luoghi, come fai a tagliare i conti con una storia millenaria?» —

Vivo in un “picciol luogo” (come gli eruditi calabresi chiamavano la loro “patria”), San Nicola da Crissa, in provincia di Vibo Valentia. Vivo tra i due mari, lo Ionio e il Tirreno, tra Pizzo e le Serre Bruniane, le montagne dove San Bruno costruì il suo eremo.

Da questo punto qui, da dove guardo io, il paesaggio è enorme e sconfinato, inafferrabile. Arriva alla Piana di Gioia Tauro fino allo stretto di Messina. Qui è un succedersi repentino di rovine di paesi e paesini. Di storie, miti, leggende, albe, luci, tramonti che fotografo quasi tutti i giorni ormai, e fanno parte del mio paesaggio interiore.

Quando mi affaccio alla finestra di casa mia non vedo

una Calabria, ne vedo tante. E sono geografiche, antropiche. E a tutte loro corrisponde una mobilità, una fluidità, una longitudinalità diversa. Non la puoi racchiudere la Calabria con un solo colpo dello sguardo, non la circoscrivi. Quando si parla di “città calabrese” io sono sempre un po’ terrorizzato. Si fa un uso stereotipato e abbastanza banale del termine identità, come se fosse qualcosa di fisso, monocromatico, una volta che ce l’hai è per sempre, invece, per sempre, non è. L’identità è un progetto, una somma di storie, vicende, elementi che arrivano da civiltà diverse in momenti diversi. La Calabria e i calabresi vengono raccontati e percepiti come uno stereotipo, a volte gli stessi calabresi la raccontano e si raccontano così. Spesso la nostra è un’identità costruita per reazione, ci concentriamo sull’essere chi siamo perché qualcuno ci racconta così: siamo dipendenti dallo sguardo esterno. Chi siamo? Cosa facciamo? Come operiamo? Perché ci vedono cosi? Non è più possibile oscillare tra sentimenti autodistruttivi e autogiustificativi.

Siamo fiaccati da 50 anni di apatia e svuotamento dei paesi. Benedetto Croce diceva che quando gli altri elabo -

rano uno stereotipo e un pregiudizio nei nostri confronti noi dobbiamo fare di tutto per decostruirlo, dire che non corrisponde alla realtà. Interrogarci sul perché ci vedono così superando la sola contestazione verbale del loro punto di vista.

Io dico ripartiamo dall’interno. Ripartire dall’interno significa ripartire dal sottoterra, dell’anima, dalla grotta. Per ripartire dall’interno dobbiamo fare i conti con noi stessi, proiettare le nostre ombre all’indietro e guardare la luce. Ripartire da te stesso serve a me per dire che se riparti da lì hai un punto d’appoggio sicuro e puoi operare concretamente anche fuori. E fuori per me significa i paesini e i villaggi spopolati che hanno lasciato un vuoto geografico, spaziale e psicologico. Questi paesi, l’entroterra calabrese, sono stati l’anima della nostra storia: mete di pellegrinaggio, luoghi di culto. Se questi muoiono, come sta accadendo, la Calabria che cos’è? L’operazione da fare è – prima di tutto – culturale, ideologica. Non è vero che “l’interno”, la montagna, è un territorio inospitale, improduttivo e che non sa accogliere. Questa immagine sbagliata si è diffusa alla fine dell’Ottocento, si è

consolidata negli anni Cinquanta del secolo scorso e corrisponde a quel processo di modernizzazione dove a fare da padrone c’era il mito delle fabbriche, delle città che davano lavoro e allora l’interno si è configurato nell’immaginario collettivo come un luogo arcaico, povero. Eppure per millenni la storia si è svolta in quei luoghi lì, come fai a tagliare con una storia millenaria?

Sì, sono convinto. Ripartiamo dall’interno ma sul recupero bisogna stare attenti. Il paese, e il recupero del paese, non possono diventare un esercizio di “estetica delle rovine”, che qui l’estetica non c’entra, qui c’entra la vita. L’atteggiamento neo romantico non ci serve, nei paesi non si torna per contemplarli così come non si sceglie di restare per assistere alla loro morte. Si torna e si resta, si deve tornare e si deve restare, per farli vivere in un modo diverso rispetto agli ultimi decenni.

Innanzitutto lavoriamo su una rete virtuale, sviluppiamo quel tipo di infrastruttura ma non cadiamo nell’errore facile di credere che basti quella, perché non basta.

Costruiamo nel paese comunità resistenti, resistenti significa tornare nel paese come scelta, come atto, mo -

vimento. Una resistenza che ha a che fare con l’erranza, perché ti senti esule nel paese che abiti, straniero e quindi ti poni le domande “ma io questo luogo come lo riabilito? Come lo rendo vivo, produttivo?”. E le risposte non stanno nelle formule del passato, ma le dobbiamo reinventare noi. E per farlo, per mettere in moto questo genio, qualche incentivo serve: ai giovani prima di tutto, alle donne, a chi inventa qualcosa di bello e lo vuole realizzare in Calabria. Apriamo più biblioteche, mettiamo in sicurezza i centri storici. Non siamo per le grandi utopie, ma per quelle piccole che possono essere non solo pensate, ma pure realizzate. Chi dice che non è possibile cambiare ha le emozioni raffreddate. La Calabria per ripartire non ha bisogno di essere colonizzata, commissariata, ma di aprirsi a chi è andato via e sente di voler tornare, agli immigrati e alla nuova cultura che portano che ospitare è un fatto etico, religioso ma anche assai concreto: conviene all’ospite e pure all’ospitante. Ripartiamo dall’interno, ripartiamo dalla terra perché se alziamo gli occhi vediamo il cielo. Dove interno significa anche senso di esserci, desiderio di presenza. Sono luoghi trasversali, verticali e lon-

gitudinali. Un interno geografico e uno antropologico. Ottocento chilometri di costa e 95% di zone che stanno

dentro, di collina, di montagna che sono l’ossatura della Calabria e hanno visto mille e mila vite. E allora sì, ripartiamo dalle ossa.

Vito Teti, professore ordinario di Antropologia culturale all’Università della Calabria, dove ha fondato e dirige il Centro di iniziative e ricerche Antropologie e Letterature del Mediterraneo.

(Testo raccolto da Anna Spena)

02 → RIPARTIRE DALLA FINANZA ETICA

Marina Galati

«Chi viene sostenuto dalla finanza etica diventa protagonista nel territorio ed è al centro di una sorta di pedagogia finanziaria che aiuta a prevenire situazioni critiche. Ma questa funziona solo se si lavora in rete»

Oggi La Calabria riparte se riparte l’economia. E perché l’economia di un territorio cresca è necessario che le imprese possano accedere al credito. Il credito è un diritto, eppure accedervi in Calabria è difficile: la nostra è una regione ad alta esclusione finanziaria. Ecco che allora il ruolo della finanza etica può essere determinante. Perché la finanza etica non decide di dare credito a un’impresa solo sulla base di una mera valutazione redditizia e di garanzie economiche (che spesso sono fragili), ma soprattutto perché tiene conto di fattori sociali e ambientali. Questo è il suo valore aggiunto. Questi fattori oggi sono stati in parte fatti propri anche

dall’Unione Europea attraverso il concetto di finanza sostenibile, cioè di un credito attento alle questioni ambientali, a quelle sociali e ad una governance realmente democratica di imprese ed organizzazioni a cui si dà credito. Se pensiamo che tutto ciò sia importante, investire nella finanza etica diventa essenziale e anche la finanza etica, a sua volta, può mettersi a disposizione della crescita della Calabria. Le banche qui investono poco mentre Banca Etica, invece, investe molto più di quanto raccoglie, e chiaramente lo fa per attività che legalmente restituiscono ricchezza al territorio. Si riparte sostenendo l’economia reale, quella che crea occupazione vera. Ripartire dalla finanza etica significa sostenere le associazioni che hanno preso in carico i beni confiscati e che per questa scelta sono costrette a investimenti economici consistenti. Ripartire dalla finanza etica significa sostenere l’agricoltura, sociale e biologica. Che poi significa sostenere la terra, elemento essenziale per la nostra regione. E spesso quella terra la si può coltivare nei bene confiscati.

L’immagine che negli anni la Calabria ha voluto darsi non è stata delle migliori, ed è chiaro che l’ultima situazio -

ne sul commissariamento della sanità ci ha messo in ridicolo. Ma ripartire dalla Finanza Etica in Calabria significa anche sostenere la sanità. In questi anni ha sostenuto realtà che hanno promosso dal basso, a partire dalle organizzazioni del Terzo settore e dalle imprese socialmente responsabili, interventi strutturati per la buona salute dei cittadini calabresi da centri di riabilitazione territoriali a servizi per la salute mentale e all’assistenza domiciliare.

La finanza etica qui sostiene l’imprenditorialità femminile, un settore sul quale è necessario puntare perché di solito alle donne non viene data sufficiente fiducia ma la realtà è un’altra. A Vibo, dopo l’alluvione, con lo strumento del microcredito abbiamo sostenuto diciassette donne che avevano subito dei danni ai loro esercizi commerciali. Tutte e diciassette hanno avuto la capacità di restituirlo, a dimostrazione che in Calabria c’è una forza sana, e quella forza va sostenuta. Chi viene sostenuto dalla finanza etica poi diventa protagonista nel territorio ed è al centro di una sorta di pedagogia finanziaria che aiuta a prevenire situazioni critiche. Se la Calabria ha sempre dovuto fare i conti con il fenomeno dell’usura, questo

vale ancor di più oggi, in piena crisi economica. È chiaro che bisogna intervenire per evitare che la situazione si aggravi. Ma la finanza etica funziona solo se si lavora in rete. Non basta sostenere un progetto, di un settore. E allora creiamo sinergie nel territorio in modo tale che da questa unione si possa sviluppare una nuova economia.

In questo contesto, la finanza etica può giocare un ruolo da minoranza attiva. Anche le organizzazioni al servizio dell’ambiente, dell’economia sostenibile e dell’inclusione sociale possono farlo, perseguendo dei micro obiettivi che però determinano un cambiamento importante.

La Calabria può vantare così tante belle intelligenze che però vanno ad arricchire altri territori. Diamogli gli strumenti, facciamoli tornare. Viviamo un tempo che ci regalerà delle sorprese. Ora non possiamo del tutto intuirle ma dobbiamo investire sul digitale, sulla salute e sui temi che rispecchiano la nostra terra. E chi se non in giovani possono stare in queste aree di competenza? I giovani, sia chiaro, non solo calabresi ma anche migranti. È vero che qui non rimangono come in altri territori, ma quelli che restano sono sempre di più e vogliono avere un ruo -

lo da protagonisti. Investire sui giovani migranti vuol dire investire sul futuro della Calabria. Culture differenti possono arricchire il nostro mondo e supportarlo. In che cosa dobbiamo imparare a crescere? A sviluppare una rete appunto. E in questo, l’esempio della finanza etica può servire. Bisogna crescere con altri soggetti che vengono da aree diverse. Oggi esistono forme societarie innovative che possono consentirci di lavorare non più in modo isolato. La finanza etica poi è un esempio di partecipazione. Con noi anche le persone più vulnerabili possono prendere voce e noi siamo in grado di accompagnarle verso nuove opportunità. La finanza etica promuove uno stare assieme sano, dove ognuno vive il territorio nell’interesse di tutti. Non è un caso che, in questo periodo di crisi economica, le grandi banche soffrono mentre la finanza etica cresce. In Calabria ancora non abbiamo uno sportello ma vogliamo puntare sul digitale e su consulenti finanziari in grado di sostenere gli imprenditori verso un processo di emancipazione e di evoluzione della loro azienda. Poi c’è il ruolo del Terzo settore che deve assumersi un po’ più di responsabilità. Lo ha detto Papa Francesco ai

giovani economisti ad Assisi: «Avviate processi e allargate orizzonti». Anche il Terzo settore lo deve fare, pensandosi plurale e capace di mettersi in rete con gli altri soggetti, economici e istituzionali. Infine, la Calabria ha bisogno di credito ma anche il resto d’Italia deve dare credito alla Calabria. C’è bisogno di investimenti seri, con indicatori di risultato realmente verificabili. Perché solo un processo di accompagnamento reale può determinare il cambiamento in Calabria e anche nel resto del meridione.

Marina Galati, componente del Consiglio di amministrazione di Banca Etica. Nel tempo ha ricoperto diversi ruoli da referente dei soci di Banca Etica per l’area sud a presidente del Comitato Etico. È cofondatrice e direttrice dell’Associazione Comunità Progetto Sud (Testo raccolto da Vito Biolchini)

03 → RIPARTIRE DALLA TERRA

Vincenzo Linarello

«Sono troppe le aziende agricole che in Calabria vengono schiacciate dalla ‘ndrangheta. Per liberarle bisogna ricostruire la catena agroalimentare riconoscendo un prezzo equo ai produttori e garantendo, conseguentemente, la sostenibilità del lavoro legale su tutta la filiera»

Cambiare, che per la mia Calabria significa ripartire, è una strategia complessa. E la complessità non è mai monodimensionale. Viviamo nella complessità e ogni ricetta per lo sviluppo e per il rilancio di un territorio, che scelga di fare leva su un solo fattore e non lavori parallelamente anche su tutti gli altri, è destinata a fallire. La generazione di valore economico e la promozione dell’imprenditorialità devono essere coltivate insieme alla coesione sociale, al rafforzamento dell’identità culturale, all’integrazione sociale. Senza un approccio multidimensionale non riusciremo a innescare un cambiamento, né

riusciremo a fronteggiare la ’ndrangheta. Essa stessa, nel male, per tenere sotto scacco la Calabria si muove su più fronti, non solo su quello violento e criminale. In Goel parliamo di “innesco” del cambiamento. Non sarà un’organizzazione – per quanto grande e complessa – a cambiare la Calabria. Il cambiamento è un processo comunitario, per definizione. È utile però che qualcuno inneschi e provochi la reazione a ventaglio del cambiamento, creando le condizioni favorevoli perché il processo si “inneschi”.

Il Gruppo Goel ha scelto di essere la rappresentazione in miniatura della Calabria del cambiamento che proponiamo. Una rappresentazione che attinge alla forza testimoniale delle opere e che si fa immediatamente proposta politico-culturale. Per questo non è un caso che Goel si occupi di sociale, di sanità, di turismo, di agricoltura e di artigianato. La proposta politico-culturale di Goel è l’etica efficace: l’etica non si può accontentare di essere solo giusta, deve necessariamente essere anche efficace. Per esempio, siamo ripartiti dalla terra. Sono troppe le aziende agricole che in Calabria vengono schiacciate dalla

‘ndrangheta. Così abbiamo raccolto alcune di loro in una cooperativa agricola, che con il marchio “Goel Bio” propone i prodotti delle aziende agricole che si oppongono alla ‘ndrangheta. Abbiamo ricostruito la filiera agricola e agroalimentare riconoscendo un prezzo equo ai produttori e garantendo, conseguentemente, la sostenibilità del lavoro legale su tutta la filiera. E oggi gli agricoltori calabresi di Goel Bio, che si sono ribellati al giogo della ‘ndrangheta, ricevono il prezzo più alto per le arance in Calabria. Per la prima volta, opporsi alla ‘ndrangheta si traduce in vantaggi economici immediati ed evidenti: questo vuol dire l’etica che diventa efficace. Con Goel Bio abbiamo dimostrato che è possibile sottrarsi a chi cerca di imporre il controllo del territorio anche in ambito agricolo, attraverso l’aggressione, l’intimidazione, l’estorsione, l’imposizione di cartelli di mercato che violano ogni libera concorrenza e sfruttano allo stremo la manodopera. Nello stesso tempo, abbiamo detto sì: sì alla libertà, ad un’alternativa possibile, ad un riscatto della vita che parta dalla terra. Partire dalla terra significa anche investire in processi di economia circolare. Abbiamo costruito

in Calabria un impianto di produzione di succhi di agrumi esclusivamente bio, dove lavoriamo i frutti “non perfetti” per la tavola ma buonissimi di sapore. Dal residuo dei succhi estraiamo olii essenziali e compost per gli animali. Poi abbiamo anche costruito un impianto di produzione di cosmetici biologici, dove utilizziamo gli oli essenziali e l’olio vergine di oliva, e dove lavorano o si formano i ragazzi a rischio che sono passati, o ancora vivono, nelle nostre comunità di accoglienza. Un’economia circolare che mette insieme sostenibilità ambientale e sostenibilità sociale, perché l’etica non è a compartimenti stagni. Goel è nato nel 2003, oggi in tutto il nostro gruppo lavorano 350 persone, tutte regolarmente assunte. Questo modello può essere allargato, replicato. Intanto stiamo crescendo e vendiamo i nostri prodotti in Italia ma anche all’estero. Ma mentre costruiamo il presente pensiamo al futuro. Pensiamo, ad esempio, a quale sia il modello di agricoltura sostenibile nella competizione crescente del mercato agricolo. La Calabria non può essere solo agrumi e olio d’oliva. Con Comunità Progetto Sud (con la quale stiamo percorrendo un cammino comune) pensiamo che

la biodiversità sia il futuro dell’agricoltura e del turismo in Calabria. Ma pensiamo anche a quale modello di democrazia serve a far ripartire la nostra Regione. E allora, sempre con Comunità Progetto Sud, abbiamo avviato una sperimentazione di educazione alla democrazia partecipativa, il progetto si chiama “riCalabria”. Proprio perché lo sviluppo è un processo comunitario, le persone devono cooperare per costruirlo insieme, non delegando solo allo Stato il governo dei propri territori, ma assumendosene la responsabilità in un’ottica di sussidiarietà.

Vincenzo Linarello, presidente di Goel – Gruppo Cooperativo (Testo raccolto da Anna Spena)

04 → RIPARTIRE DAI NOSTRI GIOVANI

Reillo

«A causa dell’emergenza sanitaria del Coronavirus

tanti giovani sono ritornati a casa, in Calabria. Una seria possibilità di ripartenza è fare in modo che questi giovani rimangano nella loro terra»

Da dove ripartiamo? È una domanda che da quando è iniziata la pandemia ci siamo posti tutti, data anche l’emergenza sanitaria registrata nella nostra regione.

Il mio lavoro, oltre che nelle aule dei palazzi di giustizia, mi ha portato in questi anni anche nelle scuole, dove sono stata spesso invitata nell’ambito dei progetti su giustizia, legalità e parità di genere.

Incontrando tanti ragazzi, nei vari istituti superiori, ho avuto modo di constatare innanzitutto la loro generale coscienza antimafia, con il sostanziale superamento di pregiudizi e modelli comportamentali legati a questa presenza delinquenziale nella nostra regione, ma

soprattutto ho apprezzato la loro vivacità e creatività. In molti casi anche i loro talenti, essendoci anche tanti ragazzi dotati e bravissimi in varie discipline: dall’informatica alla conoscenza delle lingue, la scrittura, la musica. Sono stata anche in università del nord Italia a fare delle lezioni ed ho potuto notare che i nostri ragazzi hanno una maggiore “consapevolezza” nell’approccio con la realtà.

Per questo oggi rispondo alla domanda da cui siamo partiti in modo deciso: la Calabria deve ripartire dai giovani. I nostri giovani sono tenuti fuori da una programmazione politica che non solo non tiene conto dei loro bisogni ma nemmeno, ed è cosa più grave, dei loro talenti, che non chiede e non scrive con loro le pagine di una visione del futuro per la nostra regione per metterla al passo con i tempi. Così facendo è sempre stato trasmesso loro il messaggio che le opportunità per gli studi, il lavoro, la professionalità acquisita, è altrove, non in Calabria.

A causa della pandemia sono ritornati a casa, nella nostra regione, tanti giovani, laureati e non, che studiano e lavorano in altri luoghi d’Italia. Una seria possibilità di ripartenza è dunque, fare in modo che questi giovani riman-

gano nella loro terra, ora che sono stati costretti a tornarci. Secondo il rapporto di Bankitalia sull’economia della Calabria, a fine 2019 non erano stati spesi 1,8 miliardi di euro dei fondi europei e non erano stati impegnati 1,4 miliardi dei fondi Por; con il  livello di pagamento più basso anche tra le regioni meno sviluppate. Vi è all’evidenza una mancanza di idee e di saperi che potrebbe essere colmata mediante l’apporto di questi giovani.

Penso che piuttosto che continuare a finanziare solo rotatorie e lungomari, potrebbero essere studiati dei bandi per la presentazione di progetti finalizzati alla creazione di imprese produttive, incentivando la partecipazione dei giovani e prevedendo che essi stessi siano protagonisti della loro realizzazione, qualora approvati. Hanno idee e know how adeguati.

Ancora, la Calabria presenta eccellenze per bellezze naturali, prodotti enogastronomici e vestigia storiche. Rendere attrattivo questo patrimonio ed immettere professionalità nella sua gestione è un compito che va affidato ai giovani, portatori di conoscenze al passo con i tempi. Nella regione si contano 42 strutture museali (censite

da Musei della Calabria in rete, tra arte diocesana, archeologici, musei specializzati, di arte moderna e contemporanea, antropologici ed etnografici e musei di beni storico-artistici).

Si tratta per la maggior parte di strutture poco conosciute e gestite “in economia”. Molti di questi musei non hanno siti web ed i pochi siti esistenti necessitano di aggiornamento. La programmazione di questi siti e la loro gestione è sicuramente un lavoro da affidare ai giovani informatici della nostra terra attualmente impiegati nelle aziende di comunicazione e pubblicità del Nord. E così anche il collegamento di queste strutture museali con i siti archeologici e le bellezze naturali circostanti, spunti di rivisitazione di una storia millenaria che attende di essere valorizzata.

Si dovrebbe avviare un percorso di formazione per guide turistiche, su un territorio che è anche un parco archeologico a cielo aperto. O di formazione di figure professionali nel settore ambientale-turistico, su un territorio che conta vasti ed importanti parchi naturalistici, marini e montani.

Sono convinta che i nostri giovani professionisti saprebbero valorizzare e pubblicizzare l’“aria più pulita d’Europa” che si respira nella nostra Sila, e rendere fruibile ad un’utenza internazionale i prodotti biologici che coltivano le nostre aziende agricole. I giovani saprebbero creare quella “rete” tra imprese locali e “pubblicità” positiva che vediamo ad esempio attuata da “Eataly” (mediante la commercializzazione anche di prodotti di norcineria, casari, vinicoli e oleari della Calabria).

Emblematica è la vicenda del video pubblicitario per la Calabria affidato a Muccino dalla dirigenza regionale, con una spesa di quasi due milioni di euro. È il retaggio di un

modo sorpassato di ragionare ancorata “al nome famoso” mentre nell’era digitale quello che colpisce è la capacità comunicativa di un’idea, la sua originalità e creatività, che la rende “virale”.

E così si è arrivati al paradosso che il video di Muccino non lo guarda più nessuno, bollato come banale e “fuori dal tempo”, mentre continua a girare il video di un ragazzo romano che è stato una sola volta in Calabria ma che, con ironia e capacità comunicativa, riesce a rendere evi-

denti le peculiarità e le bellezze della nostra regione. Anche in questo caso nessuno ha pensato ad un bando per un progetto pubblicitario che coinvolgesse i nostri giovani talenti.

Ancora, sono rimasti inutilizzati i fondi destinati alla sanità pubblica, ed altri ne sono arrivati in seguito alla pandemia. L’incapacità del governo locale e l’incompetenza dei commissari inviati dal governo centrale è stata stigmatizzata in molte trasmissioni televisive, e ne siamo rimasti amareggiati ed indignati.

È il caso di non restare, ancora una volta, a guardare ma di pretendere che l’attivazione delle nuove strutture ed i nuovi progetti – necessariamente da realizzate – passino per il coinvolgimento dei tanti giovani medici, infermieri, operatori sanitari, anche mediante bandi che valorizzino l’esperienza lavorativa pregressa (spesso da precari in altre regioni d’Italia).

La nostra regione ha un patrimonio inesplorato che è quello della creatività e delle capacità dei nostri giovani, che viene ignorato da anni con caparbietà e “regalato” ad altri territori, quale inevitabile conseguenza di evidenti

limiti ed arretratezza nella capacità gestionale. È invece il valore aggiunto da cui far ripartire la ricostruzione sociale, economica e culturale della nostra regione.

Gabriella Reillo, magistrato, presidente della prima sezione della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro. È vice presidente dell’Associazione

Nazionale Donne Magistrato (Testo raccolto da Maria Pia Tucci)

05 → RIPARTIRE DALLE

STRUTTURE ABBANDONATE

Giovanni Tizian

«Nella frazione costiera di Saline Joniche, in provincia di Reggio Calabria, c’è ancora lo scheletro di una fabbrica, la Liquichimica Biosintesi. Costruiamoci un acquario. Quel mostro di centrale è un errore del passato, l’idea dell’acquario è una possibilità di futuro»

Lo so che è difficile capire la Calabria, un luogo dove i punti di forza sono diventati fragilità. È difficile perché è complessa. Pensate per esempio all’organizzazione criminale con il nome più complicato che esista:’ndrangheta, ce l’abbiamo noi. La camorra, Cosa Nostra sono nomi che si prestano alla rappresentazione cinematografica. Della ‘Ndrangheta, invece, in Italia, nove persone su dieci non sanno nemmeno come pronunciare il nome.

Ma come fa una cosa forte a diventare fragile? Nella

frazione costiera di Saline Joniche, in provincia di Reggio Calabria, c’è ancora lo scheletro di una fabbrica: la Liquichimica Biosintesi, un ecomostro di archeologia industriale costruito, negli anni 70, con i soldi del “Pacchetto Colombo”, miliardi di lire caduti a pioggia per placare le proteste e i moti a rivolta a Reggio. Quella fabbrica lì, quel mostro lì, non è mai andato in funzione. Solo dopo la costruzione si sono accorti di quanto fosse inquinante.

Il progetto che avevano pensato per riconvertirla, era –se è possibile – ancora peggio della prima ipotesi: una centrale di carbone. I cittadini si sono opposti e così quell’idea è caduta nel dimenticatoio. Dopo 50 anni lo scheletro se ne sta ancora lì, a deturpare quel pezzo di costa, che non è un pezzo qualsiasi, ma 90 chilometri di spiaggia, gli unici dove cresce il Bergamotto.

È così difficile immaginare di aprire, anziché centrali chimiche o a carbone, qualcosa che possa attivare turismo responsabile? È possibile, ma che nessuno si sforzi di farlo è un altro paio di maniche. Pensavo ad un acquario, tante città del Mediterraneo che affacciano sul mare ne hanno uno. Un acquario che punti sulla biodiversità

non mi sembra un’ipotesi azzardata e impossibile da realizzare. Non è impossibile perché quel tipo di bellezza lì, è una bellezza che non devi importare. Ce l’hai già, è del tuo territorio, è il tuo territorio.

E lo stesso vale per i borghi interni. Mimmo Lucano a Riace ci aveva provato a trasformare un paesino disabitato in un centro culturale che si sviluppa sull’accoglienza dei migranti e sul turismo di prossimità. Per ripartire il primo passo è “riprendere” un percorso di valorizzazione dei territori, ognuno con le sue specificità, partendo dagli errori del passato. Quel mostro di centrale è un errore del passato, l’idea dell’acquario è una possibilità di futuro.

Vicino a Reggio Calabria, sempre con i famosi fondi del “Pacchetto Colombo”, era stata costruita l’Officina Grandi Riparazioni delle Ferrovie dello Stato. Pure quello è un capannone abbandonato, morto. Come lo riconvertiamo? Facciamoci un museo, qualunque cosa che attiri le persone. Siamo nel cuore della Magna Grecia e – insieme agli edifici – abbiamo abbandonato anche un pezzo della nostra storia, il pezzo più importante.

La soluzione è prendere tutto quello che è “archeologia industriale” e trasformarlo in luogo di cultura per attrarre turismo che non sia di massa. Dimentichiamoci i lidi, le spiagge larghe, e le file di ombrelloni. La Costa Ionica è selvaggia, non deturpiamola ma valorizziamola.

Questo abbandono non lo dovete interpretare come una colpa dei calabresi. Le responsabilità vengono da fuori. Da chi ha fatto piovere miliardi  direttamente nelle mani dei poco onesti.

Sulla Costa Ionica c’è ancora un solo binario. Unico com’è unica la strada 106, una statale. Che colpe hanno i calabresi? Mica decidono loro sulle infrastrutture? Perché a nessuno è mai venuto in mente che anche nella Locride ci fosse bisogno di un binario in più e di una strada dignitosa perché quelle che c’è adesso la chiamano “la strada della morte?”.

Ci vogliono persone – perché prima di tutto dalle persone si riparte – competenti e che sappiano sviluppare un progetto. E ci sono tanti calabresi in giro per il mondo, emigrati che magari vogliono tornare. Ecco cosa gli proponiamo? Non possiamo dire “torna e basta”.

Ma “torna. Ti garantisco le risorse. Puoi vivere bene, lavorare bene, sviluppare i progetti. Ti difendo dalla ‘ndrangheta”. Affinché la regione riparta non bisogna fare l’errore di pretendere che le persone si trasformino in eroi.

Giovanni Tizian, giornalista e scrittore. Ha lavorato all’Espresso e oggi fa parte della redazione del quotidiano Domani. Tra i suoi libri “Nero della Lega” (Laterza) e “Atlante Illustrato della ‘Ndrangheta” (Rizzoli). Originario di Bovalino, in provincia di Reggio Calabria. Ha lasciato la regione a sette anni dopo la morte del padre. Ucciso mentre rientrava da Locri diretto a Bovalino, vittima innocente della mafia  (Testo raccolto da Anna Spena)

07 → RIPARTIRE DAL

CAPITALE UMANO

Pina Amarelli

«L’ impresa pur essendo un presidio privato deve, e sa, di avere un risvolto pubblico, rivolto agli altri: perché un’ impresa non è solo una macchina per fare profitto, ma deve avere uno sguardo attento ed essere in grado di creare una cultura del e sul territorio»

È la cultura la chiave, il punto di partenza. La rivoluzione culturale può essere l’elemento che ci aiuta a superare il gap, molto forte, che la Calabria paga rispetto a tante altre regioni d’Italia. Dobbiamo fare di tutto per evitare l’impoverimento delle risorse umane della Calabria, impedire cioè che i giovani vadano via, perché questo significherebbe perdere l’opportunità di qualsiasi crescita. Già il sistema universitario calabrese, così come si è sviluppato, ha portato una cifra diversa del restare: l’Unical a Cosenza, l’Università Magna Graecia a Catanzaro e la Mediter-

ranea a Reggio Calabria hanno consentito a molti di non andare lontano dalla Calabria per la loro formazione universitaria. Continuare a potenziare il sistema universitario dunque è un’opportunità generativa per una ripartenza duratura. La cultura si declina poi in un’altra sua forma fondamentale: la cultura d’impresa. Il mio fare parte ormai da vent’anni del Gruppo Cultura di Confindustria nazionale, mi consente di avere uno sguardo chiaro sul cambiamento culturale delle imprese. Oggi rispetto al passato, quando il profitto era l’unico obiettivo dell’imprenditore, la cultura d’impresa occupa un posto di maggiore rilievo nello sviluppo imprenditoriale.

Crescere culturalmente per un imprenditore vuol dire innanzitutto avere chiara la responsabilità sociale, essere attenti, per così dire, in maniera concentrica alla ricaduta della filiera produttiva: dai collaboratori ai fornitori, dalla clientela fino ad arrivare ai territori. L’impresa pur essendo un presidio privato deve, e sa, di avere un risvolto pubblico, rivolto agli altri: perché un’impresa non è solo una macchina per fare profitto, ma deve avere uno sguardo attento ed essere in grado di creare una cul-

tura del e sul territorio: che vuol dire rispetto dell’ambiente, sostenibilità.

Tutti argomenti su cui spesso, in Calabria, siamo stati leggeri, dove si sono pensati, progettati, inaugurati e mai partiti, interventi sul territorio: penso a Gioia Tauro (impianto siderurgico mai partito, ndr) dove i progetti sono rimasti solo sulla carta proprio perché inadeguati o alla centrale Enel Rossano, abbandonata. Bisogna comprendere, nella piccola così come nella grande impresa, anche quelle a partecipazione pubblica, che un’impresa è vincente se valorizza il territorio non se lo compromette. Amarelli produce liquirizia da quasi tre secoli, festeggeremo questo traguardo tra 11 anni. La liquirizia è un prodotto tipico, anzi unico della Calabria. Un prodotto che, come il bergamotto, come il cedro si trovano soltanto qui. E già questo è importante. La specificità territoriale è fondamentale per il marketing diffuso. E c’è la salvaguardia dell’ambiente. La liquirizia, come produzione, nasce perché si doveva bonificare il terreno per renderlo coltivabile e dunque era necessario togliere le radici. Un esempio di quella che oggi è chiamata globalmente economia circola-

re, noi lo facevamo già nel ‘500  e quando nel ‘700 abbiamo iniziato a fare l’industria di liquirizia e non più a vendere il prodotto agricolo, la filiera partiva proprio dall’estrazione della radice fino a far diventare combustibile anche la sansa esausta della liquirizia. Ecco, qui, in Calabria, a Rossano, esisteva già la produzione circolare dell’economia.

Seguendo sempre l’idea dell’importanza della cultura e del far conoscere attraverso la cultura una regione come la Calabria la nostra azienda nel 2001 ha inaugurato il Museo il cui accesso è gratuito, dove ci lavorano sette persone, tra le guide del Museo e gli addetti allo shop. Abbiamo così coniugato l’idea tradizionale di cultura aziendale alla divulgazione della conoscenza storica del territorio.

Il Museo della liquirizia Amarelli non è un museo della nostra famiglia, certo il  percorso si snoda attraverso la gallery, i documenti di famiglia, gli attrezzi agricoli, ma la finalità è quella più alta e diffusa: far conoscere la storia  economica di quello che la Calabria ha rappresentato nella storia dal punto di vista produttivo.

Quando si era un distretto produttivo: basta pensare che qui, prima dell’ Unità d’Italia, c’erano circa 80 azien-

de che co-producevano liquirizia, che hanno chiuso in seguito al 1861, per motivi politici ed economici.

Non sono Borbonica, uno dei nostri antenati ha fatto anche il carbonaro. Ma dobbiamo dare atto della loro lungimiranza: con i Borbone la liquirizia era considerato un prodotto tipico, protetto da un punto di vista doganale, per esempio. Così come le ferriere di Mongiana dove si fabbricavano le armi per l’ esercito borbonico ma anche per quello francese e  poi la seta di Curinga, la cannamela: la Calabria era un distretto industriale produttivo. Questa microstoria per molti inedita, narrata grazie alla presenza sul territorio di un Museo, è un messaggio ai giovani che in Calabria è possibile perseguire un’idea di sviluppo economico attraverso l’impresa e che è possibile farlo con successo. Dobbiamo avere etica del futuro nelle nostre azioni e sapere che abbiamo in custodia i beni, come dice Papa Francesco, e fare sì che lo sviluppo sostenibile produca benessere sociale per i giovani ma anche per gli anziani, che sono la memoria senza la quale non c’è futuro. Oggi, c’è la necessità di interrogarsi sul “da dove ripartiamo” e noi, siamo consapevoli, per esempio, che il nostro

prodotto non fa parte del paniere delle cose necessarie, la liquirizia è un prodotto voluttuario e tra piccole rivendite che chiudono causa pandemia e i punti vendita fermi è cambiato anche il nostro modo di vendere, abbiamo esasperato lo shop online che pure era già attivo. Ma abbiamo fatto anche altro. Abbiamo inventato, innovato. E oggi allo shop online abbiamo accostato il tour virtuale al Museo con degustazione guidata. La degustazione guidata della liquirizia con un tour virtuale è un’ innovazione assoluta che ci permette di mantenere il contatto con la nostra clientela e di essere al passo, se non un passo avanti con l’idea di cultura aziendale innovativa e consapevole, che ci permette di riequilibrare parte di quel vuoto economico che si era creato a causa del Covid-19. Ecco la cultura che si innova, qui al Sud, che tiene conto della storia, dell’unicità è una delle chiavi per la Calabria che riparte da sé, con la consapevolezza delle proprie potenzialità. Pina Amarelli, imprenditrice, prima donna Cavaliere del lavoro della Calabria  (Testo raccolto da Maria Pia Tucci)

07 → RIPARTIRE DA UN NUOVO

TERZO SETTORE

Giacomo Panizza

«La scommessa sta nel creare gruppi aperti, capaci di pensare a se stessi e ad altri, di condividere sogni e aspirazioni per un comune destino di questa nostra Calabria. Bisogna generosamente mescolarsi, interagire tra persone di esperienze diverse: uomini e donne, giovani e vecchi, locali e stranieri»

A leggere i giornali trovi articoli che mostrano e ripetutamente vogliano confermare una Calabria sprofondata in ataviche arretratezze. Si occupano di noi se non per dare notizie eclatanti o, talvolta pietisticamente, qualcosa di bello. A emergere però è sempre una Calabria confusa e inadeguata a stare al passo del Paese. Ma questo non è un racconto veritiero.

Io preferirei raccontare una regione a cerchi concentrici. È vero, la popolazione in genere sta molto a guardare sia un governo distratto sia i poteri mafiosi pa-

lesemente forti, e presenti anche tra certi ordini professionali e nelle massonerie deviate. Vedi gente scendere in strada e bloccare l’autostrada, l’unica che c’è, solo per difendere sovvenzioni, anche improduttive, e non invece per proporre cambiamenti produttivi di vere autonomie. Ma accanto a questa Calabria ce n’è un’altra minoritaria, a sua volta forte e più potente di quanto i numeri non dicano.

È dal 1976 che ricevo minacce, una delle case dove abito è sotto programma di protezione a causa della ’ndrangheta locale. Ma il cambiamento in meglio in Calabria è avvenuto, insieme a tante altre persone e gruppi io lo vedo, lo sento e ne parlo da testimone. Intanto, c’è più consapevolezza del danno che fanno le mafie. Poi, quando sono arrivato vedevo donne ancora con il cesto della spesa sulla testa, ora sono quelle che hanno fatto più strada di tutti. Sono più capaci nella politica e nella scuola, anche se vengono costrette fuori o in ruoli solo esecutivi. Non si percepisce, ma esse ne hanno consapevolezza, e tra poco si imporranno invece che rassegnarsi. Sono molto cresciute, ce n’è di grandiose. Studiano di più a al tem-

po stesso si relazionano con intelligenza e sentimento, soprattutto, parlano con figli, amici e parenti.

Poi è cresciuta la capacità dei calabresi di stare nel mercato del lavoro. I giovani maschi e femmine vanno dappertutto a studiare e a reinventarsi la vita. Aumentano contadini e agricoltori che vendono i loro prodotti su internet. Questa crescita non si vede, non viene raccontata. Purtroppo, il cambiamento che vogliamo fa i conti con i limiti evidenti che la classe dirigente regionale ha, e con la mancanza di infrastrutture basilari (con il paradosso di averne tante incompiute). Si sfoggia la grandiosità del perenne futuro ponte sullo Stretto, ma non ci sono strade decenti in una regione al 90 per cento montuosa; le scuole chiuse per il Covid ci rivelano l’assenza di internet in comuni e frazioni. Mancano cose essenziali, compreso un comparto della sanità che non produce salute, e porta la Regione a spendere i soldi in ospedali di altre regioni… È un evidente divario economico, civile e di cittadinanza. Ecco, se mi si chiedesse da dove ripartire, direi: dagli emarginati, da dove sono partito 43 anni fa quando sono arrivato dalla mia Brescia.

Ripartirei con gli emarginati di oggi, con coloro che non hanno niente da perdere. Partirei dalle capacità nascoste o palesi che tanti calabresi hanno. Non so perché sappiamo che gli ’ndranghetisti sappiano fare soldi da delinquenti mentre invece pensiamo che i loro conterranei non sappiano farli da persone oneste! Dobbiamo intendere che non è necessario scappare da questa terra per avere un futuro.

Lavorando qui, capisci che i calabresi valgono più di quanto si pensi. Per fare cambiamento non basta una predica, ci vuole tempo e queste persone amano cogliere la bellezza di dire “io ci sono, io posso avere dei diritti”.

L’esperienza mi dice che chi è in carrozzina può andare all’università, può gestire una casa confiscata. Sono diritti che non possono più essere chiesti o concessi o scambiati per favori perché devono venire partecipati, ovvero costruiti assieme. E il passo successivo diventa il comprendere la bellezza di avere dei doveri. La scommessa sta nel creare gruppi aperti, capaci di pensare a se stessi e ad altri, di condividere sogni e aspirazioni per un comune destino di questa nostra Calabria.

Bisogna generosamente mescolarsi, interagire tra persone di esperienze diverse: uomini e donne, giovani e vecchi, locali e stranieri. È una strategia intenzionale, è il contrario di ciò che fanno i clan. Bisogna interagire costruttivamente tra gruppi. Che fai di differente dai mafiosi se ti organizzi a vantaggio solo tuo e non di tutti? Non basta non sparare! Aprirti ad altri mondi è una strada che porta a risultati sorprendenti.

A Lamezia Terme abbiamo costituito una rete antiracket che ora coinvolge 67 imprenditori. Ma perché una realtà simile non c’è a Cosenza o a Reggio Calabria? Il punto è che anche il Terzo settore e il mondo ecclesiale rischiano di accontentarsi di fare delle buone azioni piuttosto che delle giuste scelte. Qui c’è da cambiare la Calabria facendo vera giustizia, il welfare, la sanità, l’economia civile, la finanza. Non serve il buon cuore di qualcuno, come una rondine che non fa primavera.

È inutile fare le buone azioni se poi si fa finta di non vedere e di non sentire. E non si parla. È un limite da superare. Non basta che le processioni non passino più davanti alle case dei boss. Bisogna dare dignità culturale a quello

che si fa e a quello che si decide di non fare più. Così il Terzo settore non può limitarsi a fornire prestazioni ma deve essere motore di cambiamento per portare gli emarginati al centro della vita sociale. Come autori di vita e socialità. Tempo fa scrissi un libro dal titolo “Io sono un grande sognatore”. Molti pensavano che stessi parlando di me e invece parlavo dei migranti. Quelli che arrivano e intendono restare in Calabria sono sognatori. Conoscono più lingue, sanno rischiare, sono una risorsa per la Calabria, dove i proprietari delle aziende hanno figli e figlie che non vogliono proseguire nell’attività familiare. Quando parlo con questi migranti parto dalla loro difficoltà e chiedo “Cosa sai fare?”. I loro racconti sono romanzi. Sembrano straccioni e invece sono ricchi, hanno la capacità di relazionarsi e lavorare in tanti settori, dal turismo all’agricoltura, dal commercio alle produzioni finanche al livello 4.0. Qui il contesto è favorevole perché la Calabria, rispetto alla Lombardia, è più accogliente. Però la strada da percorrere è ancora lunga. La società, più debole che altrove, si sta organizzando meglio che nel passato, ma non esprime ancora proposte di emancipazione da un sistema di

potere che tarda a dar luogo ad alleanze feconde tra i vari mondi vitali presenti. E anche esterni.

Il 14 febbraio avremo nuove elezioni, ma anche se uscisse dalle urne la giunta migliore del mondo, la Calabria non cambierà se la gente non si assumerà a sua volta al meglio il dovere essere politica, dentro o fuori il sistema dei partiti. Chi fa politica diretta deve imparare l’arte di governare, ma anche la società deve a sua volta imparare l’arte di farsi governare. È un analfabetismo da sconfiggere.

Anche la forma di ribellione dei giovani continua a esprimersi lasciando la Calabria, scappando per non sottomettersi. Mi dicono «Qui non posso, qui mi ricattano, qui devo appartenere». Rimanendo, con tutto se stessi, arricchirebbero la Calabria. Altri fuggono perché vedono solo povertà, ma c’è cecità e rassegnazione. Diventa necessario riflettere sul senso del rimanere e del partire. Per chi parte è importante la solidarietà di dare una mano a chi resta, e per chi resta è importante la visione sprovincializzata che apre al mondo. Ogni persona, come ogni Calabria e ogni Sud, è più grande di quello che si crede. Se coltiva solo il suo orticello farà del male

a nessuno, ma non assaporerà mai la bellezza esistenziale e politica di liberare la crescita di qualcuno, fragile come era stata lei… Questo tipo di chiarezza mi aspetto dai vari mondi della nostra Calabria.

Don

Giacomo Panizza, bresciano, ha co-fondato nel 1976 a Lamezia Terme la “Comunità Progetto Sud”, come gruppo autogestito di convivenza tra persone con disabilità e non. Dal 2002, da quando spezzò il cerchio di paura accettando di occupare con la sua associazione uno degli edifici sequestrati alla ‘ndrangheta, vive sotto protezione (Testo raccolto da Vito Biolchini)

08 → RIPARTIRE DALL’AMBIENTE

Irene Colosimo

«La Calabria deve ricercare, nelle sue risorse e nelle sue problematiche, le opportune “win-win solutions”, ossia quelle soluzioni che siano vincenti dal punto di vista economico, ambientale e sociale allo stesso tempo, basate su un approccio integrale ed un analisi sistemica delle sue sfide più grandi»

Mi è capitato tante volte di parlare delle mie origini, a volte con persone di altri continenti che non avevano idea di dove fosse posizionata la Calabria sulla cartina geografica. Ho raccontato della sua storia, ricca di grandi avvenimenti, e dei preziosi beni archeologici che oggi custodiamo. Con grande entusiasmo ho raccontato della ricchezza ambientale che la contraddistingue. Delle sue coste mozzafiato, dei tramonti dai mille colori, delle specie che navigano i nostri mari, dai delfini alle tartarughe marine. Della vista di Messina dall’altra parte dello stret-

to, e delle balene che periodicamente lo attraversano. Dei fiumi che la solcano, delle colline che ricordano i quadri di Van Gogh, della sua vegetazione rigogliosa, dei meravigliosi laghi e delle montagne che si specchiano sopra. Delle sue cascate e dei grandi canyon. Delle nostre tradizioni più belle, delle tarantelle fino all’alba, dei nostri borghi in pietra, di quelli in rinascita grazie all’accoglienza di persone di altri Paesi in cerca di una vita nuova. Ho raccontato del calore del Sud, che si rispecchia in chi lo vive. Di recente uno di loro mi ha chiesto: «Come è possibile che una terra ricca di risorse ambientali come la vostra soffra queste condizioni? Come ne uscirete da questo momento così duro?».

Ho replicato dicendo che purtroppo alla prima domanda non avevo risposta, ma che in merito alla seconda ci avevo proprio pensato di recente. «Come ne usciremo?», gli ho risposto, «Credo che punteremo su quello che abbiamo: la crisi». Avevo da poco riletto dei frammenti de “Il mondo come io lo vedo”, scritto da Albert Einstein nel 1931.

«È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le gran-

di strategie. (...) Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. (...) È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo brezze. (…) Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è quella di non voler lottare per superarla».

Credo profondamente che la crisi che oggi viviamo sia una grande opportunità per il Sud e per la Calabria. Questo storico momento di incertezze e difficoltà può e deve essere utilizzato da un lato per fortificare e consolidare quelle realtà economiche, culturali e sociali già funzionanti sul territorio, e dall’altro per dare vita a nuovi programmi, progetti ed iniziative di cui la Calabria ha estremamente bisogno per mettersi (almeno) al passo delle altre regioni del Mezzogiorno. È questo il momento dell’inventiva e delle strategie per dare luce ad una terra che merita molto di più di quanto le è stato dato. È questo il momento di puntare sulle risorse più importanti che abbiamo, è questo il momento di usare tutte le risorse che abbiamo.

La più importante, i giovani. Quelli che hanno investi-

to nella loro terra, e quelli che hanno voglia di tornare. È il momento di rendere economicamente attrattivo il ritorno al Sud, di offrire opportunità di lavoro interessanti, opportunità che sfruttino al meglio l’esperienza e la formazione coltivata in altre regioni o Paesi. È il momento di puntare sul talento ed è il momento di dare spazio alla meritocrazia.

È il momento di puntare sulla cultura, di investire sulle scuole e sulle università, perché non c’è vera rinascita che non sia una rinascita culturale. Le università calabresi, già rinomate in specifici ambiti per le loro eccellenze, hanno bisogno di finanziamenti sostanziali per potenziare le loro strutture e i laboratori, per dare spazio alla ricerca, per dare merito al grande lavoro portato avanti dal personale accademico e per dare spazio al talento dei suoi studenti.

Sogno, e vedo realizzabile, una Calabria la cui economia sia incentrata sulla sua maggiore ricchezza: l’Ambiente. Una Calabria che punti sul turismo ambientale, che valorizzi i luoghi di importanza naturalistica, geologica ed archeologica di cui dispone. Una Calabria nel-

le cui scuole si parli di Ambiente, perché i ragazzi di oggi crescano con una coscienza ambientale che in passato è stata spesso assente, e che in questo millennio trovo un bene indispensabile, un valore imprescindibile. È importante che i ragazzi di oggi siano coscienti dell’ultima occasione che abbiamo, nei prossimi decenni, di salvare il nostro Pianeta.

Una regione come la Calabria deve spingere la ricerca scientifica nell’ambito delle tematiche ambientali, in tutti i suoi aspetti. Deve puntare sulle energie rinnovabili e mirare ad essere una regione che utilizzi unicamente l’energia del sole, del mare e del vento, beni inesauribili e sempre disponibili nel nostro territorio.

La Calabria deve investire sul monitoraggio dei suoi corsi d’acqua, sulla bonifica dei siti inquinati, sull’applicazione e sviluppo di tecniche che minimizzano lo sversamento di micro-plastiche in mare. In Calabria c’è un bisogno, urgente, di studiare gli effetti del cambiamento climatico già in corso, ad esempio i processi di desertificazione, che richiedono un opportuno adattamento delle tecniche di produzione agricola.

La Calabria merita, al pari di altre regioni italiane, di disporre di impianti per la depurazione delle acque che siano realizzati secondo le più moderne tecnologie, e che siano ben mantenuti, perché non c’è giustificazione che tenga allo sversamento di qualsiasi tipo di inquinante nei suoi preziosi mari.

La Calabria dispone di quasi 800 km di coste, e dovrebbe ripartire anche da queste. Dagli interventi volti alla messa in sicurezza delle zone costiere in erosione, a quelli aventi l’obbiettivo di sviluppare le stesse aree da un punto di vista economico. In Calabria potrebbero sorgere piccoli porti turistici e perché no, anche un grande centro sportivo acquatico che diventi un rilevante polo turistico per il Sud e non solo.

Sogno una Calabria che miri a salvaguardare le sue specie più rare e preziose, tra cui le tartarughe marine. Conosco realtà già valide sul territorio, portate avanti con grande determinazione e caparbietà, ma hanno bisogno del supporto delle istituzioni pubbliche per consolidarsi ed espandersi. Viaggiando in Sud America ho avuto modo di visitare dei grandi e bellissimi centri di recupero di ce -

tacei e tartarughe marine, e ricordo di aver subito immaginato una realtà simile in Calabria. D’altronde abbiamo tutto per farlo, non solo da un punto di vista ambientale ma anche per quello che riguarda l’esperienza, la professionalità e la passione di chi già oggi se ne occupa.

La Calabria deve ricercare, nelle sue risorse e nelle sue problematiche, le opportune “win-win solutions”, ossia quelle soluzioni che siano vincenti dal punto di vista economico, ambientale e sociale allo stesso tempo, basate su un approccio integrale ed un analisi sistemica delle sue sfide più grandi.

«È nella crisi che emerge il meglio di ognuno», dice Einstein, ed è proprio quello di cui la Calabria ha bisogno adesso. Ha bisogno della parte migliore di ciascun calabrese, ha bisogno dell’amore della determinazione di ognuno di noi.

La Calabria che sogno di raccontare un domani ai miei figli è una terra che ha saputo sfruttare bene la più profonda delle sue crisi per diventare forte come non lo è mai stata.

Ciò su cui riflettere è che l’unica vera crisi pericolosa è

quella di farci governare dall’inerzia, quella di permanere nello stato in cui ci troviamo, di non voler davvero “lottare per superarla”.

Irene Colosimo,

ingegnere per l’Ambiente e il Territorio, nata a Catanzaro nel febbraio del 1988. Dal 2016 è ricercatrice presso la Delft University of Technology, in Olanda, dove si occupa di progetti “Building with nature” per lo sviluppo di tecniche sostenibili volte alla protezione delle coste olandesi. Oggi pianifica il suo ritorno in Italia, con l’obbiettivo di portare con sé quanto ha imparato e di impiegarlo al meglio per lo sviluppo del suo Paese

09 → RIPARTIRE DALLE PICCOLE STORIE

«La stazione zoologica calabrese Anton Dhorn e la scuola di cucina gratuita di Bianco. Sono queste due esperienze la dimostrazione che le idee buone trovano realizzazione, non è un problema di soldi, la questione è trovare le persone giuste»

Amo molto la Calabria, da cui sono andato via nel 1976. Volevo fare il biologo marino e lo sono diventato. Ma conservo la residenza nella mia città Natale, Vibo Valentia. Ho lavorato in quasi tutti i mari del mondo, sono stato al Cnr (consiglio nazionale delle ricerche), all’Icram (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca) poi all’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e infine alla Stazione Zoologica Anton Dohrn.

Vengo dalla cultura del “restare per lottare e lottare per costruire”. E anche se la mia professione mi ha tenuto lontano dalla Calabria continuo a mantenere i rapporti

con la mia terra e a dare il  mio contributo, come  quando ho accettato di fare l’assessore all’Ambiente per la giunta Loiero.

La concretezza delle opportunità di sviluppo, credo che sia data dalle piccole storie. E io ve ne racconto solo due, all’interno delle quali si racchiude, a mio avviso, la strada possibile e reale per uno sviluppo della Calabria.

Una parla di cibo, di enogastronomia e l’altra di ricerca ai massimi livelli.

Due cardini, due strade maestre per uno sviluppo maturo e sostenibile della Calabria: produzioni di qualità e ricerca scientifica. Due anni fa quando il presidente della stazione zoologica Anton Dohrn, il professor Roberto Danovaro, mi chiese di lasciare l’ Ispra per andare a dirigere la sede romana della stazione zoologica, io accettai e chiesi di aprire una sede in Calabria. La stazione Anton Dohrn è il primo ente di ricerca italiano e il quinto istituto europeo e il sedicesimo istituto mondiale su 77mila enti di ricerca. Nel mio Istituto hanno lavorato 19 premi Nobel, con una produzione scientifica che ci porta ai massimi livelli  e il mio presidente è il primo scienziato al mon-

do nel settore dell’ecologia marina. La sfida era fare una stazione del più importante ente di ricerca italiano sul mare in Calabria. Una regione che ha tre mari: Jonio, Tirreno e lo Stretto di Messina – che io ritengo un mare a parte – e fare sì che Amendolara, un posto sperduto del Jonio cosentino diventasse il nuovo epicentro della ricerca mediterranea sulle scienze marine.

A due anni di distanza, un mese fa, abbiamo inaugurato la sede con i primi ricercatori. In totale saranno 25, la stazione sarà dotata di una nave oceanografica che si occuperà di tutto quello che riguarda la ricerca scientifica marina, partendo dalla pesca per arrivare alle biotecnologie marine, ai nuovi farmaci dal mare. E questa è già una realtà in itinere. Dieci milioni di investimento circa, sei milioni sulle attrezzature, compreso uno degli strumenti più efficaci per trovare le nano plastiche anche nelle matrici alimentari. La stazione calabrese è una realtà, è partita, è un ente pubblico di ricerca. Adesso occorre insistere in questa direzione e fare in modo che anche altre Istituzioni ed Enti di ricerca nazionali  possano istituire una sede calabrese a conferma di un sud che è capace di elaborare

percorsi scientifici nuovi con  giovani altamente qualificati dove l’unica cosa che vale è il merito.

Questa era la grande sfida: dare la possibilità di ritornare a chi è dovuto andare via e tanti, che ormai lavoravano all’estero, sono rientrati. La Calabria così diventa protagonista, abbiamo già recuperato tre milioni di euro di progetti da terzi a conferma che quando le idee sono buone e il livello è alto i risultati arrivano subito.

Il primo grande progetto arrivato riguarda il canale di Sicilia, noi andremo a fare la valutazione di impatto ambientale del più grande impianto eolico off-shore galleggiante del Mediterraneo. La seconda microstoria si sposa perfettamente con la possibilità di intervenire per cambiare lo sviluppo della Calabria.

È una scuola di cucina per cuochi, a Bianco, in provincia di Reggio Calabria, nella Locride. Prima scuola gratuita al mondo, attrezzata con cucine professionali, che utilizza lo stesso modello educativo scolastico dell’Università di Scienze enogastronomiche di Pollenzo. Da ottobre a giugno gli studenti frequentano le cucine della scuola, in maggio sono impegnati in uno stage tra i fornelli

dei migliori ristoranti stellati d’Italia. Un programma che cuce il territorio in maniera circolare: dall’orto didattico interno alla scuola all’enogastronomia diffusa, dai laboratori ai sopralluoghi nei luoghi di produzione tipica: frantoi, mulini, panifici, macellerie.

Il valore aggiunto dell’operazione è la connessione. Da 14 anni insegno all’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo. Due anni fa, Arturo Pratticò, decide di trasformare il premio assicurativo ricevuto dalla perdita di sua figlia e del nipote in un investimento per i giovani del territorio. Così elaboro l’idea e convinco il Rettore di Pollenzo e i miei colleghi a venire a Bianco per insegnare, sul territorio abbiamo coinvolto gli amici e i colleghi delle diverse università calabresi, esperti, gastronomi e chef stellati. Il risultato straordinario è il successo nazionale che ha avuto questa scuola, che ha portato Oscar Farinetti, patron di Eataly ad assumere i primi due diplomati per la sua food hall di Londra.

Dunque due settori, diversi tra di loro: la scuola e la collaborazione tra i professori di Pollenzo e quelli delle università calabresi che ci hanno sostenuto essenzialmente a

titolo gratuito, con un minimo rimborso spese. In Calabria non occorre seguire sviluppi di tipo industriale. Ma avere contezza che l’enogastronomia e la varietà sia nel settore agricolo che zootecnico (che conta centinaia di varietà) coniugata con l’innovazione e la valorizzazione dei prodotti locali può permettere a questa regione di tornare all’enogastronomia di cui la Calabria è ricca.

Mi sento cittadino del mondo ma con una visione meridionalista. Voglio lasciare due cose, che sono già realtà, due strumenti di sviluppo che portano con se cultura, sapere, conoscenza e dove si può toccare con mano che un altro modo di vivere la Calabria è possibile: la stazione zoologica calabrese Anton Dhorn e la scuola di cucina gratuita di Bianco. Questa è la dimostrazione che le idee buone trovano realizzazione, non è un problema di soldi, la questione è trovare le  persone giuste.

Silvio Greco, biologo e professore universitario (Testo raccolto da Maria Pia Tucci)

10 → RIPARTIRE DALLA

PRESA DI COSCIENZA

Geneviève Makaping

«Dobbiamo votare con coscienza: smettere di scegliere gli amici degli amici, smettere di scegliere per simpatia o raccomandazione. E pensare che se lasciamo affondare quello che ci sta di fianco alla fine affondiamo pure noi» —

Il primissimo ricordo che ho della Calabria è il mare di Amante, stupenda costa tirrenica. Mangiare insieme, essere invitata a casa di gente che neanche ti conosce. Convivialità, questo siamo noi calabresi. Ma c’è una parte guasta che dobbiamo sistemare. Ho 62 anni, sono africana, camerunese – sono nata a Bafoussam – italiana, calabrese. Sì, sono calabrese. Dall’Africa giovanissima sono andata in Francia, poi mi sono spostata a Milano. Da Milano in Calabria, a Cosenza, da otto anni vivo invece a Mantova. Dopo la laurea in lingue e letteratura straniera e il dottorato in tecnologia didattica multimediale e sistemi di comu-

nicazione sono diventata docente a contratto di antropologia all’Università della Calabria, poco dopo ho iniziato a dirigere il quotidiano “La provincia Cosentina”.

Alla Provincia mettevamo nomi e cognomi di chi stava rovinando una terra meravigliosa come questa, dicevamo la verità citando fonti autorevoli che non potevano essere messe in discussione. E per questo eravamo scomodi. In tutti questi anni ho visto Cosenza e provincia aprirsi come un fiore, merito soprattutto dell’università. Dove c’è cultura, ci guadagnano tutti, dal territorio alla gente che ci vive. Quando arrivi da un altro posto non tutto è un diritto, devi lottare. Per fortuna qui ho trovato un ambiente ricettivo. E oggi la Calabria da quello deve ripartire: dalle università e dalla presa di coscienza dei cittadini. Dopo mezzo secolo, riprendere la coscienza di chi siamo è fondamentale. Non è possibile, non lo trovo giusto che i discorsi che si fanno sulla Calabria, una regione che fa parte dell’Europa cosiddetta moderna, debbano essere tanto simili a quelli che si fanno sui Paesi in via di sviluppo, i Paesi del Terzo Mondo. Perché in una regione tanto bella dobbiamo sempre sentirci così umiliati?

Anche se oggi vivo a Mantova, rimango calabrese. Umiliati dal punto di vista del lavoro, che non c’è. E i nostri giovani devono scappare come degli appestati. Umiliati perché i nostri malati o rimango in Calabria e crepano o pure loro devono andare negli ospedali del Nord. Umiliati e basta perché in Calabria funziona poco o niente, e quello che funziona non è un merito di chi la Regione la governa, ma di qualche cittadino illuminato e di buona volontà.

E allora, ora che abbiamo capito che il problema non sono i calabresi, ma di una gestione scellerata in tutti i settori della vita pubblica, ripartire dalla coscienza significa esercitare il diritto di voto con consapevolezza, con coscienza appunto: smettere di votare gli amici degli amici, smettere di votare per simpatia o raccomandazione. Votiamo le persone dopo esserci informati sulla loro vita onesta, decorosa, preferibilmente persone nuove, nomi che sulle liste non avevamo mai visto.

La Calabria è casa mia, Cosenza è casa mia. Ci ho vissuto 35 anni, e voglio ritornare.

Fosse per me investire solo su agricoltura e turismo. Agricoltura e turismo sono così antropologicamente no -

stri che non possiamo sbagliare: non si può fare a meno dell’agricoltura, c’è bisogno di mangiare. Non si può fare a meno del turismo: c’è sempre bisogno di divertirsi. E si sappia che nel mondo della comunicazione e non solo, la Calabria vi annovera i migliori studiosi. Ma come convinco una persona a votare per “una persona per bene”? Me la chiedo spesso questa cosa. E proprio per questo dico che dobbiamo ripartire dalla presa di coscienza, non bisogna convincere nessuno, ma noi stessi. E avere l’onestà di capire che la merda è merda, e la criminalità lo è. E che se per convenienza si fa una scelta sbagliata ad affondare è la persona che ti sta di fianco: un amico, un figlio, un fratello. E alla fine affondi pure tu.

Geneviève Makaping, giornalista e professore universitario, ha diretto il quotidiano “La provincia cosentina” (Testo raccolto da Anna Spena)

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