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2. Unire cultura e sociale di Elvira Zaccagnino pag

Seconda sfida: unire cultura e sociale

— di Elvira Zaccagnino

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imprenditrice culturale, direttrice delle edizioni La Meridiana

La cultura è sociale oppure non serve. Lo schema della continua replica di festival, fiere, eventi e spettacoli purtroppo si è dimostrata compatibile con lo sviluppo della criminalità organizzata, l’aumento della disoccupazione conseguente alle crisi industriali di Brindisi e Taranto. Non è questa la strada giusta —

Partiamo da una domanda: la Puglia o le Puglie? La risposta è una sola: le Puglie. L’estensione impone di sottrarsi a ogni forma di pensiero unico. La Puglia è lunga. Da Foggia a Lecce sono in linea d’aria 253,02 chilometri. Ad est di Foggia c’è il Gar-

gano, con una estensione di 2.015 chilometri quadrati, e a sud di Lecce ci sono ancora 71,23 km per arrivare a Santa Maria di Leuca dove il tacco d’Italia sprofonda nell’incontro tra Adriatico e Ionio. Nel mezzo una provincia di giovane costituzione, che già nel darsi un nome racconta la difficoltà di una sintesi: Bat (Barletta, Andria, Trani); un’altra, Brindisi, schiacciata da una infelice storia industriale adombrata dalla più complessa storia industriale di Taranto, ma collocata in una delle zone più suggestive dell’intera regione: la valle d’Itria. A sovrastare su tutte Bari, la città del governo regionale e la città che di sé si è sempre pensata e racconta come città metropolita, con un’anima levantina, città di scambi e affari e cultura.

È così diversa la Puglia che una narrazione sociale unica la mortifica. Come anche una narrazione culturale. In realtà una narrazione la Puglia ha cominciato a darsela negli anni Novanta del secolo scorso quando si è scoperta e ha cominciato a capire di sé di essere regione di confine soprattutto grazie al pensiero meridiano di Franco Cassano e all’esperienza pastorale di don Tonino Bello. Forse è stato allora che la Puglia ha cominciato a guardare a se stessa con un destino unico nella geografia nazionale, europea e mondiale e a scoprirsi diversa nella capacità di rispondere all’accelerata che la politica e le politiche degli anni Duemila innescavano nel glocale. È stato allora che il pensiero ha dovuto non solo essere pensato ma immediatamente darsi parole e a farsi sostanza in pratiche necessarie. Allora la Puglia ha cominciato a vedere, ad essere vista ma so-

prattutto a vedersi e a capire che negli scenari mondiali doveva scegliere il corso da dare al suo destino. A stare con la schiena dritta e non con il cappello in mano.

Se si potesse racchiudere in un giorno preciso il momento in cui questo è stato chiaro, la data è l’8 agosto del 1991. E la foto di quel giorno è già nei manuali di Storia con lo scatto della Vlora e il suo carico umano. Quel giorno la Puglia tutta ha scoperto di dover scegliere da che parte del futuro stare e che, non potendo sottrarsi al destino che la rendeva luogo di destinazione dei sogni di altri, Il giorno in cui il nostro doveva diventare protagoni- territorio ha scoperto un nuovo sta nelle partite che si apri- destino è l’8 agosto del 1991, vano. E, attingendo alla sua quando è arrivata laVlora con Storia, la Puglia imparò dal- tutto il suo carico umano le sue culture il destino verso cui andare: frontiera da attraversare che non si fa muro verso chiunque arrivi. Alessandro Leogrande ha poi scritto bene del concetto di “Frontiera” e di certo la riflessione gli è nata dalla sua regione di origine.

Erano gli anni Novanta quelli in cui il fermento sociale e culturale ha cominciato a darsi voce e farsi esperienza viva nei territori, con la nascita dell’associazionismo, delle cooperative sociali ed esperienze culturali che rappresentano ancora oggi una delle infrastrutture più ramificate nel tessuto regionale.

C’è qualcosa che possiamo raccontare e cominciare a inda-

gare come fenomeno anche unico nel Mezzogiorno avvenuto negli anni Duemila quando, con la Primavera pugliese, le politiche culturali e quelle sociali cominciarono a diventare strategiche nello sviluppo economico della Puglia. La visione era chiara. Le scelte politiche e amministrative cominciarono a liberare risorse economiche indirizzandole verso luoghi, spazi e soggetti, soprattutto giovani, che potevano immaginare la cultura e l’impegno sociale anche come un investimento professionale. La Puglia come luogo in cui tornare e terra da cui non La Puglia ha andare via. In realtà il terreno incominciato a correre negli era fertile. Occorreva l’inneanni in cui le mafie si facevano sto e il riconoscimento del vasistema sociale: questo oggi è un lore strategico che le politiche tema culturale da affrontare attivate consentirono. Sono gli anni in cui con le azioni delle misure pensate per le politiche giovanili (la prima in assoluto fu Bollenti Spiriti) liberarono e cominciarono a mettere a sistema eventi culturali, azioni sociali, reti di incontro e confronto dove la politica, immaginando una narrazione che vedeva e voleva la Puglia non subalterna ma unica nella sua poliedrica ricchezza di luoghi, tradizioni e culture, su questa specificità immaginava un futuro.

Il riconoscimento che la Puglia si è data, e che le è stato dato a partire da quegli anni, ha rappresentato plasticamente che la cultura e l’impegno sociale non sono ancillari nella corsa e rin-

corsa verso l’innovazione. La Puglia è stata capace di fare innovazione culturale delle sue tradizioni. La Puglia è stata capace di ripensare il suo welfare liberandolo da un immaginario solo assistenzialistico. Ma. E c’è un ma. Che dice la natura composita di una regione diversa nella sua matrice identitaria.

La Puglia ha cominciato a correre negli anni in cui le mafie nella Capitanata e nel Gargano si facevano sistema sociale al punto che il nome dato alla criminalità organizzata di stampo mafioso a Foggia si chiama ancora “La società”, a dire plasticamente di come un sistema illegale sia la risposta immediata ai bisogni delle persone quando lo Stato e la politica locale e il sistema imprenditoriale cedono alla collusione. La Società foggiana resiste ancora oggi a ogni intervento dello Stato e a ogni tentativo dal basso di ricostruire una risposta altra. E questo è un tema anche culturale che impatta il sociale. E la cultura pugliese ha la responsabilità di non aver visto e voluto vedere a lungo il lavoro che le Procure facevano e i dati sugli impatti del sistema criminale sulle comunità.

La Puglia ha cominciato a crescere nel Pil quando il sistema industriale di Brindisi prima e di Taranto dopo sono implosi generando sacche di marginalità sempre più estesa e bisogni di welfare anche sanitario a cui la risposta è spesso stata assistenzialistica e riduttiva perché incapace di ripensare un modello economico industriale effettivamente trasformativo e rispettoso dell’ambiente e della salute. La Puglia ha sì scoperto e valorizzato le sue tradizioni culturali e la sua capacità di fare

innovazione culturale, ma ha moltiplicato e replicato festival e fiere, eventi e spettacoli con un effetto talvolta fotocopia. La Puglia della cultura è diventata la leva privilegiata del turismo. Il che strategicamente va bene ma i dati che dicono l’aumento dei turisti a specchio riflettono indici di lettura tra i più bassi d’Italia e dispersione scolastica in aumento e disagio sociale crescente.

La Puglia del sociale come sistema di welfare è quella che prima assunta come orizzonte di impegno di politiche, poi si è scoperta più facilmente privabile di risorse strutturali.

Cultura sociale o cultura&sociale? Meglio pensare che la cultura o è sociale o non serve. Questo ci è stato chiaro negli anni Novanta per capire da pugliesi che avevamo non una ma tutte le possibilità che volevamo darci per fare della nostra regione un modello di welfare culturale quando ancora questo incrocio lessicale non era nelle agende della politica e nominato nei Bandi europei che costringono gli operatori culturali a pensare che la cultura debba andare oltre i festival e lasciare tracce di cambiamento sociale misurabili, e gli operatori sociali che la cultura non è uno spazio interstiziale nelle attività messe in campo per risanare gli spazi, i luoghi e le persone fragili. La cultura è sociale. In Puglia questo è stato. E questo ancora continua ad essere come spinta dal basso. Una spinta tenace che quando la politica la vede e non la usa ma le dà spazio incide e migliora la qualità di vita delle persone. Quando la usa perdono tutti: la politica, il sociale, gli operatori culturali.

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